La storia del mondo in 6 bicchieri: parte V

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1763, Planisfero cinese ritenuto una riproduzione della carta di Zheng He del 1418, ritrovata da Lui Gang nel 2005.


CAPITOLO 9 GLI IMPERI DEL TÈ

Meglio restare senza cibo per tre giorni che senza tè per uno. Proverbio cinese

Grazie a Dio per il tè! Cosa sarebbe il mondo senza tè? Come sarebbe esistito? SIDNEY SMITH


XVIII sec, Jean-Etienne Liotarda, Party del thè pomeridiano,1702-1789.

LA BEVANDA CHE CONQUISTÒ IL MONDO Con i suoi estesi territori disseminati in tutto il mondo, nel 1773 l’Impero britannico fu descritto con una famosa espressione di Sir George Macartney, amministratore imperiale: «il vasto impero su cui non tramonta mai il sole». Al suo culmine abbracciava un quinto della superficie terrestre e un quarto della sua popolazione. Malgrado la perdita delle colonie nordamericane a seguito dell’indipendenza statunitense, dagli ultimi decenni del XVIII secolo la Gran Bretagna allargò notevolmente la sua sfera d’influenza, assicurandosi il controllo dell’India e del Canada, fondando nuove colonie in Australia e Nuova Zelanda, e sostituendo gli olandesi nel dominio del commercio marit198

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Anche in Francia, dove il tè visse una breve stagione di popolarità in ambiente aristocratico fra il 1650 e il 1700, la gente prese a berlo con il latte, sia perché ne gradiva il sapore, sia per mitigarne la temperatura. Raffreddare il tè con il latte proteggeva sia il bevitore, sia la fine porcellana in cui esso veniva servito.

I tè inglesi divennero l’equivalente britannico delle cerimonie cinesi e giapponesi; il tè veniva servito in tazze di porcellana, importate in grandi quantità come zavorra a bordo delle stesse navi che portavano le foglie dalla Cina.

Gli imperi del tè

Diversi autori offrirono consigli su come preparare il tè, in che ordine servire gli ospiti di rango differente, quali cibi accompagnare, e come era opportuno che gli invitati ringraziassero i padroni di casa. Il tè non era solo una bevanda; alla fine divenne un pasto pomeridiano del tutto nuovo.

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timo a est. L’affermazione della Gran Bretagna come prima superpotenza globale si intrecciò con la sua pionieristica adozione di un nuovo sistema manifatturiero. Gli operai venivano raccolti in grandi fabbriche in cui instancabili macchinari azionati da motori a vapore facevano risparmiare molto lavoro, amplificando le competenze e gli sforzi umani, una serie di innovazioni che nel loro complesso oggi conosciamo come Rivoluzione industriale. A collegare l’espansione imperiale e quella industriale pensò una nuova bevanda – nuova almeno per l’Europa – che venne subito associata agli inglesi, così come avviene ancora oggi. Il tè costituì la base per l’allargamento del mercato europeo verso est. I profitti del suo commercio contribuirono a finanziare l’avanzata in India della Compagnia delle Indie orientali britannica, organizzazione commerciale che divenne di fatto il governo coloniale del Regno Unito a Oriente. Dopo un esordio come prodotto di lusso, il tè divenne presto la bevanda dei lavoratori, il carburante per gli operai che facevano funzionare le nuove fabbriche alimentate a vapore. Se il sole non tramontava mai sull’Impero britannico, allora era sempre l’ora del tè, da qualche parte, almeno. Con i suoi rituali del distinto spuntino pomeridiano e della pausa dell’operaio, il tè rispecchiava perfettamente l’immagine di potenza civilizzatrice e industriosa che la Gran Bretagna aveva di sé. Sembra strano, dunque, che questa quintessenza della natura inglese al principio abbia dovuto essere importata con grandi sforzi e costi dalla Cina, vasto e misterioso dominio all’altro capo del mondo, e che la coltivazione e la produzione del tè fossero un enigma per i suoi consumatori europei. Per quanto li riguardava, le casse di foglie di tè si materializzavano sulle banchine di Canton: il tè sarebbe potuto anche arrivare da Marte. Eppure, per qualche motivo esso divenne cruciale nella cultura britannica. La bevanda che da sempre oliava le ruote dell’immenso impero cinese poté così conquistare nuovi territori: vinti gli inglesi, il tè si diffuse in tutto il mondo, e divenne la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua. La sua storia è la storia dell’imperialismo, dell’industrializzazione e della dominazione del mondo, una tazza alla volta.

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L'ASCESA DELLA CULTURA DEL TÈ Stando alla leggenda cinese, la prima tazza di tè fu preparata dall’imperatore Shen Nung, il cui regno tradizionalmente viene collocato fra il 2737 e il 2697 a.C. Fu il secondo dei leggendari imperatori di Cina e a lui furono attribuite l’invenzione dell’agricoltura e dell’aratro, oltre alla scoperta delle erbe mediche. Alla stessa stregua si dice che il suo predecessore, il primo imperatore, abbia scoperto il fuoco, la cucina e la musica. La storia vuole che Shen Nung stesse facendo bollire dell’acqua da bere usando dei ramoscelli di un cespuglio di tè selvatico per alimentare il suo fuoco, quando un refolo di vento soffiò alcune delle foglie nella sua pignatta. Trovò che l’infusione derivata fosse una bevanda delicata e rinfrescante. Più tardi scrisse un trattato medico, il Pen ts’ao, sull’uso medico delle varie erbe, in cui si racconta abbia annotato che l’infusione di foglie di tè «placa la sete, diminuisce il desiderio di dormire, eleva e rallegra il cuore». Eppure il tè non è affatto una bevanda cinese tanto antica: la storia di Shen Nung è una trovata ben più recente. La prima edizione del Pen ts’ao, risalente alla dinastia Han orientale (25-221 d.C.), non fa alcuna menzione del tè. Il riferimento al tè fu aggiunto nel VII secolo. Il tè è un’infusione di foglie, germogli e fiori essiccati di un cespuglio sempreverde, la Camellia sinensis, che sembrerebbe essersi sviluppato nelle giungle dell’Himalaya orientale, lungo quello che oggi è il confine fra l’India e la Cina. Erano già noti nella preistoria l’effetto corroborante che provocava il masticare le sue foglie e quello curativo che si otteneva frizionandole sulle ferite, pratiche che sopravvissero per migliaia di anni. Il tè veniva consumato anche in forma di intruglio medicinale nella Cina sudoccidentale: le foglie triturate venivano mescolate con scalogno, zenzero e altri ingredienti, che le tribù insediate in quella che oggi è la Thailandia settentrionale cuocevano al vapore o facevano bollire per poi farne delle polpettine da mangiare con sale, olio, aglio, grasso e pesce essiccato. Il tè, dunque, è stato medicina e pietanza prima di divenire una bevanda. Il momento in cui esso arrivò in Cina è incerto, ma sembra che vi sia stato portato dai monaci buddisti, aderenti alla religione fondata in India nel VI secolo a.C. da Siddharta Gautama, il Buddha. Sia i monaci buddisti, sia quelli taoisti, trovavano che bere il tè fosse un inestimabile aiuto alla meditazione, Gli imperi del tè

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dato che stimolava la concentrazione e metteva al bando la stanchezza: proprietà dovute, come sappiamo oggi, alla presenza di caffeina. Lao Tzu, fondatore del taoismo vissuto nel VI secolo a.C., credeva che il tè fosse un ingrediente essenziale dell’elisir della vita. Il primo sicuro riferimento cinese al tè risale al I secolo a.C., circa 26 secoli dopo la sua pretesa scoperta da parte di Shen Nung. Dopo aver esordito come oscuro medicinale e bevanda religiosa, il tè sembra essere divenuto una bevanda domestica per la prima volta a quell’epoca: un testo dell’epoca, Norme per i servitori, descrive il modo corretto per comprarlo e servirlo. Nel IV secolo d.C. il tè era divenuto così popolare che fu necessario cominciare a coltivarlo invece di limitarsi a raccoglierne le foglie dai cespugli selvatici. Il tè si diffuse in tutta la Cina e divenne bevanda nazionale durante la dinastia Tang (618-907), un periodo considerato l’età d’oro del Paese. A quell’epoca, la Cina era l’impero più grande, ricco e popoloso del mondo. La sua popolazione si triplicò fra il 630 e il 755, superando i 50 milioni di persone, e la sua capitale Changan (la moderna Xi’an), con i suoi due milioni di abitanti, divenne la più grande metropoli del pianeta. La città fungeva da polo culturale in un tempo in cui la Cina era particolarmente sensibile alle influenze esterne. Il commercio fioriva lungo le strade della Via della Seta e, via mare, con l’India, il Giappone e la Corea. L’abbigliamento, le acconciature e lo sport del polo furono importati dalla Turchia e dalla Persia, nuovi alimenti dall’India, strumenti musicali e danze dall’Asia centrale, insieme al vino nelle otri. La Cina a sua volta esportava seta, tè, carta e ceramiche. Da questa atmosfera variegata, dinamica e cosmopolita trassero giovamento la scultura, la pittura e la poesia. Alla prosperità di quel periodo e all’impennata della popolazione contribuì la diffusa abitudine di bere tè. Le sue potenti proprietà antisettiche lo rendevano più sicuro rispetto alle bevande precedenti, come la birra di riso o di miglio, anche se l’acqua non arrivava a bollire durante la preparazione. La ricerca moderna ha scoperto che i fenoli (l’acido tannico) del tè possono uccidere i batteri che provocano il colera, il tifo e la dissenteria. Il tè si poteva preparare in fretta con le foglie essiccate, e non si guastava come la birra. Era, in effetti, una tecnica di purificazione dell’acqua efficace e conveniente, che fece calare significativamente l’insorgenza di malattie trasmesse attraverso l’acqua, riducendo la mortalità infantile e aumentando la longevità. 202

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Il tè, inoltre, aveva un ben più visibile impatto economico. Mentre il commercio cinese di tè cresceva, durante il VII secolo, i mercanti di tè di Fujian, che erano chiamati a maneggiare grandi quantità di danaro, sperimentarono l’uso di una nuova invenzione: le banconote. Il tè stesso, pressato in mattoncini, veniva talvolta usato come valuta. Si prestava perfettamente a quello scopo, fornendo una riserva di valore compatta e leggera, che laddove necessario poteva anche essere consumata. Le banconote avevano uno svantaggio: il loro valore diminuiva man mano che si allontanavano dal centro imperiale, mentre in certe aree remote il tè, al contrario, aumentava di valore. In alcune zone dell’Asia i mattoni di tè sono stati usati come moneta fino ai tempi moderni. La popolarità del tè durante la dinastia Tang si rifletté nell’imposizione della prima tassa sulla pianta, nel 780, e nel successo di un libro pubblicato lo stesso anno: Il canone del tè, del celebrato poeta taoista Lu Yu. Scritto su ordine dei mercanti di tè, ne descrive nei minimi dettagli la coltivazione e la preparazione, oltre a illustrare l’arte di servirlo. Lu Yu realizzò molti libri sull’argomento, di cui nessun aspetto sfuggì al suo esame: si cimentò con le qualità dei singoli tipi di foglia, con l’acqua migliore da usare per la sua preparazione (l’ideale era costituito da quella dei più miti ruscelli di montagna; e del pozzo, se non ve ne era altra a disposizione) ed enumerò anche i passaggi della sua bollitura: Quando l’acqua bolle, deve avere l’aspetto degli occhi dei pesci e sprigionare solo un accenno di suono. Quando ai margini essa gorgoglia come una fonte spumeggiante e sembra incastonare innumerevoli perle, ha raggiunto il secondo stadio. Quando saltella come maestoso frangente e risuona come un’onda rigonfia, è al suo picco. Oltre, l’acqua bollirà fino a esaurirsi e non potrà più essere usata. Il gusto di Lu Yu era così raffinato che si diceva fosse in grado di identificare la fonte dell’acqua dal suo solo gusto, e addirittura di indicare la parte del fiume da cui proveniva. Più di chiunque altro, Lu Yu trasformò il tè da mera bevanda adatta a placare la sete in simbolo di cultura e raffinatezza. La capacità di gustarlo e apprezzarlo, e in particolare di riconoscerne i singoli tipi, divenne motivo di grande stima. Preparare il tè si trasformò in un onore Gli imperi del tè

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Esempio di cerimonia del te giapponese.SI nota il tipico mestolo di bambù utilizzato per trasferire l'acqua, e gli speciali vasi dedicati ad ogni precisa azione.

riservato al capofamiglia; l’incapacità di farlo bene, in maniera elegante, era considerata una disgrazia. Le feste e i banchetti incentrati su di esso divennero popolari a corte, dove l’imperatore beveva tè speciali fatti con acqua trasportata da fonti particolari. Nacque così la tradizione di portare ogni anno un “tributo di tè” all’imperatore. La popolarità del tè continuò sotto la prospera dinastia Sung (960-1279), ma perse i suoi favori ufficiali nel XIII secolo, quando la Cina cadde sotto il dominio mongolo. In origine i mongoli erano un popolo nomade di pastori che badava a branchi di cavalli, cammelli e pecore nella steppa. Sotto Gengis Khan e i suoi figli, essi crearono l’impero terrestre più esteso della storia, che comprendeva buona parte dell’Eurasia, dall’Ungheria a occidente, alla Corea a oriente, al Vietnam a sud. Come si conveniva a un popolo di cavalieri provetti, la bevanda tradizionale mongola era il kumis, ottenuto 204

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Idealmente l’ospite dovrebbe addirittura raccogliere di persona il legno per il fuoco, e l’intera cerimonia dovrebbe aver luogo in una casa da tè situata in un giardino appropriatamente curato.

L’intera cerimonia del tè giapponese è un rituale immensamente complicato, quasi mistico, che dura oltre un’ora. Limitarsi a descrivere i passaggi in cui le foglie vengono macinate, l’acqua fatta bollire, il tè miscelato e mescolato non renderebbe giustizia al significato della particolare forma degli accessori, all’ordine e alla natura del loro uso.

Gli imperi del tè

L’acqua deve essere trasferita da un particolare tipo di vaso al bollitore utilizzando un delicato mestolo di bambù; per misurare il tè si usa uno speciale cucchiaio;

deve esserci un attrezzo apposito per mescolare, un quadrato di seta per pulire il vaso e il cucchiaio, uno per posare il coperchio del bollitore, e così via. Tutti questi attrezzi devono essere portati dall’ospite nella sequenza corretta e sistemati sulle stuoie giuste.

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agitando del latte di giumenta e facendolo fermentare in otri di cuoio per trasformare il lattosio in alcol. Questo spiega perché il viaggiatore veneziano Marco Polo, che a quell’epoca passò molti anni alla corte cinese, non fece alcuna menzione del tè, se non per ricordare la tradizione del tributo all’imperatore (mentre sottolineò che il kumis era «come vino bianco, molto buono da bere»). I nuovi dominatori della Cina non mostrarono alcun interesse per la bevanda locale e mantennero le loro tradizioni culturali. Kublai Khan, che governava la porzione orientale dell’impero mongolo, faceva crescere l’erba delle steppe nei cortili del suo palazzo cinese e beveva il kumis preparato con latte di giumente bianche. Per dare risalto all’estensione e alla diversità dell’impero, il fratello di Kublai Khan, Mangu Khan, fece installare una fontanella d’argento nella capitale mongola di Karakorum. Dai suoi quattro getti zampillavano birra cinese, vino persiano, idromele dell’Eurasia settentrionale e kumis mongolo. Il tè mancava del tutto. Ma l’immenso impero rappresentato da quella fontana si dimostrò fragile, e collassò nel XIV secolo. L’entusiasmo per il tè fu uno dei modi in cui si riaffermò la cultura cinese dopo l’espulsione dei mongoli e l’affermazione della dinastia Ming (1368-1644). La preparazione e il consumo di tè cominciarono a divenire sempre più elaborati: l’attenzione meticolosa per i dettagli promossa da Lu Yu fu ripresa e ampliata. Rifacendosi alle sue radici religiose, il tè venne visto come forma di ristoro spirituale e corporeo. L’idea della cerimonia del tè, comunque, fu portata alle sue vette più elevate in Giappone. In Giappone il tè si beveva fin dal VI secolo, ma nel 1191 le più recenti scoperte cinesi sulla coltivazione, la raccolta, la preparazione e il consumo di tè furono portate sull’isola da un monaco buddista di nome Eisai, che in un libro decantò i benefici del tè per la salute. Quando il governante militare giapponese, lo shogun Minamoto Sanetomo, si ammalò, Eisai lo curò usando il tè che lui stesso coltivava. Lo shogun divenne un forte sostenitore della nuova bevanda, e la sua popolarità passò dalla sua corte alla campagna, fino a conquistare l’intero Paese. Nel XIV secolo ormai si era diffuso a tutti i livelli della società giapponese. Il clima era adatto alla sua coltivazione; anche le famiglie più piccole potevano coltivare un paio di cespugli, cogliendone qualche foglia quando serviva. L’intera cerimonia del tè giapponese è un rituale immensamente complicato, quasi mistico, che dura oltre un’ora. Limitarsi a descrivere i passaggi in cui 206

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le foglie vengono macinate, l’acqua fatta bollire, il tè miscelato e mescolato non renderebbe giustizia al significato della particolare forma degli accessori, all’ordine e alla natura del loro uso. L’acqua deve essere trasferita da un particolare tipo di vaso al bollitore utilizzando un delicato mestolo di bambù; per misurare il tè si usa uno speciale cucchiaio; deve esserci un attrezzo apposito per mescolare, un quadrato di seta per pulire il vaso e il cucchiaio, uno per posare il coperchio del bollitore, e così via. Tutti questi attrezzi devono essere portati dall’ospite nella sequenza corretta e sistemati sulle stuoie giuste. Idealmente l’ospite dovrebbe addirittura raccogliere di persona il legno per il fuoco, e l’intera cerimonia dovrebbe aver luogo in una casa da tè situata in un giardino appropriatamente curato. Nelle parole del più grande maestro del tè giapponese, Rikyu, che visse nel XVII secolo: «se il tè e gli utensili per il cibo sono di cattivo gusto, e se il disegno naturale e la progettazione degli alberi e delle rocce nel giardino del tè è sgradevole, allora non si può far altro che tornare dritti a casa». Malgrado fossero incredibilmente formali, alcune delle regole di Rikyu, come il divieto di portare la conversazione su argomenti mondani, non sono molto diverse da quelle che governano le più solenni cene europee. La cerimonia del tè giapponese costituì il culmine della cultura del tè, il risultato dell’importazione di una bevanda dall’Asia meridionale per calarla in una gamma diversa di influenze religiose e culturali e filtrarla attraverso centinaia di anni di accumulo di usi e riti. IL TÈ ARRIVA IN EUROPA Al principio del XV secolo, quando i primi europei raggiunsero la Cina per mare, i cinesi giustamente consideravano il loro Paese il più grande al mondo. Era la nazione più estesa e popolosa della Terra, con una civiltà ben più antica e duratura di quelle europee. L’Impero celeste, come veniva chiamato, nella visione dei suoi abitanti si situava al centro dell’universo. Nessuno era in grado di competere con i suoi progressi culturali e intellettuali; i forestieri Gli imperi del tè

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venivano liquidati come barbari o “diavoli stranieri”, che comprensibilmente potevano cercare di imitare la Cina, ma la cui influenza corruttrice era bene tenere a debita distanza. All’epoca nessuna tecnologia europea era sconosciuta ai cinesi, che erano più progrediti degli europei praticamente in ogni campo: la bussola magnetica, la polvere da sparo e i libri stampati a bordo delle navi europee erano tutte invenzioni cinesi. Gli esploratori portoghesi salpati dalla loro stazione commerciale di Malacca, sulla penisola malese, in cerca delle leggendarie ricchezze dell’Est, furono accolti con condiscendenza. La Cina era autonoma, e non le mancava alcunché. I portoghesi acconsentirono a pagare un tributo all’imperatore in cambio del diritto di commercio, e mantennero sporadici contatti mercantili con la Cina per diversi anni. Le merci prodotte in Europa non erano di alcun interesse per i cinesi, che d’altro canto erano ben lieti di vendere seta e porcellana in cambio di oro e argento. Alla fine, nel 1557 le autorità cinesi concessero ai portoghesi di insediare una stazione commerciale nella piccola penisola di Macao, nell’estuario del Canton, attraverso la quale si potessero spedire tutti i beni. Questo consentì ai cinesi di imporre dei dazi minimizzando i contatti con gli stranieri; altri europei furono esclusi del tutto dal commercio diretto con i cinesi. Quando gli olandesi arrivarono nelle Indie orientali verso la fine del XVI secolo, dovettero comprare le merci cinesi attraverso degli intermediari in altri paesi della regione. Intorno al 1550 il tè viene menzionato per la prima volta nei rapporti degli europei sulla regione. Non furono però i primi mercanti a portarlo in Europa. È possibile che piccole quantità siano state portate privatamente a Lisbona da marinai portoghesi, ma solo nel 1610 una nave olandese trasportò il primo piccolo carico di tè destinato all’Europa, dove era considerato una novità. Dall’Olanda, il tè approdò in Francia negli anni dopo il 1630 e in Inghilterra dal 1650 in poi. Il primo tè importato fu quello verde, il tipo da sempre consumato dai cinesi. Il tè nero, ottenuto lasciando ossidare nottetempo le foglie di tè verde appena raccolte, fece la sua comparsa solo durante la dinastia Ming; le sue origini sono un mistero. I cinesi lo considerarono adatto al consumo da parte degli stranieri; finì dunque per dominare le esportazioni verso l’Europa. All’oscuro com’erano sulle origini del tè, gli europei si convinsero erroneamente che il tè verde e nero fossero due specie botaniche diverse. Malgrado si fosse diffuso in Europa qualche anno prima del caffè, il tè ebbe 208

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un’importanza decisamente minore nel corso del XVII secolo, soprattutto perché era molto costoso. Esordì come un bene di lusso e una bevanda medicinale in Olanda, dove fin dal 1630 cominciarono a infuocarsi le discussioni riguardo ai suoi benefici terapeutici. Un detrattore della prima ora del tè (oltre che del caffè e della cioccolata, le altre due nuove, stravaganti bevande calde) fu Simon Pauli, dottore tedesco che aveva in cura il re di Danimarca. Nel 1653 pubblicò un trattato in cui ammetteva alcuni dei benefici medici del tè, puntualizzando però che erano ampiamente superati dalle sue controindicazioni. Trasportare il tè dalla Cina, affermava, lo rendeva velenoso, tanto che «accelera la morte di chi lo beve, in special modo se ha passato l’età dei quarant’anni». Pauli millantò di aver usato «il massimo degli sforzi per distruggere la imperversante Follia epidemica dell’importazione del tè in Europa dalla Cina». A sostenere la visione opposta si trovò Nikolas Dirx, medico olandese che incensò il tè considerandolo una panacea. «Non vi è nulla di paragonabile a questa pianta», dichiarò nel 1641. «Coloro i quali l’adoperano sono, per questo solo motivo, in salvo da ogni malattia, e raggiungono età ragguardevolmente avanzate». Un avvocato del tè ancor più entusiasta fu un altro medico olandese, Cornelius Bontekoe, che scrisse un libro raccomandando il consumo di diverse tazze di tè al giorno. «Raccomandiamo il tè all’intera nazione, e a tutti i popoli!» dichiarò. «Sollecitiamo ogni uomo e ogni donna a berne tutti i giorni; se possibile, ogni ora; cominciando con dieci tazze al giorno per poi aumentarne la dose – tanto quanto lo stomaco può sopportare». I malati, suggerì, avrebbero dovuto consumarne una cinquantina di tazze al giorno; stabilì il limite massimo in 200 tazze. La Compagnia delle Indie orientali olandese onorò Bontekoe per il suo contributo nell’impennata delle vendite di tè; in effetti, il libro potrebbe essere stata un’idea della compagnia Gli imperi del tè

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fin dal principio. Si noti che il medico disapprovava la pratica di aggiungere zucchero al tè, che a quell’epoca aveva cominciato a essere popolare. Un’altra aggiunta europea al tè fu il latte. Già nel 1660 una pubblicità di tè inglese dichiarava che fra i suoi numerosi benefici, «(preparato e bevuto con Latte e Acqua) esso rafforza le interiora, previene la tubercolosi e lenisce efficacemente i dolori alle Viscere, le coliche dell’Intestino o la Sciolta». Anche in Francia, dove il tè visse una breve stagione di popolarità in ambiente aristocratico fra il 1650 e il 1700, la gente prese a berlo con il latte, sia perché ne gradiva il sapore, sia per mitigarne la temperatura. Raffreddare il tè con il latte proteggeva sia il bevitore, sia la fine porcellana in cui esso veniva servito. Ma in Francia il tè fu ben presto eclissato dal caffè e dalla cioccolata. Fu in ultima istanza la Gran Bretagna, più che l’Olanda o la Francia, a dimostrarsi la nazione più amante del tè in Europa, con importantissime conseguenze storiche. IL PECULIARE ENTUSIASMO DELL'INGHILTERRA PER IL TÈ Non è esagerato dire che pressoché nessuno in Inghilterra beveva tè al principio del XVIII secolo, e quasi tutti lo facevano alla fine dello stesso secolo. Le importazioni ufficiali passarono dalle circa sei tonnellate del 1699 alle undicimila di cent’anni dopo, e il prezzo di una libbra1 di tè alla fine del secolo era un ventesimo circa di quello all’inizio. Questi dati per giunta non comprendono il tè contrabbandato, che probabilmente raddoppiò il volume delle importazioni per buona parte del secolo, finché nel 1784 non furono drasticamente ridotti i dazi imposti. A creare confusione vi era anche la diffusa pratica dell’adulterazione: il tè veniva allungato mescolandolo con cenere e foglie di salice, segatura, fiori e sostanze più dubbie – addirittura escrementi di pecora, stando a una fonte – spesso colorati e camuffati con l’uso di tinture chimiche. In un modo o nell’altro il tè veniva trattato a ogni passaggio della sua catena di produzione dalla foglia alla tazza, e dunque la quantità consumata era superiore a quella importata. L’ascesa del tè nero fu un effetto collaterale di 210

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1 La libbra è l'unità di misura del peso usata nei paesi anglosassoni, equivalente a 0,45 chilogrammi [N.d.R.]


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