Balli di sangue, Milena Rega

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In uscita il / /20 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine JLXJQR H LQL]LR OXJOLR 2020 ( ,99 euro)

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MILENA REGA

BALLI DI SANGUE

ZeroUnoUndici Edizioni


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BALLI DI SANGUE Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-401-4 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Giugno 2020


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PROLOGO

Di giorno i suoi capelli scintillano ai raggi del sole. Sono dei fili dorati che le scendono morbidi sulle spalle. Ha bellissimi occhi grandi e scuri, labbra soffici e intriganti, e quando sorride mi sciolgo in un brivido di piacere intenso. Di notte, il pallore del suo corpo spicca fra le luci della disco. Si muove al ritmo della musica, bella e provocante, e il mio sguardo resta incollato solo su di lei. Lei, la mia ossessione.



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CAPITOLO 1

La chiave girò più volte nella toppa, finché la serratura del portone blindato si sbloccò. Carica di sporte e pacchettini, Beatrice rientrava nel suo appartamento, dopo un pomeriggio di shopping. Era un sabato come tanti. Pensò di prepararsi un piatto leggero: un’insalata mista accompagnata da un pacchetto di cracker integrali e una fettina di pollo alla griglia. Posò i suoi pacchi sul tavolo della cucina, tornò in soggiorno e schiacciò un pulsante sulla tastiera del telefono fisso, per iniziare l’ascolto dei messaggi registrati nella segreteria telefonica. Bip. Nel frattempo si accinse a sistemare le cose che aveva appena comprato: il profumo di Dior, la trousse di ombretti, due camicie a plissé, dei jeans con le frange e un paio di orecchini a forma di cuore. «Bea? Sono Carmen, mi passi tu a prendere alle undici? Mi faresti un grande favore. Ho la macchina guasta e non so proprio come fare. Ti aspetto sotto casa mia. A dopo.» Bip. Dopo il segnale acustico seguirono alcuni secondi di silenzio, poi si udì un rumore di sottofondo, come se qualcuno stesse chiamando da una strana trafficata. Fine dei messaggi. Perché non avevano parlato? Beatrice pensò immediatamente a un errore. La sua borsa sembrava un pozzo senza fondo, ed era sempre stracolma di oggetti di ogni genere: le chiavi della macchina e di casa, il telefono cellulare, un tampone, i fazzolettini, un portacipria, il portafogli maculato, una spazzola per capelli, le gomme. Richiuse la cerniera, indossò il piumino bianco e uscì.


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Erano le undici meno un quarto di un sabato sera gelido, uno dei più rigidi che lei ricordasse: il primo sabato del nuovo anno, il 2003. Salì sulla Punto, bianca come il suo soprabito, e accese il motore. Le sue dita lunghe e sottili, laccate di uno smalto color fragola, erano intorpidite dal freddo. Non si sentiva molto in forma. Si era svegliata al mattino con qualche linea di febbre, che poi era passata in giornata; ma adesso era ancora un po’ stordita dall’effetto degli analgesici che aveva assunto. Doveva andare in disco. Carmen, avvolta in un’eco pelliccia nera, l’attendeva di fronte al cancello di casa sua. Bea si accostò con l’auto e le aprì la portiera. «Grazie per essere venuta» le disse subito Carmen, dopo aver richiuso lo sportello «i tram ormai non passano più e mi seccava prendere un taxi.» «Figurati» ribatté Beatrice «che problema c’è? Facciamo la stessa strada. Costa una cifra prendere il taxi qui in città.» «Ti vedo un po’ stanca, cara» constatò Carmen, lanciando un’occhiata verso l’amica. «Lo sono, infatti. Dormo poco» rispose l’altra, senza staccare lo sguardo dalla strada. Carmen era bruna, con gli occhi verdi, e teneva i capelli raccolti in uno chignon. Era nata a Buenos Aires, ma erano già alcuni anni che si era trasferita in Italia dove lavorava. Lei e Beatrice facevano le cubiste il mercoledì e il sabato sera nella discoteca Angelo Azzurro di Rimini. Carmen aveva ventisette anni ed era più grande di Bea che ne aveva venticinque. «Chiedi ad Alessandro di farti rientrare prima stanotte, così potrai riposarti un po’ di più» le suggerì l’altra. «Credo che mi farà storie, se glielo chiedo» sospirò Beatrice «anche se sono a pezzi, fra le lezioni di ballo e il resto dormo circa quattro ore per notte.» L’Angelo Azzurro era una discoteca di media categoria, un locale non particolarmente ampio, frequentato da gente di tutte le età ma gremito


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perlopiù di ragazzi sui vent’anni, extra sportivi, con i capelli a spazzola impregnati di gel, o pettinati secondo le ultime tendenze. Carmen e Beatrice entrarono nel loro camerino per cambiarsi, mentre nel locale, alla spicciolata, arrivavano i primi clienti, quelli che entravano sempre molto in anticipo e che si sedevano al banco del bar per ordinare la prima consumazione obbligatoria. La pista era vuota, il DJ stava provando i microfoni e nell’aria si diffondevano le note di una musica leggera da intrattenimento. Erano impacchettate in una carta trasparente stampata con cuori dorati, le cinque rose rosse che Beatrice trovò appoggiate vicino allo specchio nel camerino. «Su chi hai fatto colpo, stavolta?» chiese Carmen con una punta di malizia, mentre s’infilava l’abitino bianco trasparente sotto il quale si intravedeva la biancheria intima. «Non saprei» Beatrice inarcò le sopracciglia e spiegò il bigliettino che accompagnava i fiori. Era scritto a penna in stampatello: “Per Beatrice. Discoteca Angelo Azzurro - Rimini”. «Max?» Bea fermò un ragazzo, uno dei PR che passava in quel momento davanti ai camerini. Aveva il pizzetto e il cellulare vicino all’orecchio. «Che c’è, Bea?» chiese frettolosamente. «Hai portato tu qui queste rose?» «Sì, poco fa. Erano all’ingresso. C’era il tuo nome sopra e mi è stato riferito da Marco, quello della sicurezza, che erano per una cubista. Beatrice sei solo tu.» «Ma sai chi me le manda?» «Veramente non lo so… puoi scusarmi un momento?» Max si allontanò e riprese a parlare al cellulare. Carmen si stava passando un ombretto rosa sulle palpebre. «Sei così stupita che qualcuno ti mandi dei fiori?» le chiese guardandola con la coda dell’occhio. «È strano che non ci sia il mittente, tutto qui» rispose Beatrice. «Avrà preferito restare anonimo.» Beatrice si dimenticò presto delle rose, che lasciò nel camerino. Indossò il vestito che aveva scelto per la serata, e i sandali dal tacco vertiginoso.


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CAPITOLO 2

La pista gremita, la voce del DJ Bibo, la musica altissima, Carmen e Beatrice sul cubo che ballavano al di sopra di tutti. Era questo l’Angelo Azzurro all’una e mezza di sabato notte. Ai piedi di Beatrice alcuni ragazzini le mandavano dei saluti con la mano e dei sorrisi. La ragazza li conosceva tutti abbastanza bene. Erano assidui frequentatori del locale; di età compresa fra i diciassette e i ventidue anni, formavano una compagnia allegra e simpatica. Beatrice si concesse dieci minuti di pausa, durante i quali passò al bar e ordinò un drink. «Ecco la nostra Bea!» esclamò un uomo non appena vide giungere la cubista. Aveva gli occhiali da vista, vestito in maniera elegante, con giacca scura e camicia. «Ciao, Roberto. Come va?» «Sto sempre bene quando ti vedo e quando balli, tesoro. Posso offrirti qualcosa?» «No, grazie, ho già preso questo e non posso bere di più» si schermì lei «devo riprendere a lavorare fra poco…» si portò la cannuccia alle labbra e bevve un lungo sorso di gin e tonic. Aveva il viso accaldato e imperlato di sudore che a lui parve decisamente sexy. «Beatrice?» la chiamò una voce alle sue spalle. Lei si girò e vide uno dei ragazzi che poco prima ballavano in pista. «Ehi, Manuel…» lo salutò brevemente, con un sorriso. Era il figlio della sua padrona di casa: un diciottenne dall’aria gentile. Portava i capelli color cenere corti e leggermente mossi, e indossava una camicia a scacchi bianchi e azzurri, abbinata a una cintura maculata. «Sei qui con la tua compagnia, Manu?»


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«Sì, festeggiamo il compleanno di Nico, il mio è sabato prossimo» le disse «beh, buon lavoro allora» sorrise e si allontanò, lasciando una scia di profumo. Nico e Michela, la sua ragazza, si baciavano semi sdraiati fra i cuscini delle poltroncine, vicino al tavolo ingombro di bicchieri. Erano state stappate ben tre bottiglie di spumante che si erano svuotate rapidamente. Nico aveva compiuto ventidue anni, mentre Michela ne aveva solo sedici, ma stava con lui anche se minorenne e andava tutti i sabati sera a ballare con gli amici, di nascosto dai genitori. Michela era bruna con i capelli lisci molto lunghi. Indossava una minigonna nera in eco pelle e una canotta estiva trasparente. Dimostrava più anni di quelli che effettivamente aveva, e nessuno avrebbe mai messo in dubbio che fosse maggiorenne. Per non farsi vedere vestita così dai suoi genitori, prima di uscire di casa si era cambiata da un’amica. Da lei aveva preso in prestito anche delle decolté sexy col tacco altissimo, che però si erano rivelate talmente scomode da costringerla a stare seduta per tutta la serata. «Ecco i nostri piccioncini!» esclamò ironico un altro ragazzo della compagnia avvicinandosi. Si chiamava Davide Lotti. «Dai, su, venite a ballare…» si avvicinò per prendere per un braccio Nico e portarlo verso la pista, ma questi lo scansò infastidito. «Mi fanno male i piedi» brontolò Michela «stasera non ballo di sicuro.» «Per forza, con quelle scarpine» rise Davide. «Vai a rimorchiare, Lotti, noi siamo impegnati, non vedi?» ribatté Nicola, poi ricacciò la lingua in bocca alla sua ragazza. Manuel si era seduto poco lontano a sorseggiare un drink, mentre Beatrice era tornata a ballare sul cubo. «Quella ragazza è davvero la stella più bella che brilla in questa disco» disse con tono poetico un altro ragazzo, Simone, seduto accanto a Manuel. Elisa, vicina a lui, gli lanciò un’occhiata di disapprovazione. Non era la sua ragazza ma lo corteggiava. «Che hai detto, Simo?» «Ho detto solo che Beatrice è favolosa» ribatté l’altro. Elisa si alzò all’improvviso indispettita e se ne andò, senza proferire parola.


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«Simo, ti rendi conto che l’hai offesa a morte?» gli fece notare Manu. «Non è colpa mia se Eli se la prende per niente. Lei si illude con me, ma sa bene che la considero solo un’amica.» «Però potresti essere un po’ più sensibile» osservò l’altro «e fare più attenzione a quello che dici in sua presenza…» «Oppure, dovrebbe essere lei ad accettare la situazione e prendersela di meno… tu cosa ne pensi? Non sono neppure libero di esprimere un mio pensiero?» ribatté l’altro. Manuel non rispose ma seguì Elisa con lo sguardo. Simone la respingeva, eppure lui al contrario, la riteneva una ragazza carina: bionda con gli occhi azzurri e le forme abbondanti al punto giusto. Quella sera indossava un tubino in velluto blu scuro e degli stivali neri. Elisa e un’altra amica del gruppo si dirigevano verso il bar. Posò il bicchiere e le raggiunse. «Elisa, posso parlarti?» le chiese, e prima che lei potesse rispondergli, lui l’afferrò per un braccio e la trascinò con sé in mezzo a tanta altra gente. Raggiunsero i servizi. «Che cosa c’è, Manu?» domandò lei, sorpresa da quell’improvvisata. Senza rispondere, Manuel si avvicinò con uno scatto alla ragazza e la baciò a lungo. Elisa, che non si aspettava nulla di simile, arrossì fino alla punta dei capelli e avvertì una scarica di adrenalina. I suoi occhi chiari fissavano Manu con incredulità. «Ma che significa, Manu?» chiese in un sussurro, notevolmente in imbarazzo. «Volevo soltanto dare un bacio alla ragazza più carina della compagnia» l’adulò lui, sorridendole con sguardo languido «Simo non ti merita.»


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CAPITOLO 3

Arrivò con la posta del lunedì successivo, la busta bianca che Beatrice trovò nella cassetta delle lettere assieme alla bolletta dell’Enel e a un volantino pubblicitario. Era una busta di medie dimensioni, priva di mittente e di francobollo. Bea capì che non poteva averla recapitata il postino, ma qualcun altro, magari di passaggio. La girò e rigirò più volte, senza aprirla. Era davvero per lei, o si erano sbagliati? Eppure, sulla cassetta era scritto chiaramente il suo nome: Beatrice Costa, nonostante nel piccolo stabile ci fossero altri due appartamenti: oltre a quello occupato da lei, in affitto da non ancora un anno, c’era l’appartamento della sua padrona di casa che viveva sola col figlio Manuel e un terzo, che però era vuoto, poiché veniva locato solitamente nel periodo estivo. Bea infilò le buste in borsa e rientrò in casa. Il suo appartamento era composto da cucina abitabile, un soggiorno, una camera da letto matrimoniale, un bagno e un terrazzo angusto; arredato e dotato di riscaldamento autonomo pagava quattrocentocinquanta euro mensili, escluse le utenze. Sistemò prima la spesa nel frigorifero. Aveva comprato sei yogurt magri alla fragola in offerta, due buste di insalata mista, del petto di pollo fresco e due cartoni di latte magro. Nella credenza sopra il frigorifero sistemò due pacchi di pasta integrale, che le sarebbero bastati per almeno un mese, e tre confezioni di gallette di riso. Cavò fuori dalla busta della spesa le ultime cose: il detersivo per il bucato e lo shampoo, che ripose subito nell’armadietto del bagno. Rientrò in soggiorno e tornò a concentrarsi sulla posta. Per prima cosa aprì la bolletta dell’Enel e dopo aver letto la fattura, la ripose nel cassetto dove conservava con cura anche i bollettini pagati. Prese in


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mano la busta bianca e stavolta, senza pensarci troppo su, decise di vedere cosa conteneva. All’interno c’era un foglio piegato in quattro. Bea ebbe un brivido quando l’aprì per leggerne il contenuto. “Bea, io ti voglio e ti avrò”. Era una scritta realizzata a computer con caratteri gotici. La ragazza lasciò cadere il foglio sul tavolo con un gesto brusco, come se scottasse. «Ma cosa significa, che roba è?» Le vennero subito in mente le cinque rose che fra l’altro aveva lasciato in discoteca, e il messaggio muto in segreteria del sabato precedente. Beatrice frequentava pochissime persone: Carmen e Paolo, che gestiva la scuola di ballo in cui lei impartiva lezioni di danza moderna. Non c’era nessun altro nella sua vita. I suoi genitori vivevano altrove, dall’altra parte della città; non era in buoni rapporti con suo padre, e con la madre si sentiva qualche volta solamente per telefono. La sua scelta di fare la cubista in discoteca – anche solo la domenica pomeriggio – non era mai andata giù al padre Leandro, uomo burbero, pieno di pregiudizi e di vedute ristrette. Così la ragazza se n’era andata di casa e ora viveva in completa indipendenza. Con Lorenzo, il suo ex ragazzo, invece aveva chiuso qualche anno prima e non si erano mai più sentiti. “È solo uno scherzo” si disse per tranquillizzarsi “uno scherzo di pessimo gusto”. Ma chi poteva fare scherzi così cretini e poi proprio a lei? Prese il foglio e la busta, li accartocciò e li gettò nell’immondizia. Trascorsero due giorni in assoluta tranquillità e lei non ripensò più a quell’episodio, finché non trovò un’altra busta bianca identica alla prima. Non aspettò nemmeno di rientrare in casa ma l’aprì subito e anche con un certo nervosismo. Ancora una scritta a caratteri gotici: “Bea, tu sarai mia”. Per un attimo pensò di parlarne con qualcuno, ma se invece si fosse trattato davvero solo di uno stupido scherzo? Salì in casa e fece per gettare di nuovo la busta nell’immondizia, quando si accorse di una folata di aria gelida che proveniva dalla


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camera da letto. La finestra della stanza era aperta. Lei l’aveva sicuramente chiusa prima di uscire, e ora era spalancata. «Ma com’è possibile?» Qualcuno doveva per forza essersi introdotto nell’appartamento in sua assenza, e senza danneggiare neppure il vetro. A prima vista nella stanza sembrava essere tutto in ordine, ma Beatrice non stette troppo a guardarsi intorno. Corse fuori velocemente e salì al piano superiore da Raffaella, la sua padrona di casa, che le andò ad aprire piuttosto sorpresa da tutta quella agitazione. Raffaella Trani, donna di quarantuno anni con i capelli ricci rosso fuoco, appena vide la ragazza la fece entrare subito dentro casa. «Lella, qualcuno si è intrufolato nel mio appartamento quando io non c’ero, questa mattina. Scusa se ti sono piombata qui all’improvviso ma avevo paura… ultimamente mi sono successe cose strane…» Lella la fissò un momento accigliata, la prese per un braccio e la guidò in soggiorno. «Siediti e calmati» le suggerì, vedendo che tremava leggermente «piuttosto, è stato toccato niente, ti manca qualcosa?» Beatrice riprese fiato e si sedette sul divano. La casa era invasa da un gradevole profumo di carne arrosto che Raffaella stava preparando per il pranzo, ma che non le stuzzicò affatto l’appetito. «Non ho guardato» rispose Bea «ero troppo spaventata, e poi mi è arrivata questa» e le mostrò la busta che ancora stringeva fra le mani, ormai tutta stropicciata. Raffaella lesse il foglietto e aggrottò le sopracciglia. «Sai chi ti manda questa roba?» «No, mi era arrivata un’altra lettera uguale l’altro giorno, ma l’ho buttata via senza farci troppo caso» spiegò la ragazza. In quel momento, Manuel rincasò da scuola. Notò i volti preoccupati delle due e si chiese cosa fosse accaduto.


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CAPITOLO 4

«Qui sembra tutto a posto.» Lella si guardava in giro nell’appartamento, muovendosi con le mani sui fianchi. Appariva stranamente nervosa. «Sei sicura che non ti manchi nulla?» Beatrice stava controllando i cassetti della camera da letto. I pochi oggetti d’oro che possedeva, orecchini e qualche bracciale, non erano stati toccati dal comò, e così pure i centoventi euro, guadagnati l’ultimo sabato, che aveva nascosto in una scatola fra le lenzuola piegate. Se non avevano preso né oro né soldi che cosa erano venuti a fare? Bea pensò che tutto si ricollegasse a quelle lettere. «Ma sei certa di averla chiusa bene la finestra?» domandò Lella, molto più tranquilla. «Sì che sono sicura. Con questo gelo non lascerei aperto neppure uno spiraglio, perché io soffro molto il freddo. La finestra era chiusa senza dubbio.» «Allora, secondo te, l’hanno aperta dall’esterno senza rompere il vetro?» chiese la donna, avvicinandosi per osservare meglio l’infisso. «Certamente sì.» Beatrice la raggiunse. «La serranda era rimasta alzata, quindi potrebbero aver scavalcato. Siamo al primo piano» ipotizzò la ragazza. «Effettivamente qui il legno è rovinato» notò Raffaella, scrutando attentamente un punto preciso sull’infisso «hai ragione tu. Non si nota molto, ma…» Beatrice provò a richiudere la finestra girando la maniglia come faceva di solito, ma stavolta cedette e questa si riaprì. La finestra era stata forzata, indubbiamente. Raffaella trasse un sospiro.


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«A questo punto chiamerò subito il falegname» decise «sperando che venga il prima possibile. Non puoi mica restare così…» Bea si passò una mano fra i capelli, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio. Appariva molto turbata. «L’importante è che non ti sia stato rubato nulla, e soprattutto che non ti abbiano trovata in casa quando sono entrati» aggiunse. «Evidentemente hanno aspettato che uscissi» ribatté la ragazza «devono avermi tenuta d’occhio per capire quali fossero i miei orari. Sai, Lella, ho molta paura perché quello che è successo non è affatto normale, soprattutto dopo aver ricevuto quel foglietto.» I carabinieri fecero un sopralluogo, ma poiché il danno era di lieve entità e non erano stati rubati né soldi né oggetti di valore, rimasero solamente pochi minuti e se ne andarono, raccomandando alla ragazza di chiudere meglio le finestre la prossima volta. Bea saltò il pranzo. Lo stomaco le si era chiuso per il nervosismo. Nel pomeriggio sarebbe passato anche il falegname per riparare la finestra e intanto lei, da quando Raffaella era andata via, non aveva smesso di setacciare i cassetti e gli sportelli del mobile del soggiorno per verificare se effettivamente mancasse qualcosa di particolare. Ma tutto era in ordine, esattamente come lei lo aveva lasciato. Tornò in camera da letto e guardò nel cassetto del comodino che aveva trascurato e si accorse con un sussulto che la biancheria intima, sempre piegata con cura, era in disordine, spiegata, come se qualcuno ci avesse rovistato. Forse chi si era introdotto nella stanza aveva dal principio immaginato che una donna nascondesse soldi o oggetti di valore in mezzo alla lingerie. Bea rovesciò il cassetto sul letto. Di solito sentiva un gran freddo, anche quando stava in casa e i termosifoni bollivano, ma con l’agitazione che aveva in corpo, sudava da ogni poro. Si tirò su le maniche del maglione e controllò ogni suo capo di biancheria, con aria disgustata al pensiero che qualcuno potesse averci messo le mani. Si accorse finalmente che qualcosa era sparito: il tanga rosa in pizzo, regalatole molto tempo prima da Lorenzo. Era da tanto che non lo


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indossava ed era sempre rimasto abbandonato in un angolo del cassetto. Ora non c’era più. Possibile che si fossero introdotti in casa sua solo per rubarle un paio di slip? Bea raccolse tutta la sua biancheria e la gettò nella lavatrice. Programmò il lavaggio per i delicati, e assieme al detersivo aggiunse un misurino di polvere disinfettante. Non avrebbe osato indossare nemmeno un paio di mutandine se prima non fossero state tutte lavate e sterilizzate. Provava una profonda indignazione. Se lo avesse preso, sicuramente lo avrebbe picchiato. Se solo ne fosse stata davvero capace! «Quello che mi racconti mi spaventa molto, sai?» disse Carmen, parlando al cellulare con Beatrice «non credi che forse dovresti rivolgerti alle forze dell’ordine?» «Sono già venuti i carabinieri, ma a parte sporgere una denuncia per violazione di domicilio, non mi hanno suggerito di fare altro.» «E perché non vai anche alla polizia?» «A raccontargli che mi hanno rubato un tanga dal cassetto?» ribatté l’altra «mi riderebbero in faccia, penserebbero che sono una… beh, puoi immaginare.» «Ma sono entrati in casa tua forzando la finestra! Io non mi sentirei tanto tranquilla, Bea!» «Infatti non lo sono.» «Non hai idea di chi possa essere stato?» «Proprio no. Se lo sapessi te lo direi.» «E quel tuo ex di cui mi hai parlato?» «Lorenzo? Ma cosa c’entra? Non ho la più pallida idea di dove sia. Credo che non viva più neppure da queste parti ormai, e non credo proprio che sappia dove abito. Lo sa solo mia mamma.» «Bea… può aver scoperto dove abiti! La gente non esce mai del tutto dalla vita degli altri… dicevi che quegli slip te li aveva regalati lui…» «Sì, e secondo te è tornato per riprenderseli» commentò cinica «ma dai, Carmen.» «Hai ragione, Bea, però stai attenta, sono preoccupata per te…»


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«Terrò gli occhi aperti» promise.


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CAPITOLO 5

Camminava in uno stato di trance. Di solito Beatrice dormiva poco già di suo, ma l’ansia che provava in quei giorni era accresciuta rendendole le notti completamente insonni. Il pensiero che qualcuno fosse entrato in casa sua la faceva rabbrividire ogni volta che guardava la finestra della camera da letto, ora riparata, e che lei si assicurava sempre di chiudere bene. Per sentirsi più sicura aveva anche fatto installare dei blocca serranda. Si strinse addosso il suo piumino. Si era alzato un vento freddo, e a passo svelto guadagnò l’uscita del parco. Era andata a passeggiare per rilassarsi, prima di iniziare la sua lezione di ballo pomeridiana, approfittando della giornata soleggiata. Il sole era al tramonto e la luna una debole macchia nel cielo. Un flash improvviso la colpì in pieno volto, facendole scivolare la borsa dalla spalla che cadde al suolo con un tonfo. Si bloccò con un sussulto e si guardò rapidamente intorno. Una foto. «Chi è?» Il parco era deserto in quel tratto, e le chiome degli alberi frusciavano. Un passerotto le sfiorò un braccio volandole vicino. Di nuovo un sussulto. C’era sicuramente qualcun altro oltre a lei, nascosto da qualche parte, probabilmente dietro una siepe. Bea iniziò a correre verso l’uscita del parco, col cuore gonfio di paura, e raggiunse quasi subito la sua auto nel parcheggio adiacente; entrò, mise in moto e partì. Si rifugiò nella scuola di ballo di Paolo e pensò che almeno lì sarebbe stata al sicuro per un paio d’ore. Alle sette e mezza la sua lezione finì, e dopo essersi fermata a scambiare quattro chiacchiere con il titolare, tornò a riprendere la


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macchina. Stava per entrarvi, quando si accorse che sotto i tergicristalli c’era un foglio. “Una multa!” pensò, ma in quella zona non c’era mai stato alcun divieto di sosta, perché lei aveva sempre parcheggiato lì. Afferrò il foglietto. “Mi sto eccitando molto a vederti così spaventata, lo sai, Bea?” «Adesso è troppo!» tuonò. Un passante, un anziano col cappello, si volse di scatto a guardarla, poi tirò dritto. Beatrice accartocciò il foglio, lo gettò sui sedili posteriori della macchina e partì. Pensò che fosse giunta l’ora di rivolgersi anche alla polizia. Probabilmente avrebbero minimizzato l’accaduto, l’avrebbero liquidata dicendole che non avevano tempo da perdere dietro a quel genere di cose, ma doveva provare a fare almeno un tentativo. Con la mente affollata di pensieri, giunse a casa, aprì il box per posteggiare l’auto e vide uscire Manuel in sella al suo Scarabeo grigio. «Ciao Bea» la salutò. La ragazza tentò di sorridere, ma era troppo nervosa. «Io torno, tu esci. Hai già cenato?» «Sì, vado a scuola guida» precisò lui «tra poco prenderò anch’io la patente e non vedo l’ora. Dopo domani ho l’esame di teoria. Questo vecchio catorcio non funziona più, ormai. Ogni tanto si ferma e mi tocca portarlo dal meccanico» sbuffò «inoltre, sono stanco di girare in motorino… tu piuttosto, hai un’aria piuttosto cotta, va tutto bene? È vero che hai ricevuto per posta delle strane lettere? Me l’ha detto mia mamma.» «Sì» ammise lei, ma senza approfondire l’argomento. Manuel mise in moto lo scooter e indossò il casco integrale. «Vado, ci vediamo Bea, e chiuditi bene in casa» l’ammonì.


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CAPITOLO 6

È terribilmente spaventata. Stamattina ha indossato jeans scuri, stivali neri con la punta e un maglione rosso. Ha raccolto indietro i capelli in una coda alta. Di solito li lascia sciolti, ma così è più sensuale. Non si è nemmeno truccata e quel suo viso acqua e sapone le dona un’aria da bambina impaurita che mi eccita molto. *** Il commissario Pietro Bartoli aveva i due fogli davanti a sé, sulla scrivania. «Sarà senz’ altro qualcuno che lei conosce» disse il poliziotto, risoluto. Beatrice era seduta di fronte a lui. Quasi irrigidita sulla sedia, teneva le mani chiuse a pugno sopra le ginocchia e guardava l’uomo che le stava davanti, con aria di rassegnazione. Era già convinta che la polizia non l’avrebbe aiutata e anzi, erano stati anche troppo gentili a farla accomodare e ad ascoltarla. «Non ha sospetti? Niente di niente?» proseguì l’uomo. Il commissario Bartoli si trovava lì per sbaglio, aveva ben altre cose di cui occuparsi, ma quando Beatrice era arrivata, lui era l’unico poliziotto disponibile. Bartoli era basso e stempiato, di mezza età; un volto regolare ma arcigno e un neo brunastro sulla fronte. «Non ho sospetti» precisò la ragazza «o meglio, non mi viene in mente nessuno che possa farmi scherzi del genere. Come le accennavo, oltre a questi fogli ho ricevuto dei messaggi muti in segreteria, e pochi giorni dopo qualcuno si è introdotto in casa mia attraverso la finestra della camera da letto e mi ha sottratto degli slip dal cassetto del comodino.» Gli mostrò il documento con la denuncia fatta ai carabinieri.


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«Inoltre ieri pomeriggio, mentre passeggiavo nel parco, sono sicura che qualcuno mi abbia scattato all’improvviso una fotografia…» Il commissario rimase in silenzio a osservare il materiale cartaceo che la ragazza gli aveva fornito. «Mi ha detto che lei impartisce lezioni di ballo? Dove?» «Presso la scuola “Fun Dance” di Paolo Cherubini, ma due sere alla settimana lavoro anche in discoteca.» «Fa la barista?» «No, la cubista» specificò Bea. L’uomo la osservò per qualche istante, perplesso, poi sorrise brevemente. In effetti era una ragazza attraente. «Avrei dovuto capirlo subito. Beh, quello è un lavoro che la terrà sempre a contatto con persone di ogni genere…» Il tono del commissario le parve ambiguo, come se volesse dubitare della sua serietà. «Non conosco tanta gente» si schermì Bea, che cercava sempre di non entrare troppo in confidenza con i clienti dell’Angelo Azzurro «e al momento sono single, e frequento solo poche e fidate persone» chiarì. Il commissario esalò un sospiro. «Vede, signorina, a me sembra una faccenda un po’ ambigua… pare proprio che lei sia vittima di un molestatore sessuale, ma potrebbe anche trattarsi semplicemente di uno scherzo maligno…» «Lo immaginavo.» «È troppo poco quello che abbiamo per aprire un’indagine, almeno per il momento… oltre alla denuncia per violazione di domicilio, ne può sempre sporgere un’altra contro ignoti…» «Posso collezionare tutte le denunce che vuole, ma cosa risolverei, mi scusi? Se questo tizio ha cattive intenzioni, io come dovrei comportarmi? Chiudermi in casa tutto il giorno? E a cosa servirebbe se mi ha già dimostrato che può entrare tranquillamente, conosce la mia auto e il mio numero di telefono?» L’uomo seguitava a fissarla con aria di chi ha altro da fare. «Va bene» concluse Bea e si alzò, intuendo di essere solo d’impiccio «ho capito, mi arrangerò. Grazie lo stesso per avermi ascoltata» aggiunse, con amara ironia.


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Fece per congedarsi, quando l’uomo la fermò. «Aspetti, proverò a parlarne con un mio collega» disse il commissario e sollevò la cornetta del telefono sulla scrivania. «Domenico?» domandò quando una voce gli rispose dall’altra parte «sono Pietro, sei libero? Potresti venire un attimo nel mio ufficio? Ti devo parlare, grazie.» La ragazza tornò a sedersi. «Io, personalmente, ho altri compiti qui ma il mio collega potrebbe seguirla più da vicino, se non ha del lavoro più importante da sbrigare, ovvio.» La porta si aprì e un uomo sui trentacinque anni entrò nell’ufficio. Guardò Bea per un istante e si rivolse al commissario. «Dimmi, che succede?» «Questo è l’ispettore Domenico Esposito» annunciò Bartoli alla ragazza. Lui e Beatrice si strinsero la mano. Domenico era abbastanza alto, con i capelli neri corti, gli occhi scuri e quando le si avvicinò, lei avvertì subito un odore di sigarette misto al profumo di dopobarba. Il commissario gli spiegò la situazione di Beatrice e gli mostrò i fogli che la ragazza gli aveva consegnato; poi uscì dall’ufficio poiché l’avevano chiamato fuori. Beatrice e l’ispettore rimasero soli. L’uomo si sedette dietro la scrivania del commissario e restò qualche secondo in silenzio a fissarla, mentre lei abbassò leggermente la testa, intimidita. «Da quanto tempo dura questa storia?» chiese l’ispettore. Dall’accento lei capì che il poliziotto non era originario di Rimini, ma del Sud Italia. «Da alcuni giorni» rispose Beatrice «ormai una settimana.» «E sono entrati in casa sua, giusto?» «Sì, per rubare degli slip» precisò lei con non poco imbarazzo «le pare possibile?» «È chiaro che ci troviamo di fronte a un molestatore sessuale e feticista che la osserva e la studia.»


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Beatrice si sentì attraversare da un brivido gelido. Osservò meglio l’uomo che aveva di fronte e che le parve subito cordiale e anche avvenente. «Io come devo comportarmi? Il commissario, poco fa, ha minimizzato l’accaduto.» «Perché Bartoli è commissario della squadra omicidi» precisò Esposito «comunque torniamo a lei. Mi chiede come si deve comportare? Per adesso cerchi di chiudersi bene in casa quando è da sola. Quando esce, eviti il più possibile i luoghi isolati o poco frequentati, e se dovesse ancora ricevere fogli come questi, minacce, telefonate o altro, mi chiami. Le lascio il mio recapito telefonico» scrisse un numero di cellulare su un foglietto e glielo porse. Beatrice lo mise nella borsa e si sentì subito sollevata. «Se si fa vivo un’altra volta» proseguì l’ispettore, cercando di rassicurarla «può essere che lo prendiamo. Deve solo fare un passo falso. Se la può far sentire più tranquilla, possiamo sempre provare a metterle sotto controllo il telefono collegandolo a un centralino della polizia.» «Sì, è una buona idea» asserì Beatrice «così la finirà di lasciare messaggi in segreteria almeno.» Si alzò e strinse di nuovo la mano all’ispettore, rivolgendogli un breve sorriso. Al mondo c’era ancora qualche anima gentile e disponibile.


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CAPITOLO 7

«Pietro» esordì Domenico quando il commissario fu rientrato nel suo ufficio «ma di questa Beatrice Costa cosa sai esattamente?» Bartoli si versò un bicchiere d’ acqua. «L’ho vista stamattina per la prima volta. È arrivata qui terribilmente agitata, così ha parlato con me. Ha venticinque anni e lavora in discoteca. Fa la cubista.» «Ah, sì?» In effetti, l’ispettore si era subito accorto che Beatrice, pur non essendo particolarmente alta, aveva un fisico da ballerina e un viso attraente. «Insegna anche danza in una scuola di ballo in via Lagomaggio, di proprietà di un suo amico, Paolo Cherubini.» «Attualmente ha qualche relazione sentimentale?» «No, la sua ultima storia dice di averla chiusa molto tempo fa. Era legata a un certo Lorenzo Padovan che fra altro lavora in polizia a Pesaro, ma non lo conosco.» «Nemmeno io» precisò Domenico. «Mi ha detto di frequentare poche persone» proseguì Bartoli «e quella che vede più spesso è un’amica che lavora con lei. Vive sola perché ha avuto dei problemi in famiglia, ma la sua vita è sempre stata tranquilla, fino a che non ha ricevuto quei biglietti e quelle telefonate.» «Dev’essere per forza qualcuno che lei conosce bene, è sempre così quando succedono queste cose.» L’ispettore prese in mano uno dei fogli con le frasi a caratteri gotici e lo riguardò rapidamente. «In effetti, è ciò che penso anch’io» convenne Bartoli. ***


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Si fermò all’improvviso di fronte alla cassetta delle lettere. Un’altra busta bianca. Ebbe la sensazione che la terra le venisse a mancare sotto i piedi. «Oh, no…» Beatrice esitò. Aveva già il batticuore. L’ispettore Esposito, fra le altre cose, si era raccomandato di non aprire più nessuna busta e non sapeva cosa fosse la cosa giusta da fare. Trasse dalla borsa un mazzo di chiavi e aprì la cassetta della posta. Afferrò la busta e, dopo averla osservata per qualche secondo, decise ancora una volta di aprirla. Fece per cavar fuori il solito foglietto, quando sentì qualcosa di appuntito che le tagliò il dito indice. «Ahi! Ma cos’è?» si accorse che il dito iniziava a sanguinare e se lo portò alle labbra. Dalla busta scivolarono fuori delle lamette taglia calli. Sul foglio era scritto il solito messaggio a caratteri gotici: “Perché sei andata alla polizia? Non dovevi farlo!”.


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CAPITOLO 8

Domenico Esposito parcheggiò la sua utilitaria di fronte alla scuola di ballo “Fun Dance” di Paolo Cherubini. Entrò, si tolse gli occhiali scuri e diede un’occhiata in giro. Si trovava nell’ingresso principale e da una sala adiacente proveniva un’allegra musica. Una biondina sui vent’anni, con un cerchietto nero che le teneva i capelli dietro le orecchie, stava seduta a una scrivania davanti a un PC e quando lo vide, gli rivolse un sorriso cordiale. «Buonasera, posso esserle utile?» «Sì… Senta, lei lavora qui? Potrei parlare con il titolare?» domandò l’uomo dopo un’esitazione, ricambiando il sorriso della giovane. «Sì, sono la segretaria. Glielo chiamo subito. Lei intanto può dirmi chi è?» «Polizia» rispose brevemente Domenico e le mostrò il suo tesserino. La ragazza mutò subito espressione e da sorridente, divenne cupa. Paolo arrivò proprio in quell’istante. Aveva ventisette anni, i capelli castani lunghi raccolti in un codino e il fisico asciutto e tonico. Indossava una canottiera grigia. «Salve, c’è forse qualche problema?» chiese rivolto al poliziotto, senza nascondere il suo lieve disappunto. «Mi chiamo Domenico Esposito» si presentò «ha qualche minuto da dedicarmi?» Paolo scambiò un’occhiata con la biondina. «Patrizia, puoi lasciarci soli un momento?» La ragazza annuì e si alzò. «Mi scuso per il disturbo» esordì l’ispettore «non mi tratterrò a lungo.» «Posso fare qualcosa per lei?» chiese subito Paolo e si portò le mani sui fianchi.


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«Sono qui perché una delle sue insegnanti, Beatrice Costa, ha avuto dei problemi negli ultimi giorni» spiegò. A sentire il nome di Beatrice, Paolo corrugò la fronte. «Bea? Che tipo di problemi ha avuto? Si presenta regolarmente per le lezioni…» «Probabilmente non gliene ha parlato, ma la signorina Costa, da un po’ di tempo, è perseguitata da un tizio che la sta spaventando a morte con strane lettere e telefonate…» Paolo fece una smorfia di meraviglia. «Mi lascia senza parole. Infatti, non mi ha detto nulla, ed è strano perché si confida. Ma come mai lei è venuto qui, ha per caso dei sospetti?» Domenico non si trovava lì in via ufficiale. «Non è questo. Certamente, il nostro uomo la conosce bene perché sa praticamente tutto della sua vita, però se io sono qui oggi è perché magari Beatrice le ha detto cose che io non so e che forse dovrei sapere» spiegò l’ispettore «è stato lei a dirmi, poco fa, che Beatrice si confida…» Prima di proseguire, Paolo prese due caffè alla macchinetta esposta vicino all’ingresso e ne offrì uno al suo interlocutore. «Sì, conosco Beatrice piuttosto bene: eravamo vicini di casa quando lei abitava ancora con i suoi. A vent’anni se n’è andata via da casa perché non andava d’accordo col padre, sa, un tale mascalzone… ma io e lei abbiamo sempre tenuto i contatti. Bea andò a convivere con Lorenzo, un poliziotto col quale si era fidanzata e che la aiutava, soprattutto economicamente…» «Prestava servizio a Pesaro?» chiese Esposito. «Sì, e penso che sia ancora lì… a meno che non è tornato a Verona, che è la città da cui l’avevano trasferito» precisò Paolo «fra lui e Beatrice c’erano ben otto anni di differenza. Quando li vedevo assieme sembravano molto affiatati. Lei faceva solo lavori saltuari e non guadagnava molto, perciò credo che lui provvedesse al suo mantenimento. In seguito, però, hanno deciso di troncare.» «E Beatrice le ha mai detto quali furono i motivi?»


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«Veramente non lo so di preciso. Si sono lasciati quasi all’improvviso e lei passò un periodo di depressione. Vede, io sono certo che Lorenzo fosse uno di quelli che alzano le mani…» «Così la picchiava.» «Non ha mai voluto dirmelo con franchezza, ma era quello che credevo. Una sera uscimmo tutti insieme per una pizza, fra amici. Andammo a Riccione. Lei venne con Lorenzo, io con la mia ragazza. Dopo cena, ci recammo tutti assieme a bere in un locale, prima di tornare a casa. Lei salì in macchina col suo uomo e fu in quell’occasione che li vidi discutere animatamente. Lorenzo le mollò un forte ceffone. Non ho mai saputo cosa fosse accaduto, ma erano rimasti entrambi un po’ tesi,durante tutta la serata. «Quando si lasciarono, Bea si diede subito da fare per cercare casa e lavoro, e così iniziò anche a farsi assumere come ballerina in discoteca. Ne ha girate due o tre prima di finire all’Angelo Azzurro, e ha cambiato casa un paio di volte. È stata in affitto per qualche tempo anche in un Residence sul lungomare, il Garden» precisò, dopo un istante di riflessione. «E da quand’è che ha iniziato a lavorare qui da lei?» chiese Domenico gettando il bicchierino di plastica nel cestino accanto alla macchinetta delle bevande. «Alcuni mesi fa. Da piccola ha frequentato questa stessa scuola di ballo, gestita all’epoca da mio padre. È una gran bella ragazza, ballare è la sua passione, e potrebbe perfino lavorare in televisione, se volesse…» Esposito lo aveva ascoltato lievemente turbato. «Oltre all’amicizia non c’è mai stato altro fra me e Beatrice» chiarì Paolo «e mi dispiace che adesso le stiano accadendo certe cose…» Il cellulare dell’ispettore iniziò a squillare. «Sì, pronto?» «Ispettore, sono Beatrice Costa» la voce della ragazza dall’altra parte era molto alterata. «Ho ricevuto un’altra di quelle lettere!» gli riferì.


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CAPITOLO 9

Beatrice era seduta sul divano del soggiorno di Raffaella Trani. Il dito tagliato dalla lametta era stato disinfettato e medicato con un cerotto. «Io dico che questo bastardo lo devono assolutamente prendere!» esclamò Raffaella, indignata. Bea fissava ancora la busta e le lamette sparse sul tavolino. Poco dopo, arrivò l’ispettore. «Sono Raffaella Trani, la proprietaria dell’appartamento in cui vive Beatrice» si presentò la donna, stringendogli la mano «si accomodi, prego.» Domenico raggiunse Bea in soggiorno. Non si scambiarono neppure un saluto. La ragazza era come al solito molto nervosa; prese in mano il foglio che gli era arrivato e lo mostrò al poliziotto. «Ecco, guardi» disse «una di queste mi ha tagliato un dito» aggiunse riferendosi alle lamette. L’uomo ne raccolse una sul tavolo e la scrutò con attenzione. Erano comuni lamette taglia calli che venivano solitamente impiegate per la pedicure anche nei saloni di bellezza. «Mi sembrava di averle raccomandato di non aprire altre buste…» la rimproverò il poliziotto. «Mi spiace. È stato più forte di me…» «Ha fatto male comunque.» Manuel si affacciò dalla porta della sua camera e sbirciò verso il soggiorno, dove Esposito era rimasto in piedi, davanti alla porta, dandogli le spalle. Nella stanza, oltre a lui, c’erano Nico Ambrogini e Davide Lotti, che ogni tanto si radunavano a casa sua per giocare con la playstation, trascurando gli studi pomeridiani. «Chi c’è di là?» chiese Nico, incuriosito. «Un ispettore di polizia» gli rispose Manuel «è venuto per Bea.»


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«Roba da matti!» esclamò Davide, ancora incredulo «chi può mandarle delle lamette per posta?» I tre avevano trovato Beatrice sul pianerottolo, sola, quasi in lacrime e con una mano sanguinante. «Ma voi, per caso, avete mai notato qualcuno intorno a casa mia, qualche estraneo?» domandò Manuel ai suoi amici «qualcuno che magari si aggirava vicino alle cassette delle lettere?» «No» risposero i due, quasi nello stesso tempo. «Per me chi le manda le lettere viene qui in piena notte per non farsi notare» dedusse Davide «Altrimenti qualcuno di noi lo avrebbe visto. E non solo noi ma anche qualche tuo vicino, dato che in questo quartiere la gente si fa poco i cazzi suoi» osservò infine. «Già» convenne Manuel «mia madre mi ha detto che quando sono entrati in casa sua l’altro giorno, le hanno preso un perizoma dal cassetto» confidò, bisbigliando. «È un feticista, un malato mentale» ribatté Nicola, non troppo stupito, continuando a tenere gli occhi incollati allo schermo della TV, mentre muoveva rapidamente le dita sul joystick che aveva in mano. «Sì, tuttavia non lo si può neppure biasimare» convenne Davide «non la vedete come si veste? Anch’io me la farei… direttamente su quel cubo in discoteca…» Nicola scoppiò a ridere. «Sì, anche Bagli se la farebbe, il caro Simo…» soggiunse col fare di uno che la sa lunga. Davide Lotti si sciolse in un’altra risatina. «Ragazzi, c’è poco da scherzare» li ammonì Manuel «non si sa cosa abbiano in testa certi maniaci e questa situazione non mi piace affatto.»

Beatrice tornò nel suo appartamento, seguita da Domenico Esposito. Mostrò all’uomo la finestra da cui si erano introdotti. «Posso offrirle qualcosa da bere?» gli chiese. «No, grazie» rispose il poliziotto «lei si trova bene qui?» s’incuriosì.


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«Sì, devo dire che mi trovo piuttosto bene» rispose la ragazza sistemando i cuscini rossi sul divano «sono stata fortunata a trovare questo appartamento. Sono arrivata alla fine di agosto dell’anno scorso…» «Ho notato che è anche in buoni rapporti con la sua padrona di casa.» «Sì, Lella è una gran brava persona» spiegò Bea «e anche molto disponibile. Cercava un inquilino referenziato e io non avevo tante garanzie da offrirle, ma mi ha dato la casa lo stesso…» «È sposata? Ho visto che ha un figlio.» «È divorziata» precisò la ragazza «suo figlio Manuel ancora studia al liceo, lei è infermiera e fa i turni al Pronto Soccorso. Invece il suo ex marito è un direttore di banca. Ora vive a Bologna però…» «Deduco che stia molto bene anche economicamente, dato che è proprietaria dell’intera palazzina. Comunque, ho notato che è ancora giovane, ed è una bella donna, strano non abbia un compagno.» «Beh, secondo i pettegolezzi degli amici di Manuel, sembra che invece abbia un giro ben assortito di uomini, ma per me resta una brava persona» ripeté Bea «la sua vita privata non mi riguarda né giudico mai le scelte altrui…» «E di lei, Beatrice, che mi racconta?» La ragazza si volse a guardarlo, sorpresa dalla domanda. «Le dico subito, per evitarle spiacevoli discussioni, che oggi quando lei mi ha telefonato mi trovavo a parlare con Paolo Cherubini.» «Con Paolo?» si stupì Bea. «Sì, è anche un suo amico, giusto?» Beatrice pensò che Paolo, in passato, avrebbe voluto essere qualcosa di più, e l’aveva corteggiata quando erano più giovani ma, alla fine, era rimasto solo un caro amico. Tuttavia non ne fece menzione con l’ispettore. «Abbiamo parlato del suo lavoro nella scuola di danza e anche di Lorenzo Padovan…» Beatrice si accigliò. «Una storia morta e sepolta» ribatté con chiaro tono disappunto. «Chi di voi ha deciso di chiudere la relazione?» chiese l’ispettore, sperando di non essere troppo invadente.


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«Io» rispose tranquillamente Beatrice «avevo vent’anni quando l’ho conosciuto, ed ero anche ai ferri corti con i miei. Ero sola e senza un centesimo. In Lorenzo avevo trovato un angelo custode. A vent’anni ci s’innamora facilmente di uomini più maturi senza conoscerli abbastanza. All’inizio ero felice con lui e non mi mancava nulla, infatti siamo andati ad abitare insieme. Purtroppo, man mano che passava il tempo, mi accorgevo che non era sincero, mi tradiva, aveva altre donne. Così è finito tutto.» «E le metteva anche le mani addosso?» azzardò l’uomo. Beatrice lo fissò un istante, ancora più accigliata. «Alcune volte» ammise lei, dopo un’esitazione «l’ho lasciato anche per questo.» Trasse un profondo sospiro. «Ora non ha più importanza, è acqua passata.» Esposito teneva fra le dita la sigaretta che stava per accendere, quando si ricordò che Beatrice non fumava e non vide un posacenere da nessuna parte. Si alzò in piedi dal divano sul quale si era seduto e s’infilò la sigaretta in tasca. «Mi tocca andare… si ricordi ciò che le ho detto. Non apra altre buste, e se dovesse avere ancora problemi, non si faccia scrupoli a contattarmi.» «Ispettore, lei crede che lo prenderete o mi farà fuori?» La domanda di Bea lo lasciò interdetto. «È logico che conosce i miei orari e sa tutto quello che faccio…» «Se lo becchiamo, può star certa che non la passerà liscia» promise l’uomo, quindi si congedò, portandosi via il foglio di carta, la busta e le lamette. Quando Beatrice restò sola, si chiuse in casa con quattro giri di chiave e si guardò ancora una volta il dito fasciato. Non era una cosa grave, ma sentiva che non sarebbe riuscita a sostenere una situazione simile ancora per molto tempo. Non era mai stata una ragazza particolarmente coraggiosa e si ricordò che Lorenzo l’aveva sempre definita debole e indifesa, una cerbiatta ferita, pronta a rifugiarsi fra braccia dall’apparenza rassicuranti.


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Si spogliò, piegò i vestiti in camera e davanti allo specchio si soffermò a scrutare il suo corpo. Le era spuntato un brufolo appena sopra il seno sinistro, ma la impressionarono maggiormente le profonde occhiaie scure sul suo viso. Raccolse i capelli, puntandoli sulla nuca con un fermaglio e s’infilò sotto la doccia. Era la sola cosa che in quel momento potesse darle sollievo: una pioggia di acqua calda che le scivolava sul corpo, avvolta nel piacevole profumo del bagnoschiuma al muschio bianco. Indossò l’accappatoio e si accorse di avere fame, dopo alcuni giorni d’inappetenza totale. Decise di cucinarsi un piatto di pasta: tritò sedano, carota e cipolla e preparò un sugo leggero. Avrebbe mangiato, poi, prima di andare a dormire, si sarebbe messa davanti alla TV, con una tazza di camomilla. Aveva assoluto bisogno di passare una serata tranquilla e spensierata. L’icona dei messaggi s’illuminò con un suono sul display del suo cellulare. Era arrivato un sms. Il messaggio arrivava da un numero sconosciuto. “Ciao, Bea, anche oggi ti ho vista in giro, sempre bellissima e provocante. Non vedo l’ora di scoparti”. La ragazza avvertì una sensazione di nausea. Era chiaro che quel bastardo aveva scoperto del suo telefono fisso sotto controllo e aveva ripiegato sul suo cellulare. Il messaggio, logicamente, era anonimo. Le era arrivata una serie di numeri che non potevano corrispondere a un altro telefono mobile e perciò, con tutta probabilità, l’sms era stato spedito da una cabina telefonica. L’unica cosa che ora poteva fare era cambiare la scheda sim. Spense subito il cellulare e si rannicchiò sulla poltrona a seguire le scene di un film in seconda serata, poi si coricò. Si voltò e rivoltò nel letto, ma gli incubi non la lasciarono in pace per tutta la notte. Correva inseguita nel parco, poi tentava invano di aprire la porta di casa, mentre qualcuno alle sue spalle saliva le scale rapidamente per raggiungerla e braccarla. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

Prologo .......................................................................................... 3 Capitolo 1 ...................................................................................... 5 Capitolo 2 ...................................................................................... 8 Capitolo 3 .................................................................................... 11 Capitolo 4 .................................................................................... 14 Capitolo 5 .................................................................................... 18 Capitolo 6 .................................................................................... 20 Capitolo 7 .................................................................................... 24 Capitolo 8 .................................................................................... 26 Capitolo 9 .................................................................................... 29 Capitolo 10 .................................................................................. 34 Capitolo 11 .................................................................................. 39 Capitolo 12 .................................................................................. 44 Capitolo 13 .................................................................................. 48 Capitolo 14 .................................................................................. 54 Capitolo 15 .................................................................................. 60 Capitolo 16 .................................................................................. 66 Capitolo 17 .................................................................................. 70 Capitolo 18 .................................................................................. 75 Capitolo 19 .................................................................................. 86 Capitolo 20 .................................................................................. 92 Capitolo 21 .................................................................................. 99 Capitolo 22 ................................................................................ 107 Capitolo 23 ................................................................................ 112 Capitolo 24 ................................................................................ 117


Capitolo 25 ................................................................................ 122 Capitolo 26 ................................................................................ 126 Capitolo 27 ................................................................................ 133 Capitolo 28 ................................................................................ 137 Capitolo 29 ................................................................................ 143 Capitolo 30 ................................................................................ 147


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Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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