Dopo un breve sonno, Francesco Tranquilli

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Francesco Tranquilli

Dopo un breve sonno

ZeroUnoUndici Edizioni


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DOPO UN BREVE SONNO

Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-522-6 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Gennaio 2022


Alle memorie di Pina Vallesi e di mia madre


And poppy or charms can make us sleep as well And better than thy stroke; why swell'st thou then? One short sleep past, we wake eternally, And death shall be no more; Death, thou shalt die. Le erbe e le pozioni ci addormentano bene E meglio del tuo tocco: perché ti vanti allora? Passato un breve sonno, noi vegliamo in eterno, E morte non sarà più; Morte, tu morirai. John Donne, Death be not proud


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1. IL PRIMO GIORNO (DOMENICA).

Nessuna paura, né passione, può far battere il cuore di una donna più delle parole che mi svegliarono. «Mamma, sto male.» Non ero sicura che non fosse un delirio finché non l'abbracciai stretto. Il bambino mi si aggrappò al collo, con una forza che non gli conoscevo. Scottava. «Daniele. Amore mio, che cos'hai?» «Ho tanto mal di testa.» Lo presi in braccio e lo stesi sul letto in cui avevo dormito senza sognare. Mi resi conto di essere attanagliata anch'io da un'emicrania feroce. La sera prima avevo esagerato, con i superalcolici. E anche con le pasticche per dormire, forse. Accesi la luce sul comodino. Gli tolsi i sandali, gli appoggiai la testa sul cuscino. Mi sedetti accanto a lui. Gli poggiai il palmo sulla fronte. Sembra invecchiato. Ma è naturale: ha cinque anni, ora. Non avevo bisogno di termometri per capire che la febbre era altissima. Naturalmente era inutile chiedere alla reception se avessero della tachipirina. Guardai l'orologio: le 4.04. A quell'ora potevo fare una cosa sola. «Mamma, non mi lasciare solo» si lamentò Daniele. «No, amore. Mai più. Mamma torna subito.» Presi dei fazzoletti di carta dalla borsa. In bagno, l'acqua usciva tiepida dal rubinetto. La feci scorrere finché non venne più fresca. Riempii un bicchiere di plastica e lo portai accanto al letto. Daniele si lamentava piano. Bagnai un fazzoletto e glielo stesi sulla fronte.


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«Vedrai, starai subito meglio. Poi mi racconti tutto.» Daniele mi sorrise. Dopo qualche minuto respirò più calmo e chiuse gli occhi. Li chiusi anch'io, ma li riaprii subito, nella paura di svegliarmi da un sogno crudele. Gli sistemai un nuovo fazzoletto intriso d'acqua fresca sulla fronte. Usai quello ormai caldo per frenare le lacrime che mi scendevano fredde lungo il viso. Perché? Le lascerò andare, invece. Ora lui dorme. Il cuore, che non aveva smesso di martellarmi il petto da quando avevo sentito la sua voce, accettò di rallentare. Quando era scomparso Daniele aveva quattro anni, e ormai ero certa che non l'avrei più rivisto. Il pomeriggio precedente (sabato). Perché sono tornata qui? Mi chiusi il portone alle spalle, e fui abbracciata dal buio e dalla frescura che bene conoscevo. Il torpore assolato del paese fu tagliato fuori. Lasciai cadere a terra la borsa da viaggio. Restai in piedi nell'atrio, mentre i miei occhi si abituavano, riconoscendo l'arredamento dell'ingresso. Eppure deve essere qui, dove sono nata quarantatré anni fa, dove ho smesso di vivere l'anno scorso. Ma tutta la mia determinazione si infranse quando mi resi conto che la mano destra mi tremava tanto da non trovare l'interruttore. Calmati. Lo sai di che cosa hai bisogno. Poi l'interruttore scattò, ma la luce non venne. Mi diressi alla mia destra, verso la parete su cui c'era quello generale. Inciampai nel borsone appoggiato ai miei piedi. Mi ritrovai in ginocchio sul pavimento di pietra, e riuscii per poco a non sbattere la testa contro la parete. Non ce la farò mai. Non qui. Senza darmi la pena di rimettermi in piedi, tirai a me il borsone, aprii la tasca laterale, presi la fiaschetta porta liquore.


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Dopo pochi sorsi mi resi conto del lamento infantile che riempiva il buio fresco della vecchia casa. Staccai la bocca. Il lamento smise. Ma sono io a fare questo pianto? E chi altri potrebbe essere? Daniele non c'è più. Un singhiozzo senza lacrime mi colse a tradimento. Mi tornò in gola un fiotto acre di alcool. Lo rigurgitai ai piedi della parete. Appoggiai la fronte al muro, respirando il tanfo come per punirmi. Non serve pulire. Qui non entrerà mai più nessuno. Devo andarmene anch'io. Ricordai che l'unica locanda del paese, l'Albergo delle Rose, era a meno di un chilometro. Un posto vale l'altro. Posso farcela. Anche con questo caldo. La borsa è così leggera. Mi rimisi in piedi. Salutai la casa della mia infanzia così, al buio, senza nemmeno averla rivista. Aprii il portone. Col sole bruciante si infilarono dentro due mosche. Mi chiusi il passato alle spalle e avanzai nell'inferno del primo pomeriggio.


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2.

Alle sei, Daniele respirava calmo. La febbre era diminuita. Anche la mia emicrania non era violenta come prima. Presi il cellulare dalla borsa e cercai in rubrica un numero che non facevo più da molti mesi. Quello dell'uomo che odiavo di più al mondo. Mio marito. È prestissimo. In Polonia hanno un'ora in più o in meno? Non me lo ricordo mai. Be', chi se ne frega. Deve saperlo. Subito. Premetti il tasto. Il segnale partì verso quella maledetta città dal nome impronunciabile da cui mi aveva chiamato l'ultima volta, due mesi fa. Ma si perse nel vuoto. Nessun suono, nessuna segreteria telefonica, nessuna troia polacca a dirmi che l'utente desiderato non era raggiungibile. Gli scrissi un messaggio. Prima o poi l'avrebbe letto. DANIELE È TORNATO. PENSAVO DOVESSI SAPERLO. FATTI VIVO. A. Aspettai invano una conferma di ricezione. Mi tornò alla mente il solito scherzo fra noi: A "invano" basta togliere la enne ed ecco qua Ivano. Eccoti qua. Ma mio marito, esule volontario, non era tipo da giocare con le parole. Con i sentimenti, magari. In quello era un campione indiscusso. E nemmeno si può dire che giocasse a carte coperte: era colpa mia che non sapevo distinguere le mosse e i passaggi, che credevo a tutti i suoi bluff mentre lui vedeva sempre i miei. Daniele si agitò. Forse sognava. Presi il telefono sul comodino, chiamai la reception. Passarono dieci lunghi squilli. «È successo qualcosa?» Direi. Si è rovesciato il mondo. «Pronto… Qui è la stanza 33…»


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«Lo so. Si sente male?» «Io no. Però ho bisogno di un medico. Un pediatra, magari.» Ci fu un silenzio irritante. «Pronto. Ma è ancora lì?» «Signora, sono le sei e mezza di domenica, è quasi Ferragosto. Dove vuole che glielo trovi un medico? Ce n'è uno in pensione, abita in piazza, ma non vorrà mica svegliarlo per… E poi perché un pediatra?» Sarà stato il sonno, o il risveglio brusco, ma la persona alla reception parlava con una voce spessa e lenta che mi dava ai nervi. «Ci sarà pure una guardia medica estiva, qualcosa. Mica siamo fuori del mondo!» Di nuovo un silenzio troppo lungo. Un sospiro. «L'ospedale più vicino è a trenta chilometri. Vuole che le trovi il numero?» Voglio vederlo in faccia, questo cretino. «Vorrei anche che venisse su, se non è troppo disturbo, a portarmelo. Devo chiederle qualcosa.» «Ora?» «Immediatamente.» Chiusi la comunicazione. Guardai Daniele, timorosa di averlo disturbato col mio tono sempre troppo alto. Ora aveva un'espressione triste in volto. E la febbre si stava rialzando. Avvicinai il borsone per cercare una vestaglia. Guardai la sedia dove avevo ammucchiato gli abiti sudati e la biancheria la sera prima: erano spariti. Il pomeriggio precedente (sabato) La borsa si era fatta pesante. Cambiai mano un'ultima volta prima di salire i tre gradini dell'albergo. Nessuna attenzione alle barriere architettoniche, qui. Nell'atrio fui accolta da una temperatura almeno dieci gradi più bassa. Il sudore che mi avvolgeva il corpo prese subito a ghiacciarsi.


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Rabbrividii. Dietro il bancone della reception non c'era nessuno. Poi spuntò una testa. Aveva intorno ai vent'anni, capelli anarchici e cuffie giganti alle orecchie. Poteva essere un alunno della mia scuola. Si alzò in piedi con un sorriso seccato, non fece nemmeno il gesto di aiutarmi con il bagaglio. «Buongiorno, desidera.» Non gli risposi. Aspettavo si togliesse le cuffie. Dopo un po' lo capì. «Avete una stanza?» «Ha prenotato?» «Temo di no. Ma mi va bene tutto.» «Tanto non c'è nessuno in hotel. Per quanti giorni le serve?» «Non lo so.» Mi guardò, si strinse nelle spalle. Beato disinteresse. «Documento?» «Sì. Mi può aiutare con la valigia, dopo?» Guardò la mia carta d'identità, poi me. Si sporse quasi stupito che avessi un bagaglio, lo soppesò a vista. «L'ascensore è là» mi informò scrivendo, senza guardarmi. «Grazie.» Forse percepì il sarcasmo. Mi porse la scheda da firmare. «Ma non ci siamo già visti?» «Forse. Io sono di qui, vengo… venivo in vacanza ogni estate, con la mia…» La mia famiglia. Quella che non esiste più. «Casa mia è inabitabile, ora. Quindi…» Ma il suo labile interesse era già svanito. Mi porse una chiave agganciata a una palla pesante di metallo, mi disse il numero. «Al terzo.» Si ridistese su una specie di sdraio dietro al bancone, rimise le cuffie, armeggiò un istante con una scatoletta di metallo che aveva lì accanto, chiuse beato gli occhi. Anch'io non vedo l'ora di chiuderli. Voglio dormire fino alla fine del mondo. Rabbrividii di nuovo. Non per il freddo, ma all'idea di aver lasciato a casa le pasticche per dormire.


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Il respiro mi si accelerò. Stavo per avere un attacco di panico. Con rabbia, trascinai verso l'ascensore la borsa, che ora pesava decisamente troppo per me. Devo restare sola prima di impazzire. La porta del vecchio ascensore era pesante e fredda. Mi si chiuse in faccia con un suono definitivo. Non uscirò mai più da qui. Col fiato stretto e la mano pesante riuscii a premere il bottone numero tre. Salendo, mi sentii sprofondare.


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3.

L'uomo che aveva bussato era color sabbia, e si muoveva lento come se non fosse del tutto sveglio. «Entri.» «Che cosa mi doveva chiedere. Il numero è su questo foglietto, ma deve chiamare da sotto, le chiamate interurbane dalle stanze non si possono fare.» «Mio figlio sta molto male. Non posso lasciarlo. Userò il cellulare.» L'uomo aggrottò la fronte come se non capisse. «A che ora è entrato in servizio lei?» Mi resi conto di aver usato un tono troppo inquisitorio. L'uomo era sempre più confuso. «Ah, lo sa dio. Non ho guardato l'ora.» «Ieri, quando sono arrivata, verso le sei, c'era un ragazzo…» «Quale? Non so. Ne sono passati tanti.» Oddio, è un pazzo. «Lei è il titolare? Come si chiama?» «Giovanni. Perché?» Mi sentii mancare. Mi sedetti sul letto. «A che ora servite la colazione qui?» Guardò l'orologio. «Fra un'ora e mezza, nella saletta sul retro.» «Come vede non potrò scendere. Può portarmela… portarcela su?» «Al suo servizio.» «Mi ascolti. Ieri, quando sono arrivata, ero da sola. Questo bambino, mio figlio, è comparso in camera mia in piena notte, poco prima dell'alba. Mi sta seguendo? Non può essere arrivato da solo. Qualcuno deve averlo accompagnato. Qualcuno che mi ha visto arrivare, che sapeva che ero qui. In questa stanza. Che gli ha anche aperto la porta. Lei mi deve dare una spiegazione. Lei non può non sapere.»


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L'uomo si sforzava di capire, ma era come se parlassi troppo in fretta in una lingua che conosceva appena. «Io non ho visto entrare nessuno. Il portone da mezzanotte alle sei è chiuso.» «Ma allora come mi spiega quello che è successo?» Giovanni guardò Daniele come se non avesse visto un bambino da tantissimo tempo. «I bambini giocano, giocando si allontanano, a volte si perdono. Poi ha ritrovato la sua stanza. Ecco che le posso dire.» Ebbi un conato di vomito. Perché mi dice questo? Mi conosce? «Se ne vada!» Giovanni sembrò impaurito dal mio tono. Si mosse, lento, per uscire. «No, Giovanni, mi perdoni. Lei non c'entra. Ma devo parlare con il ragazzo di ieri. Forse lui ha visto qualcuno…» «Non c'è nessuno qui, a parte noi tre. L'hotel è vuoto. Mia moglie deve arrivare.» «Quando?» «Non troppo presto, speriamo. C'è una pace, qui, senza di lei.» Mi salutò con la testa. Si mosse per uscire. «Aspetti.» «Sì?» «Avrete un termometro, da qualche parte. E magari un'aspirina.» Mi guardò come se sapesse qualcosa che ignoravo. Il che era certamente vero. «Li cerco e glieli porto su. Mi dia qualche minuto.» Se ne andò. Tornai a toccare la fronte di Daniele. Scottava meno, ma aveva ancora la febbre. «Ora la mamma ti fa guarire, amore mio. A tutto il resto penseremo poi» bisbigliai. Daniele mosse gli occhi chiusi, poi mi sorrise.


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La sera precedente. La stanza era piccola. Il letto a una piazza e mezza era coperto da un piumino rosso per nulla adatto alla stagione. L'odore era un misto di stantio e disinfettante per pavimenti. Chiusi la porta, andai a spalancare la porta finestra. Si vedeva il cortile dell'albergo, in ombra, uno scooter in attesa. Due tigli disperati vegetavano in una specie di aiuola. Un cerchio di metallo li salvaguardava dalle manovre incaute degli ospiti. Respirai l'aria umida del tardo pomeriggio per un po', quindi rientrai e tirai le tende. Il bagno era minuscolo ma pulito. Aprii la cabina doccia, feci scorrere l'acqua. Mi tolsi gli abiti intrisi di sudore, li ammucchiai su una sedia. Mi infilai sotto il getto freddo. Dopo pochi secondi i brividi cessarono, e mi sentivo quasi bene. Diressi il getto sul viso, e scoppiai a piangere. Mi avvolsi un asciugamano intorno ai capelli, un altro alla vita. Mi guardai allo specchio. Faccio spavento. Anche ora che sono pulita. Le borse sotto agli occhi, la parte bianca increspata di sangue, la pelle screpolata, le venuzze in risalto su tutto il viso. Le rughe sul collo. Il seno rassegnato. Tolsi la pellicola dal bicchiere di plastica sul lavabo. Andai alla borsa, presi la fiaschetta, mi riempii il bicchiere e lo mandai giù d'un fiato, davanti allo specchio. Sorrisi al mio riflesso. Poi lui stava per rimettersi a piangere, allora distolsi lo sguardo e mi sedetti sul water. Buttai a terra gli asciugamani. Era ancora troppo caldo anche solo per pensare di cercare e accendere il phon. Uscii dal bagno, cercai e indossai una camicia da notte leggera. Non avevo nessuna voglia, né intenzione di uscire di nuovo. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era mangiare. E tantomeno vedere altre persone. Tirai fuori dalla borsa la scatoletta bianca e verde delle pasticche che mi avrebbero traghettato al di là di quella lunga notte. Ne presi due invece di una. Me le gettai in bocca. Riempii di nuovo il bicchiere, e tutto scivolò giù. Non avrei dovuto sognare. Ma a volte, purtroppo, capitava lo stesso.


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4.

Gettai nel water il fazzoletto ormai disfatto, ne bagnai un altro e glielo stesi sulla fronte. Giovanni ci stava mettendo una vita a tornare su. Ormai era giorno pieno, e dietro le finestre chiuse l'afa già premeva per entrare. Guardai l'orologio: le 7 e mezza. Cercai sul cellulare il numero di Gloria. Lei di domenica si alzava presto come gli altri giorni, di certo a quell'ora stava preparando la colazione per la sua famiglia. Chiamai. Nulla. Né segnale di chiamata, né segreteria. Come se fossimo fuori del mondo. Ma io dovevo assolutamente parlare con qualcuno di quello che mi stava capitando. Qualcuno che capisse la mia lingua, non l'Uomo di Sabbia. Un leggero bussare. Mi affrettai ad aprire. «Ma non c'è campo, qui?» Giovanni sembrò imbarazzato e perplesso. Guardò il cellulare nella mia mano con curiosità. «Credo di no, veramente.» Crede? Ma viene da un altro pianeta, questo? «Il termometro non l'ho trovato. Ma ho un'aspirina da sciogliere nell'acqua.» «Grazie.» «Mi sono permesso di chiamare un medico. È un mio amico, bravo, anche se non visita più. E nemmeno esce di casa.» «Che cosa? Grazie. Che ha detto?» «È stato rassicurante. Di farlo bere molto, che la febbre andrà certamente via presto.» «È possibile chiamare un'ambulanza, nel caso…?»


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«L'ospedale più vicino è a trenta chilometri da qui. Ma sono certo che non ci sarà bisogno. Ah, le ho portato anche un cucchiaino. Per farlo bere a piccoli sorsi.» Lo teneva dritto in mano come un cane che si aspetta un bravo dal padrone. «Ha pensato a tutto. Bravo. Ora… come si fa a chiamare all'esterno?» «Solo urbane, le ricordo. Faccia lo zero, poi il numero direttamente. Però la devo avvisare…» «Sì?» Giovanni si sforzò di stirare le labbra in un abbozzo di sorriso. «È domenica mattina.» «Lo so, grazie.» Era un congedo, ma il segnale non gli arrivò. «A che ora vi porto la colazione?» «La chiamerò io, va bene?» Ora era arrivato. «Mi scusi, vi lascio.» Arretrò, si voltò. «Giovanni?» «Dica.» «La ringrazio, davvero. Di tutto.» Sembrò quasi commosso, uscendo. Appena chiuse la porta, mi ricordai dei vestiti scomparsi. Non gli avevo chiesto niente. Ma temevo che da lui non avrei ottenuto spiegazione, in merito. Riempii d'acqua un bicchiere di plastica, l'aspirina cominciò a sciogliersi.


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5.

Presi dall'armadio un altro cuscino, lo sbattei con le mani per togliere un po' di polvere, ma non ce n'era. Lo infilai con cautela dietro la testa di Daniele, per portargliela più in alto. Poi gli avvicinai il bicchiere alle labbra. «Bevi, amore. Vedrai che starai meglio.» Ma Daniele non mi sentiva. Le prime gocce gli ricaddero sul labbro e sul mento. Presi il cucchiaino, glielo infilai fra le labbra finché aprì la bocca, finché le gocce gli caddero sulla lingua e lo vidi deglutire. Ripetei l'operazione cento volte, la ripetei fino a svuotare il bicchiere. Il caldo sembrava pulsare fuori della finestra. Andai ad aprirla, e fui investita da una vampata. Sudata com'ero, mi sembrò quasi rinfrescante. Le otto. A quest'ora dev'esserci qualcuno. Andai al telefono, premetti zero e poi il numero che avevo imparato a memoria da un anno. Dopo diversi clicchettii ottenni il segnale di linea libera, e mi sentii stringere la gola al pensiero di quello che avrei dovuto dire. «Pronto?» Una voce giovanissima. Un ragazzo. «Carabinieri?» «Comandi.» «Dovrei parlare con urgenza con il maresciallo Principe. C'è?» Un silenzio confuso. Come se non avesse capito la domanda o non sapesse la risposta. «Ho paura di no.» «Guardi, lo so che è domenica mattina presto, ma io ho bisogno assoluto di parlargli. È a proposito di un'indagine che ha condotto lui.


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Io sono la signora Annibali, non so se ha presente il mio nome. Il caso del bambino scomparso… il presunto rapimento.» «Mi dispiace, ma non credo di poterla aiutare. Il maresciallo non è qui.» «Ma forse ci sarà qualcuno meno… più informato di lei. Il vicebrigadiere Curto, lui nemmeno?» «Mi dispiace.» Sembrava sincero. Sentii arrivare un attacco di panico. «Ma lavorano ancora lì, vero? Non è tanto che abbiamo parlato, saranno tre mesi. Non possono essere stati trasferiti, l'avrei saputo.» «Signora, io non so che dirle.» «Ma come non sa che…!» Calma. Respira profondamente. Controllati. «Ascolti, forse non mi ha… non mi sono spiegata. È estremamente importante. Se non è in servizio, mi può dare il suo numero di casa? Del maresciallo. Ho il suo cellulare, ma da qui non riesco a chiamarlo, non c'è campo.» «Non c'è campo? Guardi, io non so cosa intende. Farla parlare col maresciallo… Principe, io non posso. Se vuole lasciare detto a me... Per quello che serve…» Oddio, ma che numero ho fatto? Questo ragazzo è fuori di sé. «Ma siamo sicuri che lei è un carabiniere?» «Purtroppo sì. La saluto. Chiami quando vuole.» Riagganciò. Io restai alcuni secondi con la cornetta all'orecchio, incredula, muta. «Mamma…» Abbandonai il telefono, corsi da Daniele. «Ciao, amore.» Lo abbracciai. Era fresco. Gli toccai la fronte. La febbre era scomparsa.


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6.

Gli passai una mano tra i capelli che gli coprivano quasi del tutto la fronte e le orecchie. Erano puliti, a parte il sudore del caldo e della febbre, Gli carezzai il petto, e la t-shirt rosa con la fatina stampata, che apparteneva a chissà quale bambina. Il pantaloncino giallo, invece, era il suo. Raccolsi i sandali dal pavimento. Erano gli stessi che indossava quando era scomparso. Daniele non sembrava cresciuto molto. Ebbi l'assurda impressione che quello disteso sul letto fosse un fratellino gemello più piccolo di un anno. Da dove viene questa maglietta? Dove sei stato, Daniele? Che ti hanno fatto? Sentii le lacrime premere per traboccare un'altra volta, ma le trattenni. Daniele ora aveva aperto gli occhi. Per lunghissimi secondi il suo sguardo fu sfocato, smarrito. Non riconosceva dove si trovava. «Amore, la mamma è qui…» osai chiamarlo. Mi si aggrappò al collo così stretto da togliermi il respiro. Ma io lo strinsi ancora più forte, mi lasciai cadere sopra di lui, accanto a lui, feci aderire il suo corpo al mio, lasciando che il tempo scorresse a suo piacere, mentre noi aspettavamo sul letto di recuperare con quell'abbraccio un po' della lunga, mortale separazione che ci avevano inflitto. Alla fine Daniele parlò e mi riportò alla realtà. «Dov'è papà?» Già, dov'è l'infame? Quello che prima ti ha lasciato scomparire e poi è scomparso lui stesso? Gli presi il viso fra le mani, lo guardai negli occhi. «Papà è partito, Daniele. È in viaggio.»


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«Un'altra volta?» Mi morsi il labbro. «Quando torna?» «Non lo so, amore. Ma stavolta se non torna andiamo noi a trovarlo. Promesso.» A costo di scoperchiare tutta la Polonia vedrai se non gli sbatto in faccia la causa e il prezzo della sua fuga. «Va bene, mamma.» Me lo misi in grembo. Lo toccai dappertutto, dai piedi alle spalle alle orecchie. Lui non mi chiese perché, si lasciò fare. «Daniele?» «Hm?» «Chi ti ha dato questa bellissima maglietta?» «Quale?» «Quella che porti, tesoro. È molto carina, ma è da femmina. Non è tua.» «Adesso sì.» «È un regalo?» Daniele si guardò il petto. «Non me lo ricordo, mamma. Però è bella.» «Molto. Come ti senti, ora?» «Sto bene, mamma. Ci alziamo? Devo fare pipì.» «Certo.» Devo farlo bere. Sarà disidratato. Daniele saltò giù e corse in bagno. Attraverso la porta semiaperta lo vidi tirarsi giù i pantaloncini: non portava gli slip. In due passi gli fui accanto. «Lele, le mutandine. Che fine hanno fatto?» «Non lo so.» Scrollò via le ultime goccioline, fece per tirarsi su i pantaloni. «Aspetta, amore. Che ne dici di una bella doccia con la mamma?» Mi cadde l'occhio sugli asciugamani. Li avevo lasciati cadere sul pavimento del bagno la sera prima. Ora invece erano piegati e asciutti sullo sgabello da cui li avevo presi uscendo dalla doccia. Chi era stato lì? Non devo pensarci adesso. Non posso. Ora c'è il bambino.


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7.

Daniele era rimasto con i pantaloncini scesi a metà. Sembrava in trance. «Amore, che ti succede?» «Sono pulito, mamma.» «Certo, lo so, ma con questo caldo, e la febbre, una bella rinfrescatina è quello…» «No.» «Ma come no. Nella cabina, con la mamma. Vedrai come…» «No! Mamma, ti prego. La doccia no.» Era nel panico. Mi si aggrappò alle gambe, cadde in ginocchio, tremando. Mi buttai sul pavimento, lo abbracciai. «Daniele, non fare così. Calmati. Niente doccia.» Il bambino singhiozzava senza lacrime contro il mio petto. «Daniele…» Passò almeno un quarto d'ora prima che si calmasse. Maledissi chiunque l'avesse tenuto con sé, in quei mesi infiniti, per quello che gli avevano fatto. «Ascolta. La mamma vuole solo guardarti. È tanto tempo che… Se ti pulisco con l'asciugamano umido, anzi, sai che facciamo, usiamo le salviettine profumate, come quando eri piccolo e ti sporcavi le mani giocando con i sassi, va bene? Come quando eri piccolo…» Strinsi i denti. Stavo per crollare. Ma Daniele mi sorrise. Tirò su col naso. Fece sì con la testa. Non posso cedere adesso. Lui ha solo me e io solo lui. «Bravo. Ora la mamma ti spoglia. Delicatamente.» Gli tirai giù i pantaloncini gialli. Erano puliti, a parte qualche macchiolina di erba. Gli tolsi la t-shirt rosa. Trattenni il fiato. Daniele era sempre stato un bambino di sano appetito, con una leggera tendenza al sovrappeso. Ora gli contavo le costole.


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Mi presi cura di lui, strofinandolo con le salviettine umide e pulendolo con l'asciugamano di spugna. Iniziai dalla fronte, dalle orecchie, dal collo. Scesi al torace, con la paura di romperlo per quanto era denutrito, alle spalle, poi all'inguine, attenta a qualsiasi avviso di disagio, di dolore, a qualunque segno inquietante. Non trovai nulla. Daniele mi guardava adorante. Passandogli le mani su tutto il corpo sentii come se lo stessi partorendo un'altra volta, anzi lo stessi modellando sotto le mie mani, a mia immagine, mentre il mio respiro che lo asciugava più in fretta del caldo d'agosto gli donava una nuova vita. Ed era così: mio figlio era rinato quella notte fra le mie braccia. Era tornato da me. E di questo avrei ringraziato dio in eterno. Perdonami per averti maledetto. «Hai un buon odore, mamma.» «Grazie, Lele. Ascolta, la mamma deve farti una domanda. Ma se non vuoi… Insomma: come sei arrivato qui da me? Come mi hai trovata?» Daniele scosse la testa. «Non lo so, mamma. Ho salito la scala e sapevo che dietro la porta con la luce c'eri tu. Ho aperto e sono entrato.» «Ah. Capisco.» Ma le porte delle stanze non si aprono dall'esterno. E quando mi sono svegliata la luce era spenta. Quello che Daniele disse subito dopo mi cacciò dalla testa questi pensieri. «Mamma, facciamo colazione? Io ho fame.»


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8.

Finii di ravviargli i capelli con le mani. Non si erano allungati molto. Chi te li ha tagliati? Per nulla al mondo avrei voluto fargli rimettere i vestiti che indossava, ma non avevo scelta. Dovevo procurargliene altri il prima possibile. E anche per me. «Mamma, faccio da solo. Sono grande.» «Lo vedo.» «Che cosa c'è per colazione?» mi chiese, infilandosi la t-shirt rosa. «Non lo so. Ora mamma telefona e chiediamo. Ci facciamo portare su tutto, va bene?» «Non andiamo al bar?» «No, amore, sei stato male. Meglio se restiamo qui, solo tu e la mamma.» «Ma è caldo.» È vero, si soffoca. Ed è ancora mattina. «Più tardi se ti senti meglio andiamo a fare una passeggiata. Ti va?» «Sì. Posso vedere i cartoni animati?» «Non c'è la TV, Lele. Dopo mamma ti compra un giornalino, e stasera te lo legge. Va bene?» «Sì, ma il cibo quando arriva?» «Subito» Presi il telefono. «Signora, mi dica. Come sta il bambino?» «Meglio, grazie.» Quanta premura. «In effetti, ha fame. Può portarci su…» «Lasci fare a me.» «Con chi parlavi, mamma?»


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«Con il padrone dell'albergo, Lele. Ora ci porta tante cose buone. Intanto la mamma si veste.» In borsa non avevo che una vecchia t-shirt con la faccia di un orso e dei jeans scoloriti. Gli abiti che indossavo quel giorno maledetto. Non pensavo davvero di indossarli, quando li avevo portati con me. Ma viste le circostanze era una fortuna che l'avessi fatto. Appena mi fui vestita sentii come un leggero calcio alla porta. «Mi aprite?» Daniele fu più svelto di me, armeggiò con la manopola e alla fine riuscì a girarla. «Benvenuto al nuovo ospite.» Giovanni aveva braccia grosse, ma il vassoio era così largo e colmo che mi chiesi come facesse a portarlo. Gli sgombrai la minuscola scrivania. «Daniele, guarda qua!» «Wow. Che favola.» «Qui c'è il caffè per la mamma, qua del latte caldo, e nel terzo bricco la cioccolata, anche se il clima non è molto indicato. Due yogurt, spero i gusti vadano bene, fiocchi di granturco, muesli, e anche due cornetti caldi appena sfornati. Fatti da me, non precotti.» «Giovanni, lei ci vizia.» Imprevedibilmente, sentii nello stomaco il morso della fame. Daniele aveva già la bocca piena. Avrei voluto aspettare che lui uscisse, per mangiare, ma non resistetti. «Il cornetto è ottimo. Davvero li ha preparati lei? È un vero factotum.» Mi guardò perplesso. «Sì, faccio un po' di tutto. Sono solo, qui. Viene giusto una donna a ore per le stanze, quando serve. Mi arrangio anche in cucina.» Guardò Daniele mangiare beato. «Sta meglio il nostro giovanotto, vedo. Gliel'avevo detto.» «Daniele, hai salutato il signor Giovanni?» «Ciao.» Daniele obbedì a bocca piena. «Questa è la mia mamma.» «Lo so, piccolo. Ah, se manca qualcosa che ti piace chiedi e domani te la faccio trovare. Cioè, se sarete ancora qui… Ora vi lascio.» «Un momento solo.»


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«Dica.» «Usciamo sul pianerottolo. Lele, la mamma è qui fuori, non va via.» «Va bene.» Lasciai la porta accostata.


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9.

«Giovanni, stanotte sono spariti i miei vestiti. Me li sono tolti ieri sera per fare la doccia, erano sulla sedia e non ci sono più.» Giovanni allargò le braccia. «Forse li ha messi lei nell'armadio e non si ricorda?» «Ma che dice? Non è possibile.» «Nemmeno che il bambino entrasse dalla porta chiusa lo era, eppure è successo.» Mi sentii agghiacciare. All'improvviso avevo la certezza che Giovanni conoscesse tutte le risposte. L'ha appena detto che l'hotel lo gestisce da solo, che è da solo, qui. Che siamo soli, con lui. Mi sentii minacciata. «Ora torno dentro, mi scusi.» «Ma la prego. Qualunque cosa chiamatemi e arrivo. Ah, se volete trattamento di mezza pensione, o completa, basta avvisarmi. Dove si mangia in uno si mangia in tre. Soprattutto se quell'uno sono io.» Con fatica, mi mostrò i denti. Forse voleva sorridere. Rientrò in ascensore, lo fece partire e mi fissò finché scomparve. Daniele era seduto sul letto, reggeva la tazza con le mani e ci sprofondava la faccia. Quando emerse era tutto ricoperto di cioccolato, dalla punta del naso al mento. Mi appoggiai alla porta. L'immensa bellezza di quella vista mi faceva dolere il cuore. Chiusi gli occhi per impedirmi di piangere, ma li riaprii subito per guardarlo. «Perché fai quella faccia, mamma?» «Perché ti voglio bene.» Daniele saltò giù dal letto e corse ad affondare il viso nel mio ventre. Lo abbracciai. Verrà via il cioccolato? Beh, non importa. Ma ora che mi metto? «Guarda, mamma, Koda vuole mangiare anche lui!»


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«Sì, Daniele, ora da bravo vai a lavarti la faccia mentre mamma si cambia.» «Non sei arrabbiata?» Lo guardai stupita. «Non posso esserlo.» Ma dovevo controllare una cosa impossibile. Andai ad aprire l'anta dello stretto armadio. Erano lì. La mia camicetta beige senza maniche e la gonna marrone che mi ero tolte la sera prima, appese con ordine sulle grucce. Sono stata davvero io? Mi tolsi la t-shirt imbrattata e indossai la camicia. Per fortuna non puzza di sudore. «Daniele, sei pronto? Anche fratello orso si deve lavare.» «Sì, mamma», mi rispose, cercando con attenzione di rimettere a posto l'asciugamano sull'asta. «Dove andiamo adesso?» Dove pensavo non avrei messo più piede. «Ti va di andare a casa dei nonni? Magari troviamo qualche vestitino che ti sta ancora bene.» «Sì. Così giochiamo insieme.» Oh mio dio. «Amore, ma… i nonni non ci sono più. È un anno e mezzo che…» A distanza di un mese l'uno dall'altra. «Non te lo ricordi?» Daniele scosse la testa, perplesso. Il panico tornò a bussarmi allo stomaco, ma finsi di non sentirlo. «E di dove sei stato nei mesi scorsi, quando… quando non eri con la mamma, ti ricordi qualcosa?» Daniele ce la mise tutta, fece una smorfia di concentrazione così adulta da apparire comica. «Solo che ti eri addormentata. Poi basta.»


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10.

Sono di nuovo qui, a casa. E non da sola. Erano solo sei ore che Daniele era ricomparso, e già la nostra separazione mi appariva lontana, un incubo che sbiadisce. Aprii il portone. Daniele sgattaiolò dentro tagliandomi il passo, e corse ad accendere la luce. Restai abbagliata, per un attimo. «Nonna? Nonno?» Daniele era corso in soggiorno, poi riattraversò il corridoio d'ingresso diretto al tinello. Bussò anche al bagno del piano terra, prima di entrare. «Amore, fermati.» «Forse dormono ancora, mamma. Li vado a svegliare.» «Daniele…» Corse svelto su per le scale. Lo seguii in fretta al piano di sopra, prima che la tenerezza e la pena mi bloccassero. «Mamma, non ci sono!» mi chiamò. Lo ritrovai nella loro stanza da letto. Era ordinata e linda come se l'avessero lasciata un'ora prima. Il letto era rifatto con la cura meticolosa che mia madre aveva sempre avuto. Anche in quel mese che aveva dormito da sola, dopo l'incidente d'auto. Io non avevo ereditato il suo ordine. Non avrei mai perso tempo a rimboccare le coperte con tanta millimetrica precisione. Presi mio figlio per mano. Mi guardò cercando una risposta nei miei occhi. «Devono essere partiti, Lele. Andiamo in camera nostra, su.» Il bambino annuì. «Infatti la macchina del nonno fuori non c'è.» «Infatti. Vieni, ora.» Anche nell'altra camera il letto era rifatto alla perfezione. Lame di luce filtravano dalle persiane facendo brillare la polvere nell'aria. Andai decisa al secondo cassetto del comò. Lo aprii.


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«Ci sono, Lele. Due jeansetti e due magliettine, la rossa e… Ma dove sei?» Mi voltai. Era seduto sul suo lettino, accanto a quello matrimoniale. Infilai i vestiti nella borsa. «Dormiamo qui stanotte, mamma?» Chiusi gli occhi. Rividi la mia ultima uscita da quella stanza, dieci mesi prima, con lo zainetto blu di Daniele. Senza Daniele. Senza nemmeno mio marito, che non aveva avuto il coraggio di rientrare lì. I letti erano sfatti, i cassetti del comò semiaperti. «Non credo proprio, amore.» «Perché?» «La mamma non sta più bene, in questa casa.» Riaprendo gli occhi, visualizzai anche il mio ingresso del pomeriggio precedente. Il buio. La nausea. Il buio. E Daniele che poco prima entrando aveva acceso la luce. Mi strinse la gola una sensazione improvvisa di pericolo. Non siamo soli, qui dentro. «Amore, vieni. Dobbiamo uscire subito.» «Uffa.» Lo presi per mano, me lo tirai giù per le scale rischiando di farlo inciampare. Appena rimisi piede nell'ingresso, li vidi. Sulla mensola sotto lo specchio a muro, di fronte all'appendiabiti: gli occhiali da sole con la montatura bianca, stile anni '50, che avevo regalato a mia madre due anni prima. Che io stessa avevo rimesso, nella custodia, dentro il cassetto del suo comodino, dopo il funerale. Guardai il muro dove avevo quasi sbattuto la testa, il pomeriggio prima. Nessuna macchia di whisky rigurgitato. Nessun cattivo odore. Chi è stato qui dopo di me? Presi in braccio mio figlio e fuggii, senza correre, verso il calore del pieno mattino.


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11.

Giovanni mi tese la chiave della stanza con un vago sorriso. Aveva una domanda sulle labbra ma si trattenne, dopo avermi guardata in volto. «Giovanni, quel dottore a cui ha telefonato prima, mi riceverebbe?» «Quando?» «Ora. In mattinata. A pagamento, si capisce. Anche se è domenica. Tanto è in pensione, mi ha detto. Può darmi l'indirizzo? E magari chiamarlo lei, mentre cambio il bambino, e annunciargli il nostro arrivo?» «Lei crede?» Lo fissai. «La prego.» Ma la mia non era una richiesta cortese. Giovanni si strinse nelle spalle. «Fate pranzo qui? Devo saperlo.» «Io… Lele, mangiamo qui in albergo, ti va?» «Sì, mamma. C'è il pollo?» «Non lo so se…» «Faremo in modo che ci sia. Lo chef è a disposizione» scherzò Giovanni. «Mamma, io non sono più malato. Perché andiamo dal dottore?» «Fidati. Farai il bravo?» Suonai. La porta si aprì quasi subito. «Il dottor Selvetti?» «Buongiorno. Entrate.» Era molto alto, corpulento, più vicino ai settanta che ai sessanta. Aveva capelli radi, occhi acquosi e lo sguardo stanco. Non mi va che tocchi Daniele, che lo spogli. Ma ormai ero lì. Attraversammo un corridoio fresco, oltrepassando una porta socchiusa che mostrava un tavolo ancora apparecchiato con i resti della colazione.


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Lo studio del dottore era minuscolo. Una scrivania ordinata, uno scaffale colmo di tomi antichi, due lettini bianchi, due sedie. Il sole invadeva la stanza, appena filtrato dalle tende leggere. «Grazie per averci ricevuti, dottore.» Daniele si sedette accanto a me. Guardò il pediatra per un secondo, poi distolse lo sguardo. Si raggomitolò sulla sedia e prese a succhiarsi il pollice sinistro. Il dottore lo osservò per diversi secondi. Daniele sembrava assente, perso in un altro mondo. «Qual è il problema, signora?» Posò lo sguardo lento e intenso su di me. Presi fiato e coraggio. «Stanotte Daniele ha avuto la febbre altissima. Il padrone della locanda dove alloggiamo, il signor Giovanni, le ha telefonato stamattina presto per chiederle un consiglio…» Il volto del dottore era impassibile. Ebbi l'impressione che non ricordasse. «Ma ora sta bene?» «Me lo dica lei. Sono qui apposta.» «Lo metta sul lettino grande e lo spogli. Basta la maglietta.» Fu una visita accurata, ma i gesti lenti e cauti del dottore mi davano l'idea di una pantomima, di una finzione svogliata fatta per compiacermi. Daniele era sempre stato irrequieto in mano ai medici, pochi per fortuna, che l'avevano visitato. Ma ora sembrava come inerte. Si fece auscultare, respirò a comando, si lasciò infilare luci nelle orecchie e abbassalingua in bocca. Si lasciò toccare alla base del collo, sotto le ascelle. «Può rivestirlo. Il bambino non ha niente. I bronchi sono puliti, la gola anche. Niente infiammazioni ghiandolari. Daniele sta benissimo. Quanti anni ha?» «Quasi cinque.» «Non l'ho pesato, ma mi pare nella norma. Lei è troppo ansiosa.» «Dottore, la febbre non dipendeva dalla mia ansia, è una malattia.» «La febbre non è una malattia, ma un sintomo. Può esserlo di mille cose. Ma ora è passata, e non tornerà. Stia tranquilla.»


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Stia tranquilla. Una di quella frasi che su di me hanno sempre avuto l'immediato effetto contrario. «Voglio fargli delle analisi del sangue.» «Voglio? Scherza. Analisi senza sintomi io non le ho mai prescritte. Comunque, in paese c'era un solo laboratorio. Ora è chiuso. Dovrebbe prendere l'auto e andare in ospedale. Ma a quale scopo?» «A quale scopo?» Presi Daniele in braccio, come per proteggerlo e proteggermi. Il dottore si sedette alla scrivania. «Si accomodi un attimo.» Passarono alcuni secondi prima che gli dessi retta. In quella stanza il clima era fresco, attraverso le tende si intravedevano un cortile e un giardino, e dai vetri trapelavano le voci di mille specie di uccelli. Daniele sembrava quasi assopito. «Le faccio la mia diagnosi, e se permette le do un consiglio. Non deve angustiarsi, signora. Il bambino sta bene, ed è con lei. Qualunque cosa abbia avuto, ora è passata. Non le basta? Se lo goda. Divertitevi. State insieme, ora che potete.» Ora che potete? «Che intende dire?» «Giovanni mi ha detto che lei è qui in vacanza.» Allungai l'unica mano libera verso la borsa. «Quanto le devo, dottore.» «Va bene così. Non esercito più, lo sa. Mi offrirà qualcosa al bar, se ci rincontriamo.» «Ma…» «Va bene così. E ricordi quello che le ho detto.»


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12.

Siamo soli, Daniele. E nessuno intorno di cui potersi fidare. Persino quel bastardo di tuo padre ora mi sarebbe di qualche conforto, ma il fatto che non risponda al mio messaggio è significativo. Ammesso che l'abbia ricevuto. Domani potrei mandargli un telegramma. Se solo avessi l'indirizzo. Il maresciallo Principe non è raggiungibile, ma che cosa potrebbe dirmi, a parte compiacersi perché Daniele è tornato? Non sono stati capaci in quasi un anno di trovare la minima traccia, tanto vale cercare la verità da sola. Non sono sola, ho mio figlio. Sento di non potermi fidare di nessuno. Sembra che tutti conoscano qualcosa che mi sfugge, che mi tengano nascosta qualcosa che dovrei intuire, o sapere. Giovanni tutto sommato è cortese, ma sfuggente. Col bambino è gentile, ma tratta da bambina anche me. Il pediatra, io so di non essere mai andata da lui, prima. Daniele non è stato mai male mentre eravamo in vacanza qui, quando c'erano ancora i suoi nonni. Eppure ha guardato il bambino come se lo riconoscesse. E Daniele si è chiuso a riccio. Ma poi è tornato normale, ha mangiato come se non toccasse cibo da mesi. Giovanni è riuscito perfino a trovargli un cartone animato su un canale nazionale. Questo paese è sempre sembrato in ritardo nel tempo. Faceva parte del suo fascino. Ma ora è leggermente snervante. I cellulari che non prendono. I negozi tutti chiusi. Il passo lento delle poche persone che abbiamo incrociato per strada. Le campane... Chiamano alla messa. È tardo pomeriggio.


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Mi piacerebbe entrare in chiesa. Ma Daniele dorme ancora. Non voglio svegliarlo. Voglio restare qui accanto a lui a scrutare ogni sospiro e ogni sogno. Non mi darò pace finché non saprò dove sei stato, amore mio, che cosa ti hanno fatto. Ma siamo soli. Abbiamo bisogno di aiuto. Riposa, Daniele. La mamma non dormirà più. Sei riapparso mentre dormivo, e un altro sonno, anche breve, potrebbe riportarti via.


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13.

«Mamma, il gelato di Spiderman?» Con questa idea si è assopito e con la stessa si sveglia. «Ora andiamo a cercarlo, amore. Ma prima ci togliamo il sonno dagli occhi con un po' d'acqua.» Uscimmo alla ricerca del gelato, verso il bar della piazza centrale. Nonostante fosse l'ora dell'aperitivo, e il sole si fosse appena ritirato dopo aver invaso il paese fin dal mattino, ai tavolini non c'era una gran folla. Quattro anziani concentrati sulle carte, che si scambiavano esortazioni e imprecazioni in vernacolo stretto, e una donna più o meno della mia età, sola, che leggeva un libro e aveva un bicchiere vuoto davanti a sé. Entrando nel bar ebbi un attimo di sgomento alla certezza che il titolare, il signor Guido, mi avrebbe chiesto di Daniele. Lui l'aveva visto crescere, e aveva assistito alle ricerche disperate negli ultimi undici mesi. Ma Guido non c'era, ad accoglierci fu una ragazza sui trent'anni, corpulenta e sorridente. «Voglio il gelato di Spiderman!» «Ho paura che non c'è, piccolo. Ma vediamo se ti posso accontentare lo stesso…» Non l'avevo mai vista, né lei sembrò riconoscere Daniele. Eppure aveva dei lineamenti familiari. Avvicinò uno sgabello al pozzetto dei gelati confezionati perché Daniele potesse frugare da solo. «Questo, la coppa al caffè!» «Daniele, no, sei troppo piccolo per il caffè. Scegline un altro.» «Ma mamma…»


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«Signora, scusi se mi permetto, ma non c'è mica vero caffè, dentro. Solo aromi. Ha paura che non dorma, stanotte?» «Ma veramente…» «E dai, mamma, hai sentito?» Daniele ricevette col gelato una paletta, e corse fuori a sedersi a un tavolino. «Quanto le devo?» chiesi frugando in borsa, contrariata. «Dopo, dopo. Guardi com'è contento.» Sentii una fitta di panico. L'ho perso di vista! Ma Daniele era a pochi passi, già immerso fino al naso nella coppa al caffè. «Il signor Guido non c'è?» La ragazza mi sorrise, mi guardò con tenerezza. «Sono Monica, la nipote.» «Non… ci siamo mai viste prima, vero?» «No.» Feci appena in tempo a sedermi anch'io al tavolo che già il gelato era stato spazzato via. «Daniele, la bocca.» Si pulì in fretta con un tovagliolo di carta e saltò giù. «Mamma, il portapalline, guarda!» In un attimo mi ricoprii di sudore freddo. Anche il giorno in cui era scomparso eravamo venuti qui a fare colazione. Daniele mi aveva chiesto una moneta per prendere una pallina di gomma dallo stesso distributore. «Ti prego, mamma, mi dai una monetina?» «No.» «Perché no?» Ero bloccata dalla tensione e dall'imbarazzo. La donna al tavolo vicino aveva smesso di leggere e seguiva il nostro scambio di battute. La osservai. Avrà avuto quarantacinque anni, snella, lineamenti morbidi, i capelli biondi che si fermavano sulle spalle, degli occhiali dalla montatura rotonda che le davano un'aria quasi da ragazzina. La donna incrociò il mio sguardo e accennò un sorriso complice, che diceva Lo so come sono i bambini. «Mamma, ti prego!»


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Con mani malferme, tirai fuori dalla borsa cinquanta centesimi e glieli diedi. Lui corse a infilarli nel distributore, girò la manopola, e quando la pallina cadde ci fu un doppio gridolino di giubilo. «Guarda, mamma, mi ha dato la pallina e pure il soldino!» «Come…?» «È caduta fuori, guarda!» L'apparecchio doveva essere rotto, ma invece di inghiottire la moneta senza dare nulla in cambio aveva ceduto il giocattolo e restituito la moneta. Irrazionalmente, lo presi come un buon segno. Poi guardai la pallina e mi sentii mancare, Era la stessa. La stessa di un anno prima. Raffigurava un gatto nero dei cartoni animati che inseguiva un canarino. Daniele ci aveva giocato per ore. Mi sentii morire. Lo abbracciai stretto perché mi riscaldasse.


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14.

Daniele lanciò la pallina per terra. La strana gomma di cui era fatta la fece schizzare sul selciato e rimbalzare su un tavolino vuoto, per poi finire la corsa alcuni metri più in là, rotolando, fino a nascondersi sotto la sedia della donna che leggeva. Daniele corse a recuperarla, infilandosi tra le sue gambe. «Lele, ma dove vai! Torna subito qui.» Lo stridore della mia voce infastidì anche me. Due degli anziani giocatori di carte si voltarono a guardarmi. «Signora, ma non è nulla. Stia tranquilla» mi sorrise la donna. «Ti piace la mia pallina?» le chiese Daniele. «Lele, non devi… disturbare gli sconosciuti.» «È stupenda», gli rispose la donna. Poi si rivolse di nuovo a me. «La socievolezza è un pregio. A quest'età, poi. Inoltre, qui in paese ci conosciamo tutti.» La donna indossava una camicia bianca a maniche corte, dei bermuda color cachi e dei sandali bianchi. Il suo non era il sorriso sociale di chi sopporta con pazienza un fastidio, ma sembrava animato da un autentico senso di accoglienza. Quasi fosse sincero. Daniele la toccò sul braccio nudo. «Come ti chiami?» «Io sono Carla. Piacere di conoscerti. E tu?» «Daniele. Questa pallina io ce l'avevo doppione, poi l'ho persa…» Scattai in piedi. «Quando?» In tre passi gli fui vicino, lo voltai verso di me. «Quando, Daniele. Ricordi qualcosa? Quando l'hai persa? Dove?» Daniele era disorientato. Mi resi conto che il mio tono lo stava spaventando. «Signora, c'è qualcosa che non va?» La donna aveva poggiato il libro sul tavolo e mi parlava a bassa voce. Il suo intervento mi contrariava, ma il tono della domanda era


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dolce e fermo al tempo stesso. La guardai negli occhi. Erano grigi, e sembrava sapessero cose che non si leggono nei libri. «Tutto non va. Sto vivendo in un sogno, e ho paura di svegliarmi.» Mi cadde lo sguardo sul suo libro: s'intitolava Donne, benché in copertina ci fosse un signore in abiti settecenteschi con baffi e barba a punta. La donna mi tese la mano. Non era un saluto, ma una sorta di offerta di ascolto. Gliela strinsi senza dire nulla. «So quello che prova. Ha voglia di parlare? Facciamo una passeggiata tutti e tre insieme. Magari fino alla terrazza panoramica, la conosce?» «Volentieri. Sì, io sono nata qui.» «Anch'io. Ma mi ci sono stabilita solo da un paio d'anni.» «Forse per questo non ci siamo mai viste.» La donna mi guardò come se mi stesse leggendo l'anima. «Forse.»


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15.

La terrazza panoramica raccoglieva ancora il sole del tardo pomeriggio. Oltre l'alta balaustra di marmo si scopriva tutta la vallata, il fiume, e a pochi chilometri il mare verde che restituiva il calore bruciante della domenica. Stranamente, non c'era nessuno a godersi la vista magnifica, che di solito attirava i turisti di passaggio. «Qui le auto non passano…» «Lo so.» Lasciai la mano del bambino. «Attento, Lele, se la lanci forte la pallina rimbalza oltre il parapetto.» «Tu vai via, mamma?» «Certo che no. Sto qui con la signora Carla.» «Diamoci del tu, se ti va.» «Sì. Io sono Alice. Daniele, attento!» «Non gli può succedere nulla, qui, Alice. Di che hai paura?» Mi toccò la spalla. Il suo volto era così vicino al mio che poteva parlarmi quasi sussurrando. Scossi la testa, lo sguardo sempre fisso su Daniele che lanciava la pallina e poi le correva dietro, eccitato, cercando di indovinare i suoi buffi rimbalzi. «Non credo che tu possa capire.» Carla sorrise ancora. «In effetti sarebbe il mio mestiere: io sono psicoterapeuta.» «Ma non hai mai avuto esperienza di quello che ho passato io.» «Un medico non deve aver avuto tutte le malattie, deve saperle curare.» Mio malgrado mi concessi una breve risata. «Non hai torto…» «Lo so. Che cos'è successo a Daniele, in passato?» Il sole iniziò a nascondersi dietro ai tetti delle case. Si era levata una tiepida brezza di mare. «Non posso dirtelo ora, in sua presenza. Lui non si ricorda nulla.»


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«Poche parole. Ora non fa caso a noi. Ma solo se te la senti.» La guardai negli occhi. «Non puoi non aver sentito parlare di lui. Daniele è stato rapito un anno fa, mentre eravamo qui in vacanza. Per mesi e mesi non si è parlato d'altro.» Carla sostenne il mio sguardo. «Non potevo saperlo, invece. Ti spiegherò perché un'altra volta. Quando è ricomparso?» Mi mancava l'aria, mi portai una mano alla gola. «Stamattina all'alba.» «Sì… E lui non ricorda nulla di… di prima?» «Sembra di no. E io ho paura a chiedere. Non so cosa fare. Non riesco a parlare con nessuno. Le persone che hanno indagato sulla sua scomparsa non riesco a trovarle. Sono sola, qui, a parte lui.» Carla mi appoggiò una mano fresca sul viso. «Ora non più. Racconta.»


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16. PRIMA.

«Alice, svegliati! Daniele non c'è.» «Che cazzo dici? Dov'è?» «Ero al telefono, l'ho perso di vista solo un attimo.» «Un attimo!?» Una radura deserta a perdita d'occhio. Il silenzio caldo del pomeriggio d'agosto scalfito solo da qualche verso d'insetto e da motori d'auto lontanissimi. Oltre le querce e i faggi che ci avevano offerto l'ombra per il picnic, a circa duecento metri, un sentiero da trekking saliva verso le colline. «Forse è andato alla macchina.» «È chiusa. Va' a vedere. Io cerco verso ovest, dove c'è il torrente.» Nell'improvviso silenzio degli insetti la brezza ci portò il fruscio dell'acqua. «Oh mio dio.» «Sta' calma. Dove vuoi che sia andato? È un bambino.» «Stia calma, signora. Suo figlio non può essere lontano. Vedrà che i cani lo troveranno. Lei non ha altri suoi oggetti personali, indumenti?» «No. Solo questa pallina di gomma.» «È un po' poco. Ma intanto mi ripeta con calma le circostanze della scomparsa.» «Io dormivo, che possa non svegliarmi più. Lo chieda a quel bastardo di mio marito.» «Signora, non faccia così. Faremo il possibile e l'impossibile per riportarle Daniele.» «Purtroppo l'ipotesi del rapimento a scopo di estorsione cade. Si sarebbero fatti vivi da un pezzo. Nelle vicinanze non ci sono pozzi,


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caverne o altri anditi naturali dove Daniele può essersi perso. La zona l'abbiamo battuta palmo a palmo, e la gente del luogo si è mobilitata con dedizione incredibile. Siamo orientati a credere che il bambino sia stato portato via da qualcuno, per motivi che non conosciamo.» «Questo vuol dire che smettete di cercarlo?» «No. Vuol dire che non lo cerchiamo più all'aperto. Crediamo che sia tenuto nascosto in una casa. Forse non lontano da dove è scomparso.» «Ma starà bene? È così piccolo. Mi dica la verità, la prego: lei crede che sia ancora…?» «Signora, non pianga. Lo troveremo.» «Hai trovato il coraggio di scappare, finalmente.» «Alice, non posso andare avanti così. Daniele non tornerà più, lo sai anche tu. Non c'è più speranza.» «Io spero che tu muoia presto.» Posò la valigia. «Una parte di me è già morta.» «E tu hai chi si prenderà cura dell'unico pezzo rimasto vivo, giusto? Che possa morire anche lei.» «Katrina non c'entra.» «Vi stavate telefonando quando Daniele è scomparso. Altroché, se c'entra.» Cercò una risposta, si morse le labbra. Sollevò la valigia. Furono le sue spalle a dirmi addio.


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17.

«Perché mamma piange?» Mi sciolsi dall'abbraccio di Carla, mi asciugai gli occhi col fazzoletto che lei mi porgeva, mi abbassai ad abbracciare mio figlio. «La mamma è solo stanca. Piange di gioia. Io… ho tanto sentito la tua mancanza. Tu no?» Daniele mi rispose solo sorridendo, poi mi si gettò al collo stretto fin quasi a soffocarmi. Lo presi in braccio, mi tirai su, mi appoggiai al parapetto. Chiusi gli occhi. «Avrei bisogno di parlare con te da sola» mi disse Carla dopo qualche momento. «Se vuoi che ti aiuti.» La guardai. C'era un ardore nei suoi occhi che andava oltre l'interesse professionale. «Non starò più da sola. Non lo lascerò un attimo. Mai.» «Ti capisco. Posso venire da voi quando si sarà addormentato…» «Questo sì. Ma dovrai salire in camera. Siamo all'Albergo delle Rose.» «Non credo che Giovanni avrà da ridire», sorrise. «Lo conosci?» «Come ti ho detto, qui in paese ci conosciamo un po' tutti. Siamo poche anime.» «Che fate quando mi sono addormentato?» chiese Daniele. «Nulla, amore. Parliamo di cose da grandi.» «Facciamo alle dieci?» «Spero di resistere fino a quell'ora. Sì. Oh, santo cielo!» «Cosa?» «Il bar. Non ho pagato il gelato!» Carla mi strinse la spalla, sorridendo. «Te l'avranno messo in conto. Nessuno ti correrà dietro per questo, non temere. Anzi, vi posso offrire la cena? C'è una trattoria a pochi passi…»


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«La conosco. No. Scusa, ma vorremmo stare un po' da soli. Farmi una doccia, magari.» «Certo. A più tardi.» «Da qui lo può vedere, il bambino, stia tranquilla. Questo è l'elenco del telefono.» Sfogliai le pagine controllando con la coda dell'occhio Daniele che era al secondo piatto di lasagne, tutto concentrato sulla TV della sala da pranzo che trasmetteva un cartone animato che era già vecchio quando io ero giovane. Mi stavo sforzando di ricordare il cognome del marito di Gloria. Martini… Martinelli… «Lei non ha fatto onore alla mia cucina, però…» «Mi scusi, Giovanni, sono così sfinita che ho lo stomaco chiuso…» Martinucci. Composi il numero. Udii due segnali di chiamata, poi il suono svanì a poco a poco, e ci fu solo silenzio. Riprovai, con lo stesso risultato. «Non capisco.» «Evidentemente non c'è nessuno… Vuole che tenti io più tardi, e magari gliela passi in camera?» Giovanni aveva l'espressione buffa di un dispiaciuto Mr. Bean. «No. Forse domani. Ah, verso le dieci verrà una signora, un'amica… può farla salire? Cioè, è permesso ricevere ospiti? È una donna…» «Oh, cara signora, oramai io sono al di là dei cattivi pensieri. Tutto è puro per i puri.» Giovanni mi tese la chiave della stanza. Faticai a prenderla, per quanto mi tremava la mano. Dovetti usare la sinistra, più ferma. In quel momento mi tornò in mente che cos'era scomparso dalla mia camera. «Daniele, hai finito? La mamma non ne può più.» )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

1. Il primo giorno (domenica). ........................................................... 5 2. ......................................................................................................... 8 3. ....................................................................................................... 12 4. ....................................................................................................... 15 5. ....................................................................................................... 17 6. ....................................................................................................... 19 7. ....................................................................................................... 21 8. ....................................................................................................... 23 9. ....................................................................................................... 26 10. ..................................................................................................... 28 11. ..................................................................................................... 30 12. ..................................................................................................... 33 13. ..................................................................................................... 35 14. ..................................................................................................... 38 15. ..................................................................................................... 40 16. Prima. ......................................................................................... 42 17. ..................................................................................................... 44


18. ..................................................................................................... 46 19. ..................................................................................................... 48 20. ..................................................................................................... 51 21. Il secondo giorno (lunedì). ......................................................... 53 22. ..................................................................................................... 55 23. ..................................................................................................... 57 24. ..................................................................................................... 60 25. ..................................................................................................... 62 26. ..................................................................................................... 64 27. ..................................................................................................... 67 28. ..................................................................................................... 69 29. ..................................................................................................... 72 30. ..................................................................................................... 74 31. ..................................................................................................... 76 32. Il terzo giorno (martedì) ............................................................. 78 33. ..................................................................................................... 81 34. ..................................................................................................... 83 35. ..................................................................................................... 85 36. ..................................................................................................... 87 37. ..................................................................................................... 90 38. ..................................................................................................... 92


39. ..................................................................................................... 94 40. ..................................................................................................... 96 41. ..................................................................................................... 98 42. ................................................................................................... 100 43. ................................................................................................... 102 44. ................................................................................................... 104 45. ................................................................................................... 106 46. Il quarto giorno (mercoledì) ..................................................... 108 47. ................................................................................................... 110 48. ................................................................................................... 112 49. ................................................................................................... 114 50. ................................................................................................... 116 51. ................................................................................................... 118 52. ................................................................................................... 121 53. ................................................................................................... 124 54. ................................................................................................... 126 55. ................................................................................................... 128 56. ................................................................................................... 130 57. Il quinto giorno (giovedì) ......................................................... 132 58. ................................................................................................... 134 59. ................................................................................................... 136


60. ................................................................................................... 138 61. ................................................................................................... 140 62. ................................................................................................... 142 63. ................................................................................................... 144 64. ................................................................................................... 146 65. ................................................................................................... 149 66. ................................................................................................... 151 67. ................................................................................................... 153 68. ................................................................................................... 156 69. ................................................................................................... 159 70. ................................................................................................... 161 71. ................................................................................................... 165 72. ................................................................................................... 167 73. ................................................................................................... 169 74. ................................................................................................... 171 75. ................................................................................................... 173 76. ................................................................................................... 175 77. ................................................................................................... 177 78. ................................................................................................... 179 79. ................................................................................................... 181 80. ................................................................................................... 183


81. ................................................................................................... 185 82. ................................................................................................... 187 83. ................................................................................................... 189 84. ................................................................................................... 191 85. ................................................................................................... 193 86. ................................................................................................... 195 87. ................................................................................................... 197 88 - Epilogo - Sabato 14 agosto ..................................................... 199 89 - Epilogo 2 ................................................................................. 203 90 - Epilogo 3 ................................................................................. 209 91 - Epilogo 4 - Domenica 15 agosto ............................................. 214 92 - Epilogo 5 ................................................................................. 216 Ringraziamenti ............................................................................... 219



AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quinta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2022) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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