Insania, Claudio Fabbrini

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CLAUDIO FABBRINI

INSANIA

ZeroUnoUndici Edizioni


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INSANIA Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-538-7 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Giugno 2022


“Nomen insaniae significat mentis aegrotationem et morbum”. Cicerone L’insania è uno stato morboso, la follia della mente.



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CAPITOLO 1

Martedì 16 ottobre 2012 Quando Fabio Consoli arrivò in via Petroselli, trovò almeno un centinaio di curiosi che, incuranti della pioggia, si accalcavano ai bordi del nastro giallo fissato dalla polizia. Al suo interno, a qualche metro di distanza dal personale della scientifica e a una decina di metri da lui, riconobbe il commissario Solli, l’ispettore capo Bandini e l’agente scelto Brennero. Cronista di nera da venticinque anni, Fabio sapeva come muoversi in quelle circostanze, quindi, al contrario dei suoi giovani colleghi, non attese oltre. Fabio sapeva che con quella folla e quella pioggia, dagli uomini della squadra mobile non avrebbe strappato niente di più di quanto già sapesse, e cioè che nel pomeriggio qualcuno aveva segnalato al commissariato di zona la presenza di un cadavere decapitato, al foro Boario a pochi metri dal tempio di Ercole vincitore, e a trecento dal Campidoglio. Difficile scucire altre informazioni in quelle circostanze. A lui bastava sapere che l’ispettore Bandini era lì e si stava occupando del caso. Uno sguardo all’orologio per rendersi conto che erano le 18:30, e che quindi aveva impiegato più di un’ora per percorrere con la sua vecchia Alfa 33 Imola la breve distanza tra la sua redazione, nei pressi della Stazione Termini, e Lungotevere Aventino dove aveva parcheggiato. Colpa del traffico romano, insopportabile quando piove, addirittura impossibile quando alla pioggia si aggiunge un “evento”. “Tragico o divertente poco importa” pensò il giornalista “in fondo tutto fa spettacolo”. «Sembra un girone dantesco, non trovi?» Fabio, che stava fissando come ipnotizzato la luce mobile di un’autoambulanza, si voltò. Era Ferrotti, centoquaranta chilogrammi al servizio del buonsenso e del quotidiano cittadino concorrente. «Scherzi? Non vedi quanta gente lo trova irresistibile?» «La gente ama le lacrime e il sangue, quando è degli altri» chiosò Ferrotti. Il K-way di Fabio era zuppo, e l’acqua cominciava a filtrare al suo interno. «Io vado» disse al collega «tu che fai, resti?»


6 «E a far cosa? Questi, furibondi come sono adesso, non ci diranno nient’altro di più di quello che pure l’ultimo, di questa folla del cazzo, sa già!» «Ehi, Ferrotti» Fabio agitò l’indice mentre si allontanava «non la trattare male ’sta folla, che è quella che ci fa mangiare!» «Ancora per poco, poi sarà lo Stato a mantenermi… vado in pensione, caro Consoli!» Fabio sorrise e lo salutò con il pollice destro alzato. «Vieni che ti accompagno con l’ombrello» gli gridò Ferrotti, anche se erano a non più di sette o otto metri di distanza. «Grazie, ma con te ci vorrebbe un ombrello bifamiliare…» «Sei uno stronzo…» «Lo so» ammise sottovoce Fabio. Alle 19:30 era di nuovo in redazione. Tolse il K-way, che allargò sullo schienale di una sedia, e sfilò il maglione, appoggiandolo sul piccolo appendiabiti a muro. Aveva giusto il tempo per fare una telefonata, leggere le ultime note d’agenzia e battere il pezzo. Sebbene avesse smesso di fumare da quasi un anno, ancora pagava le conseguenze della rinuncia. Non si sentiva del tutto un ex fumatore, aveva ancora bisogno di un palliativo, e di recente lo aveva trovato nella liquirizia. Una scelta non condivisa dal suo medico, perché tendeva all’ipertensione. Per questo era giunto a un compromesso: niente liquirizia fuori dal suo ufficio, ma libero uso fra quelle quattro mura; lì la preziosa radice non sarebbe mai mancata, sempre presente nel cassetto della sua scrivania. Bastoncino in bocca, prese il cellulare e digitò la B di Bandini. C’era un bel rapporto con l’ispettore di punta della mobile romana, un feeling mai sfociato in amicizia, ma solido perché fatto di stima e rispetto reciproco. In fondo, era ciò che bastava a entrambi. Coetanei, si conoscevano da una decina di anni, da quando cioè Bandini era stato trasferito – e promosso a ispettore – a Roma da Frosinone, città natìa. All’inizio, quando di tanto in tanto il loro mestiere li poneva di fronte, uno a raccogliere informazioni per i propri lettori, l’altro indizi in nome della Giustizia, si erano soltanto annusati. Diffidenti e un po’ burberi entrambi, come pure permalosi e umorali, erano troppo simili per andare immediatamente d’accordo. Poi il miracolo: dal poliziotto una confidenza che, in quanto tale, il cronista ritenne giusto non pubblicare, e la certezza che dell’altro ci si potesse fidare, che la sinergia potesse convenire a entrambi.


7 Bandini divenne così una preziosa fonte d’informazioni e lui, cronista di nera fra i più noti della capitale, lo strumento ideale per divulgare ciò che a volte è bene si sappia. A questo pensava Fabio Consoli, mentre pigiava il tasto Ok sul nome dell’ispettore Bandini.


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CAPITOLO 2

Ho fame. Adesso ho fame. Adesso finalmente posso mangiare. Miele, pere e fichi. Il loro pasto sarà anche il mio pasto. Non dovevi morire, non eri tu quello a cui dovevamo far pagare il prezzo del tradimento. Addio amico mio. Perdonami perché io ti ho perdonato, di più, io ti ho purificato Uter est insanior horum? L’ispettore Bandini aveva il cellulare in mano, quando sul display apparve il nome di Fabio. «Non hai perso tempo, eh…» «C’è aria di straordinario o mi sbaglio? Almeno ve lo pagano bene?» «Ascolta, invece di fare lo spiritoso» bofonchiò l’ispettore «maschio, bianco, fra i trenta e i quarant’anni.» Fabio appuntò tutto. «Ritrovata la testa?» «No, e dubito che la ritroveremo, anche se stanno scandagliando pure il Tevere.» «Ucciso sul posto?» «No, portato lì perfettamente pulito.» «A quando risale la morte?» «Lo sapremo domani, gli anatomopatologi ce lo diranno. Io credo da non più di trentasei ore, poi il cadavere diventa molle e questo, te l’assicuro, era ancora rigido.» «Posso scriverlo?» Fabio si pentì subito della domanda, che sapeva di scetticismo, nei confronti dell’ipotesi formulata da un uomo che, quando si sbilanciava, lo faceva sempre con cognizione di causa.


9 Infatti la risposta piccata di Bandini non si fece attendere: «Fai quello che vuoi, se lo scrivi o no a me interessa poco!» Fabio non si scusò, anche se aveva capito l’antifona. «Chi ha informato la polizia della presenza del cadavere?» «Una coppia di turisti tedeschi, centocinquanta anni in due, e a momenti rimangono stecchiti per la sorpresa.» «C’è qualche altra cosa che dovrei sapere?» «Be’… il cadavere era rivestito da una tunica grezza.» «E questo ha un significato?» «Boh!» rispose lapidario l’ispettore. «Quando sapremo il nome della vittima?» «Non è da te fare queste domande. Sai come funziona in questi casi. Si cercano dei particolari che possano almeno restringere la ricerca. Quindi potrei dirti: oggi stesso, se mentre parliamo qualcuno sta riportando la testa al legittimo proprietario.» Bandini fece una pausa, forse rendendosi conto che ogni accenno di humor poteva essere fuori luogo. «Oppure mai. Hai idea di quanti cadaveri restino senza nome?» «No!» rispose secco Fabio. «Non ho altro da dirti per ora, ci sentiamo.» «D’accordo, grazie Giorgio.» Fabio confrontò le informazioni in suo possesso con quelle, in verità assai scarne, provenienti dalle agenzie di stampa. Su quelle non c’era alcun riferimento alla tunica, né si avanzavano ipotesi sulla data dell’omicidio. Scrisse il pezzo, una cartella, circa 2000 battute, persino troppe per quel poco che aveva fra le mani. Sentiva che presto su quella storia avrebbe avuto di che scrivere, anche se, per il momento, la sua era solo una sensazione.


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CAPITOLO 3 Mala tempora currunt! È il momento dell’azione, sarebbe stato più giusto muoverci assieme, amico mio. Mala tempora currunt!

Mercoledì 17 Non fu una vera e propria conferenza stampa, perlomeno non ufficialmente. Il commissario Solli, che in un primo momento aveva negato qualsiasi informazione ai numerosi cronisti presenti in via Genova, nella zona antistante alla questura romana, ci aveva ripensato: qualcosa avrebbe detto. Qualcuno si avviò in automatico verso la sala che, causa lavori in corso, sostituiva in modo provvisorio quella delle conferenze, ma fu subito richiamato da un agente. «Il commissario vi comunicherà qualcosa in corridoio, seguitemi.» «Meglio di niente» commentarono in molti. «Brutto segno» osservò qualcuno. Il commissario, a dispetto della sua stazza imponente – che non lo faceva passare inosservato – comparve d’improvviso, quasi fosse stato sempre presente fra loro. Si riassettò il nodo della cravatta e fece un paio di passi all’indietro, mettendo qualche metro di distanza fra sé e i cronisti che lo fissavano in silenzio. «Fate il vostro lavoro, e sapete quanto io lo rispetti. Anche per questo in un primo momento, non avendo nulla di nuovo da comunicarvi, avevo declinato il vostro invito. Nel frattempo, però, qualcosa è maturato.» Si riaccese il brusìo di fondo e si sentì persino un gridolino di gioia. L’agente che affiancava il commissario allargò le braccia, invitando al silenzio. Il commissario, non prima di un’ennesima sistemata al nodo della cravatta, riprese a parlare: «Conosciamo l’identità della vittima.» Mormorio generalizzato, occhiataccia dell’agente e di nuovo silenzio. «Si chiamava Marco Santacroce, trentacinque anni, residente a Formello, una doppia laurea in filosofia e in giurisprudenza.» La pausa che seguì diede il via a un fermento generalizzato, che neppure l’abilità mimica dell’agente cerbero riuscì a sedare e che, un attimo dopo, si trasformò in una sequela di domande. Alcune, nonostante la


11 concitazione, arrivarono comprensibili alle orecchie del commissario, mentre altre si confusero tra loro, dando vita a una babele indecifrabile. Solli fece cenno ai cronisti di tacere, alzando entrambe le mani in un gesto secco. «Non mi fate domande, oggi non otterreste risposte. Piuttosto, penso vi interessi sapere che l’omicidio è avvenuto quasi certamente nella notte fra domenica 14 e lunedì 15 ottobre, comunque a meno di trentasei ore dal ritrovamento, nel primo pomeriggio di ieri, martedì 16. La segnalazione è arrivata da un’anziana coppia di turisti e, nonostante le ricerche siano tuttora in corso, non è stato ancora possibile ritrovare la parte restante del cadavere. Anticipo una vostra legittima curiosità, dicendovi che il riconoscimento è stato facilitato dalla presenza di una serie di tatuaggi presenti sul corpo della vittima.» Di nuovo una pausa. Il commissario avrebbe potuto intraprendere una carriera di attore, tanto era bravo nel dosare i toni e alternare le parole ai silenzi. Stavolta nessuna domanda andò a coprire quella pausa. Tutti erano in attesa che Solli riprendesse a parlare. Lo fece, ma solo per salutare e ringraziare dell’attenzione prestata. Tutti risposero al saluto del commissario, che mosse un leggero inchino del capo e poi scomparve inghiottito da chissà quale anfratto della questura.


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CAPITOLO 4

«Ho apprezzato il suo ottimo lavoro. Adesso, però, le ricordo che per qualche giorno sarà solo: lei da una parte e loro dall’altra; perché, come sa, noi non ci saremo e dunque spetterà a lei condurre il gioco. Non mi deluda. Non lasci che io mi penta della fiducia che le sto accordando.» «No, non deluderò nessuno, ne sia certo.»


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CAPITOLO 5

«Papà, sono a Roma da mamma, ci si vede stasera?» Fabio, a cinquant’anni, era ancora capace di sciogliersi davanti a inviti come quello. «Fermata metro Lepanto poi al solito posto, ok pa’?» «Va benissimo, ma è tutto sotto controllo?» chiese alla figlia, preoccupato. «Certo! Credi che ci siano problemi solo perché ho voglia di passare una serata con te?» Fabio rise. Katia aveva sempre avuto il potere di rasserenarlo. Più di una volta era stato il suo sorriso a salvarlo dalla malinconia, se non addirittura dalla depressione, e quei momenti non li aveva dimenticati. Vent’anni prima, il processo con quella terribile accusa a suo carico. Poi, qualche anno dopo, il fallimento della testata giornalistica per cui lavorava e il conseguente licenziamento. La separazione e un divorzio difficile con Ornella, la madre di Katia. La morte di Giovanni, il suo migliore amico, ucciso da una maledetta birra ghiacciata nell’intervallo di una partita dei mondiali del 2010. In tutti quei momenti Katia gli era stata accanto, prima da bambina, poi da adolescente e quindi da donna. Qualcuno diceva che si somigliassero: stesso taglio degli occhi, stesso ovale e persino un’identica bocca. In realtà, Fabio non trovava molte somiglianze fisiche tra sé e la figlia. Ne notava di più su altri aspetti: era capace di slanci di autentica generosità, ma anche d’inspiegabili débâcle egocentriche; tendenzialmente un’anima solitaria, ma anche socievole ed espansiva se inserita nel giusto contesto; a volte presuntuosa e testarda, ma anche umile e disponibile. Insomma proprio come lui. Come sempre, Fabio si presentò all’appuntamento con un po’ di anticipo. Si stava bene per strada. Un’aria frizzante e piacevole si era sostituita a quella umida e afosa dei giorni precedenti, e poi a lui piacevano quelle attese, anche perché sapeva che sarebbero state brevi. Katia era da sempre un esempio di puntualità.


14 Il leggero tremolio che si avverte quando si è nei pressi di una stazione metropolitana, gli segnalò l’arrivo delle carrozze. Appena pochi secondi e il viso di Katia comparve in basso alla rampa delle scale. Ancora meno per ritrovarsela fra le braccia. Cenarono nel loro abituale ritrovo in via dei Gracchi. Erano entrambi buongustai e lì si mangiava bene. Katia gli parlò della sua tesi, si sarebbe laureata a breve in medicina veterinaria. Quattro anni fuori sede, Università di Perugia, poiché a Roma veterinaria non c’è. Fu poi il turno di Fabio, che però si accorse di non avere un granché da raccontare. Ci pensò Katia a dargli uno spunto, chiedendogli del caso del decapitato. Fabio le raccontò della tunica con la quale, post mortem, era stata rivestita la vittima, e dei tatuaggi che avevano permesso il suo riconoscimento. «C’è già una pista?» domandò Katia. Fabio scosse la testa. «Il commissario Solli non ha risposto alle nostre domande. Non so dirti se stessero già fiutando qualcosa. Del resto la vittima è stata identificata solo da poche ore. Lasciamogli ancora un po’ di tempo, no?» sorrise. Arrivò il gelato. Gusti alla frutta per la giovane Consoli, un tiramisù per Consoli senior. Katia sembrava rimuginare su qualcosa, poi chiese: «Quanti casi di decapitazione ci sono capitati finora?» Ecco una cosa che mandava Fabio in solluchero: il fatto che la figlia parlasse al plurale ogni qual volta facesse riferimento ai casi di nera affidati a lui. In effetti era cresciuta sentendo raccontare di tanti casi di cronaca, edulcorati finché era bambina, poi sempre più fedeli alla realtà, anche quando a volte era davvero dura da digerire persino per gli adulti. Non di rado assieme si erano divertiti a supporre moventi o immaginare trame, e qualche volta Katia aveva visto giusto permettendo a Fabio di anticipare alcune situazioni. «Ehi papà, mi hai sentita? Ci sei?» Fabio si riscosse dai suoi pensieri. «Ci sono, e più connesso che mai. È che stavo pensando a quante storiacce ti ho costretta a sentire, e forse è per questo che hai scelto una professione che ti metterà a contatto con gli animali.» Risero, poi Fabio le rispose: «Non molti casi e fra l’altro, se non ricordo male, quasi tutti risolti dagli investigatori.» «E quante vittime sono state rivestite con una tunica?» «Nessuna che io sappia» rispose Fabio, senza distogliere lo sguardo dal suo prezioso tiramisù.


15 «Quanti cadaveri sono stati rinvenuti in luoghi così particolari, intendo dire in pieno centro storico, anzi addirittura in un sito archeologico?» Fabio sollevò lo sguardo e guardò Katia con aria interrogativa. «Sputa il rospo, a cosa stai pensando?» «Be’… credo che questo caso non sia di difficile soluzione. È così eccentrico da sembrare firmato. Non trovi anche tu?» “O proprio per questo difficilissimo, ragazza mia…”, pensò lui, mentre annuiva gustando l’ultimo cucchiaino di crema al cioccolato.


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CAPITOLO 6

Giovedì 18 Quel giorno al giornale erano previste due riunioni e nella prima, quella mattutina, la redazione avrebbe stabilito la seconda firma che sarebbe andata ad aggiungersi a quella di Fabio. Un supporto che si rendeva necessario per coprire al meglio un evento che, con sorpresa, aveva già superato i confini della cronaca romana, per approdare su quelle nazionali. Quel nome in effetti era stato individuato già la sera prima, una volta incassato il nullaosta di Fabio. In casi simili, al giornale era prassi ascoltare il parere del cronista di nera più rappresentativo e, sebbene Fabio si fosse trovato di rado nella condizione di esprimere un parere negativo sul conto di un collega, non di meno si sentiva gratificato da quella consuetudine, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Così toccò a Stefano Florida, giovane talento trentenne, far coppia con lui. Si sarebbe stabilito presso la questura, pronto a raccogliere comunicati ufficiali o voci di corridoio, marcando stretto gli eventi; il tutto in attesa dell’assunzione. A Fabio era invece concessa piena libertà di azione poiché, considerato un fuoriclasse della cronaca nera, era libero di muoversi seguendo il proprio innegabile istinto. Intanto l’indomani sarebbero andati assieme al funerale di Santacroce, perché essere presenti alle esequie di un morto ammazzato non è considerato un must solo per i componenti della squadra omicidi. Al termine della riunione, Fabio e Stefano si avviarono al bar. Un panino, un’acqua minerale, due chiacchiere senza pretese, poi ognuno per la propria strada. Stefano con il suo scooter avrebbe percorso poche centinaia di metri per raggiungere la questura di via Genova; Fabio si sarebbe diretto a Formello, dove abitava il soggetto della sua intervista: la sorella della vittima, Mirella Santacroce.


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CAPITOLO 7

Un sms dell’ispettore Bandini arrivò sul cellulare di Fabio mentre questi era immerso nel traffico romano delle 13:00. Non fu un’impresa leggerlo continuando a guidare, perché in quel momento su Corso Francia si procedeva a passo d’uomo. “Chiamami alle 14:30”. Ripose il cellulare sul cruscotto, mentre un idiota, sfidando le più elementari leggi della fisica, cercava d’infilare se stesso e le sue due ruote fra i settanta centimetri scarsi che separavano la fiancata destra della 33 Imola, e quella sinistra di un furgone guidato da un energumeno fornito, fra l’altro, di un’eccezionale capacità di sintesi, espressa magistralmente da un laconico: «Se me tocchi t’ammazzo!» pronunciato all’indirizzo del tale che arrestò di colpo la sua marcia e ripartì lasciando libero il passaggio. Riprese a piovere. Dicevano fosse l’ottobre più piovoso degli ultimi anni. Fabio accese la radio e rifletté sulla coincidenza degli orari: alle 14:30 sia la telefonata da fare a Bandini, sia l’appuntamento procuratogli dalla redazione con la sorella di Marco Santacroce. Pazienza, avrebbe chiamato Giorgio qualche minuto prima, anche se la cosa avrebbe infastidito e non poco l’ispettore, così rigoroso in fatto di puntualità. Arrivato al bivio fra Cassia e Flaminia, e quindi chiamato a scegliere quale traffico delle due consolari sorbirsi, si sentì come quel tale al quale viene proposta l’alternativa fra una ripresa contro Mark Tyson o un duello schermistico con Aldo Montano. Il fatto che stesse già sulla corsia di sinistra lo spinse a scegliere Tyson, ovvero la via crucis della Via Cassia. Per fortuna quei pugni non fecero troppo male perché, dopo un paio di chilometri e come per incanto, il traffico svanì del tutto. “Tempo inglese”, pensò quando, all’altezza del sepolcro del console romano Vibio Mariano erroneamente denominato Tomba di Nerone, sentì i tergicristalli della sua Alfa 33 stridere contro il parabrezza ormai asciutto. Il sole, sebbene ancora costretto fra nuvole argentee, stava cercando il suo spazio a fatica. Da quel punto in poi, e sino alla vista delle prime


18 case di Formello, i pensieri nella mente del cronista girarono al minimo sindacale. C’era spazio solo per la sua radio preferita, quella ascoltata da chi ama il rock progressivo degli anni ’70. A Formello sapeva come muoversi, così non gli ci volle troppo tempo per arrivare a destinazione. Parcheggiò davanti a un bar poco distante dall’abitazione della Santacroce. Aveva ancora il tempo per prendere un caffè. Il giovane barista, vedendolo entrare, trovò il coraggio di chiedergli se per caso fosse proprio lui, il “Poeta”. Fabio accennò a un sì con il capo. Quando non aveva la luna di traverso, trovava divertente calarsi nel personaggio per cui, secondo alcuni, aveva una straordinaria somiglianza fisica. «Lei è il migliore» gli disse il giovane dietro il banco. «Almeno lo sei secondo la mia ragazza» si affrettò ad aggiungere passando dal lei al tu. «Perché, secondo te non è così?» gli chiese Fabio, ironico. «Sicuro!» riuscì appena a mormorare il giovane, lottando contro emozione e imbarazzo. Poi gli si avvicinò, confidandogli sottovoce di essere da quelle parti per concordare con un impresario la data e il luogo di un suo prossimo concerto. «Chiamami pure» gli disse Fabio, lasciando un euro sul banco e guadagnando l’uscita. «Se la cosa va in porto, ti invio due biglietti gratuiti per te e la tua ragazza!» «Grazie, grazie davvero, sei proprio un grande!» lo ringraziò il barista. Fabio era già in strada quando sentì urlare dall’interno del bar. «Aspetta! Non ho il tuo numero… come faccio a chiamarti?» Rientrò in macchina. Si erano fatte le 14:30 e lui aveva ancora una telefonata da fare, non poteva certo rinviarla. Provò, ma Bandini era irraggiungibile. Aspettò un paio di minuti, riprovò, ma il risultato fu lo stesso. Stavolta l’inappuntabile precisino gli stava dando buca. Decise di non aspettare oltre. Scese dalla macchina e con passo veloce percorse la trentina di metri che lo separavano dal civico della Santacroce. Suonò al citofono di un’anonima palazzina a tre piani. In realtà la scelta del tasto giusto da pigiare fu impresa meno facile del previsto, poiché su ognuno di essi, sei o sette, c’era scritto lo stesso cognome. Solo uno però era seguito dalla lettera M, così Fabio si augurò che stesse a indicare proprio l’iniziale del nome della donna.


19 La M rispose, con una voce giovanile. Fabio si qualificò e lei aprì. Era proprio lei, Mirella Santacroce. Fabio la osservò a lungo: sui trentacinque anni, davvero una bella donna. Lo diceva il suo corpo, lo sussurrava l’insieme dei suoi lineamenti così morbidi e armoniosi, veniva urlato dai lunghi capelli neri, corvini come pure i suoi occhi, intensi e profondi. «C’è un’indagine in corso, dottor?» «Consoli, Fabio Consoli» le porse la mano e gliela strinse. «Ecco, dottor Consoli, penso di non poterle essere di grande aiuto. Come ho già avuto modo di dire alla sua redazione, dubito che io possa riferirle cose di particolare interesse per i suoi lettori.» Mirella si dimostrava decisa. Gentile ma decisa. Invitò Fabio ad accomodarsi e gli offrì un caffè che però lui rifiutò con gentilezza. «Stia tranquilla» la rassicurò Fabio «non le chiederò nulla che possa in qualche modo invadere il campo investigativo, né le procurerò con le mie domande il benché minimo imbarazzo.» «D’accordo, ma… un’altra cosa: come le avrà riferito la sua redazione, ho soltanto mezz’ora a disposizione. Può immaginare il momento che la mia famiglia sta vivendo…» «Sì, certo, capisco perfettamente, e anzi le sono grato per la disponibilità» annuì comprensivo. Accese un piccolo registratore, assumendo l’espressione più rassicurante fra quelle disponibili nel suo repertorio, poi iniziò con le domande: «È stata lei a denunciare la scomparsa di suo fratello, vero?» Mirella annuì. «Sì, sabato pomeriggio, alla polizia. La sera prima dovevamo cenare assieme, qui a casa mia. Non lo facevamo da parecchio.» Seguì una pausa, e a Fabio parve di leggere negli occhi della donna un sottinteso: “E adesso non potremo più farlo…”. «Capisco…» «Mio fratello non è venuto, e la cosa mi ha subito dato da pensare, perché Marco è…» si concesse un’altra breve pausa «era una persona molto scrupolosa, e per nessuna ragione avrebbe mancato a un appuntamento senza neppure avvisare. L’ho cercato al telefono, ho provato a chiamarlo fino a notte fonda, ma il suo cellulare era sempre irraggiungibile. Il giorno dopo ho fatto un giro di telefonate fra i suoi amici e conoscenti scoprendo, fra l’altro, che anche giovedì pomeriggio non si era presentato a un appuntamento. A quel punto sono andata a


20 denunciarne la scomparsa. Al commissariato mi hanno detto che tecnicamente non si poteva ancora parlare di scomparsa ma…» «Che in ogni caso avrebbero fatto delle ricerche» Fabio finì la frase per lei. «Sì è così» annuì. «Suo fratello viveva in questa palazzina? Ho notato che è abitata solo da voi Santacroce.» «Sì e no» rispose Mirella «nel senso che Marco risultava residente qui a Formello, ma in realtà da circa un anno si divideva fra il suo appartamento, qui al primo piano, e quello di un suo amico a Roma.» Fabio neppure provò a chiederne il nome, lo avrebbe nel caso ottenuto da Bandini. «Le va di parlarmi un po’ di suo fratello?» Per la prima volta Mirella abbassò lo sguardo e anche il tono della voce si fece diverso, quasi dimesso. «Sì, immagino che lei sia qui per questo.» Fabio non rispose. Mirella aveva capito che in genere, dopo l’articolo che riporta la notizia di un evento delittuoso, fra l’altro tanto più efferato quanto più in grado di calamitare l’attenzione del grande pubblico, è proprio il profilo della vittima a rappresentare il pezzo forte della cronaca nera. Una serie di motivazioni psicologiche – a volte morbose – scatenano su di esso l’attenzione di una larga parte dei lettori. La donna prese a spiegare: «Di mio fratello non condividevo molte scelte, e anche da un punto di vista caratteriale eravamo parecchio distanti, per non dire agli antipodi.» Si prese una breve pausa, riempiendola con l’accenno di un sorriso malinconico. «Lui era capace di dormire anche solo un paio d’ore a notte, io invece sono dormigliona di natura; lui così preciso e rigoroso, perfino maniacale nella sua ricerca dell’ordine e io, al contrario…» Non continuò la frase. Al suo posto abbozzò un sorriso che la diceva lunga su quali fossero le sue inclinazioni. Fabio capì che per quanto potesse apparire cinico, quello era il momento d’insistere: «Quali erano le scelte di suo fratello che sentiva di non condividere?» «Be’, per dirne una: non è un mistero che Marco si collocasse politicamente in una certa area che non è di certo la mia.» Mirella s’interruppe ancora e Fabio incalzò: «Quale?» «Molti lo definivano un neofascista» sospirò. «E lo era?» Mirella si strinse nelle spalle. «Non lo so, non l’ho mai ritenuto fascista, ma forse ero io che mi ostinavo a non considerarlo tale, preferivo


21 reputarlo un uomo di destra, magari di una destra radicale ma non un fascista.» «Le convinzioni politiche di suo fratello, l’hanno portato in passato a compiere qualche azione, diciamo…» «Illecita?» lo precedette Mirella. «Sì, voglio dire… Marco ha avuto problemi con la legge per motivi politici?» Mirella parve riflettere alcuni istanti, poi spiegò: «Da ragazzo, al tempo del liceo, qualche problema l’ha avuto. Cortei non autorizzati, tafferugli fra il suo gruppo e i centri sociali, e una volta lo processarono per resistenza a pubblico ufficiale.» Fabio si schiarì la voce. «Prima di morire, Marco svolgeva attività politica all’interno di una qualche organizzazione? Che so, un partito o un movimento?» La donna scosse la testa e sospirò. «È difficile spiegare cosa rappresentasse la politica per lui. Marco viveva per la politica, era il suo scopo e ogni suo gesto, diceva, era un gesto politico. I suoi studi, le sue ricerche, persino i suoi quadri avevano secondo lui un significato politico. Per contro, e le sembrerà strano, Marco non ha mai aderito ad alcun movimento o partito, forse era troppo idealista per poterne far parte, o forse troppo… individualista.» Fabio rifletté a lungo su quelle parole, e si lasciò andare a una chiosa, più che a una domanda: «Troppo idealista per accettare i compromessi imposti dalle strategie di partito, e troppo individualista per coesistere con un gruppo organizzato, che ha le sue regole, le sue priorità…» Mirella lo fissò negli occhi per un tempo che a Fabio parve interminabile, poi allargò le braccia, muovendo leggermente il capo in segno d’assenso. Di rimando fu lui che, in silenzio e per almeno un istante di troppo, posò il suo sguardo sugli occhi della donna, percependo, con chissà quale dei cinque sensi, un analogo turbamento. Riuscì a sfuggire all’abisso di quello sguardo dirottando il suo sul registratore che aveva cominciato a gracchiare. «Mi ostino a non sostituirlo, e così ogni tanto…» si giustificò, con un evidente imbarazzo, mentre con un paio di colpetti ben assestati riportava alla ragione il vecchio compagno di mille interviste. Una sbirciata della padrona di casa al proprio orologio, che segnava le 15:00, non sfuggì a Fabio, che dunque si affrettò a porre un’altra domanda: «Prima mi accennava che nel passato di Marco non sono mancate le occasioni di scontro anche fisico con gli avversari politici.


22 Ecco, mi chiedevo e chiedo a lei: pensa che le idee politiche di suo fratello potrebbero in qualche modo essere messe in relazione con il suo omicidio?» Era un interrogativo che in qualche modo entrava nel merito delle indagini. Una violazione del loro patto che spinse Fabio a giocare d’anticipo aggiungendo: «Naturalmente quella che le chiedo è soltanto un’opinione…» Mirella si stropicciò gli occhi, raccolse indietro i suoi capelli con un movimento che in un altro contesto sarebbe apparso sensuale, poi rispose: «No, io non credo, sarebbe un delitto fuori tempo massimo. Negli anni ’70 sono morti decine di giovani dell’una e dell’altra parte, ma oggi per fortuna le cose sono diverse. Gli stessi scontri avvenuti tra Marco e i compagni dei centri sociali, fra l’altro risalenti ormai a una quindicina di anni fa, non mi risulta abbiano poi nel tempo prodotto ulteriori strascichi.» “Un delitto fuori tempo massimo”, ripeté quelle parole nella sua testa. Gli piaceva quella considerazione, poiché nell’ultima parte di quel decennio l’aveva vissuta lui stesso da liceale. Ricordava bene quegli scontri fra giovani: rossi contro neri, camerati contro compagni, camperos contro clarks, capelli rasati ben oltre le basette contro barbe incolte. Ricordava anche i nomi di molti di quei ragazzi che in quelle lotte avevano perso la vita. Una maledetta faida, chissà in quale misura manovrata a proprio uso e consumo dai piani alti dell’establishment politico dell’epoca. Tali riflessioni avevano comportato qualche attimo di silenzio, e con esso la condizione ideale per far suonare il gong che avrebbe decretato la fine dell’incontro. Ma quel gong non arrivava e Fabio ne approfittò: «Qual era l’occupazione principale di Marco? Qualcuno dei miei colleghi ha scritto che dipingesse per professione, altri che fosse uno scrittore. Lei che sa dirmi?» Mirella abbozzò un sorriso orgoglioso. «Posso dirle che mio fratello dipingeva con un certo successo, aveva due lauree e ha pubblicato un saggio apprezzato persino in ambienti non certo riconducibili alla destra.» «Un saggio su quale tema?» chiese incuriosito. «Un’analisi su alcuni personaggi per i quali nutriva un profondo interesse. Nel suo libro ha rivisitato il loro pensiero, immaginando per ciascuno di essi una possibile collocazione nei nostri tempi.» «Quali personaggi, ne ricorda qualcuno?»


23 «Nietzsche, Goebbels, Telesio Interlandi e… un generale tedesco di cui adesso mi sfugge il nome.» «Rommel?» «No, un ufficiale meno noto della “Volpe del deserto”.» «Mi fa pensare a un lavoro destinato a pochi intimi» commentò Fabio dopo un po’ e poi, a scanso d’equivoci, precisò: «Voglio dire, di certo non realizzato con un intento commerciale.» «Non gli davano da mangiare se è questo che vuole intendere. Diciamo che a dargli di che vivere era la pittura.» «Mi piacerebbe vedere qualche quadro di Marco, ne conserva qualcuno?» Mirella sembrò riflettere per qualche secondo, poi con un cenno lo invitò a seguirla. Imboccarono il corridoio, e la donna aprì una porta, invitandolo a entrare. Fabio si ritrovò nel Regno del Caos! Un nuovo big bang non avrebbe fatto di più e di meglio. In quella stanza, niente, ma proprio niente, sembrava al proprio posto. Una televisione anni ’80 poggiata sul pavimento proprio al centro della stanza, sorreggeva un vaso di terracotta con dentro un finto girasole e un pinocchio di legno con il naso scheggiato; un computer portatile trovava posto, assai precario, sul bracciolo di una vecchia poltrona di pelle nera; un videoregistratore era steso su un enorme puff rivestito di stoffa rossa. Sparsi sul pavimento, o disposti alla rinfusa su un tavolino da campeggio, trovavano alloggio gli oggetti più disparati: un paio di iPod, un contapassi, compact disc a iosa e diversi libri. Infine, appoggiati a una parete, trovavano asilo dei quadri, fra loro quasi del tutto sovrapposti. «Questi oli hanno come soggetto la Roma di fine Ottocento» spiegò, indicandoli. «Sono ancora lì come Marco li aveva sistemati.» Poi accorgendosi di quanto, in quel disordine, fosse improprio l’utilizzo di quel verbo, si corresse lasciando trasparire un timido sorriso: «Appoggiati, forse è meno impegnativo dire appoggiati.» Raccolse indietro i capelli e, guardandosi attorno come fosse entrata per la prima volta dentro quell’ambiente, aggiunse: «Be’, avevo intenzione di mettere un po’ d’ordine qui dentro, ma poi…» Quelle considerazioni, quel filo d’ironia e il sorriso, sebbene appena accennato, offrivano di lei un’immagine nuova, diversa. Permettere al suo ospite di entrare in quella stanza, palesandogli quel disordine, le aveva prodotto un effetto liberatorio quasi che, assieme a quella stanza, avesse mostrato se stessa; il che la rendeva più disinvolta.


24 Fabio contraccambiò il sorriso, e senza cedere a frasi di circostanza, spostò la propria attenzione sui quadri, almeno sui due in primo piano, visto che degli altri poteva solo intravederne la presenza, coperti com’erano dai primi. «Suggestivo, davvero notevole! Quel dirupo dovrebbe essere la Rupe Tarpea e, se è così, lo scorcio visibile in alto a sinistra deve essere un’ala del Vittoriano. Sbaglio?» «No, non sbaglia, è così» annuì Mirella. «Il soggetto dell’altra tela, quella che riesco a intravedere è invece Porta San Paolo, vero?» le chiese, sapendo di non sbagliare. «Giustissimo!» confermò di nuovo Mirella, che con il tono e persino con l’uso del superlativo, gli stava trasmettendo una certa empatia. «Posso vedere anche quelle dietro? Ce ne sono ancora un paio, mi pare…» chiese Fabio, indicando gli altri dipinti. Mirella si fece largo con cautela fra le decine di compact disc e di libri sparpagliati sul pavimento, si piegò sulle ginocchia e, scostando con la mano sinistra le due già svelate, ne sollevò una terza con la destra, lasciando così l’ultima accostata alla parete. «Questa è l’Appia Antica con le sue tombe. Quella sullo sfondo è la tomba di Cecilia Metella» commentò Fabio, a cui nel frattempo non era affatto sfuggita l’eleganza della donna nel compiere quei pur semplici gesti. «Proprio così» confermò lei, mentre poggiava la tela a fianco dell’ultima, che adesso appariva in tutta la sua totalità. «Di questa mi sfugge invece l’area e il nome del tempio raffigurato in primo piano» disse Fabio, ammettendo a malincuore la lacuna. «È il tempio di Portunus, l’attuale chiesa di Santa Maria Egiziaca al foro Olitorio» spiegò Mirella, dando una nuova occhiata all’orologio, per lasciare all’ospite la possibilità di decretare egli stesso il termine del loro incontro. Fabio capì e si congedò, ritrovandosi in strada che erano ormai quasi le 15:30. L’aria era di nuovo calda e umida e lui cominciava a sentirne addosso le conseguenze. Aveva bisogno di una doccia, così decise di passare a casa, non facendo subito ritorno al giornale come aveva invece programmato. Prima di mettere in moto l’auto, compose il numero di Bandini. Il cellulare dell’ispettore stavolta squillava e Fabio attese una risposta fino allo scatto della segreteria telefonica. Poiché non era solito lasciare messaggi, concluse la telefonata e appoggiò il cellulare sul cruscotto, poi accese l’autoradio.


25 La sua emittente preferita stava passando “The dark side of the moon”. Chiuse gli occhi e se la gustò. Una piccola pausa, appena cinque minuti e poi avrebbe riprovato a contattare l’ispettore. Il pezzo successivo era “Hotel California” degli Eagles. Capì che di questo passo, brano dopo brano, lo avrebbero ritrovato l’indomani ancora in macchina ad ascoltare chissà quale successo degli Anni ’70. Si fece forza e spense la radio. Riprovò a chiamare Bandini. Lasciò che il cellulare squillasse almeno dieci volte, ma anche stavolta non ebbe risposta. Ripiegò allora sul programma iniziale: si sarebbe diretto in via Genova. Erano quasi le 16:00 e con un po’ di fortuna alle 17:00 sarebbe arrivato sul posto, forse un po’ maleodorante.


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CAPITOLO 8

Fu Ferrotti a indicargli l’unico parcheggio rimasto ancora disponibile. Anche con il traffico era andata meglio del previsto: evidentemente durante il mattino aveva scontato per intero la pena quotidiana che spetta a ogni cittadino della capitale. «Caro collega, ho visto caracollare da queste parti il tuo allievo, e allora ho pensato che te la stessi spassando sulla riva di un laghetto di pesca sportiva…» «Florida non è un allievo e a me non piace la pesca, meno che mai quella sportiva. Pensa, hai detto tre cazzate in venti parole, è quasi il tuo record!» sorrise. «Fabio, amico mio, sono un po’ di giorni che mi tratti male, che ti ho fatto?» «Niente, lo sai che sei sempre il mio collega preferito.» «Muoviamoci, c’è un’aria strana stasera» disse Ferrotti, divenuto serio all’improvviso. Appena arrivati davanti all’entrata del commissariato, Stefano Florida gli venne incontro sorprendendoli con una frase a effetto: «Forse hanno preso l’omicida!» «Non proprio» intervenne un cronista della free press a cui non erano sfuggite quelle parole. «Però in effetti sembra che siano sulla strada giusta. Stiamo aspettando un comunicato.» «No, io voglio proprio il commissario» intervenne un altro «è da stamattina che sto qui, me lo sbatto ai coglioni un semplice comunicato.» Fabio si rivolse a Ferrotti, che nel frattempo si era limitato a guardare di traverso i vari oratori: «Tu che dici?» «Che c’è tensione e movimento e, del resto se proprio vuoi saperlo, il mio cavallino qualcosa mi ha già confidato…» Ai cronisti era stato chiesto di non accedere all’interno dei locali della questura. Non era un divieto frequente, e quello era il secondo in due giorni. Un’anomalia, considerato che di solito, in certe occasioni, non aveva rappresentato un problema far accomodare i giornalisti nella più grande delle due sale d’aspetto. Dall’esterno, a Fabio parve di scorgere la fisionomia amica dell’agente scelto Brennero. Aveva il suo numero, e


27 per un attimo ebbe la tentazione di chiamarlo al cellulare, ma rinunciò. Era evidente che gli uomini del commissario Solli avessero ricevuto l’ordine di tenere la bocca chiusa almeno fino a nuova disposizione. All’origine del provvedimento doveva esserci la stessa ragione per cui a loro era stato negato l’accesso in questura. Tutte misure che il commissario adottava nei casi più gravi, quando era fondamentale evitare le voci di corridoio, gli spifferi e le soffiate. Così Fabio aspettò fuori assieme ai suoi colleghi, maledicendo il giorno in cui aveva smesso di fumare e odiando con tutte le sue forze la liquirizia, che peraltro non aveva con sé. Ci sono omicidi, ma più in generale fatti di cronaca, che hanno il potere di suscitare un interesse che va al di là di ogni previsione. Si dice che siano gli stessi mass media a stimolarlo, specialmente in estate, quando le notizie scarseggiano, il giornale va comunque riempito e l’auditel, con la sua logica impietosa fatta di percentuali d’ascolto, non fa sconti neppure ai programmi d’informazione. Stavolta però era diverso, era autunno e i fatti di cronaca in grado di stuzzicare la curiosità della gente non mancavano. Si stava vivendo una fase politica piuttosto calda. Lo sport, con l’avvio dei vari campionati tirava come sempre, e il gossip regalava notizie a iosa con un paio di scandali, o presunti tali, che coinvolgevano noti personaggi del jet set italiano. Insomma, c’era materia per tutti i gusti. Questa volta era un interesse genuino, per niente indotto. La macabra decapitazione, il ritrovamento in pieno centro storico di un corpo così atrocemente mutilato, la stessa messinscena della tunica trovata indosso al cadavere e qualche indiscrezione apparsa già qua e là sulle idee politiche alquanto radicali della vittima, erano elementi in grado di suscitare, da soli, curiosità e attenzione. Fabio era come assorto in quei pensieri, quando l’arrivo con tanto di sgommata finale di due volanti della polizia, lo ricacciò nella cronaca distogliendolo dalla filosofia spicciola. Gli agenti scesero e si avviarono con passo veloce verso l’ingresso della questura. Incuranti delle domande che piovvero a raffica dal popolo dei cronisti, proseguirono dritti per la loro strada. Solo il sovrintendente Lazzari voltò appena il capo verso il gruppo, preannunciando l’arrivo del commissario Solli. “Forse davvero cose grosse”, pensò Fabio. «Arriva l’esimio commissario» proclamò Ferrotti ad alta voce, aggiungendo subito dopo in un sussurro: «Il dottor Ce l’ho solo io.»


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CAPITOLO 9 Prego… che dite mai… è un piacere per me potervi aiutare! So bene di cosa avete bisogno, non preoccupatevi, in me avete trovato un amico, di più, un fratello.

I cronisti furono invitati ad accomodarsi in una piccola sala poiché, come precisarono con insolito garbo alcuni uomini del commissario, la sala normalmente adibita alle conferenze stampa era ancora oggetto di ristrutturazione. Sul tavolo di fòrmica, assieme a due bottiglie d’acqua minerale e a qualche bicchiere di plastica, facevano una gran bella figura un computer di ultima generazione collegato a un maxi schermo e un microfono wireless, già in sintonia con un altoparlante. Strumenti, specie il secondo, del tutto superflui viste le ridotte dimensioni dell’ambiente, e che Fabio paragonò a certe teiere di fine porcellana che stazionano per anni dentro una cristalliera per poi far mostra di sé all’arrivo dell’ospite giusto o della giusta occasione. Alcuni agenti, in tutta fretta, avevano provveduto ad aggiungere qualche sedia presa da chissà quale ufficio, così che tutti avessero la possibilità di sedersi. Fabio si accomodò nella seconda delle quattro file che si erano formate. Al suo fianco, sulla sinistra, c’era Stefano. A destra un metro abbondante di vuoto fra lui e il muro, uno spazio vitale per chi non ama granché la vicinanza fisica del prossimo. Entrò Lazzari e poi a seguire Bandini, che per prima cosa scansò il microfono. Nessuno fra i cronisti presenti fece domande, e anche il chiacchiericcio tipico di quelle attese, era piuttosto limitato. La tensione era quella giusta, quindi poteva fare il suo ingresso il commissario, che prese posto fra l’ispettore e il sovrintendente. Il consueto rassetto alla cravatta e un sorriso pieno e luminoso diretto a più e indefiniti punti della platea. Il vecchio commissario Solli, teatrale e narciso come al solito, ma anche terribilmente carismatico, come sempre.


29 «Buonasera a tutti e grazie per la pazienza che avete avuto, sono certo che sarà ben ricompensata da quanto stiamo per dirvi.» Una giovanissima cronista in fondo alla sala accennò un timido applauso, subito zittito dagli sguardi rapaci dei colleghi più anziani. «L’ispettore Bandini leggerà un breve comunicato, poi sarò lieto di rispondere a qualche vostra domanda.» «Che goduria!» commentò Ferrotti a voce alta. Solli lo guardò con la stessa ricercata nonchalance che è in grado di mostrare un consumato attore di rivista, e Fabio meditò su quanto dovesse costare a Bandini la partecipazione a quella sorta di teatrino. L’ispettore, come molti del resto, apprezzava le doti investigative del commissario, ma come tutti ne detestava le pose. A un cenno di Solli, Bandini si alzò, raccogliendo dalle mani di Lazzari il comunicato che finalmente avrebbe letto. Fabio accese il suo registratore. Nessun dato rilevante era emerso dai risultati dell’autopsia cui era stato sottoposto il corpo di Santacroce, né al momento c’erano novità provenienti dalla scientifica sul fronte dei rilievi operati sul luogo del ritrovamento. Veniva altresì confermata la notizia che la decapitazione non era avvenuta post mortem, bensì era stata la causa del decesso. In compenso però, continuava il comunicato, c’era qualcosa di cui rallegrarsi: le indagini avevano registrato una vera e propria svolta nelle prime ore del mattino quando, a seguito di una segnalazione confortata da “diversi e gravi riscontri”, era stato operato il fermo di polizia a carico di un individuo vicino agli ambienti del “variegato mondo delle sette, dedite a pratiche e a riti di stampo esoterico”. Per ovvi motivi, si ometteva per il momento il nome del fermato, l’autore della segnalazione e i riscontri a sostegno dell’accusa. Era stato un crescendo, così che nessuno si sarebbe a quel punto meravigliato se il comunicato fosse proseguito indicando nell’ordine: l’arresto del fermato, il conseguente processo e la sua condanna. Bandini, che per sua natura avrebbe preferito partecipare a mille inseguimenti o a cento interrogatori piuttosto che ricoprire anche solo per cinque minuti il ruolo di speaker, al termine della lettura accennò un sorriso e, bofonchiando un ringraziamento per l’attenzione, si sedette. Lazzari, così come concordato da un’abile regia, invitò i cronisti a porre domande. «Poche» si affrettò ad aggiungere «poiché il momento è importante ed esige la presenza sul campo del commissario Solli.» Com’era ovvio, la novità del fermo di polizia operato appena poche ore prima, aveva calamitato tutta l’attenzione degli astanti. Sebbene qualcosa


30 al riguardo fosse già trapelato all’esterno dei locali della questura romana, era chiaro che adesso l’ufficialità della notizia avrebbe finito per convogliare su di essa gran parte delle domande. La cosa non poteva sfuggire a un ottimo comunicatore qual era il commissario Solli che, ripresa la parola, aprì l’ombrello prima che piovessero domande. «Come avete avuto modo di ascoltare dalla lettura del comunicato, nulla ma proprio nulla, vi posso aggiungere riguardo al fermo, e so per certo che voi tutti comprendiate i motivi del mio silenzio, che in questo momento è sì a garanzia del fermato, ma anche a tutela delle nostre indagini.» Non seguirono commenti, né si udì il classico brusìo di circostanza. Tutti, Luca Ferrotti compreso, sembrarono accettare di buon grado la limitazione posta da Solli, e le domande partirono alla ricerca di altre risposte. «Commissario, ci chiedevamo come ha fatto l’assassino o chi per lui, ad abbandonare il corpo della vittima in un simile posto senza essere visto da nessuno» chiese un cronista della prima fila. Una sistemata al nodo della cravatta, un colpo di tosse, e il commissario inaugurò le sue risposte: «Siamo certi che il cadavere sia stato abbandonato sul posto del ritrovamento nella notte fra lunedì e martedì, dopo circa ventiquattr’ore dall’omicidio. Si tenga presente che, pur trattandosi del centro storico di una grande città, quella è un’area poco frequentata di notte e, inoltre, che le pur numerose telecamere piazzate nella zona, non inquadrano quel punto. A ogni modo, stiamo operando anche una ricerca di possibili testimoni, lavoro che per ora non ha dato i suoi frutti.» «Commissario, si è parlato di piccoli tatuaggi che avrebbero contribuito al riconoscimento della vittima. Ci può dire se raffigurassero qualcosa in particolare?» “Bella domanda”, pensò Fabio. Del resto proveniva da un bravo collega. Solli annuì. «Sì, si tratta di segni che sembrerebbero appartenere al mondo delle raffigurazioni esoteriche.» «Cosa significa, commissario? Cos’è raffigurato esattamente?» incalzò il reporter. Solli alzò le mani e scosse la testa. «Mi dispiace, ma per il momento non posso rispondere a questa domanda.» «È vero che la vittima aveva tatuato il nome di una donna, e che è proprio lei la persona in stato di fermo?» azzardò qualcuno. «No, non risponde al vero» fu la risposta decisa di Solli.


31 «Commissario, Santacroce era un attivista politico di estrema destra. State valutando anche l’ipotesi di un delitto politico?» chiese una cronista dalla spiccata inflessione padana. «Sì, certo!» Solli annuì. «Considerato il tipo di esecuzione, l’indagato appartiene agli ambienti dediti al satanismo?» “Domanda doverosa”, pensò Fabio. «Non possiamo escludere nulla, quindi non tralasciamo nulla» spiegò laconicamente il commissario. Le domande proseguirono per qualche altro minuto, ma nessuno dei successivi quesiti suscitò l’attenzione di Fabio. Diedero però modo al commissario di elogiare il lavoro dei suoi uomini, esaltandone lo spirito di squadra e apprezzandone quello di abnegazione. Quasi tutti i cronisti presenti non ebbero difficoltà a vedere nelle parole di Solli un’autocelebrazione, e i più smaliziati la reputarono quanto meno prematura.


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CAPITOLO 10

All’uscita, i cronisti si sparpagliarono affrettandosi a raggiungere le rispettive redazioni. Finalmente avevano qualcosa da riferire. Anche Stefano, dopo aver gironzolato inosservato per qualche minuto attorno al suo capo, si avviò in direzione dello scooter. C’era un briefing in agenda e loro erano in forte ritardo. Fabio invece si era fermato poco fuori dalla questura, per riavviare la suoneria del cellulare e controllare le chiamate e gli sms ricevuti. Anche Ferrotti si era attardato poco fuori l’uscita, a trafficare con il suo nuovissimo iPod. I due uomini, separati da pochi metri di distanza, sembravano due adolescenti alle prese con le nuove tecnologie di massa. Letto l’ultimo sms in memoria, Fabio infilò in tasca il suo cellulare e, come risvegliandosi da un lungo sonno, si stiracchiò guardandosi attorno. Sul piccolo spiazzo antistante all’entrata, in quel momento non c’erano che loro, i vecchi cronisti di nera. «Se cerchi il tuo allievo, è andato via, e per non rischiare di mancarti di rispetto ti ha salutato almeno tre volte» mormorò Ferrotti senza distogliere lo sguardo dal suo nuovo “giocattolo”. «Lo so, l’ho sentito» rispose Fabio «non sono mica rincoglionito come te.» Ferrotti non raccolse, continuava a trafficare con il suo iPod, ciondolando leggermente il capo in avanti e poi indietro. «Ciao caro, vado a lavorare, io!» gli gridò Fabio mentre si allontanava. «Scommetto un pranzo al miglior ristorante che conosci, contro un umile cappuccino da prendere in un qualsiasi bar, che il GIP non gli convalida il fermo.» Fabio si arrestò, voltandosi verso il collega. L’iPod era sparito dalle sue mani e lo guardava negli occhi. C’era aria di sfida: solo la scritta saloon appesa da qualche parte e una Colt nella fondina dei loro pantaloni sembravano mancare all’appello, unici elementi non presenti in quella che sembrava la scena di un western. Gli sguardi e la suspense invece c’erano, eccome se c’erano.


33 «Non scommetto mai contro i bravi cavalli, però se lo gradisci un cappuccino posso offrirtelo subito.» «No grazie, stai già morendo dalla curiosità. Stasera mi offri una pizza e ti racconto. Bada che è la mia ultima offerta» gli puntò un indice contro. Stavolta aveva vinto Luca. «Dall’Innominabile alle 22:00, ti va bene?» «Quel che detto è detto» rispose Ferrotti. *** Fabio girò la chiave per avviare la sua Alfa 33, e lo sguardo gli cadde sul piccolo orologio dell’auto, sistemato fra il contagiri e il tachimetro. Segnava le 19:33. Troppo tardi per tentare di raggiungere il giornale e prendere parte alla riunione, ma troppo presto per l’appuntamento con Luca, in perfetto orario invece per fare un salto a casa e godersi una meritata doccia. Passò per il Lungotevere e la scelta si dimostrò giusta, o forse era il suo pomeriggio fortunato, perché in meno di mezz’ora si ritrovò a casa. Fece partire l’ascolto della segreteria telefonica mentre si spogliava, lasciando gli indumenti sul pavimento. C’erano tre messaggi e lui li ascoltò trafficando con il sistema d’accensione del computer, un modello vecchio sempre più restio a mettersi in azione. I primi due messaggi lo lasciarono indifferente, il terzo al contrario lo turbò e non poco. Era di Ornella, la sua ex moglie, che lo invitava al prossimo pranzo domenicale. Dopo la separazione era già accaduto che pranzassero o cenassero assieme, a volte persino senza la presenza di Katia, ma dopo il divorzio non era più capitato, neppure in presenza della figlia. Adesso, poi, che Ornella conviveva con un altro uomo, l’idea di un pranzo conviviale era da considerare nella logica degli eventi impossibili. Invece rischiava di accadere, domenica. L’acqua scendeva alla giusta temperatura, e Fabio pensò che sarebbe rimasto volentieri sotto quello scroscio almeno fino al prossimo lunedì. Alle 20:30 si sedette davanti al computer. Aveva già in testa l’articolo da inviare al giornale, lo scrisse, poi premette il tasto invio e lo immaginò in buone mani. Come se attorno a sé aleggiasse la presenza della sua ex moglie e lui non volesse irritarla con la propria trascuratezza, raccolse i vestiti da terra e li depositò nel cesto dei panni da lavare, come al solito stracolmo.


34 Scese in strada, salì in macchina e ancor prima di mettere in moto introdusse nell’autoradio una cassetta di David Bowie: Hunky Dory, ed era il turno di “Life on Mars”. Arrivò puntuale all’appuntamento. A quell’ora, e di giovedì, il ristorante pizzeria distava da casa sua solo una decina di minuti in macchina, e Luca abitava lì vicino. A ben vedere, era solo la vicinanza del locale l’unica ragione che ne giustificasse la scelta. Luca, che si diceva sempre a dieta, ordinò una napoletana e una birra media scura, Fabio optò per una margherita e una lattina di Coca Cola. «Come va, amico mio?» chiese Luca dopo il primo sorso di birra. «Vuoi una risposta di cortesia o la verità?» «La verità, voglio la verità, perché è da un po’ che non mi piaci.» «La verità è che mi sento uno stronzo!» Luca non poteva lasciargliela passare. «Questo te l’ho detto anch’io, e tante volte!» sorrise. Fabio però aveva bisogno di parlare, quindi non rispose per le rime. «A volte penso che, se uscissi di scena adesso, non sarebbe un gran danno. In fondo ho avuto parecchio, una bella moglie, una splendida figlia e persino un lavoro che fino a ieri non avrei cambiato per nulla al mondo.» «E adesso Ornella non c’è più, Katia ha spiccato il volo e il tuo lavoro ormai ti annoia. È questo che vuoi dire?» Fabio annuì. «Sì, più o meno è così. Oggi all’uscita del commissariato ho riacceso il cellulare e ho controllato gli sms, sperando di trovare quello di mia figlia. Ero lì che mendicavo un saluto di mia figlia, e tramite sms per giunta. Ci pensi? Non è patetico?» «E c’era?» domandò Luca. «Intendi il messaggio? Sì c’era, ma che cambia?» Fabio si strinse nelle spalle. Quando arrivò la sua margherita, Luca aveva quasi finito la sua Napoli, così si sentì legittimato a ordinare una seconda pizza, stavolta una capricciosa. «Visto che a pranzo non ho praticamente mangiato…» si giustificò. Fabio sorrise perché immaginava cosa potesse celare quel “praticamente”. Luca continuò il discorso interrotto, rincuorando l’amico: «Non puoi dare per scontato l’affetto di tua figlia. Se oggi ti ha mandato un messaggio non è per dovere o altro, è perché ti vuole bene e non è solo perché sei il padre, è che sei un buon padre.» Un timido sorriso cercò di farsi spazio sul volto di Fabio. «È a Roma questi giorni. Ieri sera abbiamo cenato assieme» spiegò.


35 «È una ragazza meravigliosa, ne devi essere orgoglioso» Luca sorrise. Pochi istanti dopo, la porta d’ingresso del ristorante si aprì facendo entrare una donna elegantissima e molto attraente, che ebbe il potere di distoglierli per qualche secondo dalle loro considerazioni. L’ingresso del suo uomo, però, li riportò alla realtà. «Mi ha chiamato Ornella» disse Fabio, dopo aver bevuto un sorso di Coca. «Vuole risposarti?» ridacchiò Luca. Fabio sorrise e fece un gesto con la mano, come a scacciare via quella sciocchezza. «No, mi vuole a pranzo domenica. Ci sarà pure Katia, ma io penso di non andare.» «E perché? Tua moglie non cucina affatto male, almeno mi pare di ricordare.» Fabio fece una smorfia. «Non me la sento di pranzare con loro, intendo con lei e quell’idiota del suo compagno.» «Ascolta, tu vai, impacchetti quello che hanno cucinato, poi vieni a casa mia e ce lo pappiamo assieme, ok?» «Ma tu lo avresti mai detto? Invitato allo stesso tavolo della mia ex moglie e dell’idiota…» «Questo lo hai già detto» lo interruppe Luca «quello che non ti ho sentito dire è che tu accetterai, perché è soltanto un cazzo di pranzo, perché sarà piacevole per Katia sentirti al suo fianco, e infine perché finirà per far bene anche a te. Be’, di sicuro al tuo palato» gli fece l’occhiolino. Arrivò la capricciosa e Fabio ne prese una piccola porzione dal piatto di Luca. Non lo aveva mai sentito tanto vicino come quella sera, eppure si conoscevano ormai da una vita. Dal momento che Luca aveva “praticamente” saltato il pranzo, non ritenne di contravvenire alla dieta ordinando una porzione di Viennetta. «Anzi» si corresse in tempo «due porzioni, perché domani salterò di nuovo il pranzo, ho degli esami medici da fare a digiuno.» «Dove hai lasciato Zeno stasera?» gli chiese Fabio, riferendosi allo splendido boxer inglese di cinque anni, una delle ragioni di vita di Luca. «A casa, con la televisione accesa perché stasera trasmettono un film con Rex, il suo attore preferito» rise. Il locale si andava svuotando, restavano solo i tiratardi, gli inguaribili chiacchieroni come loro e la donna attraente che aveva trovato posto a un tavolo accanto. Solo in quel momento fecero caso al suo eloquio, e non poterono fare a meno di sghignazzare, tanto era intriso di volgarità e marchiani errori di sintassi. Fabio indicò i piatti vuoti e disse: «Il conto lo pago io, ma tu mi dovevi dire qualcosa o sbaglio?»


36 «Ti sbagli, era un sistema per scroccare la cena!» Eccoli, erano di nuovo tornati in forma, e il segreto era semplice: bastava che parlassero di lavoro. Luca mostrò le mani in segno di resa. «D’accordo, non sono un imbroglione e rispetto i patti, però te ne parlerò davanti a un boccale di birra seria, c’è un pub proprio qui dietro l’angolo.» Il pub era irlandese, quindi musica irlandese, dolci irlandesi, birra irlandese e dietro al banco una bella ragazza dai capelli rossi, neanche a farlo apposta di nazionalità irlandese. Qualcuno tirava freccette a un bersaglio che aveva la faccia somigliante a quella di un noto politico italiano, qualcun altro era alle prese con una partita a scacchi, ma i più si gustavano la propria birra, chiacchierando e ridendo. Fabio ordinò una Corker Murphy’s, Luca preferì una Stout Guinness, a cui aggiunse un Porter Cake, tanto dopodomani avrebbe saltato il pranzo. Quando si furono accomodati, Fabio partì alla carica: «Adesso possiamo parlare, o quello che volevi dirmi lo devo leggere domattina sul tuo giornale?» «Difficile, visto che non l’ho riportato sul pezzo.» Fabio rimase sorpreso, ma non disse niente. «Il tuo commissario, il dottor Ce l’ho solo io, è un emerito coglione, e se tanto mi dà tanto, pure la pista che stanno seguendo non è quella giusta.» La giovane barista dai capelli rossi arrivò con le due birre e il tortino chiesto da Luca, posò tutto sul tavolo e senza dire niente li lasciò di nuovo soli. A quel punto, Luca continuò: «Sai chi gli ha suggerito il nome di quel tizio che domani rilasceranno con tanto di scuse e scappellamenti?» Fabio fece segno di no con la testa. «Certo che no, perché se lo avessi saputo, ti saresti pisciato sotto dal ridere, più o meno com’è successo a me. Be’, il Grande Suggeritore è Tomasi, Elio Tomasi.» S’interruppe per vedere la reazione di Fabio, che infatti non si fece attendere. «Quel Tomasi condannato una decina di anni fa per millantato credito per quell’affare delle cliniche private? La stessa personcina che dopo qualche anno mise in giro la voce che stava trattando l’acquisto della Lazio per conto di un magnate indonesiano, salvo poi ritrattare tutto appena un momento prima che gli affibbiassero diverse accuse da


37 quella di aggiotaggio a quella di associazione a delinquere? Di quel Tomasi parli?» Luca sorrise e annuì. «Sì, proprio lui. E aggiungi che da giovanotto, ma questo lo sappiamo in pochi, fu condannato per falsa testimonianza.» Risero alzando i boccali e bevendo alla loro salute. «Però il commissario ha parlato anche di gravi fatti a sostegno» riprese Fabio. «Sì certo, gravi fatti a sostegno dell’accusa» precisò Luca. «Tu sai di cosa si tratta?» «Dimmi» lo sollecitò Fabio. «Devi sapere che adesso, questo galantuomo al servizio della giustizia, è proprietario di una piccola casa editrice. Qualche tempo fa, qualcuno gli consegna un manoscritto proponendogli la sua pubblicazione. Il titolo è provvisorio, ma può far presa: I SACRIFICI UMANI: ESSENZA DELL’UMANITÀ. Tratta di sedicenti iniziati, gente che grazie a pratiche non del tutto ortodosse sostiene di aver elevato il proprio spirito. In genere la sua casa editrice si occupa del paranormale, tipo quadri che volano, forchette che si piegano, insomma ’ste robe, ma il libro lo incuriosisce e la sinossi è accattivante. «Così decide di leggerlo lui stesso. Se è buono, farà uno strappo alla regola e lo pubblicherà. Pecunia non olet. Invece lo trova mediocre, il manoscritto finisce in un cassetto e tanti saluti. Poi è storia recente: martedì pomeriggio il ritrovamento del cadavere decapitato e tutto il cancan conseguente. Tomasi ha una folgorazione: su quel manoscritto c’era una sorta di elogio alla decapitazione, la sola azione capace, per quel matto che l’ha scritto, di liberare l’anima delle persone dall’odioso orpello contenente la sede della ragione, vera causa di tutte le disgrazie. E siccome, a quel punto, anche la figura stessa di quel tizio gli appare improvvisamente torva e inquietante, chiama la polizia. Ha ancora il manoscritto nel cassetto, una gran voglia di rendersi utile con la legge e procurarsi un po’ di pubblicità gratuita. Così stamattina la polizia, dopo aver letto quelle farneticazioni, convoca l’autore. Gli fanno una serie di domande di routine, niente di particolare, roba tipo: “Perché hai scritto queste cazzate?”, “Da dove provengono le porcherie che volevi pubblicare?”, “Lo sai che possiamo incriminarti per istigazione alla violenza?”. Insomma tutte emerite stronzate che però hanno il potere di innervosirlo. È impacciato, s’impappina, accenna un pianto. Lo lasciano andare, e del resto non potrebbero fare altrimenti. «Poi arriva Ce l’ho solo io, gli agenti lo informano sugli esiti del colloquio e lui decide di ricontattarlo. Vuole ascoltare di persona ’sto genio del male. Così partono dalla questura a sirene spiegate e arrivano


38 davanti alla sua abitazione, proprio mentre sta uscendo di casa dal retro, e sembra anche con una certa fretta. Allora lo bloccano, lui non fa resistenza, anzi giura di non averli neppure visti arrivare, ma per il commissario Ce l’ho solo io è tutto fin troppo chiaro: quello era un classico tentativo di fuga. Scatta il fermo di polizia, e il resto lo conosci anche tu. E la prova che testimonierebbe un rapporto di conoscenza fra Santacroce e quello psicopatico dell’autore sai qual è?» A quella domanda, Fabio rispose con un sorriso. «La prova regina è che entrambi hanno impresso sulla spalla un tatuaggio simile! Non è un elemento probante? Hai capito adesso perché domani Ce l’ho solo io si beccherà un bel cazziatone dal questore? Ti rendi conto su quali basi stanno accusando di omicidio quel pazzoide?» Fabio non commentò, si limitò a osservare che sarebbe stata una bella storia da raccontare ai suoi lettori. «Vado in pensione fra pochi mesi, me ne frego degli scoop, e poi sai bene quanto in certi casi sia diventato delicato l’equilibrio fra ciò che possiamo e non possiamo pubblicare. Infine, ed è la cosa più importante, ho promesso al mio cavallo che avrei utilizzato la sua confidenza solo per soddisfare la mia curiosità.» «Ti capisco» mormorò Fabio. Erano cronisti della vecchia generazione e vivevano di curiosità. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1 ..................................................................................... 5 CAPITOLO 2 ..................................................................................... 8 CAPITOLO 3 ................................................................................... 10 CAPITOLO 4 ................................................................................... 12 CAPITOLO 5 ................................................................................... 13 CAPITOLO 6 ................................................................................... 16 CAPITOLO 7 ................................................................................... 17 CAPITOLO 8 ................................................................................... 26 CAPITOLO 9 ................................................................................... 28 CAPITOLO 10 ................................................................................. 32 CAPITOLO 11 ................................................................................. 39 CAPITOLO 12 ................................................................................. 42 CAPITOLO 13 ................................................................................. 53 CAPITOLO 14 ................................................................................. 64 CAPITOLO 15 ................................................................................. 68 CAPITOLO 16 ................................................................................. 70 CAPITOLO 17 ................................................................................. 74 CAPITOLO 18 ................................................................................. 78 CAPITOLO 19 ................................................................................. 84 CAPITOLO 20 ................................................................................. 88 CAPITOLO 21 ................................................................................. 91 CAPITOLO 22 ................................................................................. 99 CAPITOLO 23 ............................................................................... 106 CAPITOLO 24 ............................................................................... 108 CAPITOLO 25 ............................................................................... 116 CAPITOLO 26 ............................................................................... 120 CAPITOLO 27 ............................................................................... 123 CAPITOLO 28 ............................................................................... 129 CAPITOLO 29 ............................................................................... 133


CAPITOLO 30 ............................................................................... 137 CAPITOLO 31 ............................................................................... 143 CAPITOLO 32 ............................................................................... 148 CAPITOLO 33 ............................................................................... 152 CAPITOLO 34 ............................................................................... 160 CAPITOLO 35 ............................................................................... 166 CAPITOLO 36 ............................................................................... 170 CAPITOLO 37 ............................................................................... 173 CAPITOLO 38 ............................................................................... 177 EPILOGO ...................................................................................... 183 RINGRAZIAMENTI ........................................................................ 185


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quinta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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