Blood, Walter Serra

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In uscita il 0/ /20 (15,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine JLXJQR H LQL]LR OXJOLR 202 ( ,99 euro)

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WALTER SERRA

BLOOD SANGUE SUL CAMMINO DI MAURA PORCU

ZeroUnoUndici Edizioni


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BLOOD Copyright © 2022 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-540-0 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Giugno 2022


Questo romanzo è dedicato agli amici e colleghi dell’Agenzia di Informazione Finanziaria e di Banca Centrale di San Marino.



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PREFAZIONE DELL’AUTORE

Alcune brevi note su Maura Porcu, a beneficio di chi ancora non l’ha potuta conoscere. Siamo al quarto episodio della serie che ha come protagonista l’imprevedibile ispettore di polizia di origini sarde. Alta, provocante e dura come acciaio, Maura Porcu proviene dalla polizia criminale di Bologna, presso la quale si è formata in gioventù. Il suo carattere irriverente e impetuoso, più volte l’ha posta in urto con i suoi capi del momento. La ritroviamo nel primo episodio (Senza respiro) in vacanza forzata a San Marino, a seguito dell’ennesima sospensione. Si trova invischiata quasi subito in un caso di omicidio ma, come capirà ben presto, è il suo passato che la insegue. Gli assassini che stava braccando a Bologna, la insidiano a San Marino – e non solo – e si ripresenteranno anche nel secondo episodio (Il caso Vertigo). Perderà il marito nel terzo episodio (Senza Pace), nel quale si renderà conto che c’è un disegno più ampio rispetto ai piccoli criminali che la sfidano con giochi mortali, un intreccio gestito da personaggi che stanno nell’ombra. Buoni e cattivi, sarà difficile e doloroso per lei scoprire da che parte stanno. Nel presente episodio, Maura non è più un poliziotto, si era ritirata dal servizio da alcuni anni per tornare a essere una mamma premurosa, ma l’inattività non fa per lei. Il rapimento di una ragazzina è il suo primo nuovo caso, ma l’apparenza di un caso normale si trasforma subito in una scia di sangue. Sangue sul suo cammino.



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PROLOGO

Quattro anni dopo A Maura sembra strano aggirarsi a quell’ora di notte per le vie deserte del paese, diretta alle Torri. Nevica, e un manto soffice e immacolato ricopre tutto. Un vento gelato le butta i fiocchi in faccia, che iniziano a raggrumarsi con il fiato; il naso inizia a colare, e non riesce a trattenere nemmeno le lacrime. Pure quella visione le sembra celestiale, quel bianco candore illuminato dai lampioni, il silenzio e l’aria pura che frizza e non emana più quell’odore di morte che percepiva per i vicoli anni prima. Sale lungo il lastricato, lo stesso in cui si era avventata con tanta acredine dentro il petto appena una vita fa. Tutto è cambiato, tutto sta per finire. Respira a bocca aperta, a fatica. Ansima e stenta a vedere bene, a misurare il passo per non scivolare, perché non può tornare indietro. Non vuole tornare indietro. Dietro c’è tutto il dolore che sta lasciando. Le ferite. Addosso e nell’anima. Quelle che più pesano sono interiori, e hanno nomi: Eleonora, Giorgio, Paolo, Federica. Tre sono morti, l’ultima si è persa lungo la strada per sua scelta. Troppo diverse, troppo ingombrante il loro rapporto bisessuale. Federica non le era fedele, e in principio non le importava più di tanto, ma poi le cose sono cambiate. E così adesso ha tre croci sul cuore e un dolore in più, cicatrici su cicatrici. Tre. Sempre e ancora il numero tre. Le gambe le dolgono, le braccia non le sente più, il cuore martella e la coscienza si ribella, inutilmente, perché le sue ragioni sono più forti.


8 Ancora una volta occhieggia la Piazzetta della Libertà, dove la statua quasi non si vede, bianca fra la neve e la leggera nebbia che offusca la facciata del Palazzo del Governo, con veloci folate. Ancora una volta Maura tira diritto, di libertà se ne prenderà ancora, e tanta. Giunge davanti alla Basilica e rabbrividisce al pensiero della ragazza uccisa nella chiesa piccola, ma si dice che è per il freddo, null’altro. «Mamma, quando torniamo indietro?» Arianna la guarda con il sorriso sdentato, gli occhi lucidi per la gioia di quella inattesa passeggiata notturna sotto la neve. «Presto, Arianna, presto ci riposeremo, vedrai…» Stringe Giorgio sotto il giaccone, le sta spezzando braccio e schiena, ma deve resistere, deve andare fino in fondo. Inizia a rivedere le facce. Le ha incontrate mille volte, ormai. In sogno, nel passaggio davanti a uno specchio, fra le mille volute delle nuvole o nel gorgo di un fiume limaccioso. Maura lo sa che stanno solo dentro la sua testa, psicologi e psichiatri gliel’hanno ormai tatuato fin dentro l’anima, ma lei continua a vederle. Annika, la biondina norvegese, Florinda la cubana, Serena della villa di Montegiardino, Marika di Cesena, Francísca la bambina texana. Prova a distogliere lo sguardo, ma è inutile. Poi ecco apparire Filippo Vortice e il suo degno compare Andrea. Dall’androne della scalinata degli Orti Borghesi le fa buh! Ruggero, poi passa silenziosa Therry, che scoppia a ridere e corre per la discesa fino a scomparire, giocando alla scivolarella sulle lastre gelate di pietra. Più su l’attende Stasi, le braccia conserte e il sorriso beffardo. “A presto!” le mormora, poi si allontana. Maura sbuffa e tira, con Arianna che inizia a stancarsi sul serio. Giorgio forse si è addormentato, non scalcia più, pesa e basta. Maura prende per la salita verso la prima torre. I mattoni sono scivolosi e si puntella contro il bordo di pietra del marciapiede.


9 La neve cade copiosa e lo spettacolo dei lampioni imbacuccati è notevole. «Mamma, ho freddo!» Maura sembra scoraggiarsi. Guarda avanti, non manca molto. «Guarda, è lassù che dobbiamo arrivare, alla Torre!» «Poi torniamo a casa?» si sincera la bambina. «Vedrai, sarà un volo!» dice con voce strozzata. Francé le corre incontro piangendo, le braccia allungate verso di lei e svanisce al suo contatto, oltrepassandola. Maura ne prova pietà, ma accelera. È su, sulla Spianata degli Artiglieri, che l’attende la prova più dura. Dapprima le si fa incontro Eleonora. Chiude gli occhi per non vederla e prosegue. Subito dopo Paolo allunga il braccio per fermarla, Maura si sposta di lato e lui manca la presa. Sul fondo della piazzetta l’aspetta Giorgio, vestito con la camicia gialla da poliziotto. L’attende braccia conserte, deciso a fermarla. Maura lo guarda, allunga il mento e lo bacia nell’aria, mentre con il corpo oltrepassa il basso muretto e precipita nel vuoto interiore che s’è portata fin lassù. L’aria gelida aumenta di velocità, il peso diventa relativo e insostenibile assieme. Arianna urla per la paura e anche Giorgio inizia a frignare. Quanto può durare quel volo, si chiede la donna, quanto per la fine, la pace, la tacitazione del suo dolore? Arianna la chiama con insistenza, le tira la mano come se volesse staccarsi. “Per andare dove, amore mio?” le chiede la donna. “Il tuo posto è con me, il tuo posto è con me…”. Ma Arianna non si dà per vinta, urla, la chiama, strattona, fintanto che Maura si sveglia e riprende a respirare.


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CAPITOLO 1

«Mamma, mamma! Il vento ha spalancato la finestra!» Arianna le è quasi salita sulla pancia con le ginocchia, e la sta scuotendo per le spalle. Maura sbatte le palpebre, ubriaca di sonno e dallo sgomento per l’incubo che l’ha lasciata senza più forze. La finestra del balcone è spalancata, la tenda svolazza nell’aria. Vento e nevischio stanno ricoprendo il parquet. I lampioni del giardino illuminano la notte e la bufera di neve. La donna resta per un attimo a riflettere. È certa che la finestra fosse ben chiusa quando è andata a letto, e gli scuretti serrati. Ora è tutto spalancato. Maura fa cenno alla bambina di stare zitta. Senza perdere di vista la finestra e la stanza, allunga la mano e prende la pistola dal cassetto del comodino. Toglie la sicura alla pesante Beretta e la punta attorno. «Resta a letto!» le dice in un sussurro. Scosta le coperte e fa per mettere i piedi a terra. La coglie un brivido lungo la schiena, e non è per l’aria gelida che entra a frotte. Accende la luce, conta fino a tre e si piega per puntare l’arma sotto al letto. C’è solo un calzino smarrito da Arianna dalla settimana scorsa. Vorrebbe ridere per quella sua paura infantile, ma c’è ancora Giorgio da verificare nella stanza accanto. A piedi nudi si affretta a chiudere la finestra. Sul pavimento ci sono solo le impronte che ha lasciato sul nevischio che va sciogliendosi, e questo le dà coraggio. Controlla il bagno attiguo e lascia la luce accesa. «Vieni con me, Arianna.» Le allunga la mano e la tiene dietro di sé, continuando a tenere la pistola puntata. «Come nei telefilm?» chiede la bambina, con voce incerta.


11 «Certo, piccola. Andiamo a controllare che non sia entrato qualche pipistrello.» “O qualche assassino”, pensa. Accende la luce nel corridoio e si guarda attorno. Fa cenno alla bambina di restare acquattata nel corridoio, accanto alla stanza del fratellino. Maura si tiene di lato e allunga la mano, accende la luce e irrompe nella stanza. Giorgio dorme tranquillo nel suo lettino con le sbarre. Controlla il bagno e il resto delle stanze del piano. L’allarme è regolarmente inserito, ma non ha suonato. Si chiede perché. Resetta l’impianto e si chiude nella stanza con i figli abbracciati. Giorgio non si è neppure svegliato e Arianna le si stringe addosso. Poco dopo è solo lei a restare sveglia, ad ascoltare gli ululati del vento che sussurrano, richiamano e ammaliano. Le raccontano storie che solo lei può comprendere. Storie dove ci sono uomini cattivi che spaventano donne e bambini soli in quella buia notte di fine novembre. Si accuccia nel letto che un tempo era suo e di Paolo, poi di altra gente, dai quali aveva ricomprato la casa a prezzo d’oro. Per rivivere là dentro scampoli di ricordi, per tirar su i propri figli nel ricordo del padre. Riesce a prendere sonno verso all’alba, solo dopo aver fatto pace con se stessa e preso le sue decisioni. Decisioni che non ammettono tentennamenti.


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CAPITOLO 2

Maura guarda di sottecchi il nuovo comandante dei Corpi di Polizia. Dario Zanetti è giovane, ha da poco superato la quarantina. Viene dalla Squadra Mobile di Palermo, anche lui ha dei peccati da scontare, e quell’incarico ha il sapore dell’esilio, almeno così le dicono gli amici poliziotti. È scontroso e maldisposto nei confronti di Maura. I suoi modi bruschi e gli sguardi tesi glielo rivelano. L’uomo alza lo sguardo dal fascicolo personale che finge di spulciare da alcuni minuti. Maura lo sa che forse lo conosce a memoria e sta solo recitando una parte per metterla a disagio, ma ci vuole ben altro. «Allora le è tornata all’improvviso la voglia di rientrare in servizio. Un po’ come, come dire… tornare al cinema dopo tanto tempo. Rispolverare un abito dismesso. Togliere le erbacce dal giardino. Eh? È così?» Maura non batte ciglio. «Di’ la verità, hai paura del confronto?» gli butta addosso senza mezzi termini. Zanetti diventa paonazzo in volto. «Come si permette! La faccio arrestare!» sbotta seccato. «È destino, Dario. Tutti gli uomini della mia vita o mi sparano oppure mi vogliono sbattere dentro. Tu quale scelta intendi fare?» si piega in avanti per soffiargli in volto quelle parole pesanti. Non ha intenzione di farsi notare, nemmeno ha bisogno di lavorare. Non per lo stipendio, insomma, la rendita della sua biografia le ha tolto i pensieri economici. Ha un disperato bisogno di dare un senso alla sua vita, oltre a quello che l’educazione dei figli le ha dispensato.


13 Arianna ha otto anni e fa la terza elementare, Giorgio frequenta la scuola materna. Quando loro non ci sono, ha tempo dalle 08:00 alle 15:00 per badare al resto. La casa è a posto, pulita. Del giardino si occupa un vicino, e sua moglie pensa ai bambini quando lei è via. Ore e ore a far nulla, a rimuginare sul passato, a quanto ha perso per consentire di ritrovarsi in questo presente che non la ripaga affatto. Dario sorride. Suo malgrado, non sfugge al fascino che la donna emana. «Da quanto si dice in giro, pare che non avrei nessuna possibilità di sparare per primo! Dovrò accontentarmi di farle la corte.» Maura si alza e lo sovrasta con la sua snella figura. «Scordatelo! Ormai è passato il tempo in cui flirtavo sul posto di lavoro. Voglio tornare in servizio per scacciare i fantasmi del passato. Là fuori ci sono ancora maniaci e psicopatici che combattono con loro stessi per non commettere omicidi. Sappiamo entrambi che la psicologia criminale li definisce come bombe a tempo, bombe che scoppiano periodicamente. E sono già quattro anni che non succede più un cazzo di niente, non mancherà molto che vi ritroverete invischiati in qualche caso alla vecchia maniera. E allora mi chiamerete e io non sarò più buona di fare niente!» «E chi le ha detto che la richiameremo? Pensa di essere l’unica a disporre di un qualche intelletto superiore?» la provoca Zanetti, continuando a darle del lei, mentre Maura insiste a dargli del tu. Maura gli indica bruscamente il fascicolo che tiene in mano. «Caccia gli occhi dentro quelle carte e dimmi se mi sono mai sbagliata! E se è così, fanne un rotolo e ficcamelo…» Zanetti alza le braccia e la ferma prima che concluda la frase. «Maura, Maura, basta così. Mi ha convinto. Si presenti lunedì alle 08:15 all’ufficio amministrazione.» «Perché all’ufficio amministrazione? Io ho chiesto di essere reintegrata all’intelligence criminale!»


14 Zanetti le mostra le mani e inizia a contare: «Due motivi. Primo: così impara a non prendersi delle libertà con me e a usarmi il rispetto che il grado richiede. Secondo, così impara a ridacchiare su di me assieme a chi mi prende in giro per via di quello che tutti chiamano “l’esilio”. Ecco, per un po’ farà l’esiliata anche lei, giusto il tempo di riprendere confidenza con la Struttura, d’imparare le nuove regole di comportamento, e di togliersi quel risolino beffardo dalla faccia. Sono stato chiaro?» Maura lo guarda a lungo, è nervosa ma non può ribattere, così si arrende: «Bene, prendo servizio lunedì alle 08:15. Fino a quel momento, sono ancora un civile, non è vero, Dario?» «Be’, è ovvio…» «Bene» annuisce soddisfatta «volevo essere certa prima di commettere due volte lo stesso errore.» «Che significa?» chiede Zanetti, maledicendosi per non avere spulciato fino in fondo il dossier personale della donna. «Che se ti mando affanculo adesso, non rischio il licenziamento.» «Perché, mi stai mandando affanculo?» chiede passando al tu. Poi si alza di scatto, in attesa della risposta. «Caro Dario, dalle nostre parti non si salta in aria con il tritolo, e le persone non spariscono per la lupara bianca. La vita e la morte sono molto più semplici, e le indagini compromesse per la mancanza di elementi, che stanno tutti quanti dentro la testa del pazzo di turno. Quindi, se non ti mando affanculo io, adesso, poi verrà il giorno che ti manderai affanculo da solo, per avermi destinata a dispensare carta igienica e olio per lubrificare le pistole, invece di avviarmi subito alle attività che mi sono più congeniali» si alza e gli dà le spalle. «Ciao, ciao, esiliato di merda. Lunedì, ore 08:15 in amministrazione. E stia pure tranquillo che le darò del lei, signor comandante dei miei coglioni!» Zanetti perde l’attimo per urlare al piantone di richiuderla in cella di rigore, poi scoppia a ridere e ricade sulla poltrona, incazzato ed estasiato allo stesso tempo, dalla personalità


15 scostante e ammaliante di Maura. Tutte le pagine del dossier che ha letto su di lei, non valgono un solo battito di ciglia di quell’essere che sa guardare negli occhi un uomo e farlo sentire una merda. «Buon lavoro, cara Maura. Ben rientrata nei ranghi. Vedo che vuoi giocare, e allora giochiamo!» bofonchia fra sé. Prende un cigarillo dal cassetto e se lo fa rimbalzare fra i denti. Tentenna qualche momento poi spalanca la finestra e lo accende. Si affaccia per sbuffare il fumo, giusto in tempo per scorgere Maura che lascia il parcheggio alla guida della sua Renegade nera. Ha certezza che stia sorridendo al suo indirizzo, mentre lo saluta agitando la mano. Non sa dire, tuttavia, quante dita siano alzate in quel saluto. Sbuffa ancora il fumo e guarda all’orizzonte il monte Carpegna, che sembra un pupazzo di neve, lucente al sole ancora alto. Si distrae e respira un po’ di quel fumo acre. Tossisce e lo getta via, a raggiungere gli altri nei cumoli di neve ghiacciata del giardino sottostante. Preme l’interfono e chiama la segretaria. «Dica, comandante» si premura subito la ragazza, poi entra nell’ufficio due secondi dopo. «Maura Porcu prende servizio lunedì. Intelligence criminale, vice capo sezione. Passatele i fascicoli con i reati insoluti degli ultimi quattro anni, quelli delle collaborazioni con le forze di polizia italiane sui ricercati che potrebbero aver trovato rifugio qui da noi.» La ragazza sembra non capire. «Che c’è, Gloria?» chiede brusco Zanetti. «Ma, comandante, quella sezione non è mai stata costituita! Non c’è nemmeno un ufficio.» «Datele quello che era di Stasi. Respirare vecchi ricordi le darà la forza di rientrare nella divisa. Ciò che non uccide fortifica, ricordati.» «Sì, comandante…»


16 Gloria si avvicina e prende il fascicolo che Zanetti ha ancora fra le mani, e lui ne approfitta per prenderle un polso. «Quando considererai sul serio di accettare la mia proposta per una cena assieme, Gloria?» La ragazza abbassa lo sguardo, imbarazzata. «Sono lusingata, comandante, ma non me la sento. Per me lei è il mio superiore, non riesco a vedere altro, per il momento. Mi dispiace.» Gloria molla il fascicolo e batte in ritirata. Zanetti le fissa i fianchi mentre sparisce dalla porta. «Stupida!» si lamenta. «E io a perdere tempo dietro a una gallina senza cervello!» Sospira. Da quando è stato trasferito a San Marino, non è riuscito ancora a rifarsi la cerchia di amiche che aveva a Palermo. Donne passionali, bellissime e discrete. Prende un altro cigarillo, poi lo ributta nel cassetto. “Che palle”, si dice. Ancora quattro ore prima del weekend lungo che s’è preso di licenza. Da solo a consolarsi con una cena al cinese e quattro sgommate sulla neve al Carpegna. Magari si presenta a casa di Maura con una bottiglia di champagne ghiacciato e quella lo fa entrare. No, si dice, è capace di gettarlo in pasto ai due figli e ubriacarsi con la sua bottiglia, per poi ridere di lui e della sua fragilità. Riprende il fascicolo personale di Maura per completarne la lettura. Ancora tre ore e cinquantotto minuti, e mai che succeda un cazzo per far notte ancora prima…


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CAPITOLO 3

Il cellulare squilla che è ancora buio. Maura prova a rispondere, ma è dura. «Pronto…» «Maura, sono il comandante Zanetti. Scusi l’ora ma abbiamo bisogno di lei quanto prima!» «Che cazzo è successo?» biascica lei. «Ma che termini sono, vice capo sezione Porcu? È scomparsa una ragazzina, si presenti appena può in via Ungarello da Piandavello 115 a Domagnano. Pensa di farcela?» Maura guarda l’orologio. «Ho ancora un paio d’ore per poterti mandare…» «Maura, piantala, per favore. Ho bisogno di te. Facciamo una tregua. Poi decideremo chi manda affanculo chi. D’accordo?» «Signorsì, comandante. Cerco di arrivare appena posso…» chiude la telefonata e resta con il braccio piegato sul pavimento, indecisa se cascare a terra per alzarsi, o tornare sotto le coperte. Ha fatto tardi per finire un bel romanzo, non si aspettava proprio una chiamata così immediata. Una ragazzina scomparsa, di domenica notte, magari fa le superiori e non voleva andare a scuola. C’è tutto un mondo d’ipotesi dietro alla scomparsa di un’adolescente. Un rapimento a sfondo sessuale, omicidiario o estorsivo non si compie di domenica notte, nella camera da letto di una ragazzina addormentata. Il dramma è interiore, si convince Maura. Un amore senza respiro, una fuga concordata con l’amato, oppure una fuga dalla famiglia e da impegni scolastici che non si può o non si vuole più portare avanti.


18 Sbatte le palpebre e realizza che è già passata un’ora dal primo pensiero. Il braccio le duole per il freddo, e adesso non ha nemmeno il tempo per una doccia veloce. Arriva a Domagnano alle 08:30. Il cancello di casa sua s’era bloccato per il ghiaccio, Arianna non aveva voglia di andare a scuola e Giorgio se l’era fatta addosso proprio mentre erano appena saliti in macchina. Incerti del mestiere di mamma, aveva detto al comandante che le stava per rimproverarle il ritardo. E così le aveva invece sorriso, illuminato dal timido sole che aveva preso il posto del tempaccio di pochi giorni prima. «Paola Taddei, quindici anni compiuti da poco» la ragguaglia, mentre salgono le scale fino all’appartamento. «Non risultano motivi apparenti che l’avrebbero spinta alla fuga. Questa notte ha preso con sé degli indumenti, qualche oggetto personale ed è saltata dal balcone, sul cumulo di neve ghiacciata davanti al palazzo. Sicuramente c’era qualcuno ad attenderla. Chissà dov’è ora.» «I genitori?» «Sono in preda al panico. Secondo loro non c’era alcun motivo per andare via. A scuola andava molto bene, non aveva un fidanzato ufficiale, le amiche andavano e venivano ogni giorno da casa sua. Nessuna tensione in famiglia. È figlia unica…» conclude Zanetti. Giungono al pianerottolo, dove un poliziotto saluta e si scosta per lasciarli passare. Maura si ferma per un attimo sulla soglia. C’è passata tante volte, ma non ci si abitua mai, e questo lo sa. Spera solo che si tratti di un amore travolgente, di quelli che magari finiscono in un ambulatorio di pediatria e non dentro un sacco mortuario. «Ha lasciato un biglietto, un tweet?» Zanetti scuote la testa. «Niente. L’unica cosa strana, dice la madre, è che si sia premurata di tirare fuori l’angelo dalla


19 scatola del Presepe. L’ha attaccato al lampadario con un filo. Secondo te cosa significa, che vuole suicidarsi?» chiede con preoccupazione. Maura non risponde. Si guarda attorno: la casa è arredata in stile moderno. Tutto è bianco e pulito, spolverato e lucidato. Asettico. Ha l’impressione di trovarsi in una sala operatoria. I genitori sono nel salone. Il padre parlotta con un poliziotto che prende appunti. La madre è seduta sul divano, un fazzoletto in una mano, l’altra avvinghiata al bracciolo di pelle. Bianca. La donna alza lo sguardo e la fissa. «Non la voglio, quella. Mia figlia non è ancora morta! Fuori da casa mia!» fa per alzarsi, poi ricade. Il marito le parla fitto all’orecchio poi si avvicina a Maura. «Le chiedo scusa, ispettore. Mia moglie non sa quello che dice. È sconvolta, e lo sono anch’io.» Maura annuisce, ma decide di non perdere tempo e lancia una bomba: «Comprendo benissimo. Sua figlia è felice?» Il panico prende l’uomo alla gola. «Beh, sì… certo! Non ha mai manifestato problemi o insofferenza…» farfuglia. «Ma che domanda è, ispettore?» si lamenta, torcendosi le mani. «Non è la domanda a essere scomoda, ma la risposta. Immagini se gliel’avessi fatta ieri sera, quanto sarebbe stato facile dirmi di sì e basta. Adesso, cos’è cambiato? Cosa ha fatto crollare tutte le vostre certezze? I figli non si conoscono mai fino in fondo. I genitori sono sempre gli ultimi a sapere, non è colpa vostra. Adesso mi porti alla camera di vostra figlia. Farò il possibile per riportarla a casa, ma non sarà semplice. Il nostro limite sono i confini dello Stato così vicini e l’assenza d’informazioni sulla vita privata di Paola. Allerteremo le forze dell’ordine limitrofe, cercheremo informazioni in casa, a scuola e presso amici e conoscenti. Frequentava corsi di palestra, ballo, oratorio, cosa?» Maura resta in attesa, ma l’uomo non risponde. È la moglie a raccontare, fra un singhiozzo e l’altro.


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CAPITOLO 4

Maura siede ai piedi del letto disfatto della ragazzina. Tutto è stato lasciato com’era, la polizia scientifica è appena andata via. Finalmente San Marino ha attivato una sezione specializzata e sta cogliendo i primi risultati, anche grazie all’insistenza di Maura e agli omicidi che anni prima avevano insanguinato la piccola Repubblica e i suoi dintorni. Maura pone il mento sui palmi, i gomiti piantati sulle ginocchia. Passa in rassegna la stanza, quella parte di ambiente che può cogliere senza girare la testa. Come fa il suo gatto quando la spia dal cesto, muovendo appena gli occhi. Maura scatta tante istantanee dentro la sua testa: computer fisso ultima generazione, stampante hi-tech, tastiera e mouse wireless. Stride il calendario di una banca appeso al muro, ritrae un Lupin III sfrontato che scappa dall’ispettore Zenigata, ma è vecchio di anni e i colori iniziano a stingere. L’armadio è aperto e un attaccapanni è scivolato sul pavimento. Cassetti spalancati, indumenti sparsi anche a terra. Un carica batterie è rimasto attaccato alla presa. “Confusione, improvvisazione. Qualcuno l’ha chiamata nel cuore della notte e le ha detto «Partiamo adesso!» e lei si è dovuta spicciare. Sappiamo che non ha telefonato, occorre controllare sui social…”. Prende nota mentalmente. Libri vari sugli scaffali, in ordine, mentre quelli di scuola stanno ammonticchiati alla rinfusa sopra una mensola. Autori del Novecento, gialli, fantascienza, niente splatter né vampiri. Sulla scrivania c’è un abat-jour di buona marca. Alle pareti riproduzioni di artisti fiamminghi. Niente che richiami al periodo sdolcinato della fanciullezza. Non ci sono peluche, foto da bambina, scarpette incorniciate.


21 “Ha una formazione classica, le piacciono le cose dal sapore di altri tempi. È moderna ma è affascinata dal passato. Organizzata ma passionale. In questa casa è fuori posto”. Qualcosa la richiama da sotto alla scrivania: c’è una specie di pendrive infilata in uno slot. Si avvicina. «E questa cos’è?» si chiede. È una normale chiavetta per la connessione internet, ma a cosa le serviva, dal momento che in casa hanno la fibra? “Per chattare in segreto. Utilizzava un accesso non tracciato dalla famiglia o da altri. Basta una tessera tarocca o non intestata a lei. E poi basta spataccare con gli IP, i server, gli utenti, navigazione anonima e nessuno sa chi sei”. Altra annotazione da approfondire. Dal momento che ha lasciato la prima postazione privilegiata, Maura prende posto alla scrivania, le spalle al muro. Altra prospettiva. Letto e balcone. Il letto è una piazza e mezzo, comodo per uno, pratico anche per due. Meglio se uno sopra l’altro, a piacimento. Lenzuola e coperta di pregio. Tappetino orientale, forse fatto a mano. Sul comodino ci sono libri e riviste. Una bottiglietta piena per metà. Sul muro l’immagine di una madonna di Raffaello. A lato la finestra del balcone. Tapparella elettrica, molto silenziosa. Tenda per una privacy discreta. Maura finisce la visualizzazione e cambia ancora di posto, sedendosi al lato del letto. Di fronte ha la porta d’ingresso e quella del bagno privato. Una salvietta è scivolata a terra e non si vede altro. Alza lo sguardo e fissa l’angelo impiccato al lampadario. Ondeggia avanti e indietro, come se stesse volando davvero. “Forza, dobbiamo sporcarci le mani!”, si dice. Indossa guanti di lattice, giusta precauzione qualora la scientifica decida di tornare per qualche altro approfondimento. Inizia dal bagno. Pulito e in ordine, tranne che per la salvietta piccola, da bidet, a terra.


22 Flaconi di sapone, di profumo, per i capelli, per le mani, per il corpo. Pinzetta per le ciglia, set manicure e set da trucco. Sgabello, sedia, specchio per la pulizia del viso. Phon incorporato alla presa a muro. Doccia con sauna, sanitari appesi al muro. Niente finestra, si tratta di un bagno interno. Niente tappeti ai piedi del lavabo e del WC. Piastrelle bianche, specchio senza mobiletto. Una mensola. Qualcuno bussa alla porta. «Non adesso!» ringhia senza trattenersi. La voce di Zanetti le arriva attraverso il legno della porta. «Noi dobbiamo andare, abbiamo ricevuto una segnalazione e vogliamo verificarla subito.» «Fatemi sapere, io resto.» Un rumore di passi si porta via l’intrusione del comandante. Maura chiude gli occhi per ritrovare la concentrazione e riprende a rimuginare. “Una fuga precipitosa, inattesa. Abiti gettati dentro a uno zaino, oggetti personali rimediati alla rinfusa, ancora intontita dal sonno. Quanti segreti ti sei lasciata indietro, Paola? E dove li hai nascosti?”. Si solleva e inizia a passare in rassegna la stanza. Letto, armadio, cassetti, scrivania. Tutto sembra stare al proprio posto. Anche troppo. Il cestino della carta rivela solo fazzolettini usati. Poi, il primo indizio, inaspettatamente dal bagno. Un pelo pubico, di sicuro maschile, intrappolato nello scarico della doccia. Un reperto per la Scientifica. D’istinto scopre il letto e toglie anche il coprimaterasso, scovando tracce di liquido seminale vecchio. “E così la bambina faceva le fusa con l’amichetto quando restava sola a casa… Anche di recente. Come si mettevano d’accordo? Lui aveva le chiavi di casa?”. Maura accende il computer e inizia a sfogliare gli ultimi file aperti, gli ultimi link consultati, e i browser utilizzati. Poi passa ai programmi e alla posta elettronica. Vuoto.


23 “Il computer è stato ripulito a dovere, brava bambina. Avrai avuto i tuoi buoni motivi per farlo, ma a me questa cosa stuzzica molto. Non ho trovato hard disk esterni, li avrai portati via con te. Ma per le cose più spicce utilizzi delle chiavette di memoria? Te le sei portate via proprio tutte?”. Maura prova ad avviare l’accesso a internet attraverso la chiavetta ritrovata attaccata al computer, ma non conosce la password. Altra materia per la polizia scientifica. Le prudono le mani, ma non vuole mollare l’osso, crede che ancora vi sia qualcosa da trovare. Toglie i cassetti dalle loro sedi, ma non c’è nulla nascosto sul fondo dell’armadio o della scrivania. “Forza! Un nascondiglio facile dove prendere o nascondere qualcosa in fretta…”. Passa la mano sul piano interno della scrivania, poi nella porzione sopra al cassetto e finalmente la trova. Una piccola flash card, ma con otto gigabyte di memoria, infilata in una minuscola tasca di plastica incollata al legno. “Eccoti qua, piccola stronza! Adesso mi svelerai i segreti della tua padroncina…”. Maura inserisce la carta dentro al suo cellulare e apre la memoria. Trova decine di cartelle, tutte contraddistinte con la data di registrazione. Apre a caso un file e resta trasecolata. Sono fotografie, ritratti di Paola in pose inequivocabili. L’immagine più pudica la vede strizzarsi i seni e offrirli a qualcuno, oppure all’obiettivo fotografico. Le altre sono ancora peggio. Trova file audio e video di chat in rete con un ragazzo che lei chiama Arabat per le prime settimane, poi Amore e, infine, Amore della mia vita. L’ultima è della stessa notte della scomparsa. Le 04:12, dura ventisette secondi. Inizia con “Non vedo l’ora, amore!”, e termina “Con te fino alla fine del mondo!”.


24 Nel mezzo, Arabat le dà indicazioni precise sull’orario della fuga e su dove andranno. A sposarsi. A sposarsi con Satana.


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CAPITOLO 5

«E questo è tutto. Arabat è uno dei nomi che si attribuiscono a Satana. Potrebbe trattarsi di uno dei tanti adescamenti che avvengono sulla rete, di quelli che finiscono male. Violenze sessuali, rapimenti combinati per amore fittizio, lavaggio del cervello. Che sappiamo di messe nere in territorio?» Maura fa una pausa, ma tutti i presenti alzano le spalle. Zanetti prova a dire qualcosa: «Qualche mese fa abbiamo ricevuto avvisi di strani movimenti al cimitero di Faetano, oppure al Castellaccio. Al massimo abbiamo trovato qualche mozzicone di candele nere, e una volta un galletto sgozzato. Sono state archiviate come ragazzate, o poco più. Nulla di recente.» Maura resta in silenzio, rimugina per conto suo. Volge lo sguardo a Petrucci, l’eterno vice comandante. È alquanto invecchiato, ma ancora sa il fatto suo. Guarda gli occhi affossati dalle lenti di Lin-Bo, che le sorride. «In attesa di sviluppi, partiamo da lì. Darò un’occhiata a questo Castellaccio, Lin-Bo potrebbe accompagnarmi e chiederemo a qualcuno dei dintorni se ha notato qualcosa di strano, di recente. È vicino alla casa dalla quale è scomparsa la quindicenne?» «Negativo» si affretta a indicare Lin-Bo. «Paola Taddei abita a Domagnano, mentre il Castellaccio si trova all’incirca sopra l’abitato di Fiorentino. Anche se le distanze a San Marino sono relative…» Maura annuisce, ha capito dove si tratta. Non ha buoni ricordi di quel territorio. «D’accordo, andare pure. Intanto faremo analizzare i filmati alla polizia scientifica, saltasse fuori qualche indizio. E


26 segnaleremo questo Arabat alla polizia postale italiana. Al momento, acqua in bocca con la famiglia. Basta quanto stanno già passando» conclude Zanetti. Poi manda via tutti, tranne Maura. «Non so se la troveremo in vita, Maura. Ma so che serve la tua esperienza e il tuo modo d’indagare al di fuori degli schemi. Tieni Lin-Bo di scorta. Sempre.» Maura annuisce e fa per andare via, ma Zanetti la trattiene con un gesto della mano. «C’è un’altra cosa. Avrei preferito non accadesse, ma è necessario che te lo dica subito: Marinella Cortesi ha chiesto di te.» Maura sussulta. Dopo tutti quegli anni, cosa significa? «Cosa? Ma non era…» «Sei stata fuori dal giro per oltre quattro anni. In effetti, è uscita dal coma da qualche tempo, e da quel che mi hanno raccontato, ha ripreso a ragionare abbastanza bene ma a camminare molto meno, si trascina con una stampella. Ha chiamato il medico che la segue. Sono mesi che insiste per parlarti. Ormai ha rotto le palle talmente a tutti, che…» «Che cazzo vuole?» taglia corto Maura. «Dice che vuole chiederti perdono.» «Allora falle sapere che la perdono, e che si strozzi quando beve un bicchiere d’acqua!» Lascia la sala senza ascoltare la risposta.


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CAPITOLO 6

«Ho sentito della Cortesi. Ma davvero è rinsavita?» le chiede Lin-Bo, aprendole la portiera. Maura guarda l’auto. È la vecchia Fiat Stilo di allora, e ha un brivido al ricordo di Giorgio che la guidava. Siede e chiude gli occhi, alla ricerca di un calore che non prova più da anni. «Marinella è una povera pazza, ora lo è ancora di più, da quando il suo amante le aveva spaccato la testa per soppiantarla con la figlia.» «Fossi in te, andrei a sentire cos’ha da dire. Che ti costa?» Maura le lancia un’occhiataccia. «Teresa, sua figlia, ha ucciso Giorgio, lo hai dimenticato?» «E tu l’hai uccisa, e Giorgio ha ucciso il suo amante. Se metti le cose sotto la luce di una guerra, tralasciando i sentimenti, credo che sia lei la persona che ha perso di più.» Maura non risponde, le basta ricordare di aver perso Giorgio, il resto non conta. «Portami al Castellaccio!» ordina con un tono che non ammette repliche. Lin-Bo si avvia per il viale e inizia a scendere verso Fiorentino. Ha una luce strana negli occhi e Maura lo nota. «Che hai?» gli dice con fare sgarbato. «Io? Niente. Tu, piuttosto, che pensi. Hai perso tantissimo, da quando sei arrivata da noi. Volevo sempre chiederti se le ragazze che hai salvato ti hanno ricompensato, in qualche modo. Se è possibile consolarsi così…» Maura guarda i palazzi che scorrono al finestrino. Lin-Bo ha toccato corde troppo tese per rispondere di getto. «Posso solo dire che se ti tagliano un braccio per salvarti la vita, sei grato al chirurgo che ti ha operato. Ma la vita stessa


28 non ti compensa della mancanza. Il braccio fa male anche se non c’è più. Se chiudi gli occhi ne senti il peso, ne intuisci il movimento, ma quando li riapri resta solo il vuoto davanti a te. Io amo quelle ragazze, sono tutte figlie mie, ma non mi compensano nemmeno di un dito, per quanto mi è stato tolto. Pure, non baratterei la loro serenità con nient’altro. Che cazzo di domande mi stai facendo, sottotenente?» Lin-Bo alza le mani. «Dovevo sapere. All’epoca eravamo tutti innamorati di te, Maura. In un modo o nell’altro. Hai scelto Paolo, ma amavi Giorgio. Quando lui è rimasto ucciso abbiamo compreso il tuo vero dolore. E quando anche Paolo è morto, abbiamo avuto paura per te. Tutti noi abbiamo un debito di riconoscenza nei tuoi riguardi, e tutti noi saremmo disposti a seguirti come Giorgio. Questo lo devi sapere.» Scala una marcia con fare rabbioso e il motore ruggisce per lo sforzo. Maura gli prende la mano e la stringe. «L’ho sempre saputo. Ogni volta che sfidavo la morte pensavo prima a Giorgio, poi a Paolo e infine ad Arianna. Oggi c’è anche il piccolo Giorgio. Non so se avrei più la forza di riprendere quei ritmi vorticosi. Guardami le spalle, Lin-Bo, potrei avere perso il fiuto.» Lin-Bo sorride. Ormai non è più una recluta, è un uomo fatto, e un bravo poliziotto. «Uno di questi giorni ti sfido al poligono!» le dice a un tratto. «Ti piace vincere facile, allora. Sono quattro anni che non tocco una pistola!» sorride. «Allora prima è, meglio è. Facciamo questo giro del cazzo al Castellaccio, poi andiamo all’Ufficio Armi per i permessi.» Affonda sull’acceleratore e spinge nelle ultime curve verso Fiorentino, facendo stridere le gomme. Oltrepassa il campo sportivo poi esce dall’abitato. In fondo, dopo un breve rettilineo, inchioda l’auto e parcheggia lungo uno sterrato, a fianco di una sbarra lucente. Attorno, boschi e incolti. La neve dei giorni scorsi ha lasciato tracce apprezzabili solo nelle zone d’ombra.


29 Maura alza lo sguardo e incrocia il picco di Pennarossa. Non le piace quel posto. Cattivi ricordi. «Dove dobbiamo andare?» chiede sospettosa. «Qui sopra, in cima alla collina.» «E non c’era una strada più agevole?» «Certo, ma non è quella che ti serve. Hai messo su pancia» le indica l’addome «devi riprendere ad allenarti, si comincia ora!» Lin-Bo scatta di corsa e scompare dietro a una curva. Maura sbuffa. “Me lo immaginavo, piccolo sbruffoncello! Vediamo come va a finire!”. E parte al suo inseguimento. Lin-Bo l’attende in cima alla prima salita impegnativa. Dapprima il sentiero era largo e pianeggiante, poi un ponticello, una salita scivolosa che consigliava di aggrapparsi a una fune, poi una scala di legno e sassi. La neve si è sciolta presto, complice il fianco della collina ben esposto al sole. Il poliziotto la guarda arrivare ansimante, lo sguardo compiaciuto. «Al tiro a segno sarai anche il numero uno, ma all’inseguimento ti batto!» Maura stringe i denti e si aggrappa alla staccionata. Beve un sorso d’acqua dalla bottiglietta che ha sempre con sé. La sistema nella piccola borsa a tracolla. «Hai fatto bene a mettermi di fronte al mio rilassamento! Ma da oggi tutto cambia, vedrai!» Giusto il tempo di un’occhiata al panorama che si gode da quella balconata, che riprende a salire. Trova un pianoro poco dopo e rifiata. Lin-Bo la raggiunge per non perderla di vista. Anche nel suo paese d’origine è nota la favola della lepre e della tartaruga. I respiri si fanno più regolari, e i fumetti di freddo sempre meno vistosi.


30 La boscaglia si richiude di nuovo sopra di loro. «Che ci aspetta, sulla cima?» s’informa la donna. «Niente di che. Ruderi, rovine, muretti appena abbozzati, una cripta malamente restaurata anni fa. C’era un castello, secoli addietro, e forse in seguito un convento. Non rimane più nulla. Relitti di un passato dimenticato.» Fa spallucce. «E le messe nere?» «Come le ha definite il capo? Ragazzate. Ecco, è anche il mio pensiero. Tutte le informative d’intelligence ci dicono che non ci sono gruppi di satanisti in territorio. Al massimo qualche sbandato, ma nulla di organizzato.» «Solo gli scemi coltivano marijuana nel giardino di casa.» Lin-Bo la guarda confuso. «Cosa vuoi dire?» «Che se si sono tenute messe nere in quel luogo, la gente veniva da fuori. Uno, due basisti del posto che hanno organizzato la logistica e dato le indicazioni sui tempi. Una volta qui, la prossima altrove e così via. È come fare una scampagnata, nessuno ti deve notare.» Lin-Bo resta in silenzio. Può essere tutto e il contrario di tutto. Il sentiero diventa un’arrampicata per capre, e infine il cielo striato di nuvole si spalanca e la collina diventa un teschio spelacchiato con alcuni cipressi a fungere da corona di capelli d’un monaco. «La cripta è di qua» indica il poliziotto. «Prima voglio fare il giro e controllare il territorio.» Maura indica un abbozzo di sentiero che si stende verso destra. Sale in cima alla collina e fissa il Carpegna tutto innevato. L’aria è frizzante e riempie i polmoni. Si guarda contrita le scarpe, inzaccherate di fango, ma ormai non è più solo una mamma a tempo pieno. Deve tornare a essere anche una macchina da guerra. Magari un po’ arrugginita, ma temibile fin da subito. Riprendono il sentiero che li porta a un punto panoramico. Sotto, l’abitato di Fiorentino e il campo sportivo. Proseguono. Poco dopo inforcano un largo sentiero in terra battuta che costeggia case private. Aggirano la collina e trovano il cartello


31 che indica il Castellaccio, e alcune informazioni storiche. Alle loro spalle, un modesto centro abitato. «La prossima volta, scelga la via più breve, sottoposto!» gli ringhia in mezzo a un sorriso. Lin-Bo scatta sugli attenti. «Signorsì, signore! Ho anche il tappeto rosso nel portabagagli, se serve!» “Servirà, signorino, un giorno servirà!”. Risalgono il sentiero e arrivano alla facciata della cripta. Una finestrella di pietra chiusa da un’inferriata dà sull’interno, buio e desolato. Un’iscrizione scolpita nella pietra riporta l’anno del restauro: 1977. Lin-Bo sorride e indica il luogo. «Ci venivo a giocare da bambino. In cima c’era una spaccatura di un paio di metri, e i più coraggiosi si portavano proprio lassù per guardare di sotto.» «I più scemi, vorrai dire!» «Eravamo io e Giorgio, mentre Luca piagnucolava dabbasso affinché scendessimo, mezzo morto di paura!» Maura non dice nulla. Si guarda attorno come se dovesse apparire, da un momento all’altro, il fantasma dell’amico scomparso. E, visto il luogo, non se ne stupirebbe. «Entriamo!» ordina, per mascherare la tristezza che l’ha colta all’improvviso. Scendono una manciata di larghi gradini intagliati nella pietra e si fermano sul pianerottolo invaso di foglie marce e acqua stagnante. La donna allunga la mano e tira a sé il battente del cancello, che si apre stridendo sulla neve disfatta. «Certo, per evitare messe nere in questo posto, almeno cinque euro per un lucchetto si potevano spendere!» È la volta di Lin-Bo di stare zitto. Come darle torto? Si limita ad accendere la torcia in dotazione. Dentro è relativamente asciutto. Il pavimento è in terra battuta e la parete opposta alla finestrella è scavata nella roccia viva per la quasi totalità.


32 Maura si guarda attorno. Osserva la volta in blocchi di pietra. Il rappezzo indicato da Lin-Bo è appena visibile, mascherato dai depositi calcarei e dal disfacimento di secoli. «Non c’è niente!» osserva il poliziotto. Maura allunga il collo, osservando i fori nelle pareti. Sembrano regolari, massi mancanti speculari alle pareti opposte. «Fammi luce!» Si solleva attaccandosi agli spuntoni e infila la punta delle scarpe negli interstizi. Li passa in rassegna uno a uno, puntando a sua volta la torcia del cellulare. Polvere e foglie marce. Il cadavere di una lucertola, il nido di un uccello, escrementi di topo, un topo morto. Ma è quando si solleva sulle punte per ispezionare il livello più alto, che fa la prima scoperta. «Tutti occhi di falco i tuoi colleghi, eh?» Dapprima scatta delle fotografie, poi se ne esce tenendo fra le dita una catenina luccicante. La medaglietta dondola nel vuoto e rilascia sprazzi di luce. Lin-Bo pasticcia nel cercare di estrarre una busta per reperti da un taschino, che gli cade a terra. Finalmente riesce ad aprirla e l’oggetto scivola dentro, emanando un suono sinistro, come di una catena che cade dentro a un pozzo scuro. «A giudicare dalla polvere, deve essere rimasta là sopra per anni. Niente a che vedere con la scomparsa di Paola, quindi» commenta l’uomo. Maura intanto è passata al foro a fianco, e scatta delle fotografie a quelle che lei giudica gocce di cera nera appiccicate alla pietra. Anche in altri pertugi ne trova traccia. «Avvisa la squadra scientifica. Che vengano per i rilievi senza fare troppo chiasso.» «Dirò che portino anche una catena e un lucchetto!» propone Lin-Bo. «No!» prorompe Maura, e la sua voce rimbomba nella spelonca. «Che mettano piuttosto una telecamera nascosta. Così da catturare quei bontemponi che verranno per visite notturne.»


33 Lin-Bo avvisa per radio delle scoperte. Poi decidono di tornare. «Scendo a prendere la macchina?» propone lui, per farsi perdonare lo scherzo. Per tutta risposta Maura scatta di corsa. «Chi arriva per ultimo, paga da bere!» «Non fare la scema, si scivola da matti!» ma intanto parte a sua volta, mentre Maura è già scomparsa per il sentiero. Lin-Bo cerca di tenere il passo, ma è rallentato dal cinturone e dalla pistola che gli sbatte sul fianco. Ogni tanto prende uno scivolone che rischia di mandarlo gambe all’aria, ma non ha intenzione di mollare. Maura appare e scompare in mezzo al bosco, e ha già una cinquantina di metri di vantaggio. Anche lei rischia molto, per via delle pietre, del fango e della foga. Si tiene lo zainetto stretto a una mano, e la usa come zavorra. Svolte, dossi, crinali, è tutto un baleno che li porta entrambi a saltellare per la scaletta, con Lin-Bo che ormai la tallona. Giù per la discesa sdrucciolevole si consuma la tragedia: Maura perde la presa con il calcagno, e piomba sedere a terra, iniziando a farsela letteralmente con il culo fra fango e sassi. Dietro di lei Lin-Bo tenta di rallentare ma finisce alla stessa maniera. Giungono al termine della discesa quasi appaiati e squassati dalle risate. «Prima mi porti a casa a cambiarmi e poi pensi a te. E nessuna parola su quanto è successo! D’accordo?» Maura ha preso l’amico con la testa fra le braccia e gli ha strappato il cappello. «Solo se mi metti tu i cerotti al culo! Temo che mi dovrai estrarre dei sassi dalle chiappe!» Si avviano massaggiandosi le terga. Dieci minuti di sacra digressione.


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CAPITOLO 7

«Ma dove cazzo mi hanno mandata?» si lamenta Maura. Sta girando da venti minuti in vicoli e stradelli stretti, tanto che la sua Renegade sembra volersi portare via le bici parcheggiate fuori dai negozi. Nemmeno il navigatore riesce a farle trovare l’accesso della via a senso unico dove si trova Villa Maria, un ricovero attrezzato per gestire malati mentali, sia criminali che non. Rassegnata, lascia l’auto all’angolo di una piazzetta, decisa a proseguire a piedi. Lontano, il lamento della sirena sul margine del porto canale. La nebbia fitta della pianura confonde ogni cosa e morde forte la pelle. A Cesenatico c’è stata solo una volta, prima dei fatti che l’avevano coinvolta con Stefano Accorsi. Era stato ai tempi dell’Accademia, per un veloce weekend al mare, inseguita da uno spasimante che lei voleva mollare. La ricordava bruciata dal sole, zeppa di turisti, asciugamani stesi alle finestre del grattacielo, e una fila interminabile di ombrelloni colorati. Oggi nemmeno il grattacielo si riesce a vedere, e neanche un cane in giro a cui chiedere indicazioni. Il palazzo ha la facciata grigia che si confonde nella nebbia, e si trova lungo una traversa del viale Carducci. La recinzione è alta almeno due metri, e porta in cima una griglia anti scavalcamento. Il portone d’ingresso è degno del caveau di una banca. O di una prigione, quale si presenta agli occhi della donna. Maura suona il citofono. «Sì?» «Sono Maura Porcu, ho appuntamento con il dottor Vaselli.» «Chi?»


35 Sbuffa spazientita, poi ripete: «Maura Porcu, ho…» Lo scatto della serratura la toglie da quella situazione scomoda. Un’impiegata sorda come una campana, probabilmente. C’è un secondo cancello, più basso, che immette lungo un vialetto asfaltato. Alcune panchine sono allineate ai lati dello stretto giardinetto, le basi in cemento per ombrelloni a ricordare che d’estate un po’ d’ombra non la si nega a nessuno. Un uomo in camice bianco l’attende appena fuori dalla struttura. Le allunga la mano al suo sopraggiungere. «Sono il dottor Vaselli.» «Piacere, Maura Porcu.» Si stringono la mano. Il dottore è alquanto giovane, avrà sì e no la sua età. Capelli arruffati, occhiali da vista con montatura in metallo. «Possiamo darci del tu?» propone lui. «Nessun problema» risponde Maura, senza allegria. Dentro fa alquanto caldo e subito Vaselli le indica una porta con i vetri molati e rinforzati con maglia metallica. «Sono contento che tu sia venuta. Marinella è come ossessionata da questa visita. Credo che voglia colmare un vuoto. La seguo da oltre un anno, dal suo risveglio. Ha una personalità molto disturbata e l’aggressione ne ha menomato sia la capacità di ragionare, sia la deambulazione. So chi era e cos’ha fatto, anche per il tramite del suo uomo e quella disgraziata di sua figlia. Ha pagato tantissimo a livello fisico, mentale e personale. È una donna sola, triste, che sembra attendere solo la morte. Le farà bene parlare con te. Non devi trattenerti, non le serve commiserazione. Meglio un rimprovero duro, ma onesto, che mille giri di parole. Che ne pensi?» «Abbiamo cose in comune, io e lei. Morti ammazzati. Io piango i miei eroi, lei che si fotta per le proprie perdite, assassini. Vediamo di darci una mossa, non so nemmeno che mi è preso ieri, per decidermi a telefonare.» Vaselli fa un cenno con il capo. «Allora andiamo, lei è già in sala colloqui. Sarete soli. Un infermiere starà alla porta, un


36 altro al monitor della sorveglianza. Non mi aspetto reazioni violente, ma non si può mai dire. Quando hai concluso la visita, fammi chiamare, prendiamo un caffè assieme.» Maura annuisce, ma non le interessa. Camminano lungo un corridoio dal linoleum liso per i troppi passaggi con la macchina per le pulizie. Porte ogni cinque metri con serrature elettriche che si sbloccano solo da parte dell’addetto alla sorveglianza. Un infermiere le apre una porta e si fa di lato. Richiude e lei si trova sola con uno dei suoi peggiori incubi. Marinella è seduta su una poltroncina in vimini. Accanto a sé tiene una stampella a tre piedi. L’altra mano la porta in grembo. Non sta guardando verso di lei, ma attraverso la vetrata del grande gazebo che racchiude parte dello scoperto interno dell’immobile costruito con pianta a “U”. Fissa le palme che crescono nel minuscolo giardino annesso. «Ti ringrazio per essere venuta. Lo apprezzo tantissimo, anche se ti sarà costato molto» dice senza guardarla. «Francamente non m’importa un cazzo di te. Dimmi quel che vuoi e me ne vado.» La donna inizia a piangere silenziosamente. Maura la osserva, per comprendere se recita una parte o se è sincera. Un fazzoletto a fiori allacciato al mento le maschera la parte deturpata della testa. Ciocche di capelli neri escono disordinatamente dai lembi. «I primi giorni che mi sono risvegliata, non capivo dov’ero e cosa stesse succedendo. Mi sembrava di essere di legno. Ricordavo a stento chi ero. Poi ho rivisto la faccia cattiva di Ruggero mentre alzava il martello verso di me, così mi sono ricordata di mia figlia. Teresa… Povera ragazza. Sono stata così scema da portarmi quello psicopatico in casa e consegnargli mia figlia. Ruggero mi piaceva, era un uomo forte e in grado di dominarti. Mi ha plagiata in poco tempo. Sono diventata quasi come lui…»


37 Maura si schiarisce la gola. «Dimmi solo perché hai simulato il rapimento di tua figlia. Che senso aveva? Serviva da depistaggio per non essere sospettata?» Marinella abbozza a un sorriso trattenuto. «Questo non l’hai mai capito, non è vero? Ti dirò la verità» annuisce, decisa «ero pronta ad appoggiare Ruggero nei suoi deliri, poi lui ha smesso di tornare da me. Diceva che aveva da fare a Bologna. Allora ho provato a fare da sola. Ho studiato come fare per un paio di mesi. Appostamenti, la scelta delle vittime. Un giorno mi sono accorta che mia figlia non era proprio una brava ragazza come sembrava. Allora ho iniziato a spiare lei. Si vedeva con un ragazzo, poi con un professore… Mi è cascato il mondo addosso. Così ho simulato il suo rapimento, ma per il resto era tutto vero. Teresa si è spaventata a morte e, fintanto che Ruggero è rimasto lontano, è tornata nei ranghi. Poi sai com’è andata a finire…» «Da come articoli frasi e concetti, mi sembra che la tua testa funzioni fin troppo bene!» la prende in giro Maura, acida. Marinella si porge un po’ avanti, per osservarla meglio. «Guardami, Maura. Non riesco a fare un passo senza questo appoggio» tocca la stampella accanto a sé «sono colta da emicranie continue e la notte mi sveglio spesso, urlando per l’angoscia e per il dolore. Non riesco a cacciare via i fantasmi del passato. Sarebbe stato meglio rimanere in coma, credimi, o morire. Venire a conoscenza che tua figlia si scopa il tuo uomo e vederla restare impassibile mentre vieni presa a martellate, basterebbe per impazzire. Ho trascorso settimane a maledirti, per avermela portata via. Poi ho maledetto Ruggero per averci traviate. Poi ho maledetto Teresa per essersi fatta coinvolgere da quel bastardo senza dirmi nulla. E oggi…» «Oggi?» la incalza Maura. «Oggi è il mio turno. Mi dico che è tutta colpa mia. Per aver ceduto, per non avere saputo dire basta e allontanarlo. Ho perso tutto, oggi maledico me stessa. Non posso chiedere di perdonarmi, hai perso molto più di me perché si tratta di affetti


38 onesti e puliti. Però voglio chiederti perdono lo stesso. Non serve a un cazzo, lo so. Però ci tenevo a farlo.» Maura resta in silenzio. Si aspettava qualcosa del genere, ma non si era preparata per bene. Non sa come sganciarsi. La fissa per qualche secondo, poi si dice che deve fare qualcosa. Accorcia la distanza e si piega per prenderle la mano. Qualcosa saetta nell’aria, e Maura fa un gesto istintivo che la salva. Para il fendente con il braccio e una lama tintinna a terra, poco lontano. Il contraccolpo getta Marinella a terra. «Sei una troia! Devi morire, puttana! Aveva solo diciassette anni e tu me l’hai ammazzata!» inveisce la donna dal pavimento dov’è crollata. Le porte si spalancano e due infermieri accorrono per bloccarla. Maura controlla di non essere stata ferita, poi fa un passo indietro. «Sei una povera pazza, Marinella. Quasi mi avevi convinto. Un cane, anche se scodinzola, resta sempre un cane. Goditi la tua prigione dorata, ti auguro di restare qui a lungo a meditare su cosa è giusto e cosa sbagliato. Non perderò tempo a denunciarti, questo comportamento finirà sul tuo libro nero e sarà più che sufficiente per trattenerti qua dentro per parecchio ancora. E io dovrò dare il mio assenso per il tuo rilascio. Sappi che non lo darò mai. Addio, fra poco sarà Natale, ti manderò la fotografia delle persone che il tuo amante ha ammazzato per chiarire la differenza fra una come te e una come me. E io sono una Porcu, non una troia.» Lascia l’ambiente senza curarsi di quel che le fanno gli infermieri. Ha visto siringhe e lacci emostatici e questo le basta per battere in ritirata. Evita di misura d’incontrare il dottorino. Meglio per i suoi denti non incontrare il pugno che avrebbe indirizzato a quell’incompetente.


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CAPITOLO 8

Maura guarda l’orologio, sono le 13:15. Sorseggia quanto rimane del vino e si avvicina alla cassa. Scambia uno sguardo di cortesia con il gestore, poi lascia l’ambiente ovattato dello Sloppy Joe’s dove ha pranzato. Fuori, la faccia rubiconda di Hemingway le sorride dall’insegna, ormai stinta dal sole. Si stringe nel giubbino per non raffreddarsi, e resta sul marciapiede indecisa su dove andare. Il freddo la spingerebbe verso la sua auto, la brutta esperienza di un paio d’ore prima, in qualsiasi altro posto che non sia la sua casa. Marinella aveva sottratto un cucchiaio dalla mensa e ne aveva limato il manico per settimane, fino a trarne uno stiletto che aveva puntato alla sua gola. Sarebbe bastato un millisecondo di ritardo nella reazione per ritrovarsi con la carotide squarciata, alla vecchia maniera. Maura è colta da un brivido, e si dice che è per via del freddo che buca le ossa. L’aria è ferma e rigida, l’umidità ristagna. I gabbiani volano nella nebbia e lei ne segue la scia, verso il mare. A sinistra ha il gorgo scuro del canale, a destra la distesa piatta e desolata della grande spiaggia vuota. Mucchi di sabbia messa al riparo dalla maree sembrano dune d’un deserto lontano, le scogliere frangiflutti che sorgono all’orizzonte. Salta con decisione i pochi gradini che la portano all’ultimo tratto del molo. Poco oltre, passato il ristorante Gambero Rosso, ulula la sirena nella nebbia. Le sembra di essere già stata lì, in un frangente simile, ma forse l’ha solo letto in un romanzo, ne è quasi sicura. Il faro si para di fronte a lei come l’ennesimo nemico. Il rosso che un tempo lo faceva distinguere dal resto è ormai scomparso


40 sotto una pellicola di ruggine. Maura lo supera, e si ritrova al margine estremo del molo, dove appena un passo in più la porterebbe a precipitare in mare, a morire fra i flutti gelidi. La coglie un capogiro, come un reflusso improvviso che le butta in gola la paura che non ha ancora provato fino a quel momento. Perdere la vita per quella pazza, perdere i figli, o anche solo la sua bellezza per un fendente al volto, che l’avrebbe deturpata per sempre. Si aggrappa a una scaletta di ferro che sale fino al faretto posto sulla sommità della torre. La sirena le perfora i timpani, il sangue le pulsa nelle tempie. Deve andarsene da lì, ma non riesce a muoversi. Ha paura, una paura sottile, che la prende alla bocca dello stomaco, scende lungo le gambe e gliele paralizza, poi risale e si aggrappa alle braccia per strapparla da lì e farla cadere in acqua. La testa le gira come se l’avessero drogata. “Forza, Maura, non mollare adesso. Non devo mollare!”. Sente che le forze le vengono meno. Le scappa un sorrisino nervoso. Dopo tutto quello che ha passato, rischiare di morire affogata per un attacco di panico, non è da lei, si dice. Un braccio robusto l’afferra all’improvviso e la tira indietro. «Ma cosa sta facendo?» le chiede un vecchio apparso dal nulla. «Non mi sento bene. Il vino…» mormora, toccandosi la testa. «Forza, la sorreggo io.» La tira e la sospinge. Maura barcolla, ma riesce ad arrivare al muretto e si appoggia per fiatare. Ora il mare fa meno paura, non sente più quel richiamo d’abisso che percepiva prima. Anche quella sensazione forse stava in quel romanzo che aveva letto e si era impossessata di lei come una maledizione. «Forza, non fermiamoci qui. Arriviamo al bar.» L’uomo la cinge con un braccio e l’accompagna. È un ometto piccolo, un basco sdrucito in testa, scarpe scalcagnate. Passo dopo passo, si ritrovano davanti allo Sloppy Joe’s. L’accoglie la vampa di caldo che ristagna all’interno e questo le basta per farle riprendere la circolazione sanguigna. Si gira


41 verso la porta, con il sorriso di gratitudine stampato sul volto all’indirizzo del vecchio che l’ha salvata. Non lo vede. Torna in strada e lo cerca con lo sguardo, ma la via è vuota per decine di metri, nel varco lasciato libero dalla nebbia. Corre allora verso il canale, temendo che vi fosse caduto. L’acqua nera sciaborda lieve contro le casseforme di smorzamento. Nulla di visibile che faccia palesare una caduta in acqua. Nemmeno una bolla d’aria risale in superficie. Maura corre dentro e torna al tavolo che ha lasciato solo dieci minuti prima. Il gestore la vede e si avvicina. «Ha perso qualcosa, signorina?» Maura scuote la testa. «Nulla. Nulla, grazie. Mi può portare un tè bollente, per favore? Ho preso freddo!» Si rannicchia sulla sedia, stretta nel giubbino allacciato. Tempo un minuto e l’uomo torna con una tazza fumante. «Per caso ha visto il signore che era con me quando sono entrata poco fa?» Il gestore la guarda stralunato. «Non c’era nessuno assieme a lei. L’ho notata mentre tornava indietro e poi è entrata. A dire il vero, sembrava un poco ubriaca. Procedeva a zig zag… Perché mi parla del vecchio?» «Forse se n’è andato un po’ prima e non me ne sono accorta.» Taglia corto lei. Si concentra sul liquido dorato che le rimanda effluvi rilassanti. Beve fino a scottarsi la gola, paga la consumazione ed esce senza una parola. Uscendo le sembra che Hemingway le faccia l’occhiolino dall’alto dell’insegna. “Somiglia un sacco al vecchio che mi ha soccorsa”, osserva impaurita. Allunga il passo, decisa a lasciare Cesenatico ai suoi pazzi e ai suoi arcani misteri.


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CAPITOLO 9

Zanetti è paonazzo in volto mentre le fa la ramanzina. Lin-Bo, piazzato sull’attenti sul fondo dell’ufficio del comandante, smette di respirare. «Sei una disgraziata! Andare da quella pazza da sola, come si trattasse della zia paralitica. Ti sei bevuta il cervello? Credevi che non avrebbe tentato qualsiasi cosa pur di vendicarsi?» Maura lo guarda, faticando a togliersi il sorriso sulle labbra. «Hai finito?» «Come osi darmi del tu in servizio?» le ringhia addosso. «Tu stai violando la mia privacy, ficcando il naso sui luoghi e sulle persone che frequento quando sono fuori servizio, per cui non farla tanto lunga!» Lin-Bo si lascia sfuggire un gemito preoccupato. Zanetti lo fulmina con lo sguardo. «Ma fa sempre così con i suoi superiori?» «Da quel che so, uno l’ha anche sbattuto a terra!» dice il poliziotto, sperando in un’apertura distensiva. «E quanti giorni in cella si è fatta, ’sta ribelle?» la indica quasi con disprezzo. «Se l’è sposato…» conclude Lin-Bo. Zanetti rimane di ghiaccio. Di Maura non sa proprio tutto, ma quella vicenda sul fascicolo sta in cima al mucchio. Scuote la testa e si passa una mano sul viso. «Scusa, Maura. Ho esagerato.» Poi si ricorda del poliziotto e lo manda via. Maura ha gli occhi lucidi. «Non servono né scuse, né sermoni. Dovrai abituarti. O mi tieni per come sono, oppure mi cacci via. Notizie dalla scientifica?» Zanetti ha come un sussulto. Capisce al volo che è stata girata pagina. «Certo, certo. Nessuna impronta rilevabile, però i


43 genitori della ragazzina non hanno riconosciuto la catenina. D’altronde, doveva trovarsi là da oltre un anno. Polvere e sporcizia l’avevano ricoperta. Tu hai un sesto senso per le indagini, te lo devo riconoscere.» «Hai disposto di mettere un rilevatore nella cripta?» «Non credo che servirà, però voglio darti ascolto. Ci sono notizie anche dalla polizia postale italiana. Pare che il tipo che chattava con Paola Taddei fosse del Sud. Un paesino della Basilicata. Faranno controlli.» Maura storce il naso. Troppo lontano per arrivarci, con soli quindici anni sulle spalle. «Come si chiama il paese?» «Pietrapertosa. Ti dice niente?» «No.» Si sposta alla finestra e osserva il paesaggio montano all’orizzonte, ricoperto da un metro di neve. Casa sua sta da qualche parte sullo sfondo, dissimulata nel bianco. C’è un limite di demarcazione netto, nella nevicata, che pare avere risparmiato parte della Repubblica. Paola Taddei ha oltre un giorno di vantaggio, può essere ovunque. All’estero, nascosta dentro una galleria dismessa della ferrovia, oppure a Pietrapertosa, come parrebbe possibile ipotizzare a sentire la polizia postale. Si sposta alla scrivania del comandante e siede al suo posto. Zanetti non fa una piega, ha troppo da farsi perdonare. Maura attiva un motore di ricerca e digita il nome del paese. Inizia a leggere e a commentare le immagini. «Guarda che bel posto, una San Marino incastonata dentro una montagna!» In effetti il borgo è splendido, centinaia di case cresciute sotto a creste di roccia, come un gigantesco presepe all’aperto. Il pensiero del presepe la fa sobbalzare, ma la notizia che sta appena sotto, la fa avvinghiare al braccio di Zanetti, fino a piantagli le unghie nella carne. «Guarda! Lì fanno il volo dell’angelo, imbragati a un cavo d’acciaio!» «L’angelo!» commenta lui.


44 «E Arabat è anche l’antico nome saraceno di Pietrapertosa.» Zanetti è euforico. «Bingo! Avviso subito i cugini di Rimini. Che si mettano subito a concertare le ricerche con i colleghi del posto.» Maura si alza dalla sedia e fa per uscire dall’ufficio. «Io devo andare. Quella ragazzina è in pericolo, non posso lasciarla sola.» A Zanetti salta una pulsazione al cuore. «Tu non sei in forza alla polizia italiana!» le ricorda. «Paola è cittadina sammarinese, e io sono un poliziotto sammarinese. Concorda la partecipazione di un nostro agente alle indagini. Io intanto faccio la valigia. Per fortuna che mia nonna è voluta venire a trovare i bambini a tutti i costi. Magari se li porta via in Sardegna per qualche giorno e io posso dedicare più tempo a questa ricerca.» «Non vale la pena di sprecare fiato per dissuaderti, non è vero?» «Non mi fare perdere tempo, casa mia è sepolta dalla neve e tornarci non sarà uno scherzo. Sarò di ritorno fra un paio d’ore. Organizza un trasporto con Lin-Bo fino a Dogana per congiungermi con una pattuglia italiana. Ho bisogno che durante la mia assenza qualcuno porti la spesa a casa mia.» Lo guarda con occhi dolci. «Per favore.» «Da quel che ho letto su di te, sei una specie di macchina da guerra. Con un computer al posto del cervello e una testa senza cervello allo stesso tempo. Ma non c’è un solo accenno a possibili errori o fallimenti.» Maura s’irrigidisce. «Vallo a dire a Francé!» sbotta, dura. «Quello è stato un agguato, Maura. Smetti di darti la colpa.» «Tu parli di successi. Io vedo solo i miei morti che mi perseguitano. Per questo ho bisogno di aggrapparmi ai vivi. E Paola Taddei è al momento il mio salvagente per andare avanti.»


45 Zanetti la chiude delicatamente dentro un abbraccio. La bacia sui capelli poi la lascia andare. «Corri a fare le valigie, allora. Non perdiamo tempo.» Maura sta già divorando le scale.


213 Il tagliacarte frinisce come un cesareo mentre straccia la carta. Maura divarica i lembi della busta e ne osserva l’interno. C’è una carta da gioco, del tipo napoletano. Un re. Il re di denari. Alza un braccio per richiamare l’attenzione di Dario, al quale si spegne la risata. Afferra il cordless e chiama Petrucci. Il comandante Petrucci. Dario ha passato la mano. Mentre il telefono squilla, Maura gira la busta e si stupisce di trovare un mittente. Solitaire, via dell’Inferno 666 - Torino. Il timbro dell’ufficio postale sembra confermarne l’origine. «Pronto?» «Renzo, sono Maura. Credo che abbiamo un problema. Puoi venire subito?» «Di che si tratta? Con questa neve!» «Portati un mazzo di carte e la squadra scientifica per un’analisi su una lettera che mi è arrivata oggi.» «Minacce?» «Magari, Renzo. Magari. Conosci qualcuno a Torino? «Mia madre era di Torino. Perché?» «Spero di sbagliarmi ma arriveranno problemi da quella città. Forse c’è un altro squilibrato che vuole continuare il gioco.» Maura sente Petrucci sacramentare. «Mi metto subito in viaggio. Come stai?» Lei apprezza l’interessamento. Nonostante l’incarico, Renzo è rimasto un gentiluomo. «Speravo che i pazzi li avessero rinchiusi tutti! Abbastanza bene, Renzo. Anche se ormai sono troppo vecchia e stanca per continuare queste cacce maledette, e troppo giovane per andare in pensione.» «Sei riuscita a convincere Dario a dare le dimissioni, tu puoi fare tutto!» «Non perdere tempo in chiacchiere e sviolinate, Renzo, che magari mi viene voglia di gettare la lettera nel camino.» «So che non lo farai.»


214 «Allora mi ci butto io.» «Le streghe non bruciano!» la canzona il comandante. Maura avverte il rumore di una lampo che si chiude, ed è talmente lungo che non può trattarsi della patta dei pantaloni, così immagina che Renzo si stia mettendo il giubbotto. Sogghigna. Dario intanto ha ottenuto una tregua dal capo tribù e accorre. «Che succede, Maura?» «Tu non sei più un poliziotto, per cui non posso dirti che ho ricevuto una lettera anonima dall’inferno, da parte di un probabile picchiatello che forse vuole confrontarsi con me.» Dario sbianca. «Ancora? E di chi cazzo si tratta?» «Solitaire…» Fuori nevica e Maura spera che ne vengano giù dieci metri. Ha tanta legna nel capanno e tanto freddo nel cuore. Sperava in un inverno migliore, ma sa che sarà una gelida primavera. Solitaire, un re di denari. L’inferno, il numero della bestia. “Chi sei, chi sei tu, là fuori, che alza la voce e viene a sfidarmi in casa mia, i miei figli, la mia famiglia? Chi sei, da quale inferno provieni e proclami? Mostrati, tu lo credi, ma non mi conosci bene. Io sono Maura Porcu, e un Porcu non si è mai tirato indietro di fronte a niente. Tu ora ti sottrai, poi correrai a nasconderti, non potrai fare altro. Sarai solo, Solitaire in una squallida cella”. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

PREFAZIONE DELL’AUTORE ........................................................ 5 PROLOGO ................................................................................... 7 CAPITOLO 1.............................................................................. 10 CAPITOLO 2.............................................................................. 12 CAPITOLO 3.............................................................................. 17 CAPITOLO 4.............................................................................. 20 CAPITOLO 5.............................................................................. 25 CAPITOLO 6.............................................................................. 27 CAPITOLO 7.............................................................................. 34 CAPITOLO 8.............................................................................. 39 CAPITOLO 9.............................................................................. 42 CAPITOLO 10............................................................................ 46 CAPITOLO 11............................................................................ 50 CAPITOLO 12............................................................................ 54 CAPITOLO 13............................................................................ 57 CAPITOLO 14............................................................................ 63 CAPITOLO 15............................................................................ 69 CAPITOLO 16............................................................................ 73 CAPITOLO 17............................................................................ 76 CAPITOLO 18............................................................................ 83 CAPITOLO 19............................................................................ 87 CAPITOLO 20............................................................................ 91 CAPITOLO 21............................................................................ 96 CAPITOLO 22.......................................................................... 100 CAPITOLO 23.......................................................................... 106


CAPITOLO 24.......................................................................... 112 CAPITOLO 25.......................................................................... 116 CAPITOLO 26.......................................................................... 118 CAPITOLO 27.......................................................................... 122 CAPITOLO 28.......................................................................... 125 CAPITOLO 29.......................................................................... 128 CAPITOLO 30.......................................................................... 133 CAPITOLO 31.......................................................................... 138 CAPITOLO 32.......................................................................... 142 CAPITOLO 33.......................................................................... 144 CAPITOLO 34.......................................................................... 148 CAPITOLO 35.......................................................................... 150 CAPITOLO 36.......................................................................... 154 CAPITOLO 37.......................................................................... 156 CAPITOLO 38.......................................................................... 160 CAPITOLO 39.......................................................................... 165 CAPITOLO 40.......................................................................... 173 CAPITOLO 41.......................................................................... 175 CAPITOLO 42.......................................................................... 177 CAPITOLO 43.......................................................................... 179 CAPITOLO 44.......................................................................... 186 CAPITOLO 45.......................................................................... 191 CAPITOLO 46.......................................................................... 195 CAPITOLO 47.......................................................................... 197 CAPITOLO 48.......................................................................... 202 CAPITOLO 49.......................................................................... 206 CAPITOLO 50.......................................................................... 207 EPILOGO................................................................................. 211


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