Manitese n. 478 - may/jun 2012

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Periodico di Mani Tese, organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli. anno XLVIII | maggio-giugno 2012

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Risorse naturali: beni comuni o vizi privati? Di ritorno dall'India

Ovvero un'esperienza “speziata� di giustizia ambientale

dossier

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.

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Risorse naturali: beni comuni o vizi In marcia per il privati? diritto al cibo! Una marcia in giro per il mondo per promuovere il diritto al cibo buono, democratico e sostenibile. Marcia con noi su: www.foodforworld.org


manitese 478 | maggio-giugno 2012 di luigi idili, presidente di mani tese

Di ritorno dall'India.

Ovvero un'esperienza “speziata” di giustizia ambientale.

Luigi Idili, presidente di Mani Tese

indice 6 Rio+20: punto di svolta o occasione perduta? 8 Quale economia verde? 10 Ecuador: la Legge della terra 14 SottoSopra! dossier 15 Di ritorno dall'India 16 Il fiume violato 17 La diga Polavaram 18 Tirupur e Ambur 19 20 22 24

Il golpe in Guinea Bissau La crisi d'identità della Cooperazione Cacao & lavoro infantile Crescere diritti. Educazione per una cittadinanza mondiale. 25 Percorsi didattici per studenti 26 I campi estivi di Mani Tese 27 Stop trafficking.

progetti 28 Campagna Coltiviamo il futuro 30 Vi ricordate del ciclone Laila?

Cari Amici, ben ritrovati. In questo nuovo numero di primavera, il nostro periodico sarà il diario dei nostri ragazzi appena tornati dall'India, 15 volontari animanti da passione e voglia di apprendere, guidati dai nostri colleghi di Mani Tese e partner indiani. Un viaggio lungo 20.000 km che racconta il nostro impegno di giustizia ambientale, un impegno partito tanto tempo fa e oggi entrato nel vivo grazie al primo workshop internazionale di Mani Tese: “Grabbing Development: Verso nuovi modelli di relazioni Nord/Sud per un utilizzo equo delle risorse naturali” (svoltosi in India dal 30 marzo al 14 aprile e finanziato dall'Unione Europea). Parlare di accaparramento di risorse naturali in un paese, l'India, che è la più popolosa democrazia del mondo e ormai crocevia dell'economia mondiale è tanto arduo quanto vitale: è infatti difficile opporsi allo sviluppo economico imposto dal mercato globale, ma è indispensabile sostenere i movimenti che si battono contro la realizzazione di dighe e strutture che costringerebbero milioni di persone a lasciare le proprie terre. La TERRA è un sostantivo che sempre di più ricorre nella nostra riflessione e progettazione, in Africa come in Sud America, dove sosteniamo i movimenti contadini dell'Ecuador, che per farsi ascoltare realizzano azioni di sensibilizzazione. Il 22 marzo infatti è stata convocata la “Marcia per l'Acqua, la Vita e la Dignità dei Popoli” che ha portato a Quito ben 15.000 persone da tutto il paese davanti all'Assemblea

redazione

contributi

Luigi Idili (dir.) Luca Manes (dir. resp.) Chiara Cecotti Angela Comelli Alberto Corbino Giosuè De Salvo Elias Gerovasi Elena Iannone Giovanni Mozzi Giacomo Petitti Lucy Tattoli

N. Arrigoni, M. Baldi, S. Ballada, A. Catalano, L. Colombo, M. Damin, D. Del Bene, G. Fumagalli, E. Grassi, M. Gregori, F. Lazzari, D. Lucchetti,

V. Malaguti, C. Mariotti, D. Mazza, P. Politi, L. Simonazzi, S. Squarcina, A. Stagni, G. Tedesco, S. Tini, A. Tricarico, C. Zaninelli, A. Zoratto.

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sede

Staff S.r.l. Buccinasco (MI)

P.le Gambara 7/9, 20146 Milano Tel. 02 40 75 165 manitese@manitese.it www.manitese.it

grafica Riccardo Zanzi

Nazionale, a cui è stato presentato un documento per richiedere di concretizzare la formulazione della “Legge della terra” e la “Legge dell'acqua”: in questo contesto MANI TESE in collaborazione con FIAN Ecuador, nostro partner locale, ha promosso il Congresso dei Senza Terra, per portare al centro dell'attenzione il tema della redistribuzione della terra nel paese. In Ecuador l'accesso alla terra rappresenta infatti uno dei principali fattori di ineguaglianza rispetto ad altri paesi. Insieme al tema dell'espropriazione parleremo di uso “esasperato” dei frutti della terra, ovvero la raccolta delle fave di cacao a carico di due milioni di bambini lavoratori, ridotti in condizione di schiavitù, coinvolti in Africa Occidentale nell'industria del cacao: le multinazionali agroalimentari infatti realizzano miliardi di euro di profitti sullo sfruttamento di questi bambini! È in atto una battaglia contro il “child labour” che ricorda le nostre battaglie contro il lavoro minorile avviate già agli inizi del 2000, quando Mani Tese lanciò in Italia l'appello per la tutela dei minori contro lo sfruttamento del lavoro infantile: oggi la nostra lotta contro ogni forma di abuso sui minori continua in Asia con “InTrattabili”, la nostra campagna contro la tratta degli esseri umani. Buona lettura e non dimenticate di marciare con noi su www.foodforworld.org per il DIRITTO AL CIBO BUONO, DEMOCRATICO E SOSTENIBILE.

periodico manitese

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | istantanea di Nicola Arrigoni


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India – AndHra Pradesh

Donne di ritorno dal mercato settimanale che si tiene nel villaggio di Kondamadalu. Qui si incontrano gli abitanti di decine di villaggi dei dintorni; questo tipo di esperienza verrebbe necessariamente a perdersi con la dislocazione e la diaspora delle comunitĂ tribali della Valle del Godavari. Ăˆ prevista la sommersione della Valle e con essa almeno 295 villaggi e relativi terreni, agricoli e forestali, in seguito alla costruzione di una grande diga nei pressi della cittadina di Polavaram.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | approfondimento Di alberto zoratti, fair – laboratorio per la sostenibilità

Rio+20: punto di svolta o occasione perduta? Mesi di negoziato, centinaia di pagine, decine di meeting. Questo è stato il percorso preparatorio per Rio+20, il Vertice su ambiente e sviluppo delle Nazioni Unite in programma questo mese a Rio de Janeiro. A vent'anni dal primo Earth Summit, a dieci da Rio+10 di Johannesburg, il mantra dello sviluppo sostenibile permane ed anzi si consolida dietro la nuova rivoluzione verde della Green Economy. A ridefinire la cornice e contesto ci ha pensato l'OCSE lo scorso febbraio, con il suo ultimo Environmental Outlook 2050 il cui titolo (Le conseguenze dell'inazione) parla da solo: perdita della biodiversità, acqua e cambiamento climatico, sono solo alcune delle questioni che stiamo lasciando sotto il tappeto e che, in caso nessuna correzione di rotta, porterebbero a conseguenze inenarrabili. Ma il Summit di Rio assume un profilo particolare se lo si inserisce in un contesto come quello descritto dall'OCSE e in uno scenario multilaterale in via di definizione. Rio+20 arriva sei mesi dopo la Conferenza Onu sul clima di Durban, in Sudafrica, dove nel dicembre 2011 si è mantenuto in carreggiata un negoziato per il rotto della cuffia. E a sei mesi dalla successiva Conferenza di Doha, in Qatar, dove il rischio di un ulteriore slittamento di una politica di impegni per tutelare il clima è più di una semplice preoccupazione, considerato che il Protocollo di Kyoto e il suo secondo periodo di impegni rischiano di venire svuotati di significato. Ma Rio+20 sarà anche a pochi mesi dalla Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Biodiversità (CBD), che si terrà ad Hyderabad nell'ottobre del 2012, possibile occasione di entrata in vigore del Protocollo di Nagoya sulle risorse genetiche, approvato nel 2010, ma ancora in attesa delle necessarie 50 ratifiche per diventare operativo.

In questo scenario di crisi economica e sociale sempre più profonda, leggere il Summit oltre alle questioni della Governance e della Green Economy ci permette di apprezzarne la fragilità, per il rischio di avere davanti un possibile momento di svolta. O l'ultima occasione perduta. Il percorso degli ultimi mesi ha visto delegazioni governative incontrarsi in diversi meeting, tra cui i vari formale-informale a New York, con approcci tattici e diplomatici spesso contrastati e che hanno messo a rischio di cancellazione dalla proposta di documento finale diverse questioni fondamentali come i diritti sociali, mantenendo la centralità del mercato come motore del prossimo sviluppo “sostenibile”. Perché la Green Economy in ogni sua forma, è diventata ormai il nuovo mantra per l'uscita dalla crisi. Nessun ripensamento sulle cause, né ricette vincolanti per curarne gli effetti, ma solo tanta buona volontà che ricorda l'approccio volontaristico e filantropico di una certa Corporate Social Responsability, in cui i diritti sociali e quelli dell'ambiente sono più gentili concessioni da sfruttare via marketing, che non una vera responsabilità etica verso l'altro da sé. In quest'ottica, inutile dirlo, i passi in avanti rischiano di essere pochi e un po' claudicanti. Gli effetti di una ritinteggiatura di verde delle politiche commerciali e di investimento delle grandi imprese senza una revisione profonda dell'impianto generale (sia ideale che regolatorio) rischiano di essere temporanei e non risolutivi, e per di più parziali, perché potrebbero affrontare la questione dell'inquinamento locale, ma non certo quello della crescita quantitativa (in un contesto di risorse molto limitate) e degli impatti sociali dello sviluppo così per come lo conosciamo. L'attuale sistema ha costi sociali oramai evidenti, si tratta di numeri dietro cui stanno persone e una sostenibilità ambientale senza una giustizia ecologica e sociale è un passo insufficiente per cambiare lo status quo. Ce lo dice l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, che spiega come dalle misure di austerità possa uscire solo maggiore disuguaglianza e recessione economica; lo riconferma l'IPCC, il Panel di scienziati Onu che stu-

Qui sopra, la copertina del rapporto OCSE Environmental Outlook 2050 (2011), intitolato “The consequences of inaction” (Le conseguenze dell'inazione).


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dia il cambiamento climatico, che avverte come stiamo per raggiungere i famigerati “tipping point”, i punti di non ritorno passati i quali l'atmosfera si modificherà in modo irreversibile; lo dimostra la vita di tutti i giorni, in cui il disagio sociale del lavoro che manca o che è a rischio di sfruttamento si aggrava per condizioni ambientali ai limiti del tollerabile (aumento degli eventi estremi, inquinamento e cementificazione).

Cambiare rotta: globalmente e localmente

Per mettere mano a tutto questo è necessaria una revisione del concetto di Governance globale. È possibile avere molti “Maître à penser” sui temi della globalizzazione, ma solo pochi “masters of puppets” come l'Organizzazione Mondiale del Commercio (sul multilaterale) o gli Accordi commerciali bilaterali, capaci di imporre politiche ai Paesi ed ai Governi? Anche questo è il grande tema: sull'ambiente esistono in ambito Onu diverse Convenzioni (sul clima, sulla desertificazione, sulla biodiversità), alcune organizzazioni (come la Fao), alcuni programmi (come UNEP, sull'ambiente), ma nessuna di queste riesce ad avere la forza impositiva della Wto e dei trattati commerciali. Così come non esiste, ancora, una vera e propria Organizzazioni Mondiale dell'Ambiente con capacità di intervento proattivo sulle politiche governative. Questo è, e sarà, argomento di discussione del futuro che verrà. Ma come si può capire, se l'aspetto della Governance internazionale è ineludibile, (come si farebbe del resto a contrastare un fenomeno così globale come il cambiamento climatico con singoli piani nazionali? Il rischio del “carbon leakage” cioè della fuga delle produzioni più inquinanti verso i “paradisi ambientali” sarebbe molto forte, azzerando ogni sforzo di reale cambiamento) esso è assolutamente insufficiente, come dimostrano gli ultimi anni di Conferenze Onu. Serve una forte mobilitazione dal basso, come stanno facendo in questi anni le Organizzazioni contadine di mezzo mondo nel presentare reali alternative ai mercati globali, come la sovranità alimentare ed il biologico; o come stanno dimostrando i movimenti sociali di opposizioni alle grandi infrastrutture insostenibili o

i movimenti dell'economia ecologica e solidale che di fatto stanno sperimentando la transizione verso una società realmente ecologica. La Cupola dos Povos, a Rio de Janeiro è lo spazio condiviso, partecipato, dei movimenti sociali e della società civile internazionale. È l'ulteriore tappa per coordinare le attività e le azioni delle reti sociali per cambiare un modello di sviluppo che non funziona. Ma la palla sta passando ai territori, alle realtà locali, che dovranno essere capaci di rilanciare pratiche e teoria della transizione necessaria. Senza autoreferenzialità né egemonismi, ma con la consapevolezza che o cambiamo rotta da subito o le conseguenze, per noi e per i nostri figli, potrebbero essere incalcolabili.

PER APPROFONDIMENTI Dossier su clima ed economia di Altreconomia: http://www.altreconomia.it/pdx/dossier_clima.pdf “Ri(e)voluzione”, il blog su clima e Rio+20 di Altreconomia: www.altreconomia.it/clima

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche Di Antonio Tricarico, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale – CRBM

Quale economia verde? finanza e politica

Negli ultimi anni si è parlato tanto di economia verde. Per motivi diversi sembra un passaggio inevitabile per l'umanità per far fronte alle crisi ambientali sempre più gravi che viviamo, in primis quella dei cambiamenti climatici. Per alcuni può addirittura rappresentare la soluzione alla crisi economica strutturale che le economie avanzate vivono. Per il settore privato alla ricerca di nuovi profitti è senza dubbio una strada interessante da esplorare. Insomma l'economia verde dovrebbe mettere tutti d'accordo o quasi, salvando ambiente e profitti, posti di lavoro e interessi delle comunità locali, l'economia e forse la stessa finanza. Una bella favola, senza dubbio. Peccato che a pensarla e a scriverla sono stati in pochi –alcuni governi, qualche istituzione internazionale e molti attori delle lobby private– e sulla base di poche assunzioni quasi dogmatiche, quale ad esempio la centralità del ruolo del settore privato nella promozione dello “sviluppo sostenibile” tramite la costruzione di un'economia verde. Dal 20 al 22 giugno prossimi i governi di tutto il Pianeta si incontreranno a Rio de Janeiro in occasione del ventesimo anniversario della storica conferenza delle Nazioni Unite su sviluppo e ambiente delle Nazioni Unite che si tenne nella metropoli brasiliana nel 1992. Allora, all'indomani della fine della guerra fredda e della vittoria dell'Occidente sul blocco sovietico, si volle coniugare la questione ambientale con quella del mancato sviluppo economico e sociale dei paesi impoveriti del Sud del mondo. “Il nostro futuro comune” si intitolava la dichiarazione finale del vertice. Nel 2002, la conferenza a dieci anni da Rio si svolse a Johannesburg, in Sud Africa, con il fine di sviluppare un piano di azione per l'ambiente e lo sviluppo. Al centro del

negoziato la definizione di partenariati tra pubblico e privato, le fatidiche PPP, che hanno prodotto poi risultanti modesti e spesso controversi. A venti anni dal primo vertice, la comunità internazionale si ritrova oggi per negoziare un nuovo piano di azione, intitolato “Il futuro che vogliamo”. Al centro dell'agenda la proposta di monetizzare i servizi forniti dagli ecosistemi naturali, per renderli “commerciabili”, così come già avvenuto per i permessi di emissione di anidride carbonica nell'ambito dei cosiddetti “mercati del carbonio”. Quello che le principali banche del pianeta hanno definito “capitale naturale” nella pomposa dichiarazione preparata per l'occasione. Così come nel 1992 diversi analisti critici ed attori della società civile organizzata chiesero di chi fosse il “futuro comune” in discussione, oggi la stessa domanda rimane valida e ancora evasa: chi è quel “noi” che decide il futuro e le possibile “mercatizzazione” della natura? Di chi sarà l'economia verde di cui si dibatte oggi? Quale economia verde si sceglie? Quella che beneficerà i grandi attori transnazionali, i gruppi finanziari, e pochi Stati oggi egemonici nel mondo? Oppure, l'economia verde che mette al centro le comunità locali, che esclude il dominio della finanza sull'economia, che ridemocratizza i processi economici e ripensa il ruolo degli Stati e della politica? La domanda non è futile, ma quanto mai urgente da dibattere prima che il mantra dell'economia verde, che attualizza quello ormai spompato dello sviluppo sostenibile, diventerà la parolina magica che condirà ogni affermazione di governi e imprese. Tante economie verdi sono possibili, ma così come nel caso del dibattito del primo vertice di Rio del 1992, si può dire che due


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accezioni principali possono essere prese a riferimento. Una prima che vede l'economia verde –come per altro dice la stessa bozza negoziale per il nuovo vertice resa pubblica dalle Nazioni Unite– come un mezzo di attuazione dello sviluppo sostenibile, approccio quadro che cerca di coniugare lo sviluppo economico centrato sui mercati privati e l'integrazione mondiale come conosciuto fino a oggi con i limiti ambientali e le priorità di redistribuzione sociale, ossia una visione che salva capra e cavoli, che cambia mantenendo una continuità economica con la centralità della crescita come intesa nel processo di globalizzazione degli ultimi 30 anni. Dall'altro lato, una visione che intende trasformare profondamente l'intera società, rompendo con processi economici del passato e identificando proprio nella rottura di questi schemi la possibilità di rifondare processi economici intorno alla promozione dei beni comuni, spesso fuori logiche di mercato, e in contrasto con la visione accentratrice degli Stati. La crisi finanziaria che ha investito l'intero pianeta dal 2007 in poi ha sollevato forti domande rispetto alla sostenibilità economica dell'attuale processo di globalizzazione, in particolare sulla vera natura del cosiddetto capitalismo finanziario, o finanziarizzazione dell'economia, emerso negli ultimi 15-20 anni. Le economie dei Paesi ricchi, tranne poche eccezioni, non sono più in grado di crescere e di generare posti lavoro, a fronte delle economie emergenti che stanno aumentando progressivamente il loro peso nell'economia mondiale, nonostante tutte le debolezze e contraddizioni del caso. Senza dubbio il pendolo economico e politico della storia si continuerà a spostare dall'occidente verso l'Asia, processo forse inevitabile da una prospettiva storica delle relazioni internazionali negli ultimi secoli. Ciò non implicherà necessariamente un cambiamento

A destra: progetto della diga di Gilgel Gibe III sul fiume Omo in Etiopia; impianto eolico marino. A sinistra: due ragazzi keniani coinvolti in un progetto scolastico dell'ong locale Necofa, partner di Mani Tese nel Paese.

strutturale dei processi economici promossi dalla globalizzazione, per definizione incentrata sulla costruzione di mercati globali al servizio di capitali globali, ormai senza bandiera nazionale. Allora è giusto chiedersi di quale economia verde stiamo parlando e se questa possa essere un'occasione per una trasformazione profonda dell'economia mondiale, oppure soltanto l'ennesimo bluff semantico, che cela ulteriori rischi associati alla mercificazione dell'intera natura. La lotta per un'autentica economia verde non può che essere una lotta per la giustizia sociale e la trasformazione dell'economia e della finanza e degli equilibri di potere che queste hanno instaurato a livello internazionale. Ossia, andando oltre quella distinzione tra ambiente, sociale ed economia nella canonizzazione dello sviluppo sostenibile, vuol dire affrontare invece la domanda di democrazia reale ed equità (tra Nord e Sud, tra comunità e Stati, tra chi ha e chi non ha) che ogni trasformazione sistemica solleva. Capire cosa c'è oggi dietro la promozione dell'economia verde –ben oltre l'esito probabilmente modesto che uscirà dal vertice di Rio– vuol dire perciò capire la trasformazione ulteriore che sta avvenendo nel capitalismo finanziario e le sue implicazioni per i prossimi venti anni. Per evitare che tra venti anni la comunità internazionale, oramai in balia di eventi ambientali e sociali sempre più catastrofici, e forse dopo una nuova serie di crisi finanziarie ed economiche, si riunirà a Rio per negoziare un documento dal titolo che non si presti ad ambiguità e ulteriori domande: “Il futuro che vogliamo (per pochi)”.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | progetti A cura di Claudia Zaninelli, responsabile America Latina Mani Tese

fai la differenza

Ecuador: la Legge della terra

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

La necessità di redigere una “Legge della terra” in Ecuador, è uno degli obiettivi proposti dal mandato dell'Assemblea Costituente di Montecristi del 2008 e rappresenta una sfida tanto per lo Stato ecuatoriano quanto per le organizzazioni sociali e il movimento indigeno, dal momento che rimette in discussione il tema della redistribuzione della terra nel paese. In Ecuador l'accesso alla terra rappresenta uno dei principali fattori di ineguaglianza rispetto ad altri paesi del continente, secondo l'indice di Gini e riflette la crescita del latifondo oltre ad un crescente gap fra ricchezzapovertà economica. Il processo di riforma agraria nel paese iniziato negli anni '70, nonostante l'iniziale prospettiva di redistribuzione della terra, si è concluso nel 1994 con la “Legge di Sviluppo Agricolo” che ha invece risposto a una logica neoliberale convertendo l'acqua e la terra in mercanzie destinate alle mono coltivazioni e all'agro negozio. Attualmente la possibilità di una nuova legge ritorna a mettere in primo piano gli interessi dei latifondisti che si scontrano con quelli dei piccoli produttori agricoli. Ad ottobre del 2009 il Governo di Rafael Correa ha promosso il “Piano di Promozione dell'accesso alla terra per i produttori familiari dell'Ecuador”, conosciuto come il “Piano Terra” allo scopo di ridurre l'ineguaglianza della distribuzione della terra e che proponeva: la distribuzione di terre statali, l'espropriazione delle proprietà che non rispondano ad una funzione sociale ed ambientale; la creazione di un fondo per sostenere i produttori che si associano per acquistare terre; la creazione di meccanismi per accedere alla terra senza proprietà; la registrazione presso il catasto delle terre rurali . Al momento nessuno di questi punti è stato realizzato. L'unico passo che è stata mosso dal governo è rappresentato dalla consegna dei titoli di proprietà a contadini, che però non ha significato la consegna effettiva della terra né tanto meno può essere considerato come la prima fase di un processo di cambiamento intrapreso dal governo. Vale la pena ricordare che questa decisione è una risposta ai movimenti sociali e indigeni che negli ultimi mesi hanno intensificato l'aspetto “pubblico” delle loro richieste; si tratta quindi di un tentativo di placare i movimenti senza però dare effettiva soluzione al problema. Per i piccoli e medi contadini è fondamentale il compimento dei mandati dell'attuale Costituzione su temi quali la sovranità alimentare, la distribuzione delle risorse (terra/acqua/risorse minerarie), il rispetto dell'ambiente e della natura, come parte del processo di costruzione del Buen Vivir per tutti gli ecuatoriani. Per questo motivo le organizzazioni sociali e il movimento indigeno hanno promosso spazi di unità e partecipazione collettiva alla formulazione di proposte di legge sulla terra, acqua, biodiversità che portino a compimento ciò che la costituzione di Montecritsti ha stabilito. Nonostante ciò queste proposte non sono state raccolte né dal governo né dall'Assemblea nazionale, sottostimando le richieste che vengono dal basso. Questo ha generato la necessità dei movimenti di far ascoltare


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le proprie richieste e di rendere visibile tanto nel paese quanto all'esterno, il lavoro che i movimenti stessi stanno realizzando in vista di una riforma agraria effettiva: il 22 marzo è stata convocata la marcia per l'Acqua, la Vita e la Dignità dei Popoli che ha portato a Quito 15.000 persone da tutto il paese e che hanno presentato all'Assemblea Nazionale un documento in cui si richiede di concretizzare la formulazione della “Legge della terra” e la “Legge dell'acqua”, rifiutando allo stesso tempo la criminalizzazione della protesta sociale che ha portato al giudizio di 200 dirigenti dei movimenti. In questo contesto l'organizzazione Tierra y Vida, in collaborazione con FIAN Ecuador, ha promosso il Congresso dei Senza Terra, che a seguito di manifestazioni nazionali quali la Marcia per la Dignità, ha attirato sempre più l'interesse di altre organizzazioni che si sono rese conto del potenziale di uno spazio di questo genere per formulare proposte con l'obiettivo di frenare l'accaparramento di terre, rendere effettiva una vera riforma agraria e promuovere produzioni nel rispetto della sovranità alimentare in quanto alternativa alle monocoltivazioni. Il 20 di aprile si è tenuta nella città di Guayaquil “l'Assemblea dei popoli della zona costiera” che si è proposta di costruire un processo che possa incorporare più settori al dibattito. In questo modo si vuole stimolare la discussione in ciascuna delle organizzazioni per far convergere le proposte all'interno del Congresso dei Senza Terra. Questo panorama di movimenti sociali è tornato a Quito il 19 e 20 maggio, per presentare le proprie richieste di fronte all'Assemblea nazionale, includendo il rifiuto verso le politiche estrattive che il governso sta favorendo ad imprese straniere e che sul medio-lungo periodo porteranno al deterioramento delle risorse e all'impossibilità di costruire il Buen vivir in Ecuador.

Cosa fa Mani Tese

L'unico passo che è stato mosso dal governo è rappresentato dalla consegna dei titoli di proprietà ai contadini, che però non ha significato la consegna effettiva della terra…

FIAN (Food Information and Action Network) si è costituita nel 1986 ed è stata fra le prime organizzazioni di diritti umani a lottare per la promozione e tutela del diritto al cibo e ad una alimentazione adeguata. È presente in 50 paesi, fra cui l'Ecuador, e partecipa alla campagna globale per la riforma agraria; Mani Tese collabora con FIAN Ecuador da circa due anni sostenendo in differenti modi le campagne che l'organizzazione porta avanti nel paese, legate al tema del diritto al cibo e della salvaguardia delle risorse naturali. In questo caso Mani Tese collabora con FIAN Ecuador nell'organizzazione del Convegno dei Senza Terra che è previsto si realizzerà nei prossimi mesi in Ecuador e che è una tappa del percorso che i movimenti sociali ecuatoriani stanno portando avanti con l'obiettivo di partecipare alla formulazione della Legge della Terra, in vista della costruzione di uno stato basato sulla logica del Buen vivir.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche a cura di Deborah Lucchetti, Coordinatrice Nazionale campagna Abiti Puliti

La moda ci riguarda campagne

Che si voglia o no la moda ci riguarda, e molto. Nella società della comunicazione dove tutto è immagine, il senso di appartenenza che produce indossare un marchio è un fenomeno non trascurabile. La moda si rivolge a tutti come consumatori pronti ad aderire a modelli di comportamento precisi, scollegati dalle implicazioni sociali e ambientali legate ai prodotti che acquistiamo. Nella moda siamo spinti a desiderare qualcosa che spesso non ci serve ma ci regala il piacere effimero di sentirci trendy, uguali alle star del cinema o della TV, conformi ad un sistema che riempie gli spazi fisici e sociali con le merci e scambia il bisogno umano di relazioni con la capacità di spendere per comprare status e identità rassicuranti. In questo contesto diventa stridente e provocatorio chiedersi cosa si nasconde dietro le luccicanti passerelle della moda, quali biografie sociali si muovono lontane dai riflettori che illuminano un mondo irreale fatto solo di bellezza artificiale, ricchezza e successo. Dietro le quinte si muove la potente industria dell'abbigliamento, impero globale fatto di grandi marchi e milioni di realtà produttive dislocate ormai in tutto il mondo, secondo una geografia produttiva dettata dalla nuova divisione internazionale del lavoro imposta dalla globalizzazione. Ottanta milioni di lavoratori al servizio di una filiera articolata che concentra le attività produttive nei paesi a basso costo sociale, fiscale e ambientale, mentre trattiene le funzioni ad alto valore aggiunto nei centri di potere economico, i quartieri generali delle grandi multinazionali. Nella scala del potere che si riflette perfettamente nella catena del valore, troviamo al primo posto le grandi piattaforme logistiche e distributive, i cosiddetti giganti della Grande Distribuzione Organizzata, seguiti dai marchi e poi dai produttori localizzati ormai prevalentemente nel Sud-Est asiatico, in Nord-Africa, in America latina e nell'Europa dell'Est. All'ultimo posto della catena troviamo operai, in maggioranza donne, precarie e ultraflessibili, sottopagate, spesso vessate e soggette a molestie psicologiche e sessuali, costrette a ritmi di lavoro insostenibili per riuscire a mantenere figli e famiglia con salari irrisori.

La Clean Clothes Campaign (www.cleanclothes.org) nasce ormai più di 20 anni fa per svelare questi meccanismi, denunciare i soprusi celati dietro le etichette opache dei nostri vestiti, evidenziare la possibilità di proteggere i diritti umani e le persone al lavoro attraverso una rete di solidarietà internazionale che lega chi produce a chi consuma. Un legame forte basato sul grande potere “politico” dei consumatori che possono dare voce alle istanze dei più deboli attraverso un presidio critico del mercato e un'azione organizzata di pressione sui marchi, molto interessati alla brand reputation per ragioni di marketing. La forte utilità della campagna, fra le più autorevoli e longeve a livello internazionale nell'ambito dei diritti umani e della corporate accountability, risiede nella sua capacità di lavorare su casi specifici in diretto contatto con le vittime delle violazioni. In assenza di regole vincolanti per le imprese e di conseguenti sanzioni che puniscono con certezza chi viola sistematicamente i diritti fondamentali delle persone al lavoro, la società civile internazionale si è organizzata per sollecitare la necessità di adottare misure concrete di protezione e promozione dei diritti umani da parte delle imprese e dei governi. Oggi la CCC (in Italia www.abitipuliti.org) è attiva in 15 paesi europei tramite coalizioni nazionali e lavora in rete con più di 250 realtà organizzate di base. Accanto al sistema dei casi urgenti,

meccanismo di azione diretta (riconosciuto dalla Unione Europea come strumento attivo per la difesa dei diritti umani) per la risoluzione di controversie e violazioni che colpiscono i lavoratori nelle imprese, la campagna sviluppa campagne di pressione su temi specifici che vanno dalle condizioni di lavoro riscontrate nella produzione di gadget e prodotti tessili per grandi eventi come le Olimpiadi (vedi www.playfair2012. org), alla nota campagna per la cessazione della sabbiatura dei jeans finita anche in prima serata alle Iene.


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Morire di jeans

Per nessuna ragione è lecito morire. Tantomeno per dare a un paio di jeans quell'aspetto schiarito e vintage che piace tanto alla moda e, di conseguenza, ai consumatori di mezzo mondo. Sono stati i medici turchi a stabilire per primi un legame tra la silicosi, malattia professionale fatale antica e diffusa in diversi settori produttivi industriali, e il settore tessile. Le lastre dei giovani lavoratori sarebbero state classificate come casi di TBC, se non fosse stato che tutti avevano in comune lo stesso lavoro: quello di sabbiatori del denim, la stoffa usata in tutto il mondo per la produzione di jeans. Il caso ha suscitato grande scalpore e grazie alla Campagna Abiti Puliti è diventato di dominio pubblico a livello internazionale. Prima del 2011 infatti solo gli attivisti turchi del Solidarity Committee of Sandblasting Labourers avevano denunciato la tecnica potenzialmente fatale per i lavoratori, costringendo nel 2009 il governo turco a bandire l'uso della sabbiatura per la schiaritura dei jeans. Da allora in Turchia sono stati registrati 52 decessi per silicosi e 1.200 casi di malattia conclamata, ma i medici sospettano che le cifre reali siano di gran lunga superiori. Il fenomeno della sabbiatura riguarda tutta l'industria dei jeans e

numerosi paesi dove ancora si pratica perché autorizzata. Grazie alla campagna internazionale avviata nel 2011, molti grandi marchi sono stati costretti a dichiarare pubblicamente l'abbandono della tecnica, tra i quali H&M, Levis, Gucci, Esprit, Lee, Zara. Il problema tuttavia non è risolto perché nonostante il bando ufficiale dei leader della moda, la sabbiatura continua in paesi poverissimi e senza effettivi sistemi di controllo, dove i fornitori aggirano il bando imposto dai loro committenti, spostando gli impianti presso sub-fornitori o semplicemente utilizzando la sabbiatura manuale (molto meno costosa e più veloce) durante i turni di notte. Conviene a tutti tranne ai lavoratori, che rischiano la pelle senza saperlo come dimostra la recente ricerca che abbiamo condotto in Bangladesh (vedi Deadly Denim su www.abitipuliti.org) in base alla quale abbiamo posto all'attenzione dell'opinione pubblica, dei governi e dell'ILO la necessità di vietare per legge la produzione e l'importazione di jeans sabbiati. Ci aspetta ancora un lungo lavoro di pressione e sensibilizzazione ma i risultati già ottenuti incoraggiano a proseguire perché non possa più esistere il rischio di morire a vent'anni per un paio di jeans alla moda.

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Le due immagini sono tratte dal rapporto “Deadly Denim” edito dalla Clean Clothes Campaign (vedi la copertina sotto), presentano due diverse lavorazione del Denim.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | approfondimento

SottoSopra!

Un bando per la promozione di nuove pratiche a basso impatto ambientale e ad alto valore sociale UN PIANETA DA DIFENDERE

LA STRATEGIA DELLE 5R

Il tema dei rifiuti rappresenta 1. Riduzione Dal 1964 Mani Tese combatte gli squilibri il cuore del Bando SottoSopra, Ridurre la produzione di rifiuti attraverso il cambiatra nord e sud del mondo mettendo tutto che Mani Tese vuole affrontare mento degli stili di vita. il suo impegno nella concreta promozione di un futuro di giustizia e di equità per tutti promuovendo progetti che si focalizzano sulle 5R: 2. Riuso i popoli del nostro pianeta. Un pianeta Riusare un oggetto più volte per prolungarne la durata che oggi ci chiede di riportare alla luce la facendo in modo che sia usato anche da qualcun'altro. sobrietà come valore fondamentale, come stile di vita necessario per proteggere, 3. Riutilizzo tutelare e preservare la nostra terra, gli Riutilizzare lo stesso prodotto più volte attraverso elementi naturali e i popoli che la abitano. ricariche e ripristini. Cambiamenti climatici, ipersfruttamento delle risorse naturali, inquinamento, 4. Recupero sprechi, sovrapproduzione di rifiuti sono Recuperare oggetti ripensando a utilizzi diversi e solo alcuni dei problemi che devono essere impieghi differenti. affrontati al più presto. Diventare promotori di un urgente cambia5. Risparmio mento è l'imperativo che oggi Mani Tese Risparmiare l'utilizzo di oggetti quantificando la vuole assumersi come impegno responsaparsimonia di consumo di risorse naturali, utilizzo di bile attraverso il Bando SottoSopra, reaenergia e deterioramento del territorio. lizzato in collaborazione con Fondazione Culturale Responsabilità Etica e con il sostegno dell'Unione Europea. Una proposta PROGETTIAMO INSIEME per la promozione di nuove pratiche a basso impatto ambientale e Mani Tese attraverso il Bando SottoSopra darà vita a progetti di ad alto valore sociale, attraverso la realizzazione di progetti che fapiccola scala sul territorio nazionale. Possono partecipare enti no voriscano modelli di consumo alternativo e consapevole destinati, profit regolarmente costituiti e registrati di tutto il territorio in particolare, alla prevenzione e alla riduzione dei rifiuti. nazionale in grado di cofinanziare per il 25% l'ammontare totale dei costi del progetto, che deve essere compreso tra un minimo di € 7.000 e un massimo di € 12.000. I progetti potranno avere durata massima di un anno, con partenza il primo settembre 2012. Scarica il Bando SottoSopra completo su www.manitese.it Per informazioni e domande scrivi a sottosopra@manitese.it Attenzione! Il termine per la presentazione dei progetti è il 30 giugno 2012 alle ore 24:00.

GRABBING DEVELOPMENT. Towards new models of North/South relations for a fair exploitation of natural resources. DCI NSA-ED/2011/239-451. Questo bando è realizzato con il contributo finanziario dell'Unione Europea. I suoi contenuti sono unicamente responsabilità di Mani Tese e in nessun caso si può considerare che riflettano la posizione dell'Unione Europea.


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di annalisa stagni, area advocacy mani tese

Ovvero un'esperienza “speziata” di giustizia ambientale 20.104 è il calcolo a spanne dei chilometri percorsi complessivamente dal gruppo dei volontari. Anche se un numero in sé non racconta nulla, rende bene però l'idea del percorso fatto, dei chilometri che man mano si sono accumulati così come può far intuire il numero delle persone incontrate, delle informazioni raccolte, delle domande fatte e delle risposte ascoltate, dei paesaggi visti. Il primo workshop internazionale “Grabbing Development” di Mani Tese si è svolto in India dal 30 marzo al 14 aprile, e ha coinvolto 15 volontari italiani, 2 partner bengalesi e 10 partner indiani. L'obiettivo del workshop era quello di dare l'opportunità ai partecipanti di approfondire le tematiche della giustizia ambientale e dell'accaparramento delle risorse naturali, mettendole in relazione da un lato con l'impatto sulle comunità locali e dall'altro con l'adozione di un certo stile di vita da parte delle popolazioni ricche. I primi giorni stanziali a Chennai sono serviti per dotarci di un po' di strumenti:

lenti e chiavi di lettura che poi abbiamo utilizzato nelle visite sul campo. Innanzitutto abbiamo approfondito e analizzato il concetto di giustizia ambientale per Mani Tese; abbiamo poi ristretto il focus ad alcuni casi studio. Abbiamo incontrato uno scrittore attivista indiano, Nityanand Jayaraman, che ci ha mostrato come la storia recente dell'India come potenza economica emergente con crescita a doppia cifra porta con sé grandi contraddizioni, travolgendo una grossa fetta della popolazione e devastando grandi territori. Infatti qual è il senso di una crescita che ha creato fenomeni come quello della Tata, passata dall'impiegare 70.000 persone trattando 1 miliardo di tonnellate di acciaio nel 1995, ai 7 miliardi di tonnellate lavorate nel 2009, impiegando però 20.000 lavoratori? Karen Coelho, professoressa al Madras Institute of Development Studies, ci ha invece parlato di Chennai e dell'ecologia urbana, ovvero quel processo in corso in molte città indiane che sta promuovendo la riqualificazione dell'ambiente attraverso l'espulsione, o il dislocamento forzato, di ampie

fette di popolazione povera. Il risultato è che non si risolvono le cause profonde del degrado ambientale urbano e si riqualifica nascondendo alla vista la povertà. I partner del Bangladesh ci hanno portato un caso concreto di accaparramento delle risorse, cioè come viene sottratta alla popolazione locale la terra fertile, ora destinata alle coltivazioni di gamberetti per l'export anziché all'agricoltura per il mercato locale. Sono poi stati presentati dai nostri partner indiani e italiani i tre casi di cui i volontari hanno potuto fare esperienza diretta in cinque giorni di visita sul campo, e di cui potete leggere nelle pagine seguenti. La conclusione del workshop infine è avvenuta al Centro di Assefa, dove ci siamo ritrovati nuovamente tutti per scambiare riflessioni e approfondimenti sulle visite effettuate. Dopo quindici giorni in India siamo tornati a casa con più consapevolezza sulle conseguenze derivanti dai meccanismi che legano il Nord al Sud, con più informazioni, con ancora più voglia di rafforzare il nostro impegno di giustizia, sociale, economica e ambientale. Da questo rapido resoconto non possono emergere purtroppo i colori, i volti, il caldo, l'intensità dell'esperienza vissuta. Grazie ai partecipanti e a tutti i partner che con i loro contributi hanno reso possibile un fertile ed interessantissimo workshop!

…e se vi siete persi il workshop indiano, seguiteci sul sito e Facebook, ne stiamo organizzando un altro, ma si cambia continente: Sud America!

dossier

Di ritorno dall'India


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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | dossier Di Patrizia Politi, Maddalena Gregori, Michela Baldi, Fiorella Lazzari, Daniela Del Bene

dossier

Il fiume violato

Il movimento Narmada Bachao Andolan da decenni si batte strenuamente contro la realizzazione di dighe che costringerebbero circa un milione di persone a lasciare le proprie terre. La Narmada è uno dei fiumi sacri della tradizione hindu: fin dall'antichità i defunti vengono condotti alle sue acque purificatrici per l'ultimo saluto. È anche uno dei maggiori fiumi dell'intero subcontinente, con i suoi 1300 chilometri che attraversano tre Stati dell'India –Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujarat. Negli anni ‘60 è iniziato un colossale progetto di utilizzo delle sue acque a fini idroelettrici e irrigui che prevede la realizzazione di quasi 3200 dighe (30 grandi, 135 medie e oltre 3000 piccole) interessando fiume e affluenti. Tali dighe creano laghi artificiali che sommergono vaste estensioni di terre, foreste e villaggi, costringendo le persone che vi vivono a lasciare terre e case. Ciò ha dato il via a una strenua lotta contro la realizzazione del progetto riunita nel movimento Narmada Bachao Andolan (NBA) e divenuta un simbolo della lotta per la giustizia sociale e ambientale. Il nostro viaggio-studio è iniziato il 5 aprile sotto la guida di Daniela, che ha trascorso diverso tempo nella valle creando legami di amicizia con numerosi attivisti. Tra questi Alok e Sylvie, che ci hanno ospitato nella loro casa condividendo con noi lunghe ore e raccontandoci del progetto e delle sue conseguenze: le trasformazioni del fiume, le ingiustizie, gli scioperi della fame, il carcere, le battaglie legali, le sconfitte, le vittorie e le prospettive future. La loro protesta non-

Diga di Maan, una delle grandi dighe del progetto della Valle del Narmada. È per protestare contro la sua costruzione che Ramkuwar nel 2007 è rimasta immersa in acqua per 10 giorni, rischiando la vita. (Foto di Michela Baldi)

violenta dura da 25 anni e fonde un'analisi sociopolitica di taglio marxista a una visione gandhiana basata sull'amore, che riconosce anche nell'avversario l'essere umano. L'ingiustizia perpetrata a danno delle popolazioni, sfollate dalla loro terra senza rispetto della legge dello Stato che prevede una serie di precise procedure e compensazioni, è vissuta dagli attivisti con una profonda sofferenza, da cui però scaturisce l'energica motivazione a proseguire nella lotta, persino fino al possibile estremo sacrificio del Jal Satyagraha (il lasciarsi passivamente annegare nelle acque restando nei villaggi durante l'allagamento). Con Alok abbiamo visitato i villaggi di Sulgaon, presso la diga di Maheshwar, e di Dharaji, presso la diga Indira Sagar; le comunità ci hanno accolto con calore raccontandoci della lotta per salvare terra e case –ovvero la loro vita–, del ruolo fondamentale assunto dalle donne e di come tale esperienza comune abbia permesso loro di compiere un percorso di consapevolezza sociale, politica e individuale che ha portato anche al superamento delle tradizionali divisioni di casta e di genere. Infine, al villaggio di Kehdi presso la diga di Maan, abbiamo avuto l'onore di conoscere Ramkuwar, donna minuta e forte che durante un Jal Satyagraha nel 2007 rimase immersa nelle acque del fiume per ben 10 giorni! fino ad ottenere un incontro con le autorità dello Stato. Durante il nostro “tour” abbiamo avuto modo di visitare anche alcuni luoghi sacri che punteggiano il corso della Narmada. Come la città di Omkareshwar, collocata su una penisola a forma di Om, con un tempio dedicato a Shiva. O come il forte di Maheshwar, dove viene venerata come santa la saggia regina del XVI secolo Ahlilyabai; sempre nel forte abbiamo visitato una cooperativa di donne che tessono stoffe preziose con antichi telai in un silenzioso luogo che pare sospeso fuori dal tempo. La nostra visita è durata pochi giorni e ha interessato solo un breve tratto della valle, ma l'esperienza della vita del fiume e della sua gente è stata intensa: le donne che lavano i teli colorati stendendoli sulle rive, i bimbi che giocano, gli uomini che compiono i rituali lavacri; ma anche i pescatori, gli scavatori di sabbia e i contadini che lavorano la terra. Tutto un mondo che la modernità chiede di sacrificare in nome dei suoi nuovi idoli. Un sistema di valori in cui forse qualcosa va ripensato.


manitese 478 | maggio-giugno 2012 Di Nicola Arrigoni, Chiara Mariotti, Eléonore Grassi

La diga Polavaram Ennesimo esempio di sviluppo ineguale L'India è vicina: la più popolosa democrazia del mondo, seconda economia per crescita a livello globale; meta da anni di un turismo tra lo spirituale e l'avventuroso, a tu per tu con il fascino di millenni di culture sedimentate a sé nel subcontinente; luogo in cui ancora oggi puoi vedere le radici della lingua europea e un buon porto per fare affari, produrre manufatti e sostenere l'economia mondiale. Siamo diretti a Chennai, la città ci appare rumorosa, sporca e caotica, come sempre tende ad apparire l'India all'europeo. Abbiamo qualche giorno per capire dove siamo e perché. Viviamo tre giorni densissimi di approfondimenti su cosa sta accadendo in questa parte di mondo e per prepararci a capire quel che vedremo durante la visita al nostro case study. Quest'ultimo è la diga Polavaram sul fiume Godavari: una valle che sarà sommersa da un bacino d'acqua originato dalla costruzione di una diga che costringerà una popolazione considerevole (150.000 persone per 295 villaggi) ad abbandonare casa, terra e lavoro per ricominciare tutto altrove. Da Chennai ci vogliono 22 ore per arrivare a Polavaram. Non ci sono strade a collegare le comunità tribali del Khammam district o dell'East-Godavari district al resto del mondo. Ci sono degli sterrati, funzionali al trasporto di prodotti agricoli dalle piantagioni che costeggiano il fiume, ci sono i battellini in legno, rumorosi, pilotati da adolescenti che con una tanica segata al vertice svuotano di acqua le sentine. Sotto la guida di Pagano Didla, direttore dell'ong Seeds, visitiamo 4 villaggi che dalla diga verranno sommersi ed incontriamo le popolazioni tribali che lì vivono. A loro chiediamo cosa pensino di quanto si sta progettando, come vivano questa situazione e attendiamo risposte che sembrano sempre incomplete, parziali. Questi incontri alimentano dubbi, piuttosto che placarli e facciamo fatica ad avviare un minimo scambio di opinioni, complici anche pro-

blemi di lingua. I cantieri per la costruzione della diga sono fermi da due anni, i benefici dell'opera andranno lontano da questa regione sperduta e scollegata da tutto il resto, i luoghi dove verranno spediti anche i più fortunati sono inadeguati a mantenere stili di vita, lavoro e sussistenza delle comunità. Eppure Sonia Gandhi in persona ha dichiarato che le colonie sono eccellenti e che compenseranno pienamente quanto i tribali Konda Reddy stanno per perdere, il fiume, la foresta, sé stessi. Le grandi opere che portano il progresso, qui, si stanno annunciando in questo modo, sottotono e senza strepiti, ma attraverso il controllo capillare del territorio da parte delle forze di sicurezza e in un clima surreale. Infatti, si continua a scavare il Right Canal che porterà acqua al fiume Krishna, mentre mancano i fondi per erigere la grande diga e da due anni non si muove una mosca, nella grande spianata prospiciente la città di Polavaram. Qui siamo fuori dal mondo e la sensazione è che il progresso comunque passerà sopra a quei 295 villaggi che nessuno rappresenta, stretti nella morsa delle speculazioni e già adesso in lotta per la sopravvivenza. Torniamo a Chennai. Dopo Eluru, dopo gli insediamenti che costellano l'autostrada, la grande città sembra un piccolo paradiso di palazzi, grandi magazzini, benessere, pulizia e case eleganti. Il fiume Godavari torna nel suo anonimato distante e silenzioso, mentre per noi si apre il quesito fondamentale, di come si possa cambiare il corso di tutta questa storia, di come rendere il fiume Godavari una parte delle nostre esistenze e non un trascurabile evento lontano, che tutto sommato non riguarda nessuno.

Mercato settimanale del villaggio di Kondamadalu. Le comunità locali che attualmente dipendono completamente dalle risorse naturali presenti nella Valle del Godavari e dai fenomeni atmosferici (come i monsoni e l'andamento delle piene) che la caratterizzano, con la dislocazione verrebbero a perdere le basi per la propria sussistenza.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | dossier Di Laura Colombo, Giancarlo Fumagalli, Maria Damin, Antonella Catalano, Valentina Malaguti, Luca Simonazzi, Soledad Ballada

dossier

Tirupur e Ambur

Riflessioni sulla Responsabilità Sociale d'Impresa Inquinamento dell'acqua nelle città di Ambur, a destra, e Tirupur, a sinistra. (Foto di Antonella Catalano)

Milton Friedman, Premio Nobel per l'economia nel 1976, sostiene che “The business of business is business”, gli affari dell'azienda sono i soldi. Con la curiosità di poter mettere in discussione questa visione individualista e materialista dell'economia siamo partiti per Tirupur e Ambur, due città nello Stato del Tamil Nadu, note per la produzione e l'esportazione, rispettivamente, di capi di cotone e di pelle. 6250 unità produttive tessili e oltre 700 concerie al servizio delle grandi firme del mercato europeo e statunitense come Fila, Diesel, Gucci, Timberland, Bugatti, Lacoste, ecc. A Tirupur abbiamo incontrato Mr. Alex e Mr. Williams, due sorridenti operatori del CCSR (Center for Corporate Social Responsibility), un centro che da due anni si occupa di promuovere e diffondere il concetto di Responsabilità Sociale d'Impresa (RSI) tra le imprese del distretto. Sotto la loro paziente guida abbiamo visitato un'industria tessile a Tirupur e tre pelletterie ad Ambur. La fragilità dei rapporti che legavano il CCSR e le imprese era evidente, per la delicatezza dell'argomento e per l'impatto delle imprese sulla società. Era infatti proibito fare domande e scattare fotografie, avremmo potuto poi confrontarci con i nostri partner sul pullman o in altri luoghi dove nessuno potesse sentire. Nelle fabbriche tessili di Tirupur solo il 7% degli occupati è assunto a tempo indeterminato. Il 93% dei lavoratori è personale temporaneo non qualificato, senza tutela sindacale

(sindacati peraltro, spesso corrotti) e senza i diritti più elementari. Il tutto con paghe che si aggirano dalle 400 alle 600 rupie al giorno (da 6 a 9 €), con orari di lavoro anche di 72 ore alla settimana. Tirupur è esplosa in pochi anni. È un nonsense di asfalto, cemento, rifiuti e fogne a cielo aperto. Senza nemmeno l'ombra di una pianificazione urbana gli edifici e le baracche sono spuntati gli uni sugli altri. Ci si ritrova disorientati in un caos di clacson insistenti. L'uomo scompare nella città, perde la sua dignità, la sua storia. Costretto a vivere ai margini delle strade, a ridosso dell'immondizia. Costretto a utilizzare, per lavarsi e per vivere, le acque altamente inquinate del fiume Noyyal. I diritti fondamentali sono calpestati e i legami fondamentali con l'ambiente naturale e la comunità sono totalmente recisi. Ambur non è molto differente da Tirupur, ma qui la vita è anche più difficile. Le pelletterie e le concerie hanno inquinato con i loro scarichi al cromo: fiumi, falde, servizio idrico della città e dei 27 villaggi del distretto, nonché migliaia di ettari di terra rubandoli all'agricoltura. Anche l'aria è irrespirabile a causa dell'incenerimento degli scarti di lavorazione del pellame. In luoghi come Tirupur e Ambur si avverte una forte sensazione di impotenza e di rassegnazione. Ma nonostante ci sembri una condizione senza speranza, guardandosi attorno si vedono bambini sorridenti che salutano e chiedono di essere fotografati con genitori orgogliosi.

Il CCSR è l'unico istituto del distretto di Tirupur che si occupa di RSI, un lavoro complesso, gravoso, lento e rischioso, con risultati per ora impercettibili, ma è indispensabile per tentare di sviluppare un embrione di coscienza civile su questi temi, tra le imprese ma anche tra gli stessi cittadini che eleggono i governi e che sono ugualmente consumatori. Ad Ambur e Tirupur, come in qualsiasi area industriale del Nord o del Sud del mondo, va spostato il percorso di responsabilità sociale dalla domanda “quanto mi costa?” alla convinzione culturale di chiedersi “in quanto mi rende?”. Infatti se un'azienda, ad esempio, decide di investire in un impianto di produzione di energia rinnovabile dovrà sostenere un esborso iniziale, ma nel tempo ne trarrà beneficio anche l'ambiente. È necessario che le aziende che delocalizzano cessino di sfruttare la mancanza di regole sul lavoro e sull'ambiente nei paesi in via di sviluppo; sarebbe auspicabile che avessero l'obbligo di produrre rispettando le principali normative dei paesi occidentali. Occorre unificare i rapporti sociali ed economici per iniziare a riflettere sull'opportunità che responsabilità e profitti non sono contrapposti anzi. E che il pensiero neoliberista del “ The business of business is business”, favorendo la delocalizzazione senza regole, ha causato catastrofi ambientali, sociali e finanziarie. Tiripur e Ambur sono emblematici.


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a cura di Samuele Tini, Coordinatore di Mani Tese in Guinea Bissau

Il golpe in Guinea Bissau aggiornamento paesi

Dal 12 aprile scorso la Guinea Bissau vive come paralizzata e in una bolla. I fatti sono noti, l'attacco dei militari alla casa del primo ministro e vincitore del primo turno delle presidenziali, la cattura del presidente ad interim e di membri del governo. Le intimidazioni e i saccheggi di case a persone vicine al governo deposto. E poi un impasse lunga quasi un mese, con tentativi di proposta, prima transizione di 2 anni con esclusione del partito di governo, poi inclusione, poi 1 anno di transizione, poi chissà… Nel frattempo il paese, già molto precario si blocca. Il porto, gli aerei, i ministeri. Dopo una settimana riprendono i collegamenti aerei, mentre il porto funziona ancora a singhiozzo e e importazione ed esportazione di beni sono pressoché bloccate. Questo cade in un momento di grande importanza per il paese, in quanto la Guinea Bissau esporta principalmente anacardi e i mesi di aprile, maggio e giugno sono cruciali per la buona riuscita della campagna, che già è compromessa, con prezzi in picchiata e, in prospettiva, seri problemi per le popolazioni dell'interno, che vive dello scambio riso per anacardi. Nondimeno i funzionari pubblici non stanno ricevendo il salario da aprile e continuano nello sciopero generale. I ministeri sono bloccati e con essi le normali funzioni di governo.

Sopra: Il Primo Ministro uscente Carlos Gomez Junior, vincitore al primo turno delle elezioni. Sotto: riunione di un gruppo di donne che partecipano al progetto di Mani Tese a Cacine.

Come agisce Mani Tese in questa situazione?

Mani Tese e i suoi partner, in primis ADIM, sono in prima fila per cercare di alleviare le difficoltà alle persone. Alcune organizzazioni stanno pensando di andare via… ma come possiamo andare via, come possiamo tener fede al nostro motto “un impegno di giustizia”, se proprio adesso abbandoniamo la gente? Ecco che concretamente Mani Tese e ADIM hanno partecipato al forum delle ONG locali e internazionali, dove quasi tutti gli attori, uniti e unanimemente, hanno condannato il golpe con un comunicato forte e hanno creato gruppi di lavoro secondo le aree di appartenenza per seguire le emergenze che si stanno creando. Dall'altro lato, all'interno del sistema UN-Unione Europea, Mani Tese partecipa attivamente ai lavori del Protection-Human Rights group. E poi gli atti concreti. Il ministero della Giustizia ci informa che con la crisi non ha più fondi per i prigionieri e le guardie. Con una missione congiunta, Mani Tese, UN e Commissione Giustizia e Pace, abbiamo visitato le carceri e Mani Tese, attraverso il progetto cofinanziato UE, ha offerto alimenti e un piccolo fondo per assistenza per tamponare l'emergenza, in attesa che la situazione trovi una soluzione.

A Cacine abbiamo continuato le nostre attività, riparando la fabbrica del gelo che aveva avuto un problema, continuando il nostro appoggio ai pescatori e alla cooperativa e continuando le attività, fornendo alle associazioni di donne trasformatrici, delle reti e una canoa. Con il progetto agricolo, dove Mani Tese è partner di LVIA, è continuato il miglioramento strutturale dei centri servizi rurali e l'appoggio alle associazioni locali. Prossimo passo la distribuzione dei semi, se le condizioni lo permetteranno. È infatti cruciale una buona campagna agricola, evitare che i contadini, per la fame, non seminino ma consumino il riso e le sementi. Questo può portare a gravi situazioni di insicurezza alimentare. Mani Tese con LVIA segue anche il gruppo tematico creato per seguire l'emergenza alimentare. Tutta l'equipe, locale e non, sta bene e sta andando, condizioni permettendo, sul terreno. Questa è anche una testimonianza nei confronti dei guineensi del nostro impegno e del continuo nostro supporto. Un abbraccio di speranza da tutta l'equipe di Mani Tese in Guinea.


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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche Di elias gerovasi, capo area cooperazione mani tese

la cooperazione del futuro

La crisi d'identità della Cooperazione Anche di questo si è parlato a Scandicci il 21/22 Aprile durante l’ultimo incontro per volontari e soci di Mani Tese Dopo aver avuto un ruolo chiaro e comprensibile per più di 50 anni sembra che per la cooperazione allo sviluppo sia arrivata la crisi di mezza età. Nel mondo si moltiplicano iniziative più o meno istituzionali per ragionare sul futuro della cooperazione internazionale, tutti guardano alla data fatidica del 2015 quando qualcuno dovrà fare il bilancio alla scadenza degli obiettivi del Millennio. Le stesse Nazioni Unite iniziano a lavorare su Beyond 2015…ovvero come rilanciare la lotta alla povertà, come disegnare un futuro all'aiuto allo sviluppo? Sarà difficile parlare di obiettivi raggiunti anche se in diversi campi i numeri mostrano sensibili miglioramenti. Certo dal 2000 ad oggi lo scenario globale, soprattutto quello economico, è cambiato parecchio. Il peso dei paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) sul Pil mondiale è passato dall'11% all'attuale il 25%. Questa crescita economica dei BRIC sta rovesciando ogni logica anche nelle sedi istituzionali transnazionali anche se i paesi del nord stentano a prenderne atto. Pensate solo a cosa rappresenta oggi la Cina in Africa, agli investimenti massicci nel settore privato e nelle infrastrutture. Accanto a dove la nostra cooperazione cerca di sostenere le comunità in faticosi percorsi di sviluppo, la Cina costruisce linee elettriche, telefoniche, strade, stadi di calcio e palazzi a vetri in pochi mesi. In cambio porta via materie prime ed energia per la sua vorace economia. Per fare cooperazione oggi bisogna rendersi conto di questo quadro, completamente mutato rispetto ad alcuni anni fa. La novità è che non siamo più al centro del mondo e che il nostro benessere non è più scontato. Probabilmente è finito il tempo in cui la solidarietà internazionale era unidirezionale, come fosse un flusso ininterrotto dagli eterni ricchi agli eterni poveri e non la possibilità di uno scambio paritario di relazioni, valori, esperienze, capitali. Prima di avventurarsi verso un futuro di cambiamenti, dobbiamo essere orgogliosi di quello che è stato raggiunto. Le ONG e la cooperazione hanno innegabilmente giocato un ruolo importante negli ultimi 50 anni, pensate alla lotta contro le dittature, l'apartheid, le innumerevoli crisi umanitarie. E come sarebbe la

La novità è che non siamo più al centro del mondo e che il nostro benessere non è più scontato. situazione in molti paesi del mondo sul ruolo della donna, l'accesso al credito, l'educazione, l'accesso all'acqua potabile e l'agricoltura rurale senza il contributo innovativo delle organizzazioni non governative? È certo che guardando al futuro, dobbiamo costruire un percorso basato sulla nostra storia che dimostra nei fatti il ruolo potenziale della cooperazione. Alcuni critici sostengono che la crisi d'identità della cooperazione allo sviluppo sia causata dalla fine di un generale, onnicomprensivo paradigma della povertà. Non esiste oggi una narrativa globale della povertà e lo dimostrano le cronache delle economie emergenti come India e Brasile, che stavano lottando per evitare la morte per fame di milioni di loro cittadini solo pochi anni fa. Oggi sfornano nuove élite e classi medie e stanno sfidando il concetto di ciò che è definibile un paese povero. Oggi problemi come il cambiamento climatico,


manitese 478 | maggio-giugno 2012

Oggi due terzi dei poveri vivono in paesi a reddito medio… l'approvvigionamento energetico, lo sfruttamento delle risorse naturali e la migrazione stanno cambiando il racconto della povertà e dello sviluppo. Probabilmente dobbiamo abbandonare anche l'idea che ci possa essere una narrativa globale della povertà che giustifica uniformemente il lavoro delle ONG. Oggi due terzi dei poveri vivono in paesi a reddito medio ma è chiaro che affrontare la povertà in India è completamente diverso da affrontare il post-conflitto in Sud Sudan, la violenza in Guatemala o le migrazioni in Bangladesh. La stessa strategia d'intervento potrebbe non essere efficace davanti alle diverse realtà odierne e alle così dette nuove povertà, non solo la fame quindi. Ci sarà bisogno di strategie e partenariati mirati in grado di sviluppare programmi specifici e tematici che rispondano a necessità particolari. Ma in futuro il ruolo delle ONG non perderà certo di importanza. Nel nuovo scenario globale, dove i cittadini sono sempre più facilmente in comunicazione, le reti globali della società civile diventeranno sempre più importanti. In un mondo in cui i beni comuni globali stanno diventando uno dei temi principali del futuro, non credo che la cooperazione diventerà irrilevante. La

Questo potremmo cercare di trasmettere all'opinione pubblica italiana quando spieghiamo il perché della cooperazione di Mani Tese, soprattutto ora che si moltiplicano anche nel panorama italiano le voci di chi vuole fermarsi a riflettere e disegnare la strada per la cooperazione e la solidarietà del futuro. In Mani Tese questo percorso lo abbiamo portato avanti negli anni specialmente con i due convegni internazionali di Riva del Garda, nel 2006 e nel 2008. Il dibattito sui centri e le periferie del mondo vs la concezione di nord e sud e la domanda sugli equilibri della fame: la cooperazione è davvero la risposta? Per questo l'associazione continuerà questo percorso nel prossimo triennio convinta di poter contribuire adeguatamente ad un dibattito che oggi è quasi planetario.

La cooperazione può essere lo strumento di questa grande battaglia globale, di un'alleanza fra popoli che si batte per costruire un mondo più giusto. disuguaglianza e l'ingiustizia sociale sono sempre più una minaccia onnipresente per la stabilità sociale anche e soprattutto nei contesti a forte crescita economica. Le organizzazioni della società civile sono e saranno gli attori principali nella lotta contro la povertà e l'emarginazione. Ambiente, energie, diritti dei lavoratori, regole dell'economia e della finanza, beni comuni sono tutti ambiti globali e davanti alla crisi economica non è possibile pensare alla salvezza di un singolo paese dal default. Solo una visione globale dei problemi, soprattutto di quelli che affliggono i poveri, potrà dare una svolta a questo mondo e risolvere le ingiustizie sociali nel sud come nel nord del mondo. La cooperazione può essere lo strumento di questa grande battaglia globale, di un'alleanza fra popoli che si batte per costruire un mondo più giusto.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche Di stefano squarcina, Gruppo Gue/NgL del Parlamento Europeo

osservatorio europeo

Cacao & lavoro infantile Sembra assurdo, ma loro non sanno che sapore abbia il cioccolato. Eppure lo producono! Per essere più precisi, garantiscono il primo stadio della produzione, quello decisivo: la raccolta delle fave di cacao senza le quali non esisterebbero la Nutella, i Mars, gli After Eights e tante altre tavolette magiche che rendono meno triste la nostra vita. Si tratta dei due milioni di bambini lavoratori, sotto i quindici anni, ridotti in condizione di schiavitù, coinvolti in Africa Occidentale nell'industria del cacao. Le multinazionali agroalimentari –Ferrero, Nestlé, Kraft, Cadbury, Hershey e tante altre– realizzano miliardi di euro di profitti sullo sfruttamento di questi bambini, complice l'assenza d'informazione che tiene i consumatori all'oscuro della situazione. Per fortuna qualcosa d'importante si sta muovendo nella denuncia delle condizioni di sfruttamento di questi bambini, grazie al lavoro delle ONG che stanno ottenendo i primi successi in termini di riorientamento dei comportamenti produttivi delle grandi aziende mondiali coinvolte in questo ingranaggio. L'Africa Occidentale garantisce il 70% della produzione mondiale di cacao, in particolare la Costa d'Avorio (40%) ed il Ghana (20%). Un altro colosso del settore è l'Indonesia, che insieme ad altri Paesi asiatici rappresenta il 14% del mercato; l'America Latina –in particolare il Brasile– occupa un altro 14%, mentre all'Oceania rimane il 2%. L'UNICEF certifica che quasi un milione di bambini nella sola Costa

d'Avorio è coinvolto nella produzione di cacao: sia per le peculiari caratteristiche della raccolta delle fave, selezionate a mano da un gran numero di lavoratori minori; sia per la struttura a conduzione spesso comunitaria –di villaggio– della produzione; ma soprattutto per il vero e proprio traffico di esseri umani che si registra nella regione, gestita da faccendieri senza scrupoli che in tal modo garantiscono alle multinazionali prezzi minimi di acquisto della materia prima. La povertà, la mancanza di altre fonti di reddito, l'assenza di un'adeguata tutela giuridica dei bambini, la loro esclusione dal sistema scolastico, la corruzione ed il malgoverno sono tra i fattori socioeconomici e politici alla base di tale sfruttamento. Con l'aggravante che questa manodopera infantile –praticamente gratuita– viene esposta anche all'azione nociva per la salute umana dei numerosi agenti chimici usati nella produzione di cacao –pesticidi e fungicidi– per nulla regolamentati sul piano ambientale e sanitario. La complicità delle multinazionali agroalimentari è totale, si comportano come le tre famose scimmiette, “non vedo, non sento, non parlo”. Meno male che la rinegoziazione dell'accordo internazionale sul cacao, approvato dal Parlamento europeo lo scorso 14 marzo in sostituzione del vecchio trattato del 2001, ha permesso di evidenziare una situazione insosteni-

bile sul piano umano e politico. L'Unione europea, infatti, ha delle responsabilità particolari in questo settore: l'UE macina e consuma il 40% della produzione mondiale di cacao, l'80% delle sue importazioni proviene dall'Africa Occidentale, l'industria europea del cioccolato è la più importante al mondo. Le ONG di sviluppo e cooperazione hanno preso la palla al balzo –la rinegoziazione dell'accordo– e hanno saputo organizzare un'importante campagna d'informazione e di lobby politica nei confronti delle istituzioni europee. Sostenute in particolare dal Parlamento europeo, che aveva minacciato di non ratificare l'accordo in assenza d'impegni precisi da parte dalle multinazionali del settore, hanno almeno ottenuto l'impegno solenne da colossi come Ferrero e Mars di produrre il 100% di cioccolato “child labour free” entro il 2020. L'Europarlamento, che “condanna fermamente il ricorso al lavoro minorile nelle piantagioni di cacao”, chiede anche “a tutti i soggetti coinvolti nella coltivazione e lavorazione delle fave di assumersi le rispettive responsabilità nella lotta contro ogni forma di lavoro forzato minorile e la tratta dei minori”. L'obiettivo del 2020 fissato da Ferrero o Mars può essere letto, come spesso accade, in vari modi: da una parte, è certamen-


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Sembra assurdo, ma loro non sanno che sapore abbia il cioccolato. Eppure lo producono!

ancora all'appello numerose grandi indute un'assunzione di responsabilità nei strie del cioccolato. confronti di un problema politico dalle numerose implicazioni sociali ed economiche, e ciò va salutato; d'altro canto, però, la È necessario anche andare oltre il semplice gravità della situazione è tale che non si ca- approccio volontaristico, come quello del pisce perché bisogna aspettare ancora otto “Protocollo Harkin-Engel” che negli Stati anni per raggiungere un obiettivo “minimo”, Uniti lascia libere le aziende di conformarsi agli obiettivi “child labour free”. Nelle ovvero la fine dello sfruttamento di bambini impegnati in attività economiche illegali intenzioni dei due congressmen americani la loro iniziativa doveva trasformarsi in secondo i criteri dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Le convenzioni legge vincolante, ma –guarda caso– l'azione delle lobby industriali ha fatto saltare n.138 e n.182 dell'OIL sono alla base della il voto finale nel Senato USA e declassato definizione giuridica mondialmente accettata “sull'età minima per l'accesso al lavoro” l'iniziativa a semplice protocollo volontario. Bisogna invece imporre la fine della schiae “sulla proibizione delle forme peggiori di vitù infantile all'industria del cacao, è una lavoro minorile e le azioni immediate per questione di umanità e di decenza politica. la loro eliminazione”: le multinazionali L'Unione europea ha gli strumenti giuridici agroalimentari devono rispettare queste per farlo: è necessario che la Commissione norme senza indugi ed ulteriori scuse, in base anche al principio della responsabilità di Bruxelles imponga un meccanismo di tracciabilità sociale del cioccolato prodotto sociale delle imprese definita dall'Unione europea. Le ONG che hanno incalzato que- e commercializzato in Europa; sull'esempio del “logo bio”, l'esecutivo europeo ste multinazionali hanno annunciato che può anche proporre una certificazione continueranno a monitorarne le politiche “child labour free”, imporre un'adeguata e verificheranno nel tempo la messa in informazione dei consumatori usando la pratica dei loro impegni; le ONG vogliono cosiddetta “etichettatura sociale” del cacao, comunque fare della Ferrero e della Mars degli esempi da seguire, dato che mancano promuovere ulteriormente il commercio

equo e solidale a garanzia della sostenibilità sociale del prodotto; soprattutto, può imporre con una direttiva una data molto più ravvicinata del 2020 per raggiungere gli obiettivi di abolizione totale del lavoro minorile in quel settore. L'UE ha anche strumenti di pressione nei confronti dei Paesi produttori di cacao, sia in termini di cooperazione commerciale (sistema delle preferenze generalizzate) che di cooperazione allo sviluppo (finanziamento di progetti agricoli socialmente sostenibile). Come si vede, molto rimane ancora da fare per togliere al cioccolato quel gusto di amaro che gli conferisce il lavoro infantile.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | approfondimento Di giacomo petitti, Responsabile ECM e formazione volontari mani tese

Crescere diritti. Educazione per una cittadinanza mondiale.

“Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”, diceva Albert Einstein. Il Centro Ricerca Educazione Allo Sviluppo (CRES) di Mani Tese ha sempre implicitamente condiviso questo principio, traducendolo nell'idea che i cittadini di domani dovranno saper leggere la realtà e gli accadimenti del mondo da diverse angolazioni, imparando a superare le vecchie categorie. Del resto l'Educazione alla Cittadinanza Mondiale risponde proprio a questo bisogno: provare a raccontare un'altra storia, una narrativa diversa capace di ribaltare e decostruire le ricette classiche dell'egemonia culturale del pensiero unico, per nulla in grado di dare risposta ai problemi e ai drammi del nostro tempo. E dove se non nella scuola? È in classe che si formano le donne e gli uomini del futuro, è lì che si può ancora giocare a decolonizzare l'immaginario per costruire qualcosa di nuovo. Educare alla Cittadinanza Mondiale non è quindi semplice testimonianza di quanto avviene nel Sud del mondo, ma un vero e proprio processo pedagogico, in cui il ruolo dell'insegnante è centrale e imprescindibile. Per questo il Cres di Mani Tese propone percorsi di apprendimento per temi e problemi strategici, capaci di collegare le discipline alle Educazioni (alla pace, all'ambiente, ai diritti, etc.), con l'obiettivo di: • Stimolare un processo attivo di apprendimento che susciti curiosità e permetta di leggere la varietà e la complessità dei problemi del mondo in cui viviamo. • Mettere in relazione lo sguardo globale con quello locale, accostando centri e periferie del mondo come facce di una stessa medaglia. • Far scoprire agli studenti le connessioni esistenti fra problemi collettivi e stili di vita individuali e comprendere l'importanza dell'impegno personale e dell'azione informata. • Dimostrare che ben-essere non corrisponde a ben-avere e valorizzare le realtà degli “altri mondi possibili”. • Superare l'astrattezza disciplinare e la separazione tra le materie.


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Percorsi didattici per studenti ANNO SCOLASTICO 2012-2013 Il cibo dei popoli

Viaggio alla scoperta del più grande paradosso dei nostri tempi, che ad un miliardo di persone affamate ne contrappone almeno un altro che si nutre troppo e male. Durante il laboratorio ci confronteremo con i concetti chiave della sovranità alimentare, per arrivare a scrivere e discutere la carta di identità di alcuni prodotti che acquistiamo abitualmente al supermercato.

Le parole della crisi

Cosa significa spread? Non sono in molti a saperlo, eppure è stata (subito dopo crescita) la seconda parola più utilizzata dai principali telegiornali nazionali nel 2011. Racconteremo la crisi cercando di dare un significato al vocabolario usato dai media per descriverla e scopriremo che se vogliamo uscirne siamo condannati a continuare a crescere e ad avere sempre più cose. Ma è davvero l'unica alternativa?

Migranti di un pianeta in movimento

Cosa succedeva quando eravamo noi italiani a migrare? E cosa spinge oggi un abitante del corno d'africa a rischiare la vita per cercare di raggiungere le nostre coste? A partire dalla decostruzione degli stereotipi tipici sullo “straniero” ci confronteremo sulle cause delle migrazioni, individuandone le connessioni con la povertà e gli squilibri tra nord e sud del mondo.

Donne che reggono il mondo

Secondo la FAO un miliardo di persone vive sotto la soglia di povertà; il 70% sono donne, eppure sulle loro spalle si regge spesso l'intera economia familiare, il futuro dei loro figli e lo sviluppo sociale ed economico dei loro paesi. Metteremo al centro i temi dell'istruzione e della parità di genere, capiremo perché nascere donna oggi può essere ancora una “sfortuna” e quanto il diritto all'educazione sia imprescindibile per combattere la spirale dello sfruttamento.

Corsa all'Africa

Negli ultimi anni la crisi economica, l'aumento costante della popolazione mondiale e la necessità di cercare nuove fonti di energia hanno innescato una repentina corsa alla conquista di nuove e strategiche risorse: prima l'oro, poi il petrolio ora le terre fertili, i mari pescosi e le abbondanti riserve idriche. Un viaggio tra i paesi del continente africano per scoprire nuove forme di colonialismo che rischiano di rendere ancora più povero un territorio già storicamente preso d'assalto, per sfatare i miti della povertà, e mostrare come le nostre scelte quotidiane possono influenzare chi vive in paesi ancora in fondo alla classifica dello sviluppo.

Acqua libera tutti

L'acqua è base della vita, come l'aria. Per questo parliamo di un bene comune, che dovrebbe essere diritto e non merce, disponibile per tutti e proprietà di nessuno. Ci immergeremo nel mondo di una goccia d'acqua, mettendoci nei suoi panni per riflettere sul valore di una risorsa preziosa e universale.

Dalle risorse ai beni comuni

L'accesso alle risorse naturali rappresenta una delle principali cause di tensione e diseguaglianza tra i popoli. L'utilizzo stesso del termine risorse (cioè fonti di ricchezza) per indicare il suolo, i mari e le foreste tradisce l'intenzione di sfruttarle per generare profitto, spesso ben al di sopra della loro biocapacità. Ci chiederemo cosa cambierebbe se imparassimo a gestirle con l'intento di mantenerle e preservarle per le generazioni future, in quanto si tratta di beni indispensabili per l'esistenza e quindi diritto di tutti.

Le proposte sono progettate per tutti i cicli scolastici, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, e sono organizzate in laboratori formativi di durata flessibile (si consiglia un minimo di due incontri di due ore ciascuno).

Il CRES propone anche corsi di formazione per insegnanti (vedi Strumenti cres n.59, pagg. 10 e 11) e pubblica la rivista di approfondimento pedagogico-didattico Strumenti cres. Per conoscere le nostre attività visita il sito: www.manitese.it/educazione o scrivici a eas@manitese.it

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | rubriche a cura Di domenica mazza, area attività interne e volontariato Mani Tese

VOLontariato

I campi estivi di Mani Tese Mani Tese organizza campi di volontariato dal 1968, una data lontana nel tempo che fa la differenza. Lo spirito è quello della solidarietà e dell'impegno, del lavoro, dello studio e del divertimento. Un'esperienza per sostenere concretamente progetti di sviluppo e di promozione sociale nel sud del mondo ma anche un ambito di conoscenza e approfondimento delle cause degli squilibri mondiali, della giustizia ambientale, sociale ed economica. È possibile vivere in un modo diverso, è possibile fare “vacanza” con sobrietà. Un campo di Mani Tese lo dimostra con coerenza. Ecco perché continua a credere nei campi di volontariato, nel 2012 come nel 1968. Perché è ancora importante organizzare un campo di volontariato di Mani Tese? Rispondono alcuni organizzatori… È importante organizzare un campo Mani Tese perché è divertente!! E divertirsi allunga la vita e mantiene giovani. In un mondo che butta è bello riciclare, in un mondo che spreca è bello recuperare: mi piace andare contro corrente, ma non andarci da sola. In un mondo individualista mi piace condividere, in un mondo con la musica nelle cuffiette mi piace stare seduti in cerchio e cantare accompagnati da una chitarra. Partecipare ad un campo è un'esperienza che ti resta nel cuore, ma organizzarlo ti radica nel tuo territorio, ti mette in moto il cervello, ti apre a nuove prospettive locali e globali. Paola Organizzatore campo Vicenza

Organizzare il campo di Mani Tese è un'opportunità da prendere al volo per dare il proprio contributo nella ricerca della giustizia e dell'equità. Attraverso i vari momenti di studio e di lavoro cerchiamo di proporre uno stile di vita più sobrio e trattenuto negli sprechi. Simbolo di questi ideali è il mercatino dell'usato che fa da contorno a ogni campo di Mani Tese Verbania e permette di educare i visitatori al riutilizzo. È importante, quindi, portare avanti una simile tradizione (a Verbania Mani Tese è presente da 30 anni) e impegnarsi ogni anno in una vacanza… diversa. Emanuele Organizzatore campo Verbania

La maggiore particolarità del campo di Ontignano (FI) potremmo ritrovarla nell'età dei partecipanti e del gruppo di organizzatori, che sarà compresa tra i 15 e i 20 anni: similmente allo scorso anno, questo vedrà la partecipazione di 15 ragazzi e ragazze da tutta Italia che si uniranno al gruppo giovanile di adolescenti di Firenze che stanno portando avanti da vari anni una significativa attività insieme a Mani Tese Firenze. Alla domanda sul perché fare un campo risponderemmo che è un'ottima opportunità per fare un'esperienza che sia in contemporanea divertente e formativa e che risulti sia una possibilità di fare un'opera importante sia una “vacanza” alternativa basata sui valori della semplicità, dell'impegno, della vita in comune e dell'amicizia. Organizzatori campo di Ontignano

Il campo di volontariato di Mani Tese è un laboratorio di idee dove si mettono in gioco testa, cuore e mani, per sperimentare teorie e pratiche di quel cambiamento che vogliamo realizzare nel mondo e che animano la mission della nostra associazione: giustizia sociale, sovranità alimentare, sobrietà, diritti. È una straordinaria proposta formativa che mette insieme persone diverse che hanno voglia di mettersi in gioco, di confrontarsi, di dire, fare e capire che cosa può fare ognuno di noi per contribuire al sogno di un mondo diverso e migliore. Caterina organizzatrice campo in Kenya


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Di giovanna tedesco, responsabile relazioni con i donatori mani tese

Stop trafficking. Fino a maggio 2013 Mani Tese sarà impegnata nella Campagna inTRATTAbili in sinergia con i partner locali di Filippine, Cambogia, Thailandia, Myanmar, ovvero i Paesi di transito e destinazione della tratta degli esseri umani, con l'obiettivo di sensibilizzare le comunità locali, formare gli operatori delle ong locali partner di Mani Tese, promuovere programmi di accoglienza e protezione dei bambini a rischio e traumatizzati e di prevenzione del fenomeno del trafficking, informare e sensibilizzare in Italia e nel nord del mondo. Il Trafficking, o tratta degli esseri umani, continua a mietere centinaia di migliaia di vittime e ad alimentare un inaccettabile mercato che, ogni anno, genera redditi sulla pelle dei più fragili, dei bambini e delle donne. In Cambogia il Trafficking è una grave problematica che minaccia il futuro e la vita stessa delle famiglie più povere che subiscono i soprusi delle bande criminali e vengono costrette con l'inganno dai trafficanti a consegnare i propri figli, destinandoli a un futuro di violenze e di abusi. Da diversi anni Mani Tese è impegnata in Cambogia, in particolare a Poipet, nel nordovest del Paese a confine con la Thailandia e a Sihanoukville, una delle principali mete turistiche, con progetti di protezione e prevenzione, di sostegno all'istruzione primaria dei bambini di strada, di accoglienza dei minori vittime di Trafficking, di supporto alle madri dei bambini sfruttati. Per fermare questa piaga inaccettabile, per proteggere le fragili esistenze di tanti bambini venduti, abusati, sfruttati e traumatizzati sottratti a famiglie estremamente povere Mani Tese ha messo in campo diverse iniziative di raccolta fondi. Grazie alla partecipazione di 68 corridori, abbiamo aderito alla Milano City Marathon che si è svolta domenica 15 aprile 2012. 14 staffette e 12 maratoneti hanno corso per Mani Tese con un obiettivo comune: dire STOP AL TRAFFICKING!

spazio donatori

La Campagna inTRATTAbili di Mani Tese Attraverso la Maratona non solo i corridori sono diventati i veri protagonisti della raccolta fondi a favore di Mani Tese! I nostri volontari, i nostri sostenitori, Aron Marzetti attore di Cento Vetrine, hanno creato una propria pagina web sul portale di Rete del Dono www.retedeldono.it invitando amici, conoscenti, colleghi e parenti a sostenerli e a sostenere il progetto di lotta al trafficking di Mani Tese. Ad oggi, se sommiamo alle donazioni dei sostenitori le quote di adesione dei nostri runners, abbiamo raggiunto oltre 1.000 Euro! La Maratona è solo l'inizio: ci proponiamo di raccogliere entro l'anno la quota di € 7.100 a copertura completa delle spese di accoglienza (cure mediche, psicologiche, pasti, istruzione primaria, attività ludicoformative, materiali didattici) per 10 bambini del Centro di Poipet per un anno!

Per raggiungere questo importante traguardo abbiamo bisogno di te!

Non solo è possibile sostenere la Campagna attraverso una donazione libera. Tu puoi essere il nostro personal fundraising! Puoi aiutarci a trovare nuovi amici che sostengano la causa di Mani Tese, puoi essere protagonista attivo e lanciare su Rete del Dono la tua iniziativa a favore della Campagna inTRATTAbili, in occasione di un momento speciale come la celebrazione di un'impresa sportiva, una ricorrenza importante (compleanno, anniversario, laurea, lista nozze per un matrimonio), la decisione di commemorare una persona cara, l'organizzazione di un aperitivo, una cena, una festa di raccolta fondi.

In molti hanno già aderito!

Un grazie particolare a chi ha contributo in occasione della Maratona: i nostri runners! E grazie anche a Arte&Solidarietà, Rotary Club - Monza Est, Agraria Laurenzi, ai dipendenti della Nielsen a tutti i nostri affezionati sostenitori che insieme a Mani Tese dicono STOP AL TRAFFICKING!

Unisciti a noi per proteggere i bambini vittime di trafficking in Cambogia! Un tuo contributo, anche libero, può davvero fare la differenza. Con 12 euro garantisci cure mediche a un bambino vittima di trafficking per un mese. Con 50 euro contribuisci alla formazione scolastica di un bambino e all'acquisto di materiale didattico per il centro d'accoglienza. Con 125 euro fornisci l'alimentazione ad un bambino per un anno.


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Campagna Coltiviamo il futuro

Fai la differenza

Formazione e orti per garantire il diritto al cibo in America Latina Il problema nutrizionale in Guatemala e Nicaragua. In America Latina il 21% della popolazione abita in aree rurali e il 70% vive sotto la soglia della povertà. Paesi dell'America Centrale, come Guatemala e Nicaragua, devono fare i conti con gravi problemi, primo su tutti la malnutrizione cronica. I dati non lasciano scampo, specialmente per i bambini sotto i 5 anni: in Guatemala 1 su 2 soffre di malnutrizione cronica, in Nicaragua 1 su 5. La malnutrizione implica non solo un ritardo nello sviluppo fisico ma anche considerevoli difficoltà di apprendimento che accompagneranno il bambino nel corso della vita, peggiorandone le condizioni psico-fisiche.

Il tuo aiuto è fondamentale per i piccoli produttori! Per far fronte a questa problematica, Mani Tese ha deciso di promuovere un programma che coinvolga diverse organizzazioni di piccoli contadini in Guatemala e in Nicaragua attraverso l'intervento congiunto di 3 partner locali: Conavigua e l'Associazione Santiago di Jocotan in Guatemala e INPRHU Estelì in Nicaragua. I piccoli contadini e produttori di Guatemala e Nicaragua sono costretti a fare i conti con numerose difficoltà legate alla malnutrizione: il cambiamento climatico, la sproporzionata distribuzione delle terre, la mancanza di conoscenze e nozioni tecniche nella produzione, l'educazione nutrizionale, l'isolamento delle comunità nei periodi di piogge con conseguente impossibilità di rifornimenti alimentari. Il tuo aiuto è fondamentale per sostenere la formazione professionale necessaria ai produttori locali, per garantire la fornitura di sementi e piante e per permettere la realizzazione di strutture adeguate!

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.


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Per coltivare una nuova vita abbiamo bisogno di te!

Insieme a te ci occuperemo di …

GUATEMALA Creazione di orti familiari. Mani Tese, con la collaborazione di Covanigua, supporterà 30 famiglie indigene nel dipartimento del Quichè nella creazione di orti familiari con un sistema specifico per la raccolta dell'acqua e per l'irrigazione. Beneficiarie dirette saranno le donne che verranno istruite sulle tecniche di coltivazione e sul valore nutrizionale delle verdure che coltiveranno. Con 12 euro acquisti 3 galline per un allevatore in Nicaragua. Con 24 euro fornisci 30 piantine di manioca, 20 di ananas e 5 alberi da frutto a un agricoltore in Guatemala. Con 45 euro fornisci a una famiglia l'attrezzatura per iniziare l'attività di apicoltura in Nicaragua. Con 100 euro contribuisci a un intercambio di esperienza fra gruppi di donne produttrici in Guatemala. Con 250 euro permetti la realizzazione di 10 laboratori di educazione alimentare in Guatemala.

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.

Formazione su tecniche agro ecologiche e salute nutrizionale. Mani Tese, insieme all'Associazione Santiago di Jocotan, lavorerà con 225 famiglie indigene chortì per combattere la malnutrizione cronica. L'obiettivo è di formare figure professionali di contadini per lo sviluppo della produzione agroecologica. Inoltre verranno formate le madri di famiglia nella disciplina di educazione nutrizionale, promuovendo la creazione di piccoli orti per la preparazione di cibi naturali e nutrienti.

NICARAGUA Allevamento di animali da cortile. Mani Tese, in collaborazione con il partner locale INPRHU, sosterrà 100 contadini nell'area rurale del Dipartimento di Estelì, nel nord del Nicaragua, nella creazione di allevamenti per animali da cortile. Lo scopo è di aumentare l'apporto proteico alla dieta, con la fornitura di animali e materiali per la realizzazione di piccoli recinti.

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risorse naturali: beni comuni o vizi privati? | progetti

Fai la differenza

Vi ricordate del ciclone Laila? Cari Sostenitori, le persone che abbiamo aiutato con questo progetto non c'è dubbio che del ciclone se ne ricordano. Noi abbiamo fatto quanto possibile per dar loro una mano, ma lutti, devastazioni , disastri non si dimenticano e non si superano tanto facilmente. Il nostro partner locale ASSIST ha fornito loro, oltre ad un aiuto materiale, gli strumenti psicologici e comunitari per ricominciare . Ma in definitiva toccherà soprattutto a loro essere protagonisti del proprio cammino di rinascita. Noi continueremo a sostenere queste comunità attraverso i progetti di sviluppo avviati nel Distretto e a fare il tifo per loro: anche questa è solidarietà e ha una straordinaria valenza fra esseri umani.

PER SOSTENERE I PROGETTI di mani tese • Conto Corrente Postale n° 291278 intestato a Mani Tese P.le Gambara 7/9, 20146 Milano • Assegno bancario • Bonifico Bancario Banca Popolare Etica, codice IBAN: IT 58 W 05018 01600 000000000040 • Domiciliazione bancaria tramite RID • Carta di Credito sul sito www.manitese.it • Destinazione del 5x1000 della dichiarazione dei redditi codice fiscale 02343800153 • Lascito Testamentario

BENEFICI FISCALI

Tutte le donazioni effettuate a nome di Mani Tese godono dei benefici fiscali previsti dalla legge. Ricordati di conservare la ricevuta di versamento!

Grazie per il vostro sostegno, continuate a sostenerci! a cura di giovanni mozzi, mani tese

progetto 2223, india

L'antefatto

Località Distretto di Prakasam, Andhra Pradesh Partner ASSIST Importo € 11.400

Il 20 maggio 2010 lo Stato meridionale indiano dell'Andhra Pradesh venne colpito da una forte tempesta tropicale formatasi nel Golfo del Bengala. Dopo aver assunto sempre più potenza, la tempesta si è abbattuta sulle coste dello Stato con piogge violentissime e vento molto forte, fino a trasformarsi in un vero e proprio ciclone. Il vento, che ha raggiunto la velocità di 125 km/h, ha sradicato alberi e pali elettrici, mentre onde enormi hanno colpito la costa, causando distruzioni e inondazioni. Nel distretto di Prakasam ASSIST, partner locale di Mani Tese, ha partecipato alle operazioni di primo soccorso in stretto coordinamento con l'amministrazione distrettuale. L'intervento di ASSIST si è concentrato nei 4 campi nei quali sono stati trasferiti gli abitanti dei villaggi maggiormente colpiti.

In sintesi, come si è operato

In questi casi è estremamente importante il superamento del trauma psicologico dovuto alla perdita dei propri poveri averi, delle proprie fonti di sostentamento ed in certi casi delle proprie abitazioni. È un trauma che lascia allocchiti, sconvolti, disperati e che toglie la capacità di reazione. Sono state quindi organizzate attività di consulenza psicologica per tutte le vittime del ciclone. Anche il consolidamento della comunità, disgregata dal disastro, è fondamentale per iniziare il cammino di recupero e quindi particolare attenzione è stata portata alla formazione ed al rafforzamento delle organizzazioni comunitarie. Un'altra attività tutt'altro che trascurabile è stata la sensibilizzazione comunitaria per prevenire la dispersione scolastica ed il trafficking di bambini. Oltre a ciò il personale ed i volontari di ASSIST si sono dati da fare per assistere circa 4.800 persone con cibo, acqua potabile, cure mediche, assistenza speciale per categorie particolarmente a rischio (bambini, donne incinte, anziani, invalidi) per tutto il periodo di permanenza nei campi. Il governo ha poi fornito 25 kg di riso, olio ed altre provviste per tutte le famiglie al loro ritorno nei villaggi di origine.

Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.


Non la solita vacanza! Quest’anno dai una svolta alla tua estate...

Partecipa ai di Farai un’esperienza unica e divertente, potrai sperimentare uno stile di vita sostenibile, approfondire tematiche legate alla giustizia ambientale, sociale ed economica, sostenere progetti di cooperazione internazionale.

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Per informazioni e iscrizioni: ufficio gruppi e volontariato Tel. 02 4075165 volontari@manitese.it

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