Crisi

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IVAN MATTEI

CRISI

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Serie BIG‐C Grandi Caratteri, lettura facilitata CRISI

Copyright © 2013 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-655-4 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Gennaio 2014 Stampato da Logo srl Borgoricco - Padova


CRISI



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CAPITOLO 1 16 Novembre 2011 

Si insedia il governo tecnico presieduto da Mario

Monti. 

L’andamento dello spread continua ad avere uno

spazio importante nelle prime pagine dei quotidiani. 

Viene indagato don Verzé per lo scandalo San Raf‐

faele. Di ritorno dal lavoro, Adelmo non aveva il coraggio di ri‐ entrare in casa. Marta lo stava aspettando come ogni giorno per prendere il caffè insieme, dopo una giornata lavorativa molto dura per entrambi. Marta lavorava per una ditta di pulizie. Venti ore settima‐ nali per uno stipendio di 600 € che ben si andava a inca‐ strare con il doppio guadagnato ogni mese da Adelmo, per il lavoro in fabbrica.


6 Non avrebbero potuto sperare di meglio il giorno in cui la‐ sciarono il loro paese del sud, con tanto sole ma con po‐ che prospettive per una giovane coppia di sposi. In fondo vivevano bene e il non aver potuto avere figli, una volta superata la forte delusione e un principio di depressione per Marta, aveva aiutato i due a stare economicamente bene. Niente lussi sfrenati, per carità, ma qualche soldino da parte per togliersi uno sfizio ogni tanto erano riusciti a metterlo. Quindi una vita che procedeva nel migliore dei modi. Fino a quel maledetto 16 novembre 2011, giorno in cui Adelmo non riusciva ad aprire il portone del palazzo dove abitava ormai da 8 anni e il caffè, già pronto, si raffreddava sul ta‐ volo di cucina. A metà mattinata, Adelmo era stato chiamato dal diretto‐ re che, senza troppi fronzoli, gli aveva comunicato il licen‐ ziamento. La notizia era inaspettata. Era vero che nei mesi precedenti la ditta era stata costretta a ridurre sempre di più il personale, ma i vecchi operai si sentivano in una bot‐ te di ferro. In fondo conoscevano personalmente i pro‐ prietari della fabbrica ed erano diventati quasi una fami‐


7 glia. Nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa del gene‐ re. «Caro Adelmo, siete rimasti in pochi e tutti ci conosciamo molto bene» cominciò il direttore. «Sai bene che la situa‐ zione si sta aggravando mese dopo mese e noi abbiamo fatto degli sforzi immani per poter mandare avanti la no‐ stra fabbrica. Ma ormai non ce la facciamo più e siamo co‐ stretti a chiudere. Proprio perché siete rimasti in pochi e con una confidenza che conosci bene, ve lo vogliamo co‐ municare singolarmente. Per mio padre siete come figli e per me come fratelli. Ci dispiace da morire lasciarvi così, da un giorno all’altro.» Erano seguiti una serie di accenni infiniti alla situazione i‐ taliana ed europea, condita da spread, profitti, perdite, tra i quali Adelmo si perse. La sua mente si era concentra‐ ta sulla parola che racchiudeva tutto: licenziamento. Quel termine che il direttore, figlio del presidente della ditta proprietaria della fabbrica, non aveva mai pronun‐ ciato, ma che traspariva dietro ogni altra parola detta. Come un automa, Adelmo si era alzato per tornare al pro‐ prio posto di lavoro e continuare quanto aveva lasciato a metà, senza dire una parola. A fine giornata la comunica‐


8 zione, probabilmente nella stessa forma e con le stesse parole, era stata fatta a tutti i pochi operai rimasti. Ognuno aveva reagito in modo diverso. Chi aveva lasciato il lavoro al punto in cui stava per cominciare a discutere sul da farsi, chi piangeva, chi se ne era andato direttamen‐ te dicendo che non avrebbe aspettato la fine del mese, chi voleva cominciare una lotta sindacale “di quelle serie”. Adelmo aveva continuato a pensare a quella parola che ora gli occupava tutto il cervello e dietro la quale vedeva sua moglie Marta, seduta al tavolo della cucina con il caffè davanti. Marta lo raggiunse in corridoio, dove lui si stava togliendo il cappotto. Il volto di suo marito, sul quale si leggeva una tristezza carica di dignità, le tolse il respiro. Era l’uomo che aveva sposato venti anni prima, ma fino al giorno pre‐ cedente quel tempo sembrava non essere passato per suo marito. Neanche la fabbrica c’era riuscita. Ora sem‐ brava che qualcuno lo avesse picchiato senza lasciargli li‐ vidi sulla pelle, ma nell’anima. Il sorriso, che era il tratto che lo distingueva, era sparito e lei capì che qualcosa di grave era successo. Lo raggiunse e, senza dire una sola parola, lo abbracciò più forte che poteva.


9 * * * Si dice che la notte porti consiglio. Per Adelmo aveva portato soltanto un po’ di serenità. Per tutto il pomeriggio del giorno prima non era riuscito a spiccicare una sola parola. Marta gli era stata vicina senza nessun problema. Non gli chiedeva nulla, ma lo abbrac‐ ciava e lo accarezzava, guardandolo in quegli occhi rossi e gonfi di lacrime. Era accaduto qualcosa di grave per ridurre così quell’uomo. Un uomo forte, che l’aveva aiutata nei mo‐ menti più neri. Un uomo che era riuscito a creare dal nulla una famiglia. Un uomo che diceva sempre che la sua forza era proprio sua moglie Marta. E adesso Marta aveva deci‐ so di fare gli straordinari in questo lavoro che il marito le aveva affidato. Che cosa poteva essere successo? Un incidente sul lavoro in cui era stato coinvolto qualche suo amico? Una brutta notizia dal paese? Pochi mesi prima era morto il papà di Adelmo, ormai ri‐ masto senza genitori e con un fratello emigrato in Ameri‐ ca che non si faceva più sentire. L’unica parente rimastagli


10 era la sorella di sua madre, zia Lorenza. Che fosse capitata una disgrazia a lei? Tutte domande che avrebbero avuto una risposta quella stessa sera, una volta sdraiatisi a letto. In quel momento, Adelmo era riuscito a raccogliere tutte le forze e a comu‐ nicare a sua moglie che a fine mese sarebbe rimasto sen‐ za lavoro. Due settimane e la fabbrica avrebbe chiuso. E quello sarebbe stato il suo ultimo stipendio. Marta lo strinse a sé ancora più forte di quanto aveva fat‐ to nel pomeriggio, sfogando in quell’abbraccio tutta la tensione che stava crescendo in lei, spinta dalla preoccu‐ pazione che ora condivideva con il marito. «Ce la faremo, non ti devi preoccupare. Tu hai solo 45 anni e un curriculum da fare invidia. Sai fare tutto e puoi fare di tutto. Ce la caveremo, come abbiamo sempre fatto. Io in‐ tanto chiederò di fare qualche straordinario.» Quelle parole lo avevano aiutato molto. Adelmo conside‐ rava sua moglie il vero pilastro della famiglia. Tutti i suoi sforzi puntavano a renderla felice. Erano lontani da casa, da soli, eppure erano riusciti a costruire qualcosa. Ora lei gli diceva che se la sarebbero cavata, come sempre, e lui le credeva, perché si fidava di lei. E perché voleva crederle con tutte le sue forze.


11 Si addormentarono abbracciati e la mattina dopo lui non si accorse neanche che Marta si era alzata per andare a lavorare. Lei si alzava tutte le mattine alle 5 per stare sul posto di lavoro alle 6,30. Adelmo, invece, si alzava alle 7 per stare in fabbrica alle 8,30. Come tutte le mattine trovò la cola‐ zione pronta sul tavolo di cucina, con il cestino del pranzo in una bustina. Uscì di casa un po’ prima del solito. Passò in edicola e comprò un paio di giornali per leggere le offerte di lavoro. Si doveva ripartire subito. Adelmo questo lo sapeva, ed era stata Marta a comunicarglielo con i suoi abbracci.


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CAPITOLO 2 30 Novembre 2011 

Monti annuncia sacrifici.

Si annuncia un aumento del limite di anni per i con‐

tributi previdenziali. 

I parlamentari si riducono i vitalizi.

Ultimo giorno di lavoro. Una nuova esperienza per Adel‐ mo. Appena arrivato al nord aveva trovato subito lavoro in quella fabbrica che era diventata un po’ la sua seconda casa e il direttore aveva detto giusto: ormai erano tutti di‐ ventati “di famiglia”. Tempo addietro già c’erano state delle avvisaglie di crisi, prima ancora che diventasse qual‐ cosa di rilevanza nazionale, ma la società che gestiva la fabbrica aveva retto l’urto. I vecchi operai avevano accet‐ tato una riduzione dello stipendio, pur di continuare a la‐ vorare.


13 Marta quella mattina aveva lasciato ad Adelmo un bigliet‐ to vicino alla bustina del pranzo: “Si volta pagina e la prossima sarà migliore di questa che è finita”. Nelle due settimane che erano seguite all’annuncio della chiusura della fabbrica si erano moltiplicate, giorno dopo giorno, le iniziative degli operai. A giorni alterni si mette‐ vano in scena proteste sindacali e manifestazioni per non far chiudere la fabbrica. Le prime avevano avuto il risulta‐ to di assicurare ai lavoratori il pagamento del TFR, che a molti sembrava dovuto e logico, ma che, come si era sco‐ perto durante i vari incontri, non era così scontato. Le se‐ conde non avevano avuto altro risultato che messaggi di solidarietà da politici e associazioni. Nulla da mettere sot‐ to i denti, quindi. Il licenziamento, la chiusura della fabbrica, davano un’idea di morte. Questa era la sensazione provata da Adelmo. Sapeva da sé che era qualcosa di eccessivo. In fondo la vi‐ ta continua, si chiude una porta si apre un portone, ecc… ma con la fabbrica si chiudeva anche un periodo lungo e abbastanza sereno della sua vita. Quell’ultimo giorno i lavoratori erano riuniti in assemblea. Era un’assemblea in cui si ripetevano cose che già si sape‐ vano, ma era un modo come un altro per stare vicini e far‐


14 si coraggio l’un l’altro. A metà dell’assemblea era arrivato anche il direttore che aveva fatto un discorso che ricalca‐ va passo passo quanto detto ai singoli operai. Questa vol‐ ta però sembrava di stare a sentire un bambino che reci‐ tava la poesia di Natale, ma qui il bambino non sorrideva e intorno a lui non c’erano parenti orgogliosi. Il direttore guardava in terra e parlava a voce bassa, tanto che non tutti riuscirono a capire cosa dicesse. Alla fine non ci fu l’applauso, ma un silenzio sconosciuto in una fabbrica. «Queste sono le lettere di licenziamento. In questo modo potrete chiedere l’indennità di disoccupazione. Non è molto, ma speriamo basti a coprire questo periodo in cui cercherete un nuovo lavoro.» Dal fondo della sala si udì flebile una voce: «Abbiamo anche il TFR.» A questa affermazione il direttore rispose a voce ancor più bassa dopo qualche secondo di silenzio. «Già… il TFR…» Quindi si girò e uscì dalla sala. Gli operai restarono in silenzio a guardarsi in faccia. Prese quindi la parola il delegato sindacale.


15 «Bene. Detto questo penso che possiamo anche timbrare per l’ultima volta il cartellino e andarcene tutti a casa. Buona fortuna a tutti.» Nel più assoluto silenzio andarono tutti a svuotare i propri armadietti e si misero in fila per timbrare il cartellino. Qualcuno piangeva. Qualcun altro si tratteneva. Nessuno parlava. * * * Dal diario di Marta: Oggi è l’ultimo giorno di lavoro di Adelmo. Ho appena fini‐ to di preparare la macchinetta del caffè, così da farglielo trovare pronto come tutti i pomeriggi. Queste due settimane sono state devastanti per entram‐ bi. Adelmo si è chiuso sempre più in un mutismo dispera‐ to, mentre io mi disperavo a cercare di non farlo chiudere in un guscio che difficilmente poi potrei aprire. Ne abbiamo passate tante insieme e ci siamo sempre aiu‐ tati, riuscendo dopo ogni caduta a rialzarci senza troppi danni. Ricordo quando ho dovuto accettare il mio lavoro in una cooperativa che si occupa di pulizie nelle scuole, come mi ha aiutato a non cadere in depressione, ben sa‐


16 pendo che accettando quel lavoro dovevo mettere da parte la mia laurea in lingua e letteratura italiana, tanto sudata, ma tanto inutile. Adelmo non merita di soffrire e ora sta rimuginando sem‐ pre di più sul futuro. Entrambi siamo preoccupati, anche se lui cerca di essere positivo. Ogni giorno torna con un giornale di offerte di lavoro, si è iscritto a tutti i siti possi‐ bili e ora ha intenzione di girare per tutte le agenzie inte‐ rinali. Ci prova, anche se non ci crede troppo. Io non ci credo per niente, ma lo incoraggio a provare. Ma è possibile avere speranza quando ti offrono lavori con contratti di un mese per i quali ti serve un’esperienza maturata in due anni come subagente di assicurazione? Ma abbiamo un po’ di risparmi e poi ci sarà il TFR matura‐ to in 20 anni di lavoro. Possiamo stare tranquilli, per qualche tempo.


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CAPITOLO 3 29 Dicembre 2011 

Monti annuncia un piano che comprende riforma

del lavoro, liberalizzazioni, tagli e infrastrutture. 

Si parla del figlio di Bossi in un caso di cocaina e

escort. 

Boom di incassi per lotterie e slot machine.

La domanda per l’indennità di disoccupazione era stata fatta e per sei mesi, almeno, qualcosa sarebbe entrata. Non sono di certo quei 700 € che ti cambiano la vita, ma i soldi da parte c’erano e il TFR sicuramente non avrebbe tardato ad arrivare, insieme allo stipendio dell’ultimo me‐ se di lavoro. Il sindacato si stava muovendo e avevano as‐ sicurato risultati in tempi brevi, anche perché il fatto di a‐ gire per conto di un numero cospicuo di operai aiutava molto.


18 C’erano state voci da parte dei classici “ben informati” ri‐ guardanti una possibile bancarotta della società che ge‐ stiva la fabbrica, ma, fortunatamente, non erano arrivate conferme e il sindacato ne parlava come di una cosa inve‐ rosimile. La paura però era tanta e questo non aiutava i lavoratori rimasti a casa. Come previsto da Marta, la ricerca di un impiego da parte di Adelmo sembrava essere infruttuosa. La maggior parte degli annunci era per candidati di massimo 25 anni, qual‐ cosa per chi ne aveva 30, quasi nulla tra i 30 e i 40. Oltre i 40 si ricercavano soltanto badanti, possibilmente donne, preferibilmente straniere. Le agenzie di lavoro interinale avevano preso il curriculum di Adelmo, ringraziando per essere andati da loro, ma poi non si erano più fatte sentire. Intanto Adelmo si era preparato al computer un foglio di calcolo per poter tenere sotto controllo tutte le spese. Le festività natalizie così immediate dopo il licenziamento non ci volevano proprio. Tutte le pratiche avviate si fer‐ mavano, mentre le spese aumentavano esponenzialmen‐ te con l’avvicinarsi dei giorni di festa.


19 Quella fu la prima volta che Adelmo e Marta non sarebbe‐ ro tornati al paese per festeggiare con i pochi parenti ri‐ masti. Alla zia Lorenza dissero che avevano chiesto ad Adelmo di fare gli straordinari, mentre alla mamma di Marta raccon‐ tarono semplicemente la verità. La signora Assunta aveva proposto alla figlia di raggiungerla lei, ma Marta le aveva detto che non c’era bisogno che si strapazzasse e che si sarebbero viste al più presto. Per quanto riguardava i cugini bastava un saluto e un au‐ gurio telefonico. La notte di Natale avevano fatto un “cenone a due”. Mar‐ ta, per sdrammatizzare un po’ la situazione, lo aveva fatto diventare una cena romantica, con tanto di candele. «Così risparmiamo anche la corrente elettrica» scherzò. Adelmo sorrise, ma la sua mente andava al foglio di calcolo delle spese e al pareggio mensile in assenza di spese grosse. Per la notte di capodanno avevano pensato di andare a festeggiare in piazza, ma ancora non erano sicuri sul da farsi. La voglia di festeggiare era poca per entrambi. Ǥ ǤǤǤ


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