Acque mortali, Marco Martignoni

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In uscita il 0/ /20 (15,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine DSULOH e inizio PDJJLR 2020 ( ,99 euro)

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MARCO MARTIGNONI

ACQUE MORTALI

ZeroUnoUndici Edizioni


ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ ACQUE MORTALI Copyright © 2020 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-385-7 Copertina: immagine di Francesca Greco Prima edizione Aprile 2020

Questo racconto è un puro prodotto di fantasia, anche se diversi luoghi geografici, fisici e alcuni riferimenti storici sono reali e corrispondenti agli elementi esposti nel testo. I cognomi dei personaggi sono inventati e altri sono del tutto comuni. Pertanto, come di norma: “Nomi, personaggi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo fittizio, e ogni somiglianza a persone reali, viventi o defunte, attività, eventi o luoghi è puramente casuale.”


A Padre Franco C. 2/12/1939 – 6/11/2017 Compianto sacerdote della Congregazione Stimmatini di Verona. In ricordo della sua vita sacerdotale spesa per la chiesa di Santa Croce di Milano e per la sua viva comunità .



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NOTA DELL’AUTORE

Qualcuno potrà obiettare che sono ripetitivo, ma – come spiegavo nella prefazione di “Neve Insanguinata” – alla fine di un romanzo non penso mai che ne seguirà un altro. Chi l’avrebbe mai immaginato di scrivere e pubblicare un romanzo giallo? Figurarsi addirittura tre, sono e resto un dilettante! Invece capita, magari, che sei in un punto panoramico di una delle bellissime piste nere che scendono da Porta Vescovo, sopra Arabba, ad aspettare gli amici che ti devono raggiungere, e mentre contempli il meraviglioso paesaggio che va dal Sasso Pordoi fino alla Tofana di Rozes e oltre, ti ritrovi improvvisamente a pensare che devi assolutamente inventarti una storia dove, commesso un crimine, gli autori fuggono da una parte del Sellaronda e la polizia – anzi Elisa Grassi e i GIS – li anticipano e ne impediscono la fuga, raggiungendoli dall’altra. Voilà “Neve Insanguinata”, anche se non è stato poi così semplice e immediato crearlo. Ancora prima di pubblicarlo, un giorno, mentre presti la tua opera di volontario in una struttura milanese, vieni folgorato da una sfida e da una curiosità… ed ecco “Acque Mortali”. Di quale curiosità o stimolo parliamo, lo scoprirete nelle ultime pagine e poi nei Ringraziamenti. Così come, appena finite le bozze di questo testo, una sera mi sono ritrovato dopo mezzanotte a consultare internet. Per scoprire e capire quale gas o sostanza si usa nelle macchine per raffreddare il collo delle bottiglie di spumante per un corretto dégorgement e insieme a esaminare alcune proprietà della nitroglicerina. Indizio interessante per il quarto capitolo della… saga? Dei Grassi – Mariani – Monetti: d’altronde i Grassi possiedono un’azienda vinicola, no? Ormai la prima bozza di “Coincidenze Mortali” è già completata. Nel frattempo, buona lettura con “Acque Mortali Milano, 20 settembre 2019



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PROLOGO

L’auto corre sulla strada costiera del Lago Maggiore, poco a nord di Laveno. Il vicequestore Elisa Grassi è al volante e al suo fianco c’è Vittoria, la nonna di suo marito Marco. Un uomo, visibilmente alterato e in preda al nervosismo, seduto dietro Elisa, le punta contro una pistola. «Si muova, facciamo presto. E non tenti scherzi o l’ammazzo all’istante» sibila sempre più nervoso, agitando l’arma. «Mancano una ventina di chilometri al posto di frontiera più vicino, lo sa benissimo anche lei. Stia calmo, ho già detto che la porteremo dove vuole» risponde Elisa, tesa ma in pieno controllo. «Fatelo e non avrete più nulla da temere» risponde l’uomo, leggermente meno aggressivo, anche se nessuna delle due donne crede minimamente alla sua promessa. «Sai, Elisa, è incredibile. Se non fossimo nelle mani di questo pazzo, potremmo andare a trovare mio fratello. Sono sicura che ricordi dove si trova, giusto poco lontano da qui» osserva Vittoria, incurante del conseguente sguardo di disprezzo e di minaccia ricevuto dal criminale che le tiene in pugno. L’anziana signora coglie facilmente il lampo incredulo, passato per un istante negli occhi di quella che considera ormai sua nipote a tutti gli effetti, e subito la sua mano si posa sul pulsante che controlla la cintura di sicurezza, non senza che Elisa l’abbia chiaramente notato. Il veicolo imbocca il breve rettilineo che conduce a una secca svolta a destra, dove la strada s’immette sullo stretto ponte al termine del quale ci si addentra nelle gallerie del Sasso Galletto. Vittoria è convinta che l’uomo le ucciderà in modo spietato, non appena avrà raggiunto il suo scopo: per opportunità e, soprattutto, per vendetta. Ma, quando Elisa scala la marcia e fa fare un balzo in avanti all’auto, riceve conferma che il vicequestore ha perfettamente capito il suo folle suggerimento e si rilassa compiaciuta. Non ha tempo di fare altro, perché un istante più tardi la Jeep, dopo una forte accelerazione, taglia


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la curva e s’infila fra i platani e i cespugli sul ciglio della strada, precipitando nel lago da una quindicina di metri d’altezza. “È stata una pazzia ma Elisa è in gamba e almeno lei si salverà sicuramente” è l’ultimo fugace pensiero di Vittoria mentre l’auto, dopo un volo apparentemente infinto, impatta frontalmente con la superficie del lago e sprofonda lentamente nelle sue acque fredde e buie.


PARTE PRIMA L’ESORDIO DEL TERRORE



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CAPITOLO 1

Un mese prima. Sacro Monte di Varese, sabato 26 settembre 2015 «Bene nonna, siamo riusciti ad arrivare con l’auto abbastanza vicini, e da qui non dovresti fare molta fatica, anche perché cammini ancora benissimo» dice Marco appena Vittoria scende dalla Jeep Renegade di Elisa con sorprendente agilità, considerato che ormai ha quasi novantadue anni. «Fai presto a dire così, ma non ne sei convinto neppure tu; però, appena Elisa finisce di sistemare Barbara nel passeggino, la spingo io fino all’ascensore in fondo alla strada, così potrò pure usare la mia adorabile pronipote e il suo passeggino come un girello, almeno per un po’. Considerata la bella giornata autunnale, non avrei rinunciato a questa gita con voi, anche se avessi dovuto usare le stampelle: il Sacro Monte, per me, è sempre stato un luogo molto amato. Inoltre, da un po’ di tempo ci sono due ascensori per arrivare sulla terrazza più alta e accedere al santuario, quindi non farò nessuna fatica.» Conversando insieme si avviano tutti per la stretta strada asfaltata che corre lungo il lato orientale del gruppo del Campo dei Fiori, la montagna delle Prealpi Lombarde sul cui fianco è edificato il noto complesso monumentale, da dove si domina la città di Varese. Camminando arrivano a una nicchia, da lì si accede al primo elevatore. Quando escono sul primo terrazzo, si avvicinano al parapetto che offre una splendida vista verso sud, sulla pianura lombarda e ben oltre. Elisa prende la figlia dal passeggino, una bimba di poco più di un anno, bionda come suo padre e la sua bisnonna, ma con gli occhi verdi di sua madre, e tenendola in braccio le parla, mentre la invita a osservare la magnifica vallata che riflette i primi colori dell’autunno e il panorama di Varese, sotto di loro. Soffia una brezza leggera e si può intravedere persino il nuovo skyline di Milano che si va completando. «C’è in giro meno gente di quanto pensassi» osserva Marco, mentre, passando davanti a due militari in servizio di guardia, si avviano al


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secondo ascensore che li porterà sulla terrazza principale. Escono sul terrazzo superiore e si dirigono verso la chiesa ma Elisa si attarda, osservando distrattamente l’altra estremità della spianata. «Dai, andiamo, non voglio perdermi nulla e non voglio fare tardi per pranzo» la richiama Vittoria, ormai quasi davanti al portoncino laterale della chiesa, dopo aver sorpassato la grande statua metallica che raffigura Paolo VI. Il vicequestore sta per raggiungerla, pensierosa, quando le si gela il sangue: dal lato opposto arrivano delle urla terrorizzate e alcune voci che gridano: “Allah, Akbar!”. «Vittoria, Marco, in chiesa con Barbara, presto! Via, via! Presto!» ordina perentoriamente Elisa, che estrae la pistola e si dirige rapidamente dalla parte opposta. Alcune persone sono a terra, altre fuggono terrorizzate davanti a tre uomini con armi bianche, alcune già macchiate di sangue: hanno fatto irruzione sulla spianata, sbucando dalla rampa che arriva dalla terrazza inferiore. «Tutti a terra! A terra!» grida ancora Elisa con tutta la voce che ha in corpo. Poggia un ginocchio al suolo e prende di mira l’aggressore più vicino, che sta per raggiungere una ragazza. Nel momento in cui alza una specie di machete per vibrare il colpo, il killer ha un’esitazione: Elisa ne approfitta immediatamente e lo raggiunge con tre colpi rapidissimi. Subito spara anche al secondo, a sei metri di distanza, anche più vicino del precedente. In mezzo al caos che si è scatenato individua il terzo attentatore, più lontano, al margine opposto del terrazzo. Il tiro è coperto e pericoloso: ma prima che possa decidersi, echeggiano due spari dal basso e il presunto terrorista cade a terra, rotolando per alcuni metri giù dai gradini della scalinata. Dopo un istante sbucano dalla rampa i due militari che erano di guardia, pallidi, spaventati e con le armi spianate. «Polizia, vicequestore Grassi!» grida Elisa, alzando in verticale il braccio destro con la pistola e, appena si rende conto che i militari non sono una minaccia, torna a puntarla sui soggetti a terra e a guardarsi nervosamente intorno, per vedere se ci sono altri attentatori nelle vicinanze. «Caporale, mi copra mentre controllo che siano neutralizzati. Soldato! Entra in chiesa e di’ a mio marito Marco di venire qui subito, ma di non fare assolutamente uscire mia figlia e sua nonna. Resta lì con loro: sei


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responsabile della loro sicurezza, non abbandonarle per nessun motivo.» «Io sono qui» Marco è già alle sue spalle «stai bene?» «Certo. Dobbiamo aiutare i feriti mentre arrivano i soccorsi. Ma stai lì immobile per un secondo…» Sotto la copertura del caporale, e facendo attenzione a non interporsi a un suo eventuale tiro, gira intorno ai tre terroristi, allontanando le loro armi. «Sembrano morti. Non toccateli, potrebbero avere addosso delle cariche esplosive» poi, rivolgendosi a due uomini immobilizzati dalla paura: «aiutatemi a portare in chiesa i due feriti, mio marito è un chirurgo!» «Dovrebbero esserci altri feriti sulla terrazza inferiore» aggiunge il caporale, che respira ancora affannosamente. «Vado io a vedere, possiamo lasciarli lì finché non potremo portarli all’ospedale, meglio non muoverli» risponde Marco. «Ho dato subito l’allarme, i soccorsi staranno arrivando. Il caporale inizia a essere meno teso e spaventato. Dalla vallata arriva già il suono di diverse sirene.» «Allora vengo io con te, Marco» dice Elisa, e rivolta a tutti i presenti – alcuni singhiozzanti e ancora terrorizzati dalla paura – ordina: «Tutti in chiesa! Entrate tutti, vi proteggerà il militare. Caporale, tu presidia quest’area. Io e mio marito scendiamo» dice poi, guardando quest’ultimo. Appena scesi poco sotto, Marco controlla i feriti: due donne di mezz’età, di cui una priva di conoscenza. «Elisa, corri alla macchina e prendi la mia valigetta, presto! Penso di poterle aiutare… direi che siamo in tempo, siamo stati fortunati.» Più tardi tutte le persone coinvolte sono in chiesa, tese e spaventate. La maggior parte parla concitatamente al telefono, mentre Elisa tiene in braccio la bellissima Barbara. La bimba ha pianto un po’, ma non ha fatto in tempo a rendersi conto di quanto accaduto, anche se percepisce lo stato di tensione che la circonda. Entra il caporale e si avvicina con discrezione a Elisa, mormorando: «Vicequestore, sono arrivati anche alcuni dirigenti di polizia e il Questore di Varese.» Elisa annuisce, poi vede arrivare Vittoria.


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«Eccoti, devi fare la mamma ancora per un po’. Ringrazio iddio che mia figlia non ha potuto vedere sua madre mentre uccideva due uomini… Barbara, la mamma torna subito» e si allontana dopo aver consegnato la bimba tra le braccia dell’anziana donna. Sta uscendo dalla porticina laterale quando Vittoria la richiama, e nel momento in cui si gira la fissa intensamente, come solo lei sa fare: «Elisa! Non avevi scelta… hai salvato delle vite innocenti, sei stata grande!» Individuato il Questore di Varese, che ha conosciuto poco più di due anni prima, Elisa si avvicina e si presenta con la massima discrezione. Il dirigente si trova insieme ad altri due funzionari, ai margini di tutti gli operatori presenti all’esterno. «Signori, io devo andare via. Per prima cosa in chiesa ci sono mia figlia Barbara, che ha poco più di un anno, e la sua bisnonna ultranovantenne: non posso lasciarle ancora lì. Mio marito, medico chirurgo, non può aiutarmi perché è sceso all’ospedale di Varese con una delle ambulanze. Poi non voglio farmi vedere troppo in giro da tutta la gente, autorizzata o meno, che sta accorrendo qui, capirete ovviamente che il mio nome non deve essere diffuso. Almeno fino a quando non capiremo la vera natura di questa storia. Sui giornali sono già finita anche troppe volte. Questo è il mio biglietto e potete contattarmi nel pomeriggio, io devo riportare la mia bimba a Milano.» Nessuno dei presenti riesce a obiettare qualcosa. È il Questore a parlare: «Sappiamo bene chi è lei, vicequestore Grassi. Vada pure. Dovremo però convocarla prestissimo, anche domani, forse dovremo sentirci anche prima, nel tardo pomeriggio.» «Capisco benissimo, naturalmente sono a vostra disposizione. Vedo che avete già rimosso i corpi…» «Non avevano addosso nulla, a parte le armi da taglio e dei contanti. Nessun documento, né chiavi di alcun tipo o altro. Purtroppo non abbiamo rinvenuto telefoni cellulari: niente miniera d’oro, dunque. Per fortuna i feriti, pur se gravi, probabilmente non sono in pericolo di vita. L’intervento suo e dei militari e la scarsità di mezzi degli attentatori, che non disponevano di armi da fuoco, hanno probabilmente scongiurato una strage» osserva il Questore «inoltre i più gravi hanno avuto l’incredibile fortuna di trovare insieme a lei suo marito, un


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chirurgo esperto: mi hanno detto che è riuscito a bloccare l’emorragia della donna ferita più gravemente.» «Già» risponde Elisa meditabonda «tutti sapevamo perfettamente che sarebbe successo, prima o poi. Era inevitabile, nonostante tutto il lavoro di prevenzione degli apparati di sicurezza. Ma non pensavo certo che io sarei stata presente in quel preciso istante. Dite a chi assumerà la guida delle indagini di controllare tutte le auto che questa sera tardi saranno ancora nel parcheggio principale e in quello della prima Cappella e dintorni, più in basso. Io non li ho visti arrivare dalla mia parte. Il caporale che era di guardia, pensa che siano arrivati dal percorso a piedi, dalla prima Cappella. Potremmo avere un colpo di fortuna… sempre se non risultassero arrivati direttamente a piedi da Varese o con mezzi pubblici. Sapete dove trovarmi» conclude. Mentre si avvia verso la chiesa dove Vittoria e Barbara l’aspettano, Elisa fa un cenno a uno dei due soldati che sono intervenuti al suo fianco, e il militare si avvicina rapidamente: «Caporale, tu conosci o ti ricordi chi sia la persona che è intervenuta insieme a te e al tuo compagno contro i terroristi?» Il caporale la guarda, ammicca e risponde: «Assolutamente no, signora Grassi, io e il mio compagno non abbiamo per nulla capito chi fosse… anche Giulio me l’ha confessato poco fa… siamo proprio degli smemorati! Buon rientro, Vicequestore…» «Sei un bravo ragazzo. In gamba e a presto» risponde Elisa sorridente, dandogli un colpetto sulla spalla. A quel punto si allontana. «Marco, credo che dobbiamo smettere di salvare il mondo un giorno sì e l’altro pure» osserva pensierosa Elisa, mentre l’auto imbocca l’autostrada dei laghi in direzione di Milano. La giovane mamma ha ceduto la guida al marito e siede dietro, di fianco alla figlia addormentata nel suo seggiolino. «Che fai, cerchi di anticipare qualche mia lamentela sperando di cavartela con così poco?» risponde Marco, suscitando l’ilarità di Vittoria e strappando un sorriso alla moglie «e tu non ridere, Vittoria, tanto lo so che stai sempre dalla sua parte!» «E tu sai benissimo che Elisa non aveva scelta» risponde Vittoria «se le nostre vite fossero state diverse, saremmo stati solo un bersaglio inerme in più per quei criminali psicotici, tua figlia Barbara compresa.»


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«Certo che lo so, lo so benissimo» il tono di Marco ora è molto serio «siamo rimasti coinvolti in un evento terribile e ce la siamo cavata senza un graffio, quasi un miracolo. Un evento mai accaduto in Italia con queste motivazioni, e di cui si parlerà per moltissimo tempo; e noi eravamo proprio lì. E dello spavento che ci siamo presi, non vogliamo dire nulla? Se aggiungiamo che da non molto Elisa è rientrata a tempo pieno nel suo incarico, e subito si ritrova coinvolta per l’ennesima volta in un conflitto a fuoco, c’è di che essere ben più che preoccupati. Possiamo almeno dire che mi sto solo lamentando delle circostanze? Sul resto hai, anzi avete, perfettamente ragione. Però nel suo periodo di maternità ero molto più tranquillo, oltre che immensamente felice, e so già che domani sparirà sicuramente per tutto il giorno, anche se non dipende certo da lei…» «Fai conto che si tratti di un’emergenza all’ospedale, Marco…» lo apostrofa Elisa, provocatoriamente. Vittoria scoppia a ridere ancora. Il dottor Mariani alza gli occhi al cielo per un momento, come per dire “me l’aspettavo” e la discussione finisce lì.


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CAPITOLO 2

Milano, sabato 26 settembre 2015 I due uomini sono seduti su una panchina dei Giardini Pubblici, in una posizione decisamente appartata. Siamo a metà pomeriggio di una bella giornata autunnale: c’è molta gente in giro e i due passano del tutto inosservati. «È stato un fallimento incredibile, i nostri uomini sono morti e hanno provocato solo pochi feriti! Non possiamo sacrificare i pochi esponenti del nostro gruppo per risultati così scadenti. Abbiamo perso nostro fratello del tutto inutilmente! Fino al momento di entrare in azione è filato tutto liscio: dopo averli accompagnati alla Prima Cappella, me ne sono andato prima a piedi, evitando attentamente le telecamere di sorveglianza, e poi in moto, convinto che intanto avrebbero fatto una strage. Maledizione!» l’uomo è visibilmente rabbioso. «Khalid ha insistito per partecipare a tutti i costi, io non volevo che lui andasse… e sai bene perché!» si difende l’altro. «I nostri uomini devono avere fiducia e rispetto per noi, non possiamo mandarli allo sbaraglio e rimanere sempre nelle retrovie» risponde il primo «dovevano colpire, entrare in chiesa e fuggire dall’altro lato dopo aver gettato il travestimento, non sacrificarsi inutilmente. Adesso una gran parte dei nostri fondi non sarà più accessibile!» aggiunge stizzito. «Lo so benissimo, dannazione! Ma i nostri compagni ora sono diventati martiri e siamo i primi ad aver colpito in Italia, è un grande onore per noi, nel nome di Allah! Ora restiamo con poche risorse a nostra disposizione, se non quelle che posso fornirvi io. Ma se ci facciamo notare con le nostre azioni, presto i tuoi contatti diventeranno sicuramente più disponibili e magari anche generosi. E anche se con loro non ottenessimo contributi, seguendo il mio piano raggiungeremo lo stesso tre risultati: colpire in nome di Allah, creare il panico e trovare il modo di finanziarci più facilmente. Dobbiamo proseguire come stabilito» continua il secondo «ci rivediamo qui il prossimo sabato alla stessa ora. Sai cosa devi fare, fra dieci giorni circa. Non commettete


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altri errori» poi aggiunge: «possiamo girare la morte di Khalid a nostro vantaggio, ascolta cos’ho pensato…» *** Marco e la sua famiglia sono appena rientrati in casa quando suona il telefono di Elisa. È il commissario Fontani. «Ho visto il telegiornale e mi ha chiamato adesso l’ispettore Bianchi. Ieri mi avevi detto che oggi saresti andata al Sacro Monte con Vittoria, Marco e la tua deliziosa Barbara… Elisa… eri tu?» «Ciao, Marcello. Sì, sono stata io…» «Oh, c… state bene?» il commissario Marcello Fontani non sa se essere più spaventato o sbalordito. «Sì, stiamo tutti bene ma è stata una giornata terribile e domani devo tornare a Varese.» «A che ora? Ti accompagno!» «Non so nulla ancora. Mi avvertiranno in giornata le autorità locali, è già stata una fortuna e un privilegio non restare lì fino a notte inoltrata. Mi farebbe piacere se tu mi accompagnassi, ma tua moglie mi odierà ancora di più…» «Non pensarlo neppure, sai che ti considera come una figlia.» «Va bene, allora ti faccio sapere e poi passo io. Ora scappo, devo occuparmi di Barbara. Non so come ringraziarti, a domani.» Monza, domenica, 27 settembre 2015 Quando poco dopo le 8.00 sale sull’auto di Elisa dal marciapiede sotto casa, e già seduto dietro a lei vede il giudice Giorgio Gilli, Marcello è piacevolmente sorpreso. «Buongiorno signor Giudice, ci rivediamo in circostanze inaspettate! Credo che abbiate un po’ di cose da raccontarmi, abbiamo giusto il tempo, sempre che si vada ancora a Varese.» «Sì, per prima cosa andiamo sul luogo dell’attentato per una ricostruzione con Elisa e i militari coinvolti. La cosa più importante è che, su disposizione della Direzione della DIA di Milano e del Pool Antiterrorismo di cui faccio da poco parte, mi hanno assegnato le indagini e Varese è d’accordo. Potete immaginare che piacere


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ritrovarmi ancora con voi. Anche il sostituto procuratore Armini collaborerà con noi. «L’altra notizia interessante è che ieri sera è stata trovata nel parcheggio vicino alla Prima Cappella un’auto abbandonata, risultata rubata a Milano. Stanno verificando e confrontando in modo urgente le impronte ritrovate e qualunque altra traccia; se avremo conferme, possiamo presumere che l’eventuale base degli attentatori sia proprio a Milano. Ci hanno messo un po’ a fare i rilievi, perché prima è stato necessario accertarsi che non fosse un’autobomba.» «Quindi tocca a te e a me, Marcello» spiega Elisa «anche se saremo sotto il controllo diretto del Ministro dell’Interno, del Questore, e del primo dirigente, oltre che di Giorgio: ma quello è un grande privilegio, naturalmente. Tutti i servizi d’intelligence saranno già al lavoro, insieme alle strutture di collegamento internazionale, immagino.» «Il dottor Armini e il commissario Nisti faranno da gestori per mio conto con tutti, anche per eventuali collegamenti internazionali, dato che sarà inevitabile» spiega il giudice Gilli «forza, diamoci da fare.» «Ma come hai fatto Elisa? Hai reagito in un secondo, se ho capito bene» domanda Marcello. «Avevo notato due dei tre uomini con le barbe lunghe che si aggiravano sul primo terrazzo: hanno attirato inconsciamente la mia attenzione. Non c’entra nulla, ma per un momento ho pensato che fossero rabbini, un pensiero stupido in verità, però possibile, io ho pensato semplicemente al Medio Oriente. Ero banalmente incuriosita. Poi proprio mente eravamo sul secondo terrazzo ho sentito le grida e mi sono sentita gelare. Del resto, fra poco potrai renderti perfettamente conto di tutto, o almeno lo spero.» Il settore del borgo del Sacro Monte, interessato dall’attentato, è completamente isolato. Ovunque ci sono persone appartenenti a varie organizzazioni e amministrazioni statali e di polizia. «È stata una fortuna incredibile che tu fossi qui Elisa, se ce la caveremo senza vittime innocenti, sarà solo merito tuo. Hai reagito molto rapidamente, ora ne sono consapevole al cento percento» osserva Fontani, dopo essersi reso conto con precisione della dinamica dei fatti.


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«Ero terrorizzata per il pericolo che stava correndo mia figlia, come avrei potuto non farlo? Il resto è venuto da sé, pure uccidere due persone, ahimè, per quanto ripugnanti. Considera poi che pure i due militari di guardia sono stati bravissimi, sono intervenuti molto tempestivamente» risponde il vicequestore. Si avvicina il Questore di Varese che, insieme ai suoi collaboratori, ha seguito con molta attenzione la ricostruzione e il racconto fatto da Elisa e dai due militari. «Il suo semplice suggerimento di ieri è stato ottimo, vicequestore. Attendiamo a breve il riscontro delle impronte digitali rilevate sull’auto sospetta. Speriamo possano aiutarci.» «Bene, direi che possiamo raccogliere tutto e tornare a Milano, abbiamo diversi spunti investigativi. Ci terremo in contatto. Vi ringrazio per la collaborazione» conclude il giudice Gilli.


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CAPITOLO 3

Milano, lunedì 28 settembre «Marcello alle 14:00 c’è la riunione, cosa abbiamo scoperto di nuovo finora?» domanda Elisa poco prima dell’ora di pranzo «in verità il tempo è stato pochissimo!» «Stiamo raccogliendo ed esaminando le posizioni di tutti coloro che si trovavano sul luogo dell’attentato. Come sai bene è meglio controllare che siano tutte vittime o presenze ignare, quando non obiettivi o complici degli attentatori.» «Avete trovato qualcosa?» «No, per ora nulla di particolare, del resto ce lo aspettavamo.» «Molto bene, io invece è da stamane che esamino i filmati di varie telecamere di sorveglianza della zona. Sarà un lavoro ancora molto lungo, specie man mano che allarghiamo l’area. L’ispettore Bianchi si sta occupando dei filmati reperibili sull’autostrada Milano–Varese. Quelli dell’area del Sacro Monte mostrano dei fotogrammi con l’auto guidata da un quarto complice che trasporta gli attentatori alla Prima Cappella. La cosa un po’ inquietante è che portavano barbe finte durante l’azione, ci credi? Siamo riusciti a riconoscerli anche perché siamo stati avvertiti dall’Istituto di Medicina Legale. A un primo esame superficiale eravamo passati oltre, anche perché in alcune immagini si leggeva la targa a fatica. Dopo averli lasciati, il quarto complice si dirige poco lontano, verso il luogo dove abbiamo ritrovato l’auto abbandonata. Ma quel punto ovviamente non è coperto da sorveglianza, quindi non abbiamo altre sue immagini. Non abbiamo a che fare propriamente con un dilettante. Come e quanto si sarà allontanato? Stiamo valutando se controllare tutti i mezzi che sono transitati sulla Milano–laghi in direzione Milano a partire dalle 10:00 di sabato, e lo faremo. Però se ha seguito un’altra strada, ovunque sia andato, non c’è nulla da fare. Sabato mattina, con tutto il traffico commerciale privato, senza sapere con che mezzo, per quale strada e in che direzione?» la domanda è retorica «no, è impossibile.»


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Oltre al giudice Gilli e al Questore in persona ci sono diverse altre persone presenti alla riunione, fra cui il dirigente della DIA milanese, Giovanni Sulci. All’arrivo di Elisa e Marcello la riunione inizia. Il primo a iniziare è il dottor Armini: «Abbiamo una notizia notevole, uno dei terroristi è stato identificato ed è italiano. Era schedato.» «Fantastico! Dicci subito tutto» Fontani è positivamente colpito, e anche gli altri presenti non ancora al corrente sono stupefatti. «Considerato questo e il dettaglio delle barbe finte, mi verrebbe da mettere in dubbio la matrice terroristica ma, come ho già detto, io e gli altri siamo sicuri di averli uditi gridare “Allah Akbar!”» osserva Elisa «chi è? Non farci friggere nell’olio bollente, Armini!» «Celusi Paolo, di Cagliari, anzi di Gonnesa per la precisione, nel sudovest. Risulta schedato per piccolo spaccio e consumo di droga nel 2005, così è saltato fuori subito. Un colpo di fortuna.» «Quindi è italiano non solo anagraficamente. Appartiene, almeno in origine, alla nostra cultura. Molto bene, dobbiamo subito sentire i genitori. Dove sono? Sono ancora vivi?» domanda subito Elisa. «Morti in un incidente stradale a Iglesias, nel 2003. Il padre era un ufficiale dell’Aviazione, controllore di volo, era stato di stanza a Milano, Novara e poi a Decimomannu in Sardegna, la sua regione di origine. Stiamo controllando a tutta velocità e le informazioni arrivano di minuto in minuto. Era pure stato aggregato alla missione italiana in Libano, nel 1982 sembra…» «Oh mio Dio!» esclama Gilli. «Dannazione, possibile che ci sia un legame con il Libano? O è solo una coincidenza?» chiede il dottor Sulci. «Dopo la morte dei genitori che fine ha fatto? Come ha vissuto?» domanda Elisa. «Veramente pensavo che foste voi a dover continuare» risponde Armini «ci sono degli spunti investigativi enormi… naturalmente ho un fascicolo da passarvi con le prime informazioni raccolte.» Interviene il giudice Gilli: «Siete arrivati in orario ma, insieme al dottor Sulci, per ultimi. Noi abbiamo avuto modo di pensare a come dividerci i compiti. L’allarme antiterrorismo è al massimo livello, potrete chiedere collaborazione a tutte le forze e a tutti i rappresentanti dello Stato per le indagini, ma non siete deputati a occuparvi dei livelli di


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sicurezza, ci stanno pensando altri, ovviamente. Io vi sosterrò in ogni iniziativa, informate sempre me e Sulci.» «Degli altri cosa si sa?» domanda Marcello. «Naturalmente abbiamo le impronte, ma nessun riscontro. Le stiamo diffondendo, insieme alle fotografie, a ogni possibile livello nazionale e internazionale. Vediamo che succede» risponde Gilli. «Quello che li ha accompagnati potrebbe essere il capo, o comunque un elemento più importante» osserva Elisa «piuttosto che un gregario. Se comanda una cellula di una certa dimensione, possiamo aspettarci altri attacchi a breve. Se poi consideriamo pure che fatti così clamorosi ed eclatanti generano sempre gesti imitativi da parte di imbecilli e psicopatici vari, abbiamo di che preoccuparci all’estremo. Spero che il mio nome resti sempre coperto, almeno per ora.» «Noi non parleremo di sicuro, ed è anche il messaggio che il Questore intende lanciare nei confronti degli organi d’informazione nella parte non pubblica dell’incontro che avverrà alle 16:00. Vogliamo che lei e i suoi collaboratori possiate operare senza la preoccupazione di guardarvi continuamente le spalle» afferma con convinzione il giudice Gilli. «Sta bene, ma io ho urlato il mio nome ai militari per non farmi sparare e l’avranno sentito tutti quelli che erano presenti» osserva Elisa preoccupata. «Li stiamo interrogando e nessuno ha fatto alcun cenno o domanda in proposito. Il terribile spavento che hanno subìto ci aiuterà: se i media eviteranno di tormentarli la cosa potrebbe restare confinata lì» dice il commissario Fontani. «Cercherò di dare loro altro a cui pensare o da azzannare. Mettiamoci al lavoro» conclude Gilli. La riunione si chiude così. Milano, mercoledì 30 settembre Marcello è al telefono, poi spiega: «C’è una sorta di rivendicazione dell’ISIS, Elisa. Sui siti da loro controllati si plaude all’impresa e ai martiri della fede, ma l’organizzazione terroristica non accredita i tre attentatori come dipendenti da loro in forma diretta o indiretta. Riceveremo una valutazione del comunicato dagli specialisti.» «Nulla di utile per noi, immagino. Sei d’accordo di procedere come stabilito?»


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«Certamente.» «Allora concentriamoci su Paolo Celusi per ora, poi ti dico come procede il controllo delle videocamere.» «Meglio iniziare dai suoi genitori. Alvaro Celusi, classe 1953, Marina Puddu, classe 1954; famiglie di origine benestanti, lui per le attività commerciali della famiglia, lei per la gestione di attività e proprietà agricole. Sposati giovanissimi nel 1973» spiega Marcello. «Ma non mi hai detto che loro figlio è nato nel 1983? Dopo dieci anni?» «Beh, non sarebbe del tutto inusuale, anche se il dettaglio sorprendente è un altro. Il bambino è registrato a Cagliari come nato a Cipro il 23 ottobre 1983.» «A Cipro? E cosa ci faceva a Cipro, incinta, Marina Puddu?» «Non ti dice nulla la data? Sei troppo giovane Elisa! L’attentato a Beirut contro i Marines con oltre duecento morti è del 23 ottobre 1983.» «È vero, ora ricordo la tragedia! Anche se io ero appena nata…» «Hai ragione, e poi non vuol dire nulla. Sarebbe come dire che tua figlia è coinvolta nella nostra ultima e clamorosa indagine importante, visto che tu nel dicembre 2013 te ne andavi in giro a battagliare sugli sci da poco incinta di Barbara…» «Lascia perdere, Marcello, sai benissimo che non lo sapevo!» poi continua: «hai cercato qualche legame, qualche parente o amico che potrebbe raccontarci qualcosa? Io non voglio abbandonare il coordinamento del controllo delle videocamere di sorveglianza, perché le registrazioni mi sembrano la migliore via possibile per individuare elementi sulla presunta cellula, se esiste ancora, dopo che abbiamo liquidato tre dei suoi membri, in modo da prevenire ulteriori attentati, magari a Milano. Abbiamo individuato l’auto dei terroristi, che attraversava la barriera della tangenziale nord e poi quella di Lainate e di Gallarate, diretta a Varese per raggiungere il Sacro Monte.» «Accidenti, avete già fatto un diavolo di lavoro…» «Mica tanto. L’auto, appena rubata a Città Studi, aveva il telepass…» prima di veder svanire il ghigno fra l’ironico e lo stupito del commissario, Elisa continua: «ma capire come un cittadino italiano di origine sarda sia finito sulla terrazza del Sacro Monte ad accoltellare persone terrorizzate, gridando “Allah Akbar!”, camuffato pure con una barba finta, potrebbe esserci altrettanto utile. Si vede che non gli


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importava nulla che noi ricostruissimo il viaggio di andata, sapevano benissimo che avremmo potuto ritrovare l’auto!» Elisa si blocca improvvisamente, come folgorata. Prima che Marcello possa dire qualunque cosa, prende il telefono: «Bianchi, per favore, chiama subito Varese. Devi dire loro di perquisire al millimetro il punto in cui è stata ritrovata l’auto per un raggio di dieci… anzi di venticinque metri! Subito!» «E cosa devono cercare?» domanda Bianchi. «Le chiavi della macchina, potrebbero essere nascoste lì intorno! Parlare di auto rubata è inesatto: ho verificato che è stata sostanzialmente rapinata mentre il proprietario era sceso per acquistare un quotidiano all’edicola poco lontana, e le chiavi erano nel cruscotto» risponde il vicequestore, ignorando anche stavolta la sorpresa compiaciuta di Fontani. «E adesso torniamo a noi, commissario!» «Ecco qui, Elisa» Marcello le consegna uno stato di famiglia «Angela, sorella di Marina, settantuno anni. Vive a Buggerru, costa Sud Occidentale sarda, non lontano da Iglesias. Alvaro Celusi era figlio unico, come anche i suoi genitori, quindi nessun parente diretto ancora in vita per Paolo Celusi, solo la zia.» «In questo caso, il fatto che io non debba più allattare mia figlia per lo svezzamento, sarà un vantaggio. Si va in Sardegna appena ti sarai organizzato. Hai già chiesto a Nisti di occuparsi dei dati bancari della famiglia e delle loro denunce dei redditi?» «È sul sentiero di guerra, munito dal giudice Gilli di tutti i tuoni e i fulmini possibili per fare presto.» «Ok, allora. Io torno al lavoro con Bianchi, ci aggiorniamo più tardi.» Alle quattro del pomeriggio, Elisa esamina per l’ennesima volta una serie di fotografie dei terroristi, confrontandole con stampe tratte dalle immagini delle videocamere di sorveglianza. Entra nel suo ufficio l’ispettore Bianchi, accompagnato da un paio di agenti che non conosce. Il collega le sorride apertamente: «Vicequestore, gli agenti arrivano da Varese per porgerle i complimenti del loro superiore…» Elisa alza la testa, incuriosita. Bianchi tira fuori una busta trasparente per le prove forensi, contenente un mazzo di chiavi: «Erano in una fessura del terrapieno, che in quel


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punto regge la strada per il Sacro Monte, a cinque metri dalla macchina!» Elisa prende il telefono: «Marcello, vieni subito da me.» «Grande idea la sua, Vicequestore, le ho trovate dopo soli dieci minuti… anche se ho dovuto scavalcare il guardrail e fare il ragno sul terrapieno fatto con blocchi di pietra» dice uno degli agenti arrivati da Varese. «Quindi non avevano idee suicide, anzi. Del resto non avevano addosso esplosivi… molto bene, ringraziate il Questore di Varese, e riferite che lo terremo informato» conclude Elisa. I due agenti si allontanano mentre arriva Fontani. Si è appena accomodato e sta per parlare, quando Elisa lo blocca: «Voglio farvi vedere una cosa.» Mostra sul PC una fotografia dell’auto dei terroristi che attraversa la barriera di Lainate, diretta a Varese: è un ingrandimento del passeggero seduto sul sedile anteriore, il guidatore non è ben visibile, se non per il fatto che non ha la barba. Poi mostra una foto di Paolo Celusi, scattata all’obitorio. «Cosa mi dite?» I due colleghi le osservano per un po’ con attenzione: «Anche se la qualità delle foto lascia a desiderare, specie quelle ricavate dal filmato, direi che il passeggero è Paolo Celusi» osserva Bianchi. «Sono d’accordo» aggiunge Fontani. «Umh» mormora Elisa. Marcello riprende le due foto, poi Elisa ne mostra anche una di Paolo Celusi a terra sulla terrazza del Sacro Monte. «Dannazione, Celusi indossa un giubbotto sportivo, il passeggero camicia e pullover!» «Esatto, cari colleghi! Temevo vi steste rimbambendo, la somiglianza è notevole, io le sto studiando da un’ora e si tratta di due persone diverse, che però sembrano quasi uguali.» «Ci sarà qualche specialista o qualche software che può aiutarci» osserva Bianchi. «Esatto anche questo, quindi vedi di trovarlo e farmi sapere quanto prima. Fai esaminare anche le chiavi, alla velocità della luce.» Quando Bianchi è lontano, Fontani domanda: «Cosa ne pensi?»


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«Se non ci fosse di mezzo la questione del parto a Cipro, direi che è una coincidenza, che ci sbagliamo. D’altro canto non risultano fratelli, no? Mi frulla in testa una losca idea, ma cerco di scacciarla.» «Temo che sia la stessa mia, ma potremmo non scoprirlo mai. Comunque venerdì alle 11:30 la signora Angela Puddu ci aspetta a Buggerru. Ho organizzato tutto io» risponde Fontani. Cagliari, venerdì 2 ottobre Non manca molto alle 10:00, Elisa e Marcello sono appena entrati nell’aereostazione. Riconoscono abbastanza facilmente la persona che li aspetta e si avvicinano. Anche l’uomo li individua rapidamente. «Salve, sono l’ispettore Rosselli, vi aspettavo per assistervi.» «Piacere, io sono il commissario Fontani, ci siamo sentiti al telefono per i documenti e le informazioni. La ringrazio per la tempestività» poi, indicando Elisa, aggiunge: «le presento il vicequestore Grassi.» Rosselli è abbastanza giovane, circa trent’anni o poco più, atletico; fa fatica a nascondere la sua sorpresa e la sua ammirazione per l’affascinante vicequestore che si trova davanti, in abbigliamento decisamente sportivo. La gravidanza non ha per nulla scalfito la straordinaria bellezza di Elisa, né la sua figura, e non ha certo cambiato il colore dei suoi occhi verde azzurri, incorniciati dai capelli castani striati di biondo. «Ci accompagnerà lei, immagino» dice Elisa dopo aver stretto la mano all’ispettore. «Certamente, un mio agente ci aspetta qui fuori» risponde Rosselli «andiamo. Mi hanno detto che non è mai stata in Sardegna. La farò sedere davanti, non siete qui per una gita turistica ma attraverseremo delle aree meravigliose e tanto vale che possa ammirarle con comodo.» «Le non sembra sardo» osserva Fontani. «Sono lombardo in verità, di Angera per l’esattezza. Pertanto, conosco bene il Sacro Monte di Varese: se posso permettermi, un intervento eccezionale il suo, Vicequestore. Tornando a me, deve sapere che ormai ho avuto il trasferimento da più di qualche anno. Ho conosciuto mia moglie molto giovane, venendo qui in vacanza, e mi sono innamorato non solo di lei ma di tutta l’isola.»


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L’auto è appena partita quando l’ispettore porge diversi fascicoli a Elisa. «La copia del rapporto dell’incidente che ha causato la morte dei coniugi Celusi e quello sulla denuncia, l’arresto e il processo per consumo e spaccio di droga di Paolo Celusi. Potete tenerli e aggiungerli alla vostra documentazione.» Escono dalla città e si dirigono a ovest, su una superstrada mediamente trafficata. L’ispettore consegna un altro fascicolo. «Questo invece è il ruolo di servizio di suo padre. Non c’è nulla che ci fa pensare che l’incidente stradale sia qualcosa di diverso. Pioveva, un camion autocisterna, che arrivava dalla parte opposta viaggiando ad alta velocità, ha sbandato su una curva e si è schiantato sull’auto dei Celusi. Morti sul colpo. Una tragedia fin troppo frequente sulle nostre strade, il conducente del mezzo pesante stava componendo un numero sul cellulare… è stato condannato per duplice omicidio colposo. Non aveva alcuna relazione con le vittime.» Gonnesa L’auto ha sorpassato Iglesias ed è entrata nella cittadina poco più a sud, percorrendo tutta la via principale. Una volta fuori, s’immette sulla circonvallazione per poi tornare indietro. «Ho pensato di farvi attraversare la città in cui viveva la famiglia Celusi, perché poteste farvi un’idea del contesto. Il marito andava tutti i giorni a Decimomannu, dopo aver prestato servizio a Milano e poi a Novara, con la parentesi della missione a Beirut. Un tragitto di nemmeno quaranta minuti in auto, una vita tranquilla e serena. Ora stiamo tornando un poco indietro: percorreremo la costa fino a Buggerru. Un’altra quarantina di minuti e saremo lì.» Poco dopo svoltano a sinistra, e si immettono su una strada che in leggera discesa porta verso il mare, a occidente, dove incontrano una lunghissima spiaggia bianca che si sviluppa alla loro sinistra. Quando arrivano fin quasi sul mare, svoltano a destra in direzione nord; la strada ora s’innalza e la costa diventa rocciosa e a strapiombo sul mare. «La spiaggia che ci siamo lasciati alle spalle era bellissima» dice Elisa poco più tardi, riferendosi a Porto Paglia «e lo spettacolo del faraglione davanti a noi lo è altrettanto.»


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«Stiamo superando Masua e ora la strada andrà verso l’interno. Poi arriveremo a Buggerru, ma la casa di Angela Celusi è un poco più a nord, proprio dove inizia la bella spiaggia di San Nicolò.» Quasi in prossimità di Buggerru, la strada corre in posizione sopraelevata e possono ammirare lo stretto golfo in cui è arroccata la cittadina, e poi la lunghissima e sabbiosa spiaggia di San Nicolò, in basso e poco più avanti. Elisa esclama: «Marcello, so dove verrò in vacanza alla prima occasione!» «Sono anch’io incantato, Elisa, speriamo che a tanta bellezza faccia da contraltare una trasferta proficua» il commissario mostra meno entusiasmo e sembra più concentrato sulla loro missione. «Ispettore Rosselli, cos’ha detto alla signora Angela in merito ai motivi dell’incontro?» domanda Elisa. «Ho spiegato che abbiamo notizie di suo nipote, sembra che la zia non avesse più informazioni da molto tempo. Di fatto, Paolo Celusi si era reso irreperibile dopo l’arresto e il processo, che comunque si chiuse sostanzialmente con un nulla di fatto. Risultava irreperibile ma non latitante» risponde l’ispettore. «Quindi Angela non sa che è morto e neppure che l’ho ucciso io, ovviamente… potrà sopportare la notizia, quando dovremo comunicargliela?» si preoccupa Elisa, senza nascondere anche un doloroso imbarazzo. «Pare che goda di ottima salute e che sia una persona mite, se questo può servirle. La famiglia è di tradizioni contadine, ma la signora è laureata ed è stata insegnante di lettere alle scuole medie per tutta la vita. Per il resto, penso che potrà decidere lei, a seconda della piega che prenderà la conversazione. Siamo quasi arrivati, mi sembra.» È tarda mattinata, la giornata sembra estiva e non c’è vento. La signora riceve i suoi ospiti sotto un pergolato rivolto a sud, e sormontato da buganvillee ancora in fiore, sul retro della casa di evidente origine colonica. L’immobile è indubbiamente datato ma perfettamente ristrutturato. Angela Celusi vive sola, coadiuvata da una collaboratrice domestica. È una donna minuta, brillante, con i capelli neri probabilmente tinti: le danno un’aria molto giovanile. Per un momento Elisa non può fare a meno di pensare a Vittoria.


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«Un vicequestore e un commissario che arrivano da Milano a casa mia, accompagnati da un ispettore. Cosa sta succedendo? Non sono certo spaventata, dato che non ho mai fatto nulla di male, ma sono curiosa e anche un po’ agitata» confessa subito l’attempata signora. «Lei non ha fatto assolutamente nulla, signora. Speriamo, invece, che possa fare lei qualcosa per noi» risponde Elisa con un sorriso, dopo essersi presentati e accomodati. Inizia subito a spiegare, con voce dolce e suadente: «Dobbiamo parlare di sua sorella, suo cognato e di suo nipote Paolo.» Sul volto della donna passa un’ombra triste: «L’avete trovato? È ricomparso da qualche parte? Che cosa ha combinato?» «Sì, l’abbiamo trovato. Diciamo che è sotto la nostra custodia, per ora, ma prima di concentrarci su suo nipote le chiederei di partire dall’inizio: abbiamo bisogno di capire cos’è successo e perché. Poi capirà…» «Quella che state per ascoltare è una storia triste e difficile, per certi aspetti non mi stupisce affatto che sia finita male, come temevo e come mi sembra d’intuire» Angela si è rabbuiata, ma sembra serena. «Le spiegheremo tutto, Angela, ma ora possiamo partire dal matrimonio di Marina e arrivare alla denuncia per possesso di droga di Paolo, se possibile?» suggerisce Elisa con tranquillità, mascherando la sua impazienza. «Mia sorella e mio cognato erano una bella coppia, molto innamorati» risponde la signora, con il tono di chi sta dando inizio a un lungo racconto. «Dopo il matrimonio io e i miei genitori ci siamo trasferiti qui da Gonnesa. Siamo proprietari di vasti appezzamenti e abbiamo lasciato loro la grande casa di Gonnesa. I nostri genitori hanno goduto di buona salute per lunghi anni, così io ho potuto laurearmi in lettere e insegnare senza dovermi fare carico dell’amministrazione delle nostre attività agricole, l’ha fatto mio padre fin quasi sul letto di morte, a novant’anni. Appena laureata ho insegnato per un po’ in un liceo di Cagliari, ma poi ho avuto una cattedra alle scuole medie di Gonnesa. La nostra casa lì era abbastanza grande e così spesso ci ho vissuto io, dato che Marina e Alvaro, perito elettronico entrato ancora prima di sposarsi nell’Aviazione, erano in giro per gli aeroporti dell’Italia e del mondo. Non avevano figli e Marina ha sempre seguito Alvaro senza problemi.


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Io sono stata sposata e dopo breve tempo separata, nemmeno io ho figli. Lei ne ha, vicequestore?» «Per favore mi chiami Elisa, purtroppo il nostro è un incontro formale, ma almeno per quello possiamo procedere più amichevolmente: sono sposata da due anni esatti e ho una bambina nata il 10 agosto 2014, signora…» «La più grande gioia per una donna, non tutti riescono a capirlo… è fortunata! Gli eredi che non arrivavano erano un grande cruccio per Alvaro e Marina, e anche di più per i miei genitori. Poi è accaduto quel che è accaduto. Certo, non pensavamo che quella che sembrava una grande gioia si sarebbe trasformata in un tormento così doloroso e poi tragico.» «Le confesso che mi riesce difficile pensare a qualcosa di più doloroso e avventuroso della storia della mia famiglia, Angela. Ma continui, e mi perdoni l’interruzione per così dire autobiografica, pendiamo tutti dalle sue labbra…» La donna ora procede spedita: «Mio cognato era di stanza a Milano, aeroporto di Linate e con Marina abitavano a Città Studi.» «Oh santo cielo, Elisa, dove stavi tu…» «Non interrompere Marcello…» Angela è divertita. «Siamo parenti, Elisa?» chiede senza rendersi conto dell’effetto che le sue parole hanno sul vicequestore, considerata la storia delle famiglie Grassi, Segri e Mariani, poi continua: «Era l’inizio degli anni ‘80 e mio cognato pensò di accettare l’offerta di seguire a Beirut la missione italiana. Lo fece più per senso dell’avventura che per denaro, dato che era comunque benestante. Ma quella volta non volle essere accompagnato da Marina, lo considerava troppo pericoloso. Ci furono molte discussioni e poco dopo arrivarono a un compromesso: Marina si stabilì a Nicosia, Cipro, e lui la raggiungeva appena poteva. Con tutti i movimenti di militari di varie nazionalità, trovare un passaggio Beirut–Nicosia, aeroporto di Larnaca era facilissimo, ci volevano solo quarantacinque minuti, e anche i voli civili erano frequenti. «Poi, quasi subito, arrivò la notizia che Marina era incinta. Mio padre fece un sacco di scenate perché voleva che tornasse subito in Sardegna ma non ci fu verso. Non ci vedevamo e non ci vedemmo per più di un anno. Tutto prese un ritmo travolgente: mia sorella partorì in anticipo e mio cognato non poté raggiungerla subito.»


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Tutti i presenti seguono il racconto con il fiato sospeso. Ci fu l’attentato» mormora Elisa. «Esattamente! Mia sorella partorì in casa, aiutata dall’ostetrica che abitava di fronte, e Alvaro poté raggiungerla solo dopo una settimana. Ebbero anche qualche problema con il consolato per la documentazione e il certificato di nascita. Ma il caos di quei giorni, dopo aver messo i bastoni fra le ruote, funzionò anche da passepartout e alla fine, quando rientrarono in Italia, i documenti furono accettati a Cagliari, dopo un po’ di schermaglie burocratiche fra Consolati, ostetriche a Cipro e altro. Anche se la sede di mio cognato era ancora a Milano e lì andarono a vivere. «I miei genitori erano arrabbiati, perché la gioia per il nipote finalmente arrivato era immensa, e avrebbero voluto che Alvaro chiedesse subito il trasferimento sull’isola. Ci furono dei contrasti e non fummo nemmeno invitati al battesimo di Paolo. Poi le cose si misero a posto, ritornarono in Sardegna e mentre il bimbo cresceva passammo più di quindici anni di felicità straordinaria… ma ci fu l’incidente e tutto andò a finire male.» «Dove stavano andando sua sorella e suo cognato quando rimasero uccisi in auto?» domanda Marcello. «Da un notaio di Cagliari, fu appurato che volevano fare testamento e allegare un documento, ma questo fu consegnato a Paolo insieme agli effetti personali delle vittime, e né io né il notaio sapemmo più nulla.» «È sicura che la causa dei problemi di Paolo fu solo la morte dei genitori?» domanda Elisa. «E voi non pensate che adesso sia venuto il momento di dirmi perché siete venuti qui? Siete gentili ed educati, ma io vi ho raccontato quasi tutto, voi nulla!» Tutti i presenti tacciono imbarazzati. «È morto anche lui, vero? L’ho capito appena l’ispettore mi ha chiesto di incontrarci.» «Lei segue i fatti di cronaca, Angela?» domanda con dolcezza Elisa. «Sono una professoressa e per anni ho spronato i miei studenti a informarsi sui fatti di cronaca, quindi sì, vicequestore, tutti i giorni non mi perdo almeno un quotidiano nazionale e le notizie dei telegiornali. Anche se passo tutto il tempo che posso all’aperto a gestire i miei collaboratori agricoli, almeno finché la salute me lo concederà.» «Quindi sa dell’attentato al Sacro Monte di Varese, il 28 settembre…»


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«Sì, ma non è morto nessuno fra le persone presenti…» improvvisamente si blocca e impallidisce «no! Era uno dei terroristi? Oh mio Dio! Com’è possibile? Non ha alcun senso! È così?» A Elisa sembra di essere davanti a Vittoria Monetti. È in preda a una pena e a un dolore immensi e vorrebbe trovarsi da tutt’altra parte. Anche quel luogo meraviglioso, in quel momento le sembra orribile. La sua espressione la tradisce, in un certo senso. «L’ha ucciso lei? Ho sentito vagamente accennare a un agente donna coinvolto…» «Sì, Paolo era uno dei terroristi… e sono stata proprio io a sparargli. Stava per uccidere una ragazzina di dodici anni. Mi dispiace immensamente, ma non avevo assolutamente scelta.» Per un momento è possibile ascoltare solo il rumore del volo degli insetti, delle foglie che si flettono sotto una brezza leggerissima e il respiro dei presenti. Poi è Elisa a rompere il silenzio, il suo volto e il suo tono sono spettrali: «Non ha idea di cosa mi sia costato dirle questo, ma ora lei deve spiegarci quando ha cominciato a dubitare, come me e il collega Marcello, sulla reale paternità di suo nipote.» «Come ha fatto a capirlo?» domanda Angela, con la voce rotta dall’emozione e dallo stupore. «Da alcuni elementi che abbiamo raccolto indagando e, soprattutto, dalle sue parole. Si vede che c’è qualcosa che la tormenta, oltre a quello che ci ha raccontato.» «Si vede così tanto?» «Certamente.» «Per caso avete trovato i suoi veri genitori? È possibile che i sospetti dei suoi nonni avessero fondamento?» «Non ne siamo sicuri, le leggi internazionali per la tutela dei minori hanno iniziato a essere più stringenti con la convenzione del 1993, dieci anni dopo la nascita di suo nipote; ma ora continui il suo racconto, la prego! Se se la sente ancora…» Angela riprende il racconto ma ora il tono è sempre più sofferente: «Come le dicevo, i primi anni furono bellissimi. Alvaro e Marina tornarono in Sardegna e i miei genitori presero a fare i nonni con entusiasmo. Ma man mano che il bimbo cresceva, tutti si domandavano come mai non avesse alcuna somiglianza con la madre o con il padre, anche se non sembrava assolutamente di un’etnia diversa. Quando


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qualche amico faceva questa osservazione con innocenza, scendeva sempre il gelo, anche se Marina o Alvaro erano sempre pronti a dissimulare con ironia “Eh, chissà cos’ha combinato Marina a Cipro, mentre io ero in servizio all’aeroporto di Beirut e mi struggevo per lei” diceva Alvaro, e scoppiavano a ridere… «La somiglianza non c’era, però nessuno ha mai messo in dubbio l’appartenenza del ragazzo alla nostra etnia, e quindi che fosse figlio di mia sorella e di mio cognato. Non denotava differenze fisiche evidenti, e non ha mai avuto problemi nella sua vita sociale, quantomeno legati a quella causa. Però a un certo punto, una volta adolescente, il nervosismo dei miei genitori e fra loro e mio cognato, è un po’ trapelato, credo. Il percorso scolastico si è fatto difficile, i contrasti coi genitori evidenti. Tutto è esploso dopo l’incidente, una tragedia enorme già di per sé, anche senza considerare il contesto in cui si è inserita. Non so se prima della fine Alvaro e Marina avessero confessato qualcosa al ragazzo. Quando sono morti lui aveva ormai vent’anni ed era diventato un classico esempio di quelli che oggi chiamiamo NEET. Se aggiungiamo poi che a quel punto era orfano, maggiorenne e godeva di un notevolissimo benessere economico, si completa un caso evidente di persona allo sbando emotivo e personale. L’arresto per spaccio era una sciocchezza, in verità, più che altro aveva una brutta dipendenza. Alla fine il caso si risolse con una lievissima condanna senza detenzione. Dopo la condanna viveva sempre a Gonnesa. Solo io cercavo di stargli vicino e di limitare le sciocchezze che combinava. Poi un giorno, nel 2006, è svanito nel nulla. «È risultato che aveva venduto tutto, raccolto il denaro, chiuso i conti ed era sparito con una ragguardevole somma di contanti in Euro. Il direttore della banca me lo disse in via del tutto confidenziale: credo si fosse commosso davanti alla mia disperazione. Mia madre è morta di dolore poco dopo, mio padre ha tenuto duro fino al 2013. Si è dedicato all’attività e a me. Questi ultimi anni insieme a mio padre sono stati splendidi e hanno un po’ alleviato le nostre sofferenze… e adesso arriva lei, a dirmi che Paolo era diventato un terrorista e ha dovuto ucciderlo. Mio Dio, o mio Dio…» Angela si copre il volto con le mani. Silenzio. Elisa sospira: «Angela, ci ha raccontato una storia terribile, le ripeto ancora quanto mi dispiace. Se potessi ora raccontarle la storia della mia famiglia, di mio nonna e mio nonno, e di Vittoria, la nonna di mio


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marito Marco, le sarebbe subito chiaro che io la capisco come nessun altro. Glielo sto dicendo con tutto il cuore.» Elisa tace ancora un momento, è afflitta più che mai. «Le interessa conoscere la verità su suo nipote?» domanda all’improvviso dopo una lunga pausa. «Sì, a questo punto voglio disperatamente sapere» risponde Angela. «Allora ci permetta di riesumare sua sorella per un esame del DNA. Credo che lei sia l’unica parente. Dov’è sepolta?» «Nel cimitero di Gonnesa, insieme a mio cognato. Va bene, vi autorizzo a procedere a quanto necessario, firmerò quel che c’è da firmare.» «Lei non ha per caso anche il numero di telefono di suo nipote? Ci sarebbe utilissimo.» «Dev’essere ancora segnato nella mia agenda, io sono un po’ all’antica. Ho smesso di chiamarlo anni fa. A dire il vero non era sempre staccato, anche se nessuno rispondeva o richiamava. Poi più nulla. Cerco l’agenda e ve lo do subito.» Elisa stenta a contenere la sua soddisfazione. Poi aggiunge con delicatezza: «Lei è anche la persona che può rivendicare la salma di suo nipote. Vorrebbe farlo? Noi l’aiuteremmo in tutto. Forse, quando Paolo sarà sepolto insieme a sua sorella e suo cognato, riposeranno tutti in pace, finalmente, e forse anch’io mi sentirò meno angosciata…» «Ho capito subito che lei era arrivata per farmi soffrire, ma non è colpa sua, lei è una brava persona, Elisa. Sì, la mia risposta è sì: potete aiutarmi a farlo?» chiede Angela con le lacrime agli occhi. Quando lasciano la casa, i tre funzionari di polizia si dirigono verso la litoranea poco distante. La strada corre parallela a una spiaggia lunghissima. Forma una mezzaluna di sabbia dorata, leggermente concava, separata dall’asfalto da basse dune naturali, sulle quali culmina a tratti una recinzione di canne, interrotta qua e là da accessi pedonali lastricati. L’agente è lì che aspetta, fra la strada e la spiaggia, vicino all’auto di servizio. «Sono le 13:15 e abbiamo l’aereo alle 18:00. Vorrei camminare un po’» dice Elisa. Il racconto di Angela Celusi ha lasciato il segno sulla giovane mamma. Le ha risvegliato le angosce nascoste legate alla sua storia, che l’amore di Marco e la felicità donatele da Barbara non riescono a rimuovere


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completamente. Confessare a una persona conosciuta da poco, ma verso cui ha provato subito empatia, che è stata lei a uccidere suo nipote, è stato terribile. «Se ben ricordo, all’estremità settentrionale della spiaggia troveremo qualche locale dove fare uno spuntino, se vi va. Alfredo potrebbe precederci con l’auto. Poi vi riporteremmo a Cagliari» suggerisce l’ispettore. «Perfetto, ispettore, andiamo! E non abbiatevene a male se io con le mie Nike vi lascio per strada.» Si portano sul bagnasciuga e si mettono in cammino. La spiaggia è praticamente deserta. Elisa li precede di buon passo, assorta e pensosa, Fontani e Rosselli la seguono parlottando. A Marcello non sfugge l’ammirazione dell’ispettore per il vicequestore Grassi, che di tanto in tanto si ferma per scattare una foto. In effetti, se non fosse per la Beretta a tratti visibile al suo fianco, Elisa con i suoi jeans aderenti firmati, il giubbotto sportivo, le scarpe da ginnastica e la brezza che le distende i capelli, sembrerebbe una modella impegnata in un servizio fotografico. Così, quando dopo una ventina di minuti arrivano alla terrazza con verandina di un locale proprio sulla spiaggia, Marcello si offre generosamente di scattare una foto ai due colleghi in posa, col mare alle loro spalle, guadagnandosi l’eterna gratitudine del collega più giovane. «È stata dura, ma abbiamo raccolto delle informazioni utilissime» confessa Elisa un’ora più tardi, mentre consuma gli ultimi pezzetti di pecorino e di pane carasau rimasti sul tagliere al centro del tavolo «e questi due o tre chilometri sulla riva del mare e sotto il sole, mi hanno rigenerato.» «Vedo che anche il pecorino e le salsicce sarde non le ha disprezzate. Ha mai provato le seadas, Elisa?» «Ne ho solo sentito parlare. Come le dicevo, non ero mai stata in Sardegna.» «Obbligatorie allora, ne faccio portare tre con i caffè e poi possiamo andare.»


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CAPITOLO 4

Volo Cagliari–Milano, venerdì 2 ottobre «Mi pare che siamo in orario. Forse potrò essere a casa per le otto, anche se i miei suoceri avranno già dato da mangiare a Barbara.» «Mi dispiace che ti ritrovi a fare i salti mortali da neomamma, ma so benissimo che non intendi rinunciare…» «Te lo confermerò se e quando arriveremo alla fine di questa storia, Marcello. Per fortuna domani e dopo posso dedicarli alla famiglia» poi improvvisamente Elisa domanda: «di che cosa stavate parlottando, tu e Rosselli, in spiaggia?» «Della tua storia, naturalmente, l’ispettore schiattava dalla curiosità dopo aver ascoltato la tua conversazione con Angela Puddu…» «Ma pensa un po’, chi ti ha detto che potevi farlo? E che cosa gli hai raccontato?» «Un riassunto il più conciso e completo possibile, considerati i pochi minuti a disposizione. Era commosso quando gli ho raccontato di Pietro e di Massimo, il fratello di Vittoria morto nel Lago Maggiore davanti al Sasso Galletto vicino a Laveno, assassinato da tuo nonno nel 1943…» poi aggiunge, canzonatorio: «invece non era poi così contento quando ha saputo come hai salvato il tuo futuro marito nel tunnel della Linea Cadorna, nel maggio 2013. Sarà stato geloso?» «Oh povera me… sono sempre costretta ad ascoltarti… Marcello lunedì ti faccio trasferire, brutto spione!» Milano, sabato 3 ottobre «Spero che venire a piedi fin qui da Corso Monforte non sia stato troppo faticoso per te, Vittoria» dice Elisa mentre salgono la rampa della chiesa di Santa Croce, in via Sidoli, spingendo il passeggino di Barbara. «Sono solo un paio di chilometri verso est, da Piazza San Babila. Avevamo tempo, dato che l’appuntamento è stato fissato alle undici e


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mancano ancora dieci minuti. Come credi che sia arrivata a quasi novantadue anni? Viaggiando sempre in auto, prendendo ascensori e stando seduta? Inoltre, per un sacco di ragioni non potevamo più aspettare per il battesimo di Barbara, siamo in ritardo di almeno sei mesi. Non dimenticare che al ritorno passerà a prenderci Marco in auto.» Vittoria è solo scherzosamente stizzosa, sa bene che la nipote acquisita ormai la conosce perfettamente. «Beh, veramente io e Marco ci eravamo interessati per procedere in San Simpliciano, ma tu hai fatto fuoco e fiamme, poi ci siamo un po’ persi per strada…» «Quando ci trasferimmo a Milano dopo la guerra, e Pietro avviò la sua impresa, abitavamo prima nelle case popolari di via Tiepolo e poi in via Giovanni da Milano, sempre nel territorio di questa parrocchia. Massimo è stato battezzato qui, Marco è stato battezzato qui… quindi Barbara sarà battezzata qui. Piuttosto, i tuoi documenti sono arrivati da Serravalle? Sono a posto? «Certamente… sarei dovuta venire con Marco…» «Mi presti la Beretta o devo sfilartela con destrezza, per poterti sparare? Lo sai che ne sono capace!» «Ah, ah, ti credo sulla parola! Mi dispiace ma non l’ho portata, ho solo l’otturatore. Basta sparare alle persone, anche se fosse inevitabile!» si rammarica Elisa e insieme scoppiano a ridere. Intanto hanno attraversato la chiesa e sono uscite dalla porta laterale. Invece di abbandonare l’edificio infilando l’uscita secondaria su via Goldoni, Elisa segue Vittoria attraverso un’altra porta che collega a un edificio adiacente. Il passaggio immette su un lungo e ampio terrazzo con veranda, con veduta verso un grande cortile interno da una parte, mentre sull’altro lato si aprono le porte di diversi uffici. Vittoria, che sembra conoscere abbastanza bene il luogo, si affaccia insieme a Elisa sulla porta del primo ufficio per chiedere di essere ricevuta dal Parroco. Appena alza la testa, la persona che all’interno sembra fungere da segretaria esclama: «Commissario Grassi!» «Signora Tilli? Cosa ci fa qui? Come sta?» «Sto bene, commissario, anzi vicequestore mi hanno detto. E questa bellissima bimba è sua figlia?» «Certo, si chiama Barbara.»


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«Allora siete voi le persone che hanno appuntamento con il parroco, Padre Giovanni? Che incredibile coincidenza!» «Già, ma lei invece? Vedo che muove il braccio abbastanza bene. A dicembre saranno due anni che è stata ferita gravemente alla spalla.» «Ed è un anno che ho finito di prestare un periodo obbligatorio ai servizi sociali. Potrò mai ringraziarla? Il mio ex marito Davide ordinò di ucciderla e lei fu gravemente ferita. Poi io l’avevo ostacolata in tutti i modi e lei invece salvò in extremis la mia vita e quella di mia figlia Beatrice dai trafficanti centroamericani clienti di mio marito, dopo che ci avevano sequestrato. Non contenta, dopo aver risolto il caso, ha interceduto presso il giudice Gilli, e così io ho solo dovuto impegnarmi a sei mesi di lavori socialmente utili, restando con la fedina penale immacolata. Ho potuto continuare a insegnare all’Università, evitando che un momento di follia mi rovinasse del tutto la vita!» «Ho fatto solo quello che ritenevo giusto… ma vedo che lei è ancora qui!» «Conclusi i miei obblighi ho pensato che, visto che l’esperienza era stata bella e significativa, avrei potuto continuare a prestare la mia opera da volontaria e non più da “pregiudicata”. Adesso una volta a settimana viene anche Beatrice.» Elisa è in imbarazzo, anche per lo sguardo estremamente compiaciuto apparso sul volto di Vittoria. «Quindi, come vede, io e Gilli avevamo ragione… sono molto contenta. Venite, vi accompagno nell’ufficio di Padre Giovanni.» *** «Sai Marco, sono proprio contenta che Vittoria mi abbia fatto conoscere Padre Giovanni, una persona squisita e di un’apertura mentale straordinaria, nonostante la sua età.» Elisa e suo marito sono in auto diretti a casa, dopo aver accompagnato Vittoria in Corso Monforte. «Anche Padre Francesco, l’archivista, è stato gentilissimo quando siamo andati da lui per controllare i miei certificati. Abbiamo conosciuto diverse ottime persone oggi, e anche rivedere Adele Tilli è stato bello. La spalla gliel’avevo curata io per primo, ad Arabba, dopo quel terribile scontro a fuoco. Come dimenticare un’avventura così drammatica? Per fortuna ora si presta come volontaria in un luogo dove


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non potrĂ certo rivivere le terribili esperienze di due anni faÂť aggiunge Marco senza immaginare che sta commettendo un clamoroso errore di valutazione. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


INDICE

NOTA DELL’AUTORE................................................................ 5 PROLOGO.................................................................................... 7 PARTE PRIMA: L’ESORDIO DEL TERRORE .......................... 9 CAPITOLO 1 .............................................................................. 11 CAPITOLO 2 .............................................................................. 17 CAPITOLO 3 .............................................................................. 21 CAPITOLO 4 .............................................................................. 37 CAPITOLO 5 .............................................................................. 41 CAPITOLO 6 .............................................................................. 53 CAPITOLO 7 .............................................................................. 61 PARTE SECONDA: SANGUE A CITTA’ STUDI ..................... 71 CAPITOLO 1 .............................................................................. 73 CAPITOLO 2 .............................................................................. 81 CAPITOLO 3 .............................................................................. 88 CAPITOLO 4 .............................................................................. 94 CAPITOLO 5 .............................................................................. 99 CAPITOLO 6 ............................................................................ 111 CAPITOLO 7 ............................................................................ 122


PARTE TERZA: IL COMPLOTTO SVELATO ....................... 131 CAPITOLO 1 ............................................................................ 133 CAPITOLO 2 ............................................................................ 139 CAPITOLO 3 ............................................................................ 147 CAPITOLO 4 ............................................................................ 158 CAPITOLO 5 ............................................................................ 170 CAPITOLO 6 ............................................................................ 181 CAPITOLO 7 ............................................................................ 189 EPILOGO ................................................................................. 199 RINGRAZIAMENTI ................................................................ 203 DELLO STESSO AUTORE ..................................................... 205 Â


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Terza edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2020) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.



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