A pochi passi da te

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Disponibile anche: Libro: 12,50 euro (dal 27 gennaio 2012) e-book (download): 8,49 euro e-book su CD in libreria: 8,49 euro


Collana SELEZIONE Serie BIG‐C Grandi Caratteri La serie Big‐C, Grandi Caratteri, grazie all’alta leggibilità del carattere utilizzato in stampa e alle sue dimensioni (generalmente 13 o 14), propone testi di agile lettura rivolti in particolare a lettori con problemi visivi (ipovedenti). La serie Big‐C Audio, Grandi Caratteri agevola la lettura grazie al carattere ad alta leggibilità e grandi dimensioni ed è rivolta in particolare a persone ipovedenti o con problemi di dislessia. Precisiamo che per i lettori con problemi di dislessia sono in commercio pubblicazioni a stampa realizzate con caratteri e accorgimenti particolari, che i libri della nostra serie non utilizzano. Tuttavia, il carattere utilizzato nella serie Big‐ C (Candara) si presta comunque molto bene allo scopo. La presente opera è stata realizzata SENZA alcun finanziamento o contributo statale, pubblico o privato, ma esclusivamente con il capitale della Casa Editrice. www.jukebook.it www.0111edizioni.com



ROBERTO PELLICO

A POCHI PASSI DA TE

Serie Big‐C Grandi Caratteri www.0111edizioni.com


www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com A POCHI PASSI DA TE Zerounoundici Edizioni Copyright © 2012 Roberto Pellico ISBN: 978‐88‐6307‐406‐2 In copertina: Immagine Shutterstock.com Finito di stampare nel mese di Gennaio 2012 da Logo srl Borgoricco ‐ Padova


Prefazione Avrei potuto camuffare la realtà e spacciare questi racconti per pura immaginazione. O peggio ancora, avrei potuto adattarli, come mi aveva suggerito un editore, e renderli più ordinari. Ho preferito avere fiducia nei lettori anziché nelle statistiche... e poi, come avrei spiegato a quelle persone a cui avevo chiesto autenticità che c'era l'esigenza di rendere le loro vite adatte a un pubblico di riferimento più convenzionale? Ebbene, tutte le persone che incontrerete in queste pagine fanno parte o hanno fatto parte della mia vita nello stesso modo in cui le ho raccontate. Soltanto ad alcuni ho cambiato il nome. Molti di loro, invece, potreste addirittura incontrarli e riconoscerli negli stessi posti in cui li ho incontrati io. Chiedo scusa, infine, per aver rubato alcune di queste storie negli occhi dei legittimi proprietari. Mi rammarico... avrei chiesto il permesso se solo ce ne fosse stata l'occasione o ne avessi avuto il coraggio. Non cedete, dunque, come ho fatto io, alla voglia di giudicare. Quando ho sentito il bisogno di chiedere a uno di loro "perché?", è stata questa la risposta: «Il solo modo che abbiamo per capire è restare fermi, in silenzio, ad ascoltare.»



Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c'è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome. André Aciman



Alle persone a cui appartengono queste storie... senza ognuna di loro, mi sarei perso qualcosa di importante.



Quell’abbraccio così



13

Abbasso il finestrino di qualche centimetro, l’aria entra violenta, quasi cercasse di portarmi via i pensieri. Davide è seduto al mio fianco, non parla, se ne sta con le mani strette sul pacchetto di sigarette e guarda al di là del vetro. Non dice niente, resta in quel silenzio determinato di chi non ha più niente da dire. Ogni tanto mi volto dalla sua parte: «Perché lo stai facendo?» sussurro. Lui risponde senza guardarmi. «Ne abbiamo già parlato. È deciso così!» non lascia speranza alle parole. Alessio, sul sedile di dietro, sta appoggiato sul suo cuscino colorato. Ha soltanto quattro anni ma sorveglia il mondo con i suoi occhi spalancati. Gli faccio una faccia stupida nello specchietto, lui mi sorride, gli sorrido anch’io, gli dico con gli occhi che non ha niente da temere e so di raccontargli bugie. «Non rendere le cose ancora più difficili» continua «lo sai anche tu... è la soluzione migliore per tutti.» Che sia la soluzione migliore per tutti non ne sono convinto, lui che decide di separarsi dopo otto anni di convivenza, lui che decide di andare a vivere dai suoi con Alessio, lui che decide di portarmi via tutto. «L’ho cresciuto anch’io!» lo dico sottovoce, non litigare davanti al bambino fa parte degli accordi della nostra famiglia.


14 «L’ho cresciuto anch’io, cazzo» e cerco di trattenere la rabbia in mezzo ai denti. «Lo so, ma io...» si interrompe, come quelle volte in cui sai che quello che stai per dire può ferire. «Ma io cosa?» gli chiedo, come quelle volte in cui sai che farà male ma non puoi fare a meno di farlo. «Io... io sono il padre naturale» dice e ha il tono fermo, deciso, raccoglie il mio cuore in un pugno e lo spezza. Lo butta fuori dal finestrino. Spiegatemelo voi che cazzo vuol dire, credevo che due persone come noi non avrebbero dovuto fare i conti con certe cose, credevo che discriminazioni ne avessimo già subite abbastanza da non dover ridurre i sentimenti a una maledetta etichetta. Invece dice proprio così: «Io sono il padre naturale» e preme la voce su “io” e “naturale”, come se il significato delle nostre vite si riducesse soltanto a quelle parole. Non si ricorda più di noi, delle promesse, degli ultimi quattro anni passati a difendere il significato della nostra vita insieme. Dicevamo nostro figlio e non ci faceva paura sapere che sarebbe stato difficile difenderci dalla gente. Ci bastava sentire la voce di Alessio chiamarci Papà Lorenzo o Papà Davide per farci passare ogni timore. Non ci importava cosa pensavano gli altri, sapevamo di mettercela tutta per essere dei bravi genitori, sapevamo che l’amore per Alessio valeva qualsiasi compromesso. Eppure non ci saranno avvocati e assistenti sociali in questa storia, né vacanze alternate o weekend da concordare. Davide si tiene tutto. Si tiene tutto senza condizioni, perché gli basta essere il padre biologico per poterlo fare, perché è


15 così che sono gli esseri umani: a un certo punto si stancano, trasformano i propri diritti in armi che servono a fare del male. Ho provato a gridargli per mesi il mio dissenso: mi sembrava ridicolo il fatto che parlasse di affidamento, di soluzioni, di genitori normali. Gli ho detto che tra noi esistevano dei patti che andavano al di là dei diritti legali, che c'erano altre due persone di cui avrebbe dovuto tener conto. Non riuscivo a credere che, dopo tutti questi anni, la nostra storia potesse finire così, che dopo la sofferenza di un amore, in cui io ero l’unico che si ostinava ancora a credere, volesse impedirmi anche di vedere Alessio. Mi sembrava inammissibile, perché io e Davide avevamo condiviso troppe cose per farci del male. C'erano quei momenti inequivocabili a dimostrarlo, come quella volta in cui doveva partire per una settimana e io e Alessio lo avevamo accompagnato alla stazione. Arrivato il treno Alessio piangeva, non ha mai amato le partenze, a quel punto ci siamo presi per mano tutti e tre, ci siamo chiusi in un cerchio e abbiamo canticchiato ad alta voce: «Giro giro tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti giù per terra!» Poi, mentre Alessio aveva ritrovato il sorriso, il controllore aveva invitato gli ultimi passeggeri a salire sul treno. Davide ci aveva tenuti vicino per qualche secondo: «Mi mancherete...» aveva detto e con un bacio gli avevamo ricordato che al suo ritorno saremmo stati lì ad aspettarlo. Era così, davanti a un binario, che ci eravamo accorti di aver superato l’imbarazzo, quella vulnerabilità di sentirci diversi. Che vi piaccia o no, eravamo una famiglia. ***


16 La macchina scivola sull’asfalto silenziosa. Penso ai nostri ricordi stasera, penso a quella volta in cui Alessio aveva la febbre alta, l'avevamo messo in mezzo, nel nostro letto, ed eravamo rimasti svegli a fare da guardiani ai suoi sogni. «Mi passi il termometro che mi sembra gli sia salita di nuovo la febbre?» «Tieni.» «È così bello non trovi?» «Tutto suo padre» lo prendo in giro. «Lorenzo?» «Sì?» «Tu non hai mai paura?» «Di cosa?» «Sì insomma... che un giorno tutto questo possa finire.» «Perché dovrebbe finire?» «Non lo so...» «Tu e Alessio siete la cosa più bella che ho. Non ho nessuna intenzione di perdervi.» «Ti amo, lo sai?» «Ti amo anch'io» gli dico. Non si dovrebbe dare tutta questa importanza alle parole e invece le parole rimangono come segni scolpiti su una pietra, non riesci a cancellarle, neanche quando vorresti. Adesso li guardo da lontano questi momenti, vorrei non fossero miei, vorrei non fossero miei perché sarebbe più facile dimenticarli. ***


17 Rallento. Siamo quasi arrivati. Alessio non parla molto stasera, non fa capricci, forse siamo noi gli ingenui a pensare che non abbia capito niente. Eppure Davide ha organizzato tutto con discrezione, con freddezza, si è preso tempo per riflettere e ha pianificato un piano perfetto per cancellarmi dai ricordi. «Vado qualche giorno dai miei» così mi ha detto qualche giorno fa. «Non porto via niente per il momento, facciamo le cose con calma, per Alessio, non voglio che il distacco sia un trauma. Gli dirò che sei fuori per lavoro, che tornerai, passerò a prendere le nostre cose poco alla volta. Col tempo comincerà a non chiedere più quando tornerai, quando torneremo a casa. I bambini dimenticano in fretta, Lorenzo. E smettila di dirmi che è anche tuo figlio, lo so che lo ami anche tu, è proprio per questo che devi capire che è la soluzione migliore. Tra me e te non funziona più, che alternative abbiamo? Potremmo continuare a discutere, ma ci faremmo solo altro male e tu in ogni caso non avresti mai l'affidamento del bambino. Allora è meglio affrontare le cose con maturità. Lo so che non sarà facile, non lo è nemmeno per me, credimi, ma non possiamo crescerlo come due genitori normali che si separano, lo sai bene, noi... noi abbiamo una situazione più complicata.» Ho perso il controllo quella sera. L'ho bloccato con le braccia sul letto e l'ho guardato dritto negli occhi, il battito del cuore accelerato e la rabbia nelle vene. «Tu non puoi farlo!» gli ho urlato, con la forza della disperazione tra le parole.


18 «Lasciami, stronzo.» «Scusa... non volevo. Ti ho fatto male?» Mi fa più male lui con le parole. «O fai come ti dico io o me ne vado da questa casa domani e ti faccio una diffida, non ti farò sapere neanche come sta, sono stanco del tuo comportamento.» Mi sono rassegnato, ho messo la rabbia in disparte. Per Alessio. Soltanto per lui. *** Parcheggio la macchina in strada, non entro nel cortile, voglio essere pronto a fuggire da questo momento. Saluto Davide secondo il copione, un bacio frettoloso sulla guancia che ha il sapore del fiele. Alessio mi guarda smarrito. «Fai il bravo piccolo» gli scompiglio i capelli con una carezza. «Ci vediamo tra qualche giorno.» Lui mi salta in braccio. «Non mi vuoi più bene, papà?» mi dice. Questo non era scritto nel copione, mi si stringe il cuore, Davide non l’aveva previsto. «Ma cosa dici, certo che te ne voglio... e tu? Tu quanto bene mi vuoi?» Lui allarga le braccia. «Tanto così!» mi dice, poi allunga le mani e mi si stringe forte intorno al collo. È un sussurro lieve: «Allora promettimi che resti sempre con me.»


19 È così, mentre arriva la sera, che il dolore si infila nelle viscere, che mi attraversa il cuore e si diffonde in ogni parte del corpo. Mi scende una lacrima. Glielo prometto, gli prometto che resto... in quell'abbraccio così non puoi fare altro che rimanerci per sempre.



Non siamo di pietra



23

La notte ce la passiamo qui io e le altre. E quando non fa freddo non è nemmeno così male vivere in strada. Ce la raccontiamo senza troppe menate sui pudori e sulla buona educazione. Quella troia laggiù è Pietra, la chiamano così per via del suo caratteraccio, però non è così stronza come sembra, bisogna solo saperla prendere dal verso giusto. Com'è che li chiamate voi quelli come lei? "Transgender", se non sbaglio. Io la chiamo per nome: Vecchiabaldracca. Giuro che le si addice di più. E non fare quella faccia, noi ci vogliamo bene così, senza troppi "Amori" e "Tesori" tra le parole, che se no ci viene un senso di nausea a fare tutte quelle smorfie dolciastre e poi magari ci tocca pure andare dal chirurgo a dare una ritoccata alle rughe. Di fronte a lei invece, c'è quella checca isterica di Laica, così chiamato per essere finito al fresco dopo aver imbrattato la chiesa del paese con bestemmioni e murales contro il papa. Ha poco più di vent'anni, cosa vuoi, agisce e sparla senza pensare. A sentirlo poi, come le fa lui le pompe non le fa nessuno. Però i clienti li acchiappa davvero quel rottinculo, con quegli occhioni azzurri e quelle chiappe strette si fa sbattere bene. E poi ci sono io: Sofia. Ma tu chiamami come ti pare, tanto qui


24 i nomi hanno poco valore, ce li danno, ce li scegliamo, ce li scambiamo come facciamo con gli uomini. Ci passiamo anche i vestiti, le parrucche, i preservativi e i libri. Ma non quelli dei grandi filosofi e letterati dell'essere o non essere e del quale cazzo è il problema. Non ci capiamo una mazza di quella roba là. Compriamo libri di vita vera, di gente a cui la vita è passata addosso e magari ha pure lasciato un bel segno sulla fronte. Adesso aspettami qui però che c'è Giulio che mi vuole per una mezz'ora. Sì, è quello là col Mercedes che è un gran figlio di puttana, ma che ci vuoi fare, dobbiamo pur guadagnarla la pagnotta, pure con gli stronzi che più stronzi non riesci a trovarne. *** È andata! È sempre la stessa storia con lui. Gli piace così, è un po’ perverso e io lo lascio fare. Appena salgo in macchina mi mette una mano in mezzo alle cosce, continua a guidare fino al piazzale più avanti e mi dice che sono una sgualdrina, che adesso ci pensa lui a punirmi come non ha mai fatto nessuno. Mi dice toglimi‐fuori‐la‐minchia‐e‐succhia‐che‐se‐non‐obbedisci‐ ti‐faccio‐male. E mi spinge la testa con forza verso le palle che se non sto attenta mi soffoca. Poi lo ferma quel cazzo di macchinone scuro e scende, gira dalla mia parte e mi tira fuori per i capelli. Mi mette a novanta e me lo sbatte nel culo come un animale e io lascio che mi trafigga con foga, che così magari finisce prima, mi dà i soldi che mi deve e se ne torna a casa dalla mogliettina cornuta. Mentre mi scopa dice che sono una


25 lurida zoccola e io dico sìì‐più‐forte‐ti‐prego, che so che lo eccito facendo la cagna, e lui dice maiala‐schifosa‐lo‐so‐che‐ti‐ piace e io urlo come una gatta in calore, lui mi dice dimmi‐che‐ vuoi‐essere‐chiavata‐come‐una‐puttana e io lo dico, chiavami‐ come‐una‐lurida‐puttana, tanto il coglione non lo sa che non sento niente, che mi fa proprio pena, e allora un poco mi diverto a farcelo credere ed esagero con le urla, con le parole. Dico che nessuno mi aveva mai punito così, che sono davvero una zoccola, che solo lui ha capito come si trattano quelle come me, gli dico non‐avere‐pietà‐fammi‐male e lui allora è contento, viene che è una pasqua, mi lascia un centone tra le mutande e finalmente se ne va affanculo. *** Adesso non cominciare. Che non le reggo le domande del tipo hai‐mai‐pensato‐di‐cambiare‐vita, perché‐lo‐fai? e puttanate del genere. Se ti togli di dosso quel pregiudizio che lo sento puzzare fin qua, ti accorgi che non è poi così male, non sono gli uomini che ti usano, sono io che uso loro o forse ci usiamo a vicenda, come il tuo capo usa te per questo servizio di merda e tu usi lui per il tuo stipendiuccio da morto di fame. Ecco, quello laggiù è di Pietra, passa tutti i martedì sera alle 22:30 e se la carica in macchina, è un appuntamento fisso ormai, il martedì deve avere il giorno di libertà vigilata rilasciato su gentile concessione dalla sua cara e cornutissima moglie. Non so dirti molto di lui, Pietra non ci parla mai dei suoi clienti, quando le chiediamo quanto‐grande‐ce‐l'ha‐il‐ condannato? (è così che lo chiamiamo io e Laica, per via della


26 triste vita che immaginiamo passi in casa sua), lei ci risponde sempre la solita cosa: sono‐tutti‐uguali‐gli‐uomini ,indipendentemente‐dalla‐grandezza‐del‐pisello: porci‐e‐stronzi. Povera Pietra, chissà chi è quel bastardo che le ha ridotto il cuore in questo modo. Sì, viviamo insieme noi tre e stai sicuro che ne vedi di tutti i colori che a raccontarle non ci credi neanche. Qualche mese fa quel finocchio di Laica torna a casa che gli avevano spaccato la faccia a suon di pugni e lo dovevi vedere come l'avevano conciato quei bastardi razzisti dei quartieri bene. Lui continuava a piangere e a dire che non ce la faceva più a sopportare il dolore e noi a tamponare il sangue che continuava a scorrere insieme alle lacrime, a dirgli che essere froci e pure marchette non è mica semplice, a ripetergli devi‐ essere‐forte.‐Presto‐tornerai‐in‐strada‐a‐sculettare‐con‐le‐tue‐ belle‐chiappe‐da‐culattona. E lui ci dice Porcocane‐guarda‐ come‐mi‐hanno‐conciato‐quegli‐stronzi. Che‐brucino‐all'inferno! Pietra nel frattempo con le bestemmie aveva tirato giù tutti i santi dal cielo e pure tutte le madonne vergini e i Gesù cristi. Poi ha preparato una striscia di coca e gli ha detto prendi‐ questa‐che‐ti‐fa‐bene, ma lui non ce l'ha fatta a tirarla su perché c'aveva pure il naso mezzo spaccato, così gli abbiamo dato una vodka, poi un Montenegro, poi un gin e noi ci siamo tirate su biancaneve che avevamo bisogno di distrarci per dare una calmata ai nervi. Un'altra volta siamo andate a trovare Ursula al cimitero, persino lì ci siamo fatte riconoscere. Laica ha cominciato a fare un monologo davanti la tomba di Ursula che ci ha fatto sbellicare dalle risate, diceva: Ursula‐beata‐te‐che‐sei‐in‐Paradiso.Chissà‐da‐quanti‐


27 superdotati‐ti‐starài‐facendo‐trombare‐lassù. Le‐vere‐puttane‐perdono‐le‐parrucche‐ma‐non‐il‐vizio, mia‐cara. E‐noi‐qui‐a‐fare‐la‐fame‐con‐quattro‐vecchi‐bavosi‐per‐ guadagnare‐la‐nostra‐misera‐pagnotta. E noi glielo dicevamo di smetterla di dire quelle stronzate che la gente ci stava guardando, ma le checche sono testarde che non vogliono sentire ragioni. E un po’ ci vergognavamo e un po’ ce la ridavamo. A un certo punto però abbiamo smesso di ridere, ci siamo soffermate a guardare la foto di Ursula su quella lapide chiara. Per un attimo abbiamo avuto la sensazione di riaverla con noi. Ce l'hanno portata via, una notte, una macchina tra tante. L'abbiamo ritrovata morta la mattina seguente distesa sull'erba, qualche centinaio di metri più avanti a dove battiamo la sera. Quando l'abbiamo trovata facevamo fatica a riconoscerla da come l'avevano conciata. Dovresti scrivere questo sul tuo articolo, non di come viviamo, ma di come quelle come noi muoiono senza giustizia perché non gliene frega niente a nessuno. Laica a quel punto ha cominciato a piangere e noi due dietro di lei come due fontane. Ricordo di aver pensato che se Ursula avesse potuto vederci, avrebbe usato il suo sorriso di sempre e ci avrebbe detto: non‐piangete‐ragazzeeee‐che‐vi‐cola‐il‐ mascara. E allora noi avremmo incominciato a ridere come tre cretine un po' oche e avremmo dimostrato alla vita che non era capace di ferirci ancora. Ma il sorriso di Ursula in quel momento faceva parte di un passato che faceva ancora troppo male e non aveva parole per essere spiegato.


28 Tu hai ragione, quando dici che siamo sboccate, acide, volgari e un po' insensibili. Però quel giorno abbiamo pianto sul serio, abbiamo riposto la maschera nella borsetta e non ci siamo preoccupate del mascara che ci colava sul viso. Quel giorno abbiamo pianto… perché non ce l'abbiamo fatta a prendere a schiaffi la vita. L'avresti mai detto, giornalista? Siamo in grado di piangere anche noi... FINE ANTEPRIMA CONTINUA...


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