La crepa, Marco Faccioli

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In uscita il 0/ /20 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine DSULOH e inizio PDJJLR 2020 ( ,99 euro)

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MARCO FACCIOLI

LA CREPA

ZeroUnoUndici Edizioni


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LA CREPA Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-383-3 Copertina: immagine proposta dall’Autore Prima edizione Aprile 2020


Tutto è buono quel che è eccessivo



É una storia da dimenticare É una storia da non raccontare É una storia un po’ complicata É una storia sbagliata “Una storia sbagliata” Fabrizio De Andrè



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CAPITOLO 1

Eppure... Santa Vergine! aveva proprio l'aria di essere una discoteca come tutte le altre. Il commissario Gheppi, sacramentando come un dannato, arrivò nel parcheggio del “Magna Grecia”, così si chiamava il locale, che erano già le 2 passate e pioveva che Iddio la mandava. Belin, proprio la serata perfetta per il mio primo morto ammazzato... pensò non appena la volante inchiodò, fermandosi bruscamente in una pozza d'acqua sull'asfalto del parcheggio. Era a Torino da meno di una settimana e nemmeno il tempo di andare a provare il famoso “bicerin” o di salire scaramanticamente sulla Mole e già gli era piombato tra capo e collo un omicidio, e per giunta in una gelida notte di diluvio come quella, dove se ne sarebbe stato molto più volentieri a casa a dormirsene al caldo. Non era certo più la Torino degli anni di piombo, quella dei Donat-Cattin e di Prima Linea, o peggio ancora quella della banda di Cavallero e compagni eppure, a quanto pareva, ci si accoppava ancora... e questa volta il cadavere era toccato in sorte proprio a lui. Tanto prima o poi da qualcuno bisognava pur iniziare pensò avvolgendosi più volte, prima di scendere dalla macchina, una grossa sciarpa nera attorno al collo. Sul posto c'erano già due volanti con i lampeggianti accesi e, nel freddo intenso della notte, le rispettive ricetrasmittenti gracchiavano inascoltate all'interno degli abitacoli. L'insegna del locale, formata da quei maledetti tubi al neon colorati che ti prendevano la vista, si rifletteva tremula e lattiginosa tra le pozzanghere irregolari del parcheggio. Un agente, non appena riconobbe il commissario, gli si precipitò incontro saltellando tra le pozzanghere con un grosso ombrello. «Lascia perdere...» tagliò corto Gheppi liquidando subito le sue buone intenzioni. «Sono uno a cui piace la pioggia... e tu aspettami qui!» ordinò


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subito dopo al suo autista. Questi spense quindi il motore, lasciando solo il lampeggiante acceso. Gheppi si diresse a passo veloce verso il più vicino riparo, con il giovane agente che, incurante di quel che gli era stato appena detto, cercava di stargli dietro coprendolo alla meno peggio. L'ora, la pioggia, il freddo, l'omicidio, un improvviso appetito saltato fuori da chissà dove e chi più ne ha più ne metta, avevano messo un qual certo disappunto al commissario, le cui imprecazioni, nella concitazione di quella notte, apparivano così elaborate che persino la Madonna del Carmine, più volte invano nominata, di certo doveva sorriderne dall'alto dei cieli. «Allora?». «Una ragazza morta, pugnalata mentre era in bagno...» disse l'agente mentre lo seguiva a spron battuto lungo la scalinata che portava all'ingresso del locale. «Belin...» si lasciò scappare il commissario. «Chi è stato a trovarla?». «Un'altra donna, che è entrata in bagno dopo di lei...». «Altro?» chiese Gheppi, riferendosi a possibili sospettati o ad altre circostanze degne di nota. «Nient'altro...» rispose lui scuotendo la testa con disappunto. «Siamo appena arrivati dopo la chiamata del locale e stiamo ancora sentendo i presenti». Percorse veloce la prima rampa di scale in discesa per trovarsene subito un'altra, alla sua destra, in salita, rivestita da un dozzinale tappeto rosso completamente inzuppato d'acqua e lordo da far schifo di impronte di ogni tipo. In cima alla breve rampa, appeso ben visibile sul muro, un pannello con attaccati dei manifesti colorati pubblicizzava i prossimi eventi del locale. Salì la scala deciso, ma con una qual certa calma, come a voler prendere confidenza con il posto, osservandolo e respirandolo con attenzione. L'essere stato un peso welter dilettante (tredici incontri disputati di cui dieci vinti e tre persi... anche se lui andava sempre dicendo dieci vinti e tre pari ai punti) gli aveva lasciato in eredità una mobilità di gambe a dir poco invidiabile, che gli permetteva non solo di muoversi agilmente con scatti repentini ma armoniosi allo stesso tempo, ma anche di far sì che nessuno riuscisse a stargli dietro. Nei corridoi della questura e sulle scene del delitto era a tal punto rapido da sembrare un alieno in un


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mondo in cui tutti gli altri si muovevano al rallentatore. Una grossa porta nera di metallo, con sopra un adesivo raffigurante il logo e il nome del locale, gli venne aperta dall'interno, e un uomo in divisa, salutandolo con un impercettibile gesto del capo, gli fece cenno di entrare. Il commissario mise quindi piede nell'anticamera della discoteca, lasciando che la porta si chiudesse da sola alle sua spalle, confinando fuori il pungente gelo della notte. Lì, appena dopo l'ingresso, due ispettori in divisa stavano interrogando una cassiera dall'espressione tanto ebete quanto spaventata. Così spaventata che le era persino venuto il singhiozzo, notò Gheppi sentendola emettere continuamente dalla gola un verso stridulo che le faceva sobbalzare tutti i riccioli della testa. Il commissario borbottò qualcosa con uno degli ispettori presenti, e poi si fermò per un istante a guardarsi intorno, osservando con attenzione l'ambiente in cui aveva appena messo piede. Non notò nulla di particolarmente strano, a parte una statua di discutibile fattura che, almeno nelle intenzioni di chi l'aveva posizionata a ridosso del botteghino, doveva dare il suo particolare benvenuto ai clienti. «Le uscite?» fu la sua prima domanda. «Questa è la principale, ve ne sono altre due, presidiate entrambe». «Identificate i presenti, voglio i nomi di tutti. Clienti, dipendenti, personale, tutti!». E giù un nuovo colpo di singhiozzo della cassiera, molto più forte dei precedenti. «Lo stiamo facendo, ho chiamato due uomini di rinforzo». «Chi ha trovato la donna... dove si trova?». «Di là» disse l'ispettore indicando il locale oltre una porta antipanico, in quel momento spalancata. «La sta sentendo un collega, è ancora molto scossa». Gheppi diede un'ultima veloce occhiata alla sala d'ingresso, si passò una mano sulla manica dello spolverino in pelle nera per togliervi le gocce di pioggia e, lasciandosi alle spalle quella fastidiosa cassiera scoppiettante di emozioni, entrò nel locale. Quella che doveva essere la sala-disco, era discretamente popolata di persone, quasi tutte in piedi, ammutolite in un silenzio di tomba. La prima sensazione che ebbe Gheppi era che tutti, ma proprio tutti, a giudicare dagli sguardi, dovessero avere addosso una paura del diavolo


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per la piega inaspettata che aveva preso la serata. Bene pensò il commissario palpando maliziosamente la tensione nell'aria almeno non sono il solo a cui è stata rovinata la serata. La musica spenta. Le luci di servizio accese. Un preoccupato e ansioso mormorio di fondo, appena percettibile, iniziò a serpeggiare tra i presenti dopo il suo ingresso rendendo l'atmosfera particolarmente opprimente. Il bagliore dei fari svelava volti diafani, attoniti, quegli stessi volti che, fino a poco prima, dipinti con espressioni divertite, o simil tali, dovevano muoversi concitati nel turbine mimetizzante della sala da ballo. Gheppi guardò tutti e nessuno allo stesso tempo, facendo filtrare lo sguardo, solo apparentemente distratto, tra quella moltitudine di persone che sembrava così maledettamente preoccupata di trovarsi improvvisamente imprigionata tra quelle mura. Uomini e… donne, poche donne, tutti indistintamente, lo squadravano da capo a piedi, in attesa di una sua parola o di un suo semplice gesto. Avevano tutti immediatamente capito che era arrivato quello che, per dirla alla veloce, contava più di tutti e che, quindi, poteva creare dei problemi a ognuno di loro. Il commissario, infastidito per tutti quegli occhi addosso, si voltò sbuffando verso il bancone del bar, dietro al quale stavano imbacaliti due baristi, un uomo e una donna, in piedi immobili come due statue da cortile. Si tolse lo spolverino e lo posò con noncuranza sul primo sgabello che gli venne a tiro. Chiese un bicchiere d'acqua, «mi raccomando fuori frigo!», che tracannò in un sorso. Ne chiese un altro, portandolo con sé senza nemmeno dare un sorso. «Dov'è?». «È quella seduta lì...» gli rispose l'ispettore che lo aveva seguito, indicando i divanetti sistemati davanti a una gabbia per la lap-dance. «Quella coi capelli neri. Palmieri la sta interrogando. Adesso commissario, se permette...». Gheppi gli fece un cenno col capo, autorizzandolo a tornare alle sue occupazioni. Guardò poi la ragazza che gli era appena stata indicata, che ricambiò il suo sguardo con un misto di timore e imbarazzo, cercando di tirarsi


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istintivamente giù una microgonna che, per quel che copriva, avrebbe potuto anche evitare di mettere. Guardò poi attentamente le altre donne, poche donne, del locale, individuandole tra le molte persone in piedi e le pochissime sedute sui divanetti. Qualcosa non gli tornava e quindi, come ogni maledetta volta in cui due più due non faceva rigorosamente quattro, urgeva al più presto approfondire la questione per cercare di capirci il più possibile. Era il suo modo di procedere: mai, per nessun motivo, anche a costo di perderci delle ore o dei giorni, compiere un passo in avanti senza prima aver ben compreso quel che si lasciava alle spalle. Era il suo personalissimo “metodo Dante Alighieri” così denominato da quando, ficcatosi in testa di dover rileggere tutta la Commedia (mai passando alla terzina successiva senza prima aver del tutto compreso quella che la precedeva, parola per parola, significato per significato, metafora per metafora) si era imposto quella ferrea disciplina nel condurre le indagini. «Palmieri!» chiamò a un certo punto facendogli segno con le dita di avvicinarsi. L'ispettore, congedandosi dalla ragazza, si avvicinò al superiore quel tanto da permettergli di sussurrargli a un orecchio. «Belin, com'è che qui... sono quasi tutti uomini?». Palmieri guardò velocemente la gente attorno a lui e poi, con un minimo di esitazione, come per volersi concentrare per trovare le parole giuste, si mise a parlare nell'orecchio del commissario, che lo ascoltò impassibile per un paio di minuti. Come se volessero spingersi con gli occhi fin laddove non riuscivano ad arrivare con le orecchie, tutti i presenti si misero a scrutare con muta attenzione i due sbirri davanti a loro per cercare di carpire anche solo una sillaba di quelle impercettibili parole sussurrate tra loro. Molte facce dei presenti, per non dire tutte, avevano un pessimo colore. Quel tipico colorito malsano tendente al giallo sbiadito come di carta di giornale lasciata a lungo al sole. Il colpevole colore di chi ha la certezza che la propria moglie, o fidanzata, sarebbe venuta inevitabilmente a scoprire che, quella sera, diversamente da quanto dettole, il proprio uomo non era stato a vedere la partita al bar con gli amici. Gheppi ascoltò con attenzione quel che gli riferì l'ispettore, gli chiese sottovoce ancora qualche informazione, poi lo congedò e se ne tornò verso il bancone del bar. Tirò fuori di tasca il suo smart e scrisse


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velocemente un paio di appunti nelle note, poi tracannò con un solo sorso il bicchiere d'acqua che fino a quel momento aveva portato in mano a spasso per il locale. Riprese il suo spolverino e poi si diresse verso la ragazza seduta sui divanetti. Era lei che aveva scoperto il cadavere quindi era da lei che bisognava partire. Palmieri lo segui. «Sono il commissario Fabio Gheppi della sezione omicidi della Questura» si presentò sedendosi vicino a lei. «Adesso le devo chiedere di spiegarmi di nuovo tutto». Accanto a lei sedeva un uomo in jeans neri e felpa colorata, forse il marito, forse l'amante, forse uno qualsiasi, che la teneva per mano cercando di farle coraggio. La ragazza, passandosi le mani sul volto deturpato da grosse sbavature di trucco, riprese a raccontare quel che aveva già detto più volte. «Se la sente di accompagnarmi sul posto?» le chiese Gheppi facendo cenno come per alzarsi dal divanetto. «Commissario, forse non...» azzardò l'uomo che le stava vicino, subito zittito da uno sguardo di Gheppi che Palmieri avrebbe voluto incorniciare e appendere in ufficio. «Per favore, mi lasci fare il mio lavoro» furono le sue uniche parole, e poi tornò a guardare la ragazza, attendendo che rispondesse alla sua domanda. Questa, sconvolta, scosse il capo, stremata come un giunco che cercasse di rialzarsi dopo una fortissima piena. «Venga commissario» intervenne a questo punto Palmieri, «le faccio strada io». Sempre sotto lo sguardo vigile dei presenti che nel frattempo venivano identificati uno a uno, Gheppi si diresse, seguendo il suo uomo, verso l'interno della sala da ballo. Superò i divanetti e poi girò a destra, camminando lungo il corridoio esistente tra la pista della disco, alla sua destra, e un’apposita area fumatori, alla sinistra. In fondo al corridoio, un grosso tendone nero celava l'accesso a un'altra ala del locale. Camminava con calma, senza perdere di vista Palmieri, fotografando con gli occhi, com'era abituato, ogni singolo e minimo particolare dei luoghi in cui veniva a trovarsi, affidandolo all'inesauribile archivio della sua portentosa memoria. Palmieri, precedendo il suo superiore, spostò il tendone, facendo strada verso il bagno dove era stato trovato il cadavere.


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Un terribile lezzo di aria viziata, reso ancor più sgradevole dalle forti note di un deodorante da hard discount spruzzato in dosi abbondanti, li investì come un pugno in faccia, al punto che Gheppi, visibilmente infastidito, non riuscì a trattenere una colorita esclamazione, l'ennesima della serata. Oltre la tenda, gli operatori della scientifica erano silenziosamente impegnati nel rilevare i possibili indizi sul luogo del delitto e in quelli immediatamente circostanti. Il commissario li osservò con calma, senza che i medesimi, troppo presi dai primi rilevamenti, avessero nemmeno il tempo di accorgersi del suo arrivo. Cinque cerchi in gesso colorato erano stati tracciati sul pavimento, illuminato dalle luci di servizio del locale e da un paio di lampade alogene posizionate su altrettanti appositi treppiedi. Gli uomini erano alla forsennata ricerca di indizi da trasformare presto in prove mediante i procedimenti analitici e le metodiche di laboratorio che sarebbero seguite nelle prossime ore. Gheppi, prima di avvicinarsi ai bagni dove era stata rinvenuta la vittima, si soffermò nel corridoio che conduceva agli stessi. Lesse i cartelli appesi alle porte delle stanze subito dopo il tendone nero, quello dal quale si entrava, come gli aveva spiegato poco prima Palmieri, nel “privé”, ovvero nella parte scandalistica del locale per usare le sue stesse parole. “SALA COPPIE” vi era scritto su quello appeso alla porta di sinistra e “SALA PROIEZIONI” sulla sommità di un altro ingresso, sulla destra, coperto a sua volta da un altro tendone. Spostò quest'ultimo con una mano e gli apparve una piccola sala cinema, con tre file di poltroncine rosse. Sullo schermo, sul quale nessuno, forse per via della concitazione del momento, aveva pensato bene di interrompere la proiezione, una donna, scatenata su un grosso letto, se la stava spassando con un numero imprecisato di uomini di ogni colore. Pochi metri oltre il cinema, sulla sinistra, immediatamente dopo una scala che portava chissà dove c'erano i bagni dove era stata trovato il cadavere della ragazza. Un agente lo salutò in silenzio, troppo indaffarato a fare i rilievi sul posto per perdersi in chiacchiere. Gheppi si mise davanti alla porta dei servizi e guardò innanzi a sé. Stesa supina in terra, sul pavimento dell'antibagno, proprio davanti alle porte dei due servizi interni, vide il corpo senza vita della donna. Gli occhi, circondati da un pesante e vistoso trucco, erano in parte coperti da lunghe ciocche di capelli neri sparpagliate sul volto. La


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restante parte dei capelli, annegava nel sangue che allagava il pavimento. Poteva avere tra i venticinque e i trent’anni o giù di lì. Aveva indosso solo un minuscolo vestitino a rete, nero, con le maglie larghissime, senza alcun intimo sotto. Praticamente nuda. Ai piedi due stivali neri, con una vistosa zip d'acciaio nella parte interna. La osservò con attenzione, cercando di carpire ogni minimo dettaglio di quel corpo privo di vita, seducente e provocante sino a poco tempo prima. «Cinque coltellate...» disse Palmieri rivolgendosi al commissario senza che questi distogliesse gli occhi dalla giovane donna in terra. «Forse sei, ma una sola mortale al collo, proprio qui» aggiunse toccandosi poco a sinistra del pomo d'Adamo. Gheppi fece ulteriori domande e segnò nuovi appunti sulle note del suo smart, per poi allontanarsi così da permettere gli ultimi rilevamenti. Ritornò sui suoi passi, sempre seguito da Palmieri, fino ad arrivare ai divanetti della discoteca, dove la ragazza che aveva fatto la macabra scoperta, sempre con copiose lacrime sulle guance, appariva immobile e silenziosa. Nessuno dei presenti nella sala, come le pedine di una partita a scacchi momentaneamente abbandonata dai due giocatori, sembrava essersi mosso dal suo posto. I due uomini tornarono al bancone e Gheppi chiese al barman un nuovo bicchiere d'acqua. «Anzi» si corresse subito dopo, «mi dia una bottiglia intera che è meglio... fuori frigo mi raccomando». Si sedettero sugli sgabelli e, una volta versatisi da bere, iniziarono a fare il punto della situazione scambiandosi le rispettive impressioni sul fatto. Gheppi parlava sottovoce e Palmieri annuiva limitandosi a mormorare sporadiche considerazioni. «Appena si riprende voglio sentire la ragazza sui divanetti, poi il capo della baracca e la cassiera all'entrata» disse mentre l'altro prendeva frettolosamente nota su una piccolissima agenda. «E tu vedi intanto di prendere qualche informazione su questo posto». Palmieri annuì, annotandosi nella mente ogni parola del superiore. «A proposito...» disse Gheppi prima di congedarlo. «La vittima era qui da sola, in compagnia... con chi?». «A quanto pare col marito». «Come sarebbe a dire... a quanto pare?».


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«Quando siamo arrivati un uomo era accasciato in terra in stato di shock, un medico del 118 ha dovuto assisterlo. Ci han detto essere il marito della vittima». «Adesso dove si trova?». «Al pronto soccorso del San Giovanni Bosco, non lontano da qui. Un agente lo ha accompagnato». Gheppi annuì senza commentare. Parlarono ancora qualche istante e poi il commissario, infilandosi l'impermeabile, prese la via dell'uscita. I suoi uomini rimasero sul posto, per la lunga notte di lavoro che li attendeva. La gelida aria di gennaio lo investì non appena mise piedi fuori dal locale, poco dopo essere stato salutato dall'ultimo colpo di singhiozzo della cassiera. Un diluvio di pioggia lo sferzò lungo il tratto di parcheggio dove lo attendeva la volante con i lampeggianti ancora accesi. L'autista, sentendo le imprecazioni del commissario ancor prima di scorgerne la sagoma, mise subito in moto la vettura.


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La Stampa - Torino Brutale omicidio nella notte al Magna Grecia. Orrore in città, come da anni non se ne vedeva. Questa mattina, verso l'1.30, una telefonata avvisava la Questura del ritrovamento del corpo di una giovane donna, massacrato a coltellate, nei bagni del noto locale per scambi di coppia “Magna Grecia” di corso Leonardo Da Vinci a Torino. Il club privé, conosciuto in tutta la città, ma anche fuori regione, dagli amanti del sesso libero e degli scambi di coppia, è da anni ritrovo abituale per semplici cittadini e insospettabili vip. Sebbene più volte al centro di scandali a luci rosse mai era stato coinvolto in fatti di questa gravità. L.A., 29 anni, di Carmagnola, sposata e mamma di un bimbo di 4 anni, è stata trovata nel bagno del locale, uccisa con numerosi colpi di arma da taglio su tutto il corpo. A fare la macabra scoperta un'altra frequentatrice del locale, che si era recata in bagno poco dopo il barbaro omicidio. Sul posto sono subito intervenute le forze dell'ordine, coordinate dal commissario Fabio Gheppi, da pochi giorni a capo della sezione omicidi della Questura di Torino. Il club privé è stato messo sotto sequestro giudiziario e tutti i presenti sono stati identificati e in queste ore sono sentiti a uno a uno per cercare di ricostruire l'accaduto. Al momento non si esclude nessuna pista, dal movente passionale, alla vendetta personale, al gesto sconsiderato di qualche folle maniaco. “Sono sconcertato dall'accaduto, ancora non mi capacito come sia potuta accadere una cosa simile, – dice stravolto A.P., titolare del Magna Grecia, raggiunto telefonicamente mentre si trova in Sicilia per un viaggio di lavoro – conoscevo personalmente la vittima, che frequentava il locale con suo marito. Una ragazza fantastica, sempre gentile, sorridente e disponibile. Non posso credere che sia successo. Non a lei, non in questo modo.” Intanto inizia a farsi largo, nel mondo degli scambi di coppia, la paura di un maniaco che aggredisce le vittime colpendole nel luogo dove solitamente si trovano per abbandonarsi ai loro particolari piaceri, e già qualcuno parla di colletta per promettere una ricompensa a chi fornirà elementi utili alle indagini. È da poche ore in rete il gruppo pubblico su faceboook “Chi ha ucciso L.A.?” , che in poco tempo ha già raggiunto più di 1500 mi piace e migliaia di commenti e altrettante condivisioni. - © Rubens Mercuri - Riproduzione riservata


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CAPITOLO 2

«Avanti» disse Gheppi non appena sentì bussare alla porta del suo ufficio. Palmieri entrò nella stanza e trovò il suo superiore seduto alla scrivania, con gli occhi fissi sul monitor del suo portatile. L'ufficio del commissario era scarno, essenziale fino al maniacale e a una prima occhiata senza una sola cosa che non fosse al suo posto. Era una sala vasta e nuda, ammobiliata con quella tipica mancanza di gusto e di affezione per le cose che conferiva il medesimo aspetto a gran parte dei commissariati, in perfetta sintonia con i modi sbrigativi e poco o nulla attenti all'arredamento di tutti coloro che, succedendosi nel tempo, li avevano occupati. I commissari erano funzionari di passaggio che restavano giusto il tempo di un trasferimento tra una sede e l'altra, per cui ereditavano l'ufficio da chi li aveva preceduti, e lo lasciavano, pressoché uguale, a chi succedeva loro. Perché mai prendersi la briga di personalizzare o abbellire una stanza di passaggio? Non aveva senso, tanto valeva lasciarla così come la si era trovata. E Gheppi, che usava la stessa logica spartana anche per le case in cui risiedeva, non faceva di certo eccezione a questa regola non scritta. Palmieri si accomodò su una delle sedie davanti al tavolo e aprì il dossier pieno di documenti che si era portato dietro. Alle spalle del commissario, appesa non perfettamente dritta anzi decisamente storta la foto del Presidente della Repubblica osservava con posa severa ma sguardo benevolo tutto l'ufficio. Notò con stupore sulla scrivania, vicino al pc del commissario, una copia de L'Inferno di Dante. Il tomo, in edizione economica, era visibilmente consunto, e infarcito all'inverosimile di piccoli post-it gialli e arancioni. Gli angoli del volume, tutti, erano ammaccati come se lo stesso fosse caduto un numero infinito di volte o, più probabilmente, scagliato direttamente contro il muro per chissà quale motivo. «Allora?» disse il commissario dopo alcuni minuti passati ancora a


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digitare sulla tastiera del suo pc. «La vittima era una a posto... per quanto possa definirsi a posto una che frequenti posti simili» si affrettò a specificare Palmieri. «Vita regolare, sposata, un figlio, dipendente di una ditta di trasporti, nessun precedente, né lei né in famiglia... aveva solo il vizietto di andare a fare le orge, nient'altro». Gheppi, immobile, lo fissò in silenzio. Il suo sguardo parlava per lui: continua. «Da quel che mi hanno detto al Magna Grecia era una che andava quasi solo il giovedì sera, perché c'era quella che chiamano la serata singoli». «E sarebbe?». «Come le ho spiegato quando eravamo sul posto è una serata in cui gli uomini che vanno al locale da soli, cioè senza far coppia con una donna, pagano un ingresso che costa circa la metà delle altre sere». «E come mai?». «Bah...» sbuffò Palmieri posando alcuni fogli sulla scrivania. «Da quel che ho capito il locale, ma lo fanno comunque tutti i privé della città, dedicano una serata alle coppie con le lei che... come dire... a cui piace andare a letto con tanti uomini. Così si cerca di abbassare il prezzo per invogliare più uomini a venire proprio quella sera. Se una serata qualsiasi un uomo paga anche 150 euro per entrare, il giovedì ne paga 60». «Quindi la vittima non lo faceva per soldi?». «No» scosse la testa come per meglio sottolineare la sua risposta negativa. «Non ho trovato niente in merito, al momento non possiamo che dire che lo faceva perché le piaceva». «E lei...» chiese Gheppi non riuscendo a trattenere un'espressione tra lo stupito e l'incredulo, «e lei ci andava... cioè andava lì, in quel posto, col marito?». Palmieri allargò le braccia e scosse leggermente il capo, come per dire: eh, che vuole che le dica commissario... se andava bene a lui. «Fammi capire» iniziò a parlare il commissario per cercare di fare il punto della situazione. «In un posto come il Magna Grecia ci vado, da solo o in compagnia, in cerca di sesso facile». Palmieri annuì, quasi felice che fosse il superiore a tirare le fila di un discorso inevitabilmente pruriginoso e, almeno per lui, anche imbarazzante. «Se ho voglia di ballare ballo» continuò il commissario, «se ho voglia di


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bere bevo, e se ho voglia di fare porcate vado a infilarmi in una di quelle stanze buie oltre il tendone nero». «Esatto» annuì Palmieri. «E lì ci posso trovare stanze per tutti i gusti: la stanza delle coppie, dove i singoli, come si chiamano nel giro gli uomini non accoppiati, non possono entrare, la stanza per gli amanti del Sadomaso, la dark room, completamente buia, dove si entra e non si sa chi ci sia... si becca quel che capita». Ah, però! pensò Gheppi inarcando le sopracciglia... come la sorpresa nell'ovetto Kinder. «La sauna, la piscina al coperto» continuò Palmieri leggendo gli appunti che si era preso. «Quell'altra roba ancora... come si chiama?... dove fa un caldo pazzesco». «Il bagno turco» aggiunse Gheppi vedendolo in difficoltà sul termine. «Esatto, il bagno turco» riprese Palmieri del tutto intenzionato a portare a termine l'elenco delle possibili varianti sul tema. «La stanza del glory hole, quella del...». «Ferma! Ferma! Belin, e questa roba che sarebbe?» lo interruppe il commissario non appena sentì quella parola in inglese. «Il glory hole...» ripeté Palmieri, «il buco della gloria, praticamente una stanza con dei buchi sul muro, a circa un metro da terra, dove gli uomini dall'altra parte… ci... insomma... ci infilano dentro il...». «Sì sì...» tagliò corto Gheppi capendo l'antifona, digitando intanto su google questo nuovo termine, in cerca di informazioni che non lo facessero sembrare troppo ignorante sul punto. «E suppongo che dall'altra parte ci sia una donna che si dà da fare». «Se va bene sì...» puntualizzò Palmieri senza riuscire a nascondere un sorriso di commiserazione. Gheppi lo guardò con su scritto in faccia... dai, fai ridere anche me. «Ho preso informazioni e ho scoperto che non sempre chi lo infila dentro a quei buchi riceve attenzioni da una donna, dall'altra parte del muro. Mi hanno raccontato di un vecchio finocchio che entrava nella stanza con i buchi con una bella donna, così da attirare l'attenzione degli altri maschi, e poi, una volta chiusi dentro, lei si sedeva comoda e si metteva tranquillamente a chattare sul proprio telefono e quello schifoso giù a darci di bocca con gli ignari oltre il muro». Il commissario lo guardò reprimendo a fatica un moto di sincero disgusto.


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«Belin, che schifo! Sto maiale porco lurido degenerato!». «Sì» annuì concorde Palmieri, «davvero rivoltante!». intanto, sul monitor del pc del commissario... GLORY HOLE Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Con l'espressione glory hole (il foro della gloria) ci si riferisce a un buco praticato in una parete o in un qualsiasi divisorio, a es. in bagni pubblici maschili o in altri luoghi particolari, attraverso il quale è possibile svolgere determinate attività sessuali od osservare altri impegnati in esse, mantenendo tuttavia l'anonimato. Un tipico utilizzo del glory hole è quello che prevede l'inserimento del pene all'interno dello stesso, in modo che la persona che si trova dall'altra parte, uomo o donna, possa masturbare o praticare sesso orale o ricevere una penetrazione sessuale, senza che i due partner possano vedersi in volto. I Glory hole sono spesso presenti all'interno di sex club, dark room, club privé o altri luoghi d'incontro per adulti. (…) «E la vittima era solita entrare in quella stanza?» chiese Gheppi chiudendo il suo portatile con lo stesso brusco movimento con cui era solito chiudere i faldoni delle pratiche prima di spedirle in archivio. «Diciamo che era uno dei suoi giochi preferiti» continuò Palmieri stirandosi sulla sedia, «non c'era giovedì che non si chiudesse lì dentro con il marito e ci rimanesse per almeno un'ora». «Il marito...» sussurrò Gheppi continuando a non capacitarsi della cosa. «Sì, il marito era sempre con lei. Da quanto mi hanno riferito erano sempre assieme e non si staccavano mai un attimo». «Tranne quando lei andava in bagno...» commentò pensando al luogo in cui era stata uccisa. «Sì, ed è proprio in quel momento che l'assassino l'ha aggredita» aggiunse Palmieri appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia, «tutto è avvenuto in pochi secondi, come se...». «Come se stesse aspettando il momento giusto, come se fosse proprio lei, e non un'altra, che volesse colpire». «Il che ci spinge a pensare che, forse, non abbiamo a che fare con un maniaco, o meglio, con un assassino che ha colpito la prima che ha trovato da sola».


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«Indagate ancora su di lei» aggiunse Gheppi con fare perplesso. «Scavate, scavate ancora, mettete sotto controllo tutti i suoi amici, parenti, tutti quelli che le giravano attorno. Non esiste una persona, e men che mai una donna, che non abbia delle ombre nella propria vita, qualcosa ci deve essere per forza». «Lo stiamo già facendo» spiegò Palmieri, «a partire da quel... dal marito» terminò la frase senza aggiungere alcuni dei numerosi attributi che gli erano venuti in mente. «Ah! Sì sì! Certo! Belin, quello prima di tutti...» annuì il commissario condividendo i sospetti sul soggetto. «Uno che porta la propria donna in posti simili di certo non ce la conta giusta, concentratevi su di lui prima di tutti gli altri». Palmieri segnò ancora un paio di appunti sui suoi fogli e poi si alzò dalla sedia dirigendosi verso la porta. «Ancora una cosa...». «Mi dica commissario». «Il Magna Grecia era un club per soci, vero?». Palmieri annuì. «Avete sequestrato l'elenco dei tesserati?». «Certo che sì». «Allora faccia una cosa, cerchi tra i soci qualcuno... qualcuno dei nostri, perché di certo qualcuno ci sarà, ne sono sicuro, e me lo mandi qui che gli devo parlare». Palmieri, rigido sulla soglia, lo guardò, senza tuttavia annuire. «I poliziotti, quando staccano dal turno, sono uomini come tutti gli altri, coi loro pregi e difetti» continuò il commissario, «e di certo qualcuno che frequenta quei posti c'è pure tra di noi. Sono un uomo di mondo e non mi interessa che cosa ognuno combina nella sua vita privata, è solo che preferisco avere informazioni dirette da uno dei nostri... piuttosto che da altri». Palmieri questa volta annuì, perfettamente concorde con il ragionamento del superiore. «Siamo la polizia migliore del mondo» concluse il commissario, «non dimentichiamocelo mai, ed è meglio essere ovunque, sempre in ogni posto, anche in una fogna di pervertiti come quella». «Certo» disse Palmieri congedandosi dal superiore, per poi chiudere la porta dell'ufficio alle spalle, «sarà fatto!».


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Gheppi, non appena Palmieri uscì dalla stanza, indugiò per qualche istante poi, con uno scatto improvviso, afferrò in malo modo il tomo dell'Inferno sulla scrivania. Lo aprì in corrispondenza dell'ultimo post-it e, come aveva fatto innumerevoli altre volte nel corso di quel mese, rilesse furibondo la solita terzina. Raphèl mai amècce zabì almi cominciò a gridar la fiera bocca, cui non si convenia più dolci salmi. Niente da fare... Nemmeno questa volta gli riuscì di capire il significato di quel “Raphèl mai amècce zabì almi”. Iniziò, come suo solito, a maledire e ingiuriare Dante mentalmente, per il tanto che lo faceva tribolare. Era oramai più di un mese che era drammaticamente arenato su quella terzina del XXXI canto, sulle enigmatiche parole del gigante Nembrot, incatenato nel pozzo dell'inferno. Aveva cercato su internet ogni possibile commento al significato oscuro di quella lingua criptica, di cui forse si era oramai già persa la memoria o che, come sostenevano alcuni autori, non avesse significato alcuno, ma sempre invano. Il dubbio restava e con esso l'impossibilità di procedere nella lettura del testo. Si sentiva come un impaziente marinaio bloccato in mezzo ai mari da una sfibrante bonaccia. Eppure altre volte la tecnica di portare il libro con sé in Questura aveva funzionato. Era uno stratagemma che gli aveva consigliato sua madre, ovvero quello di mettere mano alle cose complicate all'improvviso, senza dovercisi accanire sopra per ore perché a volte la mente, concentrata su tutt'altro fino a poco prima, può dare il meglio nel risolvere questioni da un momento all'altro. Altre volte lo stratagemma aveva funzionato benissimo e si era ritrovato a capire il significato di una terzina appena dopo aver chiuso il faldone di un delitto oppure ancora dopo aver appena interrogato una persona fermata per un crimine. La cosa lo entusiasmava, e una parte di sé non si nascondeva il compiacimento di aver fatto fesso il Vate con quel piccolo stratagemma.


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Ma questa volta... niente! L'imboscata cognitiva alle parole del testo non aveva dato i frutti sperati. Belin! tuonò a un certo punto il commissario assestando un secco pugno sulla scrivania. Il tomo, manco a dirlo, percorse subito dopo una veloce parabola per la stanza fino a impattare contro la parete di fronte per poi cadere rovinosamente in terra e qui rimanervi, schiantato con la costoletta in terra e le pagine aperte. Una manciata di post-it colorati, come sprizzi di sangue sulla scena del delitto, erano sparsi qua e là sul pavimento dell'ufficio. Dopo l'ennesimo gesto d'impeto, il commissario, incazzato nero, uscì dall'ufficio senza nemmeno raccogliere il volume come di solito faceva dopo questi sfoghi improvvisi. (Intanto, su un gruppo Facebook nato il giorno dopo...) SEI DEL MAGNA GRECIA SE... Questo post vogliamo dedicarlo alla memoria della nostra amica Laura, che ci ha purtroppo lasciato nel modo che tutti conosciamo. Di lei ci rimarranno x sempre il sorriso e la grande simpatia, ke niente e nessuno potrà mai cancellarci. Speriamo ke le Forze dell'Ordine, ke noi tutti forniremo la massima collaborazione, facciano immediata luce su questo episodio ke ci ha sconvolti tutti quanti. Un abbraccio a Mario e a tutta la famiglia di Laura. - Tutto lo staff del MAGNA GRECIA. Mostra commenti precedenti SONO ER MEIJO Addio Laura. Eri la migliore x me. Mi piace · Rispondi · CP PORKA Benedetta mica hai novità? Mi piace · Rispondi ·


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Benedetta Maledetta Makkè, non si sa ancora nulla, povera Laura, speriamo ke lo beccano sto bastardo!!!!!! Mi piace · Rispondi · 2 · · Modificato FELIPE LA RANA Addio Laura. Lo so ke forse non è il posto giusto, ma che scopata con te quella sera... da dio!!!!!!. Mi piace · Rispondi · CP PORKA FELIPE LA RANA 6 UN COGLIONE! VERGOGNATI, CRETINO IMBECILLE – HOMMEMMERDA KE SEI! Mi piace · Rispondi · COPPIA AMANTI Basta con le polemike, adesso bisogna solo pregare per lei! Mario ti siamo tutti vicini Mi piace · Rispondi · 2 · · Modificato PAPA FRANCESKO Addio Laura. Spero ke quel bastardo lo mettano a marcire in galera e buttano via la kiave! Mi piace · Rispondi · MISS DEISY Ma il MAGNA quando riapre? Ieri era ancora kiuso! Mi piace · Rispondi · Ciro Cirillo Pena di morte!!! al muro! Mi piace · Rispondi · 2 · · Modificato BSX per COPPIE No, la pena di morte è troppo poco x quel bastardo, lo devono tenere dentro e incularlo a vita! Mi piace · Rispondi ·


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Ada & Pietro Basta con certi commenti, rispetto per Laura... Mi piace · Rispondi · 2 · · Modificato CORNUTO FELICE giusto, finiamola con queste polemiche inutili e preghiamo per laura!!! Mi piace · Rispondi · GRUPPO GANG TORINO Manco più nei privé si può stare tranquilli. Addio Laura, ci mancherai a tutti! Mi piace · Rispondi · 2 · · Modificato padrona Lucrezia Ciao Laura, non ti dimentikeremo mai! Mi piace · Rispondi · IL PAKISTANO sono d'accordo con la pena di morte Mi piace · Rispondi · 2 · · Modificato

( ...e via di questo passo )


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CAPITOLO 3

Il commissario arrivò sul posto verso le 17.30. Pioveva a dirotto e niente dava a pensare che avrebbe smesso di lì a breve. Veniva giù così forte e inesorabile che persino lui, per quanto assolutamente sprezzante di ogni genere e tipo di intemperia, ritenne opportuno dotarsi di un ombrello e così, facendo finta di niente, aveva afferrato il primo che gli era capitato a tiro, sfilandolo con nonchalance da un cestino al di fuori di un bar, dentro al quale era infilato assieme a mille altri. Non era la prima volta che compieva un gesto simile, anzi, era pressoché la norma tutte le volte che pioveva in quel modo. L'ombrello non era un oggetto che poteva essere considerato di proprietà di qualcuno. Doveva essere a disposizione di chi ne avesse bisogno. L'agente, vestito in borghese, lo stava già aspettando, seduto sul tavolino a ridosso della vetrata della prima saletta. Gheppi lo intravide già dall'altra parte della strada, prima di attraversarla ed entrare nel locale. «Lo lasci pure lì all'ingresso» le disse una delle cameriere dietro al bancone vedendolo armeggiare con l'ombrello fradicio di pioggia, «lì assieme a tutti gli altri». «Preferisco portarmelo dietro» le rispose Gheppi incurante dello sgocciolio lungo il pavimento, «me ne hanno già rubati abbastanza». Raggiunse quindi il suo uomo al tavolo. «Comodo, comodo...» gli disse bloccandolo mentre stava per alzarsi per salutarlo, «stai lì tranquillo». «Fabio Gheppi» gli disse presentandosi. «Antonio Rovelli, piacere di conoscerla» rispose lui tradendo una qual certa ansia. Il commissario, come suo solito, osservò il suo interlocutore con aria apparentemente distratta, in realtà studiandone ogni minimo aspetto, dall'espressione del volto al tipo di abbigliamento, dal tono di voce alla gesticolazione delle mani. Era questa la sua dote principale come sbirro: non gli sfuggiva mai nulla, nemmeno il minimo particolare. Niente di


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niente! Possedeva inoltre una tale memoria che poteva ricordare, anche a distanza di tempo, il più piccolo dettaglio, come quando, interrogando un uomo di mafia, aveva scoperto la di lui appartenenza a una determinata Famiglia dall'utilizzo di un particolare termine dialettale che aveva sentito, anni prima, pronunciare da un pentito durante un processo. Era un microscopio umano, una specie di archivio vivente che tutto immagazzinava senza mai smaltire alcunché, e questa sua spaventosa memoria napoleonica era la sua arma più formidabile che mai lo aveva tradito. La sua testa era un hard disk da 10 tera e i dati erano tutti così ben sistemati che bastava un nanosecondo per andare a cercare quel che vi era stato salvato. Avrebbe saputo, in quel frangente, elencare a Rovelli, senza paura di sbagliare, tutti i tipi di torta presenti nel bancone del bar che si era appena lasciato alle spalle, una dopo l'altra. «Hai già ordinato?». «No, la stavo aspettando». «Allora chiama la signorina così non ci interromperà dopo». Rovelli fece un cenno della mano e una ragazzina, pienotta ma molto piacevole, si avvicinò al loro tavolo. In quella stanza c'erano solo loro mentre in quella attigua, un ambiente chiuso probabilmente ricavato da un piccolo pezzo di cortile coperto, un paio di tavoli erano occupati da giovani coppie intente a contarsela. Gheppi ordinò un marocchino, Rovelli una fetta di cheesecake e una birra piccola. «Ma com'è che si chiama questo posto?» chiese il commissario osservando perplesso il frontespizio del menu. «Berlicabarbis». «Il padrone è arabo, marocchino, o roba del genere?». «No...» disse Rovelli scoppiando a ridere, «è dialetto del posto». «Ah». «Vuol dire leccarsi baffi». «Ah...» ripeté Gheppi non molto convinto, posando il menù sul tavolino. Rimasero qualche minuto in silenzio, giusto il tempo di attendere la cameriera che portasse le loro ordinazioni, dopodiché il commissario ruppe gli indugi. «Allora... » attaccò Gheppi guardandolo dritto negli occhi, «ti ho chiesto di vederci fuori dalla questura perché volevo che ci parlassimo chiaramente».


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Rovelli annuì, continuando a strofinarsi le mani gelate sotto al tavolo, come se fosse intento ad applicarsi una crema idratante. «Ho fatto scegliere a te il posto così che fossi più a tuo agio e perché potessimo farci una chiacchierata da amici e non da superiore a subordinato, chiaro?». «Chiarissimo» annuì l'agente, apprezzando la cautela e la sensibilità del commissario. «Bene» disse Gheppi pienamente soddisfatto di quella che era stata, nelle sue intenzioni, una scarna ma efficientissima premessa. «So che tu sei uno dei soci del Magna Grecia e so anche che ci vai spesso...e come ben sai in quel posto giovedì notte hanno fatto secca una ragazza a pugnalate». «Sì... nei cessi» specificò Rovelli, aspettando che il superiore desse un sorso al suo marocchino prima di farlo lui con la sua birra. «Appunto, nei cessi» ripeté il commissario. «La conoscevi?». «Sì» disse Rovelli con una qual certa esitazione. Seguirono, tra i due, secondi di assoluto silenzio. Gheppi diede un sorso alla sua tazzina e poi, perdurando il silenzio, sospirò all'improvviso, gonfiandosi lentamente il petto come un tacchino che dovesse starnazzare. Rovelli, vissuto in diretta quel sospiro, fu punto dalla sensazione che il suo superiore si stesse indisponendo. «Ascoltami bene...» disse Gheppi sporgendosi sul tavolino facendoglisi più vicino. «Se fossi in te non mi farei cavare di bocca le parole con le tenaglie, chiaro? Quindi vedi di dirmi tutto quello che sai, punto per punto, e dio non voglia che io venga a scoprire qualcosa che tu non mi hai detto, perché in quel caso, credimi, mi incazzo sul serio». Il ragazzo cambiò leggermente colore, deglutendo quel poco di saliva che aveva in bocca. «Ti rifaccio la domanda» disse Gheppi finendo il suo marocchino, «la conoscevi?». Rovelli diede un leggero colpo di tosse, bevve un sorso di birra, e iniziò a parlare. «Sì, Laura la conoscevo... per come ci si conosce in quell'ambiente ovviamente. L'avrò vista nel locale circa una ventina di volte, anzi, diciamo pure che l'ho vista praticamente tutti i giovedì in cui sono andato. È un po' che non vado nel locale... per cui credo di averla vista


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l'ultima volta circa un mese fa, sempre in coppia con il marito». Gheppi annuì impercettibilmente, questa volta soddisfatto dell'incipit. «Era un amante delle gang, e al marito piaceva vederla...». «Vederla scopare con più uomini?» tagliò corto Gheppi dando a intendere che non amava particolarmente la censura durante il racconto. «Sì, esatto, e andava quasi sempre nella stanza del glory hole, che praticamente sarebbe...». «Sì sì... conosco benissimo». «Ok, allora direi che non c'è molto altro da aggiungere» disse Rovelli dando un nuovo sorso di birra, «se non che fosse una donna molto gioviale, vivace e molto calda a letto. Bella tipa, come ce ne sono oramai poche nell'ambiente. Si capiva lontano un chilometro che non era di quelle che vanno in quei posti solo per compiacere il proprio uomo. Lo faceva perché le piaceva... le piaceva proprio. Di lei non so molto di più... so che aveva un profilo su A96, ma ce lo aveva assieme al marito... adesso non ricordo come si chiamavano, dovrei controllare». «A96?» chiese Gheppi girandosi lentamente tra le dita una bustina di zucchero di canna. «Sì, annunci 96» spiegò Rovelli, «è il sito, o meglio, uno dei siti, dove gli scambisti pubblicano i loro annunci per incontrare altre persone amanti dello stesso genere. Le coppie in questo mondo o si identificano con il loro nome, per es. Mauro & Chiara o Giorgio & Francesca oppure anche con il nick, o pseudonimo, che hanno scelto per il loro annuncio su internet, per es. “Cuoricaldi”, “Superporcellini”, e via con la fantasia... molti inoltre si presentano con nomi finti, per cui Giada in realtà è Francesca, Mario diventa Andrea e via discorrendo... diciamo che esiste una tacita legge per cui assolutamente tra scambisti non ci si fa alcuna domanda sulla vita privata, o altro che esuli dai giochi. Ci si presenta, prima o dopo aver giocato... sì, insomma, ci siam capiti in che senso, e tutto finisce lì... molto semplice, molto easy». «Su A96 chiunque si può registrare?» chiese Gheppi segnandosi il nome del sito sulle note dello smart. «Sì chiunque, anzi è sicuramente pieno di annunci falsi come Giuda, coppie che mettono foto di altre coppie, singoli che si spacciano per coppie, o per singole, etc. etc. ce n'è davvero per tutti i gusti. Per il resto funziona più o meno come Facebook: chiunque si iscrive, mette le sue foto, lascia commenti a quelle degli altri, si diventa amici tra utenti, si


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blocca chi rompe le palle, si condividono opinioni su privè, su altre coppie, su luoghi dove incontrarsi per fare sesso all'aperto, come boschi, parcheggi e altre stronzate del genere. Una specie di social del sesso scambista, per tagliare corto». «Quindi...» pensò ad alta voce il commissario, «quindi è possibile... potrebbe essere possibile che l'assassino sia uno che sul sito figura come amico della vittima o comunque vi abbia interagito, anche solo chattando». «Ah sì sì» annuì Rovelli tagliandosi un piccolo pezzo di torta col cucchiaio, «assolutamente sì. Anzi, se l'assassino è uno che ha dei profili aperti su A96 o sugli altri siti del settore, direi che è altamente probabile». Gheppi si fece dire i nomi degli altri siti e li segnò tutti sullo smart. «Ok, continua pure» lo esortò il commissario. «I giovedì che ho visto Laura al locale, se non ricordo male, è arrivata sempre prima di mezzanotte, diciamo quasi sempre verso le 23.30 o giù di lì. La serata inizia a scaldarsi verso mezzanotte, prima di solito si mettono tutti sui divanetti all'entrata per vedere le coppie che entrano. Il giovedì sono poche le donne, perché è la serata singoli per cui si fa in fretta a notare quelle che arrivano e quindi a ricordarsele. Cosa diversa è ricordarsi le facce degli uomini... ce ne sono tanti e poi si è così concentrati sulle donne che viene difficile ricordarsi di qualche singolo, a meno che non si incontri uno che già si conosce o che si è visto mille altre volte». «Ok ok» tagliò corto il commissario, «vai avanti». «Ricordo che ogni volta che mi vedeva mi salutava e anche Mario, il marito, mi stringeva sempre la mano ogni volta che mi vedeva. Di solito si parlottava del più e del meno per qualche istante e poi ci si salutava con la promessa di rivedersi di là... inteso dietro le tende, nel privé del locale insomma, dove si gioca». «Poi?». «Poi, verso mezzanotte, dopo aver gironzolato un po' in lungo e in largo per la zona disco, ovvero “di qua” per capirsi, si va “di là” in cerca di qualche situazione. Nella serata singoli è sempre un gran correre di uomini dietro alle poche coppie con le lei disponibili a giocare, quindi è sempre un po' un parapiglia. Se poi consideriamo che tanti singoli sono solo guardoni o, al limite, dei tocconi, si fa in fretta a immaginare che


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tipo di situazioni possano venire a crearsi». «Ok ok...» annuì ancora Gheppi prendendo appunti mentali. «Di solito Laura e il marito andavano diretti nella stanza del glory hole» riprese Rovelli portandosi alla bocca l'ultimo pezzo di torta, «quella però unicamente adibita a questo gioco. Esistono altre stanze con qualche buco nel muro, ma quella dove andavano loro era proprio quella specifica, c'è pure il cartello fuori se non ricordo male, così da mettere in chiaro le cose. Dentro ci sono un paio di sgabelli per gli occupanti, così da essere seduti... all'altezza giusta, e null'altro». «E poi?». «E poi, una volta che la si vedeva entrare, tutti correvano nel retro per infilarlo nei buchi sulle pareti esterne della stanza, nella speranza che prima o poi lei lo prendesse in mano, o in bocca, a seconda dei casi e...». «Belin, fammi capire...» lo interruppe Gheppi raccogliendo con il cucchiaino i rimasugli della poltiglia di schiuma di latte e cacao sul fondo della sua tazzina. «Solo per fare il quadro della situazione, così da capire la scena e farmi un'idea precisa. Vediamolo dall'alto come fosse una piantina... c'è una stanza quadrata con dentro degli sgabelli, e tutt'intorno uomini appiccicati alle pareti con l'uccello infilato dentro a dei buchi nel muro, dico bene?». «Esatto...» disse Rovelli trattenendo a fatica un sorriso vedendo la faccia stupita del suo superiore, «e a volte qualcuno se ne sta pure lì per delle mezz'ore, attaccato al muro come l'uomo ragno in attesa che capiti qualcosa...». Gheppi fece un'espressione mista di pena e commiserazione. «Commissario, in quei posti c'è davvero di tutto...». «Sì, me ne sto rendendo conto. E il marito, era dentro alla stanza con lei?». «Sì, sempre. O almeno, io li ho sempre visti entrare assieme». «Ma... ma lui che ci faceva lì dentro?». «Guardava... e... e incitava la moglie a darsi da fare» precisò l'agente avendo oramai capito che il superiore era pronto a sentirsi raccontare di tutto. «Più di una volta, da fuori, l'ho sentito incitarla come un tifoso con la sua squadra... forza amore, dai, succhia... sì, ancora! Così, brava! Guarda lì, che grosso quello... guarda là che ne è spuntato uno nuovo...» disse mimando una voce concitata ma sempre sottovoce, per non attirare troppo l'attenzione delle cameriere.


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Il commissario, basito, rimase senza parole. Nemmeno storie di mafia, droga e camorra, e ne aveva sentite davvero tante, lo avevano stupito fino a questo punto. «Ma... » riprese dopo un minuto buono di meditabondo silenzio, «i rapporti tra i due, tra marito e moglie intendo, com'erano?». «Per quel che li conoscevo io direi ottimi, coppia molto complice e affiatata». «A me questo Mario convince sempre di meno...» si lasciò scappare Gheppi pensando per l'ennesima volta a quel che faceva fare alla propria moglie. «Anzi, non mi convince proprio per nulla». Rovelli rimase in silenzio, lasciando che il commissario elaborasse i suoi pensieri senza interruzioni. «Va bene» disse Gheppi all'improvviso alzandosi dal tavolo, «per oggi direi che basta. Rimani a disposizione che potrei ancora avere bisogno di te». «Quando vuole commissario...» disse guardandolo dirigersi verso la cassa. «Ah, ancora una cosa...» disse Gheppi girandosi verso di lui, «questa conversazione rimarrà tra noi due». «Grazie, commissario» sospirò Rovelli sentendogli dire quello che, sotto sotto, non aveva avuto il coraggio di chiedere. Osservò il superiore avvicinarsi alla cassa. Lo vide pagare il conto, salutare la cassiera e poi, ombrello alla mano, dirigersi verso la porta del locale. Lo seguì con lo sguardo dalla vetrina rigata dalla pioggia sino a vederlo scomparire nella bufera mentre attraversava le strisce pedonali che portavano dall'altra parte della strada. Ordinò una nuova birra in bottiglia, per brindare in solitudine ai santi, al demonio e alla salute del nuovo commissario. La Stampa - Torino Ancora senza nome il killer del Magna Grecia. Le indagini sull'omicidio a luci rosse che ha sconvolto la città sono ancora a un punto fermo, e l'assassino di L.A., trentenne scambista di Carmagnola, sposata e madre di un bambino, si aggira ancora indisturbato a piede libero. Nessuna dichiarazione è trapelata dalla Procura e dalla Questura dove fonti ben informate ci hanno comunicato che, al momento, nessuno è indagato per il delitto. Intanto si aggrava la


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posizione di A.P., titolare del Magna Grecia, il locale per scambi di coppia dove si è consumato l'omicidio della giovane donna. A quanto pare infatti non tutti, anzi ben pochi, dei presenti sul posto la sera del delitto, sono stati regolarmente registrati dal locale che, come da regolamento, prevede l'ammissione unicamente di soci tesserati. Molti degli identificati dalla polizia la sera dell'omicidio di L.A., sono infatti soggetti non tesserati, la cui entrata nel Magna Grecia non era stata in alcun modo registrata, circostanza questa che rende possibile la peggiore delle ipotesi: ovvero che l'assassino possa essere entrato nel locale senza essere stato registrato e possa esserne uscito prima dell'arrivo della polizia. In questo caso la sua individuazione diventerebbe la classica ricerca di un ago nel pagliaio considerato il gran numero di uomini che, segretamente e di nascosto da mogli e fidanzate, frequentano il mondo degli scambi. In queste ore gli inquirenti stanno esaminando tutti i filmati delle telecamere esterne del locale, anche se il forte nubifragio della notte dell'omicidio rende particolarmente difficoltosa una chiara individuazione dei volti e delle targhe delle automobili arrivate nel parcheggio. Non sono di maggior aiuto le telecamere interne, posizionate in luoghi che non permettono una chiara identificazione della clientela. Fonti ben informate ci fanno comunque sapere che tra l'ora del delitto, circa le 00.30 e l'1.00, sono usciti dal locale una decina di persone. Molto probabilmente uno di questi è l'assassino che, una volta commesso il suo atroce delitto, ha abbandonato il locale in fretta e furia prima che il cadavere venisse scoperto. - © Rubens Mercuri - Riproduzione riservata

N. 861 / 2020 – R.G. Mod. Unico Ignoti. PROCURA DELLA REPUBBLICA DI TORINO VERBALE DI ASSUNZIONE INFORMAZIONI In data ____, alle ore 10.00, in Torino, presso gli uffici della Procura della Repubblica di Torino, innanzi al responsabile dell'aliquota della P.G. Isp. Ernesto Palmieri è presente: ----------// (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), residente a (OMISSIS), di professione (OMISSIS), identificato con C.I. (OMISSIS) rilasciata dal Comune di (OMISSIS);


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il quale, escusso a verbale in qualità di persona informata sui fatti nel procedimento sopra indicato, viene ammonito sulle conseguenze penali che possono sussistere a carico di chi rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito --------// A Domanda Risponde (A D.R.): lavoro al Magna Grecia da circa un paio d'anni. Mi occupo della sicurezza e di sistemare le stanze del privé. Esattamente il mio lavoro consiste nel girare per le stanze del privé e controllare che tutto proceda per il meglio e nessuno crei problemi. A D.R.: giro per le stanze e cerco di fare stare tranquille le persone. A volte devo dire di fare silenzio a chi parla troppo forte, e a volte mi metto davanti alla stanza riservata alle sole coppie per evitare che i singoli si intrufolino dentro. A D.R.: sì, nella serata singoli ci sono sempre tanti uomini e poche donne, e qualcuno dei primi cerca sempre di “fare il furbo” a modo suo. Si mettono in tanti a seguire le coppie nei privé, e a volte, quando non c'è la sicurezza davanti alla stanza delle coppie, si infilano dentro facendo finta di nulla. Possono essere molto invadenti e a volte sono le coppie stesse a dirgli di no o ad allontanarli, ma questo è un lavoro che spetta a noi, per cui dobbiamo sempre stare con gli occhi aperti. Il giovedì è il giorno peggiore perché è la serata singoli, ed è pieno di soggetti di tutti i tipi, e qualcuno non sa mai stare al suo posto perché si crede chissachì. A D.R.: qualcuno crede che solo perché paga l'ingresso può fare quello che vuole, e che per forza deve “concludere” con qualche coppia. Negli anni la situazione è molto peggiorata. Una volta nei privé c'era molta più selezione, mentre oggi entra praticamente di tutto. Ricordo che quando ho iniziato a lavorare se non eri vestito bene come singolo manco ti facevano entrare, oggi c'è gente in tuta e con la canottiera bianca. A D.R.: conoscevo bene la vittima, anche se solo per nome. So che si chiamava Laura e nulla più. In questo mondo la privacy è tutto, e noi siamo pagati anche per farci i fatti nostri. So che veniva spesso con il marito, uno tranquillo che non ha mai assolutamente creato nessun problema. Ogni volta che li incontravo i soliti saluti e abbracci e le solite chiacchiere di circostanza, nulla più. Girava la voce che lei amasse le situazioni numerose, gang e roba del genere, per cui venivano spesso di giovedì, quando c'è la serata singoli. A D.R.: lei presentava a tutti il suo uomo come suo marito, non so però


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se lo fosse per davvero, come ho già detto noi dobbiamo rispettare la privacy e non informarci sui nostri clienti. A D.R.: non ricordo qualcuno che le abbia dato fastidio o le abbia creato dei problemi all'interno del locale, non quando lavoravo io almeno. Come ho già detto il nostro compito è quello di tenere sempre tutto sotto controllo dentro, ma quel che può succedere fuori ovviamente non ci riguarda. Se lei avesse incontrato qualche soggetto pericoloso mettendo degli annunci su internet o altro proprio non lo so dire, e nessuno mi ha mai parlato di una circostanza simile. A D.R.: no, non ho mai visto nè frequentato Laura e suo marito al di fuori del Magna Grecia, noi ci vedevamo, quando ci incontravamo solo dentro al locale. A D. R.: No, non conosco nessuno dei soci tesserati del locale che frequentasse la vittima fuori dal Magna Grecia. Non ho altro da riferire. ---------// FINE DEL VERBALE )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1 .................................................................................. 7 CAPITOLO 2 ................................................................................ 17 CAPITOLO 3 ................................................................................ 26 CAPITOLO 4 ................................................................................ 36 Interludio ....................................................................................... 49 CAPITOLO 5 ................................................................................ 53 CAPITOLO 6 ................................................................................ 62 CAPITOLO 7 ................................................................................ 68 Interludio 2 .................................................................................... 73 CAPITOLO 8 ................................................................................ 76 CAPITOLO 9 ................................................................................ 84 CAPITOLO 10 .............................................................................. 91 Interludio 3 .................................................................................... 98 CAPITOLO 11 ............................................................................ 101 CAPITOLO 12 ............................................................................ 106 CAPITOLO 13 ............................................................................ 111 Interludio 4 .................................................................................. 115 CAPITOLO 14 ............................................................................ 119 CAPITOLO 15 ............................................................................ 124 CAPITOLO 16 ............................................................................ 135 CAPITOLO 17 ............................................................................ 139 Interludio 5 .................................................................................. 142


CAPITOLO 18 ............................................................................ 146 CAPITOLO 19 ............................................................................ 152 CAPITOLO 20 ............................................................................ 156 CAPITOLO 21 ............................................................................ 170 Interludio 6 .................................................................................. 172 CAPITOLO 22 ............................................................................ 175 CAPITOLO 23 ............................................................................ 187


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com

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