Come un sussurro del vento, Enrico Cancelli

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COME UN SUSSURRO DEL VENTO

ENRICO CANCELLI
ZeroUnoUndici Edizioni

ZeroUnoUndici Edizioni

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COME UN SUSSURRO DEL VENTO

Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-580-6 Copertina: Immagine Shutterstock.com Prima edizione Ottobre 2022

A Giovanna, la mia amata moglie, ai nostri cari figli Alberto e Vanessa e alle loro famiglie.

Un gentile ringraziamento a Emanuela Navone per il suo contributo.

«Raccontami una fiaba, cuor mio». «Non posso!

Non sei più un bambino; non vedresti il filo che trattiene l’aquilone accarezzato dal vento, non sentiresti la debole voce della nonnina che ti aspetta con ansia, non temeresti il lupo nascosto in agguato dietro i cespugli, non gioiresti per un piccolo fiore che teneramente ti guarda, non piangeresti per un bimbo al quale hanno rubato un bel sogno.»

«Io so già tutto questo!

Ma è proprio perché non sono più un bambino! Raccontami una fiaba, cuor mio».

Era una sera d’inverno. Nella casa avvolta da un manto di neve, che tutto all’esterno sbiancava, la cena stava per finire. Attorno al tavolo erano seduti un bimbo di otto anni di nome Matteo, suo papà, sua mamma e gli zii Sergio e Cristina. I grandi chiacchieravano, ma il più contento di tutti era Matteo, che ascoltava con attenzione i loro discorsi. La mamma iniziò a sparecchiare la tavola, mentre il papà insisteva su una questione di politica con lo zio Sergio, infervorandosi; Matteo lo ascoltava guardandolo con occhi spalancati. Lo zio Sergio, invece, non se la prendeva più di tanto (anche se sembrava che papà si aspettasse da lui chissà quali risposte), e guardava un po’ qua e un po’ là con aria divertita.

Sergio voleva bene a Matteo, il suo nipotino prediletto nonché figlioccio. Fermò lo sguardo su di lui e gli chiese: «Matteo, non ti stanchi a sentirci parlare continuamente?» «No, zio» rispose il bambino. «Mi piace ascoltarvi».

Si creò un attimo silenzio, e la mamma ne approfittò per rivolgersi a tutti: «Se siete d’accordo, proporrei di prendere il caffè vicino al caminetto».

«Buona idea» fu la risposta, e tutti si alzarono per prendere posto davanti al caminetto, dove un fuoco vivace consumava qualche pezzo di legna.

Sergio prese in braccio Matteo e lo portò davanti alla finestra che guardava dietro la casa; attraverso i vetri appannati si vedevano i campi rischiarati dalla luna e coperti di neve. Mancavano pochi giorni a Natale, e quel panorama freddo, silenzioso e candido entrava nel cuore come un tenero abbraccio. Sergio si commosse. Diede un bacio sulla guancia al suo caro nipotino, poi lo fece sedere sul divano e si accomodò accanto alla moglie.

Mentre la padrona di casa serviva il caffè, ripresero i discorsi di prima ma con un tono più rilassato: dopo una serata così bella, tutti erano più disposti ad ascoltare che a parlare.

7 I

«È stata una cena speciale, complimenti alla cuoca» disse Sergio dopo aver bevuto il caffè. «E poi si sta così bene qui, davanti al fuoco». Si rivolse alla moglie: «Peccato, cara, che tra poco dobbiamo tornare a casa».

«Sono solo le nove, è ancora presto. Fateci ancora un po’ di compagnia!» protestarono i genitori di Matteo.

Il bambino non disse nulla, ma posò lo sguardo sullo zio Sergio. Matteo era un bambino che parlava poco, ma questo non significava che non sapesse esprimersi; anzi, era dotato di una sensibilità e di una dolcezza che, valorizzate dalla bellezza del viso dai lineamenti delicati e dai profondi occhi verdi, gli permettevano di esprimere molte cose anche con lo sguardo e lo rendevano un bambino al quale era impossibile non affezionarsi.

«Zio, raccontami una storia!» chiese.

Per un momento tutti zittirono. Poi pensarono che fosse una buona idea. «Piccolino, non ho mai raccontato storie, o perlomeno, non ricordo più di averlo fatto» si schernì Sergio.

Anche gli altri, che dopo un attimo di sorpresa avevano apprezzato la richiesta di Matteo, insistettero con Sergio perché accontentasse il nipotino.

«Dai, inventane una, non ci vuole molto, e poi sarebbe la conclusione ideale della serata».

«Allora» cominciò Sergio, che iniziava ad assaporare l’idea di raccontare qualcosa in una serata così propizia alle confidenze e all’immaginazione.

«Non si comincia con “allora”» gli ricordò subito sua moglie. «Hai ragione. In un lontano paese, tempo fa, viveva un bambino di nome Matteo, che aveva tanti… »

Il piccolo ebbe un sussulto.

«No» si corresse Sergio. «Un bambino di nome Luca». Matteo, preso dalla curiosità, lo interruppe: «Scusa, zio, ma è una storia vera?»

«Te lo dirò alla fine. Ora ascolta bene perché so che ti piacerà». «D’accordo» promise Matteo, tenendo i gomiti sulle ginocchia e poggiando il mento sulle mani.

Rimase in quella posizione per quasi tutta la durata della storia.

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In quel preciso momento, la neve, che non si curava di quelle strane fantasie degli uomini, riprese a scendere più fitta del mattino precedente, così fitta che il cielo sembrava mescolato con la terra, e la terra sembrava che salisse fino al cielo.

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In un lontano paese, non molto tempo fa, viveva un bambino di nome Luca che, come tutti i bambini, aveva sempre tanta voglia di giocare. Durante i suoi primi anni era molto affezionato ai peluche, e teneva in braccio il suo preferito per ore intere, a volte anche quando usciva in giardino o andava a spasso con i genitori. Tutti conoscevano questa sua passione, e a forza di ricevere peluche in dono, Luca aveva riempito la cameretta di tanti animaletti dal pelo morbido e dai colori vivaci. Li teneva dappertutto: alcuni in una cesta vicina alla porta, altri allineati sullo scaffale, altri ancora sulla mensola di fianco all’armadio. Quando papà e mamma entravano nella sua cameretta, una serie di visi morbidi (una giraffa gialla con gli occhi azzurri, un elefante rosa con il grembiulino, un leprotto con i denti bianchi sporgenti, e molti altri tra cui simpatici orsacchiotti) li guardava con l’aria incuriosita di chi aspetta un amico che tarda ad arrivare. Durante il giorno, sul comodino della sua cameretta non c’era nulla, ma la sera, quando andava a nanna, Luca vi riponeva il suo peluche preferito per averlo vicino durante la notte. Gli altri peluche non erano gelosi, perché tutti, a turno, erano stati i suoi preferiti. Il bambino, infatti, si affezionava all’ultimo avuto in dono, e questa preferenza durava fino a quando non ne avesse ricevuto un altro. Luca era un bambino buono e non voleva fare torto a nessuno dei suoi amici di pezza. A ciascuno aveva dato un nome diverso. Tutto cambiò quando il padre gli portò un pallone. Avvenne in occasione del suo terzo compleanno. La mamma gli aveva regalato un bel peluche, un orsacchiotto bianco dal pelo morbidissimo, gli occhi marrone e la punta del naso nera. Luca vi si affezionò subito e decise di chiamarlo Bubo. Ricevette altri regali dai nonni paterni e dagli zii, ma Bubo aveva fatto breccia nel suo cuore, e per tutto il pomeriggio lo tenne sempre stretto a sé. Quando venne sera e arrivò il papà dal lavoro, anche lui aveva con sé un regalo. L’uomo non fece in tempo a entrare in casa che Luca gli era già saltato in braccio dalla gioia.

10 II

«Buon compleanno!»

Luca si liberò agilmente dall’abbraccio e, tornato con i piedi per terra, lo tirò per la giacca, orgoglioso di fargli vedere tutti i giocattoli che aveva ricevuto. Il padre appoggiò il suo regalo sul divano.

«Hai visto, papà, che bell’orsetto mi ha regalato la mamma? L’ho chiamato Bubo!»

«È proprio un bell’orsetto» ammise l’uomo.

La mamma, che divertita guardava la scena, accarezzò suo figlio e gli disse: «Luca, non sei curioso di sapere cosa ti ha regalato papà?»

«Sì, mamma, però prima volevo fargli conoscere Bubo».

Luca sgambettò verso il divano, prese il regalo del padre e lo scartò, mentre i genitori lo guardavano in silenzio. Estrasse dalla scatola un pallone colorato, a rombi bianchi e azzurri, e lo guardò senza dire una parola.

«Che bel pallone, Luca, ti piace? Papà è stato proprio bravo!» lo incoraggiò la madre.

Luca depose il pallone sul divano e tornò in braccio al padre. «Grazie, papà, è un pallone molto bello».

Durante la cena, Luca tenne vicino a sé Bubo, il suo nuovo amico, e quando fu l’ora di andare a nanna il peluche trovò il meritato riposo sopra il comodino, mentre Betto il coniglietto, oramai decaduto, dovette accontentarsi di dividere con alcuni cagnolini il posto sopra lo scaffale.

Per qualche giorno Luca non prestò la benché minima attenzione al regalo del padre, quel pallone colorato che era rimasto sul divano in sala. La mamma lo aveva notato ma non gli disse nulla, in parte incuriosita di vedere cosa ne avrebbe fatto, e in parte contenta che non gli interessasse: lo riteneva un oggetto pericoloso per l’integrità dei vetri, dei fiori in giardino e di tante altre cose.

Le sue speranze vennero ben presto deluse. Dopo qualche giorno, in un bel pomeriggio di sole che per i bambini è sempre un invito a stare all’aria aperta, Luca decise di provare in giardino il nuovo giocattolo in compagnia della cuginetta Laura.

Fu un colpo di fulmine, tanto potente quanto inaspettato. Da quella volta non perse occasione per giocare a pallone, con la cuginetta, con il papà, o anche da solo, e prestava piccole attenzioni ai vecchi amici peluche, rimasti nella cameretta, solo quando andava a nanna.

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La passione per il pallone lo prese come un vortice, e quando l’età glielo consentì i genitori decisero di iscriverlo al corso calcistico “primi calci”. Col passare del tempo Luca desiderava sempre più giocare con il padre a pallone, ma per l’uomo, che aveva spiccate doti imprenditoriali, il lavoro stava andando per il verso giusto e questo, purtroppo, significava sempre meno tempo da dedicare alla famiglia. Così, più Luca sentiva il bisogno di avere vicino il papà, più questi si allontanava involontariamente da lui.

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Francesco, il padre di Luca, era un tipo attivo e intraprendente. Si era diplomato in Elettronica all’istituto tecnico della sua città e, una volta terminato il servizio di leva, si era dato subito da fare per trovare un lavoro. Aveva cominciato a lavorare in un ufficio di progettazione di impianti elettrici, dov’era rimasto solo alcuni mesi perché soffriva a dover stare seduto per ore alla scrivania. Era entrato poi in un’azienda che produceva piccoli elettrodomestici, ma lì temeva di non riuscire ad acquisire una significativa esperienza lavorativa. Aveva provato allora come manutentore elettrico in una grande falegnameria. All’inizio si era trovato abbastanza bene, era un lavoro dinamico che si adattava al suo temperamento, se non fosse che i rapporti con il caporeparto, freddi dal principio, erano deteriorati piano piano, fino a quando non era stato costretto ad andarsene. Non se ne era preoccupato più di tanto e aveva ricominciato a cercare.

Per puro caso aveva trovato un annuncio, per il posto di capo produzione, in un’azienda di giocattoli. Quando, dopo aver risposto all’annuncio pubblicato sul giornale, aveva sentito per telefono il titolare, che gli aveva spiegato cosa producessero e il tipo di persona che serviva, Francesco aveva pensato di lasciar perdere; ciò nonostante, aveva accettato di fissare un incontro, solo per curiosità. Un’azienda che produceva giocattoli non rientrava nelle sue aspettative. Quando aveva incontrato il titolare, però, che tra l’altro gli aveva mostrato tutta l’azienda, aveva capito che quel lavoro gli sarebbe piaciuto.

Era stato proprio così.

In poco tempo Francesco non solo era riuscito a meritarsi a pieno diritto la mansione di capo produzione, ma era divenuto anche lo stretto collaboratore del titolare, a tal punto che quando, dopo circa due anni, aveva deciso di mettersi in proprio per avviare un’azienda che producesse giocattoli, i rapporti non si erano deteriorati. Anzi: il titolare, che stimava Francesco, lo aveva aiutato finanziariamente.

13 III

Nel frattempo Francesco aveva conosciuto Maria, una ragazza bella e dolce. Era nato subito un sentimento molto forte che li aveva condotti, dopo nemmeno due anni di fidanzamento, a sposarsi.

Dopo un avvio stentato, l’azienda di Francesco aveva cominciato a funzionare bene, e ben presto constava di dodici dipendenti e produceva una gamma di giocattoli sempre più vasta e diversificata: trattorini, ruspe, camioncini, per non parlare dei giochi componibili, bambole, automobiline radiocomandate, e tanti altri. Francesco era un sognatore, e a forza di inventare, di costruire, di vendere giocattoli, se li sognava perfino di notte.

Pochi mesi dopo il loro matrimonio la moglie era rimasta incinta, e quando Francesco lo aveva saputo aveva provato una gioia incontenibile, che non aveva mai sperimentato prima di allora. Immaginava di avere un figlio maschio, bello, intelligente, che un domani avrebbe portato avanti e ingrandito la sua attività imprenditoriale.

Il figlio era infine giunto ed era proprio un bel maschietto. Lo avevano chiamato Luca e da subito aveva rappresentato il coronamento dei loro sogni. Era un bambino grazioso, e più passava il tempo più sembrava ingentilirsi, forse perché aveva una dolcezza, ereditata dalla mamma, che tutti amavano. Per Francesco e Maria era come avere un angioletto in casa, che permetteva loro di vivere in un sogno.

Ma questa situazione, come tutti i sogni, era purtroppo destinata a finire, o meglio a cambiare di fronte alla dura realtà della vita.

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A nove anni Luca era già considerato da molti un futuro campione di calcio. Il suo allenatore lo apprezzava non solo per il suo talento naturale, ma anche perché, con il suo carattere buono e sincero, sapeva creare nella squadra (dove aveva il ruolo di attaccante nonché di capitano) quella compattezza e quell’affiatamento che sono alcuni dei principali ingredienti per vincere.

Luca non era certo il tipo da montarsi la testa, e questo lo rendeva ancor più rispettato e benvoluto dai compagni. Se mancava anche una sola volta all’allenamento, tutti se ne accorgevano: era amico di tutti. Quando per esempio i ragazzi si ritrovavano negli spogliatoi, tra le battute scherzose, le risate, i dispetti vari, si sentiva ripetere continuamente il suo nome.

«Luca, mi presti lo shampoo che l’ho dimenticato a casa?»

«Luca, quando hai fatto pallonetto a Nicola, pensavo che la passassi a me la palla, visto che ero libero sulla destra!»

«Luca, di’ a Daniel di non usare il mio accappatoio!»

E altre frasi di questo tipo.

Luca parlava poco ma con il suo sorriso e la sua gentilezza sapeva mettere tutti a loro agio.

Francesco, anche se non riusciva quasi mai a seguire suo figlio, né quando disputava le partite, né tanto meno quando andava agli allenamenti, era orgoglioso di lui, e l’idea di avere in casa un probabile futuro campione di calcio lo elettrizzava. Quell’anno, benché fosse vicina la fine del campionato, a forza di rimandare Francesco non aveva ancora avuto occasione di conoscere il nuovo allenatore di Luca. Era un fatto strano, e una sera l’allenatore approfittò del fatto che Luca si fosse allenato insolitamente in maniera svogliata per parlargliene, mentre stava inforcando la bicicletta per tornare a casa.

«Luca» lo chiamò poggiandogli la mano sulla spalla curva per il peso dello zaino.

Il bambino riappoggiò la bicicletta contro il muro. «Sì, mister?»

15 IV

«Ho notato che stasera ti sei allenato svogliatamente» gli disse, ma senza rimprovero.

«Scusami, ma è da qualche giorno che mi fanno male le gambe, forse perché domenica scorsa ho fatto un giro in bici con Daniel». Luca si sentì in colpa, però capì subito che il mister gli voleva dire qualcos’altro.

«Può essere quello il motivo, vedrai che ti passerà presto. A proposito del giro in bicicletta, tuo papà non è venuto con te? Non gli piace?»

Il mister aveva parlato con naturalezza perché, conoscendo Luca, immaginava quanto bene volesse a suo padre, e temeva di farlo soffrire pensando che questi lo trascurasse. Ma quando vide la sua espressione si pentì di aver parlato. Luca lo guardava, e dalla profondità dei suoi occhi emergeva tutto l’amore che solo le anime buone e innocenti dei bambini sanno esprimere nei confronti dei loro genitori. Non rispose e abbassò la testa.

Al mister si strinse il cuore. «Luca, mi piacerebbe molto conoscere tuo papà. È fortunato ad avere un figlio come te, sul serio» disse emozionato.

Luca rialzò la testa. «Va bene, mister, gli chiederò se può venire durante la partita di domenica mattina. Mi ha promesso che una volta sarebbe venuto a vedermi giocare, anche se è molto impegnato con il lavoro». Ora i suoi occhi, al solo pensiero di giocare a pallone sotto lo sguardo del papà, brillavano di gioia.

Daniel sfrecciò accanto a loro, la ruota posteriore della bicicletta che faceva saltare pezzettini di ghiaia.

«Luca, ti aspetto fuori!»

«Va bene, un attimo che arrivo».

«Sarebbe una buona idea» disse il mister, senza aver neanche fatto caso all’arrivo di Daniel. «Di’ a tuo papà che lo vorrei conoscere, lo aspetto domenica mattina durante la partita. Ciao, Luca, e mi raccomando, fate attenzione alle macchine mentre tornate a casa».

Luca era già montato in sella alla bicicletta, con quel particolare entusiasmo che sapeva mettere in tutte le cose.

«Ciao, mister, ci vediamo domenica mattina!»

«Ciao, campione, portami anche tuo papà!»

Luca raggiunse Daniel in un baleno, e il mister non fece nemmeno in tempo a coordinare un pensiero che stava elaborando nel cervello, che i

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due ragazzini avevano già girato l’angolo, scomparendo alla sua vista. Rimase per un attimo immobile, continuando a guardare da quella parte. I fari di una macchina che si stava avvicinando gli ricordarono il pensiero di poco prima. Volse lo sguardo e si ritrovò a riflettere di non aver avuto la fortuna di un figlio, magari come Luca. Se così fosse stato, pensava, gli sarebbe stato vicino il più possibile. Da piccolo aveva sofferto molto per la mancanza del padre, sempre all’estero per lavoro. Ricordò allora, come gli era successo altre volte, che non gli conveniva pensare a queste cose: lo rendevano triste. Ritornò al presente, chiuse il cancello degli spogliatoi, si sforzò di fischiettare una canzone e, appena salito in macchina, accese la radio, alzò il volume e partì con la testa immersa già in altri pensieri.

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Quella domenica mattina giocavano in casa, e Luca andò al campo sportivo in bicicletta. Solo quando giocavano in trasferta lo portava la mamma in macchina, e di solito dava un passaggio anche a Daniel e a Mauro.

Luca entrò tutto contento negli spogliatoi. Dall’altra stanza arrivava il vocio dei suoi amici già indaffarati a cambiarsi. Il mister, seduto al tavolino poco distante dalla porta, lo guardò aspettandosi di vedere anche suo padre.

Luca salutò per primo. «Ciao!»

«Ciao, Luca. Non viene tuo papà?» «Sì, mi ha promesso che arriverà al massimo tra un’oretta, deve finire una cosa». Il bambino entrò nell’altra stanza.

Il mister annuì, soddisfatto.

Circa mezz’ora dopo l’arbitro fischiò l’avvio dell’incontro con la penultima in classifica. Diversamente dalle previsioni, la squadra di Luca aveva iniziato sottotono.

“Capitano a volte delle partite in cui i ragazzi sembrano, per chissà quali ragioni, demotivati, disorientati” pensò il mister. Ma questa volta c’era qualcosa di diverso: la squadra conduceva sì un gioco compatto, ma un punto debole la sbilanciava, soprattutto sulla fascia sinistra. Il punto debole era Luca, e il mister dovette ammetterlo a malincuore, dato che era il suo giocatore preferito. Evidentemente non era giornata per il bambino, che a volte sbagliava perfino i passaggi più semplici, e non reggeva i contatti con un difensore dell’altra squadra, che oltretutto non era un granché.

Forse conveniva sostituirlo, tuttavia il mister era indeciso. D’un tratto, si ricordò del padre di Luca. Fu una coincidenza: Francesco si stava avvicinando alla panchina proprio in quel momento. Il mister si voltò a guardarlo immaginando chi fosse.

Quando i due uomini furono vicini, Francesco si presentò.

«Piacere, io sono Luigi, l’allenatore» rispose il mister. «Finalmente ci conosciamo».

18 V

Mentre si stringevano la mano il viceallenatore si allontanò di qualche passo per gridare qualcosa ai ragazzi. Il gioco era fermo perché dall’altro lato del campo era stato commesso fallo ai danni di Luca, almeno così era parso all’arbitro. Il bambino era accovacciato e si massaggiava la gamba destra.

Francesco e l’allenatore rimasero in silenzio a osservare la scena.

Il vice ritornò presso di loro e, senza tanti preamboli, esclamò stizzito: «Se non vogliamo che la situazione peggiori, dobbiamo sostituirlo».

Luigi finse di non dare peso a queste parole, mentre Francesco esclamò: «Ah, ecco dov’è Luca, adesso l’ho riconosciuto! Luca!» e lo salutò energicamente con la mano.

Il bambino, accortosi della presenza del padre, si drizzò in piedi con un moto di orgoglio e di gioia, e ricambiò il saluto.

Alla fine del primo tempo, i bambini fecero gruppo a bordo campo, parlando animatamente e passandosi delle bottigliette di acqua. Luca corse trafelato verso il padre e Luigi, che dopo le presentazioni non si erano più detti nulla.

«Ciao, papà, mi sono accorto che eri tu quando mi hai salutato. Avevo appena subito un fallo».

Dall’espressione, ma soprattutto dalla profondità degli occhi, traspariva tutta la gioia di vedere il padre, anche se gli spiaceva di non sentirsi in forma quel giorno.

«Ciao, Luca, ho fatto tardi, mi spiace». Francesco si voltò verso il mister. Provava nei suoi confronti un leggero senso di disagio che non riusciva a giustificare.

«Non fa niente. Ti fermi a vedere il secondo tempo?» «Certamente».

«Ti fa ancora male la caviglia?» gli chiese il mister, osservandola. Ai suoi occhi esperti non era sfuggita la presenza di un leggero alone rosso.

«No, adesso non mi fa più male».

«Va’ a riposarti un momento con i tuoi compagni, il mio vice vi darà delle indicazioni per il secondo tempo».

I ragazzi erano seduti in cerchio attorno al viceallenatore, che spiegava loro la tattica da adottare per capovolgere le sorti della partita. Luca si unì a loro, mentre Luigi e Francesco rimasero poco distanti.

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«È fortunato ad avere un figlio come Luca» disse Luigi. Nonostante fosse più vecchio di Francesco, provava per lui un certo rispetto, forse per il carattere forte che manifestava.

«Il mio Luca è un ragazzo in gamba» affermò Francesco con una punta di orgoglio.

«Sa farsi ben volere da tutti».

Francesco rimase in silenzio.

«È il miglior giocatore che abbiamo avuto in questi anni» aggiunse il mister dopo un attimo di esitazione. «Peccato che proprio oggi non sia in forma, forse perché ha subito un pesante fallo».

Luigi voleva giustificare la scarsa prestazione di Luca in quella partita, anche se sapeva che il motivo non poteva essere ricondotto solo a quello.

La conversazione si trascinava a stento, e non riusciva a instaurarsi quel clima di spontaneità che serve per dare spazio alla confidenza. Così, fu per loro liberatorio quando l’arbitro rientrò in campo per fischiare l’inizio del secondo tempo.

Dato che voleva dare alcune disposizioni ai ragazzi prima che il gioco riprendesse, Luigi colse l’occasione per salutare il padre di Luca. «È stato un piacere conoscerla, e sono contento anche per Luca di vederla qui». Gli porse la mano.

Francesco gliela strinse energicamente. «È stato un piacere anche per me».

«Ora devo proprio andare dai miei campioni. La saluto, a presto».

Luigi si diresse verso i bambini, che si stavano riscaldando. Francesco rimase un attimo a guardare, poi, prima che iniziasse il secondo tempo, uscì dal campo e si fermò vicino alla rete davanti alle tribune. Una trentina di persone, probabilmente genitori dei bambini delle due squadre, cominciava ad agitarsi.

Il secondo tempo ebbe inizio. La squadra di Luca perdeva per 1 a 0, a dispetto dei pronostici che la davano favorita. Dopo un inizio sofferto, a causa di un goal mancato per un soffio, riuscì a pareggiare. Poco dopo, però, le sorti della partita vennero segnate dalla rimonta della squadra avversaria, che con ben due goal segnati in meno di cinque minuti congelò il risultato sul 3 a 1.

A un quarto d’ora dalla fine l’allenatore sostituì Luca, che accettò la decisione con serenità, anche perché si era reso conto di essere più un

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ostacolo che un sostegno. Mentre Luca si incamminava verso gli spogliatoi, notò il padre parlare animatamente al cellulare.

Più tardi, negli spogliatoi, nessuno pensò di addossare a lui la responsabilità della sconfitta: in tutti prevaleva lo spirito di squadra, che saggiamente il mister aveva saputo trasmettere loro, oltre alla stima e alla simpatia nei confronti del loro amico.

Nonostante questo, Luca si sentiva mortificato.

Luigi cercò di consolarlo: «Non preoccuparti, a tutti capitano dei momenti no. Vedrai che quando ti passerà giocherai meglio di prima». Luca lo ascoltava attentamente, fissandolo con i suoi occhi sinceri.

«E poi siamo ancora i primi in classifica, dobbiamo tenere duro solo per poche partite» sentenziò il mister, che già assaporava la soddisfazione di vincere la stagione.

«Appena starò meglio, ti prometto che farò il possibile, mi impegnerò ancora di più» dichiarò Luca.

«Stai tranquillo, tutto si sistemerà. Forse hai bisogno di un periodo di riposo».

Tuttavia, il mister era preoccupato. Se Luca non avesse giocato le ultime partite sarebbe stato un bel problema: infatti, dovevano incontrare proprio le squadre più forti.

Confortato dalle parole di Luigi, Luca ripensò al padre: certamente lo stava aspettando fuori dagli spogliatoi. In un attimo dimenticò il disagio di prima e provò una grande gioia.

Purtroppo, questa emozione fu ben presto sostituita dalla delusione, quando scoprì che invece Francesco se n’era già andato. Glielo disse Daniel, che non immaginava di certo quanto fosse dolorosa questa notizia per Luca.

«Vieni, ti accompagno a casa» lo spronò. Luca salì in bicicletta come se avesse preso un pugno nello stomaco, ma quell’amara sensazione poco dopo era già scomparsa: sicuramente suo padre era stato chiamato al telefono da qualcuno di importante ed era dovuto andare via prima. Questo pensiero, però, non bastò a evitare che due lacrime scendessero sulle sue guance.

Daniel continuava a parlare animatamente, guardando di qua e di là, contento di avere dietro di sé il suo caro amico, e non se ne accorse.

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Luca era proprio entrato in un periodo di crisi, pertanto l’allenatore decretò a malincuore che gli serviva un periodo di riposo, e per un paio di partite lo tenne in panchina. Il bambino lo accettò, confortato dal fatto che tutti si comportavano nei suoi confronti come prima, e dalla speranza di riprendere presto a giocare.

L’unico aspetto che lo preoccupava, anche perché non riusciva a darsene una spiegazione, era il leggero dolore che sentiva alle gambe, che con il passare dei giorni era diventato più persistente. Il pediatra sosteneva che era dovuto a un fattore di crescita, ma per tranquillizzare la madre decise di prescrivere una visita presso uno specialista.

La sera prima della visita, da grande appassionato di calcio qual era, Luca non seppe resistere alla voglia di partecipare all’allenamento, nonostante le insistenze della madre, che voleva tenerlo a casa.

Tuttavia, a metà circa dell’allenamento, dato che il dolore alle gambe non gli permetteva di completare alcuni esercizi, Luigi gli consigliò di ritornare negli spogliatoi per riposare.

Pochi minuti dopo l’allenatore chiese al suo vice di raggiungere Luca, per fargli un po’ di compagnia. Era preoccupato: benché cercasse di scacciare dalla testa certe idee, continuava a pensare alla causa del suo mal di gambe. Gli tornava alla mente con insistenza la vicenda di un compagno di scuola: aveva sofferto allo stesso modo per un periodo, e poi si era ritrovato su una sedia a rotelle.

Venne il momento di rientrare negli spogliatoi con i bambini.

Per tranquillizzarsi, Luigi pensò che non fosse nulla di grave e che non convenisse preoccuparsi. Appena vide Luca, però, un brutto presentimento gli riportò alla mente il suo amico in carrozzina.

I bambini non diedero importanza al fatto che Luca fosse seduto con le gambe distese su un accappatoio poggiato per terra, mentre il viceallenatore gli massaggiava una caviglia. Non piangeva, ma guardandolo negli occhi si capiva che stava soffrendo, anche se cercava di nascondere il disagio.

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Due bambini si fermarono a guardarlo, mentre gli altri si preparavano per fare la doccia.

«Luca, ti fanno ancora male le gambe?» gli chiese Daniel. Dopo un attimo, Luca annuì.

Il vice guardava preoccupato l’allenatore. Luca cominciò a piangere, e in un attimo tutti si resero conto di quello che stava accadendo. Il vociare lasciò gradualmente spazio a un silenzio quasi irreale, rotto soltanto da qualche mormorio e dallo scrosciare dell’acqua nelle docce. Alcuni bambini fecero cerchio attorno a Luca, che cercava di soffocare l’emozione, mentre copiose lacrime gli rigavano il volto. «Lasciatelo in pace, andate a fare la doccia!» gridò l’allenatore rompendo il silenzio e cercando di prendere in mano la situazione. Si avvicinò a Luca mentre il suo vice, con un’espressione di impotenza, gli proponeva di chiamare la madre.

«Forse conviene chiamarla, anche se comunque non dovrebbe tardare. Pensaci tu».

Luigi estrasse dalla tasca alcuni fazzoletti di carta e asciugò le lacrime sul volto di Luca. Tuttavia, più le asciugava e più queste uscivano copiose dai suoi occhi arrossati. Rimise in tasca i fazzoletti e, ascoltando la voce del suo cuore, sollevò piano il bambino, per timore di fargli male, si sedette sulla panchina e lo tenne in braccio mantenendogli le gambe distese. Luca ora sentiva meno dolore, e poco dopo smise di piangere. Luigi gli accarezzava i capelli e gli parlava, come meglio sapeva fare con i bambini.

«Non preoccuparti, vedrai che presto guarirai. Domani lo specialista troverà la cura adatta, e poi ritornerai a giocare con i tuoi compagni».

Luigi cercava di consolare anche sé stesso, per cancellare dalla testa il brutto presentimento di prima.

L’atmosfera nello spogliatoio era ritornata allegra, anche perché Luca, rimasto in braccio al mister, sorrideva alle battute degli amici, che cercavano di rallegrarlo.

Il momento più bello fu quando il bambino poté rialzarsi in piedi, benché il dolore non fosse passato del tutto. Tanti amici lo circondarono, felici di averlo nuovamente in mezzo a loro.

Quando arrivò la madre, il silenzio ripiombò nello spogliatoio. I bambini si fecero da parte e Maria si diresse subito verso suo figlio. Si

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abbassò e lo baciò sulla fronte e sulle guance, tenendogli ferma la testa con le mani.

«Tesoro mio, come stai?»

«Mi facevano male le gambe, ma ora non sento quasi più niente» rispose Luca, gli occhi ancora lucidi.

«Ci scusi, signora, se l’abbiamo disturbata, ma eravamo preoccupati» disse Luigi.

Maria, con la sensibilità che solo le mamme possono avere, percepì dalle parole dell’allenatore quanto fosse affezionato a suo figlio. Si rialzò, mentre accarezzava Luca, e guardò Luigi negli occhi. «No, non dovete scusarvi, sono io che mi devo scusare per aver lasciato venire mio figlio all’allenamento. Vi ringrazio per quello che avete fatto per lui. So che tutti voi gli volete bene». Posò lo sguardo sui bambini. L’allenatore non seppe aggiungere nient’altro, e nemmeno il suo vice, che era rimasto in disparte.

Prima di uscire, Maria diede la mano ai due uomini e salutò i bambini. «Mi raccomando, se Luca dovesse mancare per un po’, venite a trovarlo a casa. Vi è molto legato».

Quando Luca e sua madre se ne furono andati, tutti ripresero a fare le cose di prima, come se nulla fosse accaduto. Solo più avanti, molti, ripensando a quella sera, si resero conto che le parole pronunciate dalla donna erano state un presentimento di quello che doveva accadere a Luca: l’addio definitivo al pallone, nonché l’inizio di un calvario.

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I primi accertamenti non rivelarono nulla che richiedesse degli approfondimenti, lo stato di salute di Luca risultava buono. Il suo pediatra lo constatò con un pizzico di orgoglio professionale.

«Vede, signora, come le avevo anticipato non c’è nulla di cui preoccuparsi, sono normalissimi fenomeni legati al precoce sviluppo dei bambini» le disse stando seduto alla scrivania, mentre teneva in mano il referto degli esami di Luca.

«Allora non c’è nessun problema? Sono proprio contenta». Maria si aspettava una risposta del genere: aveva già guardato gli esami prima di andare dal pediatra e, pur non essendo una dottoressa, aveva riscontrato che tutti i valori rientravano nei limiti indicati.

Poco tempo dopo il dolore che Luca aveva sentito alle gambe si attenuò fino a scomparire del tutto. La vicenda venne così dimenticata.

Fino a quell’estate.

Durante le vacanze al mare Maria si accorse che Luca, diversamente dagli altri anni, anziché giocare con gli amici preferiva starle vicino, seduto sulla sabbia con qualche giocattolo, o guardando dei giornalini.

«Dai, Luca, vieni a giocare a pallone con noi!»

«Luca, andiamo a cercare le conchiglie, ieri Simone ne ha trovata una bellissima!»

«Noi andiamo a fare il bagno, vieni anche tu, Luca, Letizia ti sta aspettando!»

Per un po’ gli amici cercarono di coinvolgerlo, ma quando si resero conto che Luca preferiva stare con la madre, smisero di insistere, e il più delle volte lo lasciarono solo tranne Letizia, la sua amichetta preferita, che continuò a giocare con lui per diverse ore quasi tutti i giorni.

Maria lo osservava con apprensione ma, con delicatezza, cercava di non condizionare la sua volontà.

Al ritorno dalle vacanze la situazione precipitò.

Luca cominciò a reggersi a fatica sulle gambe, e di conseguenza cercava in tutti i modi di stare seduto, anche per terra se era necessario.

26 VII

Non sentiva nessun dolore, né si rendeva conto di quello che gli stava accadendo.

Ma sua madre sì.

Presa da una angoscia terribile interpellò immediatamente uno specialista, ritenuto il migliore per quel genere di disturbi. Incominciò così un va e vieni dagli ambulatori, dalle cliniche, mentre le tante parole, il più delle volte incomprensibili, pronunciate dai medici riempivano la sua testa, trascinandola in un vortice. Dopo un po’ di tempo passato in parte a osservare, con trepidazione, il suo adorato bambino, mentre lacrime furtive le solcavano il volto impaurito, e tante notti insonni trascorse a pensare e a pregare, nella speranza che fosse un malessere passeggero, arrivò il giorno in cui lo specialista le avrebbe comunicato l’esito delle analisi.

Quella mattina Maria insistette con Francesco perché la accompagnasse dallo specialista. Sentiva un bisogno quasi spasmodico di aver vicino suo marito, non aveva dormito per tutta la notte e un triste presentimento non le dava tregua. Francesco, però, le disse che quella mattina aveva un impegno improrogabile. Maria dovette così chiedere alla suocera di accompagnarla in clinica. La donna acconsentì, anche se sembrava ancora più agitata di lei.

Lo specialista accolse con premura Luca e le due donne. Volle visitare ancora una volta il bambino, dando l’idea di voler prendere del tempo prima di emettere il responso, o di cercare qualcosa nello stato di salute di Luca che richiedesse ulteriori accertamenti. Lo fece sdraiare e poi sedere sul lettino. Passarono dieci minuti che a Maria e alla suocera parvero un’eternità, il silenzio rotto soltanto dalle poche domande che il medico rivolse a Luca.

«Bravo il nostro ometto, ora ti puoi rivestire».

L’uomo gli accarezzò i capelli, poi si girò a testa bassa, andò a sedersi alla scrivania e si mise a rileggere tutti gli esami.

«Tieni la felpa» disse la nonna a Luca, rimasto seduto sul bordo del lettino. «Mentre aspettiamo la mamma, possiamo andare a mangiare un gelato, che ne dici?»

«Sì, nonna, io lo prendo alla nocciola e fragola» rispose Luca mentre la donna lo aiutava a indossare la felpa e a sistemare i calzoncini.

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Maria cercava conforto nello sguardo della suocera, ma questa non toglieva gli occhi dal nipotino. Allora si fece coraggio e si avvicinò alla scrivania. Il medico continuava a controllare gli esami. Aprì la borsetta, prese un fazzoletto, ma poi, con un gesto quasi meccanico, rimise il fazzoletto al suo posto e richiuse la borsetta. La voce di suo figlio la risvegliò da quella specie di torpore. «Mamma, vieni anche tu a prendere il gelato?»

«Sì, tesoro, aspettatemi che arrivo subito».

Quando Luca finalmente fu pronto, scese dal lettino e si aggrappò alla nonna per stare in piedi. Faceva male vederlo così. Mentre uscivano dallo studio, Luca e la nonna salutarono il dottore, che rispose ostentando un sorriso.

Quando la porta fu richiusa, il medico alzò finalmente gli occhi su Maria. Dal volto dell’anziano era scomparsa l’espressione di sicurezza, che sembrava non potesse abbandonare mai quei lineamenti decisi, valorizzati dal mento largo e un po’ sporgente. Ora le guance sembravano più flosce, e gli occhi esprimevano una sincera tristezza. Maria armeggiava con la borsetta, come se non sapesse più in che modo tenerla in mano.

«Signora, come sospettavo, le devo confermare la peggiore delle ipotesi che le avevo precedentemente prospettato». Il medico fece una pausa, come per attutire il terribile colpo che, per obbligo professionale, stava per dare a quella creatura tanto spaventata.

Maria rimase immobile.

«Deve essere forte, signora. Avrei preferito che in questo momento fosse presente anche suo marito». L’uomo fece un profondo respiro. «Suo figlio è affetto da una rara malattia degenerativa che colpisce i nervi, partendo dagli arti inferiori e via via…»

Ora Maria stringeva la borsetta con una tensione quasi spasmodica. Calde e grosse lacrime cominciarono a scendere sul suo bel viso, guastando il leggero trucco.

Il medico non sapeva come continuare. Si alzò, andò verso di lei, le prese le mani e la guardò dritta negli occhi. «Posso immaginare cosa sta provando, signora, mi creda, anche per noi medici queste situazioni, alle volte, sono dolorose. Deve farsi coraggio. Forse le sembrerà banale, ma le converrebbe mettersi in contatto con associazioni di genitori che hanno i suoi stessi problemi; questo la aiuterebbe».

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La donna lasciò le mani del medico per prendere un fazzoletto e asciugarsi le lacrime. «Le chiedo scusa, dottore».

«Non si deve scusare, forse sono io che devo chiedere scusa per essere stato troppo precipitoso nel dirle…»

«Esattamente cosa vuol dire, dottore?» lo interruppe Maria. L’uomo fece un altro profondo respiro. «Suo figlio è destinato a finire in breve tempo su una sedia a rotelle, e nel giro di pochi anni…»

Maria scoppiò in un pianto sconsolato, soffocato dal fazzoletto che teneva sulla bocca.

Il medico la abbracciò. «Signora, non faccia così. Cerchi di essere forte, suo figlio ha bisogno ora più che mai di vederla sorridere».

Poco dopo la donna riuscì a controllarsi e smise di piangere. Sentiva un dolore atroce nel cuore, e una voglia grande di vedere il suo bambino.

«Ho l’obbligo professionale di dirle che la mia diagnosi è definitiva» continuò il medico. «Ciò non toglie che, anche se sarebbe inutile, lei può rivolgersi ad altri specialisti. La capirei».

Maria era riuscita a ricomporsi, anche se una sottile tensione dei lineamenti non le permetteva di nascondere lo strazio che sentiva dentro. «Le chiedo scusa, dottore, ora vorrei vedere il mio bambino».

«Cerchi di essere forte, dovrà infondere coraggio anche a suo marito». Il dottore le strinse la mano. «La aspetto tra un paio di giorni, per impostare il primo ciclo di cure. Mi raccomando, sia forte. Arrivederci».

«Arrivederci, dottore».

Appena uscita dallo studio, Maria vide, poco distante, Luca seduto accanto alla nonna, che teneva la testa bassa. Il bambino stava parlando con un’infermiera in piedi davanti a lui, che teneva in mano alcune carte. Sembravano allegri. Diverse persone, dottori, infermieri, pazienti, andavano avanti e indietro per il corridoio.

Maria ebbe di nuovo voglia di piangere. “No” si disse. “Devo resistere a tutti i costi, non devo far soffrire ancor di più il mio bambino”.

Così, con la forza che solo le mamme sanno trovare per i loro figli, Maria riuscì a ingoiare le lacrime e a trovare un sorriso da donare al suo Luca.

«Ciao, mamma, finalmente sei arrivata» la salutò lui. «Cosa ha detto il dottore? Andiamo a prendere il gelato?»

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Maria non rispose subito, ma lo abbracciò e lo strinse così forte che riuscì per un istante a dimenticare tutto. Non si era nemmeno accorta che la suocera si era voltata dall’altra parte e l’infermiera, dopo aver salutato, si era allontanata in silenzio. «Sì, tesoro mio, adesso andiamo a prendere il gelato. Ti voglio bene, Luca». «Anch’io ti voglio bene» rispose il bambino, ignaro di cosa lo aspettava.

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Dopo aver portato a casa Luca e la suocera, Maria passò in azienda per comunicare al marito la triste notizia. Francesco non c’era, era uscito con dei clienti. Allora lo chiamò al cellulare, e dopo alcuni tentativi andati a vuoto riuscì finalmente a parlargli. Anche se Francesco temeva il peggio, quando la moglie lo informò rimase senza parole.

«Caro, tra quanto rientrerai in azienda? Ho voglia di vederti. Se vuoi ti posso aspettare qua».

«Non lo so, dovrei averne ancora per un paio d’ore».

«Ho bisogno di vederti, di parlarti, mi sento…» Maria ricominciò a piangere.

«Non fare così, dobbiamo essere forti. Scusami, oggi sono davvero impegnato. Ci vediamo stasera». Francesco la sentì che cercava di trattenere i singhiozzi. «Maria, ora va’ a casa, vai da Luca. Stasera cercherò di arrivare prima».

«Ciao, Francesco, ti aspetto».

Agguantando tutto il coraggio che le riusciva di avere, Maria ritornò a casa e rimase il più possibile vicino a Luca, cercando di comportarsi in modo che lui non si accorgesse di nulla. In effetti il figlio non notò niente di particolare nel comportamento della madre, anche perché era un bambino molto buono e dai genitori accettava tutto con gratitudine e semplicità di cuore.

Quella sera Francesco arrivò a casa più tardi del solito, Luca era già a dormire. Maria lo aspettava con trepidazione, e quando lo vide gli corse incontro e lo abbracciò. Gli raccontò nuovamente tutto tra le lacrime e, per la prima volta in quella giornata, si sentì rincuorata: la presenza del marito le dava finalmente ciò di cui aveva bisogno. Un po’ di consolazione.

Francesco ascoltò in silenzio, e quando Maria ebbe finito di parlare, a fatica riuscì a dire poche parole. Non gli riuscì nemmeno di cenare, nonostante le insistenze della moglie, e quando andò a dormire, più tardi del solito, si fermò imbarazzato, anche se non sapeva perché, davanti alla porta della cameretta di Luca. Nell’oscurità, attenuata dalla

31 VIII

luce del corridoio, lo vide dormire profondamente. Gli sembrava tutto così strano, così irreale. Quella notte non fece altro che girarsi e rigirarsi da una parte all’altra del letto, mentre un turbine di tristi pensieri lo tormentava, come un incubo senza fine. Più volte vide la moglie alzarsi in silenzio e andare da Luca. Anche lei non riusciva a dormire. Pure Francesco avrebbe dovuto andarci, ma non lo fece. Non riusciva a trovare una ragione a ciò che stava accadendo al suo bambino. All’inizio i suoi pensieri erano rivolti soprattutto a cosa sarebbe successo a Luca, a quanto avrebbe sofferto, dopo quanto tempo sarebbe finito sulla sedia a rotelle. Magari sarebbe dimagrito. Quest’ultimo pensiero gli procurò un brivido lungo la schiena. No! Un bel bambino come Luca non poteva subire una malattia che deturpasse il suo corpo. Ma una voce gli diceva che questo purtroppo sarebbe accaduto. Quanti anni sarebbe ancora vissuto suo figlio? E in quali condizioni?

Si girò nuovamente, come per sfuggire, seppur momentaneamente, a una realtà orribile che lo attanagliava senza tregua. Il cuscino era ormai inzuppato di sudore.

Cominciò a sentirsi vittima di un destino crudele, e questo risvegliò in lui un forte spirito di ribellione che, se non altro, ebbe l’effetto di stimolare il suo modo pratico di affrontare le situazioni, e gli permise di dare una parvenza di senso a ciò che gli stava accadendo. Non voleva perdersi d’animo: avrebbe interpellato tutti gli specialisti più bravi al mondo, non avrebbe accettato passivamente l’evolversi di quella crudele malattia che aveva intaccato la salute di suo figlio. Ma, come capita in situazioni del genere, i pensieri carichi di speranza e aspettativa si alternavano a quelli portatori di tristezza e delusione. Ora percepiva che sarebbe stato tutto inutile, come aveva detto lo specialista a sua moglie.

Gli sembrava che la testa stesse per scoppiargli.

“Ma perché doveva capitare proprio a me una cosa tanto orribile? Sì, è vero, ci sono altri bambini che soffrono per questa malattia, e anche per malattie peggiori; c’è tanto dolore nel mondo, e d’altronde prima o poi tutti dobbiamo morire, è l’unica certezza. Ma perché proprio la mia famiglia, perché proprio mio figlio, perché Luca? Ci deve essere una spiegazione”.

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Si stringeva la testa, le mani sulle tempie. Fu allora che si ricordò di Dio e sentì il bisogno di rivolgersi a Lui. Tuttavia aveva la sensazione che le preghiere che conosceva non facessero al caso suo, in quel momento. Non sapeva come fare per mettersi in sintonia con Lui, così aprì il cuore alla speranza e, per la prima volta dopo tanti anni, iniziò a piangere. “Mio Signore, mio Dio, so che tutto questo si compirà secondo quanto Tu hai deciso. Tu sai perfettamente quanto vorrei che mio figlio guarisse al più presto, pertanto ti prego, con tutto il cuore, di esaudire questo mio desiderio. Tu sai tutto di me, Tu leggi nel mio cuore, nulla Ti sfugge. Abbi pietà di me, di mia moglie, e se non vuoi ascoltare la nostra supplica, dacci almeno la forza di affrontare e di vivere questa terribile situazione nel modo giusto. Aiutaci a non disperare mai, e soprattutto, Ti prego, non far soffrire troppo mio figlio. L’unica certezza che sento è che se mio figlio dovesse morire presto, Tu lo accoglieresti in paradiso. Dacci la forza di accettare la Tua volontà”. Dopo questa preghiera riuscì finalmente a addormentarsi, anche se solo per qualche ora.

Fuori, la debole luce dell’aurora accarezzava già le piante, gli animali, gli uomini che, già svegli, avevano il privilegio di ammirare quello spettacolo. Il buio ormai lasciava spazio alla luce sempre più intensa, portatrice di vita, di nuove emozioni. Un altro giorno stava per sorgere, carico di gioia, di dolore. Di speranza.

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INDICE I.....................................................................................................7 II..................................................................................................10 III................................................................................................13 IV................................................................................................15 V..................................................................................................18 VI................................................................................................23 VII...............................................................................................26 VIII..............................................................................................31 IX................................................................................................34 X..................................................................................................37 XI................................................................................................39 XII...............................................................................................41 XIII..............................................................................................43 XIV.............................................................................................46 XV...............................................................................................48 XVI.............................................................................................50 XVII............................................................................................53 XVIII...........................................................................................54 XIX.............................................................................................56 XX...............................................................................................59 XXI.............................................................................................64 XXII............................................................................................66 XXIII...........................................................................................72 XXIV...........................................................................................74 XXV............................................................................................79 XXVI...........................................................................................83 XXVII.........................................................................................91 XXVIII........................................................................................93 XXIX.........................................................................................103
XXX..........................................................................................105 XXXI.........................................................................................111 XXXII.......................................................................................114 XXXIII......................................................................................120 XXXIV......................................................................................124 XXXV.......................................................................................130 XXXVI......................................................................................133 XXXVII....................................................................................136 XXXVIII...................................................................................141 XXXIX......................................................................................144 XL.............................................................................................151 XLI............................................................................................158 XLII..........................................................................................161 XLIII.........................................................................................164 Nota conclusiva.........................................................................165

vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00

Tutti i romanzi

verranno pubblicati dalla

Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.

AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quinta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2022) www.0111edizioni.com Al
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