Il complotto, Antonio Ippoliti

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In uscita il /1 /20 (15, euro) Versione ebook in uscita tra fine RWWREUH e inizio QRYHPEUH 2020 ( ,99 euro)

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ANTONIO IPPOLITI

IL COMPLOTTO

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ IL COMPLOTTO Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-419-9 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Ottobre 2020


A Ornella



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CAPITOLO 1 - UNA TELEFONATA MISTERIOSA

L’aria fresca della sera scompigliava impetuosa i quattro capelli ancora attaccati al mio cuoio capelluto. Richard, al solito, guidava placidamente la grossa Mercedes cabriolet. Un’andatura tranquilla, quasi imbarazzante. Ci sorpassavano tutti, anche i motocicli. «Ho fame» provai a dire, senza molte speranze. Lui, infatti, non si scompose. «Anita ha detto che la cena sarà pronta per le otto, e tu sai che è puntuale» rispose senza distogliere gli occhi dalla strada. Anita era la donna tuttofare che si occupava della villa di Richard ed era molto pignola su certe cose. Mi rassegnai: alle otto mancava ancora quasi un’ora. Ripresi a immergermi nei miei pensieri. Tornavamo a Sabaudia dopo l’ennesima battuta di pesca di quei giorni. Avevamo ancorato lo yacht presso il porto di Terracina, e nel cofano della Mercedes c’era il freezer con una decina di spigole, qualche orata e un dentice di almeno dieci chili. Dopo l’ultima, appassionante, avventura che ho narrato nel mio recente romanzo “La casa sul promontorio”, c’eravamo concessi qualche settimana di puro e salutare riposo. Richard, da tempo, aveva affidato la direzione della sua società finanziaria a un amministratore di assoluta fiducia, che sicuramente ne sapeva molto più di lui di borsa e di mercati. Del resto, fino a qualche anno prima, il mio amico aveva lavorato alle dipendenze di Scotland Yard e si era occupato quasi esclusivamente di ladri e di assassini, salvo poi ereditare la ricca società del padre, alla morte di quest’ultimo, insieme alla lussuosa villa sul lago di Sabaudia. In verità i rapporti con suo padre non erano mai stati idilliaci, tanto che, fin da giovane, Richard aveva preferito percorrere la carriera di


6 detective per acquisire indipendenza da una figura paterna severa e autoritaria. Ma tutto questo l’ho già raccontato nel mio precedente libro. Fatto sta che Richard, dopo essersi licenziato da Scotland Yard ed essersi trasferito in Italia, sede della società del padre, aveva preferito rimanere nel campo dell’investigazione, anche se privata e, per una serie di fortunate coincidenze, aveva scelto me, ex carabiniere in pensione, come suo collaboratore. Gli serviva un detective che conoscesse l’ambiente e le procedure del nostro Paese, ma presto il rapporto tra noi due non si limitò alla sfera lavorativa: diventammo ottimi amici. Lui, a prima vista, poteva sembrare il classico snob inglese, impeccabile dalla testa ai piedi, con quei suoi baffetti estremamente curati, i radi capelli pettinati ordinatamente all’indietro, l’eleganza con cui indossava anche gli abiti più semplici, ma sotto quella scorza, neppure tanto spessa, si celava il cuore d’oro e la passionalità tutta mediterranea ereditata dalla madre, napoletana di nascita. «Ah, dimenticavo!» Richard interruppe improvvisamente i miei pensieri «il signor Bacciani ci ha invitato alla festa di fidanzamento di sua figlia, il prossimo sabato. Torneremo nella casa sul promontorio, ti va?» «Eccome!» mi affrettai a rispondere. Come ho raccontato nel libro, avevamo salvato Elisa da una morte orribile ed ero contento che si apprestava a fidanzarsi con Mauro, quel bravo giovane che in un primo tempo fu il sospettato numero uno del rapimento della ragazza. «Sarà una cerimonia in grande?» «No, Bacciani ha detto di aver invitato solo gli amici più intimi, ma ci ha pregato di non mancare.» «Sono contento di…» Il trillo del telefono della Mercedes m’interruppe. Richard attivò il vivavoce: «Pronto?» Udimmo una voce profonda e pacata: «Buonasera, sono Sandro Pacinelli, Il direttore del Corriere Nazionale…»


7 Per un attimo ci guardammo stupiti. Il Corriere Nazionale era il più importante quotidiano d’Italia, e Sandro Pacinelli ne era il famoso direttore. Non lo avevamo mai incontrato. Sul volto di Richard apparve un sorriso sardonico. «E io sono Napoleone Bonaparte. In cosa posso esserle utile?» Dall’altro capo del telefono ci giunse una fragorosa risata. Aspettammo la replica. «No, guardi…» continuò la voce in tono divertito «non si tratta di uno scherzo. Sono proprio io, il vecchio, cocciuto e odiato Sandro Pacinelli. Un amico comune mi ha dato il numero del suo cellulare. Parlo del colonnello Altieri.» Conoscevamo bene il colonnello Altieri, era un nostro grande amico e lavorava nei servizi segreti. La cosa si faceva seria. Richard, però, appariva ancora dubbioso. «Ah, il simpatico Altieri! L’ho incontrato l’altro giorno a Roma, stava con sua moglie…» Dall’altra parte del telefono ci giunse ancora la fragorosa risata di prima. «Lei è una lenza, mister Green!» riprese il tizio, più divertito di prima «so benissimo che Altieri non è mai stato sposato e che in questo periodo è a Milano, dove l’ho incontrato l’altro ieri.» Richard annuì, corrugando la fronte. «D’accordo, lei è Sandro Pacinelli. A cosa devo la sua telefonata?» Il tono della voce di Pacinelli divenne improvvisamente serio. «Altieri mi ha parlato di lei come persona d’indubbia onestà e lealtà. Lei è un investigatore abile e intraprendente. In questo momento ho molto bisogno di un uomo così. Ho un affare molto delicato tra le mani, e lei mi potrebbe essere di grande aiuto.» Il mio amico mi rivolse uno sguardo indecifrabile, appariva perplesso. «Signor Pacinelli… mi scusi ma non capisco. Lei è una persona famosa, conoscerà senz’altro un sacco di gente, anche tante agenzie investigative. Insomma… perché proprio noi?» «Mi aspettavo questa domanda» rispose l’altro «ma sarebbe troppo lungo darle una risposta per telefono. Altieri mi ha assicurato che lei e il suo amico siete persone molto esperte ed efficienti ma,


8 naturalmente, non è solo questo che mi ha spinto a chiamarvi. È vero, conosco tante persone molto abili nel campo investigativo ma ho bisogno di gente come voi, fuori da certi circuiti e certe realtà. Non posso dirle altro per telefono. La questione è molto delicata e spero proprio che lei non vorrà negarmi il suo aiuto.» Richard fermò l’auto in una piazzola di sosta. Abbassò il volume del vivavoce e mi guardò ancora dubbioso. Poi riprese il dialogo telefonico: «Signor Pacinelli, lei si renderà conto che mi sta dando informazioni troppo evanescenti e frammentarie. Io non la conosco di persona, lei mi telefona e mi dice che ha una faccenda scottante tra le mani e che solo gente come me e il mio amico può aiutarla a sbrogliare la matassa. Appare tutto molto strano e io, quando un affare si presenta strambo, non lo prendo in considerazione.» Gli mostrai la mano destra col pollice alzato per fargli capire che ero d’accordo con lui. L’altro, tuttavia, non apparve scoraggiato. «Ha ragione, la penserei così anch’io, ma penso di avere una carta vincente per convincerla.» Richard mi guardò, assorto. Poi si rivolse al tizio. «Mi dica…» «Domani dovrà controllare le notizie provenienti dal Lussemburgo. I giornali riporteranno la morte incidentale del figlio di un ricco uomo d’affari. È un fatto che ha a che fare con questa mia telefonata, ed è una notizia non ancora battuta da nessuna agenzia: pochissime persone la conoscono. Può controllare se vuole. Rimarrò in attesa al cellulare.» «D’accordo, attenda un attimo…» Richard mi fece un cenno e io tirai fuori il mio cellulare dalla tasca della giacca. Sul motore di ricerca digitai: “Morte ragazzo ricco Lussemburgo”. Guardai i risultati della ricerca, non c’era nulla di attinente alla notizia. Digitai ancora altre parole ma i risultati della ricerca non parlavano di alcuna morte recente di rampolli di ricche famiglie lussemburghesi. Guardai il mio amico scuotendo la testa per confermargli l’esito della ricerca. Richard riprese il dialogo al telefono. «Ok, non c’è nessuna notizia del genere.»


9 «Bene, questo dovrebbe farle capire che, se domani i giornali riporteranno la notizia, questa mia telefonata non è uno scherzo ma si tratta di roba maledettamente importante.» «Mi ha detto che si tratta di una notizia che ha a che fare con il caso che vuole sottoporci?» «Sì, ma non mi chieda di più. Per telefono non posso dirle altro.» Richard rifletté un attimo, poi riprese: «Le faccio presente che, se anche la cosa dovesse interessarmi, non ho alcuna intenzione di andare a indagare così lontano da dove vivo attualmente.» «Non si preoccupi per questo» ribatté l’altro «purtroppo la partita si sta giocando dalle nostre parti. Non credo che dovrà allontanarsi molto da Roma.» «Uhm… la cosa rimane nebulosa» commentò il mio socio «comunque vediamo quello che scriveranno domani i giornali. Le farò sapere.» Richard cercava di nascondere la sua eccitazione ma io, che lo conoscevo benissimo, sapevo che stava già sui carboni ardenti per la curiosità. «Se quello che mi ha detto il colonnello Altieri di lei è vero, domani appena avrà letto quella notizia, mi telefonerà» sostenne l’altro con sicurezza. «Può darsi!» rispose il mio amico, cercando di rimanere sul vago. Seguì una breve pausa, Pacinelli sembrava riflettere. «Nel frattempo, mio malgrado, devo chiederle due cose, mister Richard» aggiunse. «Mi dica, vedrò se posso accontentarla…» «Sono due cose molto importanti… so che dopo questa telefonata cercherà di contattare il colonnello per chiedere di me. Ecco… non lo faccia. Non glielo chiedo per timore di essere smentito ma perché temo che il cellulare del nostro amico sia sotto controllo, e questo rappresenterebbe una grave minaccia per tutti noi.» Richard storse la bocca. «Una richiesta impegnativa… lei capisce che il colonnello è l’unica persona che possa garantirmi che lei sia il personaggio che dice di essere. Basterebbe che mi confermasse di averle dato il mio numero di cellulare.»


10 «Lo so» ribadì l’altro «ma se le faccio questa preghiera, è perché ho motivo di credere che sia fondata.» Richard apparve contrariato ma acconsentì. «Va bene, non contatterò il colonnello… e la seconda richiesta?» «Non mi richiami al numero che compare sul suo cellulare. Dopo questa telefonata distruggerò la SIM e ne userò un’altra. Può prendere nota del nuovo numero che sto per dirle?» Richard m’indicò il mio cellulare e io annuii. «Sì certo, me lo dica.» Il tizio dettò il nuovo numero e io lo segnai sulla mia rubrica telefonica. «Bene, per il momento può bastare così» disse infine il presunto direttore «aspetterò la sua telefonata domani mattina. Mi raccomando!» «Vedremo… buona serata» concluse Richard. L’altro rispose al saluto e riattaccò. Il mio socio mi guardò per qualche secondo senza dire una parola. «Che ne pensi?» si decise a chiedere. Cercai di scherzarci su. «Una burla! Qualche amico di Altieri che ci conosce e vuole prenderci in giro. Vedrai che domani non ci sarà nessuna notizia del genere e riceveremo qualche telefonata con tanto di risate e sfottò!» Lui non rise con me e rimase perplesso. «Può darsi, ma mi sembra uno scherzo troppo complicato. Potevano architettare qualcosa di molto più semplice e più gioviale. E poi… quella voce un po’ rauca e aspra somiglia molto a quella dell’autentico Pacinelli. L’abbiamo sentita spesso in televisione.» Per qualche attimo cercai di riflettere, ma la situazione continuò a sembrarmi inverosimile. «Non so cosa pensare. Uno come Pacinelli conosce una quantità enorme di persone, come tu stesso gli hai fatto notare. Mi sembra assurdo che per una questione, che definisce così importante, si rivolga a degli sconosciuti.» Richard, per un attimo, fissò l’asfalto della strada davanti a sé, poi sembrò scuotersi e rimise in moto l’auto con decisione.


11 «Forse hai ragione, in effetti la cosa sembra insensata. Torniamo a casa e non pensiamoci più, almeno fino a domani. Comincio ad aver fame anch’io e non vedo l’ora di assaporare la cena di Anita.» Per il resto del tragitto non parlammo più della faccenda. Arrivammo a Sabaudia che cominciava a farsi buio. Richard parcheggiò l’auto nell’ampio garage della villa in riva al lago, al piano terra. Dopo aver preso dal bagagliaio i due freezer con il pescato, salimmo su, in cucina, dove Anita aveva da poco finito di preparare gli spaghetti alle vongole. Il profumo di quella prelibatezza ci aveva raggiunti già nelle scale, facendo aumentare a dismisura sia la fame che l’acquolina in bocca. Così, mentre il mio socio riponeva i pesci nel frigorifero, dopo i saluti rituali, io mi avvicinai alla pentola cercando con disinvoltura di rubare un paio di spaghetti con la prima forchetta che mi capitò a tiro. Anita sembrava distratta dalla conversazione con Richard ma dovetti constatare che non era così: all’improvviso mi arrivò un colpo di mestolo sulla mano che ritirai immediatamente. Conoscendo Anita non provai neppure a protestare. Lei mi guardò accigliata e con il dito m’indicò il tavolo. «Siedi e aspetta!» disse tirannica. Obbedii lemme lemme, alzando le mani in segno di resa. «Agli ordini, maestà!» Aveva poco più di sessant’anni, era una donna piuttosto robusta, tenace, cocciuta e molto pettegola, ma aveva un animo generoso e buono. Era rimasta vedova diversi anni prima. Abitava lì vicino ma passava gran parte del suo tempo a riordinare, pulire e cucinare nella grande villa di Richard. Per noi era più una sorella che una domestica. Del resto, anch’io abitavo di fronte alla villa del mio socio, in una casa, beninteso, molto più modesta, che lo stesso Richard mi aveva regalato, e anch’io passavo quasi tutto il mio tempo libero nella villa del mio amico. Mi piaceva occuparmi del grande giardino e del verde prato che digradava verso le sponde del lago. Nel pomeriggio mi piaceva addormentarmi sulle comode sdraie che guardavano i riflessi del sole radente sull’acqua lacustre.


12 Io e Richard eravamo due incalliti scapoli e ci intendevamo a meraviglia, godendoci, in compagnia, tutta la nostra libertà e la bellezza che la vita ci offriva. Oltre alla passione per la pesca, avevamo in comune l’amore per l’avventura, per l’indagine, per il senso della giustizia: tutte cose che avevano fatto parte della nostra passata attività professionale, per una vita. Quella sera mi congedai presto da Richard e Anita. Mi sentivo stanco, avevamo passato gli ultimi due giorni a bordo dello yacht, avevamo fatto solo un breve scalo a Ponza per rifornirci di esche e lenze. Buona parte delle nottate le avevamo passate a osservare il cimino delle canne da pesca, nella speranza di tirare su qualche buon pesce. Ci eravamo divertiti e rilassati ma ora non vedevo l’ora di andare ad allungarmi sul mio comodissimo letto. Pensai che anche Richard avrebbe fatto altrettanto. Della telefonata di Pacinelli ci eravamo già dimenticati. L’indomani mi svegliò il trillo del cellulare sul comodino. Aprii prima un occhio, mi accertai che fosse già giorno, quindi aprii anche l’altro. Era il mio amico e mi disse una sola sillaba: «C’è!» Ero ancora più addormentato che sveglio, quindi non capii subito e reagii stizzito. «Chi c’è? L’anima de li mortacci…» «Non ti arrabbiare» m’interruppe lui appena in tempo «la notizia della morte del ricco rampollo… c’è!» Scostai il lenzuolo e mi misi a sedere sul letto, ancora scombussolato. «Sei sicuro?» chiesi, senza riuscire ancora a pensare. «Ti avrei svegliato alle sette di mattina se non l’avessi letta sulle agenzie ufficiali?» osservò lui. «Sono le sette?» guardai automaticamente l’orologio «ti rendi conto che non ho dormito per due notti?» «Non per consolarti» mi fece lui «ma io ho dormito pochissimo anche questa notte!»


13 Assunsi un ghigno crudele. «Pensavi al tonno che ti sei fatto scappare?» Richard rise. «Anche a quello… ma soprattutto alla telefonata di Pacinelli. Sai, non credo si sia trattato di uno scherzo.» Avrei voluto ribattere ma, conoscendo Richard, sapevo che c’era una sola cosa da fare in quel momento. «Ok, mi vesto e vengo» dissi rassegnato. Quando si metteva in testa una cosa era peggio di un mulo e, del resto, a quanto pareva la notizia che confermava le parole del presunto Pacinelli era venuta dalle agenzie ufficiali di informazione… già! La cosa cominciava a farsi intrigante. Curiosità ed eccitazione mi svegliarono del tutto. Dopo neppure mezz’ora ero dal mio socio. Trovai Richard che faceva colazione sotto il portico della villa. Sorseggiava il caffellatte e guardava lo schermo del notebook davanti a sé. Quasi non mi guardò, era troppo intendo a leggere le notizie. «Hai fatto colazione?» chiese distrattamente. «Secondo te, in mezz’ora riesco a farmi la barba, la doccia, a vestirmi, rifare il letto e pure a fare colazione?» A quel punto, lui mi degnò di uno sguardo e annuì. Con il pollice m’indicò il cucinotto dietro di lui. «Sbrigati, poi ti faccio leggere una cosa interessante.» Stavo per dirgli di farmela leggere subito, ma avevo troppa fame. Entrai nel piccolo locale e mi preparai la colazione. Misi cappuccino e brioche su un vassoio e andai a sedermi accanto a lui. «Che c’è d’interessante?» chiesi. Lui m’indicò alcune righe sullo schermo. «Leggi qua!» mi rispose tutto eccitato. Osservai per un attimo quelle righe, poi mi voltai con sufficienza verso di lui. «Ti ho mai detto che so leggere il tedesco?» Lui fece un’espressione mortificata. «Oh, scusami!» disse, battendosi la mano sulla fronte «te lo leggo io.»


14 Si concentrò sul testo: «Ieri sera è venuto a mancare il figlio di Aaron Konter, noto finanziere di Niederanven, considerato uno degli uomini più ricchi d’Europa. L’incidente automobilistico è avvenuto intorno alle ventuno» si girò verso di me, piuttosto eccitato «le ventuno, capisci?» Cercai di pensare per qualche attimo al perché quell’ora dovesse generare stupore in me, poi rassegnato chiesi aiuto. «Senti, penso di non essermi ancora svegliato del tutto… illuminami!» «Peppino!» esclamò lui, quasi con rimprovero «ieri sera a che ora abbiamo ricevuto la telefonata di Pacinelli?» Ci pensai su un attimo. «Anita stava preparando la cena per le venti… diciamo che la telefonata è arrivata verso le diciannove e trenta.» «Bravo socio! E come poteva sapere, alle diciannove e trenta, che il figlio di un noto finanziere lussemburghese sarebbe morto d’incidente automobilistico un’ora e mezza dopo?» «Cassio!» esclamai meccanicamente, sentendomi anche un po’ stupido «hai ragione!» «Già… il nostro direttore alle diciannove e trenta conosceva un fatto che sarebbe avvenuto un’ora e mezza dopo a migliaia di chilometri di distanza… interessante!» «E questo fatto, se ricordo bene, è collegato alla vicenda di cui vorrebbe parlarci» notai io. «Sì, così ha detto» confermò lui «una vicenda che si svolge a Roma o nei suoi dintorni» precisò. Il mio cervello iniziava a rimettersi in moto. «Comincio a pensare che la telefonata di ieri sera non sia stata uno scherzo, e che dietro questa faccenda ci sia qualcosa di veramente grosso.» «Io ne sono convinto» ammise lui. Mi grattai la testa, pensando. «Hai una vaga idea di cosa possa trattarsi? Forse Pacinelli crede che non si tratti d’incidente e ci chiederà di trovare gli assassini di quel giovane» azzardai.


15 «Non credo che si possa indagare a Roma o dintorni su un delitto accaduto così lontano. Questo lo escluderei. Forse la morte di quel giovane è solo un riflesso di quello su cui ci chiede di indagare. Ma non chiedermi troppo, non sono un indovino. Abbiamo pochissimi elementi per capire cosa bolle in pentola.» «E poi» continuai io «c’è il mistero dei numeri di telefono che non si possono più usare, quasi si trattasse di roba da spy story.» «Bravo!» mi gratificò il mio socio «anche questo fatto ci dice che si tratta di roba molto delicata e complicata.» Mi coprii il mento con la mano, con l’atteggiamento di uno che sta meditando. «Dunque, vediamo un po’… c’è la strana telefonata di uno dei più importante giornalisti italiani, c’è la morte di un giovane erede di un magnate lussemburghese, c’è il mistero legato a un numero di telefono che non possiamo più usare… quando hai intenzione di chiamare Pacinelli?» Richard mi guardò sorpreso. «Chiamare Pacinelli? Non ci penso nemmeno!» Rimasi esterrefatto. «Non ho capito bene…» «Questo affare mi sembra qualcosa di grosso e pericoloso. Roba da veri professionisti, non per noi» rispose serio. Lo guardai negli occhi e finalmente capii che mi stava prendendo in giro. «Vedo che ti piace divertirti alle mie spalle.» L’espressione del suo volto si distese. «Tu mi conosci, come fai a pensare che io possa rinunciare a un caso così intrigante?» Feci spallucce. «Hai ragione, socio. Do troppa importanza a quello che dici!» «La verità è che non ti sei ancora svegliato del tutto» infierì lui. «Se anche fosse… ti ricordo che ho passato quasi in bianco due delle tre ultime notti.» Richard annuì, ma stava già pensando ad altro. «Comunque, ho il sospetto che si tratti veramente di qualcosa di grosso e rischioso. Dovremo stare molto attenti a quello che sentiremo, e a ciò che succederà intorno a noi.»


16 «Be’, lo abbiamo sempre fatto» osservai io. «Sì… e dovremo continuare a farlo con la massima attenzione» ripeté lui, parlando soprattutto a se stesso. Lo guardai, divertito. «Non stai nella pelle dalla curiosità. Si vede lontano un miglio.» «Tu, no?» fece lui di rimando. «Non lo nego, ma andiamoci cauti.» Lui sorrise. «Bene. Ora che ha parlato il saggio del villaggio, posso chiederti una cosa?» «Sputa!» «Qui in Italia, a che ora del mattino pensi si possa telefonare a un celebre direttore di giornale senza che si arrabbi?» Cercai di non ridere e restai al gioco. «Alla stessa ora in cui telefoneresti a un direttore di giornale inglese.» «In Inghilterra telefonerei a tutte le ore, perché sappiamo che non vanno neppure a dormire per inventare le frottole da raccontare ai lettori.» Non gli risposi e guardai l’orologio. Erano quasi le otto. «Diamoci un taglio» dissi «se il nostro Pacinelli era così ansioso di coinvolgerci in questo affare, penso che non si offenderà se lo disturbiamo a quest’ora.» Mi rivolse un sorriso compiaciuto. «Agli ordini, socio!» Prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni e io gli dettai il nuovo numero che avevo memorizzato la sera prima nella rubrica del mio telefonino. La risposta arrivò dopo pochi secondi. Richard attivò il vivavoce. «Buongiorno, mister Green. Aspettavo la sua chiamata.» La voce all’altro capo del telefono sembrava ancora più rauca del giorno prima. «Buongiorno signor Pacinelli, spero di non averla svegliata.» «Non si preoccupi, alla mia età si dorme poco… e male!» ci giunse ancora la risata aspra e tetra della sera precedente «ha letto la notizia?» chiese infine. «Certamente. Anzi, devo farle i miei complimenti perché ho scoperto che lei è in grado di predire il futuro.»


17 «A cosa si riferisce?» fece l’altro. «Be’, ieri lei mi ha notificato una morte che, a detta delle agenzie, è avvenuta un’ora e mezza dopo la sua telefonata.» Si sentì una breve risatina. «Se è per quello, posso rivelarle una cosa che la stupirà ancora di più.» Richard mi guardò, incuriosito. «Mi stupisca, allora!» rispose. «Quel ragazzo, in realtà, è morto tre giorni fa!» Richard e io ci scambiammo un’occhiata. «In un incidente?» chiese lui. «Ah, ah!» lo rimproverò l’altro «le ho già detto troppo, mister Green, e lei non mi ha ancora confermato di accettare di vedermi.» «Se le sto telefonando, significa che ho voglia di sentire la sua storia» osservò Richard. «Bene, anzi, benissimo» fece l’altro con tono soddisfatto «io non la conosco ma lei, a naso, m’ispira già fiducia e il mio fiuto difficilmente sbaglia. Del resto, il colonnello Altieri è una persona seria e onesta, e se vi ha descritto in toni così accalorati, avrà sicuramente avuto le sue buone ragioni.» «A questo punto, non resta che fissare un appuntamento» tagliò corto il mio amico, poco attratto dagli elogi «come possiamo fare?» «Prima di vederci vorrei chiarire alcune cose, se lei è d’accordo» fece l’altro. «Certamente, mi dica…» «Lei avrà certamente intuito che si tratta di un affare grosso… e io glielo confermo. Si tratta di un caso scottante e molto rischioso, ma anche la posta in gioco è molto alta e voi potrete avere un grande merito se riuscirete a risolverlo.» «Che fosse un caso difficile lo avevamo preventivato» rispose il mister con sicurezza tutta inglese. «Bene. La seconda cosa che volevo chiarirvi è che, in questa faccenda probabilmente vi farete dei nemici altolocati. La cosa vi preoccupa?» «Meno di niente» si affrettò a rispondere il mio vicino paladino «se si tratta di difendere la giustizia non guardiamo in faccia nessuno, quindi non ci strapperemo i capelli per questo.»


18 Guardai istintivamente i quattro peli rimasti sulla testa del mio amico e pensai anche ai miei, ancora più radi. Mi grattai il capo e tornai a interessarmi alla conversazione. «Bene, bene…» ripeté l’altro «devo ammettere che Altieri vi ha descritto molto accuratamente.» «Quindi?» lo sollecitò il mio socio. «C’è una certa urgenza, quindi devo chiedervi di vederci al più presto» fu la risposta. «A Roma?» «No! A Roma proprio no!» sentimmo un’indecifrabile risatina «ci vediamo a Frascati, nel tardo pomeriggio di oggi. Vi chiederei volentieri di vederci prima, tanto è urgente la cosa, ma devo aggiustare alcune cosette qui a Roma prima di vedervi.» «A Frascati dove?» «In una delle piazze centrali, Piazza Marconi. C’è un bar molto grande, che fa angolo con via Cicerone: vi aspetto lì. Diciamo verso le diciotto. Per voi va bene?» Richard corrugò la fronte e guardò fisso davanti a sé, senza parlare, per un breve attimo, come spesso faceva quando qualcosa non lo convinceva. «Mi scusi, Pacinelli, mi ha detto che l’affare è molto riservato. Perché vederci in una pubblica e affollata piazza e non in un luogo chiuso e, magari, appartato?» «Mi fa piacere questa sua osservazione» disse in tono compiaciuto l’altro «mi conferma che lei non è uno sprovveduto. Non si preoccupi, il luogo ha un suo senso e glielo spiegherò appena ci vedremo. Va bene per quell’ora?» chiese di nuovo. «D’accordo» confermò il mio amico «alle diciotto saremo lì.» Sentimmo le parole di commiato dall’altra parte del telefono ma il tizio, improvvisamente, s’interruppe. «Ah, dimenticavo un particolare. Posso farle una domanda strana, mister Green?» «Certamente…» «Lei quali auto possiede?» Il mio socio assunse un’espressione ironica. «È un’indagine che fa per conto dell’Agenzia delle Entrate?»


19 Udimmo la solita risata roca. «No, non ho nulla a che fare con gli agenti delle tasse. Non si preoccupi!» «Ho una Mercedes cabriolet, un’Alfa Romeo storica e un’utilitaria: una Cinquecento blu.» Sentimmo il borbottio dell’uomo che probabilmente stava riflettendo. «Posso chiederle di venire con la Cinquecento blu? È solo per una questione d’immagine: dà meno nell’occhio.» Richard mi guardò, io annuii. «Vada per la Cinquecento blu» rispose al tizio «lei con quale auto verrà?» chiese a sua volta. L’uomo esitò per un momento. «Una Cinquecento bianca» rispose infine frettolosamente «a stasera, quindi, mister Green.» «A stasera» gli fece eco meccanicamente il mio amico, dandomi l’impressione di pensare ad altro. Chiuse la chiamata e mi guardò serio. «A cosa stai pensando?» gli chiesi incuriosito. «Uhm… non so se il nostro amico verrà all’appuntamento, ma sicuramente non verrà con una Cinquecento bianca. In un attimo ha dovuto inventarsi una risposta, ne ho avuto la netta sensazione.» «E il tuo fiuto non sbaglia mai, lo so» lo canzonai io. Lui sembrò non ascoltarmi. «Uhm… mi sembra strano anche che ci abbia chiesto di incontrarci in una piazza centrale. Mi ha pregato di andare con un’auto che non dà nell’occhio e propone d’incontrarci in un’affollata piazza centrale… la cosa non quadra molto.» «Senti puzza di bruciato, eh?» «Tu no? A proposito, tu conosci Frascati? Sai dove si trova, pressappoco, piazza Marconi?» Ci pensai su un po’. Ero stato diverse volte in quella piccola città. «Mi sembra che sia una piazza adiacente al Comune. Molto centrale come posizione. «Uhm…» Richard tornò a riflettere tamburellando con le dita sul tavolo «non so cosa pensare ma faremo meglio a oliare le nostre pistole e ad aprire bene gli occhi quando saremo lì.»


20 «Pensi che ci prenderanno a schioppettate in pieno centro?» «Non si sa mai» rispose stando al gioco «l’uomo previdente campa più a lungo, dice il vecchio proverbio cinese.» Annuii ironico. «Però! La sanno lunga ‘sti cinesi!» «Prendimi pure in giro» fece lui «ma io continuo a preferire un pessimista vivo a un ottimista morto.» Passammo il resto della giornata in modo tranquillo. Io mi dedicai al giardinaggio per quasi tutto il giorno. Richard si mise ai fornelli per preparare una gustosissima ricetta di spigola al forno, con contorno di peperoni gratinati perfettamente croccanti. In cucina era un maestro, con Anita se la giocava alla pari, lo devo riconoscere. Dopo la solita pennichella pomeridiana, sulla sdraio in riva al lago, cominciammo a prepararci per la partenza. Il mio socio pulì accuratamente le nostre piccole pistole Beretta che non utilizzavamo da parecchio tempo. Io mi occupai della Cinquecento, che usavamo di rado. La lavai, controllai i livelli dei liquidi, i freni, la meccanica in generale… con le auto sono un po’ maniaco, lo ammetto.


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CAPITOLO 2 - UN PIANO CRIMINALE

Partimmo che erano quasi le diciassette. Percorremmo l’Appia, fino all’incrocio per Frascati. Alle diciotto in punto fermai l’auto in piazza Marconi. Si stava facendo buio, il cielo appariva coperto da nuvoloni cupi e i lampioni erano già accesi. La piazza non sembrava molto affollata, la sensazione di pioggia imminente probabilmente spingeva le persone a restarsene in luoghi chiusi. Tirava vento, e di tanto in tanto il bagliore di un lampo illuminava l’aria con una luce sinistra. “Davvero una brutta accoglienza”, pensai tra me. Avevo poca voglia di scendere dall’auto. Richard, invece, non sembrava per nulla interessato al tempo e al contesto. Vidi che cercò subito di localizzare il bar indicato come luogo dell’incontro. Lo individuò dall’altra parte della piazza. «Dev’essere quello» mi disse indicandolo «è l’unico che fa angolo.» Feci il giro della piazza e parcheggiai quasi di fronte al bar. Scendemmo e ci avviammo verso la porta del locale, passando tra i tavolinetti all’aperto, ma prima di entrare mi fermai a guardare di nuovo la piazza. «Cerchi la Cinquecento bianca?» mi chiese quel volpone del mio socio. «Ebbene sì» ammisi io «potresti aver sbagliato. Capita anche ai migliori…» «Scordatela!» m’interruppe, sorridendo sotto i baffetti «quella è stata una balla. Dai retta al babbo.» Entrammo nell’ampio bar e ci guardammo intorno. Non c’era alcun Pacinelli ad attenderci, ma la cosa non ci sorprese. «È meglio prendere un tavolo fuori» mi disse «così possiamo controllare meglio la scena.»


22 Fui d’accordo. Uscimmo e ci sedemmo a un tavolo, presso il marciapiedi, da dove si poteva controllare bene tutta la piazza. I fulmini diventavano più frequenti: il temporale si stava avvicinando. «Tra poco pioverà» osservai. «Se dovesse piovere entreremo dentro» rispose con quell’antipatica logica asettica tipica degli inglesi. Ma sapevo che lui fingeva, ero sicuro che avesse tutti i sensi all’erta. Come me, del resto. Per alcuni minuti non successe nulla. Non si fece vedere neppure il ragazzo del bar per l’ordinazione. Ci guardammo intorno, senza farlo notare, ma non scorgemmo niente e nessuno che potesse attirare la nostra attenzione. Solo dopo un po’ notammo un tizio uscire da un’auto parcheggiata da tempo di fronte al bar. Si trattava di un’utilitaria ma non di una Cinquecento bianca. Il tizio che ne uscì sembrava guardare dalla nostra parte. Quindi attraversò la strada dirigendosi verso di noi. Era un tipo di bassa statura, piuttosto grassottello e indossava una giacca leggera, sopra una maglietta scura. Quando fu più vicino notai i suoi lineamenti orientali, gli occhi a mandorla, il naso piccolo e schiacciato. Con modi discreti e ossequiosi si presentò. «Buonasera signori, posso accomodarmi, anche se non sono venuto con una Cinquecento bianca?» Richard rispose al saluto e gli indicò la sedia di fronte a noi. «Spero perdonerete al mio padrone quella piccola bugia, egregi signori» continuò quello con la sua riverenza che già cominciava a darmi sui nervi «ma so che si tratta di cosa molto importante, perciò bisogna essere tanto prudenti.» «Quindi lui non verrà a questo appuntamento?» tagliò corto Richard. «Oh, al contrario, signore» si affrettò a rispondere il tizio «io ho proprio il compito di portarvi da lui.» Un lampo lo illuminò in pieno volto, rivelando una lunga cicatrice alla base del collo. Un brivido furtivo mi sfiorò ma rimasi impassibile. «È lontano da qui?» chiese Richard. «Pochi chilometri, signore. Vi ci porterò con la mia automobile.»


23 «Potrei seguirti con la mia» propose il mio socio, ma l’altro insistette. «Oh no, signore. Il mio padrone si è raccomandato: la prudenza prima di tutto!» La cosa non mi andava molto a genio e, con lo sguardo, lo feci capire a Richard. «Preferiamo venire con la nostra, amico» rispose lui all’ometto «ti seguiremo con prudenza, non preoccuparti.» Il tizio non rispose ma portò la mano verso la parte interna della giacca e la mia, di riflesso, corse discretamente verso la piccola Beretta riposta nel fodero sotto l’ascella. Mi tranquillizzai quando vidi che la ritirava stringendo un cellulare. «Il mio padrone vi prega di vedere questo filmato.» Sul cellulare apparve il volto di Pacinelli che si rivolgeva direttamente a noi due: “Signor Green, signor Politi, fidatevi ciecamente del mio amico. Forse vi farà qualche richiesta che troverete un po’ strana ma vi spiegherò tutto quando sarete da me. A presto, signori”. Richard mi guardò di nuovo. Annuii mio malgrado. «Va bene, portaci da lui» rispose al tizio. Mi aspettavo che l’orientale si alzasse, invece si mise a cercare qualcosa nella tasca esterna della giacca. Tirò fuori un piccolo marchingegno e riconobbi un rilevatore di microspie. «Vi prego di scusarmi» fece col solito tono ossequioso «ma sapete, la prudenza…» «Fai pure» lo rassicurò Richard che aveva capito la sua intenzione. L’ometto allungò la mano che stringeva il dispositivo verso di noi, dirigendo l’antennina verso Richard e poi verso di me. Guardò il display del congegno e sorrise soddisfatto. «Bene signori, possiamo andare» disse alla fine, riponendo nella tasca l’apparecchio. Ci alzammo e ci dirigemmo verso l’auto del nostro accompagnatore. Il viaggio durò pochi minuti. Uscimmo fuori dal paese e imboccammo vie secondarie che non avevo mai percorso. Il nostro autista non disse una parola durante tutto il tragitto.


24 Ci ritrovammo presto in aperta campagna, attraversammo un bosco fitto e ombroso e, alla fine, il tizio fermò l’auto contro il cancello di una grande villa isolata. Azionò il telecomando e il cancello si spalancò lentamente. Mi guardai intorno. La strada alle nostre spalle era buia e deserta. Davanti a noi la villa si stagliava contro un cielo nero e cupo. Un lampo ne illuminò la grande facciata che mi apparve spettrale e lugubre. Era una vecchia costruzione piena di stucchi e decorazioni ma piuttosto dismessa. Anche il giardino non mi sembrava molto curato. Proprio in quel momento iniziò a piovere. Finalmente il cancello scorrevole finì la sua corsa e l’auto poté entrare nel cortile. Girò intorno all’edificio e s’infilò in un grande garage lasciato aperto nel retro. Il nostro autista spense il motore, scese e accese la luce mentre, contemporaneamente, azionava il telecomando per chiudere la serranda alle nostre spalle. Scendemmo anche noi. Mi guardai intorno: il locale era ampio e pieno di cianfrusaglie sparse in modo disordinato. Non c’erano altre auto. Si sentiva un acre odore di muffa e l’intonaco delle pareti era scrostato in più parti, come ulteriore segno della scarsa manutenzione del luogo. «Venite, vi faccio strada» ci esortò l’omino, dirigendosi verso una porticina in fondo al locale. L’aprì e ci trovammo di fronte a una stretta e ripida rampa di scale. Salimmo, sempre in silenzio, al piano di sopra, alla luce fioca di un’applique. Anche i gradini sembravano umidi e bisognava guardare bene dove si mettevano i piedi se non si voleva tornare giù ruzzolando. Arrivammo finalmente in un ampio corridoio, stavolta ben illuminato, con diverse porte ai lati. Notai che la casa su quel piano risultava più curata. Il pavimento, in marmo, brillava alla forte luce di due lampadari e le pareti, ben intonacate e compatte, non avevano crepe. Percorremmo il corridoio fino in fondo, finché il tizio si fermò davanti a una porta. «Aspettate solo un attimo» ci pregò mentre l’apriva. Subito dopo scomparve oltre.


25 Io e Richard ci guardammo senza parlare ma i nostri sguardi erano più espressivi di tante parole. Finalmente la nostra curiosità stava per essere appagata ma sapevamo di dover rimanere attenti e guardinghi data la misteriosità della vicenda. Di nuovo la porta si aprì e l’omino ci fece cenno di entrare. «Accomodatevi, signori.» Entrammo in una grande sala, spoglia e scarsamente illuminata. Lo sguardo corse subito verso il camino acceso e alla figura immobile seduta su un dondolo, davanti alla fiamma scoppiettante. Con la mano, il tizio ci fece segno di avanzare verso di lui, rimanendo seduto. Quando gli fummo dinanzi, riconobbi il grand’uomo che tante volte avevo visto in televisione. Il viso mi sembrò ancora più magro di come lo ricordavo e i suoi occhi grandi, espressivi, furbi ci esaminarono dalla testa ai piedi in un baleno. «Buonasera, signori» ci accolse con la sua voce roca, stentorea, inconfondibile «scusate se non mi alzo, ma ho un problema alle ginocchia» poi si rivolse al tizio che ci aveva accompagnato. «Amal, prendi due sedie per i miei ospiti.» Amal prese due sedie che circondavano il tavolo in mezzo alla stanza, e ce le porse. Ci sedemmo davanti a Pacinelli. Il calore del fuoco era piacevole. «Buonasera, signor Pacinelli» disse sorridendo Richard «finalmente abbiamo la certezza della sua identità.» «Non ne eravate ancora convinti?» «Avere dubbi è un po’ il nostro mestiere» rispose il mio socio «siamo come San Tommaso: se non tocchiamo, non crediamo.» «E fate bene» approvò il vecchio giornalista «viviamo in un mondo bizzarro, tra tante chiacchiere e poche certezze» si rivolse di nuovo al suo domestico «puoi andare Amal. Se ho bisogno di te, ti chiamo». Amal fece un inchino deferente e sparì oltre la porta della stanza, senza dire nulla. «Amal è il mio domestico di fiducia. È un filippino venuto in Italia tanti anni fa. Ha un passato burrascoso alle spalle, e un grosso debito di riconoscenza nei miei confronti. Di lui mi fido ciecamente.» Tornò a fissarci negli occhi, quasi a voler carpire i nostri pensieri.


26 «Ma torniamo a noi. Immagino che non vediate l’ora di conoscere cosa c’è dietro questa storia oscura.» «Immagina bene. Questa convocazione la definirei alquanto singolare» Richard rispose compassato, da perfetto inglese, ma conoscendolo vi posso assicurare che la curiosità se lo stava divorando. Pacinelli annui, poi tornò a fissare il fuoco. «È singolare che mi rivolga a un inglese per risolvere il mio caso… ma Altieri mi ha detto che sua madre era italiana…» «Napoletana, per essere precisi» lo interruppe il mio socio «e io sono innamorato di questo splendido Paese, come fosse la mia patria.» «Già… il nostro bel Paese. Impossibile non amarlo. Eppure…» s’interruppe, tornando a fissare la fiamma. «Eppure?» lo sollecitò Richard. Pacinelli sembrò scuotersi dai suoi pensieri. «Scusate signori, ma da qualche tempo credo di essere diventato un po’ sentimentale, e questo mi preoccupa: è un chiaro sintomo di vecchiaia.» «Sarà pure sintomo di vecchiaia, signor Pacinelli» obbiettò Richard «ma io preferisco le persone sentimentali a quelle aride e fredde, incapaci di entusiasmarsi di fronte alla bellezza e al fascino della vita.» Pacinelli lo guardò benevolo. «Bene, vedo che lo spirito “latino” e mediterraneo che è in lei è ben evidente. Mi fa piacere. Le confesso che digerisco a fatica le persone troppo snob e misurate. Io mi ritengo un tipo sanguigno e ruspante. Le cose che sento le urlo, non le mando a dire… anche se pure io sono dovuto scendere tante a volte a compromessi…» abbassò lo sguardo «ignobili compromessi, indegni di una persona d’onore, quale mi sono sempre vantato di essere.» Ci guardò negli occhi, senza dire nulla. Poi cominciò ad annuire e riprese: «A voi due, due sconosciuti, sto dicendo cose che non ho mai detto a nessun altro e… a stento ho detto a me stesso.» «Tutti abbiamo scheletri nell’armadio» cercò di giustificarlo Richard. Il vecchio gli sorrise. «Grazie, mister Green, ma forse non direbbe così se sapesse che con la mia penna ho ucciso più gente di un


27 generale in guerra. Ho interrotto carriere promettenti di persone oneste e capaci, ho combattuto leggi che potevano migliorare la vita delle persone, mi sono messo al servizio di lobby potenti e senza scrupoli, cercando di convincermi, di illudermi che fosse la cosa migliore da fare» tornò a guardare Richard negli occhi «sì, mister Green, tutti abbiamo scheletri nell’armadio, ma io ne ho tanti… troppi!» Ascoltare quello sfogo mi disorientò. Quell’uomo ritenuto da tutti uno dei più potenti d’Italia, stava sbandierando i suoi segreti a due perfetti sconosciuti, come eravamo io e Richard per lui. Perché questa imprudenza da parte sua? Cosa stava per rivelarci? Quale caso voleva sottoporci? Lui sembrò leggere il mio pensiero. «È la prima volta che vi vedo, ma sono sicuro che siete persone in gamba. Mi fido di voi. La fiducia si offre per istinto, e il mio istinto mi dice che siete persone perbene. Del resto…» s’interruppe abbassando lo sguardo «del resto ormai ho poco da perdere…» Guardai il mio amico, lui ricambiò lo sguardo senza mostrare emozioni. Era concentrato sul vecchio. Lo studiava, osservava le sue espressioni, sicuramente stava cercando di capire cosa celassero quelle ultime parole. Ero certo che il suo cervello stesse lavorando a pieno ritmo. «Sembrano parole di una persona che è giunta alla svolta di un percorso» osservò. «Sì… a una svolta della vita, mister Green» gli confermò lui, sospirando. Si piegò in avanti per prendere le molli e attizzare il fuoco. Batté sulle brace e ammucchiò i tizzoni sulla fiamma. Poi, finalmente, posò le molli e si addossò di nuovo alla spalliera della sedia a dondolo. «Comunque tranquillizzatevi» ci disse con un sorriso amaro «non vi ho fatto venire fin qui per parlarvi di me.» «L’avrei ascoltata con interesse» gli rispose Richard con un sorriso sincero. «Non ne dubito, ma l’annoierei. Non sarebbe una storia molto edificante» ribadì il vecchio. Sbatté le mani sui braccioli della sedia, come per scuotere il clima malinconico in cui avveniva il colloquio.


28 «Ma lasciamoci alle spalle le nostre vicende e pensiamo al presente… sapete perché vi ho chiamato? C’è un grosso pericolo che incombe su questa nostra bella Italia, un pericolo che viene dall’alto, molto in alto e che rischia di trasformare questo nostro Paese in una colonia da sfruttare, deturpare e avvilire. È un affare sporco, nel quale trova una spiegazione il mio sfogo e la morte di quel ragazzo lussemburghese che vi ha convinto a telefonarmi.» Per qualche attimo rimase in silenzio, studiando le nostre reazioni alle sue parole. Io, personalmente, ero rimasto un po’ disorientato da tutte le clamorose rivelazioni che avevo appena ascoltato. Guardai Richard e lo vidi calmo, inespressivo, impassibile. Anche lui guardava negli occhi il celebre vecchio. «Siamo tutt’orecchi» gli disse semplicemente. Pacinelli non si fece pregare e andò dritto al nocciolo della questione. «C’è una lobby finanziaria molto potente, l’élite delle élite, personaggi che hanno in mano grandi ricchezze e potere, che controllano la politica e l’informazione di tutta l’Europa, che decidono la fortuna o il tracollo di persone e associazioni. Un’élite che vuole imporre un ordine sociale ed economico nel quale tutti loro possano prosperare senza ostacoli. Una lobby che influenza governi, leggi e partiti tramite il potere dei soldi, dell’informazione, della cultura, di tutto ciò che determina il modo di pensare della gente. Sono loro i veri padroni del continente, e non solo.» Richard non sembrò meravigliato da quelle rivelazioni. «È una cosa che in molti hanno sempre sospettato» osservò tranquillo. «Sì, molti lo hanno sempre sospettato» ripeté il vecchio giornalista «e le persone più scaltre che vogliono far carriera a tutti i costi nel mondo della politica, dell’informazione, della finanza e, spesso, anche nello spettacolo, intuiscono quale direzione prendere, quali politici scegliere, quali personaggi corteggiare. Spesso non sanno bene il perché, ma intuiscono che scegliendo certe strade e certi alleati, si apriranno più facilmente le porte del successo, anche se non hanno talento, anche se non lo meritano. E Il loro successo diventa ulteriore potere in mano a quella lobby che, così, può controllare fette sempre più ampie di opinione pubblica, di consenso


29 e di pensiero. Sono loro che determinano il “politicamente corretto”, il pensiero dominante, i nuovi valori da seguire. Il tutto finalizzato alla creazione di un ordine generale che protegga la loro forza e la loro prosperità.» Il vecchio parlava con calma, il tono pacato, le parole pesate, scandite con sicurezza. Richard non sembrava scosso da quelle informazioni. «Be’, tutto ciò non mi meraviglia» disse senza scomporsi «tante volte mi è venuto il dubbio di una potente regia occulta che si celasse dietro tanti avvenimenti politici e sociali.» «Sono in tanti a sospettare questi legami» confermò il vecchio «si parla di “poteri forti” in modo generico, ma pochissimi sanno che questa lobby ha regole e norme chiare, una ben definita identità e anche un nome preciso.» «Un nome preciso?» chiese Richard. «Sì, un nome che io stesso, con tutto il mio potere e le mie conoscenze, ho scoperto solo pochi anni fa… si chiama Paradise.» Richard mi rivolse uno sguardo interrogativo, poi tornò a guardare il giornalista. «Mai sentita un’organizzazione con questo nome…» «Lo credo bene. Sono pochissimi quelli che sanno della sua esistenza. Al vertice ci sono non più di sei o sette persone, gente ricchissima, e si servono di collaboratori fidati, addestrati ed efficienti. Con loro controllano banche, giornali, televisioni e governi. Possono sapere tutto di tutti. Gli apparati di uno Stato, per loro, non hanno segreti. Possono arrivare dappertutto. Anche ad autorità religiose, ce ne sono parecchie dentro lo stesso Vaticano. Del resto si chiama Paradise perché, secondo la religione, dal paradiso deriva l’ordine che c’è nel mondo e… il “paradiso” sono loro. Mi capite, vero?» «Sì, capisco» rispose distrattamente il mio amico, guardando il pavimento come se stesse riflettendo. Poi alzò lo sguardo e osservò il giornalista. «E lei…» «Sì» il vecchio lo interruppe «sì, io sono al loro servizio. Il grande e incorruttibile Pacinelli è al servizio di questa banda di ladri altolocati e raffinati. Io che urlavo e tuonavo dal mio pulpito, molto spesso non


30 facevo altro che gli interessi di quelle persone, magari a discapito di tanta gente onesta e laboriosa. E, come me, tanti altri personaggi, noti e meno noti, non fanno altro che gli interessi di quella gente… gente che neppure conosciamo con certezza, ma che ci assicura la cresta dell’onda, una notorietà, un potere e una ricchezza. Cioè tutto ciò che sogna la vanità umana.» Sarei voluto intervenire, avevo tante cose da chiedere, ma non sapevo da dove cominciare. Del resto, dopo le ultime parole del giornalista, nella stanza cadde un silenzio prolungato. Pacinelli tornò a osservare le fiamme e Richard fissava assorto il pavimento. Oltre i vetri della finestra si era ormai fatto buio pesto. Si udiva la pioggia che batteva sul davanzale e sulla persiana semichiusa, mentre il vento ululava tra le creste degli alberi. Ogni tanto il bagliore di un lampo illuminava la stanza con una luce opaca, ma i tuoni si sentivano ancora lontani. Richard fu il primo a rompere quel silenzio ricco di pensieri. «Ci stava dicendo che questa lobby rappresenta un pericolo per l’Italia…» disse rivolto al vecchio. «Sì, è il motivo per cui vi ho chiamato. Questa lobby vuole portare l’Italia alla rovina, per potersela comprare e sfruttare a suo piacere. Lo stanno già facendo con altri Stati, ma verso l’Italia c’è un accanimento particolare. La nostra nazione ha tanta ricchezza, tanta cultura, tanta bellezza. Abbiamo le città più belle del mondo, le montagne più affascinanti, un mare meraviglioso e una grande creatività. Abbiamo tante opere d’arte, abbiamo diffuso la cultura nel mondo… l’Italia è una perla preziosa e loro hanno già l’acquolina in bocca.» «Ma l’Italia ha una classe dirigente che certamente si opporrà a questo disegno…» Pacinelli sorrise amareggiato. «La nostra classe dirigente ve la raccomando!» guardò il mio socio con un’espressione ironica «lei è inglese, per due secoli l’Inghilterra ha avuto un impero vastissimo, che andava da una parte all’altra del mondo e comprendeva centinaia di milioni di sudditi. Come faceva


31 la piccola Inghilterra a controllare e dominare un impero così vasto? Aveva un sistema preciso e molto efficace, se lo ricorda?» «Certamente! Si serviva di gente del posto, signorotti locali, funzionari, politici, dirigenti, burocrati che si mettevano al servizio di noi inglesi e ricevevano in cambio privilegi, potere e compensi.» «Bravo, mister Green. Era gente che si vendeva ai padroni e da essi riceveva il potere di governare e dissanguare i propri compatrioti. Questo sta succedendo in Italia… politici, funzionari, uomini d’affari, giornalisti e anche artisti sanno bene quale direzione prendere per avere più probabilità di raggiungere il successo e la fortuna. Sanno bene da quale parte stare.» S’interruppe come per riflettere. Poi riprese, sempre rivolto a Richard: «Lei conosce un po’ di storia d’Italia?» «Be’ sì, abbastanza…» Richard annuì. «Allora saprà che nessun popolo è meno patriottico degli italiani. È dall’epoca dei comuni medievali che gli italiani si odiano a vicenda, così tanto che sono arrivati a chiamare gli eserciti stranieri pur di non far vincere la parte avversa, pur sapendo che avrebbero dovuto sottomettersi ad altre nazioni. Questo lo sanno tutti nel mondo, e proprio per questo l’Italia è una preda facile, è facile trovare traditori, leccapiedi e ruffiani» il suo sguardo divenne penoso «ne avete davanti uno…» Nel silenzio grave che seguì queste parole trovai il coraggio di intervenire: «Signor Pacinelli, mi sembra strano che un giornalista così schietto e dirompente come lei abbia avuto bisogno di certi modi, per emergere.» Lui mi guardò, malinconico. «Quando si sa di avere le spalle coperte, è più facile alzare la voce e fare lo smargiasso, signor Politi.» Intervenne Richard: «Ho letto molti suoi articoli: lei ha la stoffa del grande giornalista, quindi penso che si stia denigrando un po’ troppo…» «Grazie, mister Green, ma ho conosciuto tanti giovani, anche più bravi di me, che sono finiti a scrivere le cronache in qualche anonimo giornale locale. Mi creda: la stoffa ce l’hanno in tanti ma per emergere ci vuole ben altro…»


32 Seguì un imbarazzante silenzio. Poi, finalmente, sul suo volto comparve un sorriso divertito. «Ma non vi ho chiamato qui per farmi consolare, bensì per affidarvi un compito ben preciso.» «Pendiamo dalle sue labbra» gli fece Richard, sorridendo. Pacinelli si mise comodo sulla sedia. «Siete venuti qui perché vi ha convinto la notizia della morte del figlio di Aaron Konter, il magnate lussemburghese. Avete letto che la morte è avvenuta per incidente stradale in Lussemburgo. In realtà quel giovane è morto tre giorni fa qui, in Italia.» Richard e io ci scambiammo un’occhiata furtiva. Pacinelli continuò. «E non è morto in un incidente stradale ma è stato ucciso, ne sono quasi sicuro. Inutile che vi dica che Aaron Konter è probabilmente uno dei componenti di quella lobby, del Paradise, l’avrete già intuito.» «Sì» rispose Richard «ma proprio per questo non mi spiego la morte del suo ragazzo.» «Comincerò col dirvi che la madre di quel giovane era italiana, ha sposato Aaron in giovinezza ed è morta circa tre anni fa. Il ragazzo, figlio unico, era molto legato alla madre e poco al padre, col quale aveva continui scontri. Un cocciuto ribelle, insomma, ma anche molto intelligente. Probabilmente ha intuito l’esistenza di questa lobby e ha capito il disegno che si stava architettando contro l’Italia. La cosa non deve essergli piaciuta, forse per l’amore che lo legava alla madre o forse per altro, fatto sta che è riuscito a realizzare un dossier che denuncia questo progetto e lo ha racchiuso in una pendrive. Servendosi della possibilità di accedere a luoghi e documenti segretissimi, anche all’insaputa del padre, ha fotografato relazioni, ha filmato riunioni, ha registrato conversazioni… insomma un dossier completo che smaschera la sporca trama nei confronti del nostro Paese.» «Una grossa bomba!» commentò Richard. «Grossissima» confermò Pacinelli «ma nonostante l’abilità del giovanotto, la cosa, alla fine, è stata scoperta dagli scagnozzi della lobby.» «E questo ha determinato la morte del ragazzo?» chiese Richard.


33 «Non subito. Il dossier fu distrutto e il giovanotto, dopo essere stato fortemente bacchettato dal padre, fu messo sotto stretta sorveglianza. Ogni suo passo era controllato e la sua libertà molto limitata. Nonostante questo, qualche giorno fa è riuscito a fuggire e a impadronirsi di uno degli aerei privati del padre. Ha fatto rotta verso l’Italia ed è atterrato in un piccolo aeroporto privato. Gli scagnozzi del Paradise lo hanno ritrovato da queste parti. Sembra che sia morto durante un inseguimento automobilistico, ma penso che sia stato fatto fuori di proposito. Ormai era diventato una mina vagante. Naturalmente la cosa è stata messa subito a tacere, e non è stato difficile perché il Paradise può contare sull’appoggio di molte autorità italiane. Il corpo del ragazzo è stato riportato in Lussemburgo, in tutta segretezza, e questa mattina è stata comunicata la notizia della sua morte. Sapevo che l’annuncio sarebbe stato battuto stamattina, perché Konter stasera doveva partecipare a un matrimonio e l’assenza del figlio sarebbe stata notata.» A quel punto una domanda mi uscì spontanea, anche se me ne pentii proprio mentre la pronunciavo: «Ma perché uccidere il ragazzo se il dossier era stato distrutto?» «Si teme che il ragazzo possa averne fatto una copia» mi rispose, ovviamente, Pacinelli «ma non è stato trovato nulla dopo l’incidente, nonostante le accurate ricerche.» Richard, devo ammetterlo, fece una domanda molto più intelligente della mia. «Ma perché scappare per venire in Italia e, soprattutto, perché da queste parti?» «Bravo, mister Green» lo gratificò Pacinelli «questa è la domanda che mi ha tolto il sonno per un paio di notti… e penso di aver trovato una risposta.» Io e Richard attizzammo le orecchie e il vecchio continuò. «Pochi mesi fa partecipai a una festa in una grande villa d’epoca, che si trova a pochi chilometri da qui. C’era tutta gente di alto rango, tra cui Aaron Konter e suo figlio. Sembra che i proprietari di quella villa siano imparentati con la moglie defunta di Konter. Io partecipai a quell’evento per puro dovere professionale, perché non mi piacciono le cerimonie e i salamelecchi. Mi stavo annoiando terribilmente, così,


34 a un certo punto sono uscito nel parco a fare quattro passi e respirare un po’ d’aria pulita. Era notte e fuori non c’era quasi nessuno. Mi sono seduto su una panchina e dietro di me c’era una siepe. Da dietro quella siepe mi giunsero delle voci sommesse, capii che si trattava di due innamorati che si lamentavano di non poter rendere pubblico il loro amore per non so quale motivo. Parlavano con molta tenerezza tra loro e mi meravigliai non poco quando capii che si trattava del figlio di Konter, perché mi avevano detto che era una gran testa calda. Quando se ne andarono, senza vedermi, riuscii a scorgere anche la ragazza, una bellissima donna che non avevo mai visto prima. Ovviamente lì per lì non detti importanza alla cosa. Una volta tornato all’interno della villa vidi che i due giovani facevano finta di ignorarsi a vicenda, anche se non mi sfuggirono le furtive occhiate di complicità che si scambiavano. Incuriosito dalla cosa, chiesi discretamente informazioni su quella ragazza. Venni a sapere che si occupava di un’organizzazione di beneficienza, o cose del genere, ed era venuta alla festa accompagnando un vescovo che risiede da queste parti. Naturalmente, finita la festa, lasciai cadere quella storia nel dimenticatoio, pensavo non avesse nessuna importanza per me. Fino all’altra sera, quando venni a sapere della sorte toccata al giovane» s’interruppe tossendo, come se qualcosa gli fosse andato di traverso. Si chinò per prendere un campanellino da terra, vicino alla sedia, e lo agitò. Il tintinnìo fece apparire quasi subito il domestico sulla porta. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

CAPITOLO 1 - UNA TELEFONATA MISTERIOSA ................................... 5 CAPITOLO 2 - UN PIANO CRIMINALE ................................................. 21 CAPITOLO 3 - LA RAGAZZA DEL DOSSIER ......................................... 48 CAPITOLO 4 - IL VESCOVO ................................................................. 69 CAPITOLO 5 - VIAGGIO VERSO LA MORTE ........................................ 80 CAPITOLO 6 - FUGA NELLA NOTTE .................................................... 98 CAPITOLO 7 - CACCIA AI TERRORISTI ............................................. 122 CAPITOLO 8 - DENTRO LE MURA

DEL VATICANO ......................... 149

INDICE ................................................................................................ 167


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