Il giorno della vendetta, Pietro Solimeno

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In uscita il /1 /20 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine RWWREUH H LQL]LR QRYHPEUH 2020 ( ,99 euro)

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PIETRO SOLIMENO

IL GIORNO DELLA VENDETTA

ZeroUnoUndici Edizioni


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IL GIORNO DELLA VENDETTA Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-422-9 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Ottobre 2020

I personaggi citati sono invenzione dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.


Nessun sogno della mia mente cancellerà mai un sogno del mio cuore. Gabriele D’Annunzio

La verità nel mio cuore cancellerà per sempre il sogno dalla mia mente



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CAPITOLO 1

La sedia era umida, quasi bagnata. A settembre la notte lasciava cadere sulle stanghe di legno delle sedie e dei tavoli un leggero strato di rugiada, segno tangibile dell’escursione termica: la stagione estiva segnava i suoi ultimi giorni. Un brivido di freddo mi attraversò, creandomi un forte senso di fastidio. Feci finta di nulla, non volevo guastare l’atmosfera così magica e irripetibile di quella sera. Il barista alle mie spalle era un uomo di cinquant’anni, di cui almeno trentacinque passati dietro quel bancone che sapeva ormai di storia. Tra le sue uniche discussioni, una in particolare lo faceva ancora sognare: quando descriveva com’era la spiaggia prima che arrivassero i turisti, quando ancora ragazzino in piena estate le persone si contavano sulle dita, e suo padre vendeva bibite immerse in una vasca di metallo piena di ghiaccio tritato. “Ancora a quei tempi non c’era la corrente!” usava ripetere sempre la stessa frase, sempre alle stesse persone, sempre alla solita ora. Quanta gente si era fermata in quel bar, quanta gente si era conosciuta e lasciata in quel bar. La stagione era ormai al termine, e la sera solo gli ultimi avventori si fermavano per bere qualcosa in tranquillità, ascoltando il rumore del mare, magari per raccontare storie o avventure vissute tanti anni prima, quando da giovani corteggiare una ragazza aveva un significato molto diverso da oggi. Forse più sincero, chissà, bastava guardare i loro occhi per percepire i ricordi che vi affioravano. Alcuni riuscivano bene a nascondere le proprie emozioni riducendole a qualche battuta, snaturando quello che in realtà pensavano, altri invece mostravano tutta la nudità del loro animo. Io sedevo sempre in disparte, aspettando pazientemente che tutti andassero via, che le luci si attenuassero per lasciare libera la vista su


6 quella meravigliosa spiaggia, dove ogni granello di sabbia custodiva un ricordo. All’una di notte le ultime persone che sedevano a poca distanza da me si alzarono per recarsi al banco. Ero un po’ divertito e un po’ incantato nel cercare di capire il loro stato d’animo. Ognuno di loro lasciava trapelare un leggero senso di dispiacere. Allontanarsi da quel posto per ricominciare la routine della vita quotidiana li faceva sentire tristi: forse avevano l’impressione di staccarsi dalla vita reale. Pagarono la consumazione e salutarono il barista abbracciandolo, con l’augurio di rivedersi la stagione successiva. Mentre si allontanavano, si voltavano sempre indietro: li immaginavo come tante anime in una stazione in attesa di un treno che li avrebbe portati inevitabilmente alla triste realtà di tutti i giorni. Le luci del ristorante vicino si spensero, e insieme a loro anche i lampioni che illuminavano la veranda che dava sulla spiaggia. Si poteva vedere chiaramente la linea che separava la sabbia dal mare. Godevo di quella calma irreale aspettando che quella sagoma apparisse, come tutte le notti, sempre nello stesso posto, sempre alla stessa ora: una mia necessità. Le luci si spensero definitivamente per lasciare spazio alla notte, l’ultimo avventore si era allontanato senza voltarsi più. L’uomo del bar si sedette accanto a me, porgendomi un’altra bottiglia di birra; non aveva voglia di tornarsene a casa, forse anche lui sentiva che quelle poche ore rimaste sarebbero state diverse dalle solite. «Manca ancora mezz’ora, pensi che verrà anche questa notte?» «Certo che verrà, non ha mai saltato un giorno; e con oggi fanno esattamente quarantadue!» «Io non ti capisco, stai qui a guardarla invece di andarle incontro, non ti capisco proprio. Al tuo posto sarei corso in spiaggia, almeno per presentarmi, per conoscerla. In fondo non sai nulla di lei. Non sei neanche riuscito a vederle il viso!» Non risposi, e lui non disse più nulla. Era entrato in armonia con il rapporto che si era creato tra me e quella figura misteriosa. Lei sapeva che ero lì, e come ogni notte lasciava cadere il suo vestito bianco per immergersi e nuotare fino a scomparire alla mia vista, per poi riapparire dopo alcuni minuti, uscire dall’acqua e infilarsi di nuovo


7 il vestito senza neanche asciugarsi, infine allontanarsi lungo la spiaggia in direzione del promontorio, fino a scomparire nella notte. «Sta arrivando, cammina molto lentamente, come sempre. Senti, mi sono permesso di portare un binocolo, di quelli che permettono di vedere anche di notte. Vuoi guardare?» Marco aspettava una risposta da me, nascondendo un sorriso intrigante. «No, non voglio guardare!» risposi fingendomi seccato. «Che testa matta che sei. Se permetti, guardo io.» «Fai come vuoi, basta che non ti fai notare. Anzi allontanati, non voglio che mi veda con qualcuno, specialmente se questo la spia.» I soliti gesti misurati, la solita calma, poi il vestito che scivola sulla sabbia e la sua figura che lentamente scompare tra le acque. Il barista non staccava gli occhi dal binocolo. Seguiva le sue bracciate verso il largo. Poi lo abbassò e mi guardò con curiosità. «Che c’è, l’hai vista in faccia?» «Macché, non sono riuscito a vederle il viso, però se può interessarti, ha un gran bel sedere.» «Smettila di fare il guardone e parla sottovoce. Vuoi farti sentire da qualcuno?» «Voglio vedere quando esce dall’acqua.» Marco posò di nuovo gli occhi sulle lenti del binocolo, aspettando ansioso il suo ritorno. «Eccola, sta tornando, nuota molto lentamente. È brava a nuotare, sembra che scivoli sull’acqua. Ci siamo, ora ti dico se ha un bel viso.» «Non credo che tu voglia guardarle solo quello.» «Sta uscendo, incomincio a vederla di nuovo.» Il binocolo era fermo, puntato su di lei, poi un’esclamazione del barista mi fece sfuggire un sorriso. «Sta a testa bassa. Non riesco a vedere il suo volto! Il resto però è fantastico, si sta rivestendo.» «La vedo anch’io. Ti ho già detto di parlare piano o sbaglio?» «Sta andando via, sempre in direzione del promontorio.» Marco abbassò di nuovo il binocolo e aspettò che sparisse dalla sua visuale, poi sedette accanto a me, versandomi ancora un goccio.


8 «Il corpo è stupendo, il viso purtroppo non sono riuscito a vederlo. Non vorrei sbagliarmi, però mi ha dato l’impressione che sapesse che la guardavo. «Non dire sciocchezze, non può vederci, e poi non c’è neanche la luna.» Dissi quella frase senza convinzione, poi il barista se ne andò, lasciandomi solo con la mia bottiglia di birra e i miei pensieri.


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CAPITOLO 2

Dormii poche ore, non riuscivo a farlo mai più di cinque, al massimo sei. La mia casa estiva era a meno di un chilometro dalla spiaggia: vicina al mio mondo. Alle nove in punto ero al solito bar, dal solito barista, e con sempre lei nella mente. «Ciao Marco, mi fai un cappuccino? Chiaro, per cortesia.» «Come sempre, chiaro e con poca schiuma. Pranzi da me oggi?» «Sì, non ho voglia di cucinare, schifo per schifo mangio da te.» «Gentile come sempre. A proposito, come va con il nuovo libro?» «Ci sto lavorando, sono quasi alla fine. Hai finito di leggere l’ultimo che ho pubblicato?» «L’ho finito, ma devo ammettere che l’ho capito poco, nel senso che qualche frase mi è sembrata un po’… come dire… strana?» «Marco! L’hai letto o hai guardato le figure?» «Non ci sono figure nel tuo libro!» «Oh Cristo!» Il cappuccino era eccellente, come la cucina del suo ristorante: ti faceva sognare. Le battute fra di noi erano ormai una consuetudine. Marco Carini, si chiamava così. Per tutti era “Marco il barista”. Ci divertivamo a sfotterci a vicenda, e la cosa andava avanti ormai da diversi anni. I pochi turisti rimasti si lasciavano abbronzare dall’ultimo sole della stagione. Qualche barca a vela si ostinava a solcare le acque tranquille della piccola cala, nonostante la bonaccia che imperversava da diversi giorni. Sembrava che la vita scorresse lentamente, segnando il passo, come volesse centellinare le ultime giornate d’estate. Presi il mio asciugamano e incominciai a camminare verso il promontorio. La parte esposta a occidente era immersa nel silenzio. Le decine di case affacciate sul mare avevano ormai le persiane chiuse. In alcune piscine


10 ristagnava l’acqua estiva, in altre erano stesi dei teloni per coprirle, mentre alcune erano state svuotate e lasciate ai raggi del sole. Un senso di tristezza circondava le ville. Alcune piante mostravano i segni dell’arsura, mentre un giardiniere si limitava a spazzare una scalinata che portava alla spiaggia, fermandosi ogni tanto a guardare il mare, come aspettasse un segno qualsiasi a predirgli l’imminente arrivo della pioggia. Mi sedetti su uno scoglio lisciato dal mare e tirai fuori il mio lettore musicale. Lo accesi, presi il mio quaderno e cominciai a scrivere. Le musiche di Bach riuscivano a creare un’atmosfera unica, uno stimolo per la mia creatività. Dopo una ventina di pagine ritornai alla realtà. Alcune persone si erano avvicinate a me. Una di loro mi chiese l’ora: «Sono quasi le tredici» risposi. Mi accorsi che il tempo era volato. Chiusi il quaderno e mi avviai verso il ristorante. Il giardiniere che spazzava le scale non c’era più. La scopa era rimasta appoggiata sul muretto, a metà della scalinata, come volesse dire: “Lui torna dopo, io non mi muovo”. Nel ristorante erano presenti una decina di persone. Alcuni sembravano turisti di passaggio, altri li avevo già visti: tre di loro abitavano non molto lontano dalla mia casa. Mi sedetti e aspettai il cameriere. A prendere l’ordine si presentò la figlia di Marco, una bella ragazza di venticinque anni che sorrideva sempre, forse troppo. Ordinai un antipasto di mare, un risotto alla pescatora e una grigliata di pesce. Per il vino chiesi un Greco di Tufo. Marco si presentò con l’antipasto e sedette al mio tavolo. «Hai scritto oggi?» «Ho scritto, ma tanto non ti dico su cosa sto lavorando.» «Ascolti sempre musica quando scrivi?» «Ascolto musica.» «E cosa di preciso?» «Questa mattina ho ascoltato il Preludio in Do minore BWC 847, lo conosci?» «Certo!» «Sai chi l’ha scritto?»


11 «Non esagerare! Lo conosco e basta. Resti qui oggi?» «No, vado a casa, devo contattare alcune persone. Vengo in serata, e sai per cosa.» «Lo immaginavo. Sono quasi due mesi che passi le serate da me, direi che sei un affezionato.» «Dato che sono un “affezionato”, potresti anche rivedere i prezzi.» «Non ti lamentare! Qui mangi sempre roba fresca e di qualità. E poi, a te non sono certo i soldi che mancano.» La risata sguaiata di Marco mi mise in imbarazzo. «Smettila, cos’hai da ridere, ci guardano tutti!» «Che te ne frega, lasciali guardare. Più guardano, più pagano.»

La sera mi accontentai di un’insalata con un pomodoro e una birra. Mi sedetti sempre sulla stessa sedia, con la stessa bottiglia e con lo stesso stato d’animo. Verso le undici il bar era vuoto e il ristorante chiuso. Era lunedì, gli ultimi turisti erano quasi scomparsi del tutto. «Il trenta di questo mese chiudo, mancano pochi giorni, tanto ormai la stagione è finita» disse pensieroso Marco. «Che cosa fai nel periodo invernale, hai un altro lavoro oppure ti godi i soldi che hai guadagnato durante la stagione?» «Faccio il muratore. Qualche lavoretto tanto per non annoiarmi e guadagnare qualcosa. E tu? Sono diversi anni che resti qui anche d’inverno, non è un po’ triste?» «Siamo noi che ci rattristiamo, non le stagioni. L’autunno è meraviglioso. Ci sono colori tanto fantastici da chiederti se siano veri, mentre il mare diventa puro, espressivo, ti parla in silenzio. D’inverno sembra che la natura si fermi, come volesse nascondere le sue cose preziose per tenerle in caldo, magari sotto la neve, pronte per ripresentarsi al momento giusto. La primavera poi, è l’esplosione della vita, ti fa volare via l’anima. Non sei d’accordo?» «Solo uno che scrive può pensare certe cose.» «Non ci vuole molto a capirle, basta fermarsi un attimo e pensare.» «Ti va un Jack, offro io?»


12 «Birra e whiskey, non male per ubriacarsi.» Il bicchiere con whiskey e ghiaccio era pieno fino all’orlo. Diedi un’occhiata a Marco per capire le sue intenzioni. Si limitò a stringersi nelle spalle come per dire: “Bevi, che ti frega!” *** Era ormai mezzanotte, tutte le luci erano spente. Sedevamo sotto un cielo umido che trasudava la fine dell’estate, la bottiglia del Jack era ancora sul tavolo. Il ghiaccio si era ormai sciolto. «Lorenzo, guarda il promontorio, c’è solo una villa con le luci accese, mentre ieri erano almeno una decina. Sai cosa significa?» «Sì, se lei verrà, sapremo dove abita e di conseguenza chi è.» Avevo una dannata paura, forse di scoprirlo, e più che altro di capire cosa potesse pensare di uno che tutte le notti la spiava mentre si spogliava e faceva un bagno. La cosa più strana è che quando conosci - per modo di dire - una persona, e non ti fai subito avanti, s’instaura una specie di complicità, una complicità che fa paura interrompere. Forse perché spesso si vive d’illusioni, di sogni, e lei era questo: una donna misteriosa che appariva esclusivamente di notte, quando la spiaggia era deserta, quando non c’era nessuno che poteva vederla, identificarla. Forse rompere quell’alone di mistero che si era creato intorno alla sua figura sarebbe stato uno sbaglio.

Era quasi l’una e trenta e la bottiglia del whiskey era quasi a metà. La testa non mi girava, al massimo c’era un leggero senso di stordimento. Marco si era addormentato sulla sedia, emetteva un sibilo nasale simile al russare. Una figura in lontananza attirò ancora una volta la mia attenzione. Aveva il passo lento ma deciso, assaporava l’ultimo calore della sabbia, il calore della superficie con il suo senso tattile. Era bellissimo vederla camminare, sembrava che i suoi piedi sfiorassero i granelli umidi di rugiada, ma allo stesso tempo morbidi, disponibili a lei, segnando la sua impronta come note musicali indelebili. Sognavo immaginando il suo


13 passo come una nota musicale mai ascoltata da nessuno, e che tutte quelle note, componessero una melodia mai udita. Il senso sublime della musica in una figura meravigliosa, sconosciuta. Mi alzai, Marco stava ancora dormendo, decisi di scendere in spiaggia. Dopo qualche metro mi fermai: era quasi arrivata al solito posto, dove avrebbe lasciato scivolare il suo vestito bianco per immergersi nelle calme acque di quella meravigliosa spiaggia. All’improvviso si fermò e volse lo sguardo verso di me, quasi con curiosità. Rimase immobile, non riuscivo a capire se mi avesse visto oppure se avesse intuito che fossi lì, più vicino delle altre volte. Riuscivo a vederla, tenue ma distinta, con i piedi sfiorava il bagnasciuga. Mi ero accovacciato, al buio con i miei abiti scuri non era possibile che percepisse la mia presenza, almeno era quello che credevo. Una flebile luce filtrava tra i pini secolari sopra il bar, la luna sorgeva senza avvertire. Forse era riuscita a distinguere la mia ombra, forse aveva sentito la mia presenza, forse sperava che fossi lì… troppi forse. La vidi immergersi nelle acque sempre più calme del mio mare, completamente vestita. Il suo abito non scivolò sulla sabbia come sempre, aveva preferito così, come se si vergognasse della mia presenza, come se sapesse che io ero lì. Aspettai per diversi minuti, sperando che tornasse in spiaggia, ma non tornò. Quella sera non la vidi più. Marco non dormiva, aveva visto tutta la scena. «Roba da matti, Lorenzo. Chi diavolo è quella, la donna dei misteri?» «Non lo so, ma questa volta ho deciso di scoprirlo.» Quella notte dormii meno del solito. La sua figura che s’immergeva in acqua vestita mi tornava continuamente in mente. Quel viso nascosto, misterioso. Era pazzesco. Magari era una persona che si stava tranquillamente facendo gli affari suoi e io l’avevo disturbata.


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CAPITOLO 3

Il mattino successivo mi recai prima del solito al bar di Marco. Un cerchio alla testa mi faceva muovere con lentezza. «Accidenti, quanto ho bevuto ieri sera?» «Il solito?» «Il solito cappuccino, per favore.» Il bar era deserto, il cielo era di un grigio plumbeo. Un leggero vento di scirocco creava dei mulinelli sulla sabbia, la spiaggia era desolata. Un paio di ombrelloni erano aperti, sotto di loro nessun lettino, nessuna sedia, niente di niente. La stagione era davvero finita. Un senso di tristezza mi prese lo stomaco. Era come se quel giorno fosse stato il primo di un nuovo ciclo. E pensare che adoravo l’autunno. Quella sensazione era diversa, nuova, mi mancava qualcosa. Forse era la paura di non rivederla più a farmi sentire così. «Marco, vado da lei, voglio scoprire chi è.» «Bravo, però prima bevi il tuo cappuccino!» «Hai ragione, grazie.» «Finalmente ti sei deciso. Tra parentesi, sono curioso anch’io. Mi raccomando, non fare sciocchezze.» «Sciocchezze? E cosa dovrei fare secondo te?» «Con le donne non mi sembri molto sveglio!» Il mare era agitato, sembrava si stesse preparando una burrasca. In lontananza alcune nuvole nere si avvicinavano velocemente. Avevo voglia di tornare indietro, di andare a casa, ma il desiderio di scoprire chi fosse era più forte di ogni altra cosa. Salii lentamente i gradini che portavano fino alla villa, l’unica rimasta con le persiane aperte e la piscina piena d’acqua ristagnante. Un uomo ostacolò la mia salita. «Chi è lei, cosa vuole, perché non si è fatto annunciare prima di salire?» «Mi scusi, ma non c’era nessuno a cui annunciarmi.»


15 «Se fosse passato dall’ingresso principale, avrebbe trovato una persona con cui farlo. Non capisco perché lei debba passare da una scala privata. Non ha visto il cartello?» Il cartello era ben visibile, l’indicazione “vietato l’ingresso” era chiara e ben leggibile. «Ha ragione, le chiedo scusa. Volevo solo sapere chi abita in questa casa.» «Nessuno con cui lei possa parlare. Adesso se ne vada, altrimenti libero i cani e la faccio sbranare.» «Vedo che con lei non si scherza… va bene me ne vado, tenga pure i suoi cani legati.» Discesi i pochi gradini molto velocemente. L’idea di avere dei cani alle calcagna non mi attirava proprio. Le risa di Marco mi fecero arrabbiare ancora di più. Mi aveva impedito di salire le scale.


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CAPITOLO 4

Ero seduto al ristorante, rimasto aperto solo per me; quel giorno ero l’unico a pranzare. Fuori iniziava a piovere e il vento si era fatto forte, un velo grigio chiaro creava una sensazione di tristezza. Chi ama e conosce il mare sa interpretare le sfumature, i colori che mostra quando la spiaggia è stanca. Come chiedesse il permesso di riposare, per poi risvegliarsi con i suoi meravigliosi colori, i suoi profumi inebrianti e la sua voglia di regalare attimi di meravigliosa vita. Mi stavo arrendendo al riposo della spiaggia quando in lontananza, in un’aria grigia e velata, notai una bambina che stentava a tenere l’ombrello aperto. Avrà avuto sei anni, forse meno. La bambina si avvicinava al bar guardandosi intorno con un’espressione mista tra la curiosità e la paura. Dopo poco salì i quattro gradini della veranda, chiuse il suo ombrellino con molta delicatezza e lo depose accanto allo stipite dell’ingresso. Appena alzò la testa, il suo sguardo incrociò il mio. Aveva un vestitino bianco, bagnato, i capelli biondi con dei boccoli che le scendevano sulle spalle la rendevano bellissima. Un fermacapelli azzurro rifletteva il colore degli occhi, e rifiniva la sua bellissima immagine. Il suo sguardo non si staccava dal mio, sembrava cercasse di capire chi fossi in realtà. Poi guardò verso l’ingresso del ristorante ed entrò. La vidi avvicinarsi a me, molto lentamente, come se mi studiasse e cercasse di capire qualcosa di più. Infine si fermò, sempre guardandomi: aspettava qualcosa. Le feci cenno di avvicinarsi, stentando un sorriso non troppo convinto. Portava un tipo di scarpe simili a quelle che indossano le ballerine quando sono su un palco a provare i loro passi di danza, quando si esibiscono nei loro migliori movimenti davanti una folla pronta a giudicarle. La immaginai mentre misurava i suoi movimenti, magari guidata da una figura femminile che le dispensava consigli, ma


17 l’immagine era evanescente, come la giornata. Mi sembrò subito molto strano un simile abbigliamento per stare in spiaggia. La bambina si era avvicinata al mio tavolo, con la mano sinistra estrasse una busta azzurra dalla tasca del suo vestitino. Si avvicinò ancora tenendola all’altezza dei miei occhi, voleva farmi vedere che aveva qualcosa d’importante da consegnarmi. Afferrai la busta senza staccare gli occhi dai suoi. La sua espressione era sempre uguale, non lasciava trasparire nessun segno, nessuna emozione: aveva l’espressione di una bambina triste ma decisa a fare bene il suo compito. Poi, sempre lentamente, si voltò e uscì dal ristorante. La seguii con lo sguardo, e anche lei seguì il mio, come cercasse ancora una volta di capire chi fossi. Prese il suo ombrellino, lo aprì e scese i gradini che portavano sulla spiaggia, infine si allontanò in direzione del promontorio senza voltarsi, fino a scomparire nel grigio della giornata, in quel velo di meravigliosa opaca tristezza. “Non è possibile” pensai tra me, “ma cos’è questo, il mondo delle favole?”. La busta non era bagnata. Mi tremavano le mani, la aprii. Un foglio di carta color crema con i bordi sfrangiati e un testo scritto a mano in corsivo con una calligrafia mai vista prima mi fece incuriosire. Sembrava un testo scritto dagli amanuensi nel periodo del medioevo, ma con un tocco molto ricercato. A tratti sembrava che avesse interrotto i pensieri, come se l’autore di quelle righe, soffrisse. Poi una parola scolorita, e la carta umida, come se una lacrima vi si fosse posata delicatamente sopra, per poi scivolare via, insieme ai suoi pensieri. Mi guardai intorno per vedere se qualcuno mi stesse osservando, poi chinai di nuovo la testa sul foglio e iniziai a leggere. Caro Signor Canelli… caro Lorenzo… Se la bambina avrà assolto il suo compito, lei starà leggendo questa lettera, mentre io sto rileggendo uno dei suoi libri. Ho sempre saputo, ho sempre sentito la sua presenza sulla spiaggia. Non ho mai fatto nulla per farle capire che io sapevo. Sentivo il suo


18 sguardo su di me, sul mio corpo. Non parlo della mia nudità, non è questo che mi dà fastidio, a parte il suo amico con il visore notturno! Non se la prenda, non le sto facendo alcun rimprovero. La ringrazio per avermi lasciato la mia libertà, la libertà di essere me stessa, senza che nessuno mi disturbasse. So che un mio amico non le ha permesso di entrare, perché lei non dovrà mai sapere chi sono, per il mio e per il suo bene. Dimentichi anche la bambina, la mia dolce bambina, l’unica cosa vera che mi è rimasta nella vita. Le dico addio a malincuore, ma come le ho già detto, è per il bene di entrambi. La ringrazio per non essersi fatto avanti più di tanto, anche ieri notte. Addio A. K. Questa proprio non me l’aspettavo. «Marco!» Marco leggeva la lettera e scuoteva la testa. «Marco, l’hai mai vista quella bambina?» «Bambina? Io non ho visto nessuna bambina!» «È mai possibile che non si riesca a sapere chi è questa gente?» «Dammi qualche minuto, ho un amico in Municipio, lui saprà dirmi chi abita in quella villa.» Marco si precipitò al telefono e compose un numero. Parlò per cinque minuti, poi riattaccò il ricevitore e mi guardò. «Allora, cos’hai scoperto? Forza, non tenermi sulle spine!» «Niente, secondo loro quella villa è disabitata da cinque anni. Prima era di un armatore greco, poi lui è morto. Sembra che sia stata ereditata da una signora anziana, probabilmente la sorella. A quanto sembra è morta anche lei. Tutto viene pagato regolarmente, anche se per loro non ci abita nessuno. «Non è possibile!» esclamai sorpreso e un po’ frustrato, poi guardai l’ora, si era fatto tardi e decisi per il momento di lasciar perdere «ora devo andare, ho un appuntamento con il mio agente. Ci vediamo questa sera. Se lei verrà, stai sicuro che questa volta dovrà parlare con me.


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A mezzanotte ero seduto sulla solita sedia, con i soliti pensieri e con Marco accanto a me. La bottiglia iniziata la sera prima era ormai al fondo. Quella sera Marco era vigile, per nulla al mondo si sarebbe perso la scena. La curiosità si era impadronita di lui. Aveva montato una macchina fotografica su un cavalletto, con un obiettivo notturno e un telecomando per azionare lo scatto. Cercavo di capire cosa gli passasse per la testa, così preso dalla situazione non l’avevo mai visto. «Scusami, Marco, non è che tu di professione fai il guardone? Guarda che attrezzatura!» Un’occhiataccia mi fece andare di traverso l’ultimo sorso di whiskey. Mancavano pochi minuti all’una e trenta di notte. Il tempo non passava mai. Lo sguardo andava dall’orologio alla spiaggia. Lei non arrivava. Sul promontorio anche l’ultima luce si era spenta. Anzi, quella notte non si era mai accesa. Probabilmente era andata via il giorno stesso, magari subito dopo che mi aveva fatto consegnare la lettera. Alle due e trenta decidemmo di andare a dormire. Forse non l’avrei più rivista.


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CAPITOLO 5

Altri mesi passarono in quell’inverno che sembrava interminabile, di lei non mi era rimasto che il ricordo, quasi evanescente, sfumato dal freddo della stagione. Anche il mio ultimo libro era stato pubblicato. Feci avere a Marco una copia con la mia dedica, avevo scritto: “Dedicato a un amico e a una donna misteriosa”. Altro tempo passò, finché un giorno a Milano, all’Hotel Cavour, durante una delle presentazioni del mio ultimo libro, successe qualcosa. La sala era gremita di gente, perlopiù appartenevano al mondo dell’editoria, altri erano curiosi e appassionati che aspettavano una mia dedica sul libro, e altri critici incazzati con me per il mio rapporto con le religioni. Era arrivato il momento di firmare i libri, dopo pochi minuti mi passò velocemente davanti una copia tenuta da due manine che spuntavano dalla mischia che si era creata intorno al banco. Sul dorso di una delle manine era disegnata una ballerina in punta di piedi. In un primo momento non ci feci caso e apposi la solita firma sulla pagina iniziale. Poi, mentre continuavo a firmare le altre copie, mi ritornarono in mente quelle manine che avevano ritirato il libro velocemente, più che altro il disegno della ballerina fatto con mille brillantini colorati. Il salone era ancora gremito di gente. Riuscii a farmi largo tra la folla e raggiungere l’uscita. L’unica cosa che vidi fu una Mercedes nera partire a forte velocità, per poi perdersi nel traffico caotico della città. Era lei, la bambina della pioggia. Probabilmente in macchina c’era anche la madre, cosa ci facevano a Milano? Gongolavo all’idea che fosse venuta per me. Perché aveva mandato la bambina? Perché non era venuta lei? Uscii dal salone diverse volte per vedere se fosse tornata, se quella macchina fosse parcheggiata nei dintorni, ma non vidi nessuno.


21 Che motivo c’era? Se avesse voluto vedermi, si sarebbe fermata ad aspettare, sarebbe venuta lei da me, senza mandare la bambina. *** L’inverno fu molto lungo, anche se devo ammettere molto particolare. Non passava giorno che non pensassi a quella donna. Non passava notte che prima di addormentarmi non la rivedessi immergersi in quelle acque con quella luna che cercava di scoprirmi. Marco mi telefonò ringraziandomi per la copia del libro che gli avevo inviato e m’invitò per l’apertura dello stabilimento. Accettai l’invito, il giorno dell’apertura ero di nuovo da lui.


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CAPITOLO 6

«L’ho letto, tutto d’un fiato. Un racconto bellissimo, incredibile. Questa volta l’ho capito subito e poi, se non sbaglio, la tua donna del mistero è il fulcro intorno a cui ruota tutta la storia.» «L’hai riconosciuta? Lo immaginavo, solo tu potevi ricollegare gli avvenimenti.» «Oggi, caro Lorenzo, sarai mio ospite sia a pranzo che a cena.» «Va bene a pranzo, Marco, a cena no. Questo è il tuo lavoro, non posso permetterlo.» «Non dire idiozie, tu ormai sei uno di famiglia, sei un amico, dico davvero! Lo diceva sempre Maria che tu sei un amico vero.» Quelle parole dette così spontanee mi misero in imbarazzo. Non credevo che sentisse così reale la nostra amicizia. Da quando aveva perso la moglie per quell’accidente di tumore, sembrava non volesse più riprendersi, invece aveva reagito con una forza che non mi sarei mai aspettato. «Lo devo a mia figlia» erano sempre queste le parole che mi ripeteva «devo continuare per mia figlia! In culo al mondo, solo per lei.» Non era del tutto vero, si nascondeva dietro quello scopo: aiutare sua figlia, ma in realtà la voglia di arrendersi era grande. Troppe volte lo avevo trovato chiuso in una stanza a urlare tutta la disperazione che sentiva. Una volta con un calcio scardinai la porta, lo afferrai per le ascelle e lo alzai da terra, poi con forza lo portai a casa mia e ci ubriacammo insieme. La figlia era una venticinquenne tutto pepe che passava da un’avventura all’altra. Marco mi diceva sempre che “non trova un palo”, un vecchio detto maremmano per indicare una persona che non riesce a fare una cosa o a stare con una persona per troppo tempo. Cambiava ragazzi come si cambiano un paio di calzini.


23 Una volta provò a fare la scema anche con me. La trattai così male che non mi parlò per due mesi. Marco capì la situazione, quindi consigliò alla figlia di farla finita, altrimenti a forza di calci nel sedere le avrebbe fatto fare il giro dello stabilimento. «Le ville sono quasi tutte aperte, compresa quella dove dicono che non ci stia nessuno.» «Ho visto, Marco, ho visto. Tempo al tempo, qualcosa succederà, non credi?» Marco non rispose, si limitò a stringersi nelle spalle ancora una volta, poi fece un urlo alla figlia che stava in piedi su di una sedia, tentando di arrivare in cima a uno scaffale: con la minigonna sollevata metteva in mostra le sue mutandine fin quasi alla schiena.

Il sole era caldo, il mare invitante. Chiesi a Marco di darmi un’imbarcazione, volevo remare fino al largo. Un yacht era ormeggiato a duecento metri dalla riva. Avevo deciso di farci un giro intorno. Dovetti ammettere che in costume facevo un po’ schifo. Avevo messo su un po’ di pancia e la cucina di Marco durante la stagione estiva non mi avrebbe certo aiutato. Remavo con fatica in un mare calmo che sembrava una tavola. Dovevo farcela, il movimento era importante, e io non volevo arrendermi alla fatica. L’acqua era limpida; sul fondale si distinguevano branchi di pesci colorati che passavano velocemente. Lo yacht era ormai a meno di cinquanta metri, girai l’imbarcazione per remare in avanti. “Bella barca” pensai, “il nome è Ariaghne. Un nome greco composto da ari e haghne, significa ‘casta, sacra’. In italiano è Arianna”. Un gommone mi passò a meno di cinque metri. L’onda spostata mi fece sobbalzare facendomi scivolare sul pianale. «Che ti venga un colpo!» urlai a denti stretti. Quando batti il sedere non sai se piangere o ridere dal dolore. Mi sedetti di nuovo sulla panca e continuai a remare verso lo yacht, quando la mia attenzione fu attratta da una figura minuta, infantile, sulla prua della barca. Era una bambina bionda. Furono i suoi occhi e il suo sguardo a farmi trasalire.


24 Un crampo allo stomaco mi fece smettere di remare. Quello sguardo, quegli occhi chiari erano quelli della bambina della pioggia, la bambina che mi aveva consegnato il messaggio. Continuò a guardarmi ancora per qualche momento, poi si allontanò entrando nella cabina. Il rumore della catena dell’ancora mi fece capire che stavano per salpare. I motori cominciarono a rombare e una nuvola di fumo comparve a poppa della nave. Lentamente si muoveva. Diresse la prua verso il porto dietro il promontorio, poi aumentò la velocità e si allontanò. Ero rimasto inebetito. Speravo d’incontrarla, ma certo non così presto! La piccola imbarcazione che mi aveva dato Marco sembrava tagliare le onde, non sentivo più la fatica. Dovevo arrivare al porto prima che scendesse dallo yacht. Però dovevo prima arrivare a riva. Corsi verso il bar di Marco, lui mi guardava incuriosito. «Hai visto uno squalo?» «Peggio. Cristina, prestami il tuo motorino!» Cristina, la figlia di Marco, mi guardò stupita. «Prendilo, basta che ci metti la benzina.» «Ci arrivo al porto?» «Per arrivare ci arrivi, però non so se torni indietro. A proposito, è senza bollo e senza assicurazione.» Il “ma che sei scema?” del padre, fu la scintilla per farli litigare di nuovo. Partii di corsa, non prima di aver preso dallo zaino una copia particolare del mio ultimo romanzo. Mi ero infilato una maglietta. Il porto era ad appena due chilometri dalla spiaggia, forse avrei fatto in tempo. Imboccai la salita del promontorio, sobbalzando sulle buche dell’asfalto. Massimo cinque minuti e sarei arrivato. Il guardiano del porto, vedendomi arrivare a folle velocità, chiuse immediatamente la sbarra impedendomi l’ingresso. «Lasci il motorino e vada a piedi. L’ingresso ai mezzi motorizzati non è consentito, a meno che anche lei non abbia una barca ormeggiata in questo porto o un’attività all’interno. In tal caso dovrebbe avere un permesso. Ce l’ha?»


25 «No che non ce l’ho il permesso. Per quanto riguarda la barca, cosa gliene frega a lei se io ce l’ho o no?» «Si faccia da parte per cortesia, non insista. Se vuole entrare lasci il mezzo e prosegua a piedi.» Proseguii a piedi attraversando un vialetto in mezzo agli alberi, finché l’alluce del mio piede sinistro urtò una pietra che sporgeva dalla pavimentazione. Una fitta di dolore mi fece imprecare maledicendo la mia fretta e le scarpe lasciate nella cabina sulla spiaggia. Riuscii a malapena a intravedere una Mercedes nera che usciva dal porto a forte velocità, per poi scomparire dietro la curva che immetteva sulla provinciale. In lontananza vidi la sagoma dello yacht ormeggiato sulla banchina che dava verso i negozi. Mi avvicinai con circospezione, non volevo che qualcuno mi notasse. Un meccanico stava salendo a bordo con la sua attrezzatura, probabilmente per la solita routine dei controlli. Mi feci coraggio. «Salve, è già sbarcata la signora?» «Sì, sono andati tutti via in questo momento, se fosse arrivato un minuto prima li avrebbe incrociati. Chi è lei, un amico?» «Sì, sono un vecchio amico. Sa dove sono andati? Volevo salutarla.» «Sono in villa, sul poggio del promontorio, dalla parte che guarda la spiaggia. Vuole lasciargli un messaggio?» «La conosce bene?» «Con Arianna ci conosciamo da diversi anni, è una mia cliente.» «Mi faccia una cortesia, le consegni questo, lei sa di cosa si tratta.» «Va bene, me lo passi.» Mi avvicinai salendo sulla passerella e lasciai nelle mani del meccanico una copia del mio ultimo romanzo, incartato come fosse un regalo pregiato. Si trattava di una copia rilegata a mano, con una dedica nello stesso carattere con cui lei mi aveva scritto la lettera quel giorno di fine estate. Un esperto di computer era riuscito a ricreare lo stesso carattere scannerizzando il foglio, ricostruendo lettera dopo lettera la dedica. Avevo scritto: “Io sarò sempre lì, come ogni notte ad aspettare in silenzio, finché non si fermerà a guardare verso di me, chiedendomi chi sono”.


26 Uscii dal porto quasi soddisfatto, presi il motorino di Cristina e tornai in spiaggia. La benzina bastò per arrivare fino alla discesa, in direzione del bar. «Non dirmelo! Sei riuscito a consegnarle una copia del libro!» «Non direttamente, l’ho lasciata nelle mani del meccanico di bordo. Lui mi ha garantito che gliel’avrebbe consegnata.» «Perfetto allora, meglio di così. Andiamo a mangiare?» Mangiavamo una frittura di calamari e gamberi guardandoci in faccia come due belve fameliche che si contendono il piatto. La frittura di Marco fa sognare, raramente si mangia pesce così buono e fresco. All’improvviso Marco si voltò verso la spiaggia, delle urla ci fecero trasalire. D’istinto lui cominciò a correre in direzione delle urla, io lo seguii cercando di capire cosa stesse succedendo, mentre alcune persone si gettavano in acqua e nuotavano vigorosamente verso il largo. In lontananza si vedeva una persona in difficoltà. Marco trascinò un mezzo di salvataggio in acqua, aiutato da altri bagnanti, e cominciò a remare verso la persona che annegava, ormai non agitava più le braccia. I primi soccorritori arrivarono sul posto e s’immersero subito, la persona era scomparsa. Il tempo passava velocemente, e dentro di me credevo che non ce l’avrebbe fatta. Finalmente riuscirono a farla riemergere e adagiarla sopra il mezzo. Era una donna. Qualcuno urlava chiedendo se ci fosse un medico nei paraggi. Nessuna risposta da parte dei bagnanti. Mi feci avanti, non so con quale coraggio ma lo feci. La barca arrivò sulla battigia e adagiarono la donna sulla sabbia. Non respirava più, gli occhi erano aperti, assenti. Riuscii a farmi largo tra la folla mentre Marco bestemmiava con le mani tra i capelli. Mi chinai su di lei per ascoltare il battito cardiaco. Il cuore non batteva. Arresto cardiaco e respiratorio. Riuscii a piegarle la testa all’indietro tenendole una mano sotto la nuca, e cominciai a insufflarle aria. Era la prima volta che facevo una respirazione artificiale. Le salii letteralmente sopra, con le gambe divaricate, iniziando il massaggio cardiaco.


27 Continuai per qualche minuto, stavo per arrendermi, non riuscivo a farle riprendere conoscenza. Un colpo sferrato con forza sul suo torace la fece curvare come un arco, pensavo di averle rotto lo sterno. Un colpo di tosse, poi un getto d’acqua che usciva dalla sua bocca sollevò un urlo di approvazione da parte dei presenti. La donna aveva ricominciato a respirare. Il polso era tornato regolare, frequente ma regolare. La girai di fianco per non farle ingerire di nuovo l’acqua che stava buttando fuori, poi mi accorsi che piangeva. La sirena dell’ambulanza fece aprire un varco tra la folla. Un infermiere con un medico mi chiesero di spostarmi e si presero cura della donna. Mi allontanai, seguito da Marco, mi tremavano le gambe, avevo paura di svenire da un momento all’altro. «Le hai salvato la vita, io me la stavo facendo sotto!» «Accidenti! Non c’è un bagnino su questa spiaggia?» «Certo che c’è, ma io non l’ho visto. Quando lo trovo lo strozzo con le mie mani. Hai ancora fame?» «Io no, e tu?» «Nemmeno io.» Anche la cena saltò, non mi sentivo di mangiare. Quella scena mi aveva lasciato una morsa allo stomaco. La faccia di quella donna con gli occhi spenti mi era rimasta fissa nella mente. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1................................................................................ 5 CAPITOLO 2................................................................................ 9 CAPITOLO 3.............................................................................. 14 CAPITOLO 4.............................................................................. 16 CAPITOLO 5.............................................................................. 20 CAPITOLO 6.............................................................................. 22 CAPITOLO 7.............................................................................. 28 CAPITOLO 8.............................................................................. 33 CAPITOLO 9.............................................................................. 36 CAPITOLO 10............................................................................ 45 CAPITOLO 11............................................................................ 49 CAPITOLO 12............................................................................ 55 CAPITOLO 13............................................................................ 58 CAPITOLO 14............................................................................ 62 CAPITOLO 15............................................................................ 71 CAPITOLO 16............................................................................ 77 CAPITOLO 17............................................................................ 81 CAPITOLO 18............................................................................ 88 CAPITOLO 19............................................................................ 93 CAPITOLO 20............................................................................ 97 CAPITOLO 21.......................................................................... 100 CAPITOLO 22.......................................................................... 103 CAPITOLO 23.......................................................................... 105 CAPITOLO 24.......................................................................... 110 CAPITOLO 25.......................................................................... 112 CAPITOLO 26.......................................................................... 114 CAPITOLO 27.......................................................................... 117


CAPITOLO 28.......................................................................... 121 CAPITOLO 29.......................................................................... 130 EPILOGO ................................................................................. 135


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