La maledizione dei Lawrence

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Davide Donato

LA MALEDIZIONE DEI LAWRENCE

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LA MALEDIZIONE DEI LAWRENCE Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2011 Davide Donato

ISBN: 978-88-6307-366-9 In copertina: Immagine Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Giugno 2011 da Logo srl Borgoricco - Padova


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CAPITOLO 1

Newell, regione del Devonshire, 07 settembre 2010. Laura Simmons era seduta sul sedile posteriore della Mercedes di suo marito e scrutava inquieta il panorama che scorreva veloce oltre i finestrini. Quella verde, ordinata, distesa coltivata, punteggiata da sempre più rade case distanti, sembrava non aver fine e diventare più immensa e vuota mano a mano che si allontanavano dal centro di Newell. Quanto mancava ancora? Quanto si erano già allontanati? Quanto avrebbero impiegato a ritornare a Exeter? Si impose di non pensarci, risistemò i capelli che le svolazzavano sul viso, poi con un fazzolettino di carta si asciugò la fronte; un’estate così calda era davvero un’eccezione in Inghilterra. Paul conversava con il signor Wilkins, l’agente immobiliare che li aveva contattati per proporre loro quella vecchia villa in campagna. Avevano affrontato il viaggio da Exeter fino a quello sperduto paesino perché, dalla descrizione che il signor Wilkins ne aveva fatto, Paul si era convinto che quella casa potesse essere l’occasione che stava cercando. Laura, al contrario, pensava che fosse stupido spendere in quel modo tutti i loro risparmi. Nel piccolo appartamento dove vivevano, in centro a Exeter, a cinque di minuti di strada dalla banca in cui lavoravano, lei si sentiva protetta e al sicuro e non vi era altro posto al mondo ove avrebbe voluto vivere. Dopotutto le bastavano il suo divano, la TV e Paul per essere felice e quel posto in mezzo al nulla non le dava tranquillità, anzi, la sola idea di trovarsi lì, distante da tutto e da tutti la faceva rabbrividire. Ma Paul aveva insistito così tanto e così a lungo che aveva accettato di andare a vedere quell’angolo di paradiso perso nel verde. Durante tutto il viaggio il signor Wilkins non aveva smesso per solo secondo di decantare le lodi di “Lawrence’s House”. Paul annuiva meccanicamente alle parole dell’agente ma con la mente era distante e ripensava a quello che gli aveva il dottor Jordan nel loro ultimo incontro. “Laura è ammalata, Paul. Deve curarsi.” “Ho provato in tutti i modi, non vuole prenderle quelle pastiglie, non so che fare.”


4 “Devi convincerla, non può continuare così. È diminuita di altri due chili dall’ultima volta che l’ho vista. L’agorafobia è una brutta malattia, non bisogna sottovalutarla, soprattutto se è associata a uno stato depressivo, come nel caso di Laura.” “Lo so, ma non riesco a farla mangiare, dice che si sente soffocare e poi non ha mai appetito, se non fossi io a insistere non toccherebbe cibo per giorni. Ormai esce di casa solo per andare a lavorare e appena rincasa si distende sul divano davanti alla Tv e non c’è modo di farla smuovere da lì.” “Deve fare qualcosa, Paul.” “E cosa, dottore? Me lo dica lei!” “Forse farle cambiare ambiente potrebbe esserle utile, magari allontanandola da Exeter, portandola in un luogo più tranquillo, in campagna per esempio.” A Paul erano bastate quelle parole e adesso guardando attorno a sé la distesa immobile dei campi coltivati a grano nel suo cuore sentiva che la ricerca stava per concludersi. «Ecco, signor Simmons.» disse il signor Wilkins. «Prenda quella strada sterrata, siamo quasi arrivati.» Paul rallentò e s’inoltrò con cautela lungo la strada resa quasi invisibile dalle erbacce che, crescendo rigogliose, l’avevano mimetizzata in quel mare verde. Arrivarono alla tenuta. Un grosso cancello in ferro battuto, arrugginito dal tempo, che portava un’enorme targa con la scritta “Lawrence’s House”, chiudeva la via impedendo di proseguire. Il signor Wilkins, veloce come una lepre, scese dall’auto avanzando a saltelli nell’erba alta e, utilizzando un grosso mazzo di chiavi, lo aprì. Proseguì poi a piedi, seguito dai Simmons in auto. Percorsero il breve tratto che, passando nella triste desolazione del luogo, raggiungeva l’entrata della villa. Erbacce e sterpaglie crescevano ovunque anche lì ma, a differenza della fertile campagna che prosperava rigogliosa aldilà di quel cancello, il clima caldo e secco le aveva trasformate in una massa informe e grigia di steli spinati. Laura, guardando quell’arido spettacolo, all’improvviso si sentì percorrere da un brivido. Strinse le braccia al petto, come a riscaldarsi, e distolse lo sguardo, fissando le ossute ginocchia che spuntavano dalla corta gonna.


5 Il signor Wilkins avanzò verso la villa, alzando le gambe fin quanto gli era possibile per non rimanere aggrovigliato in quella selva incolta, poi con un agile salto raggiunse il portico pavimentato in legno che era rimasto, nonostante il deciso attacco delle erbacce, abbastanza sgombro e in buono stato. Fece segno ai coniugi di scendere dall’auto e di seguirlo in casa. Paul parcheggiò il più vicino possibile all’abitazione. «Allora! Vogliamo entrare?» chiese il signor Wilkins. «Certo, siamo venuti fin qui per questo, vero cara?» rispose Paul. Laura annuì poco convinta, sfoderando un sorriso di circostanza. Il signor Wilkins aprì la porta che, cigolando, riportò nuova luce su quelle stanze abbandonate e dimenticate da anni. Ragnatele ovunque, fitte come una nebbia londinese d’inizio novembre. Quei fili finissimi creavano intrecci che assumevano spunti cromatici diversi appena venivano colpiti dalla luce che filtrava dalla porta. Per riuscire a muovere qualche passo all’interno del salone l’agente fu costretto a crearsi un varco facendo ampi movimenti con le braccia. Aprì le finestre e, dopo più di settant’anni, il sole ritornò a colorare quei luoghi, rischiarando la stanza e donando nuovo calore. Laura si guardò attorno senza abbandonare il forte braccio di Paul. La casa si sviluppava su due piani. Il salone d’ingresso era dominato da un’ampia scala in legno e marmo, alla cui base si trovavano due grossi vasi che portavano ancora i resti rinsecchiti delle piante che vi avevano vissuto. Sulla sinistra c’era un camino, con a fianco i ciocchi ancora accatastati in bell’ordine, e davanti due poltrone ricoperte di polvere al punto da rendere irriconoscibile il colore originario. Su un piccolo tavolino di legno giacevano dei bicchieri rovesciati, come fossero dei caduti rimasti su un campo di battaglia. Sulla destra si aprivano due porte e tra loro un vecchio orologio a pendolo. In mezzo all’ampio salone giaceva una sedia ribaltata. «Prego, venite.» disse il signor Wilkins. Paul entrò deciso. Laura si lasciò trascinare, avanzando a passi piccoli e veloci, come fanno le bianche geishe avvolte nei loro kimono. Aleggiava uno strano odore tra quelle mura, forte e penetrante, come di legno marcio o di cibo andato a male. «Da quanto tempo qui non ci vive più nessuno?» chiese Paul coprendosi la bocca con un fazzoletto.


6 «Da sempre.» rispose l’agente immobiliare sparendo all’interno di una stanza adiacente. Si sentirono delle imposte sbattere e una leggera corrente d’aria cominciò a passare nel salone alleviando quel pungente odore e animando le ragnatele che sembravano danzare, come fossero vive, a quei dolci refoli. Il signor Wilkins riapparve continuando la sua spiegazione. «La casa è stata fatta negli anni Trenta dal signor Lawrence, il dottore del paese. È costruita tutta in pietra, una vera opera d’arte. È stata abitata solo un paio d’anni, fino alla morte del proprietario che è stato trovato impiccato su quella trave.» disse indicando il soffitto. Laura trasalì e alzò lo sguardo per guardare il punto che l’agente indicava. Non riuscì a trattenere un leggero fremito e si strinse ancora di più a Paul. «Hai freddo?» le chiese il marito che aveva percepito la leggera vibrazione. «No!» rispose lei sottovoce «È questa casa, mi mette i brividi.» «…in seguito a quel tragico episodio la casa è stata abbandonata» continuò il signor Wilkins «e nessuno è più voluto venire a vivere qui. Nel paese gira un’assurda diceria: i vecchi credono che la casa sia stregata. Per questo è rimasta disabitata per tutti questi anni.» «Adesso mi è più chiara la situazione.» disse Paul. «Questo spiega il prezzo così basso.» «Infatti, nessuno ha mai più voluto acquistarla a causa di questa stupida leggenda. Mi è sembrato onesto informarvi, ne avreste comunque sentito parlare in paese.» «Io non ho paura di niente e di nessuno.» rispose Paul. E questo era anche comprensibile. Paul sfiorava i due metri d’altezza e aveva il fisico forte e muscoloso di un giocatore di rugby. «E tu hai paura?» chiese a Laura. Lei, così esile e cagionevole, aveva certo maggiori motivi per preoccuparsi. Restò qualche istante a riflettere. In realtà in quella vecchia casa non si sentiva per niente a suo agio, ma per non smorzare l’entusiasmo del marito mentì. «Certo che no!» disse con un sorriso. «Allora seguitemi, così vi mostro il resto.» disse il signor Wilkins. «Qui ci troviamo nel salone, è di una cinquantina di metri quadrati e, come vedete, c’è anche un meraviglioso camino, ovviamente funzionante.» Si avvicinò alla sedia che giaceva nel mezzo della sala e la rimise diritta.


7 «Questa è la cucina» disse poi entrando in un'altra stanza molto ampia «e qui a fianco c’è una camera da letto matrimoniale.» Poi cominciò a salire le scale. «Al piano superiore ci sono ben cinque camere…» «Non c’è il bagno?» chiese Laura a Paul. L’agente sentì la domanda, si fermò e rispose: «È fuori, signora. Negli anni Trenta si usavano ancora le latrine esterne.» Laura guardò basita l’agente e poi suo marito. Aveva gli occhi sbarrati e gli angoli della bocca puntavano decisi verso il basso, segno che le quotazioni di quella casa stavano precipitando in maniera inarrestabile. «E io dovrei usare una latrina all’aperto? Io ho bisogno di un bagno!» esclamò. «Non preoccuparti, cara, risistemeremo tutti gli impianti: la luce, il gas, il riscaldamento.» la tranquillizzò Paul. «Diciamo» li interruppe il signor Wilkins «che più che risistemarli bisogna proprio farli nuovi. L’acqua veniva prelevata dal pozzo esterno.» «Neanche l’acqua corrente!» esclamò Laura. «Eh sì, obiettivamente c’è molto lavoro da fare.» commentò Paul. «Ma questo non ci fermerà, vero cara?» «Qui c’è troppo lavoro da fare! Come pensi di poter affrontare un’impresa del genere? Alla fine verremo a spendere di più che non comprarne una nuova!» «Tenete però conto del prezzo di acquisto irrisorio.» li interruppe l’agente. «È vero. Ci costerà più sistemarla che comprarla.» calcolò a spanne Paul. «Dovete anche valutare che non acquistate solo la casa, ci sono migliaia di metri di scoperto.» Raggiunse la porta d’entrata indicando il terreno che faceva parte della proprietà. «La tenuta comprende tutti i campi fino al fiume che s’intravede in lontananza e dietro c’è anche una bellissima collinetta che è perfetta per coltivare la vite.» Paul guardò speranzoso Laura. «Non vorrai farlo davvero?» disse lei. «A me piace molto questa casa, e poi la campagna qui intorno è meravigliosa. Senti che silenzio, che pace! Non è quello che stiamo cercando?» “No!”, avrebbe voluto rispondergli Laura “Io sto bene a casa mia e tutto questo verde e questa pace mi da sui nervi”, ma poi vide nei suoi occhi così tanto entusiasmo e voglia di fare che decise di non privarlo del suo sogno. Gli sorrise, controvoglia, e quello fu sufficiente. «Ok, la prendiamo.» disse Paul.


8 «Avete fatto un ottimo acquisto.» concluse il signor Wilkins porgendogli la mano. «Vi accompagno a vedere anche il resto della casa. Ci sono ancora da visitare i piani superiori, la cantina e l’esterno.» «Non serve, la decisione ormai è presa.» rispose Paul «Ritorniamo pure al suo studio così definiamo l’affare.» Risalirono in macchina e procedendo piano uscirono da “Lawrence’s House”. Laura, seduta dietro, batteva leggera le ginocchia una contro l’altra in un movimento involontario e si martoriava con i denti le pellicine del pollice della mano destra. Sentiva uno strano senso di inquietudine pervaderla e aveva una gran fretta di gridare a suo marito di lasciar perdere tutto, che non si sentiva sicura in quel posto. Doveva parlare e subito, prima che fosse troppo tardi. Proprio in quel momento Paul si girò verso di lei, con un sorriso ebete stampato sul viso, come un bambino che ha appena trovato tra i pacchi di Natale il giocattolo che bramava. Le strizzò l’occhio e le sussurrò: «Grazie.» Se prima era difficile, adesso le era impossibile togliergli dalle mani il regalo che tanto desiderava. Abbassò lo sguardo e accettò in silenzio quello che il destino le proponeva. Oramai rassegnata, appoggiò la testa al finestrino mezzo aperto e lasciò che i suoi occhi vagassero all’esterno, tra tutto quel verde. Lungo la strada che li riaccompagnava al paese di Newell, vide un vecchio magro che procedeva in calesse verso la villa, a passo d’uomo. Aveva mani lunghe e ossute, capelli bianchi e ispidi sulle tempie e un cappello in testa. Quando l’auto gli fu vicino, l’uomo si tolse il cappello e piegò la testa in segno di saluto. Lei sorrise a quel volto antico. Lo guardò fino a che non scomparve in lontananza. Firmarono il contratto di acquisto e la villa fu loro, con tutto quello che conteneva. Ripartirono per Exeter e durante tutto il viaggio Paul non fece che parlare della casa e di come intendeva riportarla a nuova vita. In quel poco tempo aveva già mentalmente organizzato, con dovizia di particolari, tutti i lavori necessari a renderla abitabile e accogliente. Per Laura era penoso restare ad ascoltarlo. Sorrideva e annuiva, ma era terrorizzata al solo pensiero di dover ritornare in quella casa.


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CAPITOLO 2

Laura era sempre più meravigliata e sconcertata dall’incredibile energia che Paul profondeva nella nuova impresa: rendere abitabile quella vecchia villa di campagna. Non lo vedeva così deciso e determinato dai tempi in cui calcava i campi da rugby inseguendo una palla ovale, disposto ad asfaltare chiunque gli si fosse messo davanti pur di superare la linea di meta. Paul passava tutto il suo tempo libero a Newell, assieme agli operai, usando martello e chiodi come fosse uno di loro. La sistemazione della nuova casa di campagna assorbiva ogni suo pensiero. Continuando con quel ritmo avrebbe rimesso a nuovo la villa in pochi mesi e lei non voleva tornare nella “casa dell’impiccato”, come la chiamava dal giorno in cui aveva saputo della tragedia che vi si era consumata molti anni prima. «Vieni con me, a Newell, domani?» le chiese Paul. «Mi piacerebbe avere il parere del mio angelo su quello che stiamo facendo. Non ti sei ancora degnata di venire a vedere come stanno procedendo i lavori!» Laura era rannicchiata sul divano, davanti alla soap del sabato sera, indossava dei calzini di lana e si era coperta con un plaid di pile color cachi, nonostante in casa ci fossero più di venti gradi. «Lo sai che quel posto m’intimorisce. Preferirei venirla a vedere quando sarà finita.» «Guarda che non c’è proprio niente da temere. È una casa come tutte le altre, è solo molto più bella.» «Ma se non c’è niente da temere, perché nessuno prima di noi l’ha voluta comprare?» chiese girandosi verso di lui. «Perché le persone sono stupide e superstiziose.» rispose pacato sedendosi sul divano. Laura si scostò per lasciargli un po’ di spazio e piegò la testa per continuare a guardare la TV evitando l’ingombrante faccione di suo marito che le si era parato davanti. Paul si era messo lì apposta, per ottenere la sua attenzione. «E se invece in quella casa ci fosse davvero qualcosa di oscuro e soprannaturale? Come fai a escluderlo?» chiese Laura «Quando girano storie


10 del genere c’è sempre una seppur piccola parte di verità.» poi aggiunse: «Ti sposti, per favore? Mi costringi a stare con il collo tutto storto.» «Sono solo stupidaggini! Queste dicerie risalgono a più di settant’anni fa! Che valore possono avere? Io ci passo tutto il mio tempo libero in quella casa e sto benissimo. A proposito, abbiamo trovato una cosa interessante, hai voglia di vederla?» «Certo!» rispose. «Allora vado a prenderla.» disse alzandosi dal divano. «È giù in macchina.» Paul ritornò con una scatola e gliela porse, proprio durante un bacio tra i protagonisti della telenovela. Lei la prese in mano senza staccare gli occhi dallo schermo, poi, passata la scena clou, osservò quello strano oggetto con attenzione. Era un cofanetto di legno e metallo, di circa trenta centimetri per lato, decorato con motivi floreali in oro e madreperla. Sembrava un oggetto molto prezioso. Sulla superficie vi erano sei ruote dentate con impressi, su ognuna, i numeri dallo zero al nove. Un piccolo intaglio sul legno indicava la posizione di riferimento per creare la giusta combinazione. Laura spostò definitivamente la sua attenzione sullo scrigno, si mise seduta e cominciò a scuoterlo. Un suono metallico e un rumore sordo echeggiarono al suo interno. «Gli operai volevano aprirlo a martellate, ma io gliel’ho impedito. È un così bell’oggetto.» «È una specie di piccola cassaforte.» commentò Laura. «Bisogna trovare i sei numeri che compongono la combinazione. Dove l’avete trovata?» «In camera da letto, nascosta sotto un’asse mobile del parquet. Sto facendo cambiare tutti i pavimenti in legno, quelli vecchi sono mezzi marci e tarlati. Ho fatto montare tutte doghe anticate da venti millimetri, lunghe due metri e mezzo. Le ho fatte disporre come quelle vecchie, a tolda di nave, vedessi…» Laura lo interruppe: «Avete trovato solo questo?» «Sì!» rispose. «Non c’era altro.» «Qualche foglietto? Qualche scritta?» «No, niente. Ho detto agli operai che tu avresti trovato di sicuro il modo per aprirla.» «Non è impresa facile: sei ruote dentate, con dieci numeri ciascuna, danno un totale di un milione di possibili combinazioni.»


11 «Un milione?» esclamò Paul. «Merda! Ci vorrà un anno per trovare quella giusta.» «Non è detto.» disse Laura che nel frattempo stava ispezionando con attenzione il cofanetto. «Dietro c’è una strana iscrizione, secondo me è questa la chiave per aprire la cassaforte.» «Fa vedere.» disse Paul curioso. «Ecco, è qui.» Gli indicò il punto esatto dove s’intravedeva a malapena la scritta scolorita dal tempo. «Vedi, sono sei segni, tanti quante le ruote dentate. Questo doveva essere il promemoria nel caso avesse scordato la combinazione.» «Ma sono lettere, non sono numeri!» esclamò Paul. «A me non sembrano né lettere né numeri.» disse Laura alzandosi dal divano e portandosi sotto la luce. «I segni sono troppo squadrati. Il primo sembra una U.» Paul ne approfittò e passando vicino alla TV la spense, poi si avvicinò per aiutarla a decifrare la scritta. «Sembra una scatola senza coperchio, vista in sezione.» disse. «Forse questa lettera sta a indicare il cofanetto.» «Può essere.» rispose Laura continuando ad analizzare la scritta. «Mi vai a prendere carta e penna?» Paul, contento che almeno quella sera si facesse qualcosa di diverso dal solito, andò subito a prendere quello che gli era stato chiesto. «Allora» disse Laura tracciando dei segni sul foglio «una U squadrata, seguita da una L e da una X maiuscola.» Suo marito la osservava in religioso silenzio. «Poi c’è una specie di quadratino.» «È una O maiuscola.» «Sembra quasi che utilizzi la scrittura delle calcolatrici, quelle con il display al quarzo che usano solo stanghette e non hanno linee curve.» commentò. «Dopo la O c’e una specie di A maiuscola, ma le manca la lineetta in mezzo. E poi, per finire, una C maiuscola. Vediamo, la scritta completa è:»

«Secondo me» osservò Paul «la quinta lettera non è una A, ma una N.» «Bravissimo, hai ragione! Visto il tipo di scrittura adottata è senza dubbio una N.»


12 Paul sorrise soddisfatto all’apprezzamento di Laura. Essere riuscito a sorprenderla con una tale intuizione lo rendeva oltremodo orgoglioso. Fin dal momento in cui si erano conosciuti all’università, facoltà di Economia e Commercio, gli era apparso subito evidente che quella ragazza così magra, e all’apparenza debole, aveva in sé qualcosa di speciale. Era dotata di un intuito e di un’intelligenza fuori dal comune e lui non aveva esitato a servirsi del suo aiuto per superare i momenti più difficili della sua travagliata carriera scolastica. Laura, dal canto suo, si sentiva al sicuro accanto a quel ragazzo così forte e deciso e concedeva volentieri il suo aiuto in cambio della sua amicizia e della sua protezione. Erano in simbiosi: lei un colorato pesce pagliaccio e lui un protettivo e urticante anemone di mare. La loro iniziale amicizia d’interesse si era piano piano trasformata in un amore completo e appassionato che li aveva uniti altre tutto e tutti. “The body and the mind”, così li chiamavano i loro amici, quasi gelosi della loro speciale e perfetta unione. «Proviamo a cercare quella parola su internet, magari troviamo qualcosa!» propose Paul. «Ottima idea.» Corsero in studio, lei in calzini di lana ciabattando con il cofanetto in mano, lui scalzo, a balzelloni, sul pavimento freddo. Accesero il computer, si collegarono a internet e digitarono “ULXONC” su google. Pochi secondi d’attesa, poi la malinconica risposta “la ricerca di – ULXONC – non ha prodotto risultati in nessun documento”. Si guardarono un po’ delusi. «Proviamo a cercare anche ULXOAC, non si sa mai.» Inserirono nella casella di ricerca la nuova parola, ma la fredda risposta del mezzo tecnologico fu la stessa. «Era prevedibile che non avremmo trovato niente. Noi dobbiamo cercare dei numeri, non una parola.» Rimasero pensierosi davanti alla tastiera, senza sapere cosa scrivere per cercare aiuto nella rete. «Aspetta, forse ho la soluzione!» esclamò Laura pochi secondi dopo. «Forse è solo un trucco. Fammi provare una cosa.» Laura scrisse, numerando le lettere, tutto l’alfabeto inglese. A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26


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«La U è la ventunesima lettera: ventuno, 2 e 1 che sommati fanno 3, quindi sulla prima ruota va il 3.» «Ma come fai a pensare a queste soluzioni? Io non ci sarei mai arrivato.» «Zitto! Non sappiamo ancora se funzionerà.» «Io me lo sento. Vedrai che si apre.» «Allora» disse lei tornando a concentrarsi «il primo numero è un 3. La seconda è una L, dodicesima lettera. Dodici, quindi 1 e 2 che sommati fanno ancora 3.» «Ma perché, secondo te, non ha usato ancora la U? Dopotutto il risultato è sempre 3.» «Per mischiare le carte in tavola, è ovvio. Sarebbe stato troppo facile, a lettera uguale numero uguale. Per rendere inaccessibile il codice era necessario usare lettere e combinazioni diverse. Vedi l’ultima lettera? È la C, e dà ancora 3.» «Hai ragione, sarebbe stato troppo semplice.» Lei riprese a segnare i numeri e così le sei lettere formarono la combinazione 3-3-6-6-5-3. Laura prese il cofanetto, in un silenzio rotto solo dal fastidioso sottofondo delle ventole che giravano nel PC, e compose il numero sulle sei ruote dentate. 3 3 6 6 5 3. Non successe niente. Si guardarono sorpresi. «Merda!» esclamò Paul. «Aspetta, riprovo. Il meccanismo è molto vecchio, forse è arrugginito.» Riprovò; 3 3 6 6 5 3. Niente da fare. «Forse hai messo la scatola a rovescio, prova a comporre il numero partendo dal basso.» Laura eseguì. Nessun risultato. Si guardarono sconsolati. «E adesso, cosa facciamo?» chiese Paul. «Proviamo a ricalcolare la combinazione mettendo la A al posto della N, non si sa mai. Fece i dovuti calcoli e ne uscì la nuova combinazione: 3-3-6-6-1-3. Provarono i nuovi numeri, stesso risultato e stessa espressione delusa sui loro volti. «Ci sarebbe anche un’altra possibilità.» disse Laura. «La U è la ventunesima lettera dell’alfabeto, quindi sulla prima ruota bisogna contare fino a ventuno, quindi 1.»


14 Paul la guardava, non capiva il ragionamento, ma aveva fiducia nel suo angelo. «La L» continuò Laura «è la dodicesima lettera, quindi contando dodici la ruota si ferma sul 2. Poi» disse facendo velocemente i calcoli a mente «abbiamo un 4, un 5, un altro 4 e un 3. La combinazione è dunque 1 - 2 4 – 5 – 4 – 3.» Compose il nuovo numero sulle sei ruote, ma non successe niente. «Aspetta, mi è venuta un’idea.» disse allora Paul. «Dammi il cofanetto!» Laura glielo passò titubante. Paul lo depose a terra e poi cominciò a guardarsi intorno per cercare un corpo contundente adatto allo scopo. Laura lo guardava aggirarsi per la stanza senza capire quali fossero le sue intenzioni, quando però lo vide avvicinarsi al cofanetto e alzare la gamba per assestargli un poderoso e definitivo colpo con il calcagno, si alzò di corsa dalla sedia e riuscì appena in tempo a chinarsi e a salvare il suo prezioso oggetto. «Che cosa fai? Sei pazzo!» gli gridò proteggendo lo scrigno. «Come cosa faccio? Lo apro!» «Sei sempre il solito, pronto a usare la forza e la violenza per ottenere i tuoi scopi. Sei un barbaro! Dentro ci potrebbe essere qualcosa di fragile.» «Che cosa vuoi che ci sia di fragile lì dentro? Se tutto va bene ci sarà un vecchio orologio o un rasoio da barba.» «Non importa, non voglio che rompi la scatola.» disse cominciando a spingerlo verso la porta. «Se tu non hai pazienza ci penso io a trovare la soluzione.» Paul sorrideva e indietreggiava piano, fingendo di opporsi alla spinta, come se la debole forza di lei fosse sufficiente a vincere la sua resistenza. Si lasciò cacciare fuori dalla stanza e appena ebbe superato l’uscio, Laura si chiuse dentro a chiave. Era contento di vederla così attiva e interessata a quella nuova sfida. Perlomeno quella sera non sarebbe rimasta distesa sul divano e guardare la TV, cadendo vinta dal sonno e dalla sua patologica stanchezza dopo pochi minuti. Raggiunse il salotto, si distese sul divano, nel posto solitamente occupato da sua moglie, e si godette in santa pace una rilassante partita di tennis sul canale sportivo.


15 Dopo più di due ore di inutili tentativi, Laura lo raggiunse. La sentì arrivare, ciabattava piano, senza energia. Sicuramente non aveva risolto l’enigma. «Ho pensato che domani mattina verrò anch’io a Newell.» disse intrufolandosi tra lui e lo schienale del divano, riappropriandosi del suo posto e costringendolo a mettersi seduto. Paul la guardò sorpreso. Era un grande progresso per lei che non usciva di casa di domenica da lunghissimo tempo. «Come mai hai cambiato idea? Non hai più paura della “casa dell’impiccato”?» «Voglio andare a vedere le date di nascita e di morte del dottore e di sua moglie. Ho pensato che sei numeri si adattano bene a descrivere una data. Tu per esempio sei nato il 12 03 73.» «È vero! Potrebbe essere una data, magari quella del giorno in cui ha deciso di suicidarsi.» «Esatto, potrebbe essere proprio questa la soluzione. Comunque lo scopriremo domani mattina. Adesso non ci voglio più pensare, sono stanchissima. Andiamo a letto?» «Va bene, vado in bagno io per primo.» disse Paul alzandosi dal divano. Quando rientrò in salotto, in pigiama, la trovò addormentata sul divano, in posizione fetale, sotto la sua copertina. La prese in braccio quasi senza sforzo e la portò a letto. La adagiò sopra il lenzuolo, con i calzini ancora ai piedi e la camicetta addosso. Guardò l’ora, quasi mezzanotte, un record per Laura. Si sdraiò accanto a lei e pensò: “Sono contento! La vecchia villa del dottor Lawrence comincia già a dare i suoi primi frutti.”


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CAPITOLO 3

Laura riposò male quella notte. Verso le quattro, scossa da un sogno che non riuscì poi a ricordare, si svegliò di soprassalto, ansante e spaventata. Guardò Paul che dormiva sereno, indecisa se svegliarlo. Si alzò, uscì tentoni dalla stanza da letto buia, richiuse la porta alle sue spalle e accese le luci del piccolo corridoio; voleva raggiungere la cucina. Camminò veloce, accendendo tutte le luci che trovò nel suo breve percorso, illuminando a giorno il piccolo appartamento. Riuscì a raggiungere la cucina. Era fiera di se stessa. Non si sentiva a suo agio, com’era prevedibile visto che era notte e il suo protettore dormiva, ma era lì, da sola e fuori era buio pesto. Si versò un bicchiere di latte freddo e guardò la sua immagine riflessa sul vetro della finestra, rendendosi conto solo allora del suo abbigliamento. La sera prima neanche si era spogliata per andare a letto e indossava ancora i calzini di lana e la camicetta. Rinfrancata dalla fresca bevanda, ritornò sui suoi passi. Non ebbe il coraggio di spegnere tutte le luci a mano a mano che ritornava verso la camera da letto. Gli ultimi metri che la dividevano da Paul li fece di corsa. Si mise sotto le coperte rannicchiandosi in posizione fetale, tolse e lanciò i calzini, poi sorrise, mentre un brivido la faceva tremare. Dopo un po’ si rilassò, si distese a pancia in su e rimase con gli occhi aperti, la mente vuota, a guardare la flebile luce del lampione sulla strada che si divincolava tra le fessure della persiana. Solo verso mattina riuscì a riaddormentarsi, trovando un po’ di ristoro. «Su, svegliati!» disse Paul scuotendola appena. «Sono quasi le otto, dobbiamo andare.» Sentirsi svegliare all’alba, dopo una tale nottata, non fu certo un piacere per Laura. Si mise seduta sul letto, si sfregò gli occhi per riprendersi e poi abbassò lo sguardo sulla sua bella camicetta irrimediabilmente stropicciata. Si lasciò cadere di nuovo sul morbido materasso; si sentiva più stanca di quando si era coricata la sera precedente. «Tieni, ti ho preparato il caffè.» disse Paul porgendole la tazzina. «Sai, ho fatto dei brutti sogni stanotte. Mi sono svegliata alle quattro e sono andata a prendermi da bere in cucina, da sola. Non ti ho neanche


17 svegliato!» per lei quella piccola cosa rappresentava quasi un evento: aveva affrontato una delle sue tante paure ed era tornata vincitrice. «Brava, adesso sbrigati che è tardi.» la liquidò Paul senza capire quanto quella piccola conquista significasse per lei. Laura obbedì, si rimise a sedere e sorseggiò il bollente liquido nero. «Stavo pensando a una cosa.» disse con la bocca ancora impastata nonostante il caffè. «I Lawrence sono morti più di settanta anni fa, credi che troveremo ancora le tombe? So che nei cimiteri i corpi vengono tolti dopo un certo numero di anni.» «Non lo so. Comunque andare a vedere non costa niente e poi ci sono sempre gli archivi del comune.» «Pensi siano aperti di domenica?» «Il cimitero sì! Be’, allora? Cos’hai intenzione di fare? Vieni o no?» «Vengo, vengo.» disse alzandosi e dirigendosi verso il bagno. «Ma cosa ci andiamo a fare in villa di domenica? Non mi dirai che ci sono gli operai anche oggi!» «Certo che no, ma devo falciare l’erba e bruciare le sterpaglie. Con il tuo aiuto ce la dovrei fare in un paio d’ore.» Laura fu tentata di rimanere a casa, ma l’infinita curiosità la spinse ad affrontare il viaggio. Partirono mezz’ora dopo. Laura durante tutto il tragitto non disse una parola, impegnata com’era a cercare nuove combinazioni da provare. Paul, scocciato da quel comportamento, sbottò: «Se avessi saputo fino a che punto ti avrebbe coinvolta questa specie di caccia al tesoro avrei lasciato rompere la scatola agli operai!» «Che fastidio ti dà se io continuo a provare?» «Non hai detto neanche una parola durante tutto il viaggio, sempre lì a girare quelle sei ruote dentate. Tanto valeva che fossi rimasta a casa.» Laura appoggiò il cofanetto sul sedile posteriore e poi disse: «Va bene. Dai, parliamo, chiacchierone.» Paul la guardò seccato. «Allora, mi parli o no?» chiese Laura. «Non fare la stupida, altrimenti fermo la macchina e ti faccio ritornare a casa a piedi.» Laura sapeva di non dover sottovalutare quelle minacce. Paul era la persona più dolce e comprensiva di questo mondo, ma se qualcuno tentava di prenderlo in giro diventava una vera furia. Una volta, sul campo da


18 rugby, un avversario mingherlino era riuscito a beffarlo un paio di volte in velocità, continuando poi a sfotterlo per l’intera partita chiamandolo pachiderma e lumaca. Paul non aveva reagito verbalmente, ma aveva seguito il suo avversario e alla prima occasione lo aveva placcato duro all’altezza del collo. Il malcapitato era stato portato fuori dal campo in barella e con due denti in meno. «Ma come?» riprese a dire Laura sfidando la sorte. «Prima ti disturbava che io giocherellassi con la scatola perché volevi parlarmi e adesso che l’ho riposta non hai niente da dirmi?» «Io volevo solo che tu la smettessi di occuparti sempre e solo di quell’aggeggio e tornassi tra noi poveri mortali.» «Ecco, adesso ci sono!» esclamò con un sorrisino ironico. «Parliamo del tempo, allora, ti va? Oh, che bella giornata. Lei che ne pensa signor Paul Simmons? Arriveranno le rondini quest’anno? E le cicogne? E le sue rose crescono bene?» Paul fermò l’auto di colpo. Laura si ritrasse, quasi si aspettasse di essere colpita, certa di avere esagerato: «Cos’hai intenzione di fare? Guarda che io non scendo!» disse memore delle minacce precedenti. «E invece tu scendi, te lo dico io.» disse spegnendo il motore e aprendo la portiera. «Neanche morta, e smettila di fare lo stupido!» «Te lo dico io che scendi.» ribatté lui girando attorno all’auto e avvicinandosi alla sua portiera. Laura abbassò la sicura e si chiuse all’interno. Paul la guardava ridacchiando. «Siamo arrivati, stupida!» Guardò fuori dal finestrino. Un muro, fregiato di simboli religiosi, delimitava una zona abbastanza ampia, accessibile solo attraverso un cancello in ferro battuto che portava al centro una grande croce tagliata in due metà simmetriche sui due battenti. Sembrava chiuso. Paul si avvicinò, provò a spingere uno dei battenti che si aprì cigolando. «È aperto, vieni!» le urlò. Lei scese un po’ titubante: quel posto la inquietava. Dopo che quella maledetta casa era entrata nella sua vita tutto le sembrava celare forze ostili e sconosciute e questa nuova paura non migliorava di certo il suo stato fisico e mentale. Raggiunse il marito di corsa e si strinse a lui. «Cosa c’è adesso?» le chiese.


19 «Niente, ma tienimi vicino.» «Strano che non ci sia nessuno.» disse Paul facendo qualche passo all’interno del cimitero. «Forse è troppo presto.» «Ma oggi è domenica. Dovrebbe esserci parecchia gente.» «Be’ meglio così. Non mi va che ci vedano sbirciare tra le tombe.» «Allora sbrighiamoci. Non voglio restare un secondo più del necessario in questo posto.» Cominciarono a girovagare all’interno del cimitero osservando con cura le lapidi. Le date di morte di alcuni defunti, spirati più di cento anni addietro, diedero loro speranza di ritrovare anche la tomba del dottor Lawrence. «È meglio se ci dividiamo, sarà più facile trovarla.» propose lui. «Cosa? Tu stai scherzando, vero?» disse stringendosi ancora di più al suo braccio. «Io non mi stacco da te!» Laura gli si appiccicò al punto che Paul era quasi costretto a trascinarla per avanzare. «Almeno lasciami respirare!» protestò. «Non riesco neanche a camminare.» «Allora tu smetti di fare proposte stupide! Sai che ho paura.» «Di tutto, purtroppo.» aggiunse sottovoce, senza riuscire a celarle il suo pensiero. Laura si staccò da lui, in un impeto d’orgoglio e, vincendo la paura si allontanò, seppur di poco. Continuarono a vagare tra le lapidi, lui davanti e lei subito dietro, e notarono, in una zona appartata, delle tombe di famiglia costruite come piccole chiesette. Si avviarono decisi verso quelle minute costruzioni. Giunti davanti a quelle tombe non ebbero nessuna difficoltà a individuare, appartata in un angolo buio e seminascosta dagli alberi, quella della famiglia Lawrence. Era la più grande e la più malridotta. Una delle lettere d’oro che formavano il nome, la R, si era staccata dal frontone e giaceva dimenticata in mezzo all’erba. Nessuna luce rischiarava l’interno della piccola costruzione. Le altre tombe di famiglia, curate e tenute in maniera perfetta, avevano dei lumini elettrici che rischiaravano le lapidi. Sembrava che lì, nella tomba dei Lawrence, la corrente elettrica non fosse mai arrivata; era troppo lontana, troppo isolata e troppo vecchia per poter usufruire di quella innovazione tecnologia. Quell’angolo del cimitero era rimasto lo stesso, dagli anni trenta.


20 I due si accostarono e ne osservarono con attenzione l’interno: niente era distinguibile in quell’oscurità. Paul provò a scuotere il portoncino di ferro battuto, chiuso con una catena bloccata da un lucchetto, che vibrò traballando sui cardini. «Se tiro con forza rischio di romperlo. È tutto arrugginito.» constatò. Poi si abbassò, prese le due metà del cancello e le divaricò creando un piccolo pertugio. «Se vuoi ci passi.» disse a Laura. «Cosa? Io dovrei entrare là dentro? Da sola?» Sarebbe bastata l’espressione apparsa sul suo viso, a metà tra lo schifo e l’incredulità, per far desistere chiunque dal continuare a insistere, ma Paul aveva una freccia al suo arco: l’innata curiosità di sua moglie. E la usò. «Vuoi scoprire la combinazione del cofanetto, sì o no? Se non te la senti non fa niente, c’è sempre il mio metodo.» disse minando l’atto di colpire con un martello. «Ma non si vede niente là dentro.» disse lamentosa come un bambino che ha paura del buio e vuole essere addormentato dalla mamma. «Non devi aver paura, cosa mai potrebbe succederti? Non c’è nessuno nei dintorni e se ci fossero dei problemi ci sono io qui, pronto ad aiutarti.» Laura ci pensò alcuni momenti, poi trasse un profondo respiro e lasciò che la sua innata curiosità avesse il sopravvento. «Va bene, entro!» Laura si appiattì a terra e strisciando si intrufolò dentro l’ultima dimora della famiglia Lawrence. La luce che filtrava dal portone era appena sufficiente per intravedere le scritte sulle lapidi. Diede un’occhiata in giro. «Ci sono cinque tombe. Una sembra vuota, ma le altre portano date e nomi. Dovremo prendere nota di tutte.» «Va bene, le salvo nella memoria del cellulare. Allora: Menù, rubrica, contatti, nuovo contatto.» disse premendo i pulsanti. «Sono pronto, detta pure.» «Dottor Arthur Ashley Lawrence, nato il 14 maggio 1868 e morto il 23 maggio del 1932.» «Va bene, ho scritto. Aspetta un attimo, creo una nuova voce in rubrica.» «Vado?» «Sì, vai pure.»


21 «Signora Sarah Ferdinand in Lawrence, nata il 24 settembre 1872 e morta il 28 ottobre del 1931. Poi c’è il signor Leonard Collins, nato il 04 dicembre del 1874 e morto il 15 dicembre 1930. E infine la signora Emma Graves in Collins, nata il 28 agosto 1875 e morta il 14 giugno 1931. Hai scritto tutto?» «Sì.» «Allora aiutami a uscire, non voglio restare qui dentro un minuto di più.» Paul forzò il cancello e Laura ritornò all’esterno. «Andiamocene via. Questo posto mi mette i brividi.» Fecero alcuni passi in direzione dell’uscita mentre, quasi d’incanto, quel posto cominciava ad animarsi. Come sbucate dal nulla, molte persone adesso girovagavano lente tra le tombe nella domenicale visita ai parenti scomparsi. Laura si girò a guardare per un’ultima volta la tomba dei Lawrence e notò un vecchio alto e magro in piedi davanti alla chiesetta. Era vestito in maniera strana, antica, con una giacca nera e una camicia bianca; sembrava avere cent’anni. Lo riconobbe: era lo stesso vecchietto che aveva visto dirigersi in calesse verso la villa. Lui la guardò e le sorrise. Spaventatissima, Laura cominciò a correre verso l’uscita. Paul, sorpreso da quell’inconsueto comportamento, si girò verso la chiesetta dei Lawrence per capire cosa avesse spaventato sua moglie. Non vide nessuno, così di corsa la seguì raggiungendola all’uscita. «Cosa ti è preso? Perché sei scappata in quel modo?» Laura, ansimante, rispose a fatica: «Credo di aver visto un fantasma! C’era un anziano magrissimo e smunto davanti alla tomba del dottore.» «Un fantasma?» disse sorpreso. «Be’, pensandoci, non c’è posto migliore per vederne uno.» «Era lo stesso vecchio che abbiamo incontrato lungo la strada che porta alla villa, il primo giorno che siamo venuti qua.» «Un vecchio? Lungo la strada che porta alla villa? Io non ricordo di aver visto nessuno.» «Ma dai, quello in calesse! Non puoi non averlo notato.» «Sono sicuro di non aver visto nessuno lungo la strada.» «Come fai a non ricordarlo? Quell’anziano magro, con i capelli bianchi e ispidi? Ci ha anche salutato.» Paul rimase pensieroso alcuni secondi, cercando di ricordare, poi scosse la testa.


22 «Io non ho visto nessuno. Comunque non ci vedo niente di preoccupante in un vecchietto che si fa una passeggiata in calesse e che oggi, dopo aver partecipato alla messa, viene a farsi un giro al cimitero. Non è che ti stai sbagliando? Che ti stai preoccupando per niente?» «No, non mi sto sbagliando, sono sicura che fosse un fantasma.» «Come fai a dirlo?» «Lo so, me lo sento. E poi quel vestito così antiquato, così … passato.» «Magari è solo un poveretto che non ha i soldi per comprarsi una macchina e un vestito decente. Cosa stava facendo davanti alla tomba dei Lawrence?» «Niente. Mi guardava e sorrideva.» «Allora hai ragione: un vecchietto che sorride è una vera minaccia. Dovremo avvertire le autorità.» disse sogghignando. «Sei proprio stupido! Ho paura, lo vuoi capire?» «Va bene, dai, perdonami, lo sai come sono fatto.» «Sei… un insensibile, ecco casa sei. Non riesci mai a capirmi.» disse mischiando le lacrime a una rabbia che le faceva vibrare le parole in gola. «Sei sempre pronto a prendermi in giro e non ti sforzi mai una volta per cercare di aiutarmi.» «Scusami. Non volevo prenderti in giro, e ormai il vecchio non c’è più. Adesso vogliamo entrare in macchina? Ti prego, dai. Non sei curiosa di provare le combinazioni?» Sbuffò, arrabbiata. Con la manica della maglietta si asciugò una lacrima che le aveva rigato il viso, poi entrò in auto e si mise a comporre le date sul cofanetto. La delusione fu grandissima, per entrambi, quando, inserita anche l’ultima combinazione, la serratura non si aprì. «Appena arriviamo in villa, ti faccio vedere io quanto ci metto ad aprirlo.» disse Paul mettendo in moto. «Neanche per sogno. Tu non lo tocchi!» rispose Laura stringendo il cofanetto al petto. «Mi hai già fatto abbastanza del male per oggi.» Paul si trattenne dal ribattere a quell’ingiusta accusa e partì verso Lawrence’s House. «Certo che deve essere successo qualcosa di tremendo in quella casa.» disse Laura poco dopo. «Hai visto le date? La signora Collins e i signori Lawrence sono morti tutti e tre nel giro di pochi mesi.» «Magari è stata solo una coincidenza.»


23 «Certo che adesso sono più comprensibili le voci che girano su quella casa. Tutti resterebbero scioccati nel vedere un’intera famiglia andarsene in così breve tempo.» «E magari sono morti anche tutti in maniera violenta. Il dottore, per esempio, sappiamo che si è impiccato. Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto gli altri. E poi, chi saranno mai stati Emma e Leonard Collins?» «Non ne ho la più pallida idea. Comunque, quella casa m’incute terrore.» disse Laura. «Vedrai che, appena arriveremo, cambierai idea.» E Paul aveva ragione. Quando giunsero alla villa Laura rimase meravigliata dai cambiamenti che vi erano stati apportati. Adesso quella casa, sperduta nel verde della pianura del Devonshire, sembrava uscita da una cartolina. Il prato risistemato, le eleganti rifiniture, il giallo allegro con cui era stata ridipinta che così bene s’intonava con il rosso vivo dei balconi, tutto contribuiva a farla sembrare una dimora ideale. «Allora, cosa te ne pare?» chiese appena sceso. «Ti piace il colore che ho scelto?» «Sono senza parole, è meravigliosa. Secondo me il giallo un po’ troppo carico, troppo vivo, ma per il resto sembra una casa delle bambole.» «E non hai visto l’interno. Vieni!» disse prendendola per mano. I lavori non erano terminati, ma la possibilità di entrare in quello che era apparso ai suoi occhi solo come un vecchio rudere e di accendere la luce con un semplice “click” le fece scomparire la tensione e la paura. «Hai tenuto i vasi!» disse notandoli ancora al loro posto, ai lati del primo scalino della grande scala. «Sì, mi dispiaceva buttarli. Sono stati scavati all’interno di un unico masso di pietra.» disse avvicinandosi ai due manufatti. «Sono magnifici! Adesso non ci resta che riempirli di terra, così ci potrai piantare tutto quello che vuoi.» «Volevo chiederti una cosa.» disse lei interrompendolo. «Mi fai vedere dove avete trovato il cofanetto?» «Certo, vieni. Era nascosto nella camera matrimoniale.» Paul fece strada e salì le scale fino a raggiungere la stanza da letto dei signori Lawrence. Appena entrato indicò un punto sul pavimento: «Ecco, era lì sotto. Adesso le assi sono state sostituite, ma la posizione era circa quella.»


24 Laura osservò con attenzione l’ampia stanza e il maestoso letto a baldacchino. «Quel letto…» disse indicandolo «è quello dei signori Lawrence?» «Sì, penso di sì. L’ho fatto riportare qui dopo aver sostituito il pavimento. È molto ingombrante e non sapevo proprio dove metterlo. Dovrebbe passare un antiquario a prenderlo nei prossimi giorni.» «Perché lo vuoi dare via? È così bello, così… barocco. Mi piacerebbe tenerlo. È ancora in ottimo stato, basterà portarlo da un restauratore e farlo sistemare.» «Va bene, allora lo terremo, qualsiasi cosa per il mio angelo. Ti farò dare un’occhiata anche alle altre cose che abbiamo trovato. Le ho fatte accatastare nella vecchia cantina.» «E queste tende?» disse avvicinandosi alla finestra. «Sono bellissime.» «Le abbiamo trovate in un armadio. Gli operai le hanno montate per proteggersi dal sole mentre posavano i pavimenti.» Laura si avvicinò alla finestra, toccò la tenda in pesante broccato e la scostò per guardare fuori. Sulla strada sterrata vide un calesse allontanarsi a tutta velocità, alzando una nuvola di polvere. Il conducente tirò le redini fermando il cavallo e si voltò verso la casa. Era lo stesso vecchietto. Si guardarono per un istante che le sembrò eterno. Laura portò una mano alla bocca trattenendo un’esclamazione di sorpresa, poi si girò verso suo marito gridando: «Presto, Paul, vieni! C’è il solito vecchio con il calesse. Vieni, presto!» Il suo compagno la raggiunse alla finestra e guardò fuori: non vide niente. Anche Laura osservò la strada: deserta. Paul non disse una parola, abbassò lo sguardo e si allontanò. Laura era basita. «Eppure c’era! Te lo assicuro. Era sul calesse e si stava allontanando verso il paese.» «E adesso dov’è?» domanda ovvia, ma brutale per le implicazioni che comportava. «Non lo so, però ti giuro che c’era.» «Possibile che lo vedi solo tu questo vecchietto? Tu credi di vederlo, ma in realtà lui non esiste. Sono allucinazioni.» disse scandendo le parole. Laura lo guardò, cercando comprensione nel suo sguardo. Sentiva una strana angoscia crescerle dentro.


25 «Forse mi sto ammalando.» disse, terrorizzata all’idea di perdere il senno. «Forse sto impazzendo. È questo posto, ne sono sicura! Tutto è cominciato dopo che abbiamo comprato questa casa.» «Dai, non è niente.» rispose abbracciandola per darle conforto; tremava. «Sei solo un po’ stanca e il tuo sistema nervoso ti fa dei brutti scherzi. Vedrai che tutto si risolverà. Devi solo smettere di pensare a questa storia della maledizione e goderti questa villa meravigliosa.» «Va bene.» disse in un sospiro, lo sguardo perso all’infinito. «Cercherò di non pensarci.» Paul, preoccupato, la scostò un po’ da sé per meglio vederla in viso. Adesso sorrideva. Sembrava ritornata la Laura di sempre. «Ecco, brava, vedrai che non è niente. Questa è una casa e basta.» «D’accordo.» Si avvinghiò a lui, sfiorandogli le labbra con un bacio leggero. «È stato solo un momento.» Fecero abbracciati il giro di tutte le stanze. Laura ebbe parole di elogio per il lavoro che era stato compiuto, poi, immemore delle sue paure, aiutò suo marito in giardino, curando le sue rose e raccogliendo l’erba tagliata di fresco. Passò una giornata splendida, accarezzata da un tiepido sole, smorzato solo dal rincorrersi di piccole nubi passeggere. “Non può nascondersi niente di tremendo in un posto tanto meraviglioso.” pensò. Guardando suo marito lavorare felice si convinse che le sue paure erano immotivate e decise così che avrebbe assaporato anche lei la serenità e la pace di quell’angolo di paradiso.


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CAPITOLO 4

Laura aveva passato tutte le serate di quell’interminabile settimana lavorativa provando e riprovando combinazioni sempre diverse. Aveva annotato su un libro tutte le prove che aveva effettuato e partendo dalla più semplice combinazione di cifre: 0; 0; 0; 0; 0; 0; aveva continuato con ordine aggiungendo un numero alla volta. Era ormai arrivata a 0; 0; 8; 9; 5; 0. senza ottenere alcun risultato. Quella domenica mattina si stava preparando per andare a Newell assieme a Paul: doveva aiutarlo a ripulire la vecchia cantina. Erano ormai pronti a scendere e, come al solito, lei era in ritardo. Paul, appoggiato allo stipite della porta aperta, giocherellava con le chiavi passandosele da una mano all’altra. «Tu scendi intanto. Mi metto i pantaloni e arrivo.» urlò Laura dal bagno. «Preferisco aspettarti qui, così ti controllo. Se scendo, di sicuro ci metti almeno un’altra ora.» «Sono pronta! Vai ad accendere la macchina, mi scoccia saperti lì sulla porta.» «No, resto.» «Cristo, fidati almeno una volta!» disse Laura sporgendo con la testa dal bagno. «M’innervosisce saperti lì, con quella faccia.» Paul la accontentò. Continuare quella discussione avrebbe comportato un’ulteriore, inutile, perdita di tempo. Scese le scale, salì in auto e si portò di fronte all’uscita, dalla parte opposta della strada. Laura scese una decina di minuti dopo, di corsa. Sul portone d’entrata quasi inciampò in due bambini del condominio che stavano giocando a tris su un foglio di carta. «Ciao, piccoli, cosa ci fate qui?» chiese. «Aspettiamo che la mamma scenda per andare a messa.» «Che bravi bambini.» disse accarezzandoli sulla testa. «Che gioco è?» «Stiamo giocando a tris. Vince chi per primo riesce a mettere tre segni in fila.» I bambini le fecero vedere in cosa consisteva il gioco. «Mi fate provare?» chiese abbassandosi per vedere meglio.


27 Paul, che la stava aspettando in auto con il motore acceso, vedendola ferma a chiacchierare suonò il clacson per richiamare la sua attenzione. «Devo andare, sarà per la prossima volta.» disse rivolta ai bambini e ad ampie falcate raggiunse la vettura. Salì, e sbatté con violenza lo sportello dell’auto, poi si rivolse a Paul: «Non c’è niente di più fastidioso che sentirsi strombazzare dietro.» disse a denti stretti, gesticolando per dare maggior forza alle sue parole. «Ti avrò detto mille volte di non farlo e tu continui!» disse lanciando la piccola borsa sul sedile posteriore. “Ecco, rovinata la giornata.” pensò lui. Di solito, quando avevano un diverbio, Laura restava a muso duro per molte ore, senza dire nemmeno una parola. Anche in quell’occasione non si smentì e rimase in silenzio, imbronciata, per tutto il viaggio. Appena giunti nella nuova casa la situazione si stemperò e l’immergersi nel verde chiaro di quell’invitante erba fresca li mise di buon umore. Ricominciarono a parlare e a scherzare; tutto era stato spazzato via dalla bella e rilassante campagna del Devonshire. «È meglio se metti anche tu la tuta e i guanti.» le disse Paul. «In cantina è pieno di ragnatele e potrebbero esserci anche dei topi.» «Dei topi?» «Non ne ho ancora visti, però potrebbero esserci.» «Tu sei matto!» disse appoggiando i guanti. «Io non ci entro in quel posto.» Si avvicinò a piccoli passi a quell’antro buio, sbirciò all’interno e, percorsa da un brivido, indietreggiò. «Che schifo!» esclamò. Poi, zompettando, raggiunse il portico e si sedette a gambe incrociate. Il segnale era chiaro, non sarebbe entrata in cantina neanche morta. Paul si rimboccò le maniche ed entrò da solo. Gli operai, durante i lavori di ristrutturazione, vi avevano accatastato tutti gli oggetti che avevano trovato nella villa. Dentro c’era di tutto: candelabri, mobili e ogni genere di suppellettili. Quella mattina dovevano portare fuori tutto e decidere cosa tenere e cosa, al contrario, eliminare. «Non si vede proprio niente lì dentro!» disse Paul uscendo pieno di ragnatele. «E tu, pazzo, volevi che ci entrassi io!» «Aspetta. Mi è venuta un’idea.» Corse a prendere l’auto e la portò davanti alla porta, accese i fanali e li puntò all’interno della cantina.


28 «Ecco fatto. Adesso ci vediamo benissimo.» Laura, curiosa, si avvicinò e guardò dentro. Adesso, così illuminata, quella cantina le incuteva meno terrore e di topi non ve n’era nemmeno l’ombra. Suo marito entrò deciso, lei, messi i guanti, fece qualche passo fino a portarsi all’entrata della cantina. «Ok, ti aiuto.» gli disse. «Resta lì sulla porta se non vuoi entrare. Ti passo la roba e tu la metti al centro del cortile.» Lavorarono di gran lena. In meno di un paio d’ore la cantina era sgombra. Accatastato il tutto in giardino, cominciarono a svolgere la parte più interessante del lavoro: la cernita. Rovistando tra gli oggetti trovarono interi servizi di piatti e bicchieri ancora in ottimo stato, quadri, tappeti, posate, una canna da pesca in bambù e quant’altro aveva fatto parte della vita dei Lawrence. A mezzogiorno, dopo aver ormai diviso il materiale, si presero una pausa. Avevano portato da casa del pane e dell’affettato e messo della birra a rinfrescare all’interno del pozzo, legandola con una cordicella. Salirono sulla vicina collinetta, distesero una coperta e si sedettero, stanchi ma appagati, sotto a un grande ciliegio. Laura, con somma sorpresa di Paul, si preparò un panino e lo mangiò tutto in pochi minuti. Per una volta non era stato costretto a insistere fino alla noia per riuscire a farle mangiare qualcosa. Gli sembrava un sogno. La guardò. La sua ragazza era seduta su quella coperta, sudata e con le guance rosse, e i suoi occhi sorridevano di nuovo. «Acquistare questa casa è stata la cosa migliore che potessimo fare.» «È vero. Quando sono qui, mi sento rinascere.» rispose lei. Lui la abbracciò forte e la baciò. «Facciamo l’amore?» «Qui?» chiese lei. «Certo, siamo a casa nostra e prima o poi dovremo inaugurare la nuova villa.» «E se passa qualcuno?» «E chi mai dovrebbe passare? Questo posto è deserto! E poi non abbiamo mai fatto l’amore sull’erba, dev’essere meraviglioso.» Si amarono, distesi sulla soffice erba della loro collina. Restarono accovacciati sotto il caldo sole del mezzogiorno fino a quando le ombre, al-


29 lungandosi, cominciarono a scandire il lento incedere del tempo che passava. «È meglio che io ritorni al lavoro.» disse Paul. «Tu resta qui, rilassati e prendi un po’ di sole.» «No, aspetta.» disse mettendosi seduta. «Non voglio restare qui da sola. Ti vengo ad aiutare.» «Non serve, ci metterò al massimo un‘oretta.» «No, no, non ci sto qui da sola!» disse alzandosi e cominciando a raccogliere il cibo avanzato. «Vengo con te.» Ritornarono alla villa e portarono dentro in breve tempo quello che avevano deciso di tenere, ricoprendo poi il materiale scartato con un telo di plastica. «Angelo mio, ti posso fare una proposta?» Annuì. «Hai visto quella canna da pesca? Sembra ancora in buono stato. È ancora presto e non mi va di ritornare subito a Exeter. Cosa ne dici, andiamo a pescare un po’ al fiume?» «Per me va bene. Non ho voglia neanche io di ritornare subito a casa.» Raccolta la vecchia canna del dottore raggiunsero a piedi il fiumiciattolo. Usarono della mollica di pane come esca da attaccare a quegli ami arrugginiti e provarono a pescare. Laura si distese sull’erba, a fianco del suo Paul, e appoggiò la testa sulle sue gambe. Si addormentò in pochi minuti, vinta dalla stanchezza e dalla ritrovata serenità. Lui rimase lì, immobile, fino a sera inoltrata, nonostante quella scomoda posizione gli facesse dolere ogni muscolo della schiena. Il suo angelo dormiva e lui non voleva svegliarla. “Devo accelerare i tempi e finire in fretta questa casa.” pensava “Laura sta rifiorendo in questa meravigliosa campagna. Devo portarla via dallo stress della città, è quello che l’ha fatta ammalare.” All’improvviso il galleggiante sparì sotto il pelo dell’acqua. Paul se ne accorse, ma non fece alcun movimento. Il pesce doveva essere abbastanza grosso perché, a poco a poco, tirando per liberarsi, trascinò in acqua la leggera canna di bambù. Così quell’oggetto, che era stato del dottor Lawrence, si allontanò ondeggiando seguendo la corrente. Laura si ridestò quasi un’ora dopo, guardò Paul e subito gli chiese: «Abbiamo preso qualcosa?» «A dire la verità ho anche perso la canna.»


30 «Come? Il mio Capitano Achab che si fa rubare la canna da un pesce?» «Ebbene sì.» Laura si alzò, si sedette a cavalcioni su di lui, lo spinse con le spalle a terra e gli diede un bacio. «Va be’, per stavolta ti perdono. Ma che non succeda mai più che il mio campione si fa battere da un pesce. E adesso riportami a casa, ho voglia del mio letto e di te.»


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CAPITOLO 5

«Un’altra settimana spesa per niente a cercare quello stupido codice!» disse Laura ad alta voce entrando in salotto e lasciandosi cadere sul divano. Allungò le gambe e si stiracchiò emettendo un suono simile a un guaito. «A che numero sei arrivata?» «Sono a 0; 1; 3; 4; 5; 0.» rispose coprendosi con la sua copertina. «Be’, sei andata avanti.» «Non ci riuscirò mai! Ho sprecato tutto il mio tempo libero per cercare quella maledetta combinazione e non sono arrivata neanche al due per cento delle possibilità. Adesso basta, sono stanca!» «Prendo il martello?» «Non se ne parla! Devo riuscire a decifrare quella maledetta scritta, me la sogno anche di notte ormai. ULXONC, cosa cavolo vorrà dire!» «Hai già provato di tutto! Forse quella scritta non c’entra niente con la soluzione, magari l’ha messa lì solo per sviarci.» «No, è quella la chiave. Vedrai che, alla fine, quando troveremo la soluzione, ci sentiremo stupidi per non averci pensato subito.» «Domani mattina vieni a Newell?» «Sì, ti accompagno. Almeno distraggo un po’ la mente da quel maledetto enigma.» «Allora è meglio andare a letto. È quasi mezzanotte e domani ci aspetta una dura giornata: dobbiamo pulire tutti i pavimenti.» Laura si alzò dal divano e seguì docile suo marito che si avviava verso la camera da letto. «Sono distrutta.» disse avanzando a fatica trascinando i piedi. Paul si fermò, si abbassò e se la caricò in spalla senza nessuno sforzo. La portò in camera, la appoggiò sul letto e lei subito si mise sotto le coperte rannicchiandosi. Paul si distese accanto a lei, le passò una mano tra i capelli e rimase lì a guardarla. Laura si girò verso di lui e, nella penombra di una piccola luce di cortesia che lei pretendeva rimanesse sempre accesa, incrociò il suo sguardo. «Sai, oggi è successa una cosa bellissima.» disse. «Cosa?» chiese curioso.


32 «Be’, ero al lavoro, al mio posto allo sportello, e di colpo mi sono sentita bagnata.» «E allora?» disse mettendosi seduto. «Ho guardato la mia seggiola e tu non puoi immaginare la sorpresa e l’imbarazzo che ho provato in quel momento; c’era una macchiolina di sangue.» Paul si rabbuiò in viso: non sapeva se doveva preoccuparsi per quello che Laura gli stava raccontando. «Avevo macchiato anche tutti i pantaloni, tu non puoi immaginare quanto mi sono vergognata.» «Va bene» rispose «ti sei vergognata, l’ho capito, ma si può sapere cosa ti è successo?» «Come! Davvero non ci sei arrivato? Le mestruazioni. Mi sono tornate le mestruazioni!» Paul si lasciò cadere di nuovo sul letto. Adesso capiva perché lei gli aveva detto che era una cosa bellissima. Non riusciva a trattenersi dal piangere. Era talmente felice che se non fosse stata mezzanotte e non abitasse in un condominio stipato di vecchi noiosi e sempre pronti a litigare alla minima occasione, si sarebbe messo a urlare fino a rovinarsi le corde vocali. Si rimise seduto e accese la luce per vederla bene in viso. «Ti prego, ripetimi tutto.» «È vero, Paul, ho le mestruazioni. Dopo tutto questo tempo!» Laura soffriva da un paio d’anni di amenorrea, che i medici ritenevano causata dal suo stato psicologico e dalla sua eccessiva magrezza. Erano stati brutali e lapidari nel dire ai due coniugi che prima di pensare a un figlio dovevano risolvere i problemi, a loro detta psichici, di cui soffriva la signora Simmons. «Laura, ma secondo te…» ebbe quasi timore di chiedere. «Secondo me sì, non vedo perché non dovrebbe essere possibile.» «Non ci credo, non ci posso credere!» cominciò a urlare Paul saltando sul letto. «Stai zitto, svegli tutti.» «E chi se ne frega, voglio che lo sappiano tutti. Io ti amo, Laura Simmons, io TI AMOOOO.» urlò con tutto il fiato che aveva in gola. «Vieni giù, stupido!» disse lei prendendolo per i pantaloni del pigiama e facendolo cadere sul letto.


33 Paul la strinse tra le braccia e cominciò a baciarla dappertutto, naso e orecchie comprese, e continuò fino a quando lei non lo spinse da parte nascondendosi sotto le coperte. «Ho anche un’altra cosa da dirti.» «Dimmi pure, sono disposto a tutto. Non mi arrabbio neanche se mi dici che hai rigato la carrozzeria della Mercedes.» «Mi sono pesata quando sono tornata dal lavoro: sono aumentata di oltre un chilo.» «Certo, cosa ti aspettavi? È l’aria di campagna. Non vedi che stai migliorando a vista d’occhio? Altro che casa maledetta, quella è una casa benedetta.» Laura lo abbracciò e gli diede un bacio. «Sei fortunato che stasera ho le mestruazioni altrimenti ti chiederei di fare gli straordinari.» «E io li farei più che volentieri. Anzi, no, non li farei. Devo tenere le mie cartucce per il periodo giusto, non voglio sparare a vuoto.» Rimasero lì abbracciati a lungo, fantasticando e immaginando quella vita, non più da soli, che fino ad allora era stata loro preclusa. Laura si addormentò per prima, vinta dalla stanchezza. Paul resistette ancora per molto, assaporando in anticipo, a occhi aperti, quanto di bello il futuro sembrava riservargli. Il giorno dopo fu ridestato dallo squillo del telefono. Si alzò come un automa e, seguendo una memoria ancestrale che gli dettava i movimenti, raggiunse il salotto: «Pronto? Chi parla?» chiese con voce roca. «Michael sei tu?» disse una voce di donna dall’altra parte del filo. «Non c’è nessun Michael qui, signora.» «Oh, mi scusi, ho sbagliato numero.» «Non importa. Buona giornata.» Riattaccò la cornetta in modo violento. «Maledetta rompiscatole.» Si diresse di nuovo verso la camera da letto. Guardò l’orologio in modo quasi automatico: erano le nove e mezza. «Merda! È tardissimo.» Raggiunse di corsa Laura ancora addormentata e cominciò a scuoterla: «Dai, svegliati, è tardissimo!» «Lasciami dormire, ti prego. Sono stanca.» «Lo so che abbiamo fatto le ore piccole ieri sera, ma devi svegliarti.»


34 «Che ore sono?» chiese lei cercando di aprire le palpebre che sembravano incollate. «Sono quasi le dieci.» «Le dieci?» disse cercando di mettersi seduta sul letto. «Non ci credo.» «Guarda tu stessa.» Le porse la sveglia. «Oh, Cristo!» disse lasciandosi cadere di nuovo sul letto. «Adesso mi alzo.» «Ok. Io intanto vado in bagno. Non riaddormentarti, mi raccomando.» «Paul, aspetta un attimo. Vieni qua.» «Dimmi.» «Avvicinati.» Lui si avvicinò e lei ne approfittò per dargli un bacio. «Sei proprio matta.» disse accarezzandola. «Adesso, però, alzati che dobbiamo andare.» Si allontanò verso il bagno. Uscì dopo pochi minuti. Laura, come prevedibile, si era riappisolata sopra le coperte. La svegliò di nuovo e la spinse in bagno costringendola a sbrigarsi. Rimase fuori dalla porta e quando la sentì tirare lo sciacquone bussò. «Che cosa vuoi?» «Volevo sapere se…, insomma, hai ancora le tue cose?» «Certo! Che domande fai?» «Sì!» disse stringendo il pugno e agitandolo in segno di vittoria. «Vado a prepararti il caffè.» Indossarono vestiti comodi, mandarono giù il caffè senza neanche sedersi e scesero le scale, pronti a partire. I due bambini giocavano anche quella mattina a tris, seduti sulla porta del caseggiato. Laura si fermò un attimo con loro mentre Paul andava a prendere l’auto. «Salve, bambini. Allora chi vince?» chiese Laura mentre cercava di passare senza urtarli. «Vinco sempre io.» disse il bambino più grande. «Lui conosce i trucchi.» protestò il piccolo. «Ah, è così. Allora questa volta voglio fare una partita anch’io, vedrai che ti batto. Mi spieghi come si gioca?» Il bambino più grande, allettato dalla possibilità di mostrare le sue capacità a un adulto, tracciò delle righe sul foglio.


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«È molto semplice. Devi mettere il tuo segno in uno dei quadrati, poi tocca al tuo avversario e vince chi riesce a metterne tre in fila.» «Ah, sì! Lo conosco questo gioco, ci giocavo anch’io da bambina, però lo chiamavo in modo diverso: Tic – Tac. Ero forte sai? Mi ricordo che battevo sempre il mio papà.» Paul, che nel frattempo era arrivato con l’auto, diede un leggero colpo con il clacson. Laura si girò verso di lui mostrandogli il dito medio, poi si rivolse ancora al bambino. «Allora facciamo una partita?» chiese il piccolo. «Certo! Chi comincia?» «Comincio io, d’accordo?» Il bambino le passò la matita e attese. Laura, come imbambolata, fissava immobile quei segni sul foglio. «Signora.» disse il bambino alcuni secondi dopo tirandola per i pantaloni per ottenere la sua attenzione. «Tocca a te.» Lei ormai era già distante con il pensiero, fulminata da un’idea. Prese il foglio e completò a modo suo la griglia.


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1

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3

4

5

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7

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9

«Ho capito! Era così semplice. Paul!» cominciò a urlare agitando le braccia. «Vieni, presto!» Il marito, spaventato, scese di corsa dall’auto lasciando il motore acceso e la raggiunse. «Cos’è successo?» chiese. «Ho trovato la soluzione all’enigma.» «Oh, è tutto qui? Ma ti sembra il modo di chiamarmi? Pensavo ti sentissi male, mi hai fatto spaventare.» «Eccola qui, vedi?» disse mostrandogli il foglio, incurante delle sue lamentele. «Io vedo solo dei numeri dentro a una griglia.» obiettò lui. «Ma no! Non vedi? Guarda il numero uno sullo schema. Vedi? Nella sua casella ci sono solo due lati, uno sotto e uno a destra.» Tracciò un segno sul foglio.

«Invece attorno al numero 2 i lati della griglia formano una specie di U maiuscola. La nostra U maiuscola, capisci? Perché nello schema il numero 2 è attorniato solo da quei tre lati e quindi si scrive così.»


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«La C maiuscola è in realtà la casella del sei.» spiegò ancora Laura. «Vedi il numero sei sullo schema? I lati che ha attorno formano una specie di C.» «Scusami, ma io non ci capisco niente. Che cos’è che ha il sei?» «Non vedi che ogni numero è contornato da lati diversi.» «Quali lati?» «Insomma, vieni con me, presto! Ritorniamo in appartamento.» disse correndo con il foglio su per le scale. Paul, mentre Laura saliva le scale, raggiunse l’auto per parcheggiarla in maniera decente. Ritornò poi verso il suo appartamento. Il bambino più piccolo, vistosi privato del suo gioco, si era messo a piangere e chiamava la mamma. Paul gli fece una carezza sulla testa cercando di spiegargli la situazione, poi, compreso che era tutto inutile, lo lasciò e salì le scale due gradini alla volta. Laura era seduta sul divano con il cofanetto sulle gambe. «Ho la combinazione!» disse appena lo vide entrare. «2; 3; 0; 5; 8; 6. Il ventitre maggio milleottocentoottantasei. Esattamente quarantasei anni prima del suo suicidio.» «Quella doveva essere una data speciale per lui. Magari era il giorno del suo matrimonio.» «Potrebbe essere.» «Adesso, però, bando alle ciance. Componi quel maledetto numero.» Laura prese in mano il cofanetto e fece ruotare le ruote dentate. 2 – 3 – 0 – 5 – 8 – 6 e all’improvviso, con un rumore secco, la serratura del coperchio scattò all’indietro. Lei con mano tremante prese con cautela la scatola e l’appoggiò sul tavolo. «Cosa fai! Non la apri?» «Sai, mi sento strana. Ho come la sensazione che non dovrei.» «Ancora con queste storie? Hai lavorato settimane per aprire quel cofanetto e adesso non vuoi guardare quello che contiene?» «E se dentro ci fosse un veleno o qualcosa di pericoloso? E se ci fosse una bomba?» «Cosa vuoi che ci sia! Pensa invece che sei la prima che ne vede il contenuto dopo tutti questi anni. Hai svelato il segreto del dottor Lawrence, non sei emozionata?» «Sì certo, però, ti prego, aprila tu.»


38 Paul prese in mano il coperchio della scatola e lo fece ruotare piano sui perni, con la stessa religiosa cura con cui si apre una reliquia sacra, poi guardò all’interno. Anche Laura guardò, rincuorata dall’assenza di scoppi o emissioni di veleni mortali. Ne estrasse il contenuto, tre soli oggetti: le due fedi di matrimonio dei signori Lawrence e un libro avvolto in una tela. Laura guardò prima le due fedi in oro con incisa la data ormai ben nota e la reciproca promessa d’amore fatta dai due sposi: “Forever 23/05/1886” «La chiave era proprio la data del loro matrimonio!» Passò le fedi al marito e prese in mano il libro: era un piccolo volumetto, rilegato in pelle nera, con delle spesse pagine di colore giallognolo. Sulla copertina appariva una scritta in lettere dorate: “Le mie memorie”. Laura lo sfogliò, vi erano almeno un centinaio di pagine scritte a penna stilografica. La calligrafia, nonostante fosse molto curata e arzigogolata, era chiara e leggibile. Laura lesse ad alta voce le prime righe: “Newell, 10 maggio 1932 Sono qui seduto nella mia stanza, cogitabondo davanti a un foglio bianco, con l’intento di lasciare, per mezzo di un sottile filo d’inchiostro, traccia di me e di quello che è stato. Spero che qualcuno troverà queste mie memorie dopo la mia morte. Voglio che tutti sappiano quello che è successo in questa casa sventurata, perché è stato questo posto a trasformarmi nel mostro che sono adesso. Mi faccio paura. Non mi resta altro da fare, a questo punto, se non togliermi la vita. Sono diventato pazzo e pericoloso e non voglio più fare del male a nessuno…


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CAPITOLO 6

Laura si sedette sul divano, con il libro in mano. Ne accarezzava le pagine e i suoi occhi già si muovevano da sinistra a destra seguendo la scia d’inchiostro lasciata settant’anni prima dal dottor Lawrence. «Immagino che tu non voglia più venire alla villa?» disse Paul. «Scusa? Cosa stai dicendo?» chiese Laura ormai catturata dalla lettura. «Niente, volevo solo dirti che io vado e che tornerò stasera; d’accordo?» «Sì, sì, va bene. Ciao, ci vediamo stasera.» Lui scese le scale; lei s’inumidì i polpastrelli delle dita sulla lingua e voltò pagina. Risistemò i cuscini del divano in modo da trovare la posizione più comoda e si adagiò, con la ferma intenzione di non alzarsi fino a che non fosse arrivata alla fine del manoscritto. La narrazione, precisa e dettagliata, la trasportò, come in un viaggio a ritroso nel tempo, nell’Inghilterra degli anni trenta. La vicenda raccontata in quelle pagine sembrò materializzarsi davanti ai suoi occhi. Newell, 10 maggio 1932 Sono qui seduto nella mia stanza, cogitabondo davanti a un foglio bianco, con l’intento di lasciare, per mezzo di un sottile filo d’inchiostro, traccia di me e di quello che è stato. Spero che qualcuno troverà queste mie memorie dopo la mia morte. Voglio che tutti sappiano quello che è successo in questa casa sventurata, perché è stato questo posto a trasformarmi nel mostro che sono adesso. Mi faccio paura. Non mi resta altro da fare, a questo punto, se non togliermi la vita. Sono diventato pazzo e pericoloso e non voglio più fare del male a nessuno. Prima di andarmene però voglio almeno raccontare quello che è successo davvero, così comprenderai perché non mi sento del tutto colpevole per quello che ho fatto. Lo so che può sembrare assurdo e stupido pensare che qualcosa senza vita, come una casa, possa avere agito sulla mente di una persona, ma nel mio caso, e lo dico da medico abituato a trattare con tutte le forme di


40 malattia mentale, è stato proprio così. È stata la mia casa a farmi impazzire; lo giuro! Pagherò con la vita per quello che ho fatto. Tra qualche giorno m’impiccherò, nel salone della mia bella villa. La mia villa, quanto l’avevo desiderata. Doveva diventare il posto speciale dove passare gli ultimi anni assieme alla mia Sarah, invece è diventata la nostra tomba. Forse tu, che stai leggendo le mie parole, conosci già la mia casa e sai quanto sia bella. Magari hai già fatto un giro sulla mia terra, hai dormito sull’erba verde della mia collinetta e hai pescato nel mio fiume con una canna di bambù, come piaceva fare a me… FINE ANTEPRIMA CONTINUA...


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Da APRILE 2011 su www.jukebook.it



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