I segreti di Adelita, Ncolò Maniscalco

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NICOLÒ MANISCALCO

I SEGRETI DI ADELITA

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ I SEGRETI DI ADELITA Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-373-4 Copertina: immagine Shutterstock.com


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PROLOGO

Andrea, come molti genovesi, amava il mare e aveva una passione: correre prima dell’alba lungo la passeggiata a mare di Corso Italia, soprattutto nelle notti che precedevano una festività. Condivideva questa passione con la sua amica Ade, anzi, era stata lei a trasmettergli quest’amore per il buio e per la solitudine. La sera prima di una corsa notturna, Andrea andava a dormire presto per essere ben riposato e pronto alla partenza. Si svegliava un bel po’ di tempo prima che albeggiasse, e una volta in piedi, si sferzava il viso con manate d’acqua fredda fino a riuscire ad aprire gli occhi, poi beveva un caffè ristretto senza zucchero e aspettava che il suo corpo cominciasse ad abbandonare il torpore del sonno. Quand’era ben sveglio, si preparava una fetta di pane con burro e marmellata, che consumava insieme a un bicchiere di succo d’arancia, infine indossava la sua solita tuta da ginnastica e calzava le sue vecchie Salomon Speed Cross. Nel periodo invernale aggiungeva all’abbigliamento un vecchio giaccone per affrontare il pungente freddo notturno. Così usciva da casa e iniziava a correre tra le lame di luce proiettate dai lampioni e continuava fino a incontrare l’alba. Il suo percorso in qualsiasi stagione, estate o inverno, era sempre lo stesso: usciva dal portone direttamente in Corso Torino, poi proseguiva lungo via Rimassa fino a raggiungere il mare. Il mare! Una distesa d’acqua che parte dall’orizzonte per riversarsi, spumeggiando, sulle spiagge sotto la passeggiata di Corso Italia; un’estensione d’acqua che di notte appare così scura da far paura.


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Nelle notti senza luna, Andrea condivideva con Ade un gioco: chiudevano gli occhi e immaginavano che le luci della passeggiata fossero spente, allora lo sfondo diventava inchiostro di china, era un mare invisibile ma udibile… nel silenzio notturno, ascoltavano a occhi chiusi lo sciabordio delle onde frangersi sulla battigia e sugli scogli del litorale. Il litorale di Corso Italia è lungo un paio di chilometri ed è ricco di stabilimenti balneari e piscine. D’inverno le piscine sono vuote, gli stabilimenti chiusi e le cabine smontate. Lettini, ombrelloni, sdraio e tavolini, sono sistemati nei magazzini al riparo dalle mareggiate che sferzano, con gran fragore, le spiagge fatte di ciottoli e di sabbia grossolana. Nelle ventose giornate invernali le onde diventano cavalloni con una risacca di molti metri e laggiù, nel buio delle notti d’inverno, se ne ode il rumore e s’intravede la spuma bianca contro lo sfondo scuro. *** Solitamente Andrea raggiungeva Corso Italia in una decina di minuti e da lì continuava a correre fino alla chiesa di Sant’Antonio di Boccadasse, dove lo attendeva Ade, e insieme continuavano la corsa su per via Cavallotti, poi imboccavano via Orsini, via Sturla e nuovamente via Cavallotti, fino a casa di Ade, a Boccadasse. Adelita – che per lui era da sempre Ade – abitava da sola in un appartamentino ammobiliato nel borgo marinaro, ma lei non era di Genova, veniva dall’entroterra, di là dall’Appennino e studiava nella stessa facoltà universitaria di Andrea, dove si erano conosciuti. Tra loro c’era molto feeling, stavano bene insieme e, nonostante Ade non fosse la sua ragazza, almeno non nel senso comune del termine, a volte dedicavano un po’ del loro tempo a qualche


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effusione, qualche tenerezza ma lei non gli si era mai concessa. Andrea, che non aveva ancora deciso quanto fosse innamorato di lei, non insisteva perché non voleva rovinare quel bel rapporto; sapeva aspettare, inoltre era sicuro che neanche Ade avesse ancora capito che tipo di sentimento la legasse a lui. Lei a Cassinelle, il suo paese natìo in provincia di Alessandria, aveva un ragazzo ma non era una cosa seria, era da sempre un “lasciarsi e prendersi”. *** Ad Andrea quella notte tra sabato e domenica, sembrò più buia del solito e uscendo dal portone, diresse lo sguardo in alto, verso il cielo, alla ricerca delle stelle o della luna ma le nuvole oscuravano inesorabilmente sia le prime, sia la seconda. Scrollò il capo e prese a correre, percorrendo strade illuminate dalla luce artificiale. Raggiunse la chiesa di Sant’Antonio di Boccadasse, leggermente in anticipo, e si complimentò con se stesso per l’ottima performance. Stese le gambe per un po’ di stretching e prese dalla tasca un piccolissimo telo di spugna con il quale si asciugò il sudore, per poi annodarselo intorno al collo, infine chiuse la cerniera del giaccone e si guardò attorno. Strano che Ade, pur essendo lui in anticipo, non ci fosse ancora. Di solito lei arrivava per prima, lo attendeva appoggiata al muretto della chiesa e quando lo vedeva spuntare, si univa a lui correndo. Contrariato, si sedette sui gradini antistanti al sagrato, nella speranza che lei non tardasse costringendolo a un seccante raffreddamento.


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Dopo qualche minuto s’insidiò tra i suoi pensieri una forte preoccupazione: non era da Ade mancare a un appuntamento e meno che mai rinunciare a una corsa notturna. Prese il cellulare e compose il suo numero ma non ebbe alcuna risposta. Guardò di fronte a sé la discesa verso il borgo, fatta di larghi gradini di mattoni debolmente illuminati dalle piccole lampade lungo il muraglione di contenimento. Decise di scendere giù per raggiungere direttamente la casa dell’amica ma si trovò ad affrontare la scalinata con l’animo inquieto, era certo che qualcosa non stesse filando per il verso giusto. *** Il borgo marinaro di Boccadasse è un luogo fuori dal tempo. È una spiaggetta dipinta tra le case, con le barche tirate a riva e le reti da pesca preparate dagli anziani pescatori, tra chiacchiere e mugugni cantilenati in dialetto. I più vecchi stanno seduti sulla propria barca, o su una sedia di paglia, gli altri appoggiati al muretto di separazione tra il borgo e la strada. La scalinata arriva proprio lì, all’inizio della strada, dove c’è Amedeo, la vecchia gelateria che produce un superbo semifreddo alla pànera, e poco dopo c’è il panificio che sforna una focaccia oleosa e morbida. La spiaggia di Boccadasse dona la magica atmosfera dei borghi della Riviera Ligure, lo spaccato di un villaggio marinaro in pieno centro cittadino, ma quella notte, per la preoccupante mancanza di Ade, ad Andrea non sembrò così magico. Cominciò a scendere lungo gli scalini, e a metà della scalinata sentì bisbigliare… giù in basso c’era qualcuno! Si voltò verso la spiaggia, in fondo alla scalinata, e trattenne il respiro per capire da dove provenisse quel bisbiglio, ma udì soltanto il suono della


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risacca che si allungava sui ciottoli per poi avanzare fino a lambire lo scafo delle barche arenate, e infine rientrare in acqua. Si aggrappò al coraggio che man mano stava perdendo, per affrontare tutti i gradini e arrivare alla spiaggia, a soli cinquanta metri da casa di Ade. Proseguì a fatica, temendo di non trovare in fondo alla scalinata la magia del borgo ma qualcosa d’indecifrabile e forse di spaventoso, ma non udì più nulla. Scrollò il capo con un sorriso forzato, deciso a proseguire. Fece un altro scalino, poi un secondo, ma affrontando il terzo riudì il bisbiglio. Riuscì a fare un solo altro piccolo passo per poi rimanere bloccato, incapace di muoverne uno successivo. Nell’apparente paralisi sentì il bisbigliare divenire un lieve vociare fino a esplodere in un breve urlo, in parte strozzato, che subito tornò a diluirsi nel vociare. Si sentì gelare il sangue ed ebbe l’impressione che il cuore si fermasse, poi cominciò parossisticamente a guardare ora a destra ora a sinistra, perfino in alto ma nulla, non vide nessuno. Ne ebbe abbastanza e decise di tornare sui suoi passi ma l’incognita sulla sorte dell’amica non gli permise alcuna fuga, così da rimanere incollato al terreno. Poi, con uno sforzo inusitato, alzò un piede nel disperato tentativo di proseguire ma per poco non cadde, forse per lo sforzo o forse per l’inaspettata consapevolezza di aver riconosciuto tra quelle voci, quella di Ade che sussurrava il suo nome in una disperata richiesta d’aiuto.


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CAPITOLO 1

Nelle prime ore di quella domenica mattina, nel cimitero monumentale di Staglieno, ultima dimora della maggior parte dei genovesi, la luce faticava a far capolino tra le nuvole sopra le montagne circostanti. Il cupo tempo invernale, per ora senza precipitazioni, creava un’atmosfera tetra e in sintonia con la mestizia del luogo. Quell’atmosfera aiutava il raccoglimento del maresciallo Carlo Santini, proteso sulla tomba del brigadiere Claudia Volpe, uccisa da un proiettile la primavera precedente durante l’indagine sul serial killer dei tossicodipendenti. Santini e la Volpe fino a quel tragico momento, erano legati da un’amicizia sincera, cosicché la sua morte aveva lasciato un vuoto sia nei sentimenti, sia nel lavoro quotidiano, e per colmare questo vuoto lui sentiva il bisogno di recarsi sulla tomba della sua vice come espiazione per non essere riuscito a salvarle la vita. All’apertura del cimitero, intorno alle sette e trenta, Santini raggiungeva il campo dov’era sepolta Claudia e ci si recava per raccontarle delle nuove indagini, come se lei potesse ancora consigliarlo sul da farsi. Era la ricerca disperata di un impossibile confronto tra loro, com’erano soliti fare un tempo, quando sfruttavano la sintonia costruita in anni di lavoro nell’Arma. Finora nessuno era stato in grado di sostituire la sua vice nello svolgere quel compito. Solamente Paola Mieli, la sua fidanzata, era in grado di richiamare quella sintonia quando affrontavano insieme i rebus dei suoi casi giudiziari.


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Paola e Claudia erano state compagne universitarie alla facoltà di psicologia a Torino, e fu proprio quest’ultima dopo essere entrata nell’Arma, a farle incontrare Carlo Santini che, nonostante fossero passati anni dal loro primo incontro, non era ancora suo marito. Paola, pur auspicando uno status più consono alla loro età, di fatto accettava il ruolo di fidanzata perché amava profondamente il suo Carlo, ma sapeva che alla fine sarebbe diventato suo marito, magari in tarda età ma lei non si sarebbe arresa. Lui, pur essendo innamorato come il primo giorno, era convinto che un mestiere pericoloso come il suo non fosse compatibile con il matrimonio. Carlo era fatto così e la sua decisione ai più poteva sembrare egoismo ma, a conoscerlo bene, era evidente che fosse invece altruismo, era il suo modo di vedere la vita. Il matrimonio per lui, significava famiglia e figli e non voleva aumentare la schiera di vedove e orfani tra i familiari dei carabinieri. *** Giovanni Pastorino quella stessa domenica mattina, era di turno festivo e per questo motivo si era svegliato alle sei, giusto in tempo per prepararsi, uscire da casa e raggiungere in orario il porto, dove lavorava come camallo della CULMV, la Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie. Giovanni, corporatura da portuale tutto muscoli, era abituato a vivere da solo in quel piccolo appartamento di due vani che, con lui dentro, sembrava perfino più piccolo. Uno dei due vani comprendeva un salottino e un cucinino con la finestra affacciata sulla spiaggia di Boccadasse. Come dependance della camera, che rappresentava il secondo vano, c’era il bagno da dove Giovanni stava uscendo in accappatoio giusto in tempo per udire il caffè gorgogliare nella moka. Mentre ne aspettava la completa fuoriuscita, aprì la


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finestra, così lo sguardo gli cadde sulle barche ormeggiate e lì, tra queste e la battigia, intravide un uomo e una donna litigare. La scena non era chiara ma ebbe l’impressione che l’uomo stesse aggredendo la donna, così pensò di correre giù in difesa della malcapitata, i suoi pensieri però, furono interrotti dal gorgoglio del caffè che, fuoriuscendo dal beccuccio della caffettiera, stava spargendosi sul piano della cucina fino a spegnere la fiamma. Lasciò la finestra per andare a chiudere il gas, poi levò la moka dal piano dei fornelli e la poggiò nel lavandino, tornò alla finestra e vide l’uomo allontanarsi in tutta fretta, gli urlò qualcosa ma questi scomparve alla sua vista. Allora si vestì in fretta e si precipitò giù per controllare cosa fosse successo alla donna. Una volta in spiaggia vide nuovamente l’uomo scappare, forse un déjà vu. Dopo un attimo di smarrimento, raggiunse la battigia e a terra, tra le barche tirate a secco, vide il corpo seminudo di una donna. *** Il maresciallo Santini, semmai ne avesse avuto il dubbio, constatò che per un rappresentante dell’Arma non esiste la tranquillità nemmeno durante una visita ai defunti, infatti, il trillo del cellulare fece svanire l’immagine di Claudia, interrompendo i suoi ricordi. «Pronto…» disse spazientito. «Maresciallo… sono Guerra.» «Dimmi Giorgio.» «Hanno trovato il cadavere di una donna a Boccadasse.» «Chi c’è sul posto?» «Oltre la pattuglia che è arrivata per prima, ci sono Bianchi e Manca e con loro c’è anche Guasti, quello nuovo. Stanno aspettando l’arrivo del dottor Miglio e del medico legale.» «Avverti il brigadiere che sto per arrivare.»


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«Comandi» finì di dire l’appuntato Guerra. Quello nuovo era Silvio Guasti, un giovane e promettente militare che, appena uscito dal corso con i gradi di vicebrigadiere, aveva prestato servizio nei Nuclei Radiomobili a bordo delle moto BMW R1200 RT. Dopo aver terminato quel servizio con la promozione a brigadiere, espresse il desiderio di far parte dei ruoli investigativi, così il comando provinciale decise di arruolarlo nella compagnia del tenente Barbera, affidandolo a Santini in sostituzione di Claudia Volpe. Il maresciallo mandò un ultimo saluto alla fotografia dell’amica, uscì dal cimitero, salì velocemente in auto, collocò il lampeggiante sul tetto e attivò la sirena. Arrivò a Boccadasse leggermente dopo il Sostituto Procuratore Miglio, che era già sul posto insieme al medico, tale Anna Schiavo, giovane dottoressa da poco in servizio a Medicina Legale. La discesa da via Cavallotti verso il borgo era stata chiusa da una pattuglia della Polizia Locale che, vista la divisa del maresciallo, aprì il varco per farlo passare. Gli uomini di Santini avevano steso un nastro bianco e rosso con la dicitura CARABINIERI, lungo tutta la lunghezza dell’accesso alla spiaggetta. Sulla battigia c’era un via vai continuo di carabinieri e poliziotti e, retrostante alla spiaggia, vide la vecchia Fiat Croma marrone che Ettore Miglio utilizzava per servizio e posteggiata di fianco, una gazzella dalla quale proprio in quel momento, stava scendendo il tenente Guido Barbera, comandante di Santini. «Tenente…» lo salutò Santini, portando la mano destra al cappello, mentre scendeva dalla sua auto.


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«Buongiorno maresciallo» rispose al saluto Barbera, aggiungendo: «si metta subito al lavoro, occorre coordinare immediatamente le indagini.» «Comandi» disse Santini un po’ accigliato per quell’inutile precisazione. Qualche secondo dopo, il brigadiere Guasti raggiunse il maresciallo mentre Barbera andava incontro al magistrato. «Ciao Silvio, cosa abbiamo?» chiese Santini al suo vice. «Il cadavere di una donna seminuda. È là, tra le barche, e la sta esaminando la dottoressa» rispose Guasti, indicando un gruppo di gozzi da pesca a una decina di metri dalla battigia, per poi girarsi verso Santini e continuare l’esposizione dei fatti: «Abbiamo un testimone, un tale Giovanni Pastorino, quello che ha telefonato al 112. Ha dichiarato di aver sentito la donna gridare e di aver pensato, visto l’orario insolito, che stesse litigando con qualcuno, allora si è sporto alla finestra e ha notato un uomo che la stava strattonando, così è sceso in spiaggia per difenderla.» «È sceso in spiaggia! È stato coraggioso…» «Beh, lo vedrai… è un armadio a due ante» gli disse il vice, sorridendo «vuoi vederlo subito?» Santini si girò verso la zona del delitto e vide la dottoressa Schiavo impegnata sul cadavere, così rispose: «Perché no? Sentiamolo ora, mentre aspettiamo di poterci avvicinare alla zona del delitto.» Il testimone, Giovanni Pastorino, con una forte inflessione dialettale tipica dei portuali genovesi, spiegò al maresciallo di aver visto, attraverso la finestra, la coppia litigare intorno alle sei e trentacinque o sei e quaranta, ma di essere rientrato perché si era accorto che il caffè era fuoriuscito dalla moka, così aveva spento il gas per poi tornare alla finestra in tempo per vedere l’uomo allontanarsi. La cosa strana era che l’aveva rivisto in seguito mentre scendeva in spiaggia.


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«Ha visto l’uomo allontanarsi per due volte?» gli chiese Santini. «Sì.» «Quel tizio potrebbe essere tornato sul luogo del delitto per poi riallontanarsi. Lo ritiene possibile?» «Beh, perché no? Potrebbe essere.» Santini rifletté su quell’ipotesi e chiese: «Secondo lei, potrebbe aver visto due persone diverse? Magari tratto in inganno dalla dinamica della scena.» «Non saprei, era buio e i lampioni non rischiarano bene la spiaggia ma credo di sì, potevano essere due persone diverse ma non sono in grado di giurarlo. C’è un aspetto che mi ha colpito però, la prima volta l’uomo si è allontanato lentamente verso i carruggi interni, continuando a guardare la spiaggia, e la seconda volta ha fatto gli stessi movimenti nella medesima direzione ma poi, repentinamente, l’ha cambiata correndo verso la chiesa.» Santini girò lo sguardo nelle due direzioni indicate dal testimone, che poi congedò allungando il braccio per stringergli la mano. «Grazie signor Pastorino, per ora è tutto ma si dovrà tenere a disposizione del magistrato che sicuramente vorrà sentirla.» L’uomo annuì e si allontanò mentre il maresciallo si avvicinava alla battigia, stando attento alla risacca del mare. Sul limitare della spiaggia, in mezzo alle barche, Santini vide un corpo inerme adagiato di fianco allo scafo di un gozzo tirato in secco. In attesa del consenso a iniziare i lavori da parte della dottoressa Schiavo, un gruppetto di agenti del RIS in tuta, calzari e guanti, osservano tutto intorno. La vittima era una donna, anzi una ragazza. Santini aveva la visuale coperta dalla dottoressa intenta a esaminare il corpo, ma ebbe l’impressione che la vittima fosse molto giovane


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Dopo qualche minuto fu raggiunto da Barbera e da Miglio, proprio mentre la Schiavo, dopo aver chiuso la borsa con gli strumenti del mestiere, si alzava. «Buongiorno dottoressa.» «Buongiorno signori.» «Può anticiparci qualcosa?» chiese Santini. La donna annuì e si scostò dalla scena del delitto per lasciar operare gli uomini del RIS, seguita dal gruppetto che attendeva la risposta. Ora Santini poteva vedere chiaramente la scena del delitto: la vittima era distesa supina con le gambe arcuate in una posa innaturale, indossava un giubbotto imbottito aperto sul davanti e sotto aveva una felpa pesante, probabilmente facente parte di una tuta, i pantaloni di questa erano stati sfilati da una gamba e ammucchiati intorno al polpaccio dell’altra. Eccettuate le scarpe da ginnastica, la ragazza era nuda dall’inguine in giù. Santini scosse il capo, ne aveva visti tanti di cadaveri ma tutte le volte la vista di una giovane, probabilmente stuprata, lo lasciava nauseato. Si girò quando i primi carabinieri del RIS, giunti nei pressi del cadavere, lo coprirono con un lenzuolo. «Posso solo dirvi quel poco che sono riuscita a capire senza l’autopsia, ovviamente dopo potrò essere più precisa» iniziò la Schiavo. «Certamente» annuì Santini che aveva sentito quel ragionamento migliaia di volte. «Probabilmente la morte è avvenuta per la rottura delle vertebre cervicali, non posso dire ancora a che livello, ma da come si riesce a muoverle la testa devono essere le prime, forse per un colpo alla base del cranio o forse come conseguenze di un’energica pressione, infatti, ho trovato segni di strangolamento ma sono più propensa alla prima ipotesi. Inoltre posso dirvi che la vittima mostra i segni di un possibile rapporto sessuale, non posso


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ancora definire se fosse completo o meno, comunque dagli strappi alla tuta e da alcune ecchimosi sull’inguine, escluderei che si tratti di un rapporto consenziente. La tuta dev’essere stata strappata e poi sfilata violentemente.» Santini ripensò a ciò che vide del cadavere e annuì. «Un elemento che forse potrebbe essere importante è l’assenza delle mutandine…» «Intende dire che le mutandine della vittima sono scomparse?» chiese Miglio. «Sì dottore. Come vede, la vittima non ha le mutandine e di queste non c’è traccia, forse da un’analisi più attenta si riuscirà a determinare se le siano state strappate o sfilate, oppure se la vittima non le avesse indossate di proposito.» Il Sostituto Procuratore annuì e disse: «Grazie dottoressa, le chiedo di farmi avere copia del rapporto autoptico, al più presto» «Farò il possibile» e con questa promessa la dottoressa lasciò la scena del crimine insieme a Barbera, mentre Miglio si dirigeva verso la sua Fiat Croma marrone. Santini, dopo aver dato le ultime disposizioni, fece anche lui per andarsene ma fu richiamato da un maresciallo del RIS, suo vecchio compagno di corso. «Carlo, sotto la barca abbiamo trovato un cellulare con una chiamata non risposta. Lo catalogheremo tra gli oggetti rinvenuti ma credo possa esserti utile sapere nome e numero del mittente per accelerare le indagini.» Poi il maresciallo del RIS si avvicinò, e a bassa voce gli comunicò numero e nome. Santini prese il suo cellulare, trascrisse il numero e ringraziò, poi si allontanò dal gruppo di colleghi e digitò sul display. “Vale la pena di battere il ferro finché è caldo”, pensò.


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*** A Boccadasse, la piazzetta di fianco alla chiesa di Sant’Antonio, si affaccia dall’alto sul borgo e quella domenica mattina era gremita di curiosi che non riuscendo a vedere il corpo della donna nascosto tra le barche, cercavano di capire cosa fosse tutto quel via vai di carabinieri e poliziotti sulla spiaggetta transennata. Non ci volle molto perché alcune voci sul ritrovamento di un cadavere attraversassero la folla assiepata lungo il muretto della piazzetta, ma i più attribuirono al cadavere le generalità di un pescatore. Quando qualcuno cominciò a ipotizzare che si trattasse di una donna, Andrea trasalì e cercò di superare il gruppo di curiosi per sporgersi dal muretto verso la spiaggetta. Andrea era arrivato da meno di mezz’ora ed era stato bloccato dai carabinieri a metà scalinata. Non poteva raggiungere il borgo per un’indagine di polizia in corso, gli avevano detto. Così non gli restò che rimanere nella piazzetta ad arrovellarsi su come fare per avere notizie e osservare ciò che stava succedendo sulla spiaggetta. Trasalì udendo squillare il cellulare. Sul display comparve uno strano numero indecifrabile. «Sì, pronto…» rispose. «Il signor Andrea?» sentì all’altro capo. «Sì, chi parla?» chiese tra la curiosità e l’apprensione. «Sono il maresciallo Santini, ho bisogno di parlare con lei.» «Un maresciallo…» sussurrò lievemente Andrea, così lieve che Santini fece fatica a capire. «Come dice?» «Mi scusi, ho capito bene? Lei è un maresciallo?» «Sì, sono un maresciallo dei carabinieri e come le ho detto prima, devo parlarle. Intanto mi dia le sue generalità, Andrea?»


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«Crovetto, mi chiamo Andrea Crovetto, ma… perché vuole vedermi?» «Questo lo saprà a tempo debito.» Andrea in quel momento ebbe un moto d’inquietudine che aumentò notando ai bordi della spiaggetta, un uomo in divisa da carabiniere parlare al telefono. Poteva essere un militare qualunque tra quelli presenti e parlare con chi sa chi, ma lui stranamente pensò che non fosse così, che si trattasse del suo interlocutore telefonico. «Lei dove si trova?» chiese Andrea allo sconosciuto. «Non credo che sia necessario che lei lo sappia» disse Santini che cominciava a spazientirsi. Dall’altro capo del telefono ci fu silenzio, allora il maresciallo con una nota di biasimo, aggiunse: «Senta, possiamo vederci subito o, nel caso preferisse posticipare, posso convocarla in caserma.» Andrea capì che non era il caso d’insistere. «No, no. Nessun problema, possiamo vederci» disse, osservando quel carabiniere al telefono che si era messo a gesticolare. Non seppe neanche lui perché quell’atteggiamento aumentò la sua convinzione, così affermò: «Credo di essere sopra di lei…» Santini rimase in silenzio, poi alzò lo sguardo verso la piazzetta e vide un uomo sporgersi con il telefono all’orecchio.


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CAPITOLO 2

Quando Santini raggiunse Andrea, lo squadrò dalla testa ai piedi per farsi una prima impressione del personaggio: vestiva una tuta da ginnastica sotto un giaccone pesante, e ai piedi aveva delle scarpe da jogging. L’impressione era di un ragazzo ordinato, aveva i capelli corti sui lati e un po’ più lunghi sulla testa, come d’uso tra i giovani; aveva una barbetta curata e appariva un po’ accaldato, come se provenisse da una corsa fatta un’oretta prima. Il maresciallo, per prima cosa, volle ascoltare le motivazioni per aver chiamato, intorno all’ora presunta dell’omicidio, il cellulare di una ragazza morta per cause violente, ma non volle farlo lì in quella piazzetta, perché era troppo gremita di curiosi, allora con il braccio teso, invitò Andrea a seguirlo, così i due s’incamminarono lungo la passeggiata di Corso Italia e a quel punto, il maresciallo rivelò ad Andrea che probabilmente la ragazza morta era proprio la sua amica. «Signor Crovetto, il suo numero l’abbiamo trovato come notifica sullo schermo del cellulare della vittima, quindi è molto probabile che si tratti della sua amica.» Andrea per un istante ebbe un mancamento e vide davanti a sé il volto di Ade contratto dal dolore e dalla paura, poi scacciò quell’immagine chiudendo e riaprendo gli occhi. «Si sente bene?» gli chiese Santini. Lui annuì e riprese il cammino, ma non sembrava che si fosse ristabilito.


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«Senta signor Crovetto, penso che sia meglio continuare il nostro colloquio in caserma ma ora lei mi sembra provato, chiamo una gazzella che l’accompagni a casa, e alle due l’aspetto in caserma.» «No» si affrettò a dire Andrea interrompendo Santini «preferisco chiarire subito ciò che mi riguarda.» Disse la frase di getto con la speranza di spiegare tutto lì, seduta stante, e chiuderla con quel carabiniere. Santini annuì ma rimase in po’ sorpreso dalle parole usate dal ragazzo nel formulare quella richiesta, forse pronunciate per evitare di rientrare a casa in compagnia dei carabinieri, forse perché realmente voleva chiarire subito. Comunque fosse la questione, contrariamente alle speranze del giovane, Santini decise per la deposizione nella stazione dei carabinieri. «Come preferisce. Allora la faccio accompagnare in caserma. Io la raggiungerò subito, così potremmo riprendere il discorso con calma.»

L’ufficio di Santini era al primo piano del Comando dei Carabinieri da lui gestito, una scrivania old-style, un divano in coordinato – che più di una volta gli era stato utile per riposare quando il lavoro lo costringeva a fare tardi – una libreria piena di faldoni, un quadro con la foto del Presidente della Repubblica appeso alla parete, le targhe dei vari reparti dove aveva prestato servizio, e una collezione di calendari dell’Arma. Alla fine di quell’impegnativa mattinata, davanti alla scrivania del maresciallo, c’era Andrea Crovetto e, alle sue spalle, l’appuntato Giorgio Guerra per verbalizzare. «Quando ci siamo incontrati, mi ha detto che stava andando a casa della sua amica, Adelita Rossi, ma i miei uomini non l’hanno fatta scendere nel borgo, così è rimasto nella piazzetta della chiesa.» «Sì maresciallo, confermo.»


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«Dal suo abbigliamento e dallo stato in cui era quando ci siamo incontrati, direi che questa mattina lei ha raggiunto Boccadasse correndo…» Andrea fece uno sguardo stupito, poi si affrettò a dire: «Beh, sì. Ero preoccupato per Ade… Ade è la mia amica, Adelita Rossi…» Santini annuì e, alzando la mano, lo spronò a continuare. In quel momento, Guasti bussò e si affacciò alla porta. Santini gli fece cenno di entrare, indicandogli la sedia di fianco ad Andrea. «Il brigadiere Guasti è il mio vice» affermò Santini, guardando il ragazzo che annuì. «Allora, signor Crovetto» riprese «mi stava dicendo che era preoccupato per la sua amica.» «Sì, è così.» «Allora ci dica perché era preoccupato e che cosa andava a fare dalla signorina Rossi di mattina presto e di corsa.» «È… un po’ complicato spiegarglielo.» «Lei ci provi e io mi sforzerò di apprendere» rispose sarcasticamente. Guasti prima spalancò gli occhi, incredulo, e poi sorrise. «Beh, maresciallo, deve sapere che io e Ade amiamo correre prima dell’alba e normalmente lo facciamo nella zona di Corso Italia.» «Prima dell’alba!» esclamò Santini incuriosito. «Si maresciallo. È… era una passione di Ade. Lei era dell’entroterra, della provincia di Alessandria, e si sa che loro hanno un rapporto di odio e amore con il mare. Ad Ade piaceva udire il rumore della risacca, soprattutto quando la vista dell’acqua rimane celata dal buio, inoltre amava le sconfinate distese marine.»


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«Sì, vada avanti» disse Santini che cominciava a chiedersi se quell’indagine potesse interessare la professionalità della sua fidanzata, da poco nominata consulente del tribunale. Andrea fece un respiro e riprese il discorso: «Da un po’ di tempo Ade e io correvamo lungo Corso Italia, spingendoci all’interno del quartiere, lo facevamo a fine nottata, quando d’inverno non s’incontra nessuno. A volte, a fine corsa, ci rifugiavamo in casa sua, nel borgo, per una doccia e una veloce colazione.» Santini annuì e gli chiese: «Che rapporto aveva con la vittima?» «Eravamo… eravamo molto amici.» «Capisco. Diceva che vi dedicavate a quest’attività durante le notti precedenti i festivi…» «Sì» confermò Andrea. «Oggi è domenica, quindi durante la notte sareste dovuti andare a… correre?» «Sì ed è proprio questo il motivo per il quale io questa mattina cercavo Ade a casa sua.» «Cerchi di essere più chiaro.» «Sì. A fine nottata avevamo il solito appuntamento intorno alle sei e trenta, per correre insieme, ma mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato e mi sono reso conto che a quell’ora sarei già dovuto essere con lei, l’ho chiamata ma Ade non mi ha risposto.» «Ho capito bene? Ci sta dicendo che durante la notte doveva vedersi con la sua amica ma non ha potuto perché si è addormentato e guarda il caso, l’hanno uccisa proprio quando doveva essere con lei!» L’esternazione di Santini, più della sua domanda retorica, colpì Andrea che cominciò a pensare di essere prossimo a finire nei guai. Con gli occhi spalancati fissò il maresciallo, sussurrando: «Sì, è così ma… lei non penserà che l’abbia uccisa io, vero?»


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«Non mi sono ancora fatto un’idea precisa ma devo dedurre che lei non ha un alibi per l’ora del delitto.» «Beh, no… nel senso che ero a casa, stavo dormendo, ho fatto…» s’interruppe. «Sì, continui, che cosa ha fatto?» «Ho fatto… non mi fraintenda maresciallo, non sono un veggente ma ciò che sto per dirle ha dell’incredibile.» Santini guardò Guasti che alzò un sopracciglio, poi si rivolse nuovamente ad Andrea: «Vada avanti.» «La scorsa notte non solo mi sono addormentato ma ho fatto un bruttissimo sogno, ho avuto un incubo. Ho sognato quello che…» Si fermò riflettendo su quando stava per rivelare ma, sollecitato dal maresciallo, dovette continuare. «Signor Crovetto, sto perdendo la pazienza, vuole terminare?» Andrea ebbe un piccolo tremore e per una frazione di secondo intravide il volto di Ade sofferente con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Scacciò quella visione e a voce bassa disse: «Ho sognato di avere il solito appuntamento con Ade ma non vedendola arrivare l’ho chiamata senza ricevere risposta. Allora, sempre nel sogno…» Sospese il racconto per far cogliere meglio ai carabinieri la puntualizzazione, poi ricominciò: «Decisi di andare direttamente a casa sua, ma scendendo nel borgo sono stato preso dal panico e sono rimasto bloccato, non riuscivo a camminare. Di colpo mi sono svegliato e mi sono seduto sul letto, ero madido di sudore. Ho guardato la radiosveglia: erano le sei e trenta! Allora ho trovato strano che, non vedendomi al solito posto, Ade non mi avesse chiamato e a quel punto, l’ho chiamata io ma lei non mi ha risposto.» «A che ora l’ha chiamata?»


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«Subito appena sveglio, forse qualche minuto dopo, saranno state le sei e trentacinque.» Santini uscì dalla stanza, prese il cellulare e chiamò il suo amico del RIS per chiedergli l’ora della telefonata non risposta registrata sul cellulare della vittima. «Troverai tutto nel verbale» gli rispose il maresciallo del RIS, mentre cercava comunque l’informazione richiestagli da Santini. «Ecco… ho trovato il punto, la telefonata è stata fatta alle sei e trentaquattro.» Coincideva con il racconto di Andrea ma quella telefonata avrebbe potuto farla anche mentre era con lei o prima di vederla, così… giusto per costruirsi un alibi. Santini ringraziò il collega e rientrò nella stanza fissando Andrea: «Signor Crovetto, per ora può andare ma si tenga a disposizione perché il Sostituto Procuratore vorrà senz’altro ascoltarla.» *** La salma della donna ritrovata a Boccadasse fu portata all’Istituto di Medicina Legale e, il giorno dopo, fu adagiata su un lettino d’acciaio della sala autoptica. Era già stata sottoposta ai raggi X per determinare il danno vertebrale. La dottoressa Schiavo, coadiuvata da due tecnici, avrebbe esaminato la salma ma prima c’era da fare il suo riconoscimento. Nonostante gli appelli fatti, nessun parente stretto di Adelita Rossi si fece vivo, fu così che nella stanza adiacente alla sala autoptica, ad attendere la dottoressa, c’erano: Santini, Guasti e Andrea Crovetto. Dopo una decina di minuti dal loro arrivo, dalla sala uscì un tecnico per avvertirli che la salma era pronta e che si poteva procedere al suo riconoscimento.


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«Buongiorno dottoressa» esordì Santini entrando, poi, indicando Andrea, aggiunse: «il signor Crovetto è qui per il riconoscimento della salma.» I due si avvicinarono al lettino d’acciaio, dove coperto da un lenzuolo verde, giaceva il corpo senza vita della ragazza di Boccadasse, come la Procura definì quell’inchiesta e come i media ripresero nei loro reportage. La Schiavo sollevò un lembo del lenzuolo, scoprendo la faccia della ragazza. Andrea fissò quel viso che mostrava dolore anche dopo la morte, poi strinse le palpebre e girò la testa, ed ebbe una visione, forse un flash back: vide Ade in un luogo indefinito, contrarre il viso per la paura e il dolore, ma poi chiuse gli occhi e l’immagine scomparve. Dopo una decina di secondi guardò Santini che alzò le mani per spronarlo a dare il suo verdetto. Lui non rispose subito e tornò a guardare il viso che non poteva non riconoscere. Superò un nodo che gli attanagliava la gola e annuì. La dottoressa ricoprì il volto della ragazza e senza rivolgersi a nessuno in particolare, disse: «Tra un paio d’ore stilerò il verbale dell’autopsia e domattina sarà disponibile.» «Tra un paio d’ore la chiamerò e, se il verbale sarà pronto, manderò qualcuno a prendere il referto» affermò Santini, riprendendo le parole del medico legale. La Schiavo alzò gli occhi al cielo e brontolò: «Va bene maresciallo…» *** Quella stessa sera al Comando dei Carabinieri, Santini stava rivedendo insieme a Guasti quello che fino a quel momento era a loro conoscenza.


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«Allora» esordì il brigadiere «sappiamo che Adelita Rossi aveva ventidue anni ed era una studentessa universitaria. Risiedeva a Cassinelle, sua città natale, in provincia di Alessandria ma abitava a Genova, in via Nicolò Dodero, nella zona di Boccadasse.» «Abbiamo notizia di eventuali parenti? Finora la ragazza sembra essere sola al mondo» chiese Santini. «Sì, ma non ci sei andato molto lontano. Ho chiamato i colleghi di Alessandria e di Ovada e dalle ricerche fatte, è venuto fuori un unico parente diretto, il fratello. I due sono rimasti orfani quando lui aveva ventitré anni e visto che lei era ancora minorenne, il tribunale dei minori gliela affidò» rispose Guasti. Santini annuì e prese a leggere a voce alta il referto autoptico saltando le parti irrilevanti. «Cadavere di razza caucasica e di sesso femminile… età presunta ventidue/ventitré anni… si rilevano alcune ecchimosi lungo le braccia dovute a compressione… sul collo si evidenziano profondi segni di strangolamento. «Nell’inguine sono presenti dei lividi… sotto le unghie non si rileva materiale biologico estraneo alla vittima. «La morte è dovuta alla rottura della vertebra C2 a causa di un colpo inferto con notevole violenza. Il colpo mortale può essere stato inferto di proposito o causato accidentalmente durante la colluttazione…» Allegato al referto autoptico c’era quello rilasciato dal laboratorio analisi. Santini tralasciò le parti irrilevanti come le analisi basali, batteriologiche e virologiche non significative per il caso, e si soffermò su quelle tossicologiche che rilevarono nelle urine un’alta concentrazione di metaboliti della cocaina. «La ragazza prima di morire si era fatta una sniffata di coca» sentenziò Guasti. «Già» concordò Santini continuando la lettura.


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Lesse velocemente la parte del referto riguardante i vari tamponi, perché sia quello rettale, sia quello orale, sia quello vaginale erano negativi, sia per la ricerca batteriologica che per quella parassitologica, ed era anche esclusa la presenza di spermatozoi che coincideva con la presenza di lubrificanti. Il tutto faceva pensare a un ultimo rapporto protetto prima di morire. «Nessuno stupro vero e proprio. Ha avuto un rapporto consenziente con l’assassino prima che i due litigassero e lui la uccidesse» ipotizzò Guasti, che poi riflettendo, aggiunse: «e l’assassino ha usato il preservativo.» «Il preservativo in quella situazione! È da escludere» rettificò Santini. «Sì, hai ragione» assentì Guasti, continuando nella sua riflessione: «oltre la storia del preservativo, c’è un’altra cosa che non mi torna: non trattandosi di stupro, perché la vittima ha quei segni intorno all’inguine?» «L’assassino potrebbe aver agito d’impulso, procurandole quelle lesioni durante la colluttazione, inoltre mi sto convincendo che non sia stata opera di un maniaco, di uno stupratore. Ha l’aspetto di un omicidio perpetrato d’impulso dovuto alla lite descritta dal testimone.» «Forse è una messinscena per sviare le indagini» ipotizzò il brigadiere. Santini annuì e penso tra sé: “Ne parlerò con Paola”. Il resto del referto non diceva nulla di rilevante ma Santini non era soddisfatto perché il quadro era tutt’altro che completo. «Se l’hanno uccisa con un colpo alla nuca, perché strangolarla?» chiese Santini a se stesso e al suo brigadiere. «Sì, è vero» convenne Guasti «è quello che ho pensato anch’io. O l’assassino prima l’ha afferrata per il collo per poi decidere di


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colpirla con qualche oggetto contundente, o l’ha strangolata in seguito senza rendersi conto che la ragazza era già morta.» C’era ancora qualcosa che mancava, poi a Santini venne in mente l’assenza delle mutandine e prese il telefono. «Sono il maresciallo Santini, la dottoressa Schiavo, per favore.» «Prego, attenda.» Dopo poco sentì la voce della dottoressa. «Dottoressa, la chiamo per il caso della ragazza di Boccadasse.» «Per quale altro motivo, maresciallo…» affermò la Schiavo sarcasticamente. Santini sorrise e le chiese: «Dottoressa, ha avuto poi modo di capire se alla vittima fossero state sottratte le mutandine?» «Penso di sì, che le siano state sottratte, perché la ragazza sopra i glutei mostra, seppur accennati, i segni dell’elastico e questo dimostra che le mutandine lei le portava sempre e poi… maresciallo, ritiene che una ragazza che si stia vestendo sportivamente, probabilmente per fare un po’ di jogging, come intimo indossi solo il reggiseno e non metta le mutandine? Io, da donna, lo ritengo molto improbabile.» «Già» concordò Santini che finì col dire: «per ora la ringrazio, se le venisse in mente qualcos’altro di strano che abbia notato sul luogo del delitto, me lo faccia sapere.»


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CAPITOLO 3

A Genova, nella storica piazza Portoria che ricorda Giovanni Battista Perasso detto Balilla, c’è il Palazzo di Giustizia e al suo interno ci sono gli uffici della Procura della Repubblica. Tra questi c’è l’ufficio del dottor Ettore Miglio. Due giorni dopo il delitto, di prima mattina, il magistrato era in ufficio seduto alla sua scrivania e aveva di fronte a sé Andrea Crovetto. Su delle poltroncine un po’ scostate rispetto alla scrivania, sedevano il tenente Guido Barbera e il maresciallo Carlo Santini. «Allora, signor Crovetto» stava dicendo il Sostituto Procuratore «ci ricapitoli gli avvenimenti della notte in cui è stata assassinata Adelita Rossi.» «Ma, dottore… quali avvenimenti? L’unico avvenimento è la morte di Ade ma io non so cosa sia successo. Quella notte, e fino al primo mattino, ho dormito.» «Lei aveva un appuntamento con la vittima intorno alle sei e trenta e, stando al referto autoptico, la Rossi a quell’ora poteva essere ancora viva o forse assassinata da poco» affermò Miglio, guardando Barbera che annuì e precisò: «La morte risale a un arco temporale tra le sei e trenta e le sei e quaranta.» Era l’intervallo di tempo in cui Pastorino vide la coppia litigare e il successivo ritrovamento del cadavere. Fino a quel momento i media non erano stati informati dell’esistenza di un testimone ma, ovviamente, non sarebbe stato possibile nascondere la notizia a


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lungo. Tuttavia, in quel frangente, non era necessario che Andrea Crovetto lo sapesse. «Allora» riprese il magistrato «la morte risale proprio all’ora del vostro appuntamento.» «Ma io non ero lì. Come devo dirlo! Ero a casa e stavo dormendo.» «Lei però non può dimostrarlo.» «No, non posso…» disse Andrea, sconsolato «e poi perché avrei dovuto uccidere Ade?» «Questo me lo deve dire lei» insistette Miglio, che poi abbandonò un po’ la rigidità fino a quel momento tenuta per chiedere: «mi racconti nuovamente di quella mattina, da quando si è svegliato.» «Di nuovo?» chiese stancamente Andrea. Il magistrato annuì e Andrea sospirò per la frustrazione e cominciò a raccontare come se elencasse una serie di eventi slegati: «Mi sono svegliato di soprassalto per un brutto incubo. Quella notte ho sognato di raggiungere Ade al solito posto in Corso Italia, ma al mio arrivo lei non c’era. Allora, sempre nel sogno, ho deciso di andarle incontro dirigendomi verso casa sua. Dottore, sa come sono i sogni… è tutto nebuloso… sapevo di dover andare giù nel borgo, verso la spiaggia. Ho sognato di scendere lungo la scalinata ma a metà ho sentito bisbigliare, allora ho guardato verso il fondo ma non c’era nessuno. Ho proseguito a fatica, riuscendo a fare solo un piccolo passo, poi mi sono bloccato nuovamente. Sarà capitato anche a lei, durante gli incubi, di volersi muovere ma non riuscirci?» Miglio non rispose e non fece alcun cenno, allora ad Andrea non restò che continuare. «Nel sogno ho udito un urlo strozzato. Ero terrorizzato, soprattutto perché non riuscivo a muovermi, fino a che mi è giunta la voce di Ade che mi chiedeva aiuto, mi supplicava. Ero


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bloccato dall’incubo e non riuscivo a fare altro che urlare e ho continuato a farlo mentre alzavo le coperte. Ho smesso solo quando mi sono trovato seduto sul letto madido di sudore.» «Insomma ha sognato l’omicidio?» «Non-lo-so…» scandì il ragazzo in preda alla frustrazione. «Lei ha telefonato alla vittima sempre intorno all’ora della sua morte e sono convinto che la telefonata servisse per cercarsi un alibi, per farci credere che fosse lontano dal luogo del delitto.» «Sono solo congetture!» urlò. «Si calmi» intimò il tenente Barbera, mentre il magistrato rimase in silenzio fissando il teste. Poi dopo aver riflettuto, disse: «Il suo racconto… sì insomma il sogno dell’omicidio, non mi convince, lo ritengo singolare. Prima di continuare devo avvertirla che, se riscontrassi dalle sue affermazioni una fattispecie di reato, in base all’articolo 369 del codice di procedura penale, dovrei procedere nei suoi confronti, e lei avrebbe diritto all’assistenza di un legale. «Allora, signor Crovetto, nel caso preferisse terminare ora la nostra… conversazione e chiamare il suo avvocato, sappia che potremmo riprenderla poi in sua presenza.» Andrea capì che quelle parole significavano per lui un’incriminazione e scosse il capo perché voleva disperatamente dimostrare la sua estraneità sia verso la morte di Ade, sia verso qualunque altro reato. «Non ho ucciso Ade» sussurrò. «Va bene» riprese Miglio «che cosa ha fatto quando si è svegliato?» Si pentì amaramente di aver fatto cenno a quel maledetto sogno, ma ormai… «Ho guardato la sveglia, erano le sei e trenta. Non l’avevo sentita suonare. Ho pensato subito alla stranezza del fatto che Ade, non


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vedendomi arrivare, non mi avesse chiamato. Allora l’ho chiamata io ma lei non mi ha risposto. L’unica cosa che potevo fare era andare a vedere se… le fosse successo qualcosa…» Le ultime parole gli uscirono come un afflato e si accasciò sulla poltroncina dov’era seduto. «Tenente» ordinò Miglio «predisponga per la custodia cautelare del signor Crovetto.» Barbera annuì guardando Santini. Il maresciallo, per nulla convinto che il Sostituto Procuratore stesse facendo la cosa giusta, si alzò e chiamò il suo vice al cellulare per mandare una gazzella e dar luogo all’arresto. «Signor Crovetto, è indiziato dell’omicidio di Adelita Rossi, riprenderemo il nostro colloquio alla presenza del suo legale. Intanto procediamo con la sua custodia in carcere» finì col dire Miglio. *** Un’ora dopo, mentre una Fiat Punto del Corpo dei Carabinieri portava Andrea Crovetto nel Carcere Circondariale di Marassi, altre due auto si dirigevano in via Nicolò Dodero a casa di Adelita Rossi, con un mandato di perquisizione che mostrarono al padrone di casa. L’uomo, rassegnato, allargò le braccia e si dichiarò desolato per non avere le chiavi, giacché la Rossi dopo qualche mese dal suo arrivo, decise di cambiare la serratura. Appena il fabbro riuscì a forzare la serratura della porta, Santini e i suoi carabinieri entrarono nel piccolo appartamento al primo piano: un ingresso con un salottino e un angolo cottura, una camera, un bagno, un ripostiglio e un piccolo balcone. I carabinieri si divisero tra tutti i vani, lasciando sull’uscio il padrone di casa. Santini per prima cosa ispezionò il ripostiglio. C’era di tutto: scarpe da donna con un po’ di tacco, altre con


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vertiginosi tacchi a spillo, ballerine e scarpe da tennis. Trovò una borsa per attività sportive con indumenti da ginnastica puliti e una racchetta da tennis. In un angolo c’era un paio di sci Salomon da discesa, e un altro paio piuttosto vecchio da fondo, con le loro scarpette. In un angolo vide l’attrezzatura per le pulizie: detersivi, Mocio Vileda, scopa e paletta. C’era una mensola sistemata sopra una scaffalatura metallica con dei piccoli magneti, le calamite da collezione, quelle che di solito si attaccano alla porta del frigorifero; su quella mensola il maresciallo trovò una scatola di latta, di quelle in stile inglese per i biscotti, la prese e la aprì, sicuro di sapere cosa ci fosse dentro. Infatti, all’interno, trovò un sacchetto di una decina di centimetri con dentro un bel po’ d’infiorescenze di Cannabis spezzettate… scrollò il capo e alzò il sacchetto, sotto ne trovò altri due più piccoli: nel primo c’erano alcuni pezzi di un pane di hashish, nel secondo una polvere bianca, l’avrebbe fatta analizzare dal RIS ma era sicuro che si trattasse di cocaina. Le dosi di marijuana e di hashish sembravano di poco maggiori all’uso personale, ma la quantità di cocaina gettava una diversa luce su Adelita Rossi. La perquisizione dello sgabuzzino non portò a nessun’altra scoperta ma il maresciallo era già soddisfatto di quello che aveva trovato, certo era necessario scoprire se la droga avesse a che fare con l’omicidio e nel caso trovare il pusher della Rossi, a meno che non fosse lei stessa a spacciare. Santini passò poi in camera. Il letto era sfatto e le lenzuola stazzonate. Vide i suoi uomini rovistare nei cassetti di un comò e in quelli di un grosso armadio a quattro ante pieno di vestiti, alcuni dei quali piuttosto costosi. Era evidente che Adelita Rossi non avesse avuto problemi economici. In un mobile del salottino, Guasti trovò un computer portatile piuttosto datato, lo accese ma si arrese davanti alla password.


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«Ecco un altro compito per i colleghi del RIS» borbottò tra sé. All’interno di un cassetto, di fianco al mobile dove trovò il computer, il brigadiere rivenne delle banconote per una somma di mille euro. Il denaro trovato, il valore degli abiti e degli oggetti rinvenuti, confermarono che Adelita Rossi avesse buone disponibilità finanziarie, probabilmente sufficienti a mantenerle il vizio della droga. I carabinieri sequestrarono quello che ritennero utile, catalogandolo con cura; poi posero i sigilli alla porta, ammonirono il proprietario di casa a non violarli e una volta tornati al comando dei carabinieri, verbalizzarono il lavoro svolto per renderne conto al magistrato, oltre che per le indagini, anche nel caso in cui il fratello e altri eventuali parenti ne facessero reclamo. *** Una volta al comando dei carabinieri, mentre il vice appuntato Bianchi e il carabiniere scelto Manca redigevano il verbale, Santini era nel suo ufficio intento ad ascoltare Guasti riassumere il rapporto sui parenti della vittima, rilasciato dai carabinieri di Alessandria. «Il padre morì prematuramente a quarant’anni per un infarto, lasciando la moglie di trentotto e i due figli, Massimo di dodici anni e Adelita di sei» stava dicendo Guasti «i Rossi erano una famiglia benestante e dopo la morte del padre, grazie al premio assicurativo sulla vita, i tre videro incrementare ulteriormente il loro capitale a garanzia di una vita prosperosa. Dopo undici anni morì anche la madre, per un cancro. Massimo, il fratello di Adelita, all’epoca aveva ventitré anni ed essendo maggiorenne gli fu affidata la sorella diciassettenne.»


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«Non si può dire che fosse una famiglia fortunata» costatò Santini. Guasti annuì e continuò: «Fin dall’età di diciannove anni, Massimo con un diploma in ragioneria, occupò il posto del padre nell’azienda di famiglia ad Alessandria, sollevando la madre da quell’impegno. Continuò a studiare economia all’università, qui a Genova, fino a laurearsi in regola con gli anni accademici. Ha sempre seguito la ditta del padre, cosa che fa tuttora. Durante l’università ha abitato a Cassinelle nella villa di famiglia, dove vive ancora oggi. La sorella, invece, fin dall’inizio del suo corso di laurea, ha lasciato Cassinelle e si è trasferita a Genova, nella sua abitazione di Boccadasse.» «Bene» disse Santini. «Certo, la sparizione di Massimo Rossi è un rebus» aggiunse Guasti scrollando il capo. «È strano che nessuno sappia dove possa essere.» «Bah, finora non c’è traccia di lui neanche in ditta. Sembra scomparso nel nulla.» «Questa sparizione mi puzza…» rifletté Santini. «Anche a me.» «Ma i dirigenti e i colleghi cosa ne pensano?» «È una ditta padronale e il padrone è lui. Ora il lavoro lo sta portando avanti un suo factotum, uno che lavorava già con il padre, un certo Francesco Ghiotti.» «Di questa sparizione ne parlerò con il magistrato, intanto convoca questo Francesco Ghiotti, il factotum.» «Bene» terminò Guasti. ***


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«Abbiamo arrestato il probabile assassino della ragazza di Boccadasse in pochissimo tempo. Ottimo lavoro, maresciallo» si complimentò Miglio. «Grazie, dottore.» Santini era in Procura insieme a Guasti, a colloquio con il magistrato, e nonostante l’apprezzamento ricevuto, non era sicuro che le indagini fossero realmente così avanti da prevedere una chiusura in tempi rapidi, infatti, non era per nulla certo della colpevolezza di Andrea Crovetto. In tutta quella storia c’era qualcosa che non gli tornava, il che lo infastidiva. «Piuttosto, maresciallo» continuò «ci sono notizie in merito ai parenti della vittima? Mi pare che non si sia fatto vivo nessuno, ed è strano. Ormai da alcuni giorni i telegiornali non parlano d’altro.» «Già, dottore, ed è proprio di questo che vorrei parlarle.» «Mi dica.» «Quella della vittima è una famiglia particolarmente sfortunata, il padre era figlio unico di madre vedova e anche il suo di padre, il nonno di Massimo Rossi, morì d’infarto, forse è una loro caratteristica ereditaria o forse è solo sfortuna. La nonna è ricoverata da anni in una residenza di lusso per anziani. Il vecchio, oltre alla ditta, lasciò alla famiglia un ingente patrimonio che, prima con il decesso del figlio e poi della nuora, andò ai ragazzi. Ora con la morte della sorella Adelita, è tutto nelle mani del solo Massimo Rossi.» «Che però è sparito!» esclamò Miglio. «Sì, dottore, e la cosa puzza tantissimo» aggiunse il maresciallo. Miglio annuì, inforcò gli occhiali da lettura e prese da sopra la scrivania un documento che sbirciò velocemente. «Il tenente Barbera mi ha comunicato di aver diramato un ordine di ricerca e di aver già avvisato tutte le forze dell’ordine.»


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«Sì, abbiamo diramato una foto tra quelle trovate in casa della ragazza, l’hanno anche le nostre pattuglie.» «Bene maresciallo, mi tenga aggiornato.» Santini annuì e salutò il Sostituto Procuratore, portandosi la mano alla tesa del cappello, imitato da Guasti. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

PROLOGO ................................................................................... 3 CAPITOLO 1 ................................................................................ 8 CAPITOLO 2 .............................................................................. 18 CAPITOLO 3 .............................................................................. 28 CAPITOLO 4 .............................................................................. 37 CAPITOLO 5 .............................................................................. 48 CAPITOLO 6 .............................................................................. 58 CAPITOLO 7 .............................................................................. 69 CAPITOLO 8 .............................................................................. 77 CAPITOLO 9 .............................................................................. 89 CAPITOLO 10 .......................................................................... 101 CAPITOLO 11 .......................................................................... 110 CAPITOLO 12 .......................................................................... 122 CAPITOLO 13 .......................................................................... 127 CAPITOLO 14 .......................................................................... 133 EPILOGO ................................................................................. 143 RINGRAZIAMENTI ................................................................... 149


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