VENEZIA NEWS - FEBRUARY - MARCH 2024 - #284-285

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EXHIBITIONS MUSEUMS

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CONCERTS

venicecityguide

THEATRES FILMS&SERIES FOOD&DRINKS

Banksy, Robot Boy courtesy M9 – Museo del ‘900

Mensile di cultura e spettacolo - n° 284-285 - anno 28 - Febbraio/Marzo 2024 spedizione in A.P. 45% art.2 comma 20/B - legge 662/96 - DCI-VE

CLUBS

ENGLISH INSIDE € 3,00

Unauthorized

ISSUE

NEW SEASON: CARNIVAL, THEATRE, EXHIBITIONS, CONCERTS, LIVE PERFORMANCES



BANKSY Painting WALLS a cura di Sabina De Gregori

23.02 > 02.06.24 M9 - Museo del ’900 via Pascoli 11 Venezia Mestre

www.m9museum.it Ideata e prodotta da

In partnership con

M9 è un progetto di


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Brainless, Ai Weiwei - ph Francesco Allegretto


NEBULA BASEL ABBAS AND RUANNE ABOU-RAHME GIORGIO ANDREOTTA CALÒ SAODAT ISMAILOVA BASIR MAHMOOD CINTHIA MARCELLE AND TIAGO MATA MACHADO DIEGO MARCON ARI BENJAMIN MEYERS CHRISTIAN NYAMPETA FONDAZIONE IN BETWEEN ART FILM 17.04—24.11 2024 COMPLESSO DELL’OSPEDALETTO VENEZIA 3


february-march2024 editoriale (p. 6) Un bagliore di vita incontri (p. 8) On. Claudia Roth, Ministro di Stato per la Cultura e i Media del governo tedesco | Serena Bertolucci – Direttrice M9 – Museo del ‘900 storie (p. 16) In viaggio con Marco Polo carnivaldiary (p. 25) Intervista Prof. Gherardo Ortalli, Il Milione. La descrizione dettagliata del mondo | Marco Polo al cinema | Carnival highlights | Piazza San Marco | Le Mystere des Voix Bulgares | Musica nuova a Palazzo | Il barbiere di Siviglia | La bohème | Incanto d’aprile | Gli innamorati | Marco Polo, il Grande Cane e la meraviglia dell’invisibile | Ne vedremo delle belle! | Il pesce mai visto | Alla corte di Kublai Khan | Ballo del Doge | Heureka Carnival Ball | Night Dreamers Ball | Palazzina G Babylon Party | Venetian Reflections Gran Ball | Terra Incognita Water Show | Perplex | Afro Jamaican Spot | Arsenale Carnival Experience | 15. Carnevale Internazionale dei Ragazzi de La Biennale di Venezia| Le Patin Libre | The Shadows of Dreams | L’asse del tempo | Esploratori veneziani | Avventure veneziane | La magia del Carnevale cinese | Perché sei al mio posto? | Carnevale al Fondaco | Fritole e Fritoleri arte (p. 52) Banksy. Painting Walls | Julie Mehretu | Edith Dekyndt | Pierre Huyghe | Re-Stor(y)ing Oceania | Preview 60. Biennale Arte | Marcel Duchamp | La Madonna in Rosso di Giovanni Bellini | Marina Nani Donà | Il ritratto veneziano dell’Ottocento | Maurizio Pellegrin | Ego | Joan Fontcuberta | Anthony Corner | Silvano Rubino | Luca Massimo Barbero | Venezia Bianca | David “Chim” Seymour | Luigi Ferrigno | Andrea Morucchio | The Rivus Altus | Re-Emerging | A Venezia con Ruskin | Galleries | Not Only Venice musica (p. 88) Elio/Jannacci | Massimo Ranieri | Jazz& | Felicitazioni! CCCP-Fedeli alla linea 19842024 | The Italian Affair | Omaggio a Pino Daniele | Candiani Groove classical (p. 94) Il filo di Fauré | Maria Egiziaca | Sinfonica alla Fenice | Landscapes | Musica da Cameraal Toniolo | Musikàmera | Prometeo review theatro (p. 104) Ciarlatani | Clitennestra | Massimo Cacciari Sul Sogno | Cosa Nostra spiegata ai bambini | L’ispettore generale | The City | Arlecchino? | Shylock. Venezia oltre il denaro | Momenti di trascurabile (in)felicità | Maddalene Factory | Dove eravamo rimasti | La buona novella | Antonio e Cleopatra | Moby Dick alla prova | Ballade | Cenerentola | In Piedi | Le serve | Teatrino Zero | Comici cinema (p. 118) Classici Fuori Mostra | Oscar | Berlinale | Teorema Cicogna | 14. Ca’ Foscari Short Film Festival | Biennale College Cinema | Supervisioni | Roberto Pugliese racconta Pino Donaggio | Intervista Carlo Montanaro | | Cinefacts etcc... (p. 130) Più Libri più Laguna | Convegno Mehdi Charef | Intervista Alessandro Marzo Magno | Treviso Giallo | Parole: Errore | Buzzati | Giorno del Ricordo | menu (p. 140) Enologismi | Intervista Roberto Racca | Lofoten/Venezia | Alessandro Zoppi: Racconti d’inverno | SPA a Venezia citydiary (p. 151)

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CARNEVALE DI VENEZIA Ad Oriente

Go East! The 2024 Venice Carnival celebrates Marco Polo and his history-making curiosity with shows and events at the Arsenale. carnivaldiary p. 25

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PALAZZO GRASSI PUNTA DELLA DOGANA New opening

Julie Mehretu opens the new art exhibition season at Palazzo Grassi and Pierre Huyghe populates Punta della Dogana with human and non-human entities. arte p. 54-56

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ELIO/JANNACCI Ci vuole orecchio

Banksy, Robot Boy courtesy M9 – Museo del ‘900

CONTENTS

Elio meets the sacrilegious, alltoo-serious comedy of Enzo Jannacci. That Milan doesn’t exist anymore… or does it? This niche repertoire will make you think otherwise. musica p. 88


COVER STORY Banksy re-wrote the rule of that peculiar human expression we call art. Five years passed since his raid in Venice, the moment his Migrant Child appeared on the wall of a condemned building between Campo San Pantalon and Campo Santa Margherita. That very wall sits by the canal, with water touching and washing its surface every day, making it wash away just like the piece or reality portrayed. Exhibition Banksy. Painting Walls, to open at M9 Museum in Mestre on February 23, builds upon Banksy’s artistic foray in Venice to try and decode public art as both necessary and other. Meetings and guided bike tours from Venice to Mestre will be offered during the exhibition’s opening to feel at one’s feet the relationship between the two cities, which is the focal point of M9’s new director Serena Bertolucci’s plan of action. incontro p. 12 arte p. 52

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FESTIVAL BRU ZANE Gabriel Fauré

Gabriel Fauré’s Revolutionary Romanticism is the focus of the new festival at Palazzetto Bru Zane. The French composer’s influence on the generations that followed demonstrated in concerts and conferences. classical p. 94

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SILVIO ORLANDO Ciarlatani

Davide Carnevali adapts Pablo Remón’s comedy in its scenic immediacy made of piercing witticisms and nonsense thanks to two great actors: Silvio Orlando and Blu Yoshimi. A reflection on necessary greatness and an elegy of normalcy. theatro p. 104

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ZEROCALCARE Più Libri più Laguna

Comic artist Zerocalcare will be the month’s guest at Teatrino Grassi. With him, we will discover how hard, and how necessary, it is to shake our consciences and demand our rights be respected. etcc... p. 130

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Luigi Nono, Prometeo, Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono

UN BAGLIORE DI VITA di Massimo Bran

editoriale

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n questa città che amiamo perdutamente e a cui proprio per questo non ne risparmiamo una alla luce dell’infinita teoria di occasioni perdute che progressivamente, verrebbe da dire oramai ineluttabilmente, inanella senza anticorpo resistenziale alcuno, o quasi, nonostante la profondità storica e il potenziale presente e futuro di cui è dotata come pochissimi altri centri urbani al mondo, non pare neanche vero di poter festeggiare oggi un’azione pienamente vincente e convincente quale quella che si è appena consumata negli ultimi giorni di gennaio qui, nel pieno cuore di Venezia. Stiamo naturalmente parlando della riedizione, con una produzione completamente nuova, di uno degli eventi musicali, o per meglio dire più estesamente culturali, a dir poco nodali per Venezia e non solo della seconda metà del secolo scorso, vale a dire il Prometeo. Tragedia dell’ascolto di Luigi Nono. Non è questa la sede per ricordare e dilungarsi ancora su che cosa rappresentò quella messa in scena incredibile nel 1984 alla Chiesa di San Lorenzo; oramai lo hanno fatto tutti lungamente e per bene, che altro aggiungere? No, qui è ora necessario “vedere”, a qualche giorno di distanza dall’accaduto, la compiutezza, la congruità di questo omaggio che è stato molto, ma molto di più di un semplice omaggio. Spesso questi anniversari, in questo caso addirittura una doppia ricorrenza, i 100 anni della nascita dello straordinario compositore veneziano e i 40 anni di questo progetto cruciale della musica contemporanea internazionale, sono delle occasioni per farcire di ulteriore retorica le glorie passate attorno alle quali, in particolare i reduci ma non solo, tutti si stringono con la lacrima facile e il cuore gonfio. Anche quando va molto meglio di così, quasi sempre in queste celebrazioni postume vi è un alone, un sapore di mielosa nostalgia; magari alcune di queste occasioni talvolta producono momenti di spettacolo e di cultura credibili e spendibili, in una parola godibili, qui e ora, a decenni di distanza dal contenuto da omaggiare, al che un bel sospiro di sollievo per lo sventato pericolo da retoriche fanfare alla fine si tira con piacere, eccome. Ma è davvero rarissimo che una ricorrenza di questo tenore produca delle pulsazioni nuove, proprie, senza rincorrere, con improbabili calchi, l’irripetibile, così reinverandolo di luce nuova e propria. Sono quei momenti quasi impossibili in cui il rifare, il riprodurre si fa cosa altra, nuova, presente. In un’età bulimica di nuove uscite discografiche digitali, di nuove progettualità teatrali, compositive, dove ci si finisce per perdere in una pantagruelica indigestione che

annebbia la capacità di tenere, di memorizzare il meglio del nuovo che avanza, l’industria dei coccodrilli, delle ristampe, delle reunion, degli omaggi, per l’appunto, la fa sempre più da padrona. Sì, perché in fondo cosa di più facile che incensare e reincensare le magnifiche glorie che furono in un processo di agile risantificazione di icone ben presenti da tempo nei pantheon dei vari linguaggi espressivi della cultura e delle arti, siano esse colte, di nicchia, o pop, commerciali? Nulla. Proprio nulla. Eppure all’improvviso, di tanto in tanto, ecco l’epifania, il ridefinirsi in nuove, incisive declinazioni oggi qui, come se fosse un contenuto quasi inedito, di una creazione culturale che sembrava non poter altro che essere incollata al suo tempo passato. Il Prometeo. La tragedia dell’ascolto, detto senza clamore alcuno, riprodotto quarant’anni dopo in forma nuova addirittura nel medesimo luogo del delitto, la Chiesa di San Lorenzo, cos’altro è stato se non questo, ossia una luminosa epifania? Naturalmente non spetta a noi, in queste pagine, tantomeno al sottoscritto, di dilungarsi su considerazioni critico-musicologiche attorno alla riuscita o meno della ri-produzione di questo portentoso progetto di Luigi Nono. Ci mancherebbe. Nella rubrica di Classica all’interno chi ne avrà voglia troverà comunque una nostra recensione a riguardo. Ma non è questo che conta ora qui. Ciò che ci sentiamo di restituire in apertura di questo numero è la sensazione fisica, vivida di aver vissuto un’esperienza sensoriale, sonicovisiva, ma non solo, profonda, intimamente estenuante nella migliore accezione del termine, diremmo addirittura, in qualche misura, densamente sacrale, che è andata accrescendosi di ora in ora, di giorno in giorno con colori, echi in continuo divenire. Dei riverberi intimi in vitale, continua migrazione. Un sentire plurimo che raramente ci porta via con questa densa e progressiva intensità, tantomeno quando ci disponiamo alla riproduzione del già conosciuto, del già visto e sentito. È per l’appunto ciò che ci accade quando un segno, una creazione contemporanea produce nuova luce. La più sorprendente, intelligente, viva Venezia è però la vera epifania di questo Prometeo risorto. Non vogliamo certo illuderci che questa riuscitissima esperienza rappresenti il là di un nuovo, diffuso sentire ed agire in questo complicatissimo luogo. Sarebbe da illusi e pure da stolti. Anche perché potrebbe avere questo magnifico momento ancora una volta i colori del crepuscolo, del colpo di coda di una stagione felice da parte dell’istituzione culturale che da anni mantiene in vita la migliore immagine e sostanza della città. Sì, perché questa


Buon compleanno Gigi!

straordinaria progettualità attorno alla riproposizione del Prometeo di Luigi Nono è davvero il coup de theatre da manuale di fine corsa di Roberto Cicutto, un Presidente della Biennale che ancora non abbiamo forse bene l’idea, la misura di quanto rimpiangeremo, a prescindere da chi verrà dopo di lui e di quanto saprà fare. Una persona di profilo alto e sottilissimo, intonso da qualsivoglia forma di pomposa retorica, dalle idee chiare e innovative, capace in questi pochi anni di far dialogare concretamente come forse mai prima si era visto all’interno della Biennale i diversi suoi settori, aprendo fertili zone di confronto ed interazione. Quindi poche illusioni prospettiche, sia chiaro. Ma intanto un mattone luminoso, un altro, è stato posto nell’edificio contemporaneo di questa città e nessuno potrà rimuoverlo, almeno questo. Naturalmente il riuscitissimo progetto di una nuova produzione del Prometeo non può non portare la firma anche di chi tenacemente tiene in vita l’eredità culturale del grande compositore veneziano, vale a dire la Fondazione Archivio Luigi Nono fondata nel 1993 da Nuria Schoenberg Nono, che come tutti i soggetti impegnati a costruire memoria e senso presente attorno ad impegnativi lasciti culturali si trova a muoversi spesso in strade impervie, in salita, non godendo quasi mai della concreta e dovuta considerazione da parte di chi avrebbe il dovere e la possibilità di sostenerne gli sforzi alla luce del contenuto prezioso per la comunità tutta della propria attività. Per cui è davvero doppio il centro colpito da questo evento, perché riuscito culturalmente e perché per una volta tanto espressione di una lucidità rara da un punto di vista istituzionale nel riconoscere il lavoro di piccoli, preziosi soggetti culturali in un territorio complesso quale è il nostro. È quindi per questo e con grande piacere e partecipazione che accogliamo e di buon grado pubblichiamo la lettera aperta che Serena Nono ha voluto inviare a nome della Fondazione intitolata a suo padre a chi ha voluto e saputo sostenere nei fatti questo grande deposito culturale della musica contemporanea.

Vorrei a nome della Fondazione Archivio Luigi Nono e a titolo personale, ringraziare dal profondo del cuore la Biennale di Venezia, La Biennale ASAC, archivio storico delle arti contemporanee, in particolare il presidente Roberto Cicutto, l’avvocato Debora Rossi, la dottoressa Francesca Benvenuti e il direttore generale Andrea Del Mercato, per il regalo più bello che potessimo immaginare per l’anniversario centenario della nascita di Luigi Nono. Ricordo l’inizio di questa avventura, qualche anno fa, quando con Alvise Vidolin sognavamo il ritorno di Prometeo. Tragedia dell’ascolto a Venezia ma ci sembrava davvero difficile da realizzare, quasi impossibile. Poi invece, con l’occasione della convenzione stipulata tra Fondazione Archivio Luigi Nono e la Biennale di Venezia, ASAC, che decretava l’ospitalità del fondo dell’Archivio Nono nel nuovo Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee che verrà creato in una nuova sede all’interno dell’Arsenale, è sorta la possibilità di celebrare quest’anno il centenario del compositore riproponendo il Prometeo. Tragedia dell’ascolto con una nuova produzione targata La Biennale di Venezia ASAC. Il presidente Roberto Cicutto un bel giorno ci disse: «Si può fare, e forse si può fare di nuovo a San Lorenzo!»; «Addirittura!!!» pensammo noi. E grazie anche alla collaborazione del TBA21–Academy che si occupa dell’Ocean Space Chiesa di San Lorenzo il progetto si è reso così concretamente realizzabile. Da lì siamo partiti. Riproporre l’opera nella Chiesa di San Lorenzo non sarebbe stato facilissimo, certo. Immediatamente, e non poteva essere diversamente, ecco affiorare il confronto con quella bottega eccezionale dell’epoca, dove a lavorare fianco a fianco si trovarono non solo gli autori Luigi Nono e Massimo Cacciari, ma anche “collaboratori” del calibro di Renzo Piano, Claudio Abbado, Emilio Vedova. E dunque qui voglio davvero non solo ringraziare gli interpreti di oggi, ma esprimere tutta la meraviglia per il loro lavoro. Il direttore Marco Angius, il secondo direttore Filippo Perocco, l’Orchestra di Padova e del Veneto, il live electronics del regista del suono Alvise Vidolin con Nicola Bernardini e Luca Richelli, i solisti Roberto Fabbriciani, Giancarlo Schiaffini, Roberta Gottardi, Carlo Lazari, Michele Marco Rossi, Emiliano Amadori, i cantanti: Livia Rado, Rosaria Angotti, Chiara Osella, Katarzyna Otczyk, Marco Rencinai, il coro del Friuli Venezia Giulia diretto da Cristiano Dell’Oste, gli attori Sofia Pozdniakova e Jacopo Giacomoni, gli ideatori dello spazio scenico Antonello Pocetti e Antonino Viola e il maestro delle luci Tommaso Zappon, tutti grandi ed appassionati professionisti capaci insieme di creare un nuovo straordinario Prometeo davvero oltre ogni aspettativa. L’opera oggi si ascolta solenne, in uno spazio che è il suo, con una struttura che, leggera, dà respiro alla pienezza e al movimento del suono e tutto fa risuonare la musica come deve. Attraverso la grande cura di Marco Angius e Alvise Vidolin la nuova produzione incarna perfettamente il pensiero e l’anima dell’opera e ne restituisce l’intensità e il suo paradosso, la novità eterna, che ci è necessaria. È vero, sono di parte, non la migliore critica, ma non voglio dire la grandezza dell’opera, in questa sede voglio esprimere l’apprezzamento per l’incredibile professionalità, profondità, intelligenza e sensibilità degli interpreti odierni, tutti. Qualità che hanno permesso loro di entrare nel pensiero del compositore. Certo, ci sono oggi come allora i testimoni e collaboratori storici Alvise Vidolin, Roberto Fabbriciani e Giancarlo Schiaffini a garantire la continuità e la tenuta della memoria, ma tutti coloro che invece sono nuovi alla composizione hanno con piena evidenza dimostrato che non è vero quello che sovente si dice, vale a dire che non essendo tutto fissato nelle partiture di Luigi Nono è impossibile poi riprodurle perfettamente senza la presenza e la cura del compositore. Costoro hanno dimostrato l’impegno, l’approfondimento e la ricerca continua a cui tanto teneva Luigi Nono. Nella chiesa il Prometeo rivive con tutto il suo carico di domande, con la sua inquietudine, con il suo movimento di incessante ricerca, con il dolore e la speranza, e risuona a tratti come musica del sacro. L’Ascolta che ci viene richiesto, a me personalmente, fa pensare a quell’altro celeberrimo ASCOLTA, Ascolta Israele! Quell’Ascolta Israele, certo, intima obbedienza, ma chiede l’ascolto con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la propria forza, e chiede l’abbandono necessario a ciò che è più grande di noi, chiede di far spazio all’altro da sé. Concludo con un infinito ringraziamento a tutti coloro che hanno lavorato a questo nuovo Prometeo. Tragedia dell’ascolto così eccellente come lo abbiamo sentito in questi giorni, in questo 2024. Grazie con affetto alle istituzioni che lo hanno voluto, sostenuto e proposto. Serena Nono

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Intervista On. Claudia Roth |Ministro di Stato per la Cultura e i Media del governo tedesco

incontri

VIAGGIO IN ITALIA

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Centro Tedesco di Studi Veneziani/BKM - Photo Marta Buso


Ci sono centinaia e migliaia di persone per le strade della Germania che manifestano per ottenere una società più aperta, varia e inclusiva. Sono uniti nella loro opposizione all’estrema destra. Sono segnali forti che danno molta speranza di Fabio Marzari

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Il suo Paese ha sempre dato grande importanza alle spese per la Cultura, stanziando per essa una cifra considerevole del bilancio statale. Alla luce della sua esperienza di governo, come definirebbe attualmente lo stato della cultura in Germania? La Germania è uno stato federale la cui Costituzione prevede che le politiche culturali siano perlopiù appannaggio dei singoli stati, che è il motivo per cui la maggior parte delle iniziative è finanziata dagli stati e dalle amministrazioni locali, mentre il governo federale si occupa solo di progetti e istituzioni culturali di particolare rilievo per la nazione. Il tessuto culturale della Germania è ricco e vario, con un gran numero di istituzioni che vi si dedicano a tutti i livelli, federale e locale. Tuttavia, e questo già lo si intravede a seguito delle recenti crisi che conosciamo, per il futuro ci aspettiamo delle sfide importanti per il settore della cultura e però con meno risorse finanziarie. È essenziale ricordare che, specialmente in tempi di crisi, la cultura non è intrattenimento o solo un’altra attività umana che si aggiunge alle altre, ma uno strumento fondamentale per la democrazia. Deve essere conservata e nutrita. La cultura ci guida, pone le giuste domande, offre chiarezza, e in modo altrettanto importante aiuta le persone a esprimere le loro emozioni, le loro paure e i loro traumi. Per quanto riguarda la Germania, penso sia importante stabilire una solida base legale per la cultura a livello federale. Sto lavorando per

Your Country always dedicated a sizable portion of its budget to culture. From your point of view as a member of the cabinet, how would you comment on the state of culture in Germany? Germany is a federal state where the field of culture is primarily under the legal competence of the states. That’s why the major part of cultural initiatives is funded by the sixteen federal states and their local governments, while the federal level primarily supports cultural projects and institutions that hold special importance for the entire country. Germany continues to have a very rich cultural landscape with a variety of cultural institutions on all government levels: local and federal. However, the moments we anticipate, already shaped by multiple crises, will be challenging for the cultural sector as well when it comes to budget restrictions. It is crucial to highlight, especially during crises, that culture is not an entertainment or a mere extension in the variety of human activity fields, but an essential tool for democracy that must be preserved and nurtured. Culture can provide guidance in such times, raise the right questions, offer clarity, and what’s equally important, assist people in expressing their emotions, fears, and traumas. As far as Germany goes, I believe that it is important to establish a stronger legal foundation for culture at the federal

o avuto il piacere di incontrare a Venezia l’on. Claudia Roth, Ministro di Stato per la Cultura e i Media del governo tedesco presieduto da Olaf Scholz. L’occasione era data da un omaggio alla Comunità Ebraica di Venezia da parte dell’importante esponente politica. Ciò che da subito ha catturato la mia attenzione è stata l’assenza di retorica nelle parole e nei gesti di Claudia Roth, una differente lezione di stile politico e di visione della storia rispetto alle abitudini italiche. Affrontare temi delicati e molto sensibili in casa di chi ha subito la peggiore infamia dell’umanità con la dignità di chi non ha avuto timore di fare i conti con la storia, la propria storia, sapendo che certi orrori non potranno mai essere derubricati in nome di una qualche nebulosa pacificazione nazionale, è qualcosa che fa la differenza in termini umani e politici. Claudia Roth, esponente del partito dei Verdi, ha focalizzato la sua attività politica, sia nel suo Paese che al Parlamento Europeo, sul multiculturalismo, sulla tutela delle minoranze, sul sostegno delle persone LGBT in Germania e in Europa e sull’integrazione nel Continente europeo. Anche l’approccio per l’intervista che segue racconta di un modo differente di concepire la politica, si pensi alla trafila che in Italia avremmo dovuto fare per accedere, forse, all’ufficio stampa del suo omologo Gennaro Sangiuliano. Qui invece, grazie al Centro Tedesco di Studi Veneziani e all’infaticabile e prezioso lavoro di Petra Schaefer, è bastata una presentazione informale per cui poi scaturisse fluidamente il tutto. Un grazie sincero va al dr. Jens Althoff, portavoce e capo della comunicazione della Ministra Roth.

had the pleasure of meeting Claudia Roth in Venice, the Minister of State for Culture and Media in the German government led by Olaf Scholz. The occasion was a tribute to the Jewish Community of Venice by this significant political figure. What immediately caught my attention was the absence of rhetoric in Claudia Roth’s words and gestures, a different lesson in political style and in the vision of history compared to Italian habits. Addressing delicate and highly sensitive issues in the home of those who have suffered the worst infamy of humanity with the dignity of someone speaking for a country that has not hesitated to come to terms with history, makes a difference in human and political terms. Claudia Roth, a member of the Green Party, has focused her political activity, both in her country and in the European Parliament, on multiculturalism, the protection of minorities, support for LGBT individuals in Germany and Europe, and integration in the European continent. Even the approach to the interview that follows tells of a different way of conceiving politics compared to the customs in our country. Here, thanks to the German Center for Venetian Studies and the tireless and invaluable work of Petra Schaefer, a casual introduction was enough for everything to flow smoothly. A heartfelt ‘thank you’ is extended to Jens Althoff, spokesperson and head of communication for Minister Roth.

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incontri CLAUDIA ROTH

inserire questo scopo nella nostra Costituzione, però a questo fine abbiamo bisogno di due terzi dei voti del Parlamento e l’opposizione conservatrice non si è finora dimostrata interessata al tema. La Germania a differenza dell’Italia sembrava avere fatto i conti col suo passato drammatico e ingombrante in maniera più responsabile e severa. A ridimensionare questa visione è intervenuto di recente un sondaggio allarmante circa la percentuale di voti che un partito di destra estrema e xenofobo come AfD potrebbe prendere alle prossime elezioni. Le destre in Europa, Italia in primis, sono in crescita costante e incombe un nuovo pericolo Trump dall’America. Perché secondo lei la politica tradizionale non è più in grado di intercettare i bisogni della gente? Cosa si può e deve fare da subito per invertire e frenare questo trend? Mi sembra che ci siano due questioni. Prima di tutto, non direi che la politica tradizionale sia incapace di capire i bisogni delle persone. Penso che molti dei partiti politici tradizionali siano ben capaci di tradurre la voce della gente in azione concreta. Tuttavia, in una democrazia pluralista ci sono diversi modi di affrontare le sfide che si presentano in tempi di rapidi cambiamenti. Queste sfide ci seguono sin dall’inizio della pandemia, che tra l’altro ha colpito l’Italia in modo molto più severo della Germania. Subito dopo esserci ripresi dal Covid-19, la Russia ha mosso guerra nel mezzo dell’Europa attaccando l’Ucraina. Con la guerra in Ucraina ancora in essere, un’altra tragedia: l’attacco terrorista di Hamas contro Israele e ancora guerra nel Medio Oriente. Al contempo viviamo anche il problema dell’emergenza climatica. Tutte queste situazioni creano un clima di instabilità e insicurezza, un ambiente sfruttato dalle forze antidemocratiche con risposte semplicistiche e soluzioni fittizie, spesso prendendosela con membri di gruppi specifici, i rifugiati ad esempio, e dando loro la colpa di tutto. Nelle elezioni per il Parlamento europeo e nelle elezioni locali in Germania è probabile che un partito come Alternative für Deutschland riceverà buoni risultati. Al cospetto di situazioni come queste, e come parte della coalizione di governo, dobbiamo lavorare per riguadagnare fiducia e implementare soluzioni significative, tangibili che abbiano un impatto chiaro nella vita dei cittadini. Ci sono centinaia e migliaia di persone per le strade della Germania che manifestano per ottenere una società più aperta, varia e inclusiva. Sono uniti nella loro opposizione all’estrema destra, rappresentata da AfD. Sono segnali forti che danno molta speranza. Tra Venezia e la Germania c’è da sempre un forte legame anche culturale. Il Centro Tedesco di Studi Veneziani e il Padiglione alla Biennale segnano una presenza qualificata e costante del vostro Paese in città. Quali novità dobbiamo attenderci per contribuire a rafforzare ulteriormente le attività culturali tedesche a Venezia e in Italia? Vi è sicuramente un forte legame e un’ottima cooperazione tra Venezia e la Germania. Sono specialmente grata al Centro Tedesco di Studi Veneziani per l’importante lavoro che svolge. È notevole quanto il Centro sia integrato nella vita culturale di Venezia. Il mio governo si impegna per un continuo sostegno al loro impegno, nonostante i tagli ai fondi federali. Oltre a questo, saremo molto felici di vedere i lavori alla Biennale Arte di quest’anno e gli scambi culturali tra Italia e

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Germania che avverranno. Quest’anno l’Italia è il Paese ospite alla Fiera del Libro di Francoforte, che è un’occasione eccellente per mostrare l’abbondante presenza della cultura letteraria italiana in Germania. Spero che anche Venezia possa avere un posto di rilievo alla Fiera. Con il suo omaggio alla Comunità Ebraica veneziana lei, Signora Ministro, ha offerto una lezione di stile umano e politico e di partecipazione davvero commovente soprattutto per la totale assenza di retorica e per le coraggiose parole pronunciate davanti ai vertici della Comunità stessa. Ci può ricordare bene quanto le disse suo padre a proposito del passato tedesco, la cui quota di responsabilità va ripartita, seppure in maniera minore, anche tra chi è nato dopo la fine del regime nazista? Fin da quando ero giovane, mio padre mi ha sempre fatto capire che né io né la mia generazione siamo responsabili per le atrocità commesse dalla Germania nazista, in particolare per l’Olocausto, il più perfido crimine mai commesso nella storia. Tuttavia ha sempre affermato chiaramente che sarebbe stata nostra precisa responsabilità, come individui e come società, di assicurarci che non sarebbe mai più potuto accadere nulla del genere. Per questo il “mai più” è sempre stato il tema essenziale della mia carriera politica. Anche a Venezia il regime nazi-fascista ha deportato e assassinato nei campi di sterminio membri della comunità ebraica. Capire e allacciare rapporti con la vivace Comunità Ebraica di Venezia, oggi, mi ha perciò molto commossa. Un’esperienza bellissima! Dobbiamo proteggere e sostenere la vita e la cultura ebraiche in tutta Europa e sostenerne la visibilità il più possibile. Ora più che mai, dopo gli attacchi terroristi in Israele del 7 ottobre, vediamo l’antisemitismo in Europa crescere. È quindi fondamentale che, collettivamente, contrastiamo con piena convinzione tutti insieme l’antisemitismo nell’intero continente. La Germania ha una responsabilità particolare a riguardo e deve perciò essere in prima fila in questa azione di civiltà. In vista delle prossime elezioni del Parlamento Europeo sente di poter praticare un po’ di ottimismo, pensando anche al fatto che forse la cultura possa esercitare la sua forza di deterrente alla deriva populista e nazionalista? “Mai più” è un’idea che ha spinto in avanti l’integrazione europea. È servita come risposta alle orribili conseguenze che il nazionalismo ha prodotto sulla nostra storia. Alle prossime elezioni europee sarà molto importante che alle forze antieuropee e antidemocratiche non sia data alcuna possibilità di distruggere la nostra preziosa casa comune europea. Persone come Vladimir Putin vogliono distruggere questa nostra casa. Evitare che accada è responsabilità di ogni cittadino dell’Unione Europea, della società, di tutti. Dobbiamo comunque tenere a mente che l’arte deve sempre essere libera. Gli artisti non devono essere obbligati ad allinearsi ad alcun obiettivo politico. L’arte e la cultura, in quanto soggetti attivi di democrazia per eccellenza, creano spazi per un dialogo aperto ed equo, dove persone con idee diverse possano costruire dei ponti e incontrarsi con buon senso. Così facendo, l’arte può dare il suo contributo per conservare e migliorare la democrazia nella nostra casa comune europea.


level. I am working to include culture among the stated goals of Germany’s Constitution. However, a majority of two third is needed in the German parliament to accomplish this, and the conservative opposition is not supportive so far. Differently from Italy, Germany seemed to have been more severe in dealing with its tragic, cumbersome past. This has been called into question, though, as news reported on a high number of citizens potentially voting for a far-right, xenophobic party such as AfD. Right-wing parties in Europe, especially Italy, are growing, and the Trump danger lurks in America. Why, in your opinion, traditional politics cannot understand people’s needs? What can we, and must we, do to stop and reverse this course? It seems to me that there are two different issues arising. First of all, I wouldn’t say that traditional politics is unable to understand people’s needs. I believe that many of the current traditional parties are able to translate the people’s voice into concrete action. However, in a pluralistic democracy, there are different ways of dealing with growing challenges in times of deep and rapid changes. These challenges have been following us since the pandemic started which by way hit Italy more severely than Germany. Right after, before we had even recovered from the consequences of Covid19, Russia initiated a war in the middle of Europe by attacking Ukraine. The war in Ukraine ongoing, we were faced with another tragedy: Hamas’ terrorist attack against Israel and the current war in the Middle East. On another note, we are also experiencing an expeditious climate emergency. These simultaneous situations create an environment of instability and insecurity – a ground which the anti-democratic forces attempt to exploit for their own benefit by providing very simplistic answers and pretending to offer solutions, often by targeting specific members of a social group, like refugees, to blame for these crises. In the European elections and the regional elections taking place in Eastern Germany, a party like Alternative für Deutschland might receive satisfying results. In such a situation, as part of the governing administration, we must actively work to regain trust by implementing tangible and meaningful solutions that directly impact people’s lives. At the moment, there are hundreds and thousands of people in the streets of Germany protesting for an open, inclusive, and diverse society, standing together against the regressive far right represented by AfD. This is a strong sign which gives a lot of hope. There has always been a strong bond between Venice and Germany, even in culture. The German Centre for Venetian Studies and the German Pavilion at the Biennale are a qualified, important presence in our city. What are we looking forward to in terms of initiatives to strengthen the cultural presence of Germany in Venice and in Italy? There is indeed a strong bond and cooperation between Venice and Germany. I am especially thankful to the German Centre for Venetian Studies for their outstanding work. The Centre seems to be impressively rooted in the cultural life of Venice. My administration will make sure to further support the work of the Centre in the future in the same way as previously, despite the cuts in Ger-

many’s federal budget. Apart from that, I am looking forward to the 2024 Biennale Arte and the Italo-German artistic exchanges that are about to take place. Moreover, the fact that Italy is the Frankfurt Book Fair’s guest country this year is an exceptional chance to showcase the abundant literary culture of Italy in Germany. I also hope that Venice will have a significant presence at the event. With your homage to the Venetian Jewish community, You offered a lesson of human and political demeanor, a poignant participation devoid of any empty rhetoric and full of courage. Can you remind us of the words of your father about the past of Germany, whose responsibility is to be distributed, however in lesser proportions, to those who were born after the fall of the Nazi regime? From a young age, my father instilled in me the understanding that neither I nor my generation bore responsibility for the atrocities that occurred in Germany during the Nazi regime: the Holocaust, the most heinous crime in human history. However, he made it very clear that it is our responsibility, as individuals and a collective, to make sure that it would never happen again. Thus “never again” has always been a crucial leitmotif throughout my entire political life. In Venice as well, the Nazi regime deported and murdered members of the Jewish community in concentration camps. Witnessing and engaging with the vibrant Jewish community thriving there today deeply moved me. That felt so good to see and experience! We must protect and support Jewish life all over Europe, make it visible and audible as much as possible. Even more so now, when after the terrorist attack against Israel on October 7, we have observed a disturbing surge in antisemitism across Europe. It is imperative that we collectively stand firm against antisemitism and combat it vigorously throughout the continent. Furthermore, Germany has a special responsibility to be the first one in doing so. As the upcoming European Parliament elections approach, can you spare some optimism and convince us that culture will have the strength to be a deterrent against populism and nationalism? The concept of “never again” propelled European integration forward, serving as a response to the dire consequences that European history bore due to nationalism. In these European elections it is crucial that the anti-European and anti-democratic forces within the EU Parliament are not provided with any possibility to destroy our precious and common European home. Someone like Vladimir Putin is wishing exactly for the destruction of this home. Preventing this from occurring is a responsibility that falls upon each individual citizen in the EU, the civil society, and everyone else collectively. We must keep in mind nevertheless that art should first and foremost remain free. Artists shouldn’t be obliged to follow any political purpose. However, art and culture as subjects of democracy par excellence can enable spaces for free and fair dialogue, where people with different views are brought together to build bridges of common sense. Like this, art too can contribute to preserving and improving democracy in our European home.

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incontri SERENA BERTOLUCCI M9 - MUSEO DEL ‘900

Economie di scopo Intervista Serena Bertolucci Direttore M9 di Mariachiara Marzari Una laurea con lode, conseguita all’Università degli Studi di Genova, e un diploma post laurea in Storia dell’Arte e delle Arti Minori, conseguito sempre con lode all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sono solo l’inizio di un importante percorso professionale all’interno di prestigiose realtà museali del nostro Paese. Serena Bertolucci, direttore prima del Museo Palazzo Reale e della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova, poi alla direzione della Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura sempre di Genova, dove ha operato con successo negli ultimi cinque anni, giunge ora all’M9 – Museo del ‘900 in qualità di nuovo direttore, come provocatoriamente si definisce («Non dobbiamo accontentarci della grammatica femminista», specifica). «Affidiamo la guida di M9 – sottolinea Michele Bugliesi, presidente della Fondazione di Venezia – a una professionista con grande esperienza e altissime competenze sul piano della gestione museale e della programmazione culturale, che si affiancano alla sensibilità e alla passione che ha sempre dimostrato nel corso della sua carriera. La sua nomina segna l’avvio di una nuova fase di vita e, ne siamo certi, di ulteriore crescita del Museo del ‘900». Conservazione, valorizzazione, riallestimento e accessibilità, programmazione e gestione territoriale coordinata: il nuovo direttore di M9 è dotata di una visione lucida, aperta, contemporanea del ruolo del museo all’interno della collettività, della sua vocazione di luogo di cultura nel e per il territorio. La sua cifra identitaria si caratterizza per una gestione che coniuga una marcata competenza manageriale con una radicata direzione scientifica. Dal primo gennaio 2024 è iniziata dunque per il Museo del ‘900 una nuova fase che intende consolidare e rafforzare ulteriormente il suo ruolo di centro culturale metropolitano, coniugando cittadinanza e memoria, pubblico di prossimità e di lontananza, visione e concretezza, per la costruzione di un futuro partecipato. Un percorso che intende connotare la progettualità del Museo su due livelli, non paralleli bensì convergenti e integrati tra di loro: quello delle attività permanenti e quello delle esposizioni e delle altre attività in divenire. Il tutto informato da un’elaborazione critica dei grandi temi del presente. In quest’ottica si inseriscono le due esposizioni temporanee del 2024, dedicate all’artista britannico Banksy (Banksy. Painting Walls, dal 23 febbraio al 2 giugno) e al fotografo canadese Edward Burtynsky (BURTYNSKY: Extraction/Abstraction, dal 21 giugno al 12 gennaio 2025). Un percorso in cui l’arte contemporanea e la fotografia, in dialogo con la mostra permanente, diventano fonte privilegiata di interpretazione tanto della Storia quanto del nostro presente. Da sempre sostenitori di M9 e del suo ruolo fondamentale di motore di crescita e di innovazione non solo culturale, ma soprattutto civile e sociale, abbiamo voluto conoscere il nuovo direttore per augurarle il nostro partecipato “buon lavoro”.

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© Giorgia Rorato

La sua definizione di Museo. «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze». Questa la bellissima definizione di ICOM (International Council of Museums) che faccio mia: il museo è un luogo vivo, di tutti, dove si conserva il nostro patrimonio, dove si impara e dove ci si può persino divertire. Non è possibile che ancora porti con sé una sensazione noiosa e stantia; eppure è così: nella nostra lingua quando si dice “roba da museo” si pensa a qualcosa di inutile, vecchio e polveroso. Ecco, il mio museo ideale è tutto l’opposto. Un luogo democratico e della democrazia, dove tutti possono trovare qualcosa che possono comprendere e di conseguenza amare. Dalla sua esperienza di direzione museale, quali i punti nodali da sviluppare per una dinamica gestione contemporanea e quali i suoi modelli di riferimento? Mai perdere di vista che il museo è luogo della comunità; un museo più è vivo più ha il coraggio di andare verso tutti, perché il patrimonio culturale è per tutti e di tutti. Quindi ac-


Il museo per me è un luogo democratico e della democrazia, dove tutti possono trovare qualcosa che possono comprendere e di conseguenza amare Scope economies ENG

cessibilità, accessibilità, accessibilità. Non solo fisica, ma cognitiva, esperienziale, tagliata su misura per ogni target di pubblico, ma senza mai perdere autorevolezza e credibilità. Il che significa essere attendibili nelle informazioni e nei servizi, essere rigorosi nello studio ma disponibili alla condivisione, essere attenti alla gestione economica, prestare orecchio alle esigenze della comunità. Ecco, in un periodo in cui i bisogni culturali sembrano diminuire, occorre lavorare molto per far rinascere il desiderio del museo. Ho la fortuna di avere molti amici e maestri nel mio settore: Paola Marini, che molto ha fatto e sta facendo per Venezia e il Veneto, Michele Lanzinger, direttore del MUSE e presidente di ICOM Italia, Mauro Felicori, già direttore della Reggia di Caserta, Carmelo Malacrino, già direttore del Museo archeologico di Reggio, Paolo Giulierini, che ha svolto un lavoro straordinario al MANN di Napoli. E ancora Eva Degl’Innocenti, Martina Bagnoli, Cecilie Hollberg, Paola D’Agostino, Christian Greco, Marco Pierini, Simone Verde, recentemente nominato agli Uffizi, tutti grandi professionisti con i quali ho la fortuna di potermi confrontare continuamente. Fattori cardine del successo: numero di visitatori e produzione culturale. Quali a riguardo le linee guida del suo mandato? Innanzitutto non credo che questi siano gli unici indicatori del successo di un luogo della cultura. Credo che un museo svolga il proprio lavoro in modo adeguato quando la sua azione è simile a un sasso gettato nell’acqua, che produce cerchi concentrici intorno a sé. Ecco, l’azione di un luogo della cultura è questo: proporre

As longstanding supporters of M9 and its crucial role as a driving force for growth and innovation, we wanted to get to know the new director Serena Bertolucci. A summa cum laude degree obtained at the University of Genoa, and a postgraduate diploma in Art History and Minor Arts at the Catholic University of the Sacred Heart in Milan mark just the beginning of Bertolucci’s important professional journey within prestigious museum institutions in our country. “Her appointment – says Michele Bugliesi, President of Fondazione di Venezia – marks the beginning of a new phase in the life of the M9 museum.” Your definition of Museum. “Museums are permanent, not-for-profit institutions that serve society, conduct research, collect, preserve, interpret, and exhibit material and non-material heritage. They are open to the public, accessible, inclusive, and promote diversity and sustainability. Museums operate and communicate ethically and professionally, they involve their communities, they offer diversified experiences for education, leisure, reflection, and knowledge.” This beautiful definition has been authored by the International Council of Museums, and I made it my own. The museum is the place I live in, a place that belongs to us all, the place where we keep our heritage, where we learn, and where we can also have fun. Associating museums with boring, stuffy exhibits is just not right, and yet, when we say ‘museum stuff’, that’s what we think of: dusty, old, useless things. Now, my ideal museum is quite the opposite: it is a democratic place, a place where each of us can find something to understand, and hence love. Your experience as a museum director: the essentials of museum management. Never lose sight of the fact that museums belong to the community. A living museum has the courage to address everybody, because cultural heritage belongs to and touches everybody. In one word: accessibility. Not only physical accessibility, but

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incontri SERENA BERTOLUCCI

eventi, mostre, conferenze, attività didattiche nell’ottica di sollecitare, produrre altre azioni e riflessioni che non necessariamente devono riportare al museo, ma propagarsi in altri luoghi. Questo vorrei contribuire a fare dell’M9 nei prossimi tre anni: un motore di curiosità e scoperta, un luogo utile al benessere della comunità, un motivo di orgoglio per i residenti. Si chiamano economie di scopo. E se saremo bravi anche quelle di scala arriveranno.

cognitional, experiential. A made-to-measure experience for all publics. Authoritativeness and credibility are also essential: it means museums must be reliable in information and services, academically rigorous, open to sharing, fiscally responsible, attentive to their community’s needs. Currently, cultural needs seem to be waning, which means we must work hard to nurture some love for museums.

M9, un museo unico nel suo genere, perché dedicato alla storia del Novecento ancora in gran parte da sedimentare e proprio per questo necessario per ricostruire una memoria collettiva in gran parte perduta. Molto è stato fatto in questo quinquennio, tuttavia riteniamo che vi sia ancora moltissimo potenziale inespresso in termini di attrattiva museale. Da quali elementi della storia del ‘900 prende il la la sua nuova direzione? Il Novecento è una straordinaria chiave di lettura del presente; se non si conosce quel passato è difficile comprendere cosa accade in questi anni, anzi, direi proprio più specificamente in questi nostri stessi giorni. La guerra, la condizione femminile, l’ambiente sono continuamente declinati sotto vari aspetti nel percorso di M9 e sono di un’attualità enorme. Ecco, far capire che la storia non è una vetrina impolverata ma un paio di occhiali che ci aiuta a vedere meglio, questo mi piacerebbe riuscire a ben restituire attraverso la mia direzione.

Attendance and cultural production. Your experience. First of all, I don’t think those two are the only indicators we must consider when assessing the performance of a cultural institution. I believe a museum can do a good job when it does what it’s supposed to: create larger and larger waves of interest around it: events, exhibitions, conferences, educational events which in turn invoke and stimulate new actions and reflections, not necessarily to be taking place in museums. This is what I want for M9. I want it to be a driving force for curiosity and discovery, a place that is useful to its community’s well-being, and a reason of pride, too. This is what we mean by scope economies. If we’re good, we’ll get to scale economies, too.

Impianto multimediale da un lato e coordinamento con mostre e programmazione temporanee dall’altro, questo il tratto identitario sin qui assecondato da M9. Quali i programmi per il 2024? Mettere in dialogo questi due tratti. Commistioni, confronti, racconti, mescolando linguaggi e tecniche. Le mostre di Banksy e Burtynsky guardano in questa direzione; sono due giganti dal respiro internazionale che hanno molto da dire sui grandi temi dell’oggi. Ma anche i Dialoghi nel ‘900 che proporremo all’interno del percorso permanente, accostando opere d’arte e volumi, vanno in questa direzione. E poi particolare ascolto ai giovani e alla comunità, azioni in rete con le altre istituzioni culturali del territorio; grande attenzione alle attività educative e al lifelong learning, perché ogni giorno è una buona occasione per imparare qualcosa. E M9 ogni giorno deve essere pronto a produrre questa occasione. Museo e territorio. Venezia/Mestre, due realtà contigue e al contempo lontanissime. Quali le traiettorie da seguire per un Museo che incida in maniera congrua e vincente in un contesto territoriale così composito? I musei sono ponti, luoghi dove le diversità trovano un motivo per comprendersi e per accogliersi. La mostra di Banksy nasce proprio così: poter dare i mezzi per comprendere meglio il “bimbo migrante” che Banksy eseguì cinque anni fa sul muro di un palazzo del centro storico di Venezia: l’intento è di iniziare a creare un patrimonio di conoscenze comuni che aiuti residenti e ospiti a comprendere meglio ciò che li circonda. Mi piacerebbe che questo potesse diventare una buona pratica per generare un’azione culturale globale e potente, dove ogni attore riesca ad avere una propria dimensione e dove M9 possa esercitare al meglio un ruolo di centralità è responsabilità.

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M9 is one museum of a kind. It is dedicated to the history of the 1900s, which is still a long way to settle. Much has been done over the last five years, and so much more needs to be done. What will M9 do? The Twentieth Century is a perfectly apt lens to view the present. If you don’t understand that past, it is nigh-impossible to understand what is happening now – in these years, in these very days. War, women’s status, environment are very current topics. We need to understand that history is not some dusty old showcase, but a pair of spectacles that allow us to see things more clearly. This is what I want to carry out with my work at M9. M9 used multimedia and temporary exhibitions extensively. What guidelines for 2024? Making the two works together. To mix, to compare languages and techniques. Exhibitions on Banksy and Burtynsky follow this track. The two are international giants that have a lot to say on the important themes of modernity. Dialoghi nel ‘900, our itineraries on art and literature, also point in the same direction. We will also listen to our younger audience and to communities, and we will network with other cultural institutions around us. Education and life-long learning are in our radar, too, because every day is a good day to learn something new, and M9 must be ready and up to the chance always. Mestre and Venice – so close, yet so different. How does M9 work in such a diverse territory? Museums are bridges, places where diverse actors find a way to understand and welcome one another. Banksy’s exhibition was conceived this way: to give the tools to understand the migrant child that Banksy painted five years ago in the Venice city centre. Our goal is to create cultural heritage of shared knowledge that will help locals and visitors to better understand what happens around them. I would like this to be an example of good practices for global, powerful action, where each of us can find their place.


Banksy, Season Greetings

Salinas #2, Cádiz, Spain, 2013 - photo © Edward Burtynsky, courtesy Flowers Gallery, London

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SULLA ROTTA DI MARCO POLO

storie

di Camillo Tonini

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A settecento anni dalla morte avvenuta a Venezia nel 1324, la Città si avvia a celebrare di nuovo Marco Polo, il viaggiatore che era riuscito per primo a gettare un ponte di pace e di redditizi rapporti con l’Estremo Oriente, fino a personificare il mito dell’intraprendenza commerciale, della curiosità intellettuale e della capacità nell’intessere relazioni con civiltà, cultura, abitudini e lingue diverse


G. Menescardi, Ritratto di Marco Polo, (1762), Venezia, Palazzo Ducale, Sala dello Scudo

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storie MARCO POLO 700

Q

uando la fama di Marco Polo come testimone di realtà geografiche lontane veniva un poco alla volta erosa dall’evolversi di scoperte di nuove terre oltre i confini europei, il Consiglio dei Dieci stabiliva il 6 maggio del 1549 di destinare la sala di Palazzo Ducale, detta “dello Scudo”, ad un programma iconografico di teleri che ricordassero i coraggiosi viaggi e i luoghi per primi visitati da illustri veneziani. Con queste tele di grandi dimensioni, concepite per essere mostrate in uno dei luoghi più frequentati del Palazzo, si voleva dare una rappresentazione geografica d’insieme e di grande effetto di tutte le parti del mondo fino ad allora conosciute, secondo il costume che era divenuto in quel periodo usuale in altre corti europee. Oltre a questo aspetto geografico-descrittivo, ad ispirare la realizzazione delle opere era stata la necessità di promuovere un messaggio politico, reso urgente dagli eventi in quel periodo sempre meno favorevoli alla Repubblica: l’obiettivo era l’esaltazione della Serenissima con la celebrazione delle scoperte geografiche e delle imprese di viaggi dei suoi grandi figli – i Polo, i Caboto, gli Zeno, Alvise Da Mosto, Marin Sanudo e Niccolò Manucci e altri ancora – che l’avevano fatta grande oltre i confini geografici. I lavori iniziati con una prima tela dei territori nord africani, vennero affidati a Giacomo Gastaldi, piemontese, che li continuò con la rappresentazione di parte degli altri tre continenti sotto la direzione di Giovanni Battista Ramusio, Storico e Geografo Ufficiale della Repubblica, autorevole autore del volume Delle Navigationi et Viaggi, dove erano raccolte le relazioni delle nuove scoperte geografiche tra le quali Il Milione di Marco Polo. Nel giro di pochi anni, però, i teleri della Sala dello Scudo cominciarono a deteriorarsi fino a diventare alla metà del Settecento quasi del tutto illeggibili. Il Senato decise allora di farli restaurare e a questo scopo, proposto da Marco Foscarini poco prima di diventare doge, venne chiamato Francesco Griselini, personaggio dalle spiccate qualità imprenditoriali oltre che geografo, agronomo, economista, pubblicista enciclopedico, al quale vennero affidati i lavori con delibera del 14 maggio del 1761 e il compenso iniziale di quattrocento ducati. Griselini aveva già dato prova nel 1740 delle sue effettive qualità di illustratore geografico con sei tavole manoscritte titolate, nel primo foglio, Tavola idrografica della Laguna e del Mare Adriatico, che riproducevano la parte costiera dei territori tradizionalmente compresi nel Dogado Veneziano. Nel 1743 lo stesso era stato chiamato a illustrare il Thesaurus Antiquitatum Sacrarum di Biagio Ugolini, un’imponente pubblicazione edita da Giovanni Gabriel Hertz che si riprometteva di raccogliere tutto il sapere conosciuto sulla religione, i costumi, le leggi, i riti sacri e civili degli antichi ebrei e di descrivere i luoghi storici della Terra Santa e gli itinerari dei viaggiatori e dei pellegrini che l’avevano attraversata. Per promuovere tra i possibili acquirenti la diffusione della pubblicazione, messa in vendita – come usava al tempo – con il sistema di sottoscrizioni preventive, Griselini compose anche una grande mappa manoscritta – Palestina Tabula Geographica (cm 199x210) – che doveva servire da rappresentazione di sintesi dell’impresa editoriale, densa di trascrizioni dalle antiche scritture e di immagini ispirate alle notizie storiche e geografiche tratte dal Thesaurus di Ugolini. Nel 1746 l’intraprendente illustratore aveva anche esposto pubblicamente nei pressi della chiesa di San Geminiano, com’era d’uso, un suo lavoro dal titolo Esattissima e Nuova Idrografica Dimostrazione delle Lagune di Caorle, Marano e

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J. Leonardis. Ritratto di Francesco Griselini, incisione, Venezia 1785

Grado […], disegno nel quale si definiva «diletante in Geometria ed in Architetura militare». Questa riduzione cartografica risultò, però, tanto simile al vero che gli procurò una severa ammonizione dai Capi del Consiglio dei X “per avervi delineati anche i Dromi – bricole – che servivan di guida all’ingresso dei porti”, informazioni ritenute troppo pericolose per la sicurezza della Repubblica. A questi meriti si deve la scelta di Griselini per il restauro dei teleri della Sala dello Scudo, lavoro che doveva esser fatto con «tutta la necessaria diligenza e accuratezza in modo tale che copiate fedelissimamente le antiche quali erano negli originali, le presenti si possano dire quelle medesime benché rifatte». Veniva anche stabilita la condizione che l’Autore dovesse presentare prima un “modello” con il tracciato geografico e il dettaglio degli itinerari dei Polo e l’improrogabile riserva che il progetto fosse approvato dai Riformatori dello Studio di Padova, la magistratura che sopraintendeva alle pubblicazioni nella Repubblica veneziana. Griselini nel giro di poco tempo presentò la carta intitolata Indiae,


Scytiae et imperii sinensis tabula geographica che per rimanere vicino all’originale, egli realizzò anche consultando la carta gastaldina dell’Asia divisa in tre parti, conservata presso la Biblioteca di San Marco. Superati questi ostacoli e convinte le magistrature competenti, per portare il “modello” (cm 129x210) con pittura ad olio alle dimensioni della grande tela (cm 280x600), Griselini si avvalse dell’opera del pittore milanese Giustino Menescardi, al quale toccò il compito di dipingere per la Sala dello Scudo anche i sette medaglioni con i ritratti dei grandi viaggiatori dei quali nei teleri si raccontavano le storie. Egli anche ravvivò tutti i dipinti popolandoli di figure e di ricchi cartigli e in particolare nella mappa dei viaggi dei Polo, con orientamento del Sud verso l’alto, come era in uso in Cina e come già usato nel mappamondo di Fra’ Mauro, inserì gruppi di guerrieri, carovane di cammelli, accampamenti di mercanti, un rinoceronte e altri animali feroci e fantastici: una quantità di deliziose immagini distribuite nei grandi spazi del continente asiatico, dove la mancanza di informazioni geografiche lasciava il campo all’immaginazione e alla suggestione delle notizie riportate nel Milione. Una sottile pennellata gialla con la scritta «Questa linea indica i viaggi di Marco Polo», con inizio dal territorio di Samarcanda (Samarca) nel bordo inferiore destro della tela, veniva tracciata con traiettorie a volte rettilinee a volte sinuose, tra

catene montuose, corsi d’acqua e estesi deserti pietrosi e di sabbia. Passava quindi per Cambalù dove era il palazzo imperiale del Gran Khan Kublai, arrivava a Paughin fino ad avvicinarsi alla Grande Muraglia e quindi raggiungeva all’estremità orientale Quinsai – l’attuale Hangzhou – la “Città celeste” sorta nell’acqua come Venezia a lungo descritta da Marco Polo. Più a sud, nel Mar della China, attraversate dal Tropico del Cancro, nella tela venivano poste le isole del Japan e Zipangù, così dove le aveva individuate il viaggiatore veneziano. La parte superiore dell’opera veniva impreziosita da un cartiglio con la scritta che riassumeva le imprese dei Polo, e la raffigurazione allegorica di Minerva – la conoscenza – che impugna l’asta con accanto un mappamondo. Nella parte inferiore, un gruppo composto dalla figura femminile della Pubblica Vigilanza che strappa dalle mani del Tempo una carta geografica. Era l’immagine del programma di conservazione per questi teleri, già annunciato nella didascalia alla base del disegno preparatorio, oggi al Museo Correr: «Modello primo eseguito da Francesco Griselini d’una delle quattro antiche Tavole Geografiche della Regia Sala dello Scudo nel Palazzo Ducale, tratto fedelmente dall’originale lacero e guasto ch’esisteva nella sala medesima, e ciò in occasione del Decreto emanato dall’Eccellentissimo Senato a 14 Maggio 1761, col quale fu ordinato il rifacimento d’esse Tavole

F. Griselini, Palestina Tabula Geographica, disegno a penna, 1743

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storie MARCO POLO 700

E così può dirsi con piena verità che questa Sala sia al presente diventata una vera e nobilissima Galleria tanto riguardo alle descritte Tele Geografiche, dalle quale si vede in ogni parte coperta, quanto agli uomini di nostra Nazione tanto celebri e benemeriti per i loro memorabili viaggi in terra e in mare. Viva San Marco Francesco Griselini, Succinta Descrizione delle bellissime Tele Geografiche, Venezia 1762 20

F. Griselini, Modello primo eseguito da Francesco Griselini d’una delle quattro antiche Tavole Geografiche della Sala dello Scudo nel Palazzo Ducale disegno a penna colorato, 1761, Venezia, Museo Correr


in pittura ad olio, sotto l’ispezione degli Eccellentissimi SS Riformatori dello Studio di Padova». Di seguito vennero restaurate le altre tre mappe: l’Egitto con la Terra Santa, la vasta area da Costantinopoli fino alle Indie Orientali, il Mediterraneo dove al centro troneggia una lussuosa e imperiosa personificazione di Venezia. Per completare la Sala vennero aggiunte tre soprapporte, con il Mar Rosso, le Isole di Capo Verde, il nord Europa con la Groenlandia e Terra Nova, ognuna con le imprese dei viaggiatori veneziani che le avevano esplorate. Con un compenso finale di 1800 ducati d’oro, il restauro completo delle mappe della Sala dello Scudo venne presentato con comune compiacimento al Doge e alle supreme magistrature della Serenissima il 24 dicembre del 1762.

Francesco Griselini, instancabile genio, continuò il suo operato come divulgatore scientifico con tante altre imprese editoriali nell’ambito della storia naturale, botanica e agricoltura e dopo aver scritto commedie, fondato riviste e pubblicato un Dizionario delle arti e de’ mestieri – una sorta di enciclopedia illustrata in linea con i modelli francesi dell’epoca – finì la propria vita nel 1787 all’ospedale Fatebenefratelli di Milano, affetto da malattia mentale. La sua opera e la storia di Marco Polo tornano oggi all’attenzione perché proprio dalla Sala dello Scudo e negli ambienti dell’appartamento del Doge dal 6 aprile sarà ospitata una grande mostra dedicata al viaggiatore veneziano, voluta dal Comune di Venezia e curata da Giovanni Curatola. Il viaggio con Marco Polo continua.

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storie MARCO POLO 700

F. Griselini, G. Menescardi, Indiae, Scitiae et Imperii Senensis Tabula Geographica, 1762, olio su tela, Venezia, Palazzo Ducale, Sala dello Scudo

F. Griselini, G. Menescardi, Indiae, Scitiae et Imperii Senensis Tabula Geographica (part.)

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F. Griselini, G. Menescardi, Indiae, Scitiae et Imperii Senensis Tabula Geographica (part.)

F. Griselini, G. Menescardi, Indiae, Scitiae et Imperii Senensis Tabula Geographica (part.)

PER SAPERNE DI PIÙ F. Griselini, Succinta descrizione delle bellissime Tele geografiche ora rinnovate ed accresciute nella Sala del Palazzo Ducale di S. Marco detta dello Scudo ed esposte alla pubblica vista il dì 24 Dicembre MDCCLXII, Venezia, 1762 P. Zurla, Di alcune mappe antiche in Palazzo Ducale, in Di Marco Polo e degli altri viaggiatori veneziani più illustri, vol. II, Venezia, 1818 R. Gallo, Le Mappe Geografiche del Palazzo Ducale di Venezia, in “Archivio Veneto”, Serie V, vol. XXXII – XXXIII, Venezia, 1943 L’Asia nella Cartografia degli Occidentali, catalogo della mostra a cura di Tullia Gasparrini Leporace, Venezia, 1954 Marco Polo, Delle cose de’ tartari e dell’Indie orientali, (…) nella versione di Gio. Battista Ramusio, a cura del Comune di Venezia, Venezia, 1954 G. Torcellan, Francesco Griselini, in “Illuministi italiani”, VII da Letteratura Italiana, Milano - Napoli, 1965 U. Franzoi, Storia e leggenda del Palazzo Ducale, Verona, 1982 P. Preto, ad vocem Francesco Griselini, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma 2002

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carnivaldiary


carnival

UN ANNO AD ORIENTE È il viaggiatore per antonomasia, le numerosissime pubblicazioni sulla sua vita avventurosa, il cinema, la tv, persino i fumetti ne hanno ingigantito la fama. Sulla sua figura aleggiano leggende e persino racconti di fantasmi. Stiamo parlando del veneziano Marco Polo, nato nel 1254, esploratore, mercante, scrittore, simbolo dell’incontro tra Oriente e Occidente. Partì nel 1271, con il padre Niccolò e lo zio Matteo, verso aree al tempo quasi del tutto sconosciute come l’Asia centrale e la Cina e fornì un resoconto dettagliato della sua esperienza attraverso quella che ben più tardi sarà chiamata “Via della Seta”. La relazione del suo viaggio in Estremo Oriente è raccolta nell’opera letteraria Il Milione, un dettagliato resoconto divenuto fonte di ispirazione per tantissimi viaggiatori – persino Cristoforo Colombo ne portò una copia nella sua avventura alla scoperta dell’America –, una sorta di enciclopedia storico-geografica di un mondo allora lontanissimo e misterioso, il cui titolo forse era dettato dal soprannome della famiglia. Fu consigliere e ambasciatore alla corte del Gran Khan Kublai, tornò a Venezia nel 1295 con una notevole fortuna che investì nell’impresa commerciale di famiglia. Dopo la battaglia di Curzola fu catturato dai genovesi e rimase prigioniero dal 1296 al 1299; dettò le sue memorie al compagno di cella, Rustichello da Pisa, che in lingua franco-veneta le raccolse sotto il titolo Divisiment dou monde. Ricco e famoso, nel 1300 sposò la patrizia Donata Badoer dalla quale ebbe tre figlie. Morì nel 1324 e venne sepolto nella Chiesa di San Lorenzo a Venezia, ma le sue spoglie andarono perdute durante la ricostruzione della chiesa alla fine del ‘500. La sua casa fu distrutta da un incendio nel 1598 e là venne poi costruito il Teatro San Giovanni Grisostomo, attuale Teatro Malibran. Anche se nessun documento attesta il suo matrimonio con una delle figlie del Gran Khan, la leggenda narra che in certe notti in corte del Milion, proprio dove sorgevano le case dei Polo, si può ancora vedere il fantasma della bellissima principessa orientale che si gettò dalla finestra dopo che le cognate invidiose le dissero che il marito era morto, mentre era solo stato fatto prigioniero. Sicuramente Marco Polo possedeva grandi doti diplomatiche, acume politico, talento, grande senso degli affari, un animo avventuroso, curioso e aperto verso costumi e usi diversi. Nel 2024 ricorre il settecentesimo anniversario dalla morte di Marco Polo, che il Comune di Venezia, in collaborazione con i Musei Civici, Università Ca’ Foscari e molte realtà associative della città, ha deciso di celebrare con un ricco programma di mostre, convegni, eventi e iniziative, il cui dettaglio è stato raccolto nel nuovo sito web leviedimarcopolo.it.

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Si inizia con il Carnevale dedicato all’esploratore come sottolineato dal titolo Ad Oriente. Il mirabolante viaggio di Marco Polo. Il fulcro delle celebrazioni sarà la mostra I mondi di Marco Polo a Palazzo Ducale, dal 6 aprile al 29 settembre, con più di 300 opere che giungeranno da moltissimi Paesi, dalla Cina al Canada; ma già il Museo di Palazzo Mocenigo ha inaugurato a gennaio la bellissima mostra L’asse del tempo, un viaggio tra abiti e lavorazioni secolari della seta provenienti da Suzhou – città della Cina gemellata con Venezia –, e si appresta ad esporre i costumi utilizzati nello sceneggiato RAI del 1982 su Marco Polo di Giuliano Montaldo, che ebbe un enorme successo; mentre al Museo Correr da ottobre sono in programma una mostra e corsi di calligrafia sempre legati ai rapporti con l’Oriente. Tra le varie iniziative, Marsilio ha appena pubblicato una nuova traduzione de Il Milione, tradotto da Giordano Tedoldi, con testo di Giovanni Montanaro e postfazione di Renata Pisu; in aprile Mondadori farà uscire Il Milione nella versione aggiornata di Maria Bellonci, curata da Stefano Petrocchi, con prefazione di Alessandro Barbero e postfazione di Valeria Della Valle; tra le altre pubblicazioni ricordiamo Marco Polo. La vita è viaggio di Francesco Jori, Edizioni Programma. Al Teatro Malibran in aprile andrà in scena Marco Polo, opera degli studenti di composizione del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, nuovo allestimento del Teatro La Fenice in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti. Elisabetta Gardin


Non ho scritto neppure la metà delle cose che ho visto Marco Polo

Storia che diventa leggenda Intervista Prof. Gherardo Ortalli di Elisabetta Gardin Incontriamo il Professor Gherardo Ortalli che ha analizzato la figura dell’esploratore veneziano nel suo saggio Dall’Europa a scoprire l’Oriente. Da Gengis Khan a Marco Polo, editore Viella. Gherardo Ortalli è senza dubbio uno dei più illustri storici del nostro Paese, si è laureato a Bologna, ha insegnato dal 1973 al 2015 Storia Medievale all’Università Ca’ Foscari, dove è tuttora docente emerito. Autore di molte pubblicazioni, direttore di riviste e collane editoriali, membro delle più prestigiose istituzioni culturali, è stato presidente della Deputazione di Storia Patria per le Venezie e dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti. Chi era Marco Polo? Rispondendo da storico posso dire che era un personaggio per certi versi unico, ma per altri piuttosto normale. Unico perché grazie a quel testo che racconta il suo viaggio, Il Milione, la sua vicenda è diventata una testimonianza storica che non ha riscontri dello stesso livello e rilievo. Per altri versi potremmo pensare a una qualche normalità se si tiene conto di come fossero anche altri (e non rari) i mercanti che partivano dalle lagune per commerciare in giro per un mondo più o meno ignoto. L’importanza straordinaria risiede proprio nell’essere la testimonianza di eventi che di fatto non furono unici o miracolosi, ma resterebbero in larga misura quasi ignoti. Potremmo dire che il ‘miracolo’ fu quella prigionia che a Genova mise il grande viaggiatore Marco a fianco del letterato Rustichello da Pisa, senza il quale non avremmo avuto Il Milione e Marco sarebbe stato un grande mercante, ma come non ne mancarono affatto altri! Fu il letterato, autore di romanzi cavallereschi, che ne Il Milione attraverso il racconto di Marco tramandò un’esperienza forse allora non insolita ma certamente “favolosa”. Esiste oggi un moderno Marco Polo? Oggi “un moderno Marco Polo” non può esistere perché non esiste più quel mondo. Ormai anche le minime imprese (e tanto più le massime, quelle che ci presentano poi gli eroi del nostro tempo) per andare in porto hanno bisogno (anche quando modeste) di strutture, competenze, impegni di ogni genere, talmente vari da richiedere sistemi organizzativi, capitali, preparazioni, progetti, esperti che non possono essere occasionali o legati all’esperienza singola o quasi.

Il Milione di Marco Polo è un classico della letteratura universale fatto di molti libri che, fin dal Medioevo, ha ammaliato i lettori di tutto il mondo. Libro di viaggio e di avventure, reportage su usi e costumi di paesi misteriosi e leggendari, rassegna antropologica che misura tutte le differenze dei comportamenti umani, dalla civiltà più raffinata, saggia e sfarzosa, alla barbarie appena uscita dalla primordialità bestiale e ad essa ancora contigua. Tutte queste tonalità e oscillazioni, questi sbalzi che attirano l’occhio di Marco Polo (e quindi del lettore) da un fatto meraviglioso all’altro si susseguono con tale incisiva rapidità, con tale fulminea concentrazione della narrazione, che è proprio questa palpitante densità a produrre nel lettore quella famosa e insuperata sensazione di meraviglia, di stupore, di incanto che, fin dal medioevo, colpisce immediatamente chi ne sfogli le pagine. Ne Il Milione l’Occidente ha trovato uno dei suoi più ricchi giacimenti di storie, di moralità, di tipi psicologici, di veri e propri eroi: uno su tutti, Qubilai Qa’an, l’imperatore mongolo dal palazzo più bello del mondo. In occasione dell’anniversario dei 700 anni della morte di Marco Polo (1324-2024), Marsilio pubblica una nuova edizione de Il Milione. La descrizione dettagliata del mondo, attenendosi al codice parigino fr.1116, considerato dagli studiosi il più puro, il più vicino a ciò che effettivamente Marco dettò a Rustichello. La nuova traduzione è stata curata da Giordano Tedoldi, l’introduzione da Renata Pisu, con un contributo di Giovanni Montanaro.

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FEBRUARY 3 RD 2024

›SIGHS OF LOVE AMID SILK AND SCENTS OF THE ORIENT‹

CARNIVAL BALL

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IINSPIRED BY THE TR AVELS OF MARCO POLO,I IWE WHISK YOU AWAY TO THE ORIENT.INTO A WORLDI IOF SEDUCTIVE SCENTS, SHIMMERING SILKS AND EXOTIC SPICES.I IWE INVITE YOU TO ENJOY AND TO CELEBR ATE WITHI IUS THE 2024 CARNIVAL BALL IN THE MAGICALI IATMOSPHERE OF THE HOTEL HEUREK A!I

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carnival

Polo cinematografico Le facce di Marco, nella storia del cinema In occasione dei settecento anni dalla morte di Marco Polo, avvenuta l’8 gennaio 1324, Venezia ne celebra la figura storica ed epica con varie iniziative, dedicandogli anche il Carnevale 2024. Nel 1271, a sedici anni partì con il padre e lo zio verso Oriente per un’impresa che durò vent’anni. Le vicende dell’esploratore veneziano, narrate nel suo Il Milione, scritto con l’aiuto di Rustichello da Pisa nelle carceri genovesi, sono state più volte trasferite sul medium filmico e televisivo con livelli qualitativi molto altalenanti. Rimane ancora oggi la migliore trasposizione filmica lo sceneggiato Rai Marco Polo, diretto da Giuliano Montaldo, una grande coproduzione tra Italia, Stati Uniti, Francia, Giappone e Cina, sontuosa e carica di realismo. Occorreva ricostruire la Piazza San Marco del XIII secolo, che aveva una sorta di castello al posto del Palazzo Ducale e un mercato in luogo della Marciana. Si decise di ricostruire la Venezia dell’epoca alle Terre Perse del Lido di Venezia, di fronte all’isola di Poveglia, il cui profilo doveva simulare quello di San Giorgio Maggiore: con moduli in gesso lo scenografo Luciano Ricceri ha riprodotto, in scala leggermente ridotta, lo scorcio veneziano nei minimi particolari tra cui anche la pavimentazione senza selciato, che all’epoca non esisteva, ma era in terra battuta con delle passerelle di legno per la pioggia. Per la parte del protagonista venne scelto l’attore Mandy Patinkin, che quando seppe che la troupe si sarebbe spostata in Cina e vi sarebbe rimasta per più di un anno e mezzo andò in crisi e rinunciò, lasciando il posto a Ken Marshall. Alcune foto di scena del lavoro di Montaldo, assieme a quelle prese dai set di altri film sull’esploratore veneziano, saranno messe in mostra a La Fabbrica del Vedere dal 28 gennaio al 12 febbraio

con, inoltre, una proiezione l’8 febbraio all’Ateneo Veneto del film d’animazione del 1971 Le avventure di Marco Polo di Emanuele Luzzati e Giulio Gianini. Nello stesso periodo in Australia veniva prodotta una serie, sempre animata, in stile musical, Marco Polo Junior Versus the Red Dragon (1972) diretta da Eric Porter, che fu rieditata più volte in varie versioni aggiornate. Tra le altre rappresentazioni cinematografiche della vita di Marco Polo è curioso il film statunitense del 1938 The Adventures of Marco Polo, con Gary Cooper, che il regime fascista censurò, a causa di una visione dell’Italia non all’altezza dei tempi, reintitolandolo Uno scozzese alla corte del Gran Kan e tagliando ogni riferimento a Venezia: solo nel 1951 uscì in Italia la versione integrale. Orson Welles, Omar Sharif, Massimo Girotti, Anthony Quinn, Elsa Martinelli e Horst Buchholz, nella parte di Marco Polo, sono il cast stellare di Le meravigliose avventure di Marco Polo (Lo scacchiere di Dio) uscito nel 1965 e che ebbe una gestazione travagliata con cambio di protagonista e regista, seguendo di pochi anni il film italiano Marco Polo. La grande avventura di un italiano in Cina (1962) di Hugo Fregonese e Piero Pierotti con Rory Calhoun. Sul versante orientale il cinema di Hong Kong ha usato la figura dell’illustre esploratore come semplice pretesto per confezionare un prodotto di arti marziali: L’inferno dei mongoli del 1975 diretto da Chang Cheh è un mix di kung fu, violenza e coreografie ben orchestrate. E non si può tralasciare l’animazione giapponese, con la serie del 1979, ma uscita da noi nel 1982, Le avventure di Marco Polo la cui sigla italiana, scritta da Stelvio Cipriani, venne portata al successo dagli Oliver Onions. Andrea Zennaro

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1/02 MURMURATION

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Carnevale in città Programma completo su www.carnevale.venezia.it

Fino 11 febbraio

Spettacoli e laboratori a cura di Le Patin Libre

Pattinodromo Arcobaleno Parco Albanese-Mestre www.labiennale.org

LE MASCHERE IN CUOIO DEL MAESTRO DE MARCHI Fino 13 febbraio

Esposizione di maschere in cuoio e oggetti di scena

Scuola Grande San Giovanni Evangelista San Polo 2454 www.scuolasagiovanni.it

MARCO POLO NEL CINEMA COL CINEMA Fino 13 febbraio

In mostra foto di scena del Marco Polo di Giuliano Montaldo, le sceneggiature originali degli episodi veneziani dello sceneggiato e Il Milione illustrato da Emanuele Luzzati Archivio Carlo Montanaro – La Fabbrica del Vedere Cannaregio 3857 | h. 17.30-19 www.archiviocarlomontanaro.com

ALLA SCOPERTA DEGLI SCRIGNI DELLA SCUOLA GRANDE DI SAN ROCCO

carnivalhighlights

Visita serale guidata

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Scuola Grande di San Rocco h. 17.30-19.30 [5, 8, 12 febbraio]

IL BARBIERE DI SIVIGLIA P. 37

Opera di Gioachino Rossini Regia di Bepi Morassi

VENEZIA E IL PESCE BASTONE Un amore iniziato sei secoli fa

VENEZIA, OVVERO L’ARTE DELLA COMMEDIA

Ateneo Veneto, Campo San Fantin h. 17.30 ateneoveneto.org

Piazzetta San Marco e Campo Santo Stefano | h. 11.30-17 [4, 8-13 febbraio]

TERRA INCOGNITA P. 44 Il mirabolante viaggio di Marco

CAPODANNO CINESE Il Festival

Conferenza con interventi di Alberto Toso Fei, Anna Maria Pellegrino, Maurizio Scarpa

Water show

Darsena Grande, Arsenale, Castello h. 18.30/21 [3, 4, 10-13 febbraio]

LA BOHÈME

P. 37

Opera di Giacomo Puccini Regia di Francesco Micheli

Teatro La Fenice, San Marco | h. 19 [4, 10 febbraio h. 15.30; 6-8 febbraio h. 19] www.teatrolafenice.it

CELEBRATE CARNIVAL AT HARD ROCK CAFÉ Dj night, costume party, live show

Hard Rock Café, Bacino Orseolo | h. 21 [2, 3, 4, 9, 10, 11, 13 febbraio] www.facebook.com/hrcvenezia

LE MYSTERE DES VOIX BULGARES P. 36 Voice and Strings

Teatro Malibran, San Marco 5873 h. 21.30 venetojazz.com

3/02

Teatro La Fenice, San Marco | h. 19 [3, 7, 9, 13 febbraio h. 19; 11 febbraio h. 17] www.teatrolafenice.it

15. CARNEVALE INTERNAZIONALE DEI RAGAZZI P. 46

DALLE OMBRE AI DISEGNI Musica e animazione nel romanticismo francese

Ca’ Giustinian, San Marco 1364/A [4, 10, 11 febbraio] www.labiennale.org

Cine-concerto seguito da brindisi Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 h. 19.30 bru-zane.com

2/02

APERTURA STRAORDINARIA ORATORIO DEI CROCIFERI

Visite guidate al complesso e al ciclo pittorico di Palma il Giovane

ALLA SCOPERTA DELLA SCUOLA GRANDE DI SAN ROCCO Tour guidato alla scoperta di Tintoretto

Scuola Grande di San Rocco | h. 14 [5-12 febbraio]

IL RE DEI LADRI

Laboratori dedicati a ragazzi e famiglie (prenotazioni: promozione@ labiennale.org)

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Regia di Richard Claus (2006)

Teatro Piccolo Arsenale Campo della Tana, Castello | h. 16 www.labiennale.org

Campo dei Gesuiti, Cannaregio 4904 h. 10/15 [4, 10, 11 febbraio]

VENEZIA CARNIVAL STREET SHOW

Spettacoli diffusi di musica, danza, circo-teatro, acrobatica, magia e clownerie Piazza San Marco, Campo Santa Margherita, Campo San Giacomo, Esedra-Castello, San Geremia, Santa Maria Formosa, San Cassiano h. 11-12.30/14.30-18 [4, 8-13 febbraio]

Torna la rassegna di Commedia dell’Arte curata da Pantakin Venezia con 8 diverse compagnie che si alterneranno per più di 70 repliche

Mercatino tradizionale cinese con piatti autentici, workshop di calligrafia ed esposizione di costumi e prodotti artigianali Chiostro M9 - Museo del ‘900, Mestre h. 15-18 [4, 9-13 febbraio] www.m9museum.it

CORTEO DELLE MARIE

Il tradizionale corteo acqueo porta le 12 Marie lungo il Canal Grande fino a Piazza San Marco, dove verranno presentate al pubblico Da Campo Santa Sofia a Piazza San Marco | h. 15.30-16

GIOVANNI MONTANARO RACCONTA IL MILIONE Piazza San Marco h. 18 [10 febbraio]

WHAT NEWS ON THE RIALTO?

Conferenza animata di Alberto Toso Fei e Desi Marangon Event Pavilion, Fondaco dei Tedeschi, Rialto | h. 18 fondaco.culture@dfs.com

SOSPIRI D’AMORE TRA SETA E PROFUMI D’ORIENTE P. 43 Carnival Ball

Hotel Heureka, Cannaregio 3534 h. 19.15 www.hotel-heureka.com

MARCHESA’S AVANTGARDE AFFAIR P. 43 Cena placé e party

Palazzina G, San Marco 3247 | h. 20 www.palazzinagrassi.com

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE P. 45 Dj-set, party, live show by Molocinque

Tese di San Cristoforo, Arsenale, Castello | h. 22-3 [9- 13 febbraio] www.carnevale-arsenale.it

4/02 ESPLORATORI VENEZIANI ALLA SCOPERTA DEL MONDO P. 49

Conferenza di Alberto Toso Fei

La Casa di The Human Safety Net, Piazza San Marco | h. 11 www.thehumansafetynet.org


CARNIVALEMOTION

IL PESCE MAI VISTO

La Casa di The Human Safety Net Piazza San Marco | h. 16-18 www.thehumansafetynet.org

Palazzo Trevisan degli Ulivi Campo Sant’Agnese | h. 18/20.30

INCANTO D’APRILE

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Spettacolo di Bottegavaga

Teatrino Groggia, Sant’Alvise | h. 18

5/02 CHI HA PAURA DEL LUPO?

Spettacolo-concerto per bambini a cura dell’Associazione Balancing Art

Ateneo Veneto, Campo San Fantin | h. 17.30 ateneoveneto.org

7/02 BRICOLA E REGINA

Spettacolo teatrale di Nora Fuser e Giorgio Bertan

Centro Culturale Candiani-Mestre | h. 18 www.culturavenezia.it/candiani

BATISTO COCO

Notte tropicale in salsa veneziana

Operetta piscatoria Testo e canzoni di Antonella Barina

LA FABBRICA DEL VEDERE PRESENTA…

Proiezione di Marco Polo di Giannini & Luzzati (1971, 30’), seguita dal film muto The Cameraman di Edward Sedgwick e Buster Keaton (1928, 70’) con accompagnamento musicale di Lorenzo Liuzzi Ateneo Veneto, Campo San Fantin | h. 17.30 ateneoveneto.org

PERCHÉ SEI AL MIO POSTO? Dialogo immaginario tra Marco Polo e Niccolò Tommaseo Performance teatrale di Alessandro Bressanello e Vincenzo Tosetto

Istituto Veneto di Lettere, Scienze ed Arti Campo Santo Stefano | h. 18 www.istitutoveneto.it

BABYLON

P. 43

Dinner show e party

Palazzina G, San Marco 3247 | h. 20 www.palazzinagrassi.com

DJ NINA KIPIANI

P. 45

Afroteque

ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa | h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

Bacarando in Corte dell’Orso, San Marco 5495 h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO P. 36

8/02

Teatro Goldoni | h. 20.30 [9, 10 febbraio h. 19; 11 febbraio h. 16; 12, 13 febbraio h. 20.30] www.teatrostabileveneto.it

CARNEVALE AL MUSEO

Da giovedì 8 febbraio e a martedì 13 febbraio, aperture straordinarie fino alle ore 22 di Palazzo Ducale e Museo Correr; venerdì 9 e sabato 10 febbraio aperture straordinarie fino alle ore 21 di Museo Fortuny, Ca’ Rezzonico e Ca’ Pesaro. Lunedì 12 e martedì 13 febbraio, tutti i Musei Civici di Venezia e la mostra Chagall. Il colore dei sogni al Candiani di Mestre saranno aperti. www.visitmuve.it

VISITA PALAZZETTO BRU ZANE

Visite guidate gratuite in italiano, inglese e francese

Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 | h. 16-17.30 [9 febbraio h. 16-17.30; 10-13 febbraio h. 14.30-16] bru-zane.com

TAGLIO DELLA TESTA DEL TORO Parata e festa del Giovedì Grasso Piazza San Marco h. 16

SEGNI, DISEGNI E COLORI Atelier creativi e letture itineranti per bambini e famiglie La Casa di The Human Safety Net Piazza San Marco | h. 16.15/17.10 www.thehumansafetynet.org

NE VEDREMO DELLE BELLE!

UNA NOTTE AL CAFÉ-CONCERT VEN 9 FEBBRAIO - ORE 19.30 SAB 10 FEBBRAIO - ORE 19.30 DOM 11 FEBBRAIO - ORE 17 Flannan Obé tenore, ideazione e regia / tenor, original concept and direction Pierre Lebon baritono, collaborazione artistica, creazione scenografia e costumi / baritone, artistic collaboration, set and costume design Marie Gautrot mezzosoprano / mezzo-soprano Delphine Dussaux pianoforte / piano Venite a scoprire l’atmosfera ironica e lo spririto tutto parigino del café-concert! Finale con brindisi il 10 febbraio Spettacolo cantato in francese Concert sung in French 15 € | ridotto 5 €

Stivalaccio Teatro

9/02 FRITOLE E FRITOLERI

Degustazione con accompagnamento musicale

Istituto Barbarigo, Palazzo Morosini | h. 15-17 www.veneziaeventi.com

MARCO POLO ALLA CORTE DEL KUBLAI KHAN Lettura musicata da Le città invisibili di Italo Calvino Gerardo Balestrieri, voce Alvise Seggi, violoncello La Casa di The Human Safety Net Piazza San Marco | h. 18 www.thehumansafetynet.org

MARCO POLO, IL GRANDE CANE E LA MERAVIGLIA DELL’INVISIBILE P. 37 Spettacolo di Eleonora Mangini, con Nora Fuser

Scuola Grande San Giovanni Evangelista San Polo 2454 | h. 18 www.scuolasangiovanni.it

CARNIVAL GLAMOUR COCKTAIL APERITIF Sound design by Tommy Vee

Splendid Venice Hotel, San Marco 760 | h. 18-22 gr.splendidvenice.ve@starhotels.it

Nell’ambito del Carnevale di Venezia

2024

Workshop e attività per bambini e famiglie

Info e prenotazioni tickets@bru-zane.com BRU-ZANE.COM

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carnivalhighlights NE VEDREMO DELLE BELLE! Una notte al Café-Concert P. 39

IL BALLO DEL DOGE Carnival Obsession

Palazzetto Bru Zane, San Polo 2368 | h. 19.30 [10 febbraio h. 19.30; 11 febbraio h. 17] bru-zane.com

EPOQUE & TOMMY KUTI

Brani di Bruant, Guilbert, Scotto, Hervé, Borel-Clerc, Satie

PROHIBITED PALAZZINA

P. 43

Cena placé e party

12/02

P. 42

Scuola Grande della Misericordia Cannaregio 3599 | h. 20 ilballodeldoge.com

TALCHUM DANCE SHOW P. 45

Afrobeat night

ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa | h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

Palazzina G, San Marco 3247 | h. 20 www.palazzinagrassi.com

PERPLEX

ONE LOVE HI POWA 30th Anniversary

Tese di San Cristoforo, Arsenale, Castello h. 23-4 www.perplexlondon.com

ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa | h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

RANDOM, UNA FESTA A CASO Party by Il Muretto & Suonica

HARDSTYLER

Dock 29, Baia di Forte Marghera, Mestre | h. 23-4

Party by Il Muretto & Suonica

Dock 29, Baia di Forte Marghera, Mestre | h. 23-4

10/02 NEL SEGNO DI MARCO POLO E DELL’ORIENTE Percorso guidato a tema attraverso le collezioni d’arte della Querini Stampalia

Piazza San Marco h. 12

MI VINEGIA ESSER D’ORO Composizione teatrale in tre episodi sulla Venezia del ‘500

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Carnival Party

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Spettacolo di danze e musiche tradizionali coreane

Campo Santo Stefano h. 12/16

IL CARNEVALE DELLE TRADIZIONI

Parata delle Delegazioni dei Carnevali italiani e del mondo Piazza San Marco h. 15.30-17

FANTINA E L’EREDITÀ DI MARCO POLO

11/02

Spettacolo di Associazione Arte-Mide con Chiarastella Seravalle Fondaco dei Tedeschi, Rialto | h. 18 fondaco.culture@dfs.com

L’AMBASCIATA DEL GRAN KAHN

ELEZIONE DELLA MARIA DELL’ANNO

Concerto d’arpa medievale e danze ottocentesche

Gran Galà e incoronazione della Maria vincitrice

Piazza San Marco h. 10.30

Fondazione Querini Stampalia, Castello 5252 h. 11/15 www.querinistampalia.org

Sale Apollinee, Teatro La Fenice Campo San Fantin | h. 20

GEOMETRIE DI COLORE

CAPODANNO CINESE

La Casa di The Human Safety Net, Piazza San Marco | h. 11.20-12.50 www.thehumansafetynet.org

THE ODD COUPLE ft. AWA FALL & BUNNA

Tradizionale parata cinese con la Danza del Drago e la Danza del Leone

Letture e giochi per bambini dai 6 ai 10 anni

Piazza San Marco h. 12/15 [11 febbraio h. 12]

VALUES IN MUSIC

ANDARE VIA (LA FESTA)

La Casa di The Human Safety Net Piazza San Marco | h. 11.30 www.thehumansafetynet.org

Venice Cello Ensemble, musiche di Vivaldi e Arvo Part

Performance corale itinerante con dj-set finale by Elasi

Da Campo San Trovaso a Campo Sant’Agnese h. 14-16 [11 febbraio]

NOBILTÀ SABAUDA La via della Seta tra Barocco e Oriente Piazza San Marco h. 15.30 [11 febbraio]

ESPLORATORI VENEZIANI ALLA SCOPERTA DEL MONDO Conferenza animata di Alberto Toso Fei

Auditorium M9 – Museo del ‘900, Mestre | h. 17.30 www.m9museum.it

THE SHADOW OF DREAM

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Performance di danza verticale di Vertical Waves Project

Complesso dell’Ospedaletto, Barbarie delle Tole Castello | h. 17.30/18.30 [11 febbraio]

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ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa | h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

13/02 IL RITORNO DI MARCO POLO

Spettacolo di danze storiche in costume

Sfilata di vestiti tradizionali cinesi dal Museo della Seta di Suzhou a seguire esibizione della Weisong School con danze e arti marziali

MUSICA NUOVA A PALAZZO

PRESENTAZIONE DELLA MARIA DELL’ANNO

LE MASCHERE DI MARIO DEL ‘700 VENEZIANO Campo Santa Maria Formosa, Castello | h. 12.30 Piazza San Marco | h. 16

Spettacolo di danze in costume

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Reggae night

Piazza San Marco h. 11.30

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Piazza San Marco h. 16

Pierre-Laurent Aimard, piano Musiche di Ligeti

AVVENTURE VENEZIANE

Teatrino di Palazzo Grassi, San Samuele | h. 18 www.pinaultcollection.com/palazzograssi

VENETIAN REFLECTION

P. 43

Carnival ball by Atelier Nicolao

Ca’ Sagredo Hotel, Campo Santa Sofia | h. 19.30 www.nicolao.com

DJ JESA

P. 45

Afro dancehall night

ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa | h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

Breve e incredibile storia delle Compagnie della Calza Ateneo Veneto, Campo San Fantin | h. 18 ateneoveneto.org

BRUSCO

P. 45

Reggae Dancehall night

ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa | h. 20 www.facebook.com/Rastasnobmagazine

TEENAGE DREAM

Party by Il Muretto & Suonica

Dock 29, Baia di Forte Marghera, Mestre | h. 23-4


PALAZZETTO BRU ZANE CARNEVALE 2024 SPETTACOLO CANTATO IN FRANCESE CONCERT SUNG IN FRENCH VENERDÌ 9 E SABATO 10 FEBBRAIO ORE 19.30 DOMENICA 11 FEBBRAIO ORE 17

Ne vedremo delle belle! Una notte al café-concert Flannan Obé tenore, ideazione e regia / tenor, original concept and direction Pierre Lebon baritono, collaborazione artistica, creazione scenografia e costumi / baritone, artistic collaboration, set and costume design Marie Gautrot mezzosoprano / mezzo-soprano Delphine Dussaux pianoforte / piano

LABORATORIO-CONCERTO PER BAMBINI DA 8 A 11 ANNI EVENT FOR CHILDREN (8-11 YEARS OLD) IN ITALIAN

VISITE GUIDATE GRATUITE DEL PALAZZETTO BRU ZANE FREE GUIDED TOUR OF PALAZZETTO BRU ZANE

DOMENICA 25 FEBBRAIO ORE 15.30

8 E 9 FEBBRAIO

Armonie di suoni e colori musiche di / music by Mel Bonis e Gabriel Fauré 5 € a persona

16.00 italiano 16.30 français 17.00 english DAL 10 AL 13 FEBBRAIO E TUTTI I GIOVEDÌ

14.30 italiano 15.00 français 15.30 english Prenotazione consigliata: contact@bru-zane.com

Finale con brindisi il 10 febbraio 15 € | ridotto 5 €* *studenti e minori di 30 anni

Palazzetto Bru Zane San Polo 2368, Venezia +39 041 30 37 615 tickets@bru-zane.com

2024

BRU-ZANE.COM

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carnivalbest Piazza San Marco cuore pulsante della festa


MAGNIFICO LISTON Nella piazza più famosa del mondo, il nome “liston” è costituito da quei tratti di pietre bianche, lungo i quali passeggiavano le dame e i damerini nel Settecento

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l Carnevale di Venezia trova una sua ragion d’essere solo

se può essere festeggiato nel suo contesto d’elezione, cioè Piazza San Marco. Nessun altro luogo può racchiudere meglio l’essenza stessa di una festa collettiva, non si può infatti pensare di comparare l’ineguagliabile bellezza e storicità di Piazza San Marco con nient’altro al mondo. Quest’anno la Piazza si presenta come un cantiere di lavori in corso, necessari per preservarne l’integrità, quindi è giustificato un uso più soft del luogo, con programmi decentrati nella città storica. Tuttavia è irrinunciabile un giro in Piazza per respirare il profumo della festa. Che triste cosa sarebbe privarsi di una squisita cioccolata al Florian, possibilmente mascherati, una macchina del tempo che ci riporta ai fasti del Settecento in maniera del tutto originale, senza alcuna finta scenografia, oppure gustare i galani spaziali al Quadri, immersi in un’atmosfera d’antan, osservando il mondo da una vetrina. Il palco di Piazza San Marco, con la sua scenografica ispirazione al tema dell’Oriente e di Marco Polo, ideata dal direttore artistico Massimo Checchetto, si trasforma in una passerella di creatività in cui le maschere più belle e fantasiose possono sfilare per farsi ammirare e consumare quel legittimo tributo alla vanità, partecipando al concorso della Maschera più Bella. Il passaggio in Piazza diviene quindi una testimonianza concreta di affetto verso un bene collettivo, e usarla come set per un gioco della trasformazione, del diventare altro per qualche ora, mescolando identità e alterità rappresenta un momento topico della festa. La grandezza del Carnevale veneziano è data dalla possibilità di percorrere a ritroso la storia indossando un abito che trova immediata contestualizzazione urbana, un Marco Polo alla corte del Milion o una dogaressa e un doge che passeggiano in Piazza sono sempre in un giusto contesto, usando un’espressione abusata si direbbe che sono site-specific. Seguendo il tema di questo Carnevale Ad Oriente, animeranno la Piazza numerose sfilate per festeggiare il Capodanno Cinese e l’anno del Coniglio, in arrivo il 10 febbraio, con le spettacolari danze tradizionali del Drago e del Leone. E, ancora, i più attesi appuntamenti del Carnevale, con la presentazione delle dodici Marie, la sfilata del Giovedì Grasso con il Taglio della Testa del Toro, gli spettacoli quotidiani di Commedia dell’Arte curati dalla Compagnia Pantakin, rievocazioni storiche, danze sabaude e animazioni di ogni genere. La Piazza deve mantenere sempre il suo ruolo di fulcro del Carnevale, il km0 dell’armonia, da cui a raggiera si dipartono le strade della festa, per disperdersi felici nei mille rivoli di un labirinto inespugnabile, da cui si esce migliori, sempre. Storpiando una citazione cinematografica vorrei dire: È Venezia, bellezza...

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he Carnival of Venice finds its raison d’être only when one gets to the centre of the action, which is Piazza San Marco. No other place can include as much as it does the very essence of a collective celebration. There’s no comparing the unparalleled beauty of the Piazza with anything else in the world. This year, St Mark’s is undergoing maintenance, which is necessary to preserve it. This means that there will be many Carnival events all around town, to ease the stress on the Piazza. That doesn’t mean you shouldn’t go, though: you would never want to miss a cup of hot cocoa at Florian’s. Wear your best vintage costume and find yourself a patron of the most famous coffee house of the eighteenth century! No studio set is necessary: it is all right there where you expect it. The stage in Piazza San Marco, with its theme inspired by Marco Polo’s travels to the Orient, will turn into a runway of creativity for the most beautiful and elaborate masks and costumes. A tribute to vanity of sorts, but it can be forgiven under Carnival, so have no qualms in signing up for the Most Beautiful Mask award. A stroll through St. Mark’s is a concrete testimony of affection towards a collective good, and using it as the backdrop for a game of transformation, a game of mixed identities, is a topical moment of the Venetian Carnival. The beauty of the Carnival lies in being able to walk back in history donning clothing that find their immediate natural urban context. See one Marco Polo by the family house near Rialto, or a Doge and consort walking around the Piazza as if it was the most natural thing in the world. Following this year’s oriental theme, the programme will include the celebration of the Chinese New Year on February 10. The year of the Rabbit will be welcomed by spectacular traditional Chinese dances. More: the presentation of the Marias, the Shrove Thrusday Parade with the cutting of the bull’s head, daily Commedia dell’Arte shows, historical reenactments, and more dance and animation all around. Ad Oriente. Il mirabolante viaggio di Marco Polo Fino 13 febbraio Piazza San Marco www.carnevale.venezia.it

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carnivalbest TEATRI CONCERTS & OPERA

Per sole voci

Partiture dall’ignoto

Ritorna in Italia, con due tappe a Belluno e Venezia firmate da Veneto Jazz rispettivamente il 2 e 3 febbraio, Le Mystere des Voix Bulgares, il coro femminile famoso in tutto il mondo che intreccia le tradizioni musicali bulgare con la contemporaneità. Un’affascinante combinazione di armonie, dissonanze e schemi liberi, nati da antiche commistioni, sassoni, tracie, slave e iraniane, per un’esperienza di ascolto unica per lo spettatore europeo. La voce non è quella impostata dei cantanti lirici, ma una voce naturale che salendo verso l’acuto diviene simile ad un grido potente, ricco di armonici. Le voci bulgare comunicano attraverso un linguaggio primordiale, fatto di suoni e di sensazioni. La loro musica è stata acclamata da artisti come Paul Simon, Kate Bush, George Harrison, David Bowie, Frank Zappa, Peter Murphy dei Bauhaus, Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, Bobby McFerrin, Medwyn Goodall, Enrique Morente, i Grateful Dead e Robert Plant, oltre che in una memorabile collaborazione con gli Elio e le Storie Tese datata 1992. Il programma comprende sia nuovissimi brani composti per coro e quartetto d’archi dal compositore e direttore d’orchestra bulgaro Georgi Andreev, sia pezzi celebri del loro repertorio come Ergen Deda, Kalugerine, Svatba. Georgi Andreev è uno dei compositori bulgari contemporanei di maggior successo, titolare di collaborazioni con artisti come Nigel Kennedy, Jean Luc Ponty e lo stesso Robert Plant. ENG Le Mystère des Voix Bulgares, a world-famous female choir performing an original mix of Bulgarian tradition and modern music, will visit Italy on February 2 and 3, with concerts in Belluno and Venice, respectively. Their fascinating combination of harmony, dissonance, and freestyle are born of ancient traditions – Saxon, Thracian, Slavic, and Iranian – combined in a unique experience for the European listener. The voice is natural, rather than operatic, and climbs up in form of powerful cry, rich in harmonics. These Bulgarian Voices communicate in a primordial language made of sounds and feelings. Their music has been acclaimed by artists such as Paul Simon, Kate Bush, George Harrison, David Bowie, Frank Zappa, and others. The concert programme comprises both their most famous pieces and new songs for choir and string quartet composed by Georgi Andreev. Le Mystere des Voix Bulgares 3 febbraio Teatro Malibran www.venetojazz.com

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La nuova stagione culturale del Teatrino Grassi raccoglie numerosi appuntamenti da gennaio a giugno, con un concerto che arriva negli spazi avveniristici concepiti da Tadao Ando nei giorni di un Carnevale che vede Venezia per l’ennesima volta al centro del mondo. Sotto la curatela artistica del basso franco-americano Nicholas Isherwood, l’appuntamento inaugurale dell’11 febbraio è dedicato alla creazione di György Sándor Ligeti, compositore che ha rinnovato il linguaggio musicale novecentesco attraverso la sperimentazione elettronica ideando la micropolifonia. Ligeti è noto anche come autore di opere musicali adottate come colonne sonore di grandi capolavori cinematografici, in particolare film di Stanley Kubrick come 2001: Odissea nello spazio, Shining e Eyes Wide Shut, pellicole al centro della poetica del leggendario regista statunitense. Durante la serata il pianista francese Pierre-Laurent Aimard, acclamato come un’autorità nella musica del nostro tempo e celebrato per aver gettato nuova luce sulla musica del passato, eseguirà gli Studi per pianoforte di Ligeti accompagnati dagli interventi di Simha Arom, etnomusicologo esperto di musiche dell’Africa centrale, dall’esibizione della ballerina Aminta Traoré e cinque percussionisti che suoneranno gli strumenti tradizionali del Continente. ENG As part of the current cultural programme at Teatrino Grassi, curator Nicholas Isherwood dedicated the opening night of February 11 to a creation of György Sándor Ligeti, a composer who innovated twentieth-century musical language with electronic experimentation and created micropolyphony. Ligeti is also known for his operas adapted to film scores. To name a few: 2001: A Space Odyssey, Shining, and Eyes Wide Shut. On the same day, French pianist Pierre-Laurent Aimard will perform Ligeti’s Études for piano. A commentary by ethnomusicologist Simha Arom, a performance by dancer Aminta Traoré, and five drummers will complement the evening with art and discussion on and from Central Africa. Musica nuova a Palazzo 11 febbraio Teatrino Grassi www.pinaultcollection.com


Il barbiere di Siviglia - Photo Michele Crosera

La bohème - Photo Michele Crosera

B&B La migliore ospitalità musicale L’offerta del Teatro La Fenice per Carnevale prevede la messa in scena alternata di due opere, differenti tra loro, Il barbiere di Siviglia di Giocchino Rossini e La bohème di Giacomo Puccini. Due titoli molto conosciuti e amati dal pubblico, cui è data l’opportunità di immergersi in altissimi ascolti, nella piena tradizione del bel canto. Per Il barbiere, l’11 febbraio, in pieno clima carnascialesco si aggiunge anche la possibilità di un aperitivo, rigorosamente in maschera, con dj-set nelle Sale Apollinee. Venendo all’opera, si tratta della ripresa di un allestimento collaudato con la regia di Bepi Morassi e scene e costumi di Lauro Crisman, con la direzione musicale di Renato Palumbo. Il barbiere combina matrimoni, un conte finge di essere un soldato ubriaco, una dolce ragazza è pronta a trasformarsi in una vipera… Ne Il barbiere di Siviglia niente è come sembra, perché solo gli inganni possono far trionfare l’amore. La protagonista, Rosina, vorrebbe sposare il Conte d’Almaviva, ma il suo tutore, il perfido Don Bartolo, glielo impedisce. Unico alleato degli innamorati è il barbiere Figaro, che scioglierà i nodi di una trama ingarbugliata armato unicamente di pettine, forbici e formidabile astuzia. Dopo il fiasco alla prima nel 1816, l’opera è divenuta un successo universale, divertendo generazioni di ascoltatori con la sua musica dall’energia inesauribile. La bohème torna in Fenice nel centenario dalla morte di Giacomo Puccini con un allestimento di grande spessore: regia di Francesco Micheli, scene di Edoardo Sanchi, costumi di Silvia Aymonino, luci di Fabio Barettin e direzione musicale di Stefano Ranzani. Tragedia della giovinezza, ma anche inno all’amore puro, viene rappresentata, per la prima volta, il primo febbraio 1896, al Teatro Regio di Torino, con la direzione di Arturo Toscanini. Puccini scrive la musica in soli otto mesi per quella che diventa, da subito, una delle sue opere più amate e rappresentate e che continua, ancora oggi, a commuovere ed a meravigliare per la freschezza e modernità della melodia e dei temi trattati. L’autore s’inserisce nell’ormai imperante gusto verista, rinunciando alle tinte più plateali e truci volute dal movimento culturale, per privilegiare la storia sincera e semplice di Mimì e Rodolfo e le schermaglie amorose di Marcello e Musetta che diventano spettacolari tranches de vie che ispirano registi, scenografi ed artisti da ormai 127 anni. F.M.

A musical inn

ENG

The Carnival programme at Fenice Theatre lists alternated performances of Rossini’s The Barber of Seville and Puccini’s La bohème – two operas the public loves. Leave plenty of time on February 11, not only for the Barber, but for a drink at the theatre. What a great chance to wear a sophisticated Venetian mask, and how cool will it be to chill out at the DJ-set in full eighteenth-century apparel? Back to opera, now! Director Bepi Morassi, scenery and costumes by Lauro Crisman, conduction by Renato Palumbo. You know the story. Protagonist Rosina would love to marry Count Almaviva, but her guardian, Don Bartolo, is fiercely against it. The only ally the two lovers is the barber, Figaro, who will untie the knots of a tangled plot using nothing but comb, scissors, and his savvy. La bohème is back at the Fenice one hundred years since the death of Puccini in a staging of quite some calibre. A hymn to pure love, the sincere, simple love story between Mimì and Rodolfo and the love quarrels between Marcello and Musetta are poignant tranches de vie that have been inspiring directors, scenographers, and artists for the last 127 years. Il barbiere di Siviglia 1, 3, 7, 9, 11, 13 febbraio Teatro La Fenice La bohème 2, 4, 6, 8, 10 Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it

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carnivalbest TEATRI SHOWS

L’ingegno del silenzio L’Arlecchino muto per spavento in scena al Goldoni

© unionfotofederico

Il castello delle meraviglie «Per gli amanti del glicine e del sole: piccolo castello medievale italiano, sulle coste del Mediterraneo, affittasi ammobiliato per il mese di aprile», così recitava l’annuncio del Times e così nacque l’idea. In Incanto d’aprile, portato in scena dalla compagnia veneziana Bottegavaga al Teatrino Groggia, quattro signore inglesi, senza mariti e senza conoscersi tra loro, partono per l’Italia per regalarsi una vacanza da sogno, in quello che ai loro occhi appare un vero paradiso. Oltre al grigiore e al freddo di Londra, ognuna di queste donne ha la propria infelicità da scrollarsi di dosso, ed è in Liguria, tra antiche mura ricoperte di meravigliosi fiori profumati, con i raggi del sole a danzare sul mare, che si compie l’incanto: quattro solitudini confluiscono in un armonico microcosmo di donne che, seppur diversissime tra loro, diventano spiriti affini al punto di arrivare a completarsi l’una con l’altra. Ispirato al romanzo The Enchanted April di Elizabeth Von Arnim del 1922, lo spettacolo fa parte del percorso di Pedagogia della Gioia, che Bottegavaga ha intrapreso da qualche anno: «riteniamo – si legge nelle note di regia – che la ricerca della felicità (ovvero la piena fioritura dell’essere umano) sia alla base della salute dell’individuo e della comunità. La nostra personale ricetta per stare bene è il teatro: un teatro che sprigioni energia vitale e che parli dritto al cuore. Un teatro che spalanchi le porte alla speranza e che rinnovi, in artisti e spettatori, il desiderio di vita e di bellezza». Incanto d’aprile 4 febbraio Teatrino Groggia www.carnevale.venezia.it

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Durante il Carnevale non poteva mancare l’appuntamento con la Commedia dell’Arte e con una delle sue maschere più iconiche: l’Arlecchino. Ispirandosi al canovaccio di Luigi Riccoboni, tra i più rappresentati nella Parigi dei primi del Settecento, Stivalaccio Teatro porta in scena Arlecchino muto per spavento, su soggetto originale di Marco Zoppello, che lo ripropone per la prima volta in epoca moderna con nove attori. Nel 1716 i comici italiani tornano a dominare la scena della capitale francese. Luigi Riccoboni, mente dietro il teatro della Comédie Italienne, raduna i migliori attori dello Stivale, tra cui l’Arlecchino vicentino Tommaso Visentini, debuttante in Francia. Tuttavia, Visentini non parla francese, un ostacolo imperdonabile per il pubblico parigino. Ecco quindi il genio di Riccoboni nel concepire un canovaccio dove il servo diviene muto… per spavento! Il testo, grande omaggio alla Commedia dell’Arte e a quell’arte tutta italiana di sapersi sempre arrangiare facendo di necessità virtù, nella riscrittura di Zoppello trova nuova linfa vitale diventando un meccanismo perfetto che si regge interamente sul talento attoriale e sugli strumenti propri del commediante dell’arte: recitazione, canto, danza, combattimento scenico, lazzi e improvvisazione. Gioco, amore, invenzione, paura e dramma si mescolano tra le smorfie inamovibili delle maschere, mentre il garbuglio di equivoci lentamente si dipana tra le dita dei personaggi. Uno spettacolo per tutti (con sopratitoli in inglese e francese), capace di far risuonare l’eco di un mondo fantastico e surreale a cui abbandonarsi per ritrovare il sorriso e un briciolo di poesia. ENG Early-modern Italian theatre Commedia dell’Arte is a staple of the Venetian Carnival. One of its most iconic characters – Harlequin or Arlecchino – once put on stage an ingenious plot to overcome a little hiccup a touring theatre company faced. See, back in 1716, Paris grew to love comédie italienne, and actor and playwright Luigi Riccoboni wanted to produce his shows there. He hires the best actors Italy had at the time, including Tommaso Visentini to star as Arlecchino. But Tommaso spoke no French! Riccoboni came up with a story where Arlecchino is mute… out of fright. The text is itself an homage to the very Italian art of making do, both in-story and out. The show will be captioned in English and French. Arlecchino muto per spavento 8-13 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it


Cuori in tempesta Invidie e gelosie tra Gli innamorati di Andrea Chiodi «La pazza gelosia, è il flagello de’ cuori amanti, intorbida il bel sereno, e fa nascere le tempeste anche in mezzo alla calma», scrive Goldoni nelle note di regia de Gl’Innamorati, commedia in tre atti del 1759. Nove giovani sul palcoscenico, gelosia, tempesta, un’‘orgia’ di sentimenti in cui tutti amano tutti e tutti odiano tutti: Andrea Chiodi con gli attori e le attrici della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto porta in scena la storia d’amore dei litigiosi Eugenia e Fulgenzio trovando nuovi spunti di lettura del classico goldoniano, riadattato da Angela Dematté. Protagonista è una «gioventù sconsigliata […], un incrocio di umanità disperate e divertite dentro un decadimento dell’anima, un decadimento dei valori forse – ipotizza Chiodi nelle note di regia –, ma che nasce dalle colpe dei grandi, una generazione che non sa amare ma invidiare, che vuole essere altro da quello che è, dove aleggia anche una strana confusione tra l’amore vero, il sesso e il desiderio di potere». Quegli innamorati del Settecento goldoniano diventano così giovani di oggi, di ogni tempo, in un allestimento essenziale che gioca sul dialogo acido tra il giallo delle scene e il verde dei costumi, ovvero tra ciò che rappresenta il mondo e ciò che rappresentano le creature che lo popolano, l’intimo sentire di ogni essere umano. ENG “Crazed jealousy is the bane of lovers’ hearts—it muddles serenity, and makes storms grow out of nothing, even in the calmest days” wrote Carlo Goldoni in his notes for 1759 three-act comedy The Lovers. Nine young actors will be on stage to depict jealousy, tempest, and an orgy of feelings: everybody loves and hates one another in the story of two quarrelling lovers, Eugenia and Fulgenzio, adapted from Goldoni’s work by Angela Dematté. The protagonist is “ill-advised youth […] a mix of different characters in laughter and despair as they sink into the decadence of their souls, a decay of values, maybe – wonders Chiodi in his own notes – but that is born of the errors of their elders, a generation that won’t love, but envies, that won’t to be something it is not, and that mixes up true love, sex, and power.” Gli innamorati 6-8 febbraio Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

I volti di Nora Con l’edizione del Carnevale 2024 dedicata a Marco Polo, non poteva mancare il tributo al leggendario esploratore da parte dell’attrice veneziana Nora Fuser, sopraffina interprete di Commedia dell’Arte, fondatrice della storica cooperativa T.A.G. Teatro di Venezia, diretta da Carlo Boso, con cui ha creato il personaggio della “Strega” per lo spettacolo Falso Magnifico, portato in tournée negli anni Ottanta in Europa, Russia, Cina e Americhe. Ideato ad hoc per il Carnevale con la Scuola Grande San Giovanni Evangelista, lo spettacolo Marco Polo, il Grande Cane e la meraviglia dell’invisibile, scritto e diretto da Sandra Mangini, interpretato da Nora Fuser, con maschere e oggetti di scena realizzati dal maestro Giorgio De Marchi, va in scena in recita unica il 9 febbraio alle 18. Prendendo ispirazione da Il Milione e da Le città invisibili di Italo Calvino, l’originale creazione di Mangini rilegge il mito dello straordinario viaggio di Marco Polo nel regno dell’ignoto, della meraviglia, dell’immaginario e del desiderio. Con quali occhi il giovane Marco vide terre, popoli e animali mai conosciuti prima? Con quanta meraviglia assistette, per primo, al manifestarsi di civiltà grandiose, di paesaggi sconfinati, di fenomeni naturali mai immaginati? Cosa si dissero a corte il mercante veneziano e il Grande Cane, l’uomo “nuovo” e la tradizione, simboli di due mondi contrapposti, l’Occidente e l’Oriente? Forse immaginavano il futuro della nostra civiltà, forse progettavano ponti? Lo sveleranno in scena le maschere di Nora Fuser. Marco Polo, il Grande Cane e la meraviglia dell’invisibile 9 febbraio Scuola Grande San Giovanni Evangelista www.scuolasangiovanni.it

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carnivalbest PALAZZI CONCERTS

© Olivier Lalane

Ridere è una cosa seria! In occasione del Carnevale di Venezia, il tenore Flannan Obé (per l’occasione anche ideatore e regista) e i suoi allegri compagni ci invitano a immergerci in un mondo ricco di creatività, riscoprendo un repertorio eseguito troppo di rado. Ne vedremo delle belle! a Palazzetto Bru Zane, in tre repliche si propone di riportare in vita lo spirito delle celebrità del caffè-concerto, con uno sguardo a volte anticonformista, ma sempre sensibile e rispettoso. Il caffè-concerto, diffusosi nel XIX secolo, era un luogo di svago dove il pubblico poteva godere di una gran varietà di performance, dalle poesie sentimentali alle danze ammiccanti, sino a numeri acrobatici. In un’epoca di regolamentazioni teatrali, questi spazi offrivano dunque un intrattenimento popolare senza vincoli, dando libero sfogo alla creatività degli interpreti. Flannan Obé, il baritono Pierre Lebon, il mezzosoprano Marie Gautrot e Delphine Dussaux al pianoforte celebrano questo periodo esplorando la varietà e l’eclettismo che caratterizzavano le serate dei cafés chantants. «Il nostro spettacolo – spiega Obé – si propone di offrire un assaggio di questa fase importante della storia della chanson e dei luoghi in cui veniva eseguita. Evocheremo via via la sobrietà di mezzi, dovuta al monopolio dei teatri, ma anche la grande varietà dei numeri proposti – monologo, danza, aria d’opera – e dei toni possibili, dalla lamentela realistica alla comicità da caserma, passando per l’inno patriottico e i couplets licenziosi, senza dimenticare la poesia graffiante degli autori di Montmartre». ENG Tenor Flannan Obé, in a triple role as performer, creator, and director, and his jolly fellows invite us into a world of undeservedly forgotten repertoire. Ne vedremo delle belle! (loosely: ‘That should be good for a laugh!’), the upcoming show at Palazzetto Bru Zane, brings back to life the celebrities of café-chantants, a place of entertainment that peaked in nineteenth-century Europe and a smorgasbord of performing art, from poetry reading to exotic dance to acrobatics. “Our show – explains Obé – will give you a taste of this important piece of the history of chanson and of the places it used to be performed. We will show the sobriety of means, due to theatres taking the lion’s share of everything, though also the diversity of the entertainment offer – monologues, dance, arias – and of tones.” It sure seems there will be something for everybody. Ne vedremo delle belle! 9, 10, 11 febbraio Palazzetto Bru Zane bru-zane.com

IL PESCE MAI VISTO Nella Venezia del Cinquecento in laguna, tra gli scogli di Sant’Erasmo, viene pescato un pesce che non corrisponde a nessuna specie fino ad allora conosciuta. La sua forma è talmente strana che la notizia si diffonde in un battibaleno e porta scompiglio in città. Le sorti del misterioso pesce e della quiete dell’isola dipendono ora da una serie di fattori che vedono protagonisti una coppia di pescatori, Marina e Vettor. Il Pesce mai visto, racconto di Antonella Barina del 1980, sviluppato dalla stessa autrice in una drammaturgia di parlata circumlagunare, combinata con un suo adattamento di un prezioso poemetto anonimo cinquecentesco, il Lamento dei pescatori veneziani, diventa così per il Carnevale un’Operetta piscatoria di pescatrici e pescatori, in scena Giovedì Grasso a Palazzo Trevisan degli Ulivi. Tra le ascendenze letterarie relative al protagonista Vettor, migrante di ritorno a Venezia, le avventure del cinquecentesco personaggio di Agnolo – sorta di Marco Polo del tempo – con i suoi viaggi nel Mediterraneo. La pescatrice Marina è invece un omaggio alla memoria delle donne che dalle isole portavano il pesce al mercato di Rialto eccellendo nella voga, abitudine che le ha rese infallibili regatanti, capaci come la famosa Maria Boscola di aggiudicarsi una sfida dopo l’altra in Canal Grande. 8 febbraio h. 18/20.30 Palazzo Trevisan degli Ulivi, Campo Sant’Agnese www.carnevale.venezia.it

ALLA CORTE DI KUBLAI KHAN All’incrocio di due importanti anniversari, i 100 anni dalla nascita di Italo Calvino e i 700 anni dalla morte di Marco Polo, che dettano il mood del Carnevale 2024, la Casa di The Human Safety Net alle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco presenta, venerdì 9 febbraio alle 18, il reading musicato Alla corte di Kublai Khan. Il cantautore Gerardo Balestrieri, che considera Paolo Conte il suo maestro, affiancato da Alvise Seggi al violoncello e al liuto persiano, interpreta il testo di Calvino, Le città invisibili, in una affascinante lettura accompagnata da suoni e suggestioni, dalle musiche e dagli strumenti della Via della Seta. I dialoghi fra il leggendario esploratore e il Khan sono stati scomposti e ricostruiti lasciando per lo più integro il testo originale: narrazione, musica e immagini si intrecciano in una partitura unica fatta di suoni e parole, tanto che il testo calviniano assume la semplicità incantevole di un mondo fantasioso che sembra diventare quasi realtà. Città delle città, protagonista indiscussa, rimane Venezia, tanto cara a Calvino che così ne parlava: «Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano. Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco». 9 febbraio h. 18 La Casa di The Human Safety Net, Piazza San Marco www.thehumansafetynet.org

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carnivalbest PALAZZI PARTIES

IL RITO DELLA FESTA

In questo momento dell’anno, le regole si capovolgono e tutto diventa possibile....

BALLO DEL DOGE Carnival Obsession Il Ballo del Doge è la festa in maschera più famosa e grandiosa, appuntamento clou del Carnevale di Venezia. Ricalcando i fastosi balli del passato, è al contempo un raffinato galà mondano, un banchetto opulento e un sorprendente spettacolo artistico e musicale. Da qualche anno la location dove si svolge il Ballo è la Scuola Grande della Misericordia, che per le sue dimensioni offre una ambientazione spettacolare, facendo del Ballo un volo di fantasia, un trionfo dei sensi, un bellissimo sogno che dura una notte intera. Il segreto è la capacità di coinvolgere ogni singolo partecipante in un gioco collettivo orchestrato da Antonia Sautter, l’ideatrice che lavora tutto l’anno per l’organizzazione della serata perfetta, progettata nei minimi particolari. Un’esperienza memorabile, da fare almeno una volta nella vita. Siete pronti a sognare?

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The Ballo del Doge, or Doge’s Ball, is the most famous and greatest masked ball of the Venetian Carnival. An homage to the pompous, splendid masked parties of the past, it is also an exclusive worldly gala and an amazing show of art and music. Since several years, the Ball took place at Scuola Grande della Misericordia. The secret lying behind this fantastic triumph of the senses is producer Antonia Sutter’s ability to involve every participant in a collective, well-orchestrated game. Sutter works year-round to secure a perfectly organized event, designed down to the last detail. A memorable experience and that once-in-a-lifetime moment you’ve been dreaming about for years.

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10 febbraioFebruary Scuola Grande della Misericordia ilballodeldoge.com


CARNIVAL BALL Sospiri d’Amore tra seta e profumi d’Oriente Marco Polo e il viaggio della Seta Un fantastico viaggio immaginifico in compagnia di Marco Polo: l’esclusivo ballo privato di Carnevale creato da Palazzo Heureka trasporta i partecipanti in un’atmosfera indimenticabile, con suggestioni che portano direttamente lungo la Via della Seta fino ad Oriente. Una serata in cui gli ingredienti che si combinano sono intrattenimento musicale, cena di gala e naturalmente danze scatenante. ENG A fantastic voyage in the company of Sir Marco Polo: the exclusive private Carnival ball produced by Palazzo Heureka will take participants into the indelible memories of the Silk Road atmosphere, deep inside mysterious Asian countries. A night when all ingredients perfectly mix together: musical entertainment, gala dinner, and carefree dancing. 3 febbraioFebruary Palazzo Heureka, Cannaregio 3534 promo.hotel-heureka.com

TWENTIES EXTRAVAGANZA Babylon Palazzina Grassi invita ad un’esperienza vibrante e coinvolgente che unisce la tradizione veneziana del ballo in maschera con il fascino senza tempo degli Anni 20. Babylon è stata pensata come una cena-spettacolo che diventa un’incredibile festa nella Hollywood dei luccicanti twenties, ispirata al provocante, dissacrante e straordinario film di Damien Chazelle. ENG Palazzina Grassi invties you to a vibrant, captivating experience that blends Venetian masked ball tradition with the timeless charm of 1920s aesthetics. Babylon has been designed as a show & dinner combination turning into an incredible Hollywood Party inspired by Damien Chazelle provocatory, sacrilegious, and extraordinary film of the same name. 8 febbraioFebruary Palazzina Grassi, San Marco 2760 www.palazzinagrassi.com

NIGHT DREAMERS Sognatori notturni Night Dreamers, in omaggio a coloro che sognano ad occhi aperti a tutte le ore, è un originalissimo party che The Venice Venice Hotel organizza per Carnevale, dove gli ospiti sono invitati a indossare i loro pigiami più splendidi per una serata rilassante e memorabile, tutta da vivere. Aperitivo e cena intimi con prenotazione limitata a 50 ospiti (20/22). A seguire, il divertimento continua nell’enigmatico Venice Bitter Club (22/1). ENG The Venice Venice Hotel is hosting a spirited evening for Carnival. Dubbed Night Dreamers as a nod to those who daydream at all hours, the event encourages guests to don their most splendid pyjamas, adding to the friendly, convivial atmosphere of the evening. From 8pm to 10pm, enjoy an intimate aperitivo and dinner with reservations limited to 50 guests. After dinner, the fun continues in the enigmatic Venice Bitter Club from 10pm until 1am. 9 febbraioFebruary The Venice Venice Hotel, Cannaregio 5631 www.venicevenice.com

VENETIAN REFLECTIONS Grand Ball Una favola che diventa realtà, una festa di Carnevale in costume d’epoca immersi nell’atmosfera di una Venezia del XVII secolo. Stefano Nicolao e Nicolao Atelier, con i loro magnifici costumi sartoriali, regalano un Gran Ball senza eguali, in cui gli invitati sembrano usciti da un film in costume, facendo vivere un’autentica “sera di Carnevale”. In programma cena, intrattenimento dal vivo e l’immancabile finale disco dance. ENG A fairy tale turning real, a Carnival party in vintage costumes immersed into the atmosphere of seventeenth-century Venice. With their amazing made-to-measure costumes, Stefano Nicolao and Nicolao Atelier gift us a Grand Ball that knows no equals. Attendees will seem to have just came back from filming a costume drama for the most authentic Carnival night experience. In the programme: dinner, live entertainment, and dancing till late. 11 febbraioFebruary Palazzo Ca’ Sagredo, Cannaregio 4198/99 www.nicolao.com

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carnivalbest ARSENALE NIGHTLIFE

Un mondo non basta All’Arsenale Venezia incontra Marco Dall’incipit de Il Milione: «Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d’Erminia, di Persia e di Tarteria, d’India e di molte altre province. E questo vi conterà il libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v’à di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e però le cose vedute dirà di veduta e l’altre per udita, acciò che ‘l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna». Gli occhi avidi di un esploratore ebbero di sicuro di cui saziarsi negli immaginifici viaggi che Marco Polo intraprese alla ricerca dei confini del mondo allora sconosciuto. Un mondo di cui il nostro era innamorato a tal punto da chiederne sempre altro, come un assetato davanti a una cascata o un affamato messo di fronte a un banchetto luculliano. Terra Incognita. Il mirabolante viaggio di Marco è il titolo del water show ideato per il 2024, che ci rende tutti Marco Polo, almeno per la durata di uno spettacolo che promette di riempirci gli occhi di meraviglia. Un racconto immaginifico che emerge dalle acque dell’Arsenale, liberamente ispirato proprio a Il Milione e narrato in chiave fantastica attraverso i diversi linguaggi creativi dell’arte che, come il viaggio di Marco, non vuole saperne di imporsi confini. In scena nove performer della compagnia francese Ilotopie, che con le loro sorprendenti macchine sceniche, ideate ad hoc, ‘infiammano’ l’acqua della laguna di energia e creatività. Lo spettacolo si arricchisce con l’interpretazione di due attori che danno vita a Marco Polo: accompagnato dalle imbarcazioni della veneziana Associazione Vela al Terzo, il giovane Tancredi Blu Silla con la sua raffinata interpretazione dà corpo e movimento al racconto, mentre l’attore Gaetano Ruocco Guadagno diventa voce narrante del testo curato dallo scrittore e storico veneziano Alberto Toso Fei. Al centro della performance il gesto elegante del linguaggio del corpo, con le cinque danzatrici della compagnia orientale The East Dance Company – Associazione ICCTPA, che ci conducono nel mistero delle antiche leggende cinesi. Davide Carbone

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One world is not enough ENG

“Emperors, kings, dukes, marquises, counts, knights, and all persons wishing to know the various generations of men in the world, also the kingdoms, provinces, and all the regions of the East, read this book: in it you will find very great and wonderful things of the nations, chiefly of Armenia, Persia, and Tartary, India, and various other provinces. In the present work Messer Marco Polo, a prudent and learned citizen of Venice, relates in order the various things which he himself saw, or heard from men of honour and truth. And those who read this book may be assured that all things in it are true.” Thus begin Marco Polo’s Travels, which we report to set the scene of an amazing show. Terra Incognita – The extraordinary journey of Marco Arsenale Water Show will turn each of us into Marco Polo, at least for the time of the show! A fantastic story emerging from the waters of the Arsenale, narrated using the several languages of art which, much like Marco, just cannot take borders for granted. On stage, nine performers of French company Ilotopie and their incredible stage machinery. Terra Incognita. Il mirabolante viaggio di Marco 2-4, 8-13 febbraio Arsenale di Venezia www.carnevale.venezia.it


AFRO JAMAICAN SPOT

Clubbing Venice Nata dalla cocciuta creatività di Ludwig Danet e Joe Guimaraes nel 2020, quando il mondo non era fisicamente in grado di immaginare un domani fatto di condivisione e socialità, il format londinese Perplex crea realtà alternative basate su temi del mondo in cui i partecipanti possono riunirsi per celebrare la musica elettronica e allontanarsi dalle tradizionali esperienze di clubbing. Non meramente “grandi eventi” ma autentiche esperienze concrete ospitate da luoghi unici, completamente trasformati in realtà parallele, grazie a una curatela creativa e a una produzione innovativa. Normale che quindi Venezia abbia pensato a loro per l’allestimento del principale happening musicale di questo Carnevale, negli spazi davvero unici delle Tese di San Cristoforo all’Arsenale, sede della Biennale di Venezia e complesso di ex cantieri navali e armerie risalenti al 1104. Installazioni immersive, produzioni all’avanguardia e performance saranno sviluppate in due sale il prossimo 10 febbraio, con il trio danese di elettronica WhoMadeWho ad occupare il mainstage, affiancato da Âme Live, Captnnn, Simone De Kunovich, Pascal Moscheni e Ludi. Il trio formato da Tomas Høffding, Tomas Barfod e Jeppe Kjellberg coniuga nei loro componenti tre culture musicali diverse, evolute in uno stile di elettronica ricco di cuore, voce e anima, denotando una profondità e una poetica quasi inaspettata da produttori di musica elettronica. ENG Perplex is an alternative world created to celebrate electronic music in a new and original fashion that is quite unlike the usual clubbing scene. Originating in London thanks to Ludwig Danet and Joe Guimaraes, Perplex is all about concrete experiences, unique places, and innovative production. The Venice Carnival is all about fun celebration, and originality, and will have Perplex produce a major musical happening at the Arsenale: immersive installation, avant-garde productions, and great performances will occupy two halls at Tese di San Cristoforo on February 10, with Danish electronic music trio WhoMadeWho on the main stage, and Âme Live, Captnnn, Simoe De Kunovich, Pascal Moscheni, and Ludi accompanying. Perplex goes to Venice 10 febbraio, Tese di San Cristoforo, Arsenale carnevale.venezia.it

Dalla Cina di Marco Polo alla Jamaica di Rasta Snob, passando per lo ZanziBar di Campo Santa Maria Formosa, il viaggio è molto più breve di quanto si possa immaginare. Dal 1988 unico reggae magazine e reggae ambassador in Italia, Rasta Snob presenta dall’8 al 13 febbraio il Venice Carnival Festival – Afro Jamaican Spot, una tradizione che dal 1994 trasforma il Campo di fronte allo ZanziBar in una ruggente dancefloor a cielo aperto. Condotto in consolle da Steve Giant affiancato da PapaLuka, il festival si apre con le vibes della dj Nina Kipiani: madre camerunense e padre georgiano, cresciuta a Parigi e ora di base a Roma, con il suo format Afroteque esplora la musica africana contemporanea e cura l’omonima playlist di Spotify per Sony Music Italy e Soul Food Promotions. Il programma prosegue poi il 9 febbraio con One Love Hi Powa, storico sound system romano che celebra il trentesimo anniversario; il 10, una serata all’insegna delle vibes afro-italiane della bellissima Epoque e del bravissimo Tommy Kuti; a seguire, l’11, il sound hip-hop/afro/dancehall di Dj Jesa; lunedì 12, Awa Fall, italo-senegalese annoverata tra le più belle voci reggae/world music d’Europa; e a chiudere, Martedì Grasso, la grinta old school del romanissimo Brusco. ENG From Marco Polo’s China to Rasta Snob’s Jamaica to the ZanziBar in Venice, this journey is much shorter than what you’d expect. Since 1988 the only reggae magazine and reggae ambassador in Italy, Rasta Snob will present Venice Carnival Festival – Afro Jamaican Spot on February 8 to 13. In Campo Maria Formosa, Venice, in front of ZanziBar, you’ll find a roaring open-air dancefloor headed by DJs Steve Giant and PapaLuka. Venice Carnival Festival – Afro Jamaican Spot 8-13 febbraio ZanziBar, Campo Santa Maria Formosa www.facebook.com/Rastasnobmagazine

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE Cinque diverse serate a tema per altrettante occasioni di puro godimento sonoro, negli spazi dell’Arsenale adibiti a dancefloor, con l’egida della storica discoteca veneziana Molocinque a fare da garanzia per il massimo divertimento. Il 3 febbraio Arsenale Carnival Experience entra nel vivo con il dj-set di Omis e Supergian, con entertainment affidato al visual artist Zampino, votato “Best Italian Performer” nel 2018. Il 9 febbraio in consolle ecco Alberto Milani, Danielino e Guru, protagonisti di Orient Experience una notte all’insegna delle atmosfere al centro del Carnevale di quest’anno dedicato a Marco Polo. Muévete: è già un programma il titolo della serata dell’11 febbraio, per scatenarsi sulle più infuocate vibes reggaeton e le più amate radio hits. In tema di vibrazioni immancabili, poi, come trascurare il rock? Il 12 febbraio Rock’n’roll in Venice è l’imperdibile evento targato Hard Rock Cafe, che oltre all’Arsenale anima le notti di Carnevale con una rassegna live nel locale di Bacino Orseolo. Chiusura con La Isla d’Oriente il 13: ai piatti Marco Cavax, Mistericky e BigTommy. ENG Five themed nights out for five great chances to enjoy some good sound. The Arsenale will turn into dancefloor under the aegis of historical Venetian dance club Molocinque, a guarantee. On February 3, Arsenal Carnival Experience will start out with DJ-sets by Omis and Supergian and entertainment by visual artist Zampino. On February 9, Alberto Milani, Danielino, and Guru will alternate at the console for the Orient Experience night. On the 11, reggaeton and radio hits. On the 12, Rock ‘n’ roll in Venice by Hard Rock Café. Closing night on February 13 with Marco Cavax, Mistericky, and BigTommy. Arsenale Carnival Experience 3, 9, 11, 12, 13 febbraio Arsenale di Venezia carnevale.venezia.it

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carnivalbest KIDS & DANCE

Photo Andrea Avezzù

Come nelle favole Il Carnevale dei Ragazzi nel segno della meraviglia e della scoperta Un caleidoscopio di attività creative, spettacoli, giochi, installazioni interattive, insomma una ideale e sorprendente Wunderkammer: sono infatti la scoperta e la meraviglia i fili conduttori del 15. Carnevale Internazionale dei Ragazzi della Biennale di Venezia, da giovedì 1 a domenica 11 febbraio, con centro nevralgico Ca’ Giustinian, che accoglie i laboratori. Qui, tra le novità di questa edizione, l’installazione immersiva La regina della neve, inedito progetto tra teatro di narrazione ed editoria tratto dalla fiaba di Andersen, basato su un libro da toccare e con cui giocare, arricchito da un audio virtuale, che ogni partecipante riceverà in dono al termine del laboratorio, sotto forma di ‘fiocco di neve’. Anche il Teatro Piccolo Arsenale apre le porte al Carnevale ospitando le Operette apocrife, spettacolo di teatro di figura di Gigio Brunello e Giulio Molnár (dal 5 all’8 febbraio, ore 19), e la proiezione del film d’avventura Il re dei ladri (2 febbraio, ore 16) tratto dall’omonimo celebre romanzo per ragazzi della scrittrice tedesca Cornelia Funke, che condurrà anche due laboratori artistici a Ca’ Giustinian (3 e 4 febbraio), grazie al sostegno del Centro Tedesco di Studi Veneziani. Come ogni anno il programma di attività del Carnevale dei Ragazzi è frutto di numerose collaborazioni con prestigiose istituzioni locali, nazionali e internazionali, oltre che con le scuole secondarie di II grado, i Magnifici. Ritornano le proposte del Centro Tedesco di Studi Veneziani, del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, con un inedito laboratorio musicale ispirato a Il piccolo principe, del CNR-ISMAR, che invita i ragazzi a riflettere sulla salute del Pianeta con un workshop scientifico, del MUS.E di Firenze con un laboratorio narrativo artistico che parte dalla Stanza dei Quattro Elementi di Palazzo Vecchio, i progetti musicali de Il Violino Colorato, della prof.ssa Sikimeti Ma’u che, in collaborazione con il Julia Robinson Mathematics Festival, realizzerà un divertente laboratorio di matematica e del prof. Paolo Pellizzari dell’Università Ca’ Foscari, che con l’Istituto Nazionale di Statistica propone i laboratori di matematica e statistica, alle quali si affiancheranno nuove partecipazioni, come quella Fondazione Štěpán Zavřel, della Fondazione Veronesi e dell’Università degli Studi di Milano, oltre a rinnovati progetti nati anche dalla collaborazione con la Questura di Venezia.

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Like in a fairy tale

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A flurry of creative activities, shows, games, interactive installations. The 15th International Kids’ Carnival, produced by the Venice Biennale, will take place on February 1 to 11, with most activities at the Biennale’s main offices at Ca’ Giustinian. Immersive installation La regina della neve (lit. ‘The Snow Queen’) is an original theatre project inspired by Hans Christian Andersen’s fairy tale and based on a book to read and play with, accompanied by an audio track. Every child will get one after the workshop. The Piccolo Arsenale Theatre opens to Carnival with show Operette apocrife by Gigio Brunello and Giulio Molnár (February 5 to 8, 7pm) and a screening of adventure movie The Thief Lord (February 2, 4pm), based on Cornelia Funke’s novel of the same name. Funke will be present to run two art workshops at Ca’ Giustinian on February 3 and 4. The production of the Kids’ Carnival has been made possible by cooperating local institutions and schools, including the German Centre for Venetian Studies, the Venice Conservatory, the Italian National Research Council, and others. 15. Carnevale Internazionale dei Ragazzi 1-11 febbraio Ca’ Giustinian, Teatro Piccolo Arsenale www.labiennale.org


OMBRE VERTICALI

© Nora Houguenade

In un battito d’ali Le Patin Libre tra ghiaccio e cielo Quando accade è uno spettacolo sensazionale, a cui abbiamo potuto assistere – in pochi dal vivo, molti di più dal video virale – non molto tempo fa, quando a inizio anno uno stormo di migliaia di cormorani ha sorvolato le acque della laguna, suscitando stupore e meraviglia. Lo stesso stupore e meraviglia che promette lo spettacolo Murmuration della compagnia canadese Le Patin Libre, una succosa anticipazione della prossima Biennale Danza di Wayne McGregor, che va ad arricchire il programma del 15. Carnevale Internazionale dei Ragazzi. Dall’1 all’11 febbraio, il pattinodromo Arcobaleno di Parco Albanese a Mestre si tramuta in una arena di ghiaccio per accogliere i pattinatori di Le Patin Libre, per la prima volta in Italia con una performance che si rifà alle coreografie aeree degli stormi, quando si riuniscono in nugoli prima delle migrazioni verso Sud. “Murmuration” è infatti il termine utilizzato per indicare il rumore, simile a un fitto mormorio, che il frullo delle ali di questi uccelli producono nei loro imperscrutabili volteggi. Come in un rituale benaugurante prima della partenza, gli stormi disegnano traiettorie librandosi alti nei cieli, intrecciano figurazioni fantastiche scendendo in picchiata per virare bruscamente, riacquistando quota in un battito d’ali. Uno spettacolo ipnotico che i 15 straordinari danzatori di Le Patin Libre fanno rivivere componendo complesse dinamiche di movimento in perfetto sincrono e, come se il movimento si propagasse da uno all’altro esattamente come in uno stormo, sembrano prendere letteralmente il volo scivolando fluidamente sul ghiaccio a velocità supersonica. Oltre allo spettacolo, fino all’11 febbraio, Le Patin Libre propone un programma quotidiano di workshop, pattinaggio libero, eventi speciali per famiglie e ice-dancing party con dj. ENG Did you see that video of a flock of cormorants dashing off the waters of the Venetian Lagoon? It went viral a while ago. Nature is amazing, and so can shows that sincerely imitate her. Murmuration by Canadian company Le Patin Libre is part of The International Kids’ Carnival by La Biennale di Venezia. On February 1 to 11 Pattinodromo Arcobaleno in Mestre will turn into an ice-skating rink to welcome these incredible athletes, recreating the swooping and swirling of birds in perfect synchronic motion. There will also be workshops, open rink hours, events for families, and DJ-sets. Murmuration – Le Patin Libre 1-11 febbraio Parco Albanese-Mestre www.labiennale.org

Va detto subito, siamo di parte, il Complesso dell’Ospedaletto è per noi un luogo bellissimo, conosciuto e apprezzato dal pubblico dell’arte, ma forse non così noto alla maggior parte dei frequentatori della città. L’occasione di poter visitare questo spazio monumentale è offerta durante il Carnevale, il 10 e l’11 febbraio, potendo assistere a The Shadow of Dreams, spettacolo di danza verticale ideato e portato in scena, anzi sulle pareti, dalla compagnia Vertical Waves Project, fondata dalla danzatrice e performer Marianna Andrigo e dal tecnico e artista Aldo Aliprandi. Il richiamo è alle ombre che si rifanno alla tradizione del teatro orientale, ombre che nascono e si agitano sospese nel vuoto per ricreare le suggestioni del leggendario viaggio di Marco Polo nel lontanissimo Oriente, tra innumerevoli incontri di esseri umani e creature che agli occhi del viaggiatore veneziano saranno apparse come fantastiche. La parete diventa un palcoscenico in cui quattro performer attraversano mondi e atmosfere di viaggi vissuti in un’atmosfera sospesa, letteralmente, tra sogno e realtà, complici proiezioni che danno ambientazione e ritmo alla danza. Luci e ombre rappresentano l’ambito poetico e narrativo in grado di generare simboli e diseguaglianze all’interno di ascolti musicali che conducono ad un percorso geografico e temporale che non esclude concessioni alla contemporaneità. ENG The The Shadow of Dreams recalls shadows as a language of representation of oriental tradition: shadows are created to narrate human and non-human figures, to evoke the variety of visions, between reality and dream, that make up Marco Polo’s legendary journey. The wall becomes a stage where four performers compose and go through worlds and atmospheres of journeys on lands and dreams, with the use of projections that create the setting for the dance. Lights and shadows are therefore the poetic duet that generates symbols and ambiguities within musical Armonies that will lead to a geographical and temporal journey without excluding twines with our time. The Shadow of Dreams 10, 11 febbraio h. 17.30/18.30 Complesso dell’Ospedaletto verticalwavesproject.weebly.com

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INCONTRI RAVVICINATI

CULTURE

UN MILIONE DI AVVENTURE

L’ASSE DEL TEMPO A Palazzo Mocenigo la mostra L’Asse del tempo. Tessuti per l’abbigliamento in seta di Suzhou ha aperto ufficialmente le celebrazioni per i 700 anni della morte di Marco Polo, testimoniando lo storico legame tra le città d’acqua di Venezia e Suzhou, le due estremità della “Via della Seta”, gemellate dal 1980. Fu proprio Marco Polo durante il suo lungo viaggio in Oriente come incaricato del Kublai Khan a restare ammaliato da Suzhou, che ne Il Milione viene descritta come «una molto nobile città [...] molti drappi di seta fanno, e sono ricchi mercatanti». Proprio la seta è la protagonista dell’esposizione nel Portego di Palazzo Mocenigo: una ventina di abiti, creazioni originali, tessuti e fedeli repliche di antichi abiti provenienti dal Museo della Seta di Suzhou, centro per la ricerca, la tutela, la conservazione e la protezione della millenaria tecnica di tessitura che rese celebre la seta della regione dello Jiangnan. Suscitano stupore e meraviglia per la loro raffinatezza e preziosità creazioni come il broccato della dinastia Song, il lampasso, il Kesi, tappezzerie in seta, o il tipico ricamo di Suzhou conosciuto come pattern velvet, esempi del patrimonio culturale immateriale della Cina. Tappa imperdibile durante un Carnevale che guarda ad Oriente! Fino 29 febbraio Museo di Palazzo Mocenigo Centro Studi di Storia del Tessuto, del Costume e del Profumo Santa Croce 1992 www.mocenigo.visitmuve.it

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Divertenti e coloratissimi i Wild Hearts, nati dal tratto inconfondibile di Lucio Schiavon, con il loro buffo e coloratissimo aspetto fanno capolino curiosi dalle arcate che dominano la corte del Fondaco dei Tedeschi, animano le vetrine, compaiono a sorpresa tra gli scaffali e i manichini, in una narrazione coerente e scherzosa che interpreta con elegante creatività l’essenza del Carnevale. Personaggi selvaggi, solitari e misteriosi – conosciuti anche come Wilder Mann – che secondo la leggenda vivono tra le profonde pieghe delle montagne e nei segreti delle foreste in ogni angolo d’Europa, questi esseri un po’ umani e un po’ animali sono figure archetipe che fanno la loro comparsa in occasioni rituali pagane o religiose, quando si celebra il ciclo delle stagioni e, soprattutto, il Carnevale. In questa atmosfera unica e giocosa il Fondaco ospita due imperdibili appuntamenti: sabato 3 febbraio alle ore 18, What News on the Rialto, una conferenza animata di Alberto Toso Fei e Desi Marangon sui graffiti antichi e gli altri segni presenti al Fontego dei Tedeschi e nelle zone della città legate alla mercatura e al viaggio; lunedì 12 febbraio alle ore 18.15, Fantina e l’eredità di Marco Polo: La pioniera dei diritti civili delle donne. Vogio un milion, ansi do!, con la direzione artistica e regia di Chiarastella Seravalle, una performance teatrale che racconta la storia di una donna che lotta per i suoi diritti nella Venezia del Trecento. Una produzione ArteMide Teatro. www.dfsgroup.com


ESPLORATORI VENEZIANI… Spregiudicati, indomiti, gli esploratori veneziani scoprirono terre sconosciute, incontrarono nuovi popoli e lo fecero per curiosità e per sete di conoscenza, ma anche per brama di conquista, per denaro e per fama (così come anche per fatalità). In molti casi, tuttavia, non lo fecero per Venezia: la Repubblica non seppe o non volle approfittare delle loro capacità, che dunque misero al servizio di altre potenze. Nondimeno, la Serenissima si fece vanto di questi uomini capaci di solcare i mari più lontani, al punto da celebrare le imprese di alcuni di loro nella Sala dello Scudo di Palazzo Ducale, luogo d’attesa di ambasciatori e principi in cui Venezia li presentava al mondo dicendo: ecco di cosa sono stati capaci i veneziani! Lo scrittore e saggista Alberto Toso Fei, nella conferenza animata Esploratori veneziani alla scoperta del mondo, narra tra storia e leggenda le gesta di questi personaggi straordinari e delle loro mirabolanti scoperte. 4 febbraio h. 11 La Casa di The Human Safety Net, Procuratie Vecchie www.thehumansafetynet.org

LA MAGIA DEL CARNEVALE CINESE Fulcro del Carnevale in terraferma, insieme a Piazza Ferretto, M9 – Museo del ‘900 si fa ‘casa’ dei festeggiamenti e rende omaggio all’intrepido mercante, esploratore di mondi lontani, ospitando un vero e proprio festival dedicato all’Estremo Oriente e alle sue millenarie tradizioni. Il Chiostro di M9, tutti i pomeriggi dalle 15 alle 18, si tramuta in un tradizionale mercatino cinese, con un’esposizione di antichi costumi della Dinastia Han e Tang, la possibilità di gustare i sapori autentici della cucina cinese, cimentarsi con i pittogrammi della calligrafia e la pittura cinese o con l’antica arte delle carte ritagliate, assistere all’affascinante cerimonia del tè, scoprire i giocattoli del Capodanno cinese, che ricorre proprio sabato 10 febbraio, e ci porta con una grande festa nell’anno del Coniglio. 3-4, 9-13 febbraio h. 15-18 M9 – Museo del ‘900-Mestre www.m9musemum.it

PERCHÉ SEI AL MIO POSTO? COMPAGNIA DELLA CALZA Martedì Grasso, 13 febbraio, l’Ateneo Veneto rinnova l’appuntamento con la Compagnia della Calza grazie alla conferenza-spettacolo in costume Avventure veneziane. Breve e incredibile storia delle Compagnie della Calza. Queste compagnie, fenomeno tutto veneziano, nacquero tra il XV e XVI secolo ed erano formate da giovani della nobiltà veneziana al fine di animare e rendere ancor più fastose le feste carnascialesche, con spettacoli che coinvolgevano anche grandi autori del tempo. A condurci nel viaggio a ritroso nella storia, il Gran Priore della Calza, Luca Colferai, attraverso una carrellata di personaggi che includono Angelo Beolco, noto come il Ruzante (Luca Costantini), la cortigiana Angela Dal Moro, detta la Zaffetta (Numa Echos), la poetessa Veronica Franco (Federica Zagatti Wolf-Ferrari), e il poligrafo Pietro Aretino (A.C. Whistle). 13 febbraio h. 18 Ateneo Veneto, Campo San Fantin ateneoveneto.org

Nel 1846 in previsione del IX Congresso degli Scienziati che si sarebbe svolto a Venezia nel settembre del 1847, il Comune insieme al Reale Istituto di Scienze, Lettere ed Arti e all’Ateneo Veneto prospettarono l’erezione di una statua a Marco Polo, ma il governo austriaco ne impedì la realizzazione. Anni dopo l’imperatore Francesco Giuseppe ci provò di nuovo, il monumento sarebbe sorto in campo Santo Stefano, ma non se ne fece nulla. Al posto della statua di Marco Polo, nel 1882, si eresse quella dedicata a Niccolò Tommaseo. Lo spettacolo, ospitato a Palazzo Loredan nell’atrio d’ingresso tra i busti del Panteon Veneto, si svolge idealmente in campo Santo Stefano il 22 marzo del 1882, esattamente nel giorno dell’inaugurazione del monumento a Tommaseo, e mette in scena, al calar della sera un dialogo immaginario tra Marco Polo (Alessandro Bressanello) e la statua di Niccolò Tommaseo (Vincenzo Tosetto), che si anima e risponde, in un alternarsi di scambi ironici e di accuse pungenti. 8 febbraio h. 18 Palazzo Loredan, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti www.istitutoveneto.it

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Frittelle e galani tra tradizione e sperimentazione

a cura di Fabio Marzari

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L’ARTE DEL FRIGGERE Come ogni ricetta tradizionale, di frittelle ne esistono di tutti i tipi e versioni, di tutte le forme e sono sempre tutte buonissime

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dolci di Carnevale si collocano temporalmente tra gli eccessi natalizi e le delizie pasquali soprattutto legate al cioccolato. Ciò che maggiormente stupisce in un’epoca di regimi alimentari controllati, tra intolleranze e salutismi di vario genere, è come la tradizione di questi dolci, frittelle e galani soprattutto, rimanga in auge e nutra, letteralmente, schiere di estimatori di varie età. Tutto ciò è coerente con il pensiero dei fritoleri, membri della omonima corporazione nata a Venezia nel Seicento, che definivano la frittella “Boccon da poareti e da siori”. I circa 70 fritoleri avevano una propria insegna, quella dell’Arte dei Fritoleri, una tavoletta dipinta ad olio, ora esposta al Museo Correr e sempre nel ‘600 la fritola venne proclamata dolce nazionale della Serenissima. A questo punto si potrebbe trarre ispirazione da Plauto, manteniamoci però sul livello divulgativo, evitando un facilissimo festival dei doppi sensi! Il mestiere del fritoler si tramandava di padre in figlio ed in mancanza di prole veniva nominato un successore dal Gastaldo, a capo delle singole arti, con l’avallo dei Giustizieri Vecchi. I fritoleri erano riconoscibili per il loro grembiule e per il vasetto bucherellato che tenevano sempre in mano per zuccherare i ghiotti bocconcini. Avevano l’esclusiva di una propria area e dovevano rispettare la regola di vendere, ma non ad alta voce. Testimonianze di frittelle a Venezia si hanno già dal 1300, al tempo di Marco Polo. L’arte del friggere è infatti tipica dell’Oriente. Le frittelle venivano impastate su grandi tavoli e poi fritte in enormi padelle. Una volta pronte, venivano cosparse di zucchero e presentate su piatti di stagno o peltro, affiancate da uvetta, pinoli e cedri. Venezia fu la prima città in Europa ad utilizzare lo zucchero al posto del miele. Proveniva dai possedimenti della Serenissima a Cipro, dove veniva coltivata la canna.

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arnival sweets falls right

between the excesses of Christmas and the delicacies of Easter. You know what’s funny, in this time of minutely regulated diets, intolerances, and health obsession of every kind, the traditional Venetian fried sweets never ceded an inch. The early modern era Guild of Deep Friers – because of course there was one – defined the fritola, the Venetian fritter or beignet, as a treat for rich and commoner alike. These cooks taught the art and left the business to their children (the guild would nominate a successor if there was no heir apparent) and each was assigned a precinct in town. They were forbidden to raise their voice in peddling their food, so much we know from history. There’s more: the first mention of fried food dates back to even earlier, back to the late Middle Ages, around the year 1300. Marco Polo was alive at that time. The dough used to be worked by hand on a flat surface, and it seems that Venice was the first European city to use sugar. Until that time, honey was the sweetener of choice. Sugar cane was, in fact, grown in Cyprus, where Venice had colonies.


Alcuni suggerimenti dove poter gustare dei dolci di Carnevale degni di nota, almeno a parer nostro

PASTICCERIA TONOLO

È fin troppo scontato indicarle, ma le loro frittelle, tra tutte quella alla crema, sono un must che non delude mai le attese. Vale la pena fare la fila perchè non è Carnevale senza aver provato le loro frittelle! ENG An institution. There’s barely any need to list them, but by all means, check their shop out and never mind the queue. You can only say you lived the Venice Carnival if you had at least one of Tonolo’s fritters. Calle San Pantalon, Dorsoduro 3764

AMO

I loro galani che arrivano dal laboratorio di Mamma Rita Alajmo sono quanto di meglio si possa gustare. Degne di nota anche le piccole frittelle ripiene di crema pasticciera alla nocciola, pistacchio, crema eccezionale, alleggerita con panna e Grand Marnier, al tiramisù, allo zabaione, tipiche veneziane, vuote con pinoli e uvetta. ENG Angel wings straight out of momma Alajmo are the best thing money can buy. Also noteworthy are their small fritters filled with hazelnut custard, pistachio, their signature eccezionale paste, tiramisu, eggnog, plain Venetian, pine nuts, raisins. Fondaco dei Tedeschi, Campo San Bortolomio, San Marco 5556

PASTICCERIA RIZZARDINI

Ottime frittelle, tra cui spicca la classica veneziana, tappa d’obbligo se ci si trova dalle parti di San Polo. Una pasticceria di una volta con i sapori autentici della migliore tradizione. Anche i galani non sono da meno. ENG Great fritole, with the classic Venetian taking the crown. A must-stop when you walk through San Polo. This bakery has that vintage air and the authentic flavour of tradition. Their angel wings (galani) are just as good. Campiello dei Meloni, San Polo 1415

PASTICCERIA NOBILE

Dalle parti del Teatro Italia in Strada Nova, uno dei posti più frequentati dai locali e dai numerosi turisti di passaggio. Le loro frittelle allietano i palati e suscitano sempre commenti entusiastici da parte degli avventori. ENG Close to Teatro Italia in Strada Nova, one of the most popular places with locals and visitors alike. Their fritters never fail to cheer up even the grumpiest of us. Calle del Pistor, Cannaregio 1818

PANIFICIO GIOVANNI VOLPE

In zona Ghetto si trovano le frittelle kosher, senza latte né uova, non solo idonee alla tradizione ebraica, ma anche perfette per vegetariani e vegani. Da provare e riprovare! ENG The Jewish neighbourhood is where you can find kosher fritters – no milk or eggs, which makes them perfect not only for the kosher-abiding among you, but for vegans, too. Try one or several. Calle Ghetto Vecchio, Cannaregio 1142

RIZZO PANE PASTICCERIA

Sapori d’Oriente è la frittella dedicata a Marco Polo, nata nel solco della tradizione veneziana con l’utilizzo di ingredienti esclusivi pensati per il Carnevale 2024, con un ripieno di ricotta di pecora, zenzero e cannella. Per esploratori del gusto. ENG Literally flavour of the Levant, this fritter is dedicated to Marco Polo. Paying respect to tradition, the choice of ingredients for the 2024 carnival includes goat cottage cheese, ginger, and cinnamon. Strada Nova, Cannaregio 3832

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LO STATUS DELL’ARTE La sua firma è la semplice rivendicazione sul suo profilo Instagram della paternità del gesto di Riccardo Triolo

S

arte

e un orinatoio è una fontana, un muro

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è una tela. Al pari di Duchamp, ma con maggiore risonanza mediatica, Banksy ha riscritto le regole di quell’espressione umana che chiamiamo arte. Al pari di Duchamp, Banksy opera nel solco della dislocazione. Ma lo fa invertendo i fattori, non tanto decontestualizzando gli oggetti, spostandoli nel territorio e negli spazi dell’arte, piuttosto risemantizzando i luoghi, cui la sua opera resta irrimediabilmente legata, mutandoli in fenomeni artistici. Per questo ogni suo murale sradicato dal contesto perde di senso. Ogni museificazione della sua opera, viva e attuale, risulta vana: un’ulteriore e paradossale dislocazione che finisce per depotenziare la carica sovversiva di un’espressività indomabile, mutevole, fantasmatica, clandestina, illegale. Partiamo da qui, dall’evanescenza dell’uomo dietro Banksy. Poco importa se qualcuno sospetta o sa con certezza chi c’è sotto il cappuccio dello street artist più celebre al mondo, è il gioco con il proprio anonimato a valere. Banksy scompare, ma appare sempre nei luoghi che sceglie come tela, come spazio della rappresentazione, con una riconoscibilità indubitabile. La sua firma è la semplice rivendicazione sul suo profilo Instagram della paternità del gesto. C’è tutto, in Banksy, troppo spesso relegato a paladino del ribellismo giovanilistico e invece artista della stessa levatura di Duchamp o Warhol. Presenti in filigrana in ogni suo gesto, in ogni sua opera. Seguendo Duchamp, Banksy prosegue l’azione di intenzionale svilimento del fatto artistico in senso critico e rifondativo. Fu per primo Duchamp a inserire in un museo, come atto di denuncia rispetto a ogni preziosismo artistico, l’oggetto comune (vedi articolo a p. XX). Ogni mostra una provocazione, un atto d’accusa al sistema delle arti. Ogni oggetto duchampiano volutamente vile e riproducibile, reso unico dalla sola intenzione dell’autore. E poi Warhol, che ha spinto l’acceleratore sul riverbero mediatico, che nei Sessanta aveva inghiottito il mondo

restituendone una copia alterata, inautentica per statuto, riproducibile per destino. Warhol ha fatto proprio il sistema dei mass media esploso nel secondo dopoguerra e lo ha adoperato come veicolo e linguaggio della sua arte. A seguire, Banksy. Che sul finire degli anni Novanta porta il discorso iniziato da Duchamp ancora più avanti. Sfidando tanto il sistema delle arti, quanto le leggi della società dello spettacolo, per tornare ai luoghi, per rivendicare nell’anonimato fisico la pregnanza, l’unicità del gesto, del momento. Il destino dell’opera di Banksy, accanto alla viralità sui social, strumenti di rimandi estetici soggettivi ma tragicamente impersonali, è l’esproprio, la sottrazione indebita di stralci di muri, di cocci, di frammenti di superfici, di oggetti, di quadri che si autodistruggono, di aste, di ruberie. La vocazione di Banksy è l’illegalità, l’apolidismo, l’evanescenza e una riconquistata unicità. Perché nella street art – e nella sua in particolare – è l’irripetibilità dell’atto a dare fondamento e coerenza estetici al segno. Un segno destinato a scomparire col tempo, a deperirsi col luogo, sotto gli sguardi dei passanti, o a vivere moltiplicato sui social, dove lascia una traccia perpetua e incorporea. Sui muri resta icastico. Svoltato l’angolo, dietro Campo San Pantalon, Migrant Child, apparso nel 2019 e lambito dalle acque del canale, consegna agli occhi del passante la crasi tra l’affondamento di Venezia e i terribili annegamenti dei migranti nel nostro Mediterraneo. Perché in Banksy l’individuale è collettivo e la sua opera è esposta all’erosione degli elementi, con cui sa giocare. Vive nella corruzione del tempo. E lì muore, se deve morire. Ne è un esempio la recente chiusura del suo spazio a Betlemme, il Walled Off Hotel, galleria-hotel sorta nel 2017 di fronte al muro che separa Israele dai territori palestinesi e che ospita diverse opere dell’artista. Chiuso per bombe. Ed è così che l’opera di Banksy diventa significativa, radicandosi al tempo e al luogo che le hanno permesso di conquistare lo status dell’arte. Rimanendone fuori.


Banksy, Migrant Boy © M9

Banksy, Robot Boy © M9

Proprio da questa dicotomia tra un’arte libera, fuori dagli schemi, segno incisivo ma transitorio del contemporaneo, e un’arte da “codificare”, da inquadrare in tracciati tradizionali, critici, da storicizzare e da “commerciare”, nasce la mostra Banksy. Painting Walls all’M9 – Museo del ‘900, che pone un ponte tra l’opera dell’artista realizzata a Venezia e tre straordinari “muri” staccati e ora in mostra realizzati da Banksy nel 2009, 2010 e 2018, a Londra, nel Devon e nel Galles, diventati “opere”, ora in collezioni private, solo perchè hanno rischiato di scomparire (forse) come avrebbe voluto lo stesso autore. M9 si pone così ancora una volta come osservatore privilegiato del nostro tempo, per sollevare quesiti, confrontare opinioni, alimentare discussioni e riflessioni per una nuova e allargata idea di contemporaneo. M.M.

BANKSY. PAINTING WALLS 23 febbraio-2 giugno M9 – Museo del ’900-Mestre www.m9museum.it

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arte

IN THE CITY FORTHCOMING

La vita segreta degli artisti Julie Mehretu si presenta accompagnata a Palazzo Grassi Mostra attesissima, finalmente riapre il 17 marzo Palazzo Grassi con un grande progetto espositivo dedicato all’artista Julie Mehretu, che per l’occasione presta anche il suo contributo da curatrice, insieme a Caroline Bourgeois. Oltre ai dipinti e le incisioni di Mehretu – un corpus di oltre sessanta opere provenienti dalla Pinault Collection, importanti musei e collezioni private –, la mostra include lavori realizzati dalla cerchia ristretta di amici dell’artista o da personalità che l’hanno influenzata. Da Tacita Dean a Robin Coste Lewis, la pittura entra in dialogo con la poesia, la scultura, il cinema, la voce e la musica. La pratica di Mehretu stessa è caratterizzata dalla sovrapposizione, sia fisica che metaforica, di più discipline e pensieri, spesso arricchita da varie forme di collaborazione e conversazione sostenuta con altri artisti. Mettendo in primo piano la relazione tra affinità intellettuali ed emotive e la produzione artistica, la mostra disegna un ritratto collettivo di una comunità artistica in costante contatto. Nata ad Addis Abeba nel 1970, e scappata insieme ai genitori nel Michigan a soli sette anni, Mehretu è nota maggiormente per i suoi paesaggi, prevalentemente astratti e caoticamente geometrici. Prende un’immagine dalle notizie di cronaca, privilegiando scene di ingiustizia e violenza (dagli scontri tra la polizia e i separatisti in Catalogna agli incendi distruttivi e incontrastati) e le manipola, prima digitalmente e poi sulla tela, fino a distorcerle, complicando in continuazione la superficie con segni e macchie di colore, cancellature, ripensamenti, fantasmi fratturati e presenze imponenti. Le sue composizioni, sensuali ed emotive, sono intrise di tracce e segni immaginativi che emergono in superficie da una densità di idee complesse e stratificate che hanno origine nel suo impegno di lunga data con le tradizioni e le tracce della storia e della fotografia. I riferimenti sono di vasta portata: storia dell’arte, sociopolitica, geografia, attualità e vita privata – una sovrapposizione, ancora,

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che aiuta la costruzione per livelli dell’opera. Indipendentemente dal medium utilizzato, Mehretu crea sempre un intreccio di significati, facendo coincidere più livelli semantici e costruendo così un’elaborazione tanto visiva quanto culturale. Tali sovrapposizioni, infatti, rappresentano sul piano concettuale la stratificazione oppressiva delle condizioni di vita diffuse. Mehretu lavora sull’astrazione, vero, ma è quell’astrazione che non fa solo parte del binomio tra ciò che è o non è figurativo, ma che è anche un’astrazione di pensiero, un portare un’idea all’osso, potarla fino a che non ne rimane che un segno, un groviglio di segni. Mehretu strappa le scene crude del vivere quotidiano e le incastra nella sua ragnatela di segni, linee veloci, tratti vivaci e figure senza colore, andando a esacerbare il contrasto tra la finzione del segno astratto e la realtà. È impossibile, soprattutto nelle opere degli ultimi anni, separare i livelli che compongono l’opera, ostinarsi a leggerli singolarmente: sono tutti complici della realtà di conflitto che raccontano. È proprio l’insistenza dell’artista sul linguaggio dell’astrazione ad averle offerto uno spazio unico di emancipazione per la sperimentazione e l’espressione. L’astrazione, infatti, si apre alla contemplazione innocente della violenza: ti accoglie prima nelle sue linee e chiazze di colore, ti ingloba in un mondo di segni distaccati che poco hanno a che fare con l’asprezza del vissuto. Solo poi, e solo a chi decide di guardare nei dettagli distorti, colpisce. Quella di Mehretu è un’arte tanto grafica quanto violenta, fatta di segni rapidissimi che allo stesso tempo feriscono la superficie e nascondono le immagini crudeli che giacciono sul fondo, di sovrapposizioni che complicano la lettura dell’opera, di immagini del reale portate all’estremo della loro figuratività. Irene Marchetti Julie Mehretu. Ensemble 17 marzo-6 gennaio 2025 Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com


SONG TO THE SIREN

The secret lives of artists

ENG

We could barely hold our enthusiasm for the upcoming exhibition at Palazzo Grassi, due to open on March 17. We had long been waiting for the modern art museum to re-open, and it will soon, with an exhibition co-curated by Mehretu herself and longtime resident curator Caroline Bourgeois. The exhibition will include art by Mehretu and by artists who, over the years, befriended or influenced her. From Tacita Dean to Robin Coste Lewis, art will relate to poetry, sculpture, cinema, voice, music. Framing into the foreground the intellectual and emotional affinities and art production, the exhibition will paint the picture of a closeknit art community. Born in Addis Abeba in 1970, Julie Mehretu fled Ethiopia with her parents at age seven to settle in Michigan. As an artist, she is known for her landscapes, mainly abstract and chaotically geometrical. Her art begins with a piece of news, especially stories of injustice and violence, which gets manipulated, digitally and on canvas, and the distorted, complicating recursively the image with traces and blotches of colour, erasures, changes, fractured phantasms, and imposing presences. Mehretu’s art is sensual and emotional. It is full of traces and imaginative signs that emerge on a surface that is thick in complex, stratified ideas originating in tradition, history, and photography. Her references are a vast array of sources: art history, politics, geography, current news, private life. No matter the media of choice, the artist creates a web of meanings, makes different semantic levels coincide, and builds an elaboration that is visual as much as it is cultural. These superimpositions represent, in fact, the oppressive layers of life conditions on a conceptual level. Julie Mehretu works on abstraction, though it is that kind of abstraction that doesn’t merely belong to the figurative-vs.-non-figurative field, but it is also an abstraction of thought, the search for bare ideas, for pure sign, a multitude of signs. Mehretu tears apart the raw scenes of daily life and frames them into a web of signs, lines, and colourless shapes, exacerbating the contrast between the fiction of the abstract sign and reality. The result is a unique space for emancipation, experimentation, and expression.

In concomitanza con l’apertura delle mostre di Palazzo Grassi e Punta della Dogana (13-17 marzo) e nuovamente durante la settimana delle Vernici di Biennale Arte 2024 (15-22 aprile), il Foyer di Teatrino Grassi viene ‘occupato’ dall’opera video di Edith Dekyndt, Song to the Siren. Nella luce di un mattino dell’autunno 2022, Edith Dekyndt ha ripreso una giovane donna sdraiata nelle acque della laguna, accanto al Monumento della Partigiana che si trova lungo la Riva dei Sette Martiri, vicino ai Giardini della Biennale. La giovane stringe nella mano un panno bianco con il quale pulisce, deterge, ripara, accarezza o, ancora, consola, la statua di bronzo che ritrae una donna d’altri tempi, parzialmente immersa nella laguna, le mani legate, probabilmente diretta verso la sua fine, come lo furono numerose partigiane, anche veneziane, durante la Seconda Guerra Mondiale. La grande scultura in bronzo fu realizzata nel 1969 dallo scultore Augusto Murer e posizionata su una struttura e un piedistallo idraulico concepito da Carlo Scarpa. Edith Dekyndt (1960, Leper, Belgio) porta l’attenzione dello spettatore sulla possibilità di coltivare e di preservare la memoria, per scongiurarne una possibile ripetizione. Song to the Siren fa parte di una serie di azioni nelle quali lo stesso gesto viene ripetuto presso monumenti storici pubblici, scelti in virtù della loro risonanza nella contemporaneità. I titoli degli interventi, che riprendono sempre i titoli di canzoni, assumono un’eco aperta ed eterna. In questo caso il titolo è ispirato a Song to the Siren (1970), brano scritto da Larry Beckett e Tim Buckley e reinterpretato nel tempo da numerosi artisti, da This Mortal Coil a Robert Plant. ENG In the morning light of an autumn day in 2022, Edith Dekyndt filmed a young woman lying down near the Monument to the Partisan Woman, which sits in the waters of the Venice lagoon along the promenade leading to the Biennale Gardens. She holds a white cloth in her hand with which she wipes, cares for, cleans, repairs, caresses, and consoles the bronze statue depicting this woman from another time who is partially immersed in the lagoon, her hands tied, presumably close to her end, a fate suffered by so many partisan women during WWII, especially in Venice. In this film presented in the Foyer of the Teatrino at Palazzo Grassi, Edith Dekyndt draws the viewer’s attention to our ability to preserve memories, with some measure of dread over their recurrence. Edith Dekyndt. Song to the siren 13-17 marzo | 15-22 aprile Teatrino di Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com

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IN THE CITY FORTHCOMING

Pierre Huyghe, Untitled (Human Mask), 2014. Pinault Collection. Courtesy of the artist; Hauser & Wirth, London; Anna Lena Films, Paris © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

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Zone oscure e nuove realtà Pierre Huyghe popola Punta della Dogana di magnifiche creature Dopo il forte impatto percettivo e intellettivo offerto della mostra collettiva e tematica Icônes, Punta della Dogana cambia prospettiva e pone al centro del dibattito espositivo l’esperienza quale territorio di narrazioni infinite. Protagonista esclusivo dell’incredibile spazio ridisegnato da Tadao Ando è Pierre Huyghe, uno degli artisti più sperimentali della sua generazione, invitato a concepire insieme alla curatrice Anne Stenne una grande e inedita personale. L’idea di questo nuovo progetto espositivo nasce sempre in stretta connessione con la Pinault Collection, alla quale appartengono un vasto nucleo di opere dell’artista che saranno in mostra. Figura centrale della ricerca delle relazioni dell’arte con il non umano, Pierre Huyghe (Parigi, 1962) adotta, fin dalle sue prime opere, un’altra prospettiva rispetto a quella umana – inumana – per lasciar emergere ciò che si trova al di fuori dalla nostra comprensione, fuori dalla nostra possibilità di farne esperienza. L’artista francese rimette in discussione la nostra percezione della realtà e propone, attraverso la costruzione di altre realtà possibili, di diventare estranei a noi stessi. «Mi è difficile – afferma Huyghe – prediligere una sola verità e piegarmi all’esercizio di trovare una formula riduttiva. Nel mio rapporto con la realtà, gioco e cerco di produrre un pensiero razionale costruito». Il rituale dell’esposizione è dunque un incontro con un contesto senziente che genera nuove possibilità di interdipendenza tra gli eventi e gli elementi che si manifestano. La mostra è un’entità il cui tempo e spazio, in cui appare, sono costituenti della sua manifestazione. Le opere di Huyghe sono concepite come finzioni speculative che spesso si rivelano in un’unione di diverse forme di intelligenza (biologiche o tecnologiche) che apprendono, si modificano ed evolvono nel corso dell’esposizione. Sono luoghi della possibilità, dell’eccesso di finzione, indeterminati e indifferenti a categorie e testimoni. A Punta della Dogana, l’artista ha trasformato il luogo in un medium dinamico, in una condizione transitoria dove il tempo e lo spazio come tutto ciò che lo attraversa, visibile o invisibile, diventano parte integrante delle opere d’arte. La mostra prende il titolo di Liminal, riferendosi al livello della soglia della coscienza e della percezione in psicologia e fisiologia, un luogo dove si formano soggettività, con o senza corpo, che circolano e si manifestano in modo imprevedibile attraverso le opere che a loro volta diventano entità senzienti. Si crea un linguaggio sconosciuto, senza fine, senza destinatario, che prende possesso delle voci, dei gesti, delle immagini, e genera nuove situazioni reali o fittizie. Punta delle Dogana si popola così di entità umane e non umane, attraversata da fenomeni naturali o artificiali, offrendo l’esplorazione in tempo reale delle condizioni che permettono a entità diverse di coesistere, a volte persino di ibridarsi, senza distinzione gerarchica o determinazione specifica. Creature ibride che creano un mondo in cui non esistono regole o gerarchie. A concorrere a questa impostazione della mostra, le opere che Pierre Huyghe ha realizzato nel corso della sua carriera, in un’esplorazione che ha varcato i confini tra i linguaggi, muovendosi tra fotografia, scultura, disegno, video. «Immaginare qualche cosa – afferma Huyghe –, trovare delle modalità, delle finzioni, delle possibilità per evitare di prendere sempre gli stessi tragitti, gli stessi procedimenti mentali; per rifuggire da idee già percorse e accedere così a mondi altri. È un modo per trovare biforcazioni, strumenti, giochi al fine di far emergere l’inatteso, un senso prima indistinto. Questa apertura fra le discipline offre una grande libertà ma l’intrecciarsi di entità, la loro porosità, non è un fine, se davvero ne esiste uno». Appuntamento il 17 marzo. M.M.

Out of the dark and into reality

ENG

The earlier exhibition at Punta della Dogana, collective Icônes, left an unparalleled perceptual and intellectual impact, and so will the fresh perspective of their new exhibition, dedicated to Pierre Huyghe. Huyghe is one of the most experimentational artists of his generation. For Pierre Huyghe, the ritual of the exhibition is an encounter with a sentient milieu that generates new possibilities of interdependence between events and elements that unfold. His works are conceived as speculative fictions and are often presented as a continuity of several forms of intelligence that learn, modify, and evolve during the exhibition. A major figure in questioning the relationship to non-human in art, Pierre Huyghe (b. Paris, 1962) adopts, from his earliest work, a perspective other than human – inhuman – to reveal something beyond our comprehension, beyond our possibility of experiencing it. Pierre Huyghe challenges our perception of reality and, by constructing other possible, proposes to become foreign to ourselves. “I find it hard – says Huyghe – to acknowledge a single truth and submit to the exercise of reductionist formulas. In my relationship with reality, I play, and I try to put forward rational, well-constructed thought.” The ritual of the exhibition is, as such, a meeting with a sentient context that generates new possibilities of interdependence between events and elements as they manifest. Huyghe’s art are speculative pieces of fiction that reveal in a union of different forms of intelligence – biological or technological – which in turn learn, grow, and evolve over the course of the exhibition. They are places of possibility, of fictional excess, undetermined and indifferent to labels and observations. For Punta della Dogana, the artist creates his largest exhibition to date and transforms the venue into a dynamic environment, a transitory state, whose time and space, as well as everything that enters, visible or invisible, are constituents of the works. Populated by inhuman, human, and non-human entities, affected by natural and artificial phenomena, the exhibition explores, in real time, the conditions for different entities to coexist, or hybridise, without hierarchical distinction or specific determination. “To think of something, to find avenues, to find fiction, possibilities to avoid the beaten track, the same old mental processes and reject ideas we already know about and access to new and different worlds.” (Huyghe) Pierre Huyghe. Liminal 17 marzo-24 novembre Punta della Dogana www.pinaultcollection.com

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arte

IN THE CITY FORTHCOMING

Elisapeta Hinemoa Heta, Taloi Havini, Latai Taumoepeau

Le vie dei canti L’incredibile viaggio al femminile di Ocean Space nel Pacifico Una nuova indagine condotta attraverso la lente dell’arte su questioni ecologiche che interessano le isole del Pacifico, tra le regioni più colpite dagli effetti nefasti del cambiamento climatico, è al centro del nuovo incredibile viaggio di Ocean Space, che apre il 23 marzo. Il progetto espositivo 2024 di TBA21 − Academy e Artspace Sydney, con la collaborazione di OGR Torino, dal titolo emblematico Re-Stor(y)ing Oceania, vede protagoniste tre artiste indigene del Pacifico: Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta, con le loro opere sitespecific, e Taloi Havini, curatrice della mostra. «Stiamo inviando un S=O=S − spiega la curatrice Havini − Siamo in uno stato di emergenza. Gli Oceani del Pianeta sono seriamente in pericolo. I nostri canti oceanici ci insegnano a mantenere e rispettare tutti i corpi d’acqua come spazi sacri. Guardiamo all’abisso profondo dell’Oceano come a un luogo del divenire, dove la vita ha avuto inizio e dove i sedimenti della vita rinascono. Queste nuove commissioni di Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta rendono omaggio all’Oceano e alla pelle dei fondali marini che si trova sotto le sue acque. Attingendo a valori e protocolli indigeni, queste opere invitano a unirsi a loro nella solidarietà verso i nostri Oceani». Latai Taumoepeau porta l’attenzione sull’estrazione mineraria in alto mare dando voce attraverso macchine scultoree e interattive agli abitanti delle isole del Pacifico con il canto Deep Communion sung in minor (archipelaGO, THIS IS NOT A DRILL). L’artista utilizza l’idea di faivā (arte performativa incentrata sul corpo), fondata sulle filosofie tongane di vā (spazio) e tā (tempo), per incrociare pratiche temporali antiche e quotidiane allo scopo di rendere visibile l’impatto della crisi climatica sul Pacifico. Elisapeta Hinemoa Heta crea uno spazio progettuale dinamico e vivo, multisensoriale: The Body of Wainuiātea è la rappresentazione del rituale e della cerimonia guidata dal concetto Māori di tikanga, che significa “giusto” o “corretto”. Lo spazio cerca di utilizzare antichi modi di conoscenza e relazione attraverso la storia e il waiata (canto), per ripristinare una maggiore consapevolezza delle connessioni atua (gli dèi) al nostro Oceano, ristabilendo il tapu (sacro) all’interno delle attuali campagne ambientali e scientifiche volte a proteggere la vita degli Oceani. M.M.

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The path of song

ENG

A new investigation, conducted under the aegis of art, into the ecological issues of the Pacific Islands, one of the regions that suffers the most the consequences of climate change, is at the centre of the new incredible voyage of Ocean Space. The exhibition, named Re-Stor(y)ing Oceania and produced by TBA21 – Academy and Artspace Sydney in cooperation with OGR Torino, includes art by indigenous Pacific Islanders Latai Taumoepeau and Elisapeta Hinemoa Heta. Curator Taloi Havini explains how “We are sending out an SOS. We are in a state of emergency. The planet’s oceans are critically endangered. Our oceanic chants teach us to hold and respect all bodies of water as sacred spaces. We look to the deep abyss of the ocean as a place of becoming; it is where life began and where sediments of life are rebirthed. These new commissions by Latai Taumoepeau and Elisapeta Hinemoa Heta honor the ocean and the skin of the seabed that lies beneath her waters. Employing Indigenous values and protocols, these works invite you to join them in solidarity for our oceans.” The art installations comprise interactive machine sculptures that give voice to Pacific Islanders and dynamic, living project sites that represent the rituals and ceremonies guided by the Maˉori concept of tikanga, meaning ‘right’ or ‘correct’. Re-Stor(y)ing Oceania 23 marzo-13 ottobre Ocean Space, Chiesa di San Lorenzo, Castello 5069 www.ocean-space.org | www.tba21.org/academy


Marcel Duchamp

e la seduzione della copia

14.10.2023

Con il sostegno di

Dorsoduro 701, 30123 Venezia guggenheim-venice.it

18.03.2024

I programmi collaterali sono resi possibili da

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Marcel Duchamp, L.H.O.O.Q., settembre 1964. Ready made; stampa in litografia offset a colori con aggiunte in grafite e guazzo. Collezione Attilio Codognato, Venezia. © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023


arte

a cura di Marisa Santin

60. BIENNALE ARTE STRANIERI OVUNQUE

Il termine italiano “straniero”, il portoghese “estrangeiro”, il francese “étranger” e lo spagnolo “extranjero” sono tutti collegati sul piano etimologico rispettivamente alle parole “strano”, “estranho”, “étrange” ed “extraño”, ovvero all’estraneo. Viene in mente Das Unheimliche di Sigmund Freud, Il perturbante nell’edizione italiana, che in portoghese è stato tradotto con “o estranho”, lo strano che, nel profondo, è anche familiare. Adriano Pedrosa Curatore Biennale Arte 2024

Photo Spela Kasal, Courtesy Document Space

Photo Andrea Rosetti

Photo kugeyasuhide

Francia

Germania

Giappone

Il lavoro dell’artista afro-caraibico Julien Creuzet (Le Blanc-Mesnil, 1986) mette in luce anacronismi e realtà sociali per costruire oggetti simili a reliquie del futuro portate a riva da una marea oceanica. Integrando poesia, musica, scultura, assemblaggio, film e animazione, le sue opere poliedriche evocano gli scambi postcoloniali transoceanici e le loro molteplici temporalità. ENG The artistic work of Afro-Caribbean artist Julien Creuzet (Montreuil, 1986) unveils anachronisms and societal truths, crafting objects resembling future relics washed ashore by an ocean tide. Blending poetry, music, sculpture, assemblage, film, and animation, his creations evoke postcolonial exchanges and their multiple temporal dimensions.

Con Thresholds (soglie) la Germania chiama l’artista israeliana Yael Bartana (1970) e il regista tedesco Ersan Mondtag (1987) a rappresentare, l’una, uno scenario di un presente catastrofico e, l’altro, una narrazione in cui far rivivere epoche passate. Una terza parte del progetto avrà luogo sull’Isola della Certosa, con l’intervento di un gruppo di artisti che si muove nei territori dell’idroacustica e dell’arte cibernetica. ENG With Thresholds, Germany invites the Israeli artist Yael Bartana (1970) and the German director Ersan Mondtag (1987) to portray, on the one hand, a scenario of a catastrophic present, and on the other, a narrative in which past epochs come to life. A third part of the project will take place on the Certosa Island.

Yuko Mohri creerà un’installazione cinetica utilizzando frutta in decomposizione attaccata ad elettrodi che generano luce e suono, interrogandosi su come una crisi possa accendere i più alti livelli di creatività nelle persone. I riferimenti riguardano anche la recente pandemia, la violenta inondazione che ha colpito Venezia nel 2019 e le proteste dei giovani attivisti in nome della sostenibilità ambientale. ENG Yuko Mohri reflects on how a crisis can ignite the highest levels of creativity in people. For the Japanese Pavilion, the artist will create a kinetic installation using decomposing fruit attached to electrodes that generate light and sounds. References are also made to the recent pandemic, the violent flood that struck Venice in 2019, and the protests of young activists in the name of environmental sustainability.

PARTECIPAZIONI NAZIONALI

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LEONI D’ORO

Anna Maria Maiolino

Nata a Scalea, in Italia, nel 1942 e cresciuta in Brasile, Anna Maria Maiolino è una figura chiave nell’arte contemporanea, in particolare per il suo contributo alla scena artistica brasiliana. Connotata da una varietà di stili, tra cui pittura, scultura, performance e poesia sperimentale, la sua pratica artistica è caratterizzata da un forte impegno sociale e da una riflessione critica sulla condizione umana. ENG Born in Scalea, Italy, in 1942 and raised in Brazil, Anna Maria Maiolino is a key figure in contemporary art, particularly for her contribution to the Brazilian art scene. Marked by a variety of artistic mediums, including painting, sculpture, performance, and experimental poetry, her artistic practice is characterized by a strong social commitment and a critical reflection on the human condition.

Nil Yalter

Nata al Cairo, in Egitto, nel 1938, l’artista turca Nil Yalter è nota per essere stata una delle prime artiste a esplorare le possibilità dell’arte concettuale e multimediale. La sua opera spesso affronta temi sociali, politici e di genere, con focus sulle questioni legate all’identità e alla migrazione. Nel corso della sua carriera, ha contribuito significativamente alla riflessione critica sull’arte e alla promozione della diversità nelle espressioni artistiche. ENG Born in Cairo, Egypt, in 1938, Turkish artist Nil Yalter is known for being one of the first artists to explore the possibilities of conceptual and multimedia art. Her work often addresses social, political, and gender-related themes, with a focus on issues related to identity and migration. Throughout her career, she has made significant contributions to the critical discourse on art and the promotion of diversity in artistic expressions.

© J-D Burton

© Moufouli Bello

© Joannes Mawuna

© Tadzio

AVVISTAMENTI

Photo Myrabella / Wikimedia Commons

EVENTI COLLATERALI

Benin

Berlinde De Bruyckere Ernest Pignon-Ernest

Per la sua prima partecipazione alla Biennale Arte, il Benin presenta una collettiva di quattro artisti (Chloé Quenum, Ishola Akpo, Moufouli Bello, Romuald Hazoumè) che tocca temi quali la cultura precoloniale e la filosofia Gèlèdé, una tradizione femminista basata sulla saggezza della Madre. L’idea è che la società contemporanea possa trarre beneficio guardando alle antiche vie, rafforzando allo stesso tempo i legami con il patrimonio indigeno. ENG For its inaugural participation in the Art Biennale, Benin presents a collective exhibition that explores themes such as pre-colonial culture and the Gèlèdé philosophy, a feminist tradition rooted in the wisdom of the mother. The underlying belief is that contemporary society can derive benefits by reflecting on ancient traditions while simultaneously reinforcing ties to indigenous heritage.

Non stupisce che la Benedicti Claustra Onlus scelga di ospitare nei meravigliosi spazi dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore le opere di un’artista che con le sue grandi sculture di corpi trasformati, emaciati o contratti, che siano di uomini o di cavalli (Black Horse, Biennale Arte 2003), non rinuncia mai ad una meditazione sulla sofferenza umana e sul rapporto vita-morte. ENG It’s not surprising that the Benedicti Claustra non-profit organization chooses to host the works of an artist who, with her large sculptures of transformed, emaciated, or contorted bodies, never forgoes a meditation on human suffering and the relationship between life and death.

Fondation Louis Vuitton offre l’occasione di avvicinarci ad un artista che con i suoi spiazzanti lavori ha più volte acceso l’attenzione su grandi questioni dell’attualità. Il suo approccio dichiaratamente anti star-system e il carattere effimero di molte sue opere fanno sì che oggi Ernest Pignon-Ernest (Nizza, 1942) sia considerato uno dei precursori della street art. ENG Fondation Louis Vuitton offers us the opportunity to approach an artist who, with his striking works has repeatedly drawn attention to major contemporary issues. His openly anti-star-system approach and the ephemeral nature of many of his works make Ernest Pignon-Ernest (Nice, 1942) considered one of the pioneers of street art.

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Over and Over and Over Anthony Corner

February 3rd–March 31st, 2024 Wednesday–Saturday, 11am–6pm or on appointment

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Until March 31st VeniceArtFactory presents the latest exhibition from British artist Anthony Corner.

6pm at SPUMA-Space for the arts for a preview of the exhibition guided by the curators Luca Berta, Francesca Giubilei.

Over and Over and Over opens on February 3rd at SPUMA-Space for the arts.

Fond.ta San Biagio 800R, Giudecca veniceartfactory.org

5pm at COSMO-Cultural platform for sound, visual and performing arts for a Q&A with the artist, Michael Banissy (psychologist, neuro-scientist, author) and Alex McKeown (philosopher, writer).

Sponsored by

C.S. Cosmo 624, Giudecca

with the support of


arte IN THE CITY NOVECENTO

Creare è divino, riprodurre è umano Man Ray

Originalità e copia Il dualismo dicotomico e autoriale di Duchamp Nell’era digitale e della comunicazione, Marcel Duchamp e la seduzione della copia, a cura di Paul B. Franklin, è una mostra attuale, nonostante tratti di un artista del ‘900. Fondata sulla tesi che «un duplicato o una ripetizione meccanica hanno lo stesso valore dell’originale», la mostra è uno stimolante paradosso sulle implicazioni future del concetto di un’arte firmata e per pochi, ma largamente “democratica” nei suoi multipli ottenuti anche tramite collaborazioni con artigiani e professionisti. Arte libera che nasce seguendo l’idea di un’opera (poco importa se riconosciuta dal suo autore, dai critici o dal pubblico) replicabile in infinite forme e modi, con o senza la supervisione dell’artista – per Duchamp «il falso è una forma di pubblicità e può essere persino divertente andarlo a vedere» –, senza perdere per questo in originalità, anzi, acquisendo anche ulteriore valore, come una musica o una poesia che, se suonata o recitata ancora da chi sa alla pari o meglio fare, nella qualità della sua replica fattuale, apre a nuovi orizzonti. Inutile dire che basterebbero queste intuizioni, peraltro suscettibili di ogni genere di strumentalizzazioni, sociali, politiche oltre che economiche, e della cui portata forse Duchamp con il suo alter ego Rrose Sélavy era solo parzialmente consapevole (o per così dire la portata del suo essere dissacrante viaggiava di pari in passo col poterlo liberamente fare), per capire come ci si trovi di fronte a uno dei maggiori influencer dell’arte del XX secolo e non solo. Dobbiamo altrettanto ringraziare la collezionista Peggy Guggenheim che per la sua avventura nel variegato mondo del collezionismo si avvalse proprio dell’amicizia di Duchamp, già metaforicamente racchiusa nella stupefacente Scatola in una valigia (1935-41), primo esemplare in pelle assemblato dall’artista, che aprendosi a scomparti contiene 69 riproduzioni e repliche in miniatura fatte con varie tecniche e su diversi supporti, e un originale, il coloriage original di Le Roi et la Reine, incorniciato in velluto e montato sul coperchio. Marcel Duchamp (1887–1968), artista francese naturalizzato statunitense, amico di Man Ray, respira e condivide inizialmente l’arte in famiglia: il nonno materno è pittore di paesaggi e incisore, uno dei fratelli maggiori, Jacques Villon dipinge, disegna e incide, Raymond Duchamp-Villon è scultore e la sorella minore Susanne è pittrice. Inevitabili i confronti, fra reciprocità e idiosincrasie: i suoi famigliari divengono i suoi modelli, trasfigurati e ripresi da più angolazioni in ritratti che risentono senza appartenervi completamente di movimenti quali l’Espressionismo, Fauve e Cubismo, nonché della fotografia, come in A proposito di sorellina e Giocatori di scacchi o nel Giovane triste in treno e Nudo che scende le scale. Una sessantina di opere iconiche, eseguite tra il 1911 e il 1968, provengono oltre che dalla Collezione Guggenheim da importanti istituzioni museali italiane e statunitensi, e fra le collezioni private, circa la metà delle opere esposte, sono dell’ingente collezione veneziana di Attilio Codognato. L’ironia e la leggerezza “anestetica” del gesto di Duchamp, espressa nell’esiguo numero dei suoi curiosi ready made, Marcel Duchamp e la seduzione della copia Fino 18 marzo Collezione Peggy Guggenheim www.guggenheim-venice.it

Marcel Duchamp, Nu (esquisse) / Jeune homme triste dans un train (Nudo [schizzo] / Giovane triste in treno), dicembre 1911 (datato 1912) Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York)

scelti da oggetti in serie e divenuti per sua mano copie autentiche decontestualizzate per «farla finita con il concetto della creazione di opere d’arte», se riprodotti, vengono nobilitati dalla forza di un’aurea creativa che li fa diventare geniali assiomi dadaisti di verità universali. Così l’Orinatoio in porcellana, firmato “R. Mutt” e capovolto, assurge a Fontana o donna velata, la Gioconda con baffi e pizzetto, diventa un L.H.O.O.Q. o individuo non binario (Leonardo o no?), un appendiabiti in legno e metallo, un insolito Trébuchet. Questione di fede non solo “retinica”: il relativismo concettuale insito nell’espressione artistica risiede comunque nel pensiero di chi guarda, ne decreta il valore materiale o immateriale. Duchamp appartiene alla “generazione dei pezzetti di carta”, intramontabile o no: i suoi appunti sono quasi sempre parte integrante delle opere d’arte. Coniugando “cinetica ed estetica”, Duchamp è inoltre influenzato dal potere del cinema, basti pensare alle sue reiterate opere incentrate sui dischi ottici o Rotoreliefs. Ama giocare a scacchi, una divertente e riconosciuta ossessione che lo fece diventare capitano della squadra olimpica francese: il suo talento si sviluppa probabilmente con lo stesso principio di mosse pensate per arrivare a chiudere una partita, si tratti dell’arte o del modo di concepire la vita, del resto, come recita l’epitaffio composto da lui stesso per la propria morte, «sono sempre gli altri che muoiono». Scacco matto o forse no, per chi si considerava un “ready-made vivente”, la cui originalità vera, rimane comunque, tutta nell’essere sé stessi. Luisa Turchi

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arte IN THE CITY MAESTRI

Alchimie di famiglia Giovanni Bellini e l’intima bellezza della Madonna in Rosso È possibile per qualche mese ammirare alle Gallerie dell’Accademia la delicata dolcezza della Madonna in Rosso di Giovanni Bellini (1430 ca. – 1516), giunta a Venezia dal Museo d’Arte Sorlini di Calvagese della Riviera, in provincia di Brescia. Una tappa che precede l’importante intervento di restauro affidato alle mani esperte di Giulio Bono, nell’ambito del programma Restituzioni, patrocinato da Banca Intesa Sanpaolo. Abbiamo già avuto modo di trattare l’affascinante tema delle Madonne belliniane all’interno della specializzata bottega veneziana dei Bellini (Venews n.270-271, dic.2022-gen.2023). In quella sorta di distribuzione degli incarichi tra i due figli di Jacopo, Gentile e Giovanni, era proprio quest’ultimo che si dedicava per lo più a opere di tematica sacra raggiungendo nel corso della sua lunga carriera esiti originali e superbi. Parallelamente alle monumentali pale d’altare il pittore sviluppava una ricca produzione di quadretti devozionali, un genere più intimo, spirituale e contemplativo. In particolare le sue “Madonne con il Bambino”, così innovative nello stile, anche se così tradizionali nel soggetto e nel significato, dalla straordinaria bellezza e dalle innumerevoli varianti, diverranno i soggetti replicati da una folta schiera di scolari, seguaci, emuli ed epigoni. La presenza di una Madonna in quasi ogni stanza delle case veneziane era divenuta, come rivela la lettura degli inventari coevi, una consuetudine fortemente osservata e voluta, e quindi l’offerta di questi prodotti pittorici sul mercato dell’arte veneziano era molto consistente. La Madonna in rosso, così denominata per la prima volta nel 1946 da Roberto Longhi nel suo Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, si unisce all’incantevole coro delle Madonne belliniane delle Gallerie dell’Accademia. Un nucleo così importante che permette di seguire con molta chiarezza l’evoluzione nel tempo di questo soggetto, dai capolavori giovanili ancora legati all’incisività grafica di matrice padovana e mantegnesca, alle opere della maturità dove progressivamente vengono abbandonate le rigidità giovanili per una resa più morbida e atmosferica. La Madonna Sorlini si inserisce a pieno titolo in questa fase più matura. Quadretti che trasmettono un coinvolgimento emotivo per chi li osserva, un sapore di intimità e familiarità nelle movenze, negli sguardi e nelle attitudini di una umana dolcezza dell’amore materno e filiale. Le Madonne belliniane si caricano anche di una valenza simbolica allusiva al destino del Salvatore. Il parapetto sul quale il Bambin Gesù viene adagiato anticipa sia il sepolcro che l’altare, evidenziando così metaforicamente la funzione salvifica ed eucaristica di Cristo. Nel dipinto Sorlini il panneggio in cui è avvolto il Bambino è trattato come un sudario e lo splendido manto rosso allude al colore del lutto. Nella tavola la tecnica del Giambellino risulta chiara a occhio nudo: le morbide e trasparenti velature permettono di intravedere il disegno a tratteggio delle ombre sui delicati incarnati e sul quello straordinario velo rosso che avvolge Maria. Franca Lugato La Madonna in Rosso di Giovanni Bellini Fino 7 aprile Gallerie dell’Accademia, Sala V gallerieaccademia.it

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Family chemistry ENG

For a few further months, the Gallerie dell’Accademia will house an exhibition dedicated to the Madonna in rosso (Red Madonna) by Giovanni Bellini (1430 ca. – 1516), on loan from the Sorlini Museum. We wrote extensively about Bellini’s Madonnas on these pages, and about the Bellini father and two sons – Jacopo, Gentile, and Giovanni, respectively – with the latter specializing in sacred art to the point of extremely original, superb outcomes. Giovanni painted monumental altarpieces as well as paintings of a more intimate, contemplative genre. His Madonnas with Child, in particular, innovate the time’s style, no matter how traditional their subject and meaning. Their extraordinary beauty will inspire countless variants and replicas by admirers, followers, pupils. The Madonna in Red, thus dubbed by Roberto Longhi in 1946, joins the chorus of Madonnas at the Accademia. The collection allows us to follow with great clarity the evolution of this subject, from early works of apparent Mantegna-esque influence to mature pieces that don’t display anymore that juvenile rigidity, but rather a much softer atmosphere. The Madonna Sorlini certainly belongs to this latter group. These paintings never fail to inspire emotion in the viewer, given their sense for intimacy, familiarity, and motherly love. There are also symbolic aspects to be appreciated: the railing the baby Jesus lies on is an anticipation of both the sepulchre and the altar – a nod to the salvific and eucharistic nature of the Christ. The draping garments that envelop the child remind of a shroud, while the rich red cape is an allusion to the colour of grief.


LA NOBILDONNA CON L’ORECCHINO

L’impronta del Maestro Scoperte o riscoperte, non è raro che alcuni capolavori della storia dell’arte andati persi, dimenticati o addirittura sconosciuti vengano ritrovati negli angoli di uno scantinato, nelle scatole polverose di una soffitta o negli archivi e depositi di un museo. E ogni volta è un’occasione imperdibile per studiosi, curatori e storici dell’arte in generale per ipotesi, indagini, revisioni, conferme o clamorose smentite. A dicembre, dai depositi del Museo Correr è stata riportata alla luce un’opera controversa, che studi recenti hanno avanzato l’ipotesi possa trattarsi di un dipinto di impronta di Andrea Mantegna. Il piccolo dipinto su tavola, appartenuto alla favolosa collezione di Teodoro Correr, nel 1830 donata alla città, raffigura la Madonna col Bambino, San Giovannino e sei sante. Il dipinto, gravemente alterato a causa di pesanti, successive, ridipinture, che ne impedivano la piena leggibilità e valutazione, attualmente è sottoposto a un complesso e sofisticato restauro. Grazie al prezioso sostegno della Fondazione G.E. Ghirardi, che ha ‘scommesso’ sull’opera finanziando il restauro, sta emergendo quello che potrebbe essere un vero tesoro nascosto. Il dato subito emerso è che l’opera, di raffinatissima qualità esecutiva - con i finissimi chiaroscuri accentati con oro zecchino, come nelle più preziose miniature -, mostra forte e chiara l’impronta stilistica di uno dei massimi pittori italiani del Rinascimento, Andrea Mantegna. La stessa singolare scena sacra tutta “al femminile” è pressoché identica a quella di un dipinto oggi conservato nell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, attribuito al Maestro e già nelle celebri collezioni mantovane dei Gonzaga, eseguito su loro prestigiosa committenza negli anni finali del Quattrocento. I conservatori veneziani hanno già avanzato le prime ipotesi sulla base delle indagini radiografiche e riflettografiche: il disegno rilevabile sotto al colore delinea un tracciato coincidente con il dipinto di Boston, specie in alcuni precisissimi punti. Entrambi i dipinti sembrano dunque essere stati realizzati a partire dallo stesso cartone, forato per trasferire a spolvero i punti guida del disegno sulle due tavole. È conseguente ritenere che le due opere siano state realizzate dal medesimo atelier, a breve distanza di tempo se non in contemporanea; l’artista avrebbe dunque creato due dipinti quasi del tutto identici, solo con qualche piccola ma significativa variante di dettaglio e colore. Altro dato essenziale, che accresce ulteriormente mistero e fascino del dipinto riscoperto, è che si tratta di un’opera incompiuta. Ma i misteri non finiscono qui: le domande aperte sono incentrate nell’individuare chi potesse essere stato il committente o, più verosimilmente, “la” committente (forse una illustre dama Gonzaga), e per quale contingente motivo avrebbe richiesto due dipinti uguali e per quali destinatari. E ancora: quale viaggio ha fatto per giungere in Laguna il dipinto ora ritrovato, quali e quanti passaggi per finire nelle mani dell’insaziabile collezionista Teodoro Correr tra Sette e Ottocento? Gli studiosi potranno a breve svelare questi affascinanti segreti e indagare la reale natura e misura della forte, personalissima “impronta” che in esso ha lasciato il grande Mantegna. Dunque, stabilire “come” e “quanto” esso possa essere opera sua. correr.visitmuve.it

Una nuova mostra, curata da Laura De Rossi, anima gli spazi espositivi di Palazzo Contarini del Bovolo, noto per la sua magnifica e unica scala a chiocciola monumentale in facciata. Si tratta di Marina Nani Donà. Hereditas. Dipinti della sua Collezione, una piccola ma significativa incursione all’interno del patrimonio artistico dell’I.P.A.V. – Istituzioni Pubbliche di Assistenza Veneziane. All’ombra dei grandi avvenimenti della Serenissima e delle vicissitudini che seguirono la sua caduta (1797), la collezione della nobildonna Marina Nani Donà, che contava circa 150 dipinti, si restrinse a 38 opere, di cui 14 sono esposte ora in mostra, a testimonianza della ricchezza straordinaria purtroppo per la gran parte dispersa. Queste 14 opere sono testimoni della fine della grande pittura settecentesca veneziana. Ricci, Johann Carl Loth, Canaletto, Lazzarini, Diziani... sono gli ultimi autori della grande stagione finale di un’arte pittorica ancora aulica che guarda ai temi biblici, con la famiglia Tiepolo a dirigere la grande pittura a Venezia. I tempi di crisi della caduta della Repubblica segnano la fine dello sfarzo per entrare in una pittura più intima, legata alla borghesia nascente con i vari Zaiss, Longhi e Guardi. Fulcro della mostra è il ritratto di Marina Nani Donà, raffigurata con simboli che potrebbero alludere alla Temperanza, una delle quattro virtù cardinali. La nobildonna indossa una veste per metà di un rosso acceso e per metà di un azzurro intenso – forse da interpretarsi come allusione al vino e all’acqua, e all’azione temperante dell’acqua versata nel vino –, mentre tiene in mano un campanello che prende da un tavolino accanto a lei dov’è appoggiata una clessidra con le ali: oggetti che alludono all’inesorabile trascorrere del tempo. Marina Nani Donà. Hereditas Dipinti della sua Collezione Fino 24 marzo Palazzo Contarini del Bovolo, San Marco 4303 www.gioiellinascostidivenezia.it

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arte IN THE CITY PORTRAITS

Odorico Politi, Il pittore Giuseppe Borsato Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Felice Schiavoni, La baronessa Angela Reinelt Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Ludovico Lipparini, Il maresciallo Marmont Ca’ Pesaro - Galleria Internazionale d’Arte Moderna

Un secolo di ritratti L’Ottocento veneziano in punta di pennello «... A dir ritratto veneziano nella patria di Tiziano e Tintoretto c’è da tremare...» scriveva Ugo Ojetti in un elogio pubblicato nel 1923 nella sua rubrica su Cronaca d’Arte in occasione della grande mostra di cent’anni fa a Ca’ Pesaro. Schiacciata tra i fasti del glorioso quanto decadente Settecento di Tiepolo, Canaletto e Guardi, e la ventata delle avanguardie del Novecento anticipate dalla nascita della Biennale, l’arte dell’Ottocento a Venezia ha subito una sorta di oblio, una rimozione a tratti definibile “damnatio memoriae”, durata quasi un secolo. A cercare di rimuovere quel velo nel 1923 ci provò Nino Barbantini, ferrarese di nascita, veneziano d’adozione, nominato nel 1907 direttore della Galleria Nazionale di Ca’ Pesaro, che decise di organizzare una mostra con l’intento di riflettere su quel secolo a lungo incompreso, dando vita a una nuova idea di esposizioni tematiche o per autore. Presentandola in catalogo, all’epoca scrisse: «L’’oscurità dell’arte veneziana dell’Ottocento ha anche un’altra causa, forse più forte di tutte: e questa è la nostra apatia». Rimboccandosi le maniche riunì in 40 giorni 241 opere di 50 artisti avvalendosi di prestiti pubblici e privati provenienti da Padova, Venezia, Treviso, Trento, Trieste e Pordenone, sotto il titolo Il ritratto veneziano dell’Ottocento. E proprio da quella mostra sono partiti oggi i curatori Roberto De Feo e Elisabetta Barisoni riproponendola dopo un secolo esatto, proseguendo e approfondendo la riflessione sulla produzione artistica che spaziava dalla morte di Francesco Guardi alla comparsa di Giacomo Favretto. La storia dunque riflessa e raccontata da una pittura che, nel descrivere i volti dei suoi artefici, ne ha tracciato trasformazioni sociali, politiche, economiche e di costume, fotografando in punta di pennello patrioti e liberali, reazionari, nobili, borghesi e intellettuali. Attraversando le sale al secondo piano del palazzo barocco progettato dal Longhena sembra di entrare nei salotti di quell’epoca, cogliendo i protagonisti nell’intimità delle loro stesse famiglie, sempre rigorosa-

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mente agghindati di pizzi e velluti, gioielli e medaglie, in pose studiate sia che fossero immortalati nell’ufficialità del loro incarico che nel loro privato domestico. Rispetto alla precedente, questa esposizione si è basata su una puntigliosa analisi scientifica e storiografica delle fonti per risalire a quei protagonisti, contestualizzandoli e confermando o rivedendo in molti casi le attribuzioni. Non senza difficoltà legate, come spiega il curatore, a un pregiudizio storico e politico. Si era aperta una nuova epoca in cui dal dominio illuministico della Ragione, si era passati a sottostare alla guida della Religione, con un inevitabile conseguente cambio di priorità estetiche e interpretative. Rovesciati i presupposti della ricerca, preparando questa mostra si è potuto comprendere che i ritratti molte volte, in particolare dagli anni ‘30 dell’Ottocento, venivano eseguiti dai pittori post mortem, basandosi su maschere o ispirandosi a precedenti ritratti, per cui le fattezze “si tramandavano dall’assenza”, finché dagli anni ‘60 con la scoperta della fotografia vennero ricavati dai dagherrotipi. Ulteriore spiegazione per l’oblio patito, una sorta di rifiuto al macabro che, se aveva imperniato il secolo dei Sepolcri, veniva allontanato da una generazione che era appena uscita dalla Grande Guerra. Una mostra che diventa occasione per esporre e rivedere la ricchissima collezione del museo voluto da Felicita Bevilacqua La Masa proprio a fine Ottocento e, come spiega la direttrice di Ca’ Pesaro, Elisabetta Barisoni, per procedere con nuove attribuzioni, organizzando la ricerca per macro aree cronologiche e tematiche, valorizzando i singoli protagonisti nelle rispettive sensibilità in un confronto tecnico e stilistico. Lungo quattro sezioni – La nascita di un secolo, I grandi protagonisti, Vita e società dell’Ottocento, Ritratto verso la modernità – dal Congresso di Vienna alle soglie del Novecento, scorrono volti di donne e uomini che hanno fatto e vissuto quella storia. Dalle opere di


Photo Elisa Chesini

Armonie differenti

Francesco Hayez, Matilde Pirovano Visconti Collezione Privata

Teodoro Matteini, pistoiese, nominato alla guida dell’Accademia dal governo austriaco, che simbolicamente apre il secolo in mostra con la Allegoria della Pace che calpesta scudi ed elmi e innalza rami d’alloro, quasi a voler riconciliare attraverso la pittura dominanti e dominati. Attraverso i volti assorti tanto da sembrare raggelati di Angela Fassetta, ritratta dal triestino Felice Schiavoni definito il “Raffaello veneziano”, e della ammiccante Matilde Speck Pirovano Visconti dipinta da Francesco Hayez – protagonista coi suoi numerosi ritratti esposti –, che tiene tra le dita della mano destra una camelia mentre la sinistra esibisce l’anello nuziale, simboli di fedeltà coniugale. Ai pomposi ritratti di famiglia in un interno, La famiglia de Brucker di Giuseppe Tominz dalla nitidezza neoclassica, o alla Famiglia Guidini di Leonardo Gavagnin, immortalata in una precisione quasi fotografica. Una ritrovata coscienza critica svela sequenze di volti e di autori da riscoprire, dagli esiti inevitabilmente diversi tra loro nella resa pittorica o cronachistica, fino a Giacomo Favretto che, nella cui ricerca di trasferire sulla tela non il bello ma l’espressivo, fece scrivere a Barbantini: «A Venezia con i ritratti di Favretto il realismo è magico», anticipando pulsioni già novecentesche. Michela Luce ENG In 1923, museum director Nino Barbantini was able, in the mere timeframe of forty days, to create a momentous exhibition of nineteenth-century Venetian art, a veritable portrait of then-modern Venetian art itself. One hundred years later, curators Roberto De Feo and Elisabetta Barisoni retrace the memory of that exhibition and further a reflection on art production from the death of Francesco Guardi to the appearance of Giacomo Favretto. The exhibition is a story of social, political, economic transformation: patriots, liberals, noblemen, bourgeoisie, intellectuals: this art will take you back to salons and parlours where the Revolutions of 1848 exalted the dominion of Reason and drove the evolution of aesthetic and interpretative ideas in art. The exhibition comprises four sections: The Birth of a Century, The Great Protagonists, Life and Society in the Nineteenth Century, and Portraits on the way to Modernity. Il ritratto veneziano dell’Ottocento Fine 1 aprile Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna capesaro.visitmuve.it

«La struttura di base del mio lavoro – scrive Maurizio Pellegrin – è prevalentemente organizzata sul concetto del “frammento”. I frammenti scelti sono composti e organizzati in nuove strutture gerarchiche, al fine di produrre nuove relazioni, nuove energie, differenti significati e simboli». Il principio della ricerca dell’artista veneziano, da anni residente a New York, trova efficacia estetica nel progetto Maurizio Pellegrin. Me stesso e io, curato da Elisabetta Barisoni e ospitato a Ca’ Pesaro, nelle sale Dom Pérignon, in dialogo ideale con la grande mostra Il ritratto veneziano dell’Ottocento, al secondo piano dello stesso museo. Il ritratto contemporaneo si confronta così con il ritratto classico, partendo dalla prima sala con una serie di autoritratti dell’artista alternati a rappresentazioni della città d’origine, memorie di disegni e appunti del passato, proseguendo nella seconda sala con due opere monumentali, The Others, ritratti del Settecento e Ottocento, progetto site-specific realizzato appositamente per interpretare la mostra al secondo piano, e Memories (The Corsets), reperti di umanità in cui il ritratto emerge come assenza e la biancheria intima appesa di donne del passato è messa a confronto con i preziosi indumenti raffigurati nei ritratti in mostra sempre al secondo piano. Raffinato, poliedrico, filosofo, poeta, Pellegrin collega, dispone, numera: il processo che conduce alla costruzione della propria identità non raccoglie volti dei suoi contemporanei ma individui appartenenti al XVIII e XIX secolo, creando una sospensione visiva e di pensiero. In questo modo l’artista-demiurgo in qualche modo rinnova la realtà, la materia, il tempo stesso. M.M. ENG The principle that guides Venetian artist Maurizio Pellegrin’s research is the very subject of the upcoming exhibition at the Venice International Modern Art Gallery at Ca’ Pesaro, curated by Elisabetta Barisoni: Maurizio Pellegrin. Myself and I is one end of a conversation with exhibition The Nineteenth-Century Venetian Portrait, also at Ca’ Pesaro. Sophisticated and versatile, a philosopher and a poet, Pellegrin connects, organizes, numbers: the process that brings about the building of one’s identity using portraits from the eighteenth and nineteenth centuries creates a sort of visual and critical suspension. This way, the artist-demiurge renovates reality, matter, and time itself. Maurizio Pellegrin. Me stesso e io Fino 1 aprile Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna capesaro.visitmuve.it

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arte IN THE CITY PORTRAITS

Venezia, l’Ego e i sensi Alla Fondazione Valmont, l’unicità del sé nella molteplicità del tutto Venezia, città antica e contemporanea, di per sé così fragile, dalla bellezza sempiterna quanto decadente, internazionale e di prossimità, crocevia fra Oriente e Occidente, è specchio atavico in cui si riflette la mostra Ego. Uniti nell’intento di approfondire il concetto trasversale dell’Io, gli artisti protagonisti – Didier Guillon, Vangelis Kyris e Anatoli Georgiev, Carles Valverde – esplorano il proprio inconscio in maniera conscia per mezzo di uno stadio creativo che li unifica, pur mantenendo la loro individualità nella molteplicità comune. Didier Guillon, fondatore della Fondazione Valmont, sembra voler evidenziare la forma degenerata di sublimazione esteriore di un’identità artefatta e sepolta nella sua stessa “eternità della pelle”, raffinata idealizzazione artistica espressa nell’assolo di L’Homme Pensant: busti che giganteggiano nello spazio come monadi in silenzio senza riconoscersi, il volto nascosto e deformato, la voce intrappolata in un grido interiore di una perduta età dell’oro, come quella che li riveste e di cui portano intrinseca reminiscenza. Sono muti e passivi spettatori delle nuove visioni di Raiment of the Soul, “la veste dell’anima”, ideata a quattro mani da Vangelis Kyris e Anatoli Georgiev, che si compone delle fotografie stampate su tela del primo, ricamate sopra dal secondo. Entrambi obbediscono a un impulso del proprio ego, immortalando gli ego di generazioni passate, divinizzandoli in visi e abiti eleganti. Se Vangelis ferma il tempo valorizzando vite attraverso sguardi della memoria, Anatoli infonde la terza dimensione facendo rivivere l’ego dei personaggi oltre al proprio per mezzo dei ghirigori dei suoi ricami, che sono come vie tracciate sui “costumi” positivi o negativi dei tempi andati, guardando all’incanto del sé nell’altro, nei secoli. Carles Valverde si concentra sulla nuda semplicità di un singolo ego, come se fosse un elemento modulare egoistico identico a tutti gli altri in quanto base, ovvero l’unicità dell’“Ego dell’artista” creatore, Ego Fino 25 febbraio Fondation Valmont, Palazzo Bonvicini, Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com

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che nell’arte dovrebbe trasmettere o incarnare ciò che è l’essenziale e, da autoportante, potrebbe sostenere un insieme di ego individuali. Questi, non cambiando “quella” loro natura comune, si uniscono in maniera armonica a formare una società perfetta. La diversità fra gli ego sarebbe quindi solo apparente, poiché uguali per natura data da Dio, differirebbero solo in quanto nella combinazione con altri come loro, e il loro potere risiederebbe quindi nella molteplicità delle forme, “uguali ma diverse”, cui potrebbero essere soggetti nel loro insieme o disgiunzione. Se l’immagine è la stessa, la somiglianza con Dio deve necessariamente essere legata, per chi crede, all’anima, che essendo libera, ne determina la propria direzione e può influenzare quella degli altri sulla Terra, se condivisa. Il nostro DNA in comune è a ben riflettere, nella totalità della sua forma, una spirale a doppia elica: come a dire bene e male intorno ad un asse di Luce, una scala da salire o scendere. L’artista mostra la sua unicità individuale, tuttavia “l’unicità è nulla se non diventa parte di qualcosa di più grande”, oltre l’esperienza dei cinque sensi di Ego. Luisa Turchi ENG Artists Didier Guillon, Vangelis Kyris and Anatoli Georgiev, Carles Valverde explore their own subconscious working on a creative level that make them one. Brought together by one goal, analyse the transversal concept of Ego, each of them retains their unique individuality. Didier Guillon, also founder of the Valmont Foundation, seems to highlight the degenerate form of exterior sublimation of identity in L’Homme Pensant (lit. ‘the thinker’): busts dominating the space like speechless monads, their face concealed and deformed, their voice trapped in an inner scream of a golden era long lost. Artist couple Vangelis Kyris and Anatoli Georgiev composed embroidered photographs on canvas that depict the ego of lost generations, deified in elegant faces and clothing. Carles Valverde focuses on the bare simplicity of a single ego, seen as a modular, self-referenced element that is identical in all of us.


Bourse de Commerce Parigi

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Appunti fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno a cura di Lorenza Bravetta

17.12.23 - 01.04.24 Venezia, Fondazione Querini Stampalia

martedì-domenica 10-18 Castello 5252, Santa Maria Formosa T. +39 041 2711411 fondazione@querinistampalia.org www.querinistampalia.org

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con il contributo scientifico di

in collaborazione con


arte

IN THE CITY CONTEMPORARY

Courtesy of the artist

Momento dopo momento

From the dust La mostra in corso a Palazzo Fortuny ospita dodici light box create da Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955), esito del dialogo dell’artista spagnolo con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero dei Beni Culturali. Fontcuberta, artista, fotografo e scrittore, indaga la natura stessa della fotografia attraverso tre diverse chiavi di accesso: la memoria, il tempo e la materialità. Nella sua ricerca vi è il richiamo alla polvere quale simbolo del trascorrere del tempo e del lento dissolversi delle immagini fotografiche, un decadimento materiale che «genera una fotografia “amnesica”, senza più memoria». Fontcuberta mette in luce il paradosso tra l’immutabilità dell’immagine e la deteriorabilità del dispositivo su cui è fissata, in un dialogo provocatorio e ironico che, con l’allusione del titolo Cultura di polvere, arriva a includere Marcel Duchamp, Man Ray e la loro celebre opera Élevage de poussière. L’esposizione inaugura la nuova stagione del Fortuny con una riflessione non solo sulla comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa”, ma anche sul profondo legame di questo luogo con la fotografia, dai primi esperimenti di Mariano Fortuny y Madrazo alla conservazione del ricco fondo dei Musei Civici Veneziani, che proprio qui è oggetto di un articolato programma di recupero e valorizzazione. Cultura di polvere delinea dunque una connessione profonda tra Fontcuberta e il contesto storico-artistico del Fortuny, unendo le innovazioni passate con le esplorazioni contemporanee e sottolineando la continua evoluzione della fotografia come mezzo espressivo. Marisa Santin ENG The ongoing exhibition at Palazzo Fortuny showcases twelve light boxes created by Joan Fontcuberta (Barcelona, 1955), a result of the Spanish artist’s dialogue with the extraordinary historical collections of the ICCD, the Central Institute for Cataloging and Documentation of the Ministry of Cultural Heritage. Fontcuberta, an artist, photographer, and writer, explores the very nature of photography through three different access keys: memory, time, and materiality. In his exploration, there is a reference to dust as a symbol of the passage of time and the slow dissolution of photographic images, a material decay that “generates an ‘amnesic’ photography.” Fontcuberta highlights the paradox between the immutability of the image and the deteriorability of the device on which it is fixed, in a provocative and ironic dialogue that, with the allusion of the title Cultura di polvere (lit. Culture of Dust), extends to include Marcel Duchamp, Man Ray, and their famous work Élevage de poussière. Joan Fontcuberta. Cultura di polvere Fino 10 marzo Palazzo Fortuny fortuny.visitmuve.it

«L’arte di Anthony Corner evoca una fusione profonda e spesso inconscia dei sensi. Pur essendo visivamente accattivante, il suo lavoro si spinge più in profondità alludendo ai regni del tatto e del suono, creando un’esperienza sinestetica per l’osservatore», racconta lo psicologo e neuroscienziato Michael Banissy nel descrivere l’opera dell’artista britannico. Nasce da qui il titolo Over and Over and Over della nuova mostra di Corner a Venezia, promossa da Venice Art Factory in collaborazione con Contemporis ETS, ospitata negli spazi di SPUMA – Space for the Arts alla Giudecca. I curatori Luca Berta e Francesca Giubilei hanno miscelato il loro stile sperimentale e la contaminazione di esperienze sensoriali per presentare al meglio la sua nuova mostra, accompagnandola con una pubblicazione in edizione limitata che include un saggio del filosofo e scrittore Alex McKeown che esplora il background e le motivazioni di Corner. «Provengo da una zona difficile e disagiata del sud-est di Londra – racconta l’artista –, questo background ha informato tutto ciò che ho fatto e continua a informare tutto ciò che faccio». Sapendo che l’istruzione e le sue capacità di disegnatore gli avrebbero indicato la strada da seguire per le sue ambizioni e la sua direzione futura, Anthony Corner si è iscritto alla Central St. Martins, per poi proseguire gli studi alla Chelsea School of Art e conseguire un master al Royal College of Art. Corner ha poi continuato a lavorare come artista esponendo, ad esempio, nelle mostre estive della Royal Academy a Londra e a Venezia e le sue opere sono conservate in numerose collezioni private. Ha insegnato disegno presso istituti d’arte come la Central Saint Martins e la Chelsea School of Art. ENG For upcoming exhibition Over and Over and Over, curators Luca Berta and Francesca Giubilei mixed their experimental style with a mix of sensorial experiences to present artist Anthony Corner’s latest work. “Anthony’s artistry evokes a profound and often unconscious merging of the senses. While visually captivating, his work delves deeper by alluding to the realms of touch and sound, creating a synaesthetic-like experience for the observer” commented psychologist and neuroscientist Michael Banissy. Corner educated at Central St. Martins, the Chelsea School of Art, and the Royal College of Art. Anthony Corner. Over and Over and Over 3 febbraio-31 marzo SPUMA – Space for the Arts, Giudecca 800/R www.veniceartfactory.org

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IN THE CITY CONTEMPORARY

Photo Andrea Avezzù - Courtesy La Biennale di Venezia

Metamorfosi di un segno

Caos calmo

Una nuova mostra, un originale omaggio. Silvano Rubino presenta Progetto Kafka. La scrittura e il segno, a cura di Luca Berta e Francesca Giubilei – Venice Art Factory, in collaborazione con Fondation Valmont, ospitata fino al 25 febbraio allo SPARC*– Spazio Arte Contemporanea. In occasione del centenario della morte di Franz Kafka (3 giugno 1924), l’artista veneziano riparte dal lavoro realizzato sullo scrittore nel 1993 e lo espande, approfondendo la ricerca sul senso della scrittura e della parola. Durante questo processo di analisi, che all’epoca prese spunto da un frammento di pagina manoscritta de Il Castello e che oggi continua nelle parole che lo stesso Rubino sceglie per le sue opere (brevi testi poetici, enigmatiche frasi al neon, voci recitanti…), emerge il desiderio di desacralizzare la scrittura e il suo valore significante, riconducendo ogni parola allo stato di segno vuoto, che non comunica nulla se non sé stesso. Rubino sottopone a una rilettura trasformativa le opere di Projecto Kafka (1993) costruendo nuovi legami di senso con alcuni più recenti lavori. Per l’artista la scrittura, come pratica diretta, come sfondo concettuale e come ispirazione visiva, è una parte indispensabile di questo percorso. Per questo motivo, da oltre trent’anni, egli avverte un’intensa consonanza con Franz Kafka, le cui parole bordeggiano un vuoto inafferrabile, che non è possibile nominare direttamente. «Per me – afferma Rubino – è importante seguire un percorso di conoscenza che possa elevare e affinare la percezione del mondo. Non riesco a immaginare il mio lavoro artistico al di fuori di questa attitudine». ENG Silvano Rubino presents Progetto Kafka. La scrittura e il segno (lit. Project Kafka. Writing and the Sign), curated by Luca Berta and Francesca Giubilei – Venice Art Factory, in collaboration with Fondation Valmont. On the occasion of the centenary of Kafka’s death (June 3, 1924), the Venetian artist revisits the work he created in 1993, delving into the exploration of the meaning of writing. During this process of analysis, which at the time was inspired by a fragment from The Castle and continues today in the words chosen by Rubino for his works (short poetic texts, enigmatic neon phrases, reciting voices...), the desire to desacralize writing and its meaningful value emerges. This involves reducing every word to the state of an empty sign that communicates nothing but itself.

In queste settimane “frenetiche” che anticipano la prossima “frenetica” Biennale Arte, un invito alla riflessione e alla calma viene offerto dalla mostra Luca Massimo Barbero. Un Diavolo Amico. Rifugiarsi tra le pareti gialle e blu del grande Portico di Ca’ Giustinian, sede della Biennale di Venezia, non solo è rilassante, ma è assolutamente interessante, anzi direi ha la forza di un concentrato di incredibili idee e riflessioni sul “fare mostre” e “fare arte”. È l’occasione infatti per entrare nell’archivio di Luca Massimo Barbero, critico, storico e curatore di arte moderna e contemporanea, che approda all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia. Un archivio vivo e in continua espansione, che restituisce perfettamente l’immaginario multiplo legato alle immagini, alla loro vitalità, circolarità e significato, sempre declinato in chiave contemporanea. Definito “Cacciatore di Immagini”, Barbero inizia da giovanissimo a fotografare, raccogliere migliaia di stampe fotografiche, sia di allestimenti storici di mostre d’arte – come le stampe della Biennale di Cameraphoto in mostra –, sia di sport e di ritratto. E poi disegni, appunti, scritti, blocchi di viaggio, insieme alle sculture Colon e alle fotografie collezionate negli anni, che costituiscono una fototeca di migliaia di esemplari. «In queste sale – scrive Nicolas Ballario nel testo introduttivo della mostra – emerge il critico che non ricerca, ma viene inseguito dalla storia e donando questo archivio Luca Massimo Barbero cerca di seminare sé stesso prendendo la memoria per la coda, per farla dimenare e farsi trascinare, perché non è vero che la storia sia fissata». M.M. ENG As we get up and running for the next Venice Art Biennale, we are happy to have a space to wind down and recharge. At Ca’ Giustinian, the main offices of the Biennale opened exhibition Luca Massimo Barbero. Un Diavolo Amico. Barbero is an art critic, historian, and curator. His archive joins the Biennale’s to feed the Image’s sense of vitality, circularity, and meaning. Called ‘a hunter of images’, Barbero has been collecting modern art throughout his life: photographs, drawings, notes. “In these halls, we see the figure of an art critic that does not research, but is rather followed and chased by history.”

Silvano Rubino. Progetto Kafka. La scrittura e il segno Fino 25 febbraio SPARC* - Spazio Arte Contemporanea, Campo Santo Stefano, San Marco 2828A www.veniceartfactory.org

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Luca Massimo Barbero. Un Diavolo Amico La Biennale di Venezia, Ca’ Giustinian www.labiennale.org


ARMANDO MARROCCO

Convergenze spaziali. Venezia, Milano e oltre... 16 febbraio – 20 marzo 2024

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IN THE CITY PHOTOGRAPHY

Nel bel mezzo di un gelido inverno

David “Chim” Seymour saluta Henri Cartier-Bresson, Parigi, Francia, 1938 © René Burri/Magnum Photos

Inviato speciale David “Chim” Seymour, un reporter di guerra a Venezia In un inverno altalenante, in cui ai cicloni artici carichi di freddo e gelo si susseguono anticicloni che fanno schizzare le temperature sopra la media stagionale, Venezia si sveglia sotto zero con orizzonti dilatati da una luce tagliente e nitida oppure immersa in una nebbia fitta, a volte addirittura in forma di galaverna (versione ghiacciata). La neve è lontana, visibile solo in lontananza, nelle giornate terse, quando le magnifiche prealpi grazie al fenomeno dello stravedamento si stagliano incredibilmente vicine a ridosso della Laguna. Già la neve, un tempo non così infrequente a Venezia come testimoniano la serie di bellissime fotografie in bianco e nero che celebrano la città sotto la neve alla Fondation Wilmotte. La mostra, realizzata in collaborazione con il Circolo Fotografico La Gondola e l’Archivio della Fondazione Querini Stampalia, Venezia bianca, è un viaggio fotografico diviso in tre diversi capitoli corrispondenti ad altrettanti soggetti: Piazza San Marco, le gondole e la gente. In queste immagini di Venezia, residenti e visitatori si mescolano, ed ogni passo lascia un’impronta oscura in questa marea bianca. La neve, diffondendo luce morbida e diafana, rende evanescente palazzi, chiese e monumenti, quasi entità astratte, sfumate nei contorni, mentre nei canali, scendendo lentamente, annulla i confini tra terra, acqua e cielo, restituendo un paesaggio metafisico, un momento sospeso, unico, indimenticabile. ENG This winter seems to love swinging up and down in temperature. Sub-freezing Venice is not the common sight, with its unexpected piercing and clear light. Still, snow is a sight to behold from afar, on clear days, when the beautiful closest Alpine ranges show in full glory, and seem to be much closer to Venice than they actually are. Was there ever snow in Venice? Sure, and there are pictures to prove it. Find them at Wilmotte Foundation. The black-and-white photography exhibition Venezia bianca (lit. ‘white Venice’) is a photographic journey in three legs: Piazza San Marco, gondolas, and people. In these images, locals and visitors mix their steps, leaving behind their trace in beautiful white matter. Snow amplifies the softness of light, making the architecture seem some abstract, metaphysical entity. Venezia Bianca Fino 3 marzo Fondation Wilmotte, Fondamenta dell’Abbazia, Cannaregio 3560 www.wilmotte.com

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È a David “Chim” Seymour che il Museo di Palazzo Grimani dedica una grande monografica con circa 200 pezzi esposti tra fotografie, documenti, lettere e riviste d’epoca. Nato a Varsavia da una famiglia di editori, si traferì in Russia con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, per poi rientrare nella città natale solo nel 1919. Dopo gli studi a Lipsia si trasferì a Parigi per frequentare la Sorbona, dove incontrò David Rappaport, proprietario della famosa agenzia fotografica Rap, che gli commissionò alcuni lavori come freelance. Fu così che dal 1934 i suoi reportage apparvero su riviste come Paris-Soir e Regards. Successivamente, attraverso Maria Eisner e l’agenzia fotografica Alliance, “Chim” incontrò Henri Cartier Bresson e Robert Capa coi quali, oltre a George Rodger e William Vandivert, fondò a New York nel 1947 l’agenzia Magnum Photos, divenuta poi leggendaria. Viaggiò molto in giro per il mondo, tra Europa, America Latina, Medio Oriente, Africa e Stati Uniti. Dopo la morte di Robert Capa, avvenuta nel 1954, Seymour divenne presidente di Magnum mantenendo l’incarico fino al 10 novembre 1956, quando cadde vittima del fuoco di una mitragliatrice egiziana mentre cercava di fotografare uno scambio di prigionieri nei pressi del Canale di Suez. A Palazzo Grimani, nelle 150 immagini selezionate dal curatore Marco Minuz ed esposte in ordine cronologico dal 1936 al 1956, sono rappresentati i suoi più importanti reportage come quello che racconta per immagini la Francia del 1936, la Guerra Civile spagnola, l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, il progetto Children of War, commissionatogli dall’UNICEF nel 1948 e dedicato agli orfani di guerra, e poi la nascita dello Stato di Israele e l’Egitto negli anni Cinquanta del secolo scorso, oltre alla serie di Ritratti e Personalità. Nel percorso della David ‘Chim’ Seymour. Il Mondo e Venezia. 1936-56 Fino 17 marzo Palazzo Grimani, Castello 4858


Luigi Ferrigno, Ragazzi con gerla sul Ponte Donà - 1960

Uno sguardo dal ponte mostra un posto di rilievo assume il corposo nucleo di fotografie realizzate durante un reportage su Venezia, una città immortalata nella sua vita quotidiana anni ‘50, scatti sapientemente colti con “l’occhio” attento della sua macchina fotografica, come la famosa fotografia che coglie l’approdo apparente del gondoliere alla stazione di rifornimento della Esso sul Canal Grande. La mostra David “Chim” Seymour. Il Mondo e Venezia. 1936-56, in corso fino al 17 marzo, rappresenta il secondo appuntamento con uno dei maggiori protagonisti della fotografia internazionale del Novecento che nel corso della sua carriera ha scelto di interpretare Venezia. Il progetto, promosso dalla Direzione regionale Musei Veneto – Museo di Palazzo Grimani in collaborazione con Suazes, segue la fortunata monografica dello scorso anno su Inge Morath Fotografare da Venezia in poi, visitata da oltre 30 mila persone, segnando un percorso espositivo vincente. Daniela Paties Montagner ENG An exhibition of over 200 pieces – photographs, documents, letters, and magazines – to celebrate the live of David “Chim” Seymour. Born in Warsaw, Seymour moved to Russia during WWI and back to Poland in 1919. He then studied in Leipzig in Paris, where he met David Rappaport of the famous Rap photo agency. Rappaport commissioned Seymour a few jobs, and since 1934, Seymour’s pictures appeared in magazines such as Paris-Soir and Regards. Later on, thanks to Maria Eisner and the Alliance agency, Chim met Henri Cartier-Bresson and Robert Capa. The three, George Rodger, and William Vandivert, founded the Magnum Photo agency in New York in 1947. Chim travelled all over the world until November 10, 1956, when he fell victim of Egyptian fire as he was taking pictures of a prisoner exchange by the Suez Canal. At Palazzo Grimani, you will find the most iconic pictures and features 1936—1956: 1930s France, the Spanish Civil War, post-WWII Europe, and 1948 UNICEF-commissioned project Children of War, dedicated to war orphans. Beautiful Venetian pictures complement the exhibition, and are a testimony of what the Lagoon City looked like in the 1950s.

«Uno sguardo attento, capace di entrare nelle pieghe della quotidianità, di soffermarsi sullo scorrere del tempo [...]» così la curatrice Lorenza Bravetta cattura in modo efficace l’opera di Luigi Ferrigno, fotografo amatoriale che ha osservato e raffigurato per più di cinquant’anni l’amata Venezia. E continua: «[...] un approccio discreto, che restituisce scorci inattesi e punti di vista mai scontati, iscrivendo appieno Ferrigno nel solco di quella che viene definita fotografia umanista». Appunti Fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno, in corso fino al primo aprile alla Fondazione Querini Stampalia, è l’occasione per riscoprire l’opera di questo interessante personaggio, il cui archivio di oltre 25.000 foto è stato affidato alla Fondazione stessa per renderlo a tutti fruibile. La mostra presenta 89 fotografie raccolte in tre diverse sezioni. Ferrigno non è un fotografo professionista: vive di turismo alberghiero prima, per poi lavorare per due importanti vetrerie di Murano. Questa sua esperienza si riflette nella prima sezione che racconta La città e il turismo, i mestieri e la produzione del vetro: suggestivi scatti in bianco e nero che ritraggono sia la Venezia popolare che quella monumentale, i bimbi che giocano nei campi, i lavoratori nelle fornaci, i primi turisti, i mestieri antichi. Negli anni ‘90 cambia tutto: Ferrigno inizia a usare il colore. Con la Protezione Civile produce dei reportage fotografici seminali sul degrado dei monumenti veneziani, come documentato nella seconda sezione, Le Conterie, dove viene mostrato il recupero dell’area industriale storica delle Conterie a Murano. La terza sezione, Frammenti di terra, propone 12 foto di pezzi ingranditi di vetro colorato, una visione esplosiva, onirica, astratta e magica, un filo conduttore che fa del vetro l’amore della vita di Ferrigno. Irene Marchetti ENG “A curious eye that can enter each bend and fold of everyday life, stopping there where we get to appreciate the passing of time” thus curator Lorenza Bravetta introduces Luigi Ferrigno, an amateur photographer who observed and portrayed his beloved Venice for over fifty years. Appunti Fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno, ongoing at Fondazione Querini Stampalia until April 1, is the chance to get to know this interesting character, whose archive of over 25,000 photographs has been entrusted to the Foundation. The exhibition is a pick of eighty-nine pictures. In his early years as a photographer, Ferrigno focuses on what he knew best: the tourism industry and glassblowing factories, which were his places of employment. In the 1990s, a radical change: together with the local civil protection agency, Ferrigno documented the decay and restoration of Venetian monuments. Appunti Fotografici. La Venezia di Luigi Ferrigno Fino 1 aprile Fondazione Querini Stampalia www.querinistampalia.org

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BEYOND BOUNDARIES 20.4 — 24.11 2024 VENICE ART BIENNIAL

PERSONAL STRUCTURES BEYOND 76


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IN THE CITY PHOTOGRAPHY

Diario di un luogo

Paesaggi urbani non identificati Nella città storica e monumentale per eccellenza sorprende trovare parti inedite di tessuto urbano, luoghi testimoni di una Venezia industriale quasi del tutto scomparsa. Eppure, i _docks_cantieri cucchini a San Pietro di Castello, un complesso di fine ‘800 e inizi ‘900 della cantieristica veneziana sapientemente recuperato, ne sono un esempio. Questi spazi sono protagonisti tra febbraio e marzo della rassegna Enologismi, un percorso dedicato alla ricerca e alla conoscenza del pensiero enogastronomico italiano attraverso l’intreccio tra arte, letteratura, musica, storia e fotografia (vedi articolo a p. 140). Questa loro dimensione di spazi altri viene volutamente sottolineata dal progetto espositivo L’estetica del tempo sospeso. Fotografie di Andrea Morucchio, a cura di Laura Riolfatto, in collaborazione con il Museo del Paesaggio di Torre di Mosto, che definisce per immagini il luogo/non luogo post-industriale per eccellenza, Porto Marghera. Gli scatti dell’artista veneziano fissano in maniera lucida, grazie al sapiente utilizzo della luce naturale, la condizione di sospensione di questo paesaggio senza territorio, in bilico tra spazio della memoria e realtà futura. Andrea Morucchio articola la mostra in due spazi e in due tempi: il primo, composto da una selezione di 20 stampe fotografiche di grande formato, rende astratta la visione reale del paesaggio componendola in una dimensione percepita, senza spazio ne tempo; il secondo è caratterizzato dalla proiezione di centinaia di fotografie di Porto Marghera realizzate dall’artista nel decennio 2009-2019. L’opera audiovisiva, costituita dal montaggio delle immagini suddivise in sequenze tematiche dai versi poetici della scrittrice e poetessa Marina Castrillo e combinate a brani musicali inediti del progetto musicale UNFOLK Collective, crea un forte impatto emotivo, che va oltre il dato oggettivo di un paesaggio post-industriale conosciuto e rivisitato per creare prospettive sorprendenti, cariche di favolosi e incerti significati al di là di ogni storica e immaginaria evidenza. M.M. L’estetica del tempo sospeso. Fotografie di Andrea Morucchio Fino 30 marzo _docks_cantieri cucchini, San Pietro di Castello 40/B laurariolfatto.com morucchio.com

60.557 tasselli, oltre 500 ore di appostamento dal 2013 al 2023, più di 16.000 persone ritratte. Questi i numeri del progetto Rivus Altus – Cronorama in 10 Years dell’architetto e fotografo milanese Massimiliano Farina, un vero e proprio “tentativo di esaurimento” visivo del panorama veneziano più fotografato, dipinto e conosciuto al mondo: la vista dal Ponte di Rialto e l’incessante flusso di persone che, a loro volta, l’osservano. Massimiliano Farina si è lasciato ispirare in questa sua ricerca dal testo dello scrittore francese Georges Perec, Tentativo di esaurimento di un luogo parigino (Parigi, 1975), in cui l’autore esplora una piazza della Ville lumière da diverse prospettive e in momenti diversi, registrando attentamente ogni cambiamento. Dal 7 febbraio al 7 aprile il Fondaco dei Tedeschi ospita uno speciale allestimento dell’installazione Rivus Altus, realizzata da 78 schermi che si combinano per formare un’unica immagine, composta da 78 time-lapse che si ripetono, creando un’installazione video di oltre 10.000 scatti presi dalla stessa posizione sul Ponte di Rialto in varie fasi della giornata e attraverso le diverse stagioni. Simili a un puzzle, le immagini non colgono più un momento preciso, ma divengono una prospettiva tracciata dallo scandire del tempo in divenire. Il progetto espositivo si compone anche di 6 gigantografie in bianco e nero di persone immortalate durante la sosta per ammirare la celebre struttura cinquecentesca. Rivus Altus al Fondaco instaura così un singolare dialogo fra il soggetto protagonista (il panorama), gli scatti in bianco e nero delle persone che lo osservano e la terrazza panoramica che offre una straordinaria prospettiva su Venezia. ENG 60,557 tiles, over 500 hours on the hide, over 16,000 portrays—these are the figures of project Rivus Altus – Cronorama in 10 Years by architect and photographer Massimiliano Farina, an attempt to exhaust all possible depictions of the most famous Venetian vista: the Rialto Bridge and its incessant coming and going of people. Farina got his inspiration from an essay by Georges Perec, An Attempt at Exhausting a Place in Paris, a collection of different perspectives on Paris. Fondaco dei Tedeschi will host a special installation of Rivus Altus on 78 screens creating a time-laps of images sourced from the over 10,000 pictures taken in Rialto over months. The installation also includes six jumbo black-and-white prints of people portrayed in their admiration of Venetian architecture. The Rivus Altus 7 febbraio-7 aprile Fondaco dei Tedeschi www.rivusaltus.it

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IN THE CITY PHOTOGRAPHY & MORE

© Gaby Wagner

Memorie del tempo sospeso Le riflessioni post-pandemiche di Re-Emerging alle Procuratie Una frattura, una rottura, uno sconvolgimento. La pandemia di Covid 19, con i conseguenti lockdown, ha connotato tutto in un “prima” e un “dopo”, che sono ormai entrati a far parte del linguaggio, immaginario e soprattutto vissuto comune. Ma cosa è rimasto di questa esperienza praticamente inedita e disorientante per l’umanità, oggi? Quali strascichi ancora imponderabili un evento così spiazzante ha lasciato nelle nostre esistenze? Da questi e altri interrogativi nasce Re-Emerging, un osservatorio multidisciplinare composto da artiste fotografe, scienziate ambientali, esperte della comunicazione, produttori creativi del suono e dell’immagine con un ingegnere informatico e CORILA – Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia. Un collettivo eterogeneo e internazionale che, attingendo alle proprie competenze professionali e al proprio personale vissuto, si pone l’obiettivo di documentare e stimolare la consapevolezza degli effetti del lockdown sulla comunità e sulla laguna veneziana, trasmettendo un messaggio di speranza e resilienza. L’osservatorio si traduce nella prima fase in una mostra immersiva e interattiva, dall’1 al 15 marzo alle Procuratie Vecchie di Piazza San Marco, che mira a instaurare un dialogo con il visitatore, per immergerlo nel ricordo del lockdown, connetterlo con le esperienze delle artiste e delle scienziate, portarlo Re-Emerging 1-15 marzo Procuratie Vecchie, Piazza San Marco 139/153A www.re-emerging.it

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a rivivere i sentimenti e i desideri che aveva provato durante quel tempo, a scoprire dove siano oggi sedimentati. In mostra gli scatti fotografici realizzati durante il primo e secondo lockdown da Gaby Wagner, Sophie Fauchier e Val MasferrerOliveira, suddivisi rispettivamente in tre progetti: Venezia nel silenzio (2020), La città dalle Cento Profonde Solitudini (2020), Dea della Laguna (2020-22). Va ad arricchire la parte artistica il contributo scientifico di Alice Stocco, ecologista e biologa ambientale, e Silvia Rova, biologa marina, entrambe ricercatrici presso l’Università di Ca’ Foscari, che durante il primo lockdown hanno condotto un’indagine di citizen science, andando a sondare i sentimenti negativi e positivi che le persone stavano vivendo in quel particolare momento. Un connubio di arte e scienza per attivare la memoria, che coinvolge il pubblico in prima persona, invitandolo a lasciare un proprio ricordo del lockdown, che siano foto o testi, sul sito www. re-emerging.it. Il materiale visivo e scritto raccolto fino al 15 marzo 2025 verrà conservato da CORILA, sistematizzato con parole chiave in collaborazione con Ca’ Foscari e diventerà un archivio digitale dotato di strumenti multimediali, accessibile gratuitamente. Al termine dell’anno di ricerca, verranno inoltre prodotti e pubblicati i volumi Re-Emerging Papers, ottenuti dalla raccolta, analisi e trasformazione di tutto ciò è possibile collegare al lockdown, una memoria collettiva e tangibile che porta una nuova consapevolezza della realtà. C.S.


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BOOK REVIEW

A perdita d’occhio La storia d’amore tra John Ruskin e Venezia raccontata da Emma Sdegno «Venezia, il Paradiso delle città» scriveva John Ruskin in occasione del viaggio del 1841. E dall’incontro con i luoghi che visitò nacque una straordinaria geografia culturale e affettiva, dove la città lagunare aveva senz’altro un posto speciale nel suo cuore. Frutto dei suoi ripetuti soggiorni, undici in un arco temporale di più di cinquant’anni – dal primo nel 1835, all’ultimo brevissimo nel 1888 –, diari, lettere, taccuini, impreziositi da disegni e illustrazioni ad acquerello nacquero da una passione perfettamente inscritta in una tradizione anglosassone nutrita attraverso le pagine di Lord Byron del mito di una Venezia decadente che di lì a poco il pennello di Turner avrebbe trasformato in una equorea presenza, dove cielo e Laguna si sfaldavano compenetrandosi sulla tela. Tra queste suggestioni nel corso della sua vita arricchita e maturata grazie ad emozioni visive, morali, intellettuali, sembra muoversi John Ruskin, dando vita attraverso una commistione di parola e disegno a una galleria di immagini ispirate dai monumenti e dalle sensazioni che questi in lui suscitarono. Pubblicato da Marsilio, come spiega nell’introduzione Emma Sdegno, docente di letteratura inglese a Ca’ Foscari, impegnata da anni nello studio e divulgazione dell’opera di Ruskin, l’elegante volume A Venezia con Ruskin si propone come una “biografia per immagini”, organizzate per soggetti, articolata con criterio alfabetico e tematico, testimoniando sia nella selezione degli scorci che nelle parole ricavate dalla corrispondenza la predilezione del critico inglese per il Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco, per le architetture civili su quelle religiose, nonché la fascinazione da lui immancabilmente subita di fronte a prospettive del Canal Grande o vedute della Laguna al chiaro di luna. Nel descriversi immerso a Venezia e nelle sue atmosfere, nelle lettere al padre o negli appunti presi assorto in contemplazione davanti a monumenti, opere d’arte o paesaggi, trascritti poi sui suoi sketchbooks, Ruskin svela la sua crescita, quasi la città fosse il racconto visivo di una iniziazione all’arte verso la sua progressiva maturazione; un vero e proprio romanzo di formazione per immagini. Scorrendo le pagine di questa raccolta, si percepisce il suo forte senso di autocritica, di consapevolezza dei suoi limiti tecnici che lo portarono a prediligere inizialmente per descrivere emozioni e colori la parola al disegno, ancora acerbo in occasione dei suoi primi viaggi, fino al folgorante incontro nel 1836 con l’opera di Turner che divenne il filtro attraverso cui percepire Venezia, sbloccandolo nei confronti del pennello. Così se in un primo tempo il disegno riservava per Ruskin una valenza educativa, via via divenne una sorta di missione che lo portò alla conoscenza di autori del passato, Tintoretto a San Rocco o Carpaccio all’Accademia lo avevano catturato, tanto da considerarli fondamentali all’educazione dei suoi allievi. Tra i quali il giovane Edward Burne-Jones che per il maestro eseguì svariate copie, stimolandolo e portando a riscoprire l’opera del pittore veneziano. Nel silenzio delle sale chiuse appositamente per lui, Ruskin poté realizzare veri e propri piccoli gioiellini ad acquerello: dolcissimo il sogno di Orsola o il momento in cui coglie la Santa distesa sul baldacchino accompagnata alla morte. Capolavori che studiò con occhio indagatore, come quegli edifici scelti per lamentarne il degrado e l’incuria, che

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risultarono decisivi nella sua campagna per la salvaguardia dei monumenti. Impegnato all’interno della S.P.A.B., la Society for Protection of the Ancient Buildings – in italiano “Società per la protezione degli edifici antichi” –, fu attivo in prima linea e controcorrente anche di fronte ai restauri di San Marco, appoggiando la campagna del conte Zorzi, denunciando il rischio che restasse solo «la larva o il cadavere» di ciò che lui aveva tanto amato. Nei suoi preziosi schizzi della Ca’ d’Oro, di Ca’ Foscari o Palazzo Zorzi, dettagli apparentemente pittoreschi come le foglie verdi in facciata o tra i marmi intarsiati, non erano mai scelti a caso, ma in quanto simbolo di abbandono e incuria contro cui si attivò in prima persona. «Mio Carissimo Padre, non potete immaginare che giornata infelice io abbia trascorso ieri davanti alla Casa d’Oro, tentando vanamente di disegnarla mentre gli operai la prendevano a martellate davanti ai miei occhi...». Un’esigenza di censimento che lo portò ad acquistare nel 1846 una serie di piccolissimi dagherrotipi che gli consentirono di studiare ancora più nel dettaglio le architetture e di soffermarsi persino su particolari di vita quotidiana, grazie al mezzo, resi con estrema, minuziosa, fedeltà. Quindi, laddove la parola lo aiutava a tradurre riflessi di luce e atmosfere, il disegno diveniva uno strumento di ricerca e di indagine, in certi casi persino di denuncia. E se l’ultimo lungo soggiorno del 1876-77 gli servì per lavorare alla riedizione delle Pietre di Venezia, lo portò inoltre a immergersi nel Sogno di Sant’Orsola esorcizzando, attraverso l’identificazione della Santa, l’amata defunta Rose La Touche. Ma lo svelò altresì totalmente assorbito in una visione della città dall’acqua, come fosse un grande fiume che nel Bacino di San Marco si allargava in un abbraccio ideale di cui lui stesso ormai era pienamente parte. Nella luce lunare «...tutto è immobile, come se Venezia fosse sotto il mare, ma bella aldilà di ogni pensiero». Michela Luce

Emma Sdegno, A Venezia con Ruskin, 2023, Marsilio www.marsilioeditori.it


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1_Veduta dalla parte superiore destra della facciata del fondaco dei turchi 1849-1850 - Coniston, The Ruskin Museum 2_Capitello 36, Palazzo Ducale, 1849-1842 Lancaster, The Ruskin, Lancaster University 3_Campanile di San Marco, figura al centro. L’edificio proietta l’ombra sulla piazza a destra oltre la torre e gli edifici, 1849-1850 circa Londra, The British Museum 4_Il cortile del Palazzo Ducale, maggio 1841 Oxford, Ashmolean Museum, University of Oxford, Donato da John Ruskin alla Ruskin Drawing School (University of Oxford), 1875 5_Sovraporta, ramo dirimpetto Mocenigo Taccuino manoscritto - Lancaster, The Ruskin, Lancaster University

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Courtesy Marsilio Editore

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arte IN THE CITY GALLERIES

Giulio Malinverni

Maurizio Pellegrin

MARIGNANA ARTE GIULIO MALINVERNI Il dormiente nella valle MAURIZIO PELLEGRIN L’immagine ritrovata FinoUntil 30 marzoMarch

Galleria Luce torna a dialogare con il maestro Armando Marrocco (Galatina, 1939), offrendo al pubblico una seconda – dopo quella di due anni fa – straordinaria selezione di opere realizzate tra la metà degli anni ‘60 e gli inizi degli anni ‘70 e coincidenti con una ricerca dell’artista improntata su spazio, tempo e visione. I curatori della mostra Michela Luce e Toti Carpentieri hanno voluto sottolineare il legame con quanto avveniva nella centralissima e propositiva Milano, punto di convergenza allora di un nuovo sentire, dove Marrocco si era trasferito poco più che ventenne, e al contempo indagare come negli stessi anni, inconsapevoli di essere spinti da un istinto comune, artisti lontani ma vicini affacciati sullo stesso mare, quello Adriatico che bagna Venezia e lambisce la Puglia, lasciavano libero il loro pensiero trasfigurandolo in gesto. Istintivo e mai casuale, un continuum che si trasformava in un viaggio che dalla mente passava sulla tela o sulla carta. Tra il gesto filosofico di Fontana che ricerca la terza dimensione andando “oltre” la superficie della tela, e lo spazio vissuto come evento nella fenomenologia del suo divenire di luce e colore dei veneziani Bacci e De Luigi, emerge la cosmografia di Marrocco impressa come traccia o impronta di un passato sempre vivo. ENG Artist Armando Marrocco is back in Venice for a new exhibition. A collection of artworks from the late 1960s, picked by curators Michela Luce and Toti Carpentieri, will show the effect that the bustling metropolis of Milan had on the-twenty-year-old Marrocco as well as investigate how in those years, artists of different provenances converged on the same sea – the Adriatic, which touches both Venice and Marrocco’s native Apulia. Instinctive, though never random, this continuum feels like a journey of ideas, from mind to canvas. Between Fontana’s philosophical investigation of what lies beyond the painting surface and Bacci’s, De Luigi’s phenomenology of space and colour, lies Marrocco’s cosmography: a trace, an imprint of a past that lives on.

In Galleria, il nuovo progetto di Giulio Malinverni raccoglie una selezione dei suoi più recenti dipinti, inclusi alcuni inediti su marmo, la cui tematica è quanto mai prossima alle atmosfere tipiche delle poesie di Arthur Rimbaud – a cui si riferisce direttamente il titolo della mostra–, rese attraverso una pittura che assume i toni di un viaggio nell’onirico, sospesa tra l’abisso e il cielo, tra evocazioni incantate e atmosfere infernali. Le opere sono popolate da frammenti antichi, incubi medievali, armonie classiche e conducono lo spettatore in una dimensione di magica alterità. In concomitanza con l’esposizione Me stesso e io (vedi pagina 67) in corso a Ca’ Pesaro, la Project Room rende omaggio a Maurizio Pellegrin con tre diverse serie di lavori su carta organizzate attorno al concetto di “frammento”: i collage della fine degli anni Ottanta, i photocollage realizzati tra il 2006 e il 2008 e le cianotipie più recenti del 2021. I frammenti vengono riuniti e organizzati in nuove strutture gerarchiche, al fine di produrre nuove relazioni, nuove energie, differenti significati e simboli. ENG The Gallery presents a selection of Giulio Malinverni’s most recent art, including some previously unpublished works on marble, whose theme is as close as ever to Rimbaudian atmospheres, rendered through a painting technique that takes on the tones of a journey into dreamworld, between abyss and sky, between enchanted the evocative and the infernal. In conjunction with the exhibition at Ca’Pesaro, the Project Room pays homage to Maurizio Pellegrin with a small exhibition of three series of works on paper organised around the concept of ‘fragment’: collages from the late 1980s, photo collages made between 2006 and 2008, and more recent cyanotypes from 2021.

Campiello della Fenice, San Marco 1922/A www.gallerialuce.com

Galleria, Dorsoduro 141 | Project Room, Dorsoduro 140/A www.marignanaarte.it

GALLERIA LUCE ARMANDO MARROCCO convergenze spaziali Venezia, Milano e oltre... 16 febbraioFebruary-20 marzoMarch

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Jade Fenu

193 GALLERY VENICE BEN ARPEA | ALDO CHAPARRO | JADE FENU | BEYA GILLE GACHA | JEAN-MARC HUNT | LIB | HYACINTHE OUATTARA | JAVIER TORO BLUM | ROB TUCKER Melancholic Dreams

MARINA BASTIANELLO GALLERY SOPHIE FRANZA L’Établi (Il banco di lavoro) FinoUntil 29 febbraioFebruary

La parigina 193 Gallery, che dal 2018 esplora e afferma identità artistiche alternative offrendo l’opportunità di scoprire il colore e la materia, nonché la diversità e la legittimità delle scene artistiche mondiali, torna a Venezia in un nuovo e inedito spazio, scegliendo di ridare vita a una delle più antiche farmacie della città. Prima di promuovere e ospitare nel nuovo spazio da aprile a novembre un Evento Collaterale della Biennale Arte 2024, 193 Gallery Venice presenta la mostra di pre-apertura dal titolo Melancholic Dreams. Un giro del mondo dell’arte contemporanea, una collettiva che si compone delle opere di una selezione di artisti provenienti da Africa, Caraibi, America Latina, Oceania e Balcani. Ben Arpea, Aldo Chaparro, Jade Fenu, Beya Gille Gacha, Jean-Marc Hunt, Lib, Hyacinthe Ouattara, Javier Toro Blum, Rob Tucker invitano alla fuga, alla scoperta e all’incontro con la magia che risiede nella differenza. Accogliendo i sogni dell’altrove, la mostra offre un’apertura verso l’infinito potenziale dell’esistenza e della bellezza, un viaggio libero nei meandri di un mondo in cui ogni pensiero può diventare una realtà a sé stante. ENG Paris-based 193 Gallery has been working on alternative art identities since 2018. Their new space in Venice is a former pharmacy, beautifully converted into an art space for what will be an official Collateral Event at the upcoming 2024 Venice Art Biennale. 193 Gallery opened with exhibition Melancholic Dreams, a grand tour of modern art with works from Africa, the Caribbean, Latin America, Oceania, and the Balkans. Participating artists will invite you to discover escape, discovery, and magic.

«L’Établi (Il banco di lavoro), 93 tele di uguali dimensioni, 93 simulacri di oggetti, ferri del mestiere o avventizi, che il caso e la necessità hanno depositato sul banco di lavoro di Sophie Franza, istantanea del fluire del tempo nello spazio dell’operare dell’artista, origina da questa pervasiva presenza delle apparenze, dal mondo che quotidianamente ci è gettato davanti in forma di oggetti». (Bruno di Biase) La ricerca di Sophie Franza – nata a Grenoble, vive e lavora tra la Francia e Venezia –, è basata sul rapporto tra riproduzione e rappresentazione delle immagini, in un gioco di rimandi e di interrogazioni tra pittura e fotografia, che si manifesta magistralmente nello spazio di Marina Bastianello Gallery: ogni opera, ogni oggetto diventa un istante, anche casuale, di una storia o di tante storie. L’artista offre ai visitatori la sua personalissima poetica dell’immagine, in cui l’oggetto reale diventa immagine fotografica (riproduzione), fotocopia (degradazione) e infine opera (rappresentazione), lasciando aperto l’interrogativo sul reale e la sua rappresentabilità e restituendo all’oggetto un’aura di straniamento come vestigia di un mondo remoto e mitico. ENG Artist Sophie Franza’s research builds upon the reproduction and representation of images, in a game of interrogations and cross-references between painting and photography. Every piece, every object becomes an instant, maybe a random instant, of one story or many. Franza offers visitors her very personal image poetry, a universe where the real object becomes photographic reproduction, photocopied degradation, and lastly, representative artwork, all the while leaving open all possibilities of questioning reality and its representability, bestowing upon the item an alienating aura—the vestige of a remote, mythical world.

Ex Farmacia Solveni, Dorsoduro 993/994 www.193gallery.com

Via Pascoli 9/C (a fianco M9), Mestre www.marinabastianellogallery.com

2 febbraioFebruary-31 marzoMarch

A PLUS A GALLERY ANASTASIYA PARVANOVA Sidereal Messenger FinoUntil 29 marzoMarch

Personale dell’artista Anastasiya Parvanova (1990, Burgas, Bulgaria), il cui titolo Sidereal Messenger fa riferimento al famoso trattato Sidereus Nuncius in cui Galileo Galilei descriveva per la prima volta al mondo le sue concrete scoperte fatte con un cannocchiale, da lui stesso costruito. La mostra si presenta come un sogno dell’uomo sulla vita e sulla natura, in cui concetti e visioni di astrofisica e astrobiologia si proiettano nella pittura, creando uno spazio liminale tra il sogno e il risveglio, il risveglio e l’addormentamento. La poesia e la pittura svelano il mondo, esplorando gli spazi interiori della mente e dell’universo. Privilegio e responsabilità di un essere umano è conoscere il mondo e dare testimonianza con grande cura di ciò che si osserva. Con il pensiero, nel corso della storia, abbiamo lentamente cambiato la grammatica del mondo. Nella pittura come nella scienza, esploriamo questa connessione di noi stessi con tutto. ENG A personal exhibition of artists Anastasiya Parvanova’s art, whose title, Sidereal Messenger, refers to Galileo’s Sidereus Nuncius, the treatise that described, for the first time, the astronomer’s latest discoveries made with the telescope he built. The exhibition looks like man’s dream on life and nature, on concepts and vision of astrophysics and astrobiology that project on painting, creating a liminal space between slumber and wake and vice versa. Poetry and painting reveal the world and explore the inner spaces of mind and universe. Human privilege and responsibility lie in our ability to discover the world and witness what we observe. In art as much as in science, we explore our connection with the whole. San Marco 3073 www.aplusa.it

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arte

NOT ONLY VENICE

Feng Zhijia, Van Gogh’s room, 2023 (dettaglio)

Meng Site, Galaxy Dust, 2017 (dettaglio)

Un immenso tutto senza più nessun fuori Una nuova generazione di pittori cinesi offre un’inedita prospettiva sul contemporaneo al Mart «Questa è la Cina – afferma Paolo De Grandis –, con un passato millenario e un presente in continua ridefinizione, dove la realizzazione di un’idea arriva quasi in contemporanea all’idea stessa». A dieci anni dalla presentazione di Passage to History: 20 Years of La Biennale di Venezia and Chinese Contemporary Art alla 55. Biennale Arte del 2013, che raccontava attraverso le opere dei maggiori esponenti dell’arte cinese (Chen Xi, Liu Xiaodong, Wang Guangyi, Xu Bing, Yan Pei Ming, Yue Minjun, Zeng Fanzhi, Zhang Peili, Zhang Xiaogang, solo per citarne alcuni) il processo di negoziazione di un’identità internazionale attraverso lo scambio culturale con l’Occidente, la mostra Global Painting. La Nuova pittura in Cina in corso al Mart di Rovereto ne rappresenta la necessaria controparte, a testimonianza dell’importante espansione internazionale dell’arte cinese e della sua vivacità. La nuova generazione di pittori sta fornendo una prospettiva inedita all’arte contemporanea, un piacere della scoperta che i 24 artisti oggi in mostra offrono al visitatore. Una narrazione imprevedibile e audace sulla visionarietà dell’arte cinese, che significa anche divenire, mutamento, alternanza di luce e ombra, positivo e negativo, equilibrio universale. Un dinamismo dovuto alla libertà espressiva che gli artisti si stanno concedendo, sperimentando nuovi modi di raccontare e di comunicare sfidando ogni localismo. La mostra Global Painting nasce da un’idea di Vittorio Sgarbi, con la curatela di Lü Peng e Paolo De Grandis e con Carlotta Scarpa e Li Guohua, in collaborazione con Moca Yinchuan e Arte Communication, prima tappa del progetto che nel corso del 2024 sarà presentato a Belgrado, Praga e Londra. La Rivoluzione culturale ha lasciato segni indelebili e il rapido avvento

del consumismo ha scosso i modelli e gli ideali. Tale contesto ha portato molti artisti cinesi ad accostarsi ampiamente all’arte postmoderna occidentale. Altri hanno riscoperto negli ultimi anni quanto l’eredità di un’arte millenaria possa fungere da grande ispirazione – invece di far rivivere l’estetica tradizionale, la impiegano in modo unico e libero per contribuire attivamente alla conversazione artistica globale. Altri ancora scelgono di non collegare le loro tematiche o la loro tecnica alla tradizione natia, ma si identificano come cittadini del mondo e utilizzano l’arte per sondare questioni universalmente comuni. Questa indagine pluridirezionale mette alla prova i confini dell’arte, dimostrando la sua valenza omnicomprensiva. Tra estetiche post-post moderniste, provocazioni intellettuali, ironia ed esprit sauvage, teatralità e inclinazione elegiaca, la nuova generazione di pittori ridefinisce il “panorama contemporaneo”. Le 108 tele esposte sono la restituzione di epifanie improvvise che, pur nascendo all’insegna di una assoluta libertà espressiva svincolata da una tematica comune, si incontrano e si contaminano, si ibridano senza confondersi in un parallelismo che coinvolge ogni esperienza personale in un racconto collettivo, in bilico tra una narrazione corale, che si fa sempre più minuziosa, e un’unica immagine, di estrema sintesi, senza sequenza. «Nella Nuova pittura cinese – spiega Lü Peng – non ci sono più critiche a ideali condivisi, ognuno esprime il suo particolare conflitto; non si discute più di cosa sia l’arte, ma si sostengono le posizioni della storia dell’arte; non esistono interpretazioni univoche della realtà ma concetti espressi in modo chiaro e limpido». Global Painting. La Nuova pittura cinese Fino 5 maggio Mart, Rovereto www.mart.trento.it

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arte

NOT ONLY VENICE

Vertigine Piero Una delle più famose ed emozionanti scene del film Il paziente inglese di Anthony Minghella, quella che preferisco in assoluto, mostra Hana (Juliette Binoche), l’infermiera del paziente inglese (Ralph Finnes), che una sera viene condotta dal soldato indiano, di cui è l’amante, a vedere i dipinti di una chiesa vicina che, in realtà, altro non sono che gli affreschi di Piero della Francesca raffiguranti le Storie della Vera Croce nella Chiesa di San Francesco ad Arezzo. Qui, imbragata e issata su di una fune, Hana viene spinta verso l’alto, letteralmente volando da una parete all’altra dell’abside e, al lume di una torcia, contempla da vicino le storie raffigurate. Una scena incredibile, che appare come un intermezzo sublime all’interno della vicenda, per esaltare lo stupore rapito dello sguardo di Hana, ma soprattutto per sottolineare l’infinita immensità degli affreschi di Piero della Francesca. Poter ammirare l’incredibile bellezza del ciclo della Vera Croce da vicino è un privilegio che a pochi capita, tuttavia a volte capita. Solo per un mese e mezzo infatti, dal 27 gennaio al 12 marzo, è possibile ammirare gli affreschi da vicinissimo grazie all’iniziativa All’altezza di Piero, a cura della Direzione regionale dei Musei della Toscana in collaborazione con Fondazione Arezzo Intour, in occasione dei lavori di manutenzione e revisione conservativa della Cappella. Si, avete capito bene, l’occasione è arrivata: grazie ad un ponteggio accessibile verrà offerta a piccoli gruppi di visitatori l’opportunità eccezionale di ammirare per circa un’ora il ciclo di Piero della Francesca da una prospettiva assolutamente inedita e unica, come Hana! Piero della Francesca (Borgo Sansepolcro, 1412/16–1492), uno degli artisti cardine del Rinascimento italiano, uno dei più influenti del suo tempo, realizzò la Leggenda della Vera Croce in un periodo compreso tra il 1452 e il 1466. Il ciclo si compone di una serie di episodi tratti dalla Legenda Aurea del frate domenicano Jacopo da Varagine, articolati in tre livelli sulla parete centrale e su quelle laterali della Cappella Bacci, che narrano la storia della Croce sulla quale venne crocifisso Gesù Cristo, a partire dalla nascita dell’albero dal quale proviene il legno col quale fu realizzata. Il ciclo non è distribuito secondo un ordine cronologico, ma segue principalmente criteri formali e simbolici, senza per questo rinunciare a rispondenze filosofico-teologiche tra le scene che si fronteggiano, che sono fatte di armonia, spazi geometrici, volumi, sono luminose, prospetticamente calibrate su di una costruzione matematicamente impostata, razionale, misurata in ogni singolo dettaglio, eppure rese con estrema liricità e poesia. Mariachiara Marzari All’altezza di Piero 27 gennaio-12 marzo Chiesa di San Francesco, Arezzo museiarezzo.it/allaltezza-di-piero

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Mark Rothko, No. 9, No. 5, No. 18, 1952 - Private Collection. © 1998 Kate Rothko Prizel & Christopher Rothko - Adagp, Paris, 2023

Pittura assoluta Vi sono mostre che diventano subito imperdibili, un mix di qualità, autorevolezza, unicità, tanto da diventare dei fenomeni da studiare. Una di queste è certamente la gettonatissima retrospettiva dedicata a Mark Rothko (1903–1970) alla Fondation Louis Vuitton di Parigi, in corso fino al 2 aprile. La mostra riunisce 115 opere provenienti dalle più importanti collezioni istituzionali e private internazionali, tra cui la National Gallery of Art di Washington D.C., la famiglia dell’artista e la Tate di Londra. Ed è proprio questo il motivo per cui la mostra è diventata un must, certamente irripetibile proprio per la quantità e qualità delle opere che la compongono. Esposta cronologicamente in tutti gli spazi della Fondazione realizzata da Frank Gehry nel cuore del Bois de Boulogne, la mostra ripercorre l’intera carriera dell’artista: dai primi dipinti figurativi alle opere astratte per le quali è oggi maggiormente conosciuto. «Sono diventato un pittore perché volevo elevare la pittura al livello di intensità emotiva della musica e della poesia» aveva detto Mark Rothko e in questa esposizione la sua dichiarazione appare evidente, le sue opere travalicano l’arte divenendo pittura assoluta, essenziale. Giallo, rosso, ocra, arancio, ma anche blu, bianco, viola... cromie pure, nella sua espressione più luminosa e vibrante compongono lo spazio, avvolgendo il visitatore in una dimensione dal forte valore emotivo e spirituale. Tele per lo più grandi, ben distanziate, per non creare attriti e disturbi, allestite più basse del solito per avvicinarsi al livello dello spettatore. La luce diffusa è quasi da penombra, voluta così da Suzanne Pagé, direttrice artistica della Fondazione e curatrice della mostra, e Christopher Rothko, figlio dell’artista e co-curatore. Le opere di Mark Rothko accompagnano il visitatore, lo seducono e sfidano la sua capacità immaginifica, oltre la tela. Assolutamente da non perdere. Mark Rothko Fino 2 aprile Fondation Louis Vuitton, Parigi www.fondationlouisvuitton.fr


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MENG SITE, GALAXY DUST, 2017 (DETTAGLIO)

CESARETTI+POLIZZI – GRAPHIC DESIGN STUDIO


IL DIRITTO DI CONTRADDIRMI L’esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque Enzo Jannacci di Davide Carbone

musica

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’Italia è quel Paese in cui cantanti e poeti non riescono quasi mai ad essere presi sul serio. E invece spesso sono personalità straripanti, capaci di esprimere concetti sacrosanti e che nessun politico di turno ha il coraggio di fare propri se non per la durata di campagne elettorali al vetriolo, attraversate saltando con scioltezza da un taxi all’altro, perorando cause ad orologeria. Enzo Jannacci è stato il simbolo di una città e di un’epoca, quella Milano che negli anni ‘50 si nutriva di rock’n’roll a stelle e strisce, quella città con gruppi musicali che scimmiottavano le leggende d’Oltreoceano guardando a Elvis e Chuck Berry. Cantante, musicista e medico cardiologo (non a tempo perso, ma con studi alla Columbia University e volato in Sudafrica per unirsi all’equipe di Christiaan Barnard, primo al mondo ad effettuare un trapianto cardiaco), dello spettacolo Ci vuole orecchio è protagonista indiscusso grazie a un’altra personalità che della faciloneria apparente ha fatto manifesto, come Stefano Belisari, in arte Elio e frontman degli Elio e le Storie Tese. Uno spettacolo che arriva al Toniolo il 13 e 14 marzo prossimi e che non vuole farsi omaggio, quanto piuttosto impegnarsi a restituire al pubblico lo spirito che negli anni di attività portò avanti Jannacci, precorrendo sentieri e tematiche talmente in anticipo sui tempi da non essere sempre debitamente colte da pubblico e critica. «Se cominciate a capirmi, ditemelo: vuol dire che sto uscendo dal personaggio»: ambiguo e diretto come solo i geni riescono ad essere, ascoltare adesso suoi interventi, monologhi o canzoni rende il tempo un concetto sempre più relativo. Una lucidità di pensiero come quella di Enzo Jannacci è attuale sempre, c’è da augurarsi che lo rimanga il più possibile, stando ben lontani dal rischio

costante di perdere la bussola, in questi tempi disorientati e disorientanti. Dal rapporto fraterno con Giorgio Gaber, compagno sul palcoscenico e amico di ventura e di sventura come Jannacci sempre attento agli ‘ultimi’, all’epoca del Derby Club di Milano, non semplicemente fucina di comici ma humus fertile dell’ambiente meneghino in cui il nostro entra in contatto con personalità come Dario Fo, Cochi & Renato, come lui in dannato anticipo sui tempi ma per fortuna capaci di condividere pezzi di percorso da tramandare ai posteri. «Nello spettacolo – spiega Elio – non racconteremo lo Jannacci più ironico o quello più malinconico, ma cercheremo di raccontarlo nel complesso. Non esiste nulla di scritto da lui, quindi ci faremo aiutare dalle parole di personaggi del suo giro, come Dario Fo, Umberto Eco, Michele Serra. Ci saranno anche tre scritti miei e ovviamente le canzoni: scelte non necessariamente fra quelle più famose, ma funzionali a raccontare il suo percorso». Sul palco, nella coloratissima scenografia disegnata da Giorgio Gallione, troveremo assieme a Elio cinque musicisti, stravaganti compagni di viaggio, che formeranno un’insolita e bizzarra carovana sonora: Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabbasso, Sophia Tomelleri al sassofono, Giulio Tullio al trombone. A loro toccherà il compito di accompagnare lo scoppiettante confronto tra due saltimbanchi della musica alle prese con un repertorio umano e musicale sconfinato e irripetibile, arricchito da scritti e pensieri di compagni di strada, reali o ideali. Ci vuole orecchio 13, 14 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo


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taly is the place where singers and poets are never taken seriously. And to think they are such exuberant characters in their ability to say out loud indisputable principles that no politician would dare stand by, if but for the length of their political campaign. Enzo Jannacci has been the symbol of a city and an epoch—Milan in the 1950s, a city that at that time loved American rock ‘n’ roll and imitated American legends such as Elvis Presley and Chuck Berry. Jannacci was a singer, musician, and cardiologist—the latter was not a pastime as he studied at Columbia and worked with Christiaan Barnard. He is also the subject and protagonist of upcoming show Ci vuole orecchio (lit. ‘it takes ear’) thanks to another entertainer who made a career out of apparent goofball music: Stefano Belisari of Elio e le Storie Tese. The show will be at Toniolo Theatre on March 13 and 14 not only to homage Jannacci’s memory, but to test just how modern his artistic contribution was, and how little it was understood at the time. “If you start to understand me, let me know. It means I’m slipping out of character.” Ambiguous and blunt as only a real genius can be, listening to his monologues and songs will make time seem more relative. His lucidity of thought is always on point, and we can only hope it will stay that way for years to come. “The show – explains Elio – will not focus on either Jannacci’s irony or Jannacci’s melancholy. We will have him whole, using the words of those who wrote about him: Dario Fo, Umberto Eco, Michele Serra. I will add my own reflections and, obviously, his songs. Not necessarily his most famous ones, but the ones that best tell his story.” On the stage, designed by Giorgio Gallione, Elio will be accompanied by five instrumentalists, a bizarre and original music caravan: pianist Alberto Tafuri, drummer Martino Malacrida, bassist Pietro Martinelli, saxist Sophia Tomelleri, trombonist Giulio Tullio. The musicians will accompany an exciting story about two musical troubadours and a vast, unique human and musical tapestry. 89


musica TEATRI

Chi sono, lo vedrete

Le magnifiche sette

Massimo Ranieri è parte integrante della storia della musica leggera italiana, inutile girarci tanto intorno. Attore di teatro, showman completo, porta ancora in giro per il mondo una capacità di “tenere il palcoscenico” riscontrabile in pochissimi altri artisti, non solo della sua generazione. Il 72enne artista napoletano del Pallonetto di Santa Lucia, quartiere San Ferdinando, nel cuore del centro storico di Napoli e dove nacque un altro grande napoletano della storia come Luciano De Crescenzo, porta al Goldoni di Venezia Tutti i sogni ancora in volo, uno spettacolo non solo musicale che lo vede impegnato tra l’altro in inediti scritti per lui da alcuni grandi cantautori italiani come Pino Donaggio, Ivano Fossati, Bruno Lauzi, Giuliano Sangiorgi e molti altri, canzoni che fanno parte del suo nuovo album, che ha lo stesso titolo dello spettacolo, uscito il 18 novembre scorso, firmato nella produzione musicale da Gino Vannelli. Canto, recitazione, brani celebri, sketch divertenti e racconti inediti: gli spettacoli e le trasmissioni televisive di Massimo Ranieri sono questo e molto altro ancora. Sentirlo raccontare un aneddoto e presentare un’esibizione in cui lui stesso è impegnato in canto, recitazione e passi di danza può stupire e lasciare interdetti solo coloro che in questi anni non si siano mai imbattuti in uno suo travolgente, incalzante spettacolo. «Voglio che il pubblico sappia che ho bisogno di raccontarmi, oltreché di cantare: descrivere i momenti belli e i dolori dell’anima. In questo spettacolo – spiega Ranieri – ho setacciato la mia avventura umana e professionale, tirando fuori gli errori, le vittorie, gli amori belli finiti male, le sconfitte che ti fanno chiudere lo stomaco e non riesci più neanche a mangiare, vorresti nasconderti in casa, però devi comunque fare buon viso a cattivo gioco e reagire». Tutti i sogni ancora in volo 27 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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La settima edizione di Jazz&, tradizionalmente ospitata alle Sale Apollinee della Fenice, vede in scena il nuovo trio del vibrafonista Saverio Tasca (sabato 2 marzo), il violinista Luca Ciarla (venerdì 8 marzo) e il pianista Aaron Goldberg (sabato 16 marzo). Il Saverio Tasca Vibes Trio, formato da Alessio Zoratto al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria, cambia il suono del consueto Piano Trio, formazione che già ha dato tanto a questo stile, sostituendo il pianoforte col vibrafono. Il timbro che ne risulta è maggiormente fluido, liquido, sebbene il trio esprima anche grande ritmicità e vivacità. Vengono proposti brani originali che si ispirano alle persone, al loro vivere autentico in aperto contrasto con la globalizzazione. Sono musiche dense di suggestioni che stimolano riflessioni individuali. Lo stile compositivo di Saverio Tasca è caratterizzato da una costante ricerca introspettiva che coinvolge tanto la parte emotiva quanto quella logica dell’ascoltatore. Il concerto sarà aperto dal giovane pianista napoletano Lorenzo Vitolo, per il circuito Tomorrow’s Jazz, dedicato ai giovani talenti del jazz italiano. L’alchimista del violino Luca Ciarla (violino, voce, loop & electronics) crea le sue musiche con un pedale loop, la sua voce e diversi strumenti giocattolo. Esegue in solo e rigorosamente dal vivo tutta la partitura della sua orchestra, suonando il violino anche come una chitarra, un violoncello o una percussione. In questo fantasioso mondo musicale Luca canta, fischia, suona altri strumenti e aggiunge nuove improvvisazioni per un programma che vede composizioni originali intrise di atmosfere mediterranee, dal sapore minimalista, e insoliti arrangiamenti della tradizione popolare italiana. Nel suo nuovo progetto, vediamo Aaron Goldberg affiancato dal grande contrabbassista neozelandese Matt Penman e dal giovane e talentuoso batterista siciliano, Joe Santoro. Fortemente ispirato dai classici e in particolare dal pianista giamaicano Monty Alexander, Aaron è dotato di grande senso dello swing, ma la sua curiosità lo ha portato ad appassionarsi sia alla musica brasiliana, in particolare alle composizioni di Antonio Carlos Jobim che propone in ogni suo show, sia alla musica europea colta. Dotato di grande prestanza strumentale e di un raffinato gusto ritmico-melodico, sin dai primi anni della sua carriera è stato oggetto di attenzione da parte di alcuni tra i più importanti musicisti jazz, da Michael Brecker a Kenny Garrett, da Mark Turner a Kurt Rosenwinkel, e in particolare da Joshua Redman, con cui intrattiene da più di vent’anni un intenso rapporto di collaborazione artistica. Jazz& 2, 8, 16 marzo Teatro La Fenice www.venetojazz.com


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musica LIVE & MORE

AMANDOVI. PER SEMPRE Premessa: se fino a qualche tempo fa le reunion dei gruppi rock erano considerate un fenomeno negativo, dovuto alla divorante nostalgia dei fan oppure all’assottigliarsi dei conti in banca dei musicisti, oggi sembra prevalere una spiegazione di natura “storicistica”. E cioè che la reunion sia semplicemente la fase terminale del ciclo di vita di una band, che segue, distanziata di parecchi anni, la rottura per esaurimento delle relazioni tra i vari membri. I tour massacranti, l’ansia da prestazione negli studi discografici, le divergenze musicali, la diversità dei ruoli tra i primattori e seconde linee: tutto questo favorisce la rottura di un gruppo. Ma, dopo anni di distacco, ecco che l’idea di rimettersi insieme coi compagni che divisero ogni giorno della tua giovinezza può avere il suo fascino. Detto questo, va precisato che quella dei CCCP non sembra configurarsi come una reunion, ma piuttosto come “un risvegliarsi della cellula dormiente” come da tempo va dicendo il loro visionario cantante Lindo Ferretti. Prendendo spunto dal compimento dei 40 anni del loro primo EP, Ortodossia, pubblicato nel 1984 e che conteneva già dall’inizio tutte quante le stimmate culturali e musicali del quartetto di Reggio Emilia, il gruppo ha inanellato una serie di iniziative che sembrano configurarsi più come un ritorno alle origini che come una reunion. Hanno cominciato nell’ottobre del 2023 con due eventi-concerto, dal titolo Gran Galà Punkettone, al teatro Valli di Reggio. Il 12 ottobre si è aperta ai Chiostri di San Pietro, sempre a Reggio Emilia, la mostra Felicitazioni! CCCP-Fedeli alla linea 1984-2024, mostra distante mille miglia da quelle legate alla esibizione feticista dei memorabilia della band, e che invece trova le sue radici in una lucida ricostruzione degli scenari sociali, politici, mediatici del decennio degli ‘80. Il 23 febbraio esce un loro album live, contenente la registrazione del primo concerto della band a Reggio Emilia, il 3 giugno 1983, mentre per i tre giorni successivi la band si esibirà all’Astra Kulturhaus di Berlino, in omaggio alla città che fece incontrare nel 1981 le due anime dei CCCP, quella musicale di Massimo Zamboni e quella poetico-visionaria di Giovanni Lindo Ferretti. E già si legge sui giornali la possibilità di altri concerti in Italia nell’estate del 2024. È impossibile pensare che non ci sia una trama dietro tutte queste iniziative, ciascuna dotata di una valenza simbolica legata ad una riflessione sulle mitologie fondative del culto CCCP. Certo: la sovrapposizione tra punk e melodia da balera, il corto-circuito geopolitico tra Emilia, Berlino e URSS, la contestualizzazione nei loro concerti tra musica, parola e teatro sono tutti aspetti salienti e decisivi della personalità dei CCCP. Ma ancor di più affascina il loro sguardo alla storia declinante dell’Occidente, come l’Angelus novus di Benjamin che fissa lo sguardo sulle rovine della storia mentre una tempesta lo spinge irrimediabilmente verso il futuro, a cui volge le spalle. E i CCCP questo hanno cantato per tutti gli anni in cui vissero: «Ciò che noi chiamiamo progresso, è questa tempesta». F.D.S. Felicitazioni! CCCP-Fedeli alla linea 1984-2024 Fino 10 marzo Chiostri di San Pietro-Reggio Emilia www.chiostrisanpietro.it

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Padroni della pista The Italian Affair, alla sua quinta edizione, arriva in quel di Marghera per due interessanti serate in pieno spirito sixties al Vapore. Due band live ed un formidabile squadrone di selecters che si alterneranno venerdì 2 e sabato 3 febbraio, è il menù che l’instancabile gang di Stefano Miceli propone per il 2024. Venerdì con The Smart set, trio padovano di organo, sax e batteria, per un’immersione jazz soul nelle atmosfere dei grandi autori del cinema italiano (Morricone, Umiliani, Trovaioli solo per citare i più famosi). Sabato protagonista il garage con le irresistibili fiorentine The Cleopatras, che presenteranno anche il loro nuovo album Bikini Grill. A darsi il cambio alla consolle saranno in sei e per primo presento Enrico “Henry” Lazzeri, milanese, nome notissimo in tutta Italia per gli appassionati, che considero un faro per chiunque voglia cimentarsi nell’arte di far girare dischi. Prevalentemente orientato su mod, soul e garage è però un vero curioso della musica e in grado di spaziare ovunque e sorprendere sempre, con gusto. Michelangelo “Michael Myers” Mongiello arriva da Trieste, dove vive e lavora da anni e dove è stato organizzatore di numerosi eventi legati alla scena garage. Bill Carson vive a Graz, ma nato e cresciuto a Lubiana, divide le sue serate nei club di entrambe le città, cultore della Swingin’ London, appassionato ricercatore e collezionista di band e musica del periodo, proporrà le sue selezioni fatte per ballare, ma anche conoscere. Enrico Bandini è l’animatore delle serate Soul Hustler a Ferrara durante l’inverno e sulla spiaggia di Marina Romea d’estate. Grande cultore degli anni ’60-‘70, ama ballare e far ballare. Dal 1998 a Nizza monsieur Eric Djiane organizza The Riviera Affair: poteva mancare all’omologo italiano? Selezione prevalentemente mod/soul ma anche ‘frizzantino French Yè yè’. Da buon ballerino sa quel che ci vuole per riempire una pista. Infine da Vienna Micheal Kern: il suo nome è legato a filo doppio alla musica ed alla cultura underground della capitale austriaca. Annuncia un mix di Fuzzy, us garage, freakbeat, Funky soul. Ha messo i suoi dischi in numerosi club europei ed anche qui in Italia dove sta cominciando ad essere ben conosciuto. Oltre alle due super serate ci sarà anche un pomeriggio danzante sabato al Dining Room a due passi dal Vapore, per ritrovarsi, conoscersi e naturalmente ascoltare bella musica. Sergio Collavini The Italian Affair 2, 3 febbraio Al Vapore Marghera www.alvapore.it


Nativo napoletano Il 18 luglio 1998 ero allo stadio San Paolo di Napoli, precisamente sul prato, per assistere a un concerto che non si sarebbe mai potuto definire “normale”. Sì, perché sul palcoscenico ci sarebbe stato uno dei tanti figli di Napoli, che come tutti i figli che si rispettino non aveva e non avrebbe mai avuto un rapporto facile con i propri genitori, in questo caso confluenti in una città che tutto si potrebbe definire tranne che “normale”. Quando fu il turno di Napule è, quel rapporto deflagrò in 80.000 persone che semplicemente non avrebbero voluto stare in nessun altro luogo al mondo, per nessun motivo al mondo. Se al Toniolo di Mestre il prossimo primo marzo Fabrizio Bosso alla tromba e Julian Oliver Mazzariello al pianoforte uniscono i rispettivi talenti per omaggiare Pino Daniele con Il cielo è pieno di stelle è perché convinti e capaci di ricreare anche solo un briciolo della potenza artistica e comunicativa di un gigante musicale come Pino. L’omaggio di Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello nasce in occasione di una rassegna dedicata ai grandi autori italiani organizzata dal MAXXI di Roma per la quale il giornalista Ernesto Assante, che ne ha curato la direzione artistica, ha pensato di affidare a Fabrizio il compito di rendere omaggio al grande cantautore partenopeo: immediata la decisione di realizzare questo tributo con Julian Oliver Mazzariello, con il quale il sodalizio dura ormai da un ventennio. «La musica e la poetica di Pino Daniele – racconta Bosso – hanno influenzato generazioni di musicisti, me compreso. Nelle sue melodie non c’è mai una nota fuori posto e non c’è solo il blues, il rock o il funky ma anche tantissimo jazz. Tutti abbiamo cantato Pino Daniele nella nostra vita». I due musicisti ripercorrono le diverse traiettorie musicali di Daniele, cercando di restituire un ritratto inedito del cantautore napoletano, puntato soprattutto sulla musica. L’intenzione non è una semplice rilettura, ma vestire una musica già grande con colori nuovi e autentici, facendo risuonare melodie straordinarie con la timbrica e la poesia di due eccezionali protagonisti del jazz contemporaneo. Davide Carbone Il cielo è pieno di stelle. Omaggio a Pino Daniele 1 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

Cambi d’abito La direzione artistica di Veneto Jazz prosegue per Candiani Groove anche in questo 2024, sempre con la precisa intenzione di sfuggire ad ogni forma di catalogazione e inquadramento. Dopo il concerto del 21 gennaio con il duo Loccisano-De Carolis, il secondo appuntamento è il 4 febbraio con la band ungherese Söndörgó´, una delle formazioni più entusiasmanti e innovative sulla scena internazionale della world music, caratterizzata dalla natura primordiale della musica tradizionale, la raffinatezza delle composizioni classiche, l’energia della musica rock e la purezza del pensiero di Bartók, loro autentico spirito guida. A questo proposito, hanno un solo criterio, quello che Béla Bartók formula in una lettera del 1931: «Non mi escluderò da nessuna influenza […], solo la fonte deve essere pulita, fresca e sana». Da non perdere l’appuntamento di domenica 11 febbraio con Oltre il petrolio, uno spettacolo su clima e ambiente con filmati di viaggio con Patrizio Roversi, accompagnati dalle musiche di Maurizio Camardi e David Soto Chero, più volte ospiti con concerti solisti al Candiani, per la regia di Mietta Corli. La cifra dello spettacolo è una leggerezza capace di strappare qualche sorriso, raccontando progetti di cooperazione internazionale che aprono prospettive positive. Il 9 marzo sale sul palco Toninho Horta, che nella storia della musica brasiliana e non solo, merita un posto di grande rilievo, avendo sviluppato i dettami della scuola del Minhas Gerais, sua regione natale, e influenzato i grandi musicisti di fine secolo anche oltre i confini sudamericani. Oltre ad Alfredo Paixao, uno dei migliori bassisti elettrici brasiliani residenti in Europa, in questo progetto troviamo al suo fianco il grande sassofonista veneziano Pietro Tonolo, nell’Olimpo dei musicisti italiani di jazz riconosciuti a livello internazionale, e il batterista e vibrafonista Jorge Rossy. Il 17 marzo ecco Salvador Sobral, cantante che ha stregato pubblico e giuria dell’Eurovision Festival facendo balzare il suo nome in primo piano nel panorama musicale europeo. Con la sua voce straordinaria, fatta di timbro e tecnica, appoggia le frasi della sinuosa lingua portoghese con la stessa sensibilità di un interprete jazz. Candiani Groove 4, 11 febbraio; 9, 17 marzo Centro Culturale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/candiani

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SUONARE D’ANTICIPO Per me l’arte, e la musica soprattutto, consiste nell’elevarci il più possibile al di sopra di ciò che è Gabriel Fauré

classical

di D.P.

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I

n occasione del centenario della morte, Gabriel Fauré viene celebrato da Palazzetto Bru Zane grazie ai lavori degli artisti che sono stati suoi allievi. Sette concerti e una conferenza, in programma a Venezia dal 23 marzo al 23 maggio, mettono in luce un compositore che si è collocato agli antipodi delle convenzioni, pur risultando capofila di un’intera generazione di musicisti. All’alba del XX secolo, Fauré assume il compito di voltare la pagina del romanticismo e di rasserenare un ambiente musicale profondamente diviso, come quello francese. Artista dal percorso atipico ma dai meriti indiscutibili, non frequenta il Conservatorio di Parigi e non dedica i primi capolavori alle scene liriche. Discepolo di Saint-Saëns alla Scuola Niedermeyer, si esprime anzitutto nei concerti d’avanguardia, nelle chiese e nei salotti. In una Francia lacerata dal caso Dreyfus, rappresenta allo stesso tempo un compromesso e una via nuova e la sua influenza come docente di composizione investe musicisti come Nadia Boulanger a Maurice Ravel passando per Florent Schmitt, Georges Enescu e Charles Koechlin. Nel XIX secolo, la via maestra di un compositore francese segue abitualmente una serie di tappe fisse: un brillante corso di studi al Conservatorio di Parigi, l’ottenimento del Prix de Rome per la composizione musicale, la produzione di opere liriche. Nessuno può sperare di conseguire gli incarichi più prestigiosi o di ricevere i massimi onori senza attenersi a questo percorso standard. Gabriel Fauré è invece il primo ad arrivarci seguendo tutt’altra strada. Figlio del direttore di un istituto magistrale, a nove anni viene mandato alla Scuola di musica classica e religiosa recentemente fondata da Louis Niedermeyer. Qui,

allievo di Clément Loret (organo), Camille Saint-Saëns (pianoforte) e dello stesso Louis Niedermeyer (composizione), riceve una formazione artistica rivolta sia verso i maestri antichi sia verso i moderni, destinata tuttavia a fare di lui unicamente un musicista di chiesa. Parallelamente alla carriera di maestro di cappella e di organista, Fauré mostra nei grandi salotti parigini un altro aspetto di sé. Sostenuto da mecenati influenti, in particolare dalla principessa di Polignac, trova presso l’aristocrazia francese uno spazio d’espressione formidabile e perfettamente adatto alla sua sensibilità, che non smette mai di esplorare il genere della mélodie francese: il suo catalogo ne conta oggi centoundici. L’inizio del XX secolo vede dunque la consacrazione ufficiale di Fauré. Dopo essersi infine piegato alle usanze liriche dell’epoca con Prométhée, rappresentato all’Arena di Béziers nel 1900, e con Pénélope, andata in scena al Teatro di Monte Carlo nel 1913, il compositore viene nominato direttore del Conservatorio (1905) e poi è eletto membro dell’Institut de France (1909). La sua fama si impone anche in sala da concerto, in particolare con il successo della Pavane e delle musiche di scena di Pelléas et Mélisande. Si potrebbe considerare quest’ultima fase come un passaggio all’accademismo, o pensare che il musicista, invecchiando, si sia ripiegato in un’estetica superata, ma in realtà Fauré si mostra perfettamente attento alle aspirazioni dei suoi allievi.

Il filo di Fauré 14 marzo-23 maggio Palazzetto Bru Zane Scuola Grande San Giovanni Evangelista, Auditorium Lo Squero www.bru-zane.com


F

or the one hundred years since his death, Gabriel

Gabriel Fauré, fotografia di Paul Nadar (1856-1939), 29 novembre 1905

Fauré will be celebrated at Palazzetto Bru Zane with seven concerts and a conference over the March 23—May 23 period. Fauré is a composer standing at the antipodes of conventions, all the while mentoring a whole new generation of musicians. In the early 1900s, Fauré took it upon himself to step a way from musical Romanticism and create a more serene environment. At the time, the French musical world was deeply divided. Fouré didn’t study at the Paris Conservatory. A pupil of Saint-Saëns’ at the Niedermeyer School, he soon developed an interest in avant-garde concerts. Back in the nineteenth century, the CV of a French composer was quite a regular affair: the Paris Conservatory, the Prix de Rome for musical composition, and a keen interest in opera. The industry’s highest honours were reserved only to those who kept true to that very specific path. Gabriel Fauré was the first to attain the same via a totally different route. As a child, he was sent to learn music at the school founded by Louis Niedermeyer, who taught him composition. Other teachers were Clément Loret (organ) and Camille Saint-Saëns (piano). While his education comprised both old and modern music, his teachers thought of him as a church music composer-to-be. Fauré did, in fact, work as a choirmaster and organist, but in the Parisian salons, he showed a different version of himself. After securing the favour of wealthy sponsor, he found in French aristocracy a space to express freely, a space that was perfect for his sense of music, close to French mélodie. Fauré authored 111 mélodies. In the early 1900s, Fauré is consecrated in the French music Gotha. After paying his dues to the world of opera with Prométhée and Pénélope, Fauré was made director of the Paris Conservatory (1905) and member of the Institut de France (1909). His latest years might seem a concession to Academia, but it is proved that Gabriel Fauré kept being mentoring his students towards more and more modern forms of music.

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classical PALAZZETTO BRU ZANE IL FILO DI FAURÉ

CONCERTI Fuori discussione

Il concerto di presentazione del Festival vede protagonista il pianoforte di Lorène de Ratuld e un repetorio di musiche di Ladmirault, Laparra e dello stesso Fauré. Concentrandosi proprio sulla svolta radicale e necessaria che il musicista fece intraprendere alla scena romantica francese, questa esibizione mette l’accento su come la carriera del protagonista del Festival sia stata un equilibrio tra il suo percorso atipico e meriti indiscutibili che scalfirono la naturale diffidenza verso un uomo e un artista ‘nuovo’. Come musicista da camera o solista, Lorène de Ratuld si esibisce nelle principali sedi parigine ed è ospite di importanti festival: torna a Palazzetto Bru Zane a conferma di una comunione di interessi artistici che l’ha vista collaborare più volte con il Centre de musique romantique française. ENG The Festival’s opening concert features Lorène de Ratuld’s piano and a reperPhoto N. Adam toire of Ladmirault, Laparra, and Fauré. The show will focus on the necessary, radical change that Gabriel Fauré effected on the French Romantic music scene, and will also highlight his atypical itinerary and unquestionable merits that made it possible to overcome natural diffidence for an up-and-coming, original artist. Lorène de Ratuld is an established performer in the Paris scene and is a guest in important music festivals. 14 marzo Palazzetto Bru Zane

All’alba di una nuova era

Un repertorio dedicato a Roger-Ducasse: chi meglio di lui può simboleggiare il passaggio di testimone tra Fauré e la generazione che ha formato? Studente nella classe di composizione di Fauré tra il 1898 e il 1900, fondò la Société musicale indépendante nel 1909 e ne affidò la presidenza onoraria a Fauré, al quale nello stesso anno dedicò il suo primo quartetto per archi. Dopo essere stato titolare della classe di ensemble del Conservatorio, Roger-Ducasse diventa professore di composizione, continuando l’insegnamento di Fauré fino alla Seconda guerra mondiale. Il Quatuor Strada e il pianista Simon Zaoui rendono visibile al pubblico l’enorme peso espressivo che esercitò Fauré sulle generazioni a lui successive. ENG Roger-Ducasse: who, better than him, can act as the symbol of the next generation, the one that Gabriel Fauré educated and mentored? A student of Fauré, Roger-Ducasse founded the Société musicale indépendante in 1909. He also headed the Ensemble course at the Conservatory, and taught composition until WWII. Quatuor Strada and pianist Simon Zaoui will show the public the enormous expressive weight that Fauré instilled in subsequent generations of musicians. 23 marzo Scuola Grande San Giovanni Evangelista

Maestro Fauré

Eccellenti nell’arte della mélodie, il tenore Cyrille Dubois e il suo accompagnatore di sempre, il pianista Tristan Raës, presentano Gabriel Fauré sotto una luce nuova. Nato nel 1985 a Ouistreham, il tenore francese Cyrille Dubois ha cantato come voce solista nella Maîtrise de Caen e ha studiato al Conservatorio di Parigi prima di entrare nello studio dell’Opéra National de Paris. Tristan Raës inizia a studiare il pianoforte a 6 anni, con il padre Alain. A 13 anni ottiene il Primo Premio alla Schola Cantorum nella classe di Jean Jacques Painchaud e, nello stesso anno, il Secondo Premio al concorso di Sarrebourg. Nel 1999 è stato accettato all’unanimità al Conservatorio di Parigi (Conservatoire National Supérieur de Musique), dove ha ottenuto il prix in pianoforte e il diploma di perfezionamento nel 2002, nella classe di Bruno Rigutto. ENG Tenor Cyrille Dubois and pianist Tristan Raës excel in mélodie, and know how to present Fauré’s art under a new light. Dubois (b. 1985) performed solo at the Maîtrise de Caen, studied at the Paris Conservatory, and then entered the studio at the Opéra National de Paris. Tristan Raës started practicing piano at age six. At thirteen, he was awarded the First Prize at Schola Cantorum in Jean-Jacques Painchaud’s class and the Second Prize at the Sarrebourg Competition. 24 marzo Palazzetto Bru Zane

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classical CONCERTI & OPERA

FOCUS

Il gesto racchiuso Sul palcoscenico della Fenice, i più grandi

Myung-Whun Chung, primo in assoluto a essere nominato Direttore Emerito della Filarmonica della Scala di Milano dal 2023 e Direttore Ospite Principale di Dresden Staatskapelle, oltre che Direttore Musicale Onorario della Tokyo Philharmonic Orchestra, dell’Orchestre Philharmonique de Radio France di Parigi e della KBS (Korean Broadcasting System) Orchestra, è stato recentemente nominato Direttore Artistico della nuova Busan Opera and Concert Hall in Corea del Sud. La lunga ed eccezionale attività musicale di Myung-Whun Chung lo ha visto ricoprire la carica di Direttore Musicale dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Saarbrücken, Direttore Ospite Principale del Teatro Comunale di Firenze, Direttore Principale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma e Direttore Musicale dell’Opéra de Paris-Bastille. Myung-Whun Chung ha diretto le più importanti orchestre in Europa, negli Stati Uniti e in Asia. È stato insignito di numerosi riconoscimenti e premi, tra cui Commandeur de la légion d’honneur dal Governo francese, Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia e Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e ha ricevuto il più alto riconoscimento culturale assegnato dal Governo coreano. Gli sono state inoltre consegnate le chiavi della Città di Venezia, con cui il rapporto è quasi simbiotico e che a marzo lo vedrà alla Fenice in ben quattro differenti date. Dal 2008, Myung-Whun Chung è Ambasciatore Internazionale di buona volontà per il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, UNICEF.

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In occasione del duecentesimo anniversario della nascita di Anton Bruckner la Stagione Sinfonica del Teatro La Fenice ne celebra il genio con diverse bacchette internazionali chiamate a raccolta per l’occasione. Nei due concerti in programma sabato 17 febbraio e domenica 18 febbraio Hartmut Haenchen tra i più celebrati del panorama attuale – nel 2017 è stato nominato direttore dell’anno dal prestigioso periodico «Opernwelt» e nel 2018 ha ricevuto a Lipsia il prestigioso Premio Richard Wagner – dirige la Sinfonia n. 4 in mi bemolle maggiore WAB 104 Romantica di Bruckner. Anton Bruckner (1824–1896) iniziò la composizione della Quarta Sinfonia nel gennaio 1874 e già nel mese di novembre l’aveva conclusa. La genesi apparentemente breve, tuttavia, era destinata a essere soltanto il primo stadio di un lungo lavoro di rielaborazione, che si protrarrà fin quasi ai suoi ultimi anni di vita. Il tratto romantico, espressamente sottolineato dall’autore, risiede nell’evocazione magica della natura incontaminata, con il richiamo del corno – strumento boschivo per eccellenza –, l’animazione della caccia, le voci di uccelli; così come nella rievocazione delle suggestioni del mondo medioevale antico, entrambi topos centrali nella cultura romantica dell’Ottocento. Alpesh Chauhan dirige in particolare l’ultimo lavoro sinfonico compiuto del compositore austriaco, l’Ottava Sinfonia in do minore. La recita di sabato 24 febbraio si inserisce nel contesto dell’ormai consolidato progetto La Fenice è giovane, realizzato dal Teatro veneziano in collaborazione con McArthurGlen Noventa di Piave Designer Outlet. E per rendere l’esperienza del teatro ancora più speciale, prima dell’inizio del concerto, a partire dalle 18.30, sarà possibile per il giovane pubblico accedere alle Sale Apollinee per un brindisi offerto da Bellussi Valdobbiadene, in un foyer reso frizzante dalla presenza di un fotografo che accoglierà gli spettatori offrendo loro una Polaroid come ricordo. L’1 e il 3 marzo alla Fenice arriva Ivor Bolton, uno dei più illustri direttori d’orchestra nel campo del repertorio barocco e classico, titolare di una registrazione su Bruckner che ha suscitato il clamore della critica. Il 7 e 9 marzo il pianista e direttore Rudolf Buchbinder porta invece sul palcoscenico un repertorio comprendente il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore op. 37 e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in mi bemolle maggiore op. 73 Imperatore di Beethoven: la data del 7 marzo sarà preceduta da un incontro a ingresso libero con il musicologo Roberto Mori. Il 22, 23, 28 e 29 marzo Myung-Whun Chung, ormai di casa in Campo San Fantin, è prima nella doppia veste di pianista e direttore e poi in quella di direttore per brani di Verdi, Beethoven e Brahms, assieme al violino di Roberto Baraldi e al violoncello di Emanuele Silvestri. Stagione Sinfonica 2023-2024 17, 18, 23, 25 febbraio; 1, 3, 7, 9, 22, 23, 28, 29 marzo Teatro La Fenice www.teatrolafenice.it


Il tormento e l’estasi Respighi torna in scena con Maria Egiziaca La Fenice prosegue la sua Stagione operistica con l’intento di offrire al pubblico una programmazione complessa e originale, che contempla un’alternanza tra opere della tradizione più rappresentate e lavori meno conosciuti e scarsamente messi in scena. È il caso di un’opera di Ottorino Respighi, Maria Egiziaca, scritta nel 1931, andata in scena l’ultima volta a Venezia nel 1956 e ora riproposta al Teatro Malibran dall’8 al 16 marzo. Venne eseguita in forma di concerto per la prima volta a New York alla Carnagie Hall il 16 marzo 1932, mentre in forma scenica fu il Teatro Goldoni di Venezia il 10 agosto 1932 ad ospitare la prima assoluta. Il “mistero” in tre episodi, su libretto di Claudio Guastalla va in scena con la regia di Pier Luigi Pizzi e la direzione musicale di Manlio Benzi. Il cast è composto da Francesca Dotto nel ruolo del titolo; Vincenzo Costanzo nel doppio ruolo del marinaio e del lebbroso; Dalibor Jenis in quelli del pellegrino e dell’abate Zosimo; Luigi Morassi in quelli di un altro compagno e del povero; Ilaria Vanacore in quelli della cieca e della voce dell’angelo; William Corrò in quello della voce dal mare. Maestro del Coro Alfonso Caiani. Respighi e il librettista Guastalla trassero ispirazione per l’opera da una leggenda medievale, tramandata nell’anonimo poema agiografico della Vida de Santa Maria Egipciaca. Si narra la vita di Maria, una donna che aveva trascorso la sua gioventù nella più sfrenata libertà di costumi fino a quando all’improvviso venne colpita da una fortissima attrazione per la croce di Cristo, che ebbe modo di contemplare a Gerusalemme, dopo aver provato un sincero e pieno pentimento per aver vissuto sino ad allora in una condizione di estremo peccato. Dopo aver cercato e trovato la purificazione, Maria sarebbe scomparsa nel deserto dove visse in preghiera fino a tarda età e fu nel deserto che un monaco in odore di santità la trovò morente e la seppellì con l’aiuto di un leone. La partitura è densa di arcaismi, nell’opera si sommano numerose suggestioni: dalle citazioni francescane di Guastalla con il coro finale degli angeli “Laudato sii, Signore”, alle ricostruzioni in stile gotico delle scenografie, la didascalia prevede che quella d’apertura riproduca in un trittico i luoghi della vicenda. Cifra tipica di Respighi è la tinta gregoriana, di cui il Maestro era un profondo conoscitore; nel secondo quadro i canti provengono dall’interno del tempio di Gerusalemme. Si trova nell’ispirazione di Respighi anche una vocazione sinfonica con due intermezzi illustrati da lunghe didascalie come in un poema, che collegano i tre episodi di cui si compone l’opera. Le pagine più significative di questa ‘opera da concerto’ risultano tuttavia quelle in cui la ricca vena sinfonica respighiana si fonde con una vocalità intensamente drammatica; è ciò che accade soprattutto nel momento della redenzione di Maria, nell’aria “O bianco astore, angelo del Signore” e nella successiva esaltazione mistica “O Salutare, che non oso nomare”. F.M.

The Agony and the Ecstasy ENG

The opera season at Fenice Theatre grows more complex and original, with traditional, A-list operas alternating with less known, though very interesting, works. It is such a case with the upcoming staging of Ottorino Respighi’s Maria Egiziaca, last performed in Venice in 1956 and now scheduled at Teatro Malibran in Venice on March 8 to 16. The opera premiered in concert format at New York’s Carnegie Hall in March 1932, while its full-scene premiere took place in Venice in August of the same year. The staging we are going to see this year will be directed by Pier Luigi Pizzi and conducted by Manlio Benzi, with Francesca Dotto in the title role, Vincenzo Costanzo, Dalibro Jenis, Luigi Morassi, Ilaria Vanacore, and William Corrò. The story is a Medieval fantasy inspired by the life of Mary of Egypt, who repented from a life of sin after seeing Jesus’ cross in Jerusalem. Once cleared of her sins, Mary moved to the desert, in Egypt, where she lived a life of prayer until old age. She was found, dying, by a monk, who buried her with the help of a lion. Maria Egiziaca 8-16 marzo Teatro Malibran www.teatrolafenice.it

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classical RASSEGNE

Photo Arnaud Kehon

Lo specchio dei tempi La Fondazione Benetton Studi Ricerche e l’associazione almamusica433, con la vicinanza e il sostegno di Fondazione CMB, organizzano tra febbraio e giugno la seconda stagione di Landscapes, un ricco calendario di eventi tra musica, teatro, danza e incontri, con la direzione artistica di Stefano Trevisi, ospitato nella Chiesa di San Teonisto. La nuova edizione, come la precedente, integra il repertorio classico e antico, da sempre presente nelle proposte musicali della Fondazione Benetton, con altri generi artistici, dando spazio anche a incontri pubblici. Il filo conduttore che dà il titolo alla rassegna nasce dalla volontà di riflettere sui paesaggi contemporanei, dai deserti ai confini, ai territori dell’anima, luoghi di frontiera delle sfide che ci troviamo ad affrontare su scala globale. Apre i giochi il 10 febbraio un omaggio a Ennio Morricone, con un concertoracconto sulla musica e sulla vita del celebre compositore che vede sul palco Alessandro De Rosa, compositore, co-autore con lo stesso Ennio Morricone di Inseguendo quel suono, autobiografia ufficiale del Maestro romano. Si prosegue giovedì 29 febbraio con l’ensemble francese La Rêveuse e il loro Le Concert des Oiseaux, un viaggio attraverso i secoli con un programma che, partendo dal repertorio antico, arriva fino a Ravel, creando un Carnevale degli animali del tutto personale, ispirato all’opera di Saint-Saëns. ENG The Benetton Foundation and association almamusica433 announced Landscapes, a rich programme of music, theatre, dance events that will take place over the next several months at San Teonisto Church in Treviso. Ancient and classical repertoire will be integrated with more modern production, and open conferences will compliment the programme. Its namesake invites us to reflect on modern landscapes, from deserts to borders, to the places of the soul, to the challenges we face on a global scale. Landscapes will start with an homage to Ennio Morricone on February 10, a concert and story on the life of the celebrated composer. The second date, February 29, will see the participation of French ensemble La Rêveuse. Landscapes 10, 29 febbraio Chiesa di San Teonisto-Treviso www.fbsr.it

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Colpi di teatro Toniolo, generazioni a confronto Giovani e talentuosi musicisti per 6 suonato?, la sezione dedicata ai giovani e alle scuole della Stagione di musica da camera e sinfonica di Mestre 2023.24, organizzata dal Settore Cultura del Comune di Venezia con gli Amici della Musica di Mestre: venerdì 2 febbraio il violinista Giovanni Andrea Zanon e la pianista Leonora Armellini suonano insieme al Teatro Toniolo. Lei, nata a Padova 31 anni fa, è stata premiata al Concorso Pianistico Internazionale “Chopin” di Varsavia, diventando la prima italiana ad aver scalato le vette della competizione considerata il vertice del pianismo mondiale. Lui, 25 anni originario di Castelfranco Veneto, è considerato l’enfant prodige del violino: entrato a quattro anni al conservatorio di Padova è il più giovane ammesso nella storia delle istituzioni musicali statali italiane, si è esibito in alcune delle sale più prestigiose del mondo e ha rappresentato l’Italia suonando allo stadio di Pechino in occasione della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi 2022. Tornando alla Stagione principale, Federico Zaltron e Duved Dunayevsky il 23 febbraio offrono invece una digressione in chiave jazz anni ‘30, il primo come raffinato violinista improvvisatore e il secondo come principale interprete dello stile chitarristico di Django Reinhardt. Il Trio Boccherini, sul palco del Toniolo il 27 febbraio, si è costituito nel 2014 a Berlino ed è frutto di ripetuti incontri fra gli artisti, come spesso accade nella vita musicale della capitale tedesca. Assieme al vincitore del Premio Venezia 2019, Elia Cecino, hanno studiato un repertorio dedicato a Beethoven, con This is the color of my dreams di Alyssa Weinberg alla prima esecuzione italiana. Il 27 marzo al Candiani, ancora per 6 suonato? Stagione giovane, il concerto del Quartetto Klem: nato nel 2021 nell’ambito dei corsi di musica da camera della Scuola


Photo Nadia Romanini

La Stagione parallela

Internazionale di Musica, è un gruppo eclettico ed eterogeneo formato da quattro giovani musiciste, tutte e quattro già appassionate di musica da camera. La scorsa estate ha preso parte alla stagione Giovani Talenti dell’Orchestra da camera di Perugia ed è stata Ensemble in Residence di Villa Pennisi in Musica. ENG Young, talented musicians populate the upcoming chamber and symphony programme in Mestre. On February 2, violinist Andrea Zanon and pianist Leonora Armellini will perform at Toniolo Theatre. Armellini, 31, is the first Italian female pianist to earn an award at the International Chopin Piano Competition, while Zanon, 25, is the youngest student ever admitted at an Italian conservatory—he was four years old when he enrolled. On February 23, Federico Zaltron and Duved Dunayevsky will perform in a jazz excursus, the former as an improvisational violinist, the latter as an interpreter of Django Reinhardt’s guitar virtuosity. The Boccherini Trio will perform Beethoven on February 27. On March 27, at the Candiani Cultural Centre, the Klem all-female quartet will show their love for chamber music. Stagione 2023.24 2, 23, 27 febbraio; 27 marzo Teatro Toniolo, Centro Culturale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

Due concerti in Sala Grande, uno al Teatro Malibran, dodici in doppio turno alle Sale Apollinee più altri otto in data singola, sempre alle Sale Apollinee. In totale 35 concerti, articolati in 23 differenti programmi e con interpreti di selezionatissimo livello artistico, pensati per esplorare il grande repertorio strumentale e vocale da camera dal Quattrocento a oggi. Questo il massiccio corpus della Stagione 2023-24 di Musikàmera. La novità principale sta nel titolo della Stagione, Anni Venti, riferito alla riflessione su un decennio che per diversi motivi in ogni secolo degli ultimi settecento anni è stato ricco di momenti significativi per l’evoluzione della musica. Negli anni Venti del Quattrocento nascono i primi mottetti di Dufay; nel 1527 Willaert viene nominato Maestro di cappella nella Basilica di San Marco a Venezia; nel Seicento Monteverdi è attivo a Venezia e pubblica il celebre Lamento d’Arianna; e ancora, gli anni Venti del Settecento sono quelli del Clavicembalo ben temperato di Bach, mentre importanti testi di armonia e contrappunto vengono dati alle stampe; nell’Ottocento vedono la luce i Capricci di Paganini, mentre la nuova generazione romantica di Mendelssohn, Schumann, Liszt e Chopin si innesta sugli ultimi capolavori di Beethoven e Schubert. E poi il Novecento, con la dodecafonia di Schönberg, il Neoclassicismo di Stravinskij e i primi lavori di Shostakovich, per arrivare agli anni Venti di questo secolo, in cui continua a nascere musica da camera che merita di essere eseguita e ascoltata. La stagione nel suo complesso mira ad affrontare un arco cronologico e un panorama stilistico ampi e articolati, coinvolgendo un ventaglio di organici cameristici il più possibile esauriente. Una programmazione che grazie alla consuetudine della doppia recita per ogni concerto mette insieme numerose date tra febbraio e marzo, incluso l’attesissimo appuntamento del 20 e 21 marzo con il pianista ungherese András Schiff che eseguirà musiche a sorpresa su un fortepiano storico, un Blüthner del 1859 in arrivo dalla Germania. ENG Two concerts in Sala Grande, one at the Malibran Theatre, twenty at the Sale Apollinee for a total of 12 musical programmes and performances by the very best international musicians. These are the numbers of the 2023/24 season of Musikàmera. What’s new this year shows up in the programme’s title, Anni Venti (lit. ‘the twenties’) – a reflection on a decade that in many centuries proved pivotal in the evolution of music. In the 1420s, Guillame Du Fay composed the first motets; in 1527, Willaert was hired as the chapel master at the St. Mark’s Basilica in Venice; in the 1600s, Monteverdi worked in Venice and releases his Ariadne; the 1720s are memorialized in Bach’s Well-Tempered Clavier, also, important essays on harmony and counterpoint make their appearance; in the 1820s, we have Paganini’s Capricci, and new Romantic generation of Mendelssohn, Schumann, Liszt, and Chopin building upon the late Beethoven and Schubert. And then the 1920s, with Schönberg’s dodecaphony and Stravinsky’s neo-classicism, to the 2020s, and its new, innovative wave of chamber music. Check out the programme, which includes a concert by András Schiff on a historical fortepiano from 1859. Musikàmera 2024 20, 21, 25, 26, 28 febbraio; 5, 6, 11, 13, 14, 20, 21, 27 marzo Teatro La Fenice www.musikamera.org

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classical REVIEW

Nuovo allestimento per Prometeo, Chiesa di San Lorenzo (Ocean Space) Courtesy La Biennale di Venezia. Ph. Andrea Avezzù

Il gigante che amava l’umanità Luigi Nono e il suo Prometeo, potenti come allora È in grado di raccogliere attenzione e grande interesse il Prometeo di Luigi Nono. A distanza di quarant’anni dalla sua prima, questo lavoro si presenta con energia inalterata. È vero che si tratta della celebrazione del centenario dalla nascita del compositore veneziano, nello stesso luogo della prima originale (restaurato e valorizzato culturalmente da alcuni anni grazie all’Ocean Space Fundación TBA21 di Madrid), ma riteniamo che venga riconosciuto al Prometeo di Nono un valore artistico radicale, di impegno alto, lontano dalla debolezza frequente di talune proposte odierne. Il valore di una proposta non riconducibile a categorie usuali, che ha confuso molta critica e molta opinione. Il rivolgersi senza mediazioni al nucleo tragico dell’uomo tecnologico, persevera nella sua attualità crescente. Punito duramente dagli Dèi, il gesto prometeico determinò drammaticamente una perdita esiziale per l’uomo, analoga alla cacciata dal Paradiso. Da quel momento, l’uomo si allontanò dalla completezza relativizzandosi, divenne stanziale e modificò il paesaggio, privilegiò l’utilitarismo e pensò al guadagno superfluo, alla mediazione della scrittura che sacrifica la creatività mnemonica mentre obbliga alla preminenza della vista, sacrificando così l’udito. Nel Prometeo, Nono indica con precisione la parzialità della civiltà visuale, la rinuncia dell’uomo alla capacità di ascoltare e di ascoltarsi profondamente, assegnato tragicamente all’obbligo relativista rinuncia all’erranza della conoscenza, facendosi meccanismo e non essenza. Padrone incatenato, schiavo della tecnica come utopia di sé stessa. Con sguardo acuminato, Alberto Savinio scrive-

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va: «Pochissimi sanno morire (perché sono pochi coloro che hanno saputo vivere); i più arrivano alla morte esausti, allo stato di larve e passano di là come succhiati da un’aspirapolvere». Nel Prometeo, Nono invita alla riscoperta della capacità d’ascolto, all’interesse verso il ‘silenzio sonoro’ dalle trame ricche di vertigini, di assonanze, di specularità. L’opera d’arte deve interrogare, non risolvere. Non porre soluzioni ma evidenziare aporie, faglie; l’opera d’arte deve ‘smascherare’ e disarmare, denudare, scuotere. Le isole del Prometeo di Luigi Nono potrebbero espandersi all’infinito, scavalcando il perimetro, il limite circoscritto della parola, concentrandosi nella forza rappresentativa della stessa ribaltandola, rendendola funzionale all’unico protagonista: l’ascolto. Nell’ultimo capitolo de Le voci di Marrakech, intitolato L’invisibile, Elias Canetti insegue «un profondo, lungo, ronzante aaaaaa. Non diminuiva e non aumentava, però non cessava mai, ed era sempre percettibile dietro ai richiami e alle grida innumerevoli di quella piazza». Si tratta della Djema el Fna, l’enorme piazza di Marrakech. Canetti sapeva da dove proveniva il suono, «conoscevo il piccolo fagotto marrone che stava per terra di cui non avevo mai visto niente, se non quel pezzo di stoffa macilento, ruvido e scuro». «Forse non aveva la lingua per formare la L di Allah, e il nome di Dio si accorciava in aaaaaa. Ma era vivo, ed emetteva il suo unico suono con uno zelo e una costanza senza pari, lo emetteva per ore e ore fino a quando nella piazza immensa, non restava che quest’unico suono, il suono che sopravviveva a tutti gli altri suoni». Andrea Oddone Martin


P R O G E T T O

SILVANO RUBINO

K A F K A La scrittura e il segno

Curated by Luca Berta and Francesca Giubilei January 20th>February 25th, 2024 Open Monday to Friday, 10am - 6pm Free admittance SPARC* - Spazio Arte Contemporanea Campo Santo Stefano, San Marco 2828A, Venice

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LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO Una satira sul mondo del teatro e dell’audiovisivo, ma anche una riflessione sul successo, sul fallimento e sui ruoli che ricopriamo, dentro e fuori la finzione Pablo Remón di Livia Sartori di Borgoricco

theatro

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nna Velasco (Blu Yoshimi) è una

giovane attrice, con una carriera in fase di stallo. Mentre si barcamena tra piccole produzioni e soap opera televisive, alla continua ricerca del ruolo che la farà svoltare, per poter vivere decentemente è costretta a insegnare pilates, mentre cerca disperatamente nel suo lavoro un legame con il padre scomparso, il regista di culto degli anni Ottanta Eusebio Velasco. Stacco. Diego Fontana (Silvio Orlando) è un regista di film commerciali di successo, ha compreso perfettamente i meccanismi delle piattaforme digitali e il suo momento d’oro è proprio qui e ora: una serie tv da girare in tutto il mondo, con star internazionali. È un fulmine, reale e metaforico, a condurlo verso una crisi personale, a farlo ripensare all’integrità che agli inizi della sua carriera professava di voler mantenere. Non sarebbe mai sceso a patti lui, proprio come aveva fatto il suo mentore – sempre Eusebio Velasco. Queste storie sono raccontate in parallelo, si alimentano a vicenda, sono specchi degli stessi temi, e intorno ai due personaggi in impasse e al convitato di pietra che è il padre-regista ruotano decine di personaggi: attrici, sceneggiatori plagiari, produttori cocainomani, attori underground, baristi kazaki, comparse minorenni, padri e madri. Dopo il debutto estivo al Festival dei Due Mondi di Spoleto è in tournée il primo allestimento italiano dell’esilarante commedia Ciarlatani del drammaturgo e regista spagnolo Pablo Remón, già celebrato in patria con il Premio Nacional de Literatura Dramàtica (2021) e il Premio Lope de Vega per il Teatro (2014).

Il testo italiano prende il titolo di Ciarlatani – traduzione non letterale ma semanticamente rispettosa dell’originario Los farsantes – ed è passato per le mani del drammaturgo Davide Carnevali, che ha compiuto un lavoro non facile nell’adattare un ingranaggio di tempi comici fondato sul contrasto tra lunghi monologhi e brevi freddure, su continue entrate e uscite e, più in generale, costruendo un sistema di riferimenti socio-culturali in grado di far decodificare in pochi secondi una battuta o un nonsense. Lo spettacolo, infatti, è costruito sopra a una spiazzante drammaturgia pensata come un orologio, senz’altro più immediata da vedere che da raccontare: seguendo un ritmo incalzante che a tratti ricorda la sitcom, si sviluppa sul palco una successione di quadri che sorprende il pubblico, un gioco di specchi e di ruoli tra registi, attori e drammaturghi. Eppure, non siamo di fronte (solo) a una feroce satira sul mondo del teatro e del cinema, una pièce che per così dire ridicolizza “gli addetti ai lavori”, ma tutti quanti noi, sempre mediaticamente esposti, pienamente immersi in quella che per Guy Debord era la “società dello spettacolo”. Ne scaturisce inevitabilmente una riflessione sul successo, sul fallimento e sui ruoli che ricopriamo. Sulla grandiosità percepita sempre più come necessaria, quando invece – sembra dire Remón – bisognerebbe accettare il mondo che ci si merita anche se “ha di strano che è normale”, per dirla come Baricco. Attingendo a una narrazione sì teatrale, ma con un’aspirazione romanzesca e cinematografica, lo spettacolo fila via per quasi due ore, sorretto magistralmente da un cast di attori in stato di grazia.


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nna Velasco (Blu Toshimi) is a young actress whose career is stalling. She works for small productions and TV soap operas while waiting for the casting that will change her life, she teach Pilates to make ends meet, and uses her work to have a semblance of relationship with her late father, 1980s cult director Eusebio Velasco. Cut. Diego Fontana (Silvio Orlando) is a successful film director. He understands very well how digital distribution works, and he enjoys his golden years working on an international series with a stellar cast. A lightning – both actual and metaphorical – will put all of this to a grinding halt, and make Diego think long and hard about that integrity that used to be so important to his younger self. Diego wasn’t one to resort to compromising, just like his mentor – Eusebio Velasco. The two stories are shown in parallel and feed one another. They mirror the same themes and follow two deadlocked characters and a stone guest.

Show Ciarlatani debuted at the Festival dei Due Mondi in Spoleto and is currently touring Italy. This hilarious piece of comedy by Spanish director and playwright Pablo Ramón (originally Los farsantes) has been adapted by Davide Carnevali. Unlike most comedies, Ciarlatani mixes long monologues with short witticisms, features constant enters and exits, and more generally, builds upon socio-cultural references that are essential to quickly decipher each line. Its fast pace might remind of sit-coms, and develops along a string of cadres playing with the roles of directors, actors, playwrights. What we are looking at is not only a satire of show business, but of each of us, in our being constantly exposed on different media, in what Guy Debord called The Society of the Spectacle. What we gather from this show is a reflection on success, on failure, and on the roles we play as well as on ‘greatness’ perceived as essential, while in fact, we should all accept the world we deserve. Two hours pass in the wink of an eye, also thanks to the excellent cast.

Ciarlatani 21-25 febbraio Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

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theatro SHAKESPEARE

… nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita Prospero, La tempesta

Nello spazio d’un sogno Massimo Cacciari, letture shakespeariane Dopo la fortunata esperienza dell’anno scorso con Valzer di parole, ciclo di conferenze-spettacolo sul teatro austriaco di inizio ‘900, Massimo Cacciari torna sul palco del Teatro Goldoni per parlare di Sogno e Utopia attraverso il confronto di due opere fra le più emblematiche e rappresentative della produzione shakespeariana. Cosa ci può dire un intellettuale, filosofo e professore di Estetica di due testi come Sogno di una notte di mezza estate e La tempesta, pensati e scritti per il teatro? Quale insegnamento sul nostro vivere contemporaneo possono fornirci le parole del più grande drammaturgo inglese? E, infine, qual è la differenza tra Sogno e Utopia? Non è la prima volta che Massimo Cacciari si confronta con i grandi temi del Bardo. L’intervento più specifico è forse la sua analisi del potere in Re Lear, il «dramma più apocalittico di Shakespeare», che Cacciari affronta nel suo libro Re Lear. Padri, figli, eredi del 2015. In Hamletica (2009), invece, il filosofo approfondisce il tema dell’agire dell’uomo e della sua capacità, o incapacità, di darsi uno scopo. Lo fa certamente attraverso la figura emblematica di Amleto, come il titolo suggerisce, ma anche chiamando in causa altri due mostri sacri della letteratura come Kafka e Beckett, là dove anche essi mettono in scena personaggi «prigionieri delle circostanze», le cui azioni obbediscono «alla logica dei fatti», lasciando trapelare la crisi e il tramonto di ruoli e linguaggi dell’Occidente moderno. Dopo due tragedie (Re Lear e Amleto), la pungente ars oratoria del filosofo veneziano si rivolge ora a due commedie, o meglio, a una commedia (Sogno di una notte di mezza estate) e ad un late-romance (La Tempesta), definizione con cui la critica letteraria ha ritenuto necessario distinguere le ultime opere di Shakespeare, più connotate dai toni della tragicommedia.

Sogno di una notte di mezza estate rappresenta l’affermarsi in Shakespeare di un tipo ideale di commedia romantica i cui elementi fondamentali sono le fortune d’amore e gli umori dei personaggi. La vicenda è ambientata nel mondo delle fate, dove i bisticci di Oberon e Titania coinvolgono gli innamorati in carne e ossa, presenti al matrimonio di Teseo e Ippolita. Incantevole, gioiosa e raffinata, A Midsummer Night’s Dream è una scherzosa rappresentazione dell’irresponsabilità dell’amore giovanile, le cui manifestazioni vengono imputate alle malefatte del “bizzoso spiritello” Puck, a cui è affidato il famoso epilogo: «Se le nostre ombre offeso v’hanno | pensate [che] questa vana e sciocca trama non sia nulla più di un sogno». Con La tempesta siamo di fronte all’ultima opera scritta dal drammaturgo inglese. Teatro dell’azione è un’isola incantata governata dalla magia che Prospero esercita con l’aiuto del saggio Ariele. L’isola è un mondo ideale pieno di solenne bellezza, un giardino dell’Eden in cui le forze del male vengono sconfitte e dove infine regnerà l’ordine, il perdono, l’amore e la giustizia. Ma mentre i personaggi si preparano al viaggio di ritorno ci chiediamo se la vittoria del Bene sul Male rimarrà pura e intatta anche dopo che i naufraghi saranno di nuovo immersi nella civiltà. Entrambe le opere si muovono tra sogno e realtà, tra la visione di un mondo ideale e l’irrompere delle forze della natura nei destini dell’uomo. Quale sia il confine tra i due regni, quello del sogno e quello del reale, e come queste opere possano ancora parlaci a distanza di più di quattro secoli ce lo lasciamo raccontare dal Prof. Cacciari. Marisa Santin Sul Sogno. Letture shakespeariane 20 febbraio; 5 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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theatro STAGIONI

Il cuore della vendetta «Ho dimestichezza con l’odore della morte. L’odore nauseabondo e zuccherino che si diffondeva nel vento raggiungendo le stanze di questo palazzo»: con queste folgoranti parole si apre La casa dei nomi, testo scelto da Roberto Andò per proseguire – dopo Ferito a morte – il suo viaggio nella grande letteratura. «Leggendo il romanzo di Colm Tóibín – spiega il regista – ho provato una grande emozione, e alla fine, quasi senza accorgermene, mi sono sorpreso a fantasticare sulla possibilità di mettere in scena il personaggio più grandioso che vi è narrato, Clitennestra». Con Isabella Ragonese nei panni della regina che assassinò il marito Agamennone va quindi in scena «la tragica storia di rancore e solitudine, di sangue e vendetta, di passione e dolore». I caratteri delineati da Tóibín, sospesi tra invenzione e filologia, «risultano tragici non perché sono personaggi derivati dalla tragedia greca – prosegue Andò – ma perché sono uomini e donne totalmente immersi nella drammaticità dei loro problemi familiari e sociali e, soprattutto, perché sono disperatamente soli. L’umanità di questi profili colti nel recinto esclusivo della psicologia nasce quindi dalla mancanza di ciò che nel mito – e quindi nella tragedia classica – li rendeva più forti, ma anche algidi e distanti e in un certo modo fissi e bidimensionali, ovvero la presenza degli dèi». Non è tempo degli dèi, quello di Andò. La scena essenziale richiama le atmosfere di un istituto psichiatrico degli anni ‘40, il coro perde la solennità della postura abbracciando le coreografie di Luna Cenere, mentre su tutto domina, feroce, straziata e straziante, Clitennestra, non più cagna, non più vipera, ma donna, madre e moglie la cui umana complessità è più vicina di quanto possiamo immaginare. Clitennestra 1-4 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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Photo Antonio Viscido

Le parole più semplici Un anno della vita di Elda Pucci per raccontare la mafia Il 2 marzo al Teatro Goldoni si parla di mafia attraverso il racconto della storia di una donna. Il 19 aprile 1983, per la prima volta a Palermo, una donna, Elda Pucci, è eletta Sindaco. Nello stesso mese di aprile, un anno dopo, il giorno 13, Elda Pucci, viene sfiduciata. E infine, ancora a distanza di un anno, il 20 aprile del 1985, la casa di Piana degli Albanesi di Elda Pucci salta in aria spinta da due cariche di esplosivo. E la città di Palermo per la prima volta, durante il mandato di Elda Pucci, si costituisce parte civile in un processo di mafia. Ottavia Piccolo e i Solisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo tornano a confrontarsi in scena con le parole di Stefano Massini, diretti dalla regista Sandra Mangini, per dare forma e struttura allo spettacolo Cosa Nostra spiegata ai bambini. Era il 1983, quello dell’ascesa dei Corleonesi a capo di Cosa Nostra, un periodo particolarmente sanguinario. Elda Pucci, pediatra, fu portata alla guida della città dalla Democrazia Cristiana, per dare un segnale di cambiamento. Spiega la regista Sandra Mangini: «Ottavia presta corpo e voce a Elda, una donna che ha tentato con atti semplici ma decisi di contrastare la pratica mafiosa nelle sedi di governo, rifiutando la connivenza con quello Stato-ombra o controStato che è la mafia». La pièce è scandita in dieci episodi, ognuno dei quali porta il nome di un bambino: Gegé, Ruggero, Sasà, Ancilina… sono i nomi dei pazienti di Elda, provenienti dai quartieri poveri e le cui storie affiorano alla sua memoria come esemplificazioni che illuminano ciò che le sta accadendo. C’è anche un capitolo dedicato a Totò, un piccolo Salvatore Riina agli esordi della sua scelta criminosa; e, significativamente, c’è un capitolo finale intitolato a Elda, in una sorta di identificazione con lo stato di fragilità e impotenza dell’infanzia. Uno spettacolo che non è rivolto realmente a bambini, ma li immagina come interlocutori ideali per poter raccontare davvero in modo efficace la mafia. Il titolo «viene da un’ntervista a Elda Pucci – racconta Ottavia Piccolo – diceva che la mafia andrebbe spiegata con parole semplici». Katia Amoroso Cosa Nostra spiegata ai bambini 2 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it


© Tommaso Le Pera

Gli inganni del potere Da giovedì 22 a domenica 25 febbraio dal palcoscenico del Teatro Goldoni si parte per un viaggio nella lontana e fredda Russia zarista, grazie allo spettacolo L’ispettore generale. Scritta nel 1836 da Gogol, ma molto più attuale di quanto si possa immaginare, l’opera rivive grazie alla regia di Leo Muscato e all’interpretazione dell’attore lucano Rocco Papaleo, accompagnato da una compagnia di dodici interpreti. In una cittadina qualunque della provincia russa, la notizia della visita di un ispettore generale mette in allarme funzionari e notabili. Bisogna nascondere le magagne della pubblica amministrazione, far credere che tutto funzioni, evitare che vengano a galla inefficienza e disonestà. Il subbuglio e il panico sono tali che un giovane di passaggio, lo squattrinato Chlestakov, viene scambiato per il misterioso controllore. Omaggiato da tutti e allettato da offerte di denaro sempre più sfacciate, Chlestakov sfrutta più che può la situazione e si dilegua giusto prima che si scopra il malinteso e venga annunciato l’arrivo del vero ispettore. L’ispettore generale è un capolavoro di commedia satirica, poiché tutte le istituzioni della società russa dell’epoca vengono rappresentate attraverso un personaggio, e ognuno di questi, caratterizzato con ironia, risulta verosimile e tragicomico al tempo stesso. Ma la farsa probabilmente più importante è quella della corruzione che invade tutto e che alla fine conduce al solo risultato di credere ai fantasmi che la mente disonesta crea per giustificare i propri misfatti e per dare a sé stessi un alibi e ripulire la coscienza. Così facendo si giunge a un unico risultato: diventare vittime dei propri inganni e subire i torti che prima si erano perpetrati ad altri. Il tutto raccontato con un’ironia straordinaria, che nel 1836 infastidì la Russia zarista. Non tanto perché mostrò ciò che era sotto gli occhi di tutti, ma perché di quell’apparato burocratico nessuno si salvava, al punto che, in conclusione, non si arriva a capire se i protagonisti della vicenda sono disonesti perché tale è il contesto in cui vivono, o se viceversa lo è quest’ultimo a causa della loro disonestà. Una domanda ancora oggi è di grande attualità. Katia Amoroso L’ispettore generale 22-25 febbraio Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

Delirio a due Jacopo Gassmann porta a teatro The City di Martin Crimp Martin Crimp è uno scrittore e drammaturgo ancora poco conosciuto da noi. I motivi sono vari: i suoi lavori sono difficili, socialmente tiene un profilo basso e tende a non rilasciare interviste, il linguaggio che usa è arduo da tradurre e anche da interpretare, molte sono le interrogazioni, le ellissi e i salti logici. Ma è uno scrittore, che, come pochi altri, sa interpretare la realtà attuale dei rapporti umani. Inizia la sua carriera nei primi anni ‘80. Oggi abbiamo quasi dimenticato, ma nell’era Thatcher non esistevano ancora portatili, dvd o internet. Il teatro come altre forme culturali viveva un periodo difficile, privato di fondi e sottoposto al regime del mercato: doveva produrre reddito. E mentre Agatha Christie imperversava nel West End, il modernismo di Brecht, Artaud, Pinter o Beckett veniva messo a dura prova. Martin Crimp (Dartford, Kent, 1956) esordì sfidando queste regole. Alcuni critici lo hanno associato alla corrente In-yer-face, un teatro provocatorio con un misto di violenza, poesia e sesso, ma questo è vero solo in parte. Il suo primo scritto è esemplare per definire la sua poetica: Living Remains è centrato su un dialogo tra una donna e un uomo in ospedale, che può rispondere solo premendo un pulsante. Anche in The City al centro del primo atto c’è un dialogo tra una coppia, Clair preoccupata di raccontare un incontro con uno scrittore che ha appena abbandonato una figlia, e Chris intento a spiegare perché potrebbe perdere il lavoro. I due non si ascoltano, proseguono il proprio filo di pensiero. In questo dialogo in cui spessoa una domanda ne ritorna un’altra, si ritrovano Beckett e Mamet. Non racconterò la trama per non rivelare la sorpresa finale, che ribalterà la chiave di lettura del testo. Jacopo Gassmann, partito con Cortazar, Juan Mayorga, passando per Chris Thorpe, di cui ha curato sia traduzione che regia di Confirmation (2015) e There has possibly been an incident (2016), poi per Ayad Akhtar e Arne Lygre – abbiamo visto alla Biennale Teatro 2020 Niente di me con i due protagonisti ai quali è restato solo il miraggio di raggiungere il mare –, è uno dei pochi registi attualmente in grado di affrontare questo difficile testo. In una intervista ha affermato che ha scelto il teatro, tra cinema e altre arti, perché «c’è una dimensione più umana e artigianale, e io scelgo testi che raccontano cosa succede oggi, il sentimento del tempo». Certo che l’aiuto di una traduttrice del calibro di Alessandra Serra e il suo trentennale lavoro con Harold Pinter non è poca cosa. Loris Casadei The City 7-10 marzo Teatro Goldoni | 28 febbraio-3 marzo Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it

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theatro SPETTACOLI

Dietro la maschera Arlecchino? Sta tutto in quel punto di domanda, ben visibile a fine parola. Una punteggiatura programmatica, perché Marco Baliani e Andrea Pennacchi ce lo vogliono dire subito, che quello che ci troveremo davanti non è propriamente Arlecchino. Non quello che ci si aspetta, perlomeno, e di certo non uno di quegli Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della Commedia dell’Arte. Lui ci prova, eh. Cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ce la fa: è goffo, sovrappeso, del tutto improbabile. Ed è in buona compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati dall’imprenditore Pantalone con misere paghe, sono altrettanto debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati. Eppure. Eppure tutto questo deragliare, incespicare, parlare e muoversi convulsamente, fa accadere il miracolo e, in una forma non prevista, una nuova Commedia dell’Arte si dipana sotto gli occhi degli spettatori, ormai ammaliati da questa compagnia del disagio talmente sbagliata da fare il giro e diventare assolutamente perfetta nella sua inadeguatezza, capace di ricostruire la tradizione dopo averla intelligentemente tradita. Baliani costruisce questo spettacolo con un gruppo di attori – Andrea Pennacchi certamente, indiscusso mattatore, ma anche Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato e Anna Tringali – che ha scelto di seguirlo in questo delirio arlecchinesco e che, mettendo in campo la propria creatività, sono stati di stimolo per la stesura di un testo (ri) scritto ogni giorno, fino al risultato finale. «Durante le prove – racconta Baliani – immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza fila, e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate di fronte a questa sua opera divenuta così inverosimile da essere ancor più sua». Livia Sartori di Borgoricco Arlecchino? 5-10 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

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Photo Giorgia Chinellato

Lì dove non ti aspetti Incursioni di Teatro di Cittadinanza Dopo aver abitato campi e calli, hotel, giardini e case private di Venezia, affrontando i temi classici del territorio e del tessuto sociale della città, quest’anno il regista Mattia Berto con il suo nuovo progetto di Teatro di Cittadinanza, Shylock. Venezia oltre il denaro, ha scelto di indagare, attraverso i suoi laboratori con partecipanti di tutte le età, il rapporto tra la città e il denaro e di conseguenza il rapporto che ognuno di noi ha con esso. Dopo il successo della performance dello scorso dicembre, I soldi fanno la felicità?, che ha visto i sessanta performer-cittadini in scena nell’inaspettato ‘teatro’ offerto dall’Aula del Tribunale di Venezia a Rialto, domenica 25 febbraio un altro luogo simbolo dell’economia e della storia contemporanea della città – sarà svelato a breve – si animerà grazie ad una nuova performance site-specific, che andrà a raccontare e mappare le “condizioni di vita” dei veneziani. Parallelamente al progetto Shylock realizzato con il Teatro Stabile del Veneto, Mattia Berto prosegue instancabile il suo lavoro in città, ma non solo. A partire da febbraio alla Fondazione Querini Stampalia il regista condurrà un laboratorio per adolescenti dai 14 ai 20 anni, completamente gratuito e sostenuto, tra gli altri, dalla storica azienda veneziana Rubelli. Il laboratorio per i giovanissimi si concluderà a marzo con una performance negli spazi della Fondazione e avrà come ispirazione un classico del teatro dell’assurdo: Aspettando Godot di Samuel Beckett. A Mestre, a partire da marzo, il Teatro di Cittadinanza proporrà all’M9 un nuovo laboratorio con AIPD – Associazione Nazionale Persone con Sindrome di Down, per ribadire ancora una volta come il teatro possa e debba essere un potente motore di inclusione. Nello stesso mese partirà una nuova esperienza di Teatro di Cittadinanza al Teatro Mario Del Monaco di Treviso. Dopo aver costruito negli anni precedenti una performance all’interno del Teatro e una al Mercato del pesce, Mattia Berto chiede quest’anno ai trevigiani di aprire le porte di una casa privata del centro storico per renderla un palcoscenico unico, intimo e personale, dove tornare all’essenza del confronto e della condivisione del rituale di parole, corpo ed emozioni vissute attraverso la lente del teatro. Il teatro è cittadinanza! Shylock. Venezia oltre il denaro 25 febbraio www.teatrostabileveneto.it


La fabbrica dei talenti Maddalene Factory: format per nuove generazioni Attimi fuggenti Lo scrittore Francesco Piccolo ha creato in due libri di grande successo un catalogo dell’allegria del vivere, inclusi gli inevitabili inciampi, mostrando come è possibile trarre qualche scintilla di divertimento e vitalità dalle piccole infelicità e dai contrattempi. Dalla raccolta di questo materiale “umano” nasce Momenti di trascurabile (in)felicità, un’indagine sull’anima di ciascuno in cui si può scherzare sulle nostre fobie, debolezze e conformismi, idiosincrasie. Accompagnato in scena da Pierfrancesco Diliberto, Pif, lo spettacolo evidenzia gli infiniti spicchi di una realtà che attraverso il sorriso nasconde il senso più profondo e volubile della vita: perché ognuno di noi sperimenta ogni giorno, nel suo quotidiano, mille trascurabili, ma non irrilevanti forme di in/felicità. Attimi di esistenza che fanno parte delle nostre vite e ai quali spesso non prestiamo attenzione. Il 28 marzo al Teatro Toniolo, Piccolo e Pif offrono al pubblico ironici pensieri in libertà, cinici e reali, istanti in cui assaporare il piacere o al contrario il dispiacere della vita. Pif, già protagonista dell’omonimo film diretto da Daniele Luchetti, contribuisce allo spettacolo in maniera sorprendente. Francesco Piccolo sfoglia con Pif il proprio catalogo di nevrosi, vezzi, consuetudini, manie e segreti, passando in rassegna momenti felici e infelici dell’esistenza sui quali non abbiamo il tempo o la pazienza di soffermarci. Piccole abitudini, positive o negative, che scatenano un costante e ininterrotto riconoscersi. Uno spettacolo capace di scavare con ironia disarmante nella banalità del quotidiano, nei luoghi comuni, nei fuggenti e preziosi attimi della vita che passano inosservati, che si rincorrono senza fare rumore, ma che sommati fanno forse più dei momenti di grande felicità. Momenti di trascurabile (in)felicità è il manuale dei piccoli dettagli dell’ordinario, quelli che attraversiamo lasciandoli in un angolo della memoria, convinti di incontrarli un’altra volta, in una familiarità scontata e costante. Piccolo dipana, come si farebbe in una serata tra amici con racconti di esperienze vissute in prima persona, un filo d’unione tra i vari frammenti che ricompongono la vita. Marzio Fabi Momenti di trascurabile (in)felicità 28 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

Completamente recuperato dall’Amministrazione comunale di Padova, l’antico oratorio del complesso conventuale del XIV secolo dismesso a fine ‘700, in via San Giovanni da Verdara, ora Teatro Maddalene, riapre le sue porte dopo l’ultimo intervento di efficientamento energetico conclusosi a fine 2023. Ricorda l’assessore alla Cultura del Comune di Padova Andrea Colasio di aver trovato all’inizio dei lavori di ristrutturazione ancora il ring utilizzato per gli incontri di boxe, di quando lo spazio era adibito a palestra. «Oggi, con i suoi 150 posti ed ogni articolazione tecnica necessaria per un vero teatro, diventa un luogo di scambio culturale e di innovazione, di interscambio tra giovani, un punto fermo per le tante iniziative culturali del nostro territorio». Riapre e dà vita a una esemplare collaborazione tra Comune di Padova, Università patavina e Teatro Stabile del Veneto: ciascuna istituzione apporta quote del proprio sapere, con un focus sui giovani e sul territorio. Il programma di Maddalene Factory, così è stata battezzata la nuova rassegna, si apre il 5 marzo con La Banca dei sogni della compagnia Domesticalchimia, che rende subito evidente l’intreccio tra teatro e città con la messa in scena di un’indagine sul campo costituita da interviste sui sogni dei padovani. Con la rassegna Performing Science l’Università di Padova porta sul palco i propri docenti per raccontare le ricerche svolte su intelligenza artificiale, medicina e scienza, promuovendo la divulgazione scientifica attraverso la potenza espressiva della performance teatrale. Protagonisti anche gli studenti con Universerie (30 aprile-30 maggio), un moderno serial teatrale centrato sulla vita degli stessi nelle aule dell’Ateneo. Si rinnova la prestigiosa collaborazione con Premio Campiello-Confindustria Veneto che, dopo la rappresentazione di Talismani di Matteo Porru, torna alle Maddalene il 13 e 14 aprile per la mise en espace di Sotto la pelle, testo di Elisabetta Fontana, vincitrice del Campiello Giovani 2023. Le storiche compagnie teatrali e le realtà radicate nel territorio trovano qui una casa ideale con la rassegna AngolAzioni. Scorci dalla scena Padovana: così l’1 febbraio Hannah e la Shoah di Abracalam, il 3 In fondo al buio. Morire innocenti di mafia in Veneto. Storia di Matteo Toffanin di Michele Angrisani, l’8 Sei personaggi più uno in cerca d’amore di Ottavo Giorno, il 10 La rotta dello stocco di Teatro Laterale, che cura la rassegna, il 15 febbraio 63Azioni – Primo studio di Carichi Sospesi, e il 17 Le allegri comari di Windsor firmato TOP Teatri OFF Padova. Giunto alla terza edizione, l’incubatore di talenti MaturAzione porterà nuova linfa alla ricerca e alla produzione offrendo a tre compagnie emergenti la possibilità di svolgere una residenza artistica al fine di portare in scena, tra aprile e maggio, il primo studio di uno spettacolo inedito. Il Teatro Stabile Veneto partecipa alla Factory con spettacoli più tradizionali, ma non troppo – avvertiamo noi –, nati dalla collaborazione con altri teatri del Nord Est. Dal 21 al 25 febbraio Il muro trasparente. Delirio di un tennista sentimentale, di e con Paolo Valerio, e il 17 marzo Pasolini/Pound. Odi et amo, scritto e diretto da Leonardo Petrillo. Loris Casadei Maddalene Factory Fino 30 maggio Teatro Maddalene-Padova www.teatrostabileveneto.it

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Tutto in famiglia

Ostinatamente contrari La buona novella di Faber secondo Neri Marcorè

L’irresistibile coppia Lopez-Solenghi torna sul palco del Teatro Toniolo dal 16 al 18 febbraio con Dove eravamo rimasti, uno spettacolo che è un mix di sketch, video, imitazioni e interventi musicali dal vivo della Jazz Company diretta dal maestro Gabriele Comeglio. Uno show che regala tante risate e un intermezzo di nostalgia durante il quale il duo comico dedica ad Anna Marchesini un intenso e commovente momento commemorativo: «Anna è sempre con noi, sul palco e anche fuori», hanno dichiarato i due artisti in una recente intervista. Dopo il successo del Massimo Lopez e Tullio Solenghi Show, lo spettacolo dei record che aveva debuttato nel 2017 registrando più di 300 repliche fino al brusco stop causa pandemia, Lopez e Solenghi hanno avvertito il desiderio di tornare sul palco e ripartire letteralmente da Dove eravamo rimasti. «La sensazione più esaltante del nostro ultimo spettacolo è stata quella di avere di fronte a noi ogni sera non soltanto un pubblico empatico e festoso, ma una sorta di famiglia allargata, dei veri e propri parenti che hanno condiviso alcuni momenti della nostra avventura scenica con frammenti della loro vita – dichiarano Lopez e Solenghi – Ecco perché abbiamo voluto ripartire proprio da qui [...] Questo nostro nuovo spettacolo proporrà numeri, sketch, brani musicali, contributi video, con alcuni picchi di comicità come una lectio magistralis di Sgarbi/Lopez, un affettuoso omaggio all’avanspettacolo, o l’inedito Renato Zero di Solenghi, inseriti nella nostra ormai collaudata dimensione dello show. Il filo conduttore sarà quello di una chiacchierata tra amici, la famiglia allargata di cui sopra, che collegherà i vari momenti di spettacolo [...] L’intento è quello di stupire ed emozionare ancora una volta quei meravigliosi “parenti” seduti giù in platea».

Lo spettacolo che sta girando l’Italia, una coproduzione di vari Teatri italiani, condotto da Neri Marcorè, che sarà al Verdi di Padova dal 13 al 17 marzo, è ispirato all’opera omonima del 1970 di Fabrizio de André, che scrisse uno dei suoi più complessi “concept album”, come adesso vengono denominate le creazioni musicali che prendono forma da un’idea o da un progetto omogeneo, o da una drammaturgia con una coerente continuità. La buona novella viene dopo il suo Tutti morimmo a stento, e prima di Non al denaro non all’amore né al cielo, che prende spunto dall’Antologia di Spoon River di Edgard Lee Master, e del cosiddetto “disco del maggio” (Storia di un impiegato), che parla in modo disincantato dei moti studenteschi del ‘68. Il disco fu probabilmente, all’epoca dell’uscita, il più contestato e discusso dai critici e soprattutto dai suoi stessi fan. Nasce in un periodo tumultuoso per la società italiana, in piena trasformazione sessantottina, e in questo senso è davvero una delle prime, stentoree affermazioni del concetto caro a Fabrizio, il procedere in direzione ostinata e contraria. Ma perfettamente coerente, come spiegherà approfonditamente in un concerto del 1998, la sua (purtroppo) ultima tournée: «Quando scrissi La Buona Novella era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo?”. Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria – era una allegoria – che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ‘68 e le istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore, 1969 anni prima, aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali». Queste parole dell’autore, che ebbi la fortuna di ascoltare personalmente durante l’ultimo suo concerto veneziano del 1997 al Palafenice, poco prima di ammalarsi, raccontano meglio di qualsiasi altre lo spirito di quest’opera, che all’interno contiene una delle canzoni più amate da Faber stesso, insieme ad Amico fragile, probabilmente una delle sue più belle: Il Testamento di Tito, in cui uno dei due ladroni, morendo sulla croce, denuncia dando voce ai derelitti le ingiustizie della società di quel tempo, che poi sono rimaste sempre le stesse. Una rivisitazione di un capolavoro da non perdere. Massimo Macaluso

Dove eravamo rimasti 16-18 febbraio Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo

La buona novella 13-17 marzo Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it

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Photo Marcella Foccardi

Nel ventre della balena

Lo scudo e la corona Da giovedì 14 a domenica 17 marzo, quattro recite al Teatro Goldoni per immergersi in un capolavoro di William Shakespeare raramente rappresentato in Italia. Scritta tra il 1607 e il 1608, la tragedia Antonio e Cleopatra, è tra le più alte ed evocative opere del bardo inglese. Il titolo è stato scelto dal direttore di ERT / Teatro Nazionale, Valter Malosti, per la sua nuova regia, di cui cura anche la traduzione italiana in versi insieme alla studiosa Nadia Fusini. I protagonisti sono Malosti, che ricopre in questa produzione la duplice veste di regista e interprete, e Anna Della Rosa, già finalista ai Premi UBU 2021 come miglior attrice per la sua interpretazione della regina d’Egitto in Cleopatràs di Giovanni Testori. La vicenda ha al centro la storia d’amore tra uno dei triumviri di Roma, Antonio, e la regina d’Egitto, Cleopatra. Il primo ha abbandonato Roma, la moglie, la vita politica e militare, completamente assorbito dall’amore per quella che, per i suoi detrattori, è considerata una straniera dai facili costumi. Tensioni politiche e minacce militari che ne mettono a rischio la posizione, spingono però Antonio a tornare a Roma e scontrarsi in battaglia con i suoi antagonisti, soprattutto Cesare Ottaviano (Dario Battaglia). Una decisione che crea non pochi turbamenti nella relazione con Cleopatra, ma soprattutto un tumulto interiore nel protagonista, diviso tra l’amore per la regina e per la vita egiziana, e la volontà di non disperdere tutto ciò per cui ha combattuto nella sua vita. Tutta l’opera è intessuta e costruita sul gioco dell’opposizione: maschile e femminile, dovere e piacere, giovinezza e vecchiaia, antico sapere egizio e politica romana. Uno spettacolo di grande potenza espressiva che tocca diversi registri, dal comico al tragico, con anche alcuni interventi meta-teatrali. Per Valter Malosti i due protagonisti sono «straripanti, politicamente scorretti e pericolosamente vitali». La figura stessa di Antonio è considerata e vissuta da Malosti quasi alla stregua di un “buffone tragico”, che trasporta lo spettatore insieme all’amata in una sorta di baccanale egiziano, superando la ragione e i giochi della politica. Antonio e Cleopatra 14-17 marzo Teatro Goldoni www.teatrostabileveneto.it

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Arriva sul palco del Toniolo Moby Dick alla prova, spettacolo di Elio De Capitani che ha debuttato due anni fa, a teatri appena riaperti, portando per la prima volta in Italia un testo che Orson Welles scrisse (e diresse e interpretò) nel 1955 compiendo un’operazione magistrale, cioè condensare la forza dirompente del romanzo di Melville in poche pagine di copione altrettanto potenti, per di più inglobando nel testo la passione di Melville – e anche la sua – per Shakespeare, attraverso la riduzione del romanzo in versi sciolti, il blank verse tanto caro al Bardo, che proiettano il linguaggio verso l’alto restituendo con forza d’immagini la prosa del romanzo. Un testo su cui Welles lavorò a lungo, con una attenzione maniacale al ritmo narrativo e musicale, e che nella versione italiana è stato tradotto dalla poetessa Cristina Viti. Moby Dick alla prova porta in scena una compagnia di attori che di giorno prova Moby Dick e di sera è impegnata nelle repliche del Re Lear. I due testi si rispecchiano e intrecciano, Welles getta un ponte tra le due opere in cui l’ostinazione del re shakespeariano, che solo alla fine comprende l’errore, si rispecchia in quella incrollabile, anche nell’ultimo istante, di Achab. La scena prende vita davanti a un fondale enorme, eppure leggero, cangiante e mutevole, capace di evocare l’immensità del mare e la presenza incombente del capodoglio (che alla fine entrerà in scena: (im)possibile sfida teatrale vinta grazie un trucco scenico che non vogliamo svelare). Sul palco tutto è dark, freddo: via il legno (ché se stiamo parlando di una nave dell’Ottocento ce lo immaginiamo un po’ tutti) e spazio invece a una macchina scenica di acciaio, non solo rimando al delirio febbrile della rivoluzione industriale ma anche cassa sonora su cui vibranti sea shanties – i canti marinareschi che accompagnavano il lavoro – battono il loro ritmo sincopato. In scena accanto a De Capitani (che è Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale) ci sono, mescolate, tre generazioni di interpreti dell’ensemble dell’Elfo: Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa. La musica dal vivo di Mario Arcari, i canti diretti da Francesca Breschi, i costumi di Ferdinando Bruni e le maschere di Marco Bonadei contribuiscono a creare un tutto scenico che ruota intorno all’oscuro e tormentato capitano del Pequod e procede come una vertigine fino all’inevitabile carneficina finale. Sembrano dirci – Welles e De Capitani in egual modo – che il tema non è tanto lo scontro tra uomo e natura, ma quello tra uomo e uomo, generato dall’odio, dalla mistica del capo, dalla conquista rapace, dalla cieca adesione al mito del superamento della frontiera. Livia Sartori di Borgoricco Moby Dick alla prova 19-21 marzo Teatro Toniolo-Mestre www.culturavenezia.it/toniolo


Il sogno realtà diverrà

Photo Tiziano Ghidorsi

Incontrarsi tra vent’anni Il titolo della rassegna che il Teatro Verdi di Padova dedica alla danza è Calligrafie, perché «la danza è movimento, libera segni nell’aria verso lo spettatore», racconta Carlo Mangolini, responsabile Formazione, Nuovi Linguaggi del Teatro Stabile del Veneto. Ironizzano un po’ le gentilissime ragazze della biglietteria quando chiedo un abbonamento: «Dottore, anche lei viene a imparare a scrivere?». Invece, nulla di più appropriato come titolo per lo spettacolo Ballade in scena il 24 febbraio. La MM Contemporary Dance Company diretta da Michele Merola presenta due coreografie. La prima, Ballade, con la firma di Mauro Bigonzetti e lo sguardo rivolto agli anni ‘80: dieci danzatori ne rievocano lo spirito giovanile, scanzonato, irridente, ma sempre gioioso, impegnati a incontrarsi e rincontrarsi, accompagnati dalle musiche di Cohen e Fred Zappa. Il brano rievoca la voglia di vivere di una generazione che ha forse nello scrittore Tondelli il suo rappresentante più carismatico (chi non ricorda i suoi romanzi Rimini o Altri libertini?), trasmette gioia e allegria agli spettatori, con qualche chicca, come le famose scarpe a punta di Pina Bausch diventate orecchie asinine. La seconda pièce è Elegia del coreografo Enrico Morelli. Ci racconta come lo spettacolo sia nato nei tempi recenti del Covid, per mettere in scena l’allora distanza tra le persone ma anche l’urgenza di ripristinare i contatti umani: «Avevo una necessità istintiva di invitare al contatto, lo spettacolo vuole essere una carezza al pubblico». La voce di Isidora Balberini introduce le parti danzate, recitando alcuni lacerti di poesie di Mariangela Gualtieri (Sii dolce con me/Sii gentile./È breve il tempo che resta. Poi/saremo scie luminosissime./E quanta nostalgia avremo dell’umano…) su musica elettronica composta appositamente per lo spettacolo partendo dalla ritmica dei versi. Danza contemporanea? «Forse sì, ma tenendo presente che la nostra compagnia parte da e ancora molto si riporta alla tradizione classica». Bravo Enrico Morelli, danzatore e coreografo, maître de ballet e maestro ripetitore, ma soprattutto sognatore, da quando a dieci anni decise che la sua vita sarebbe stata la danza seguendo le orme di Forsythe e Mats Ek, che ci cita tra i suoi modelli. Loris Casadei Ballade 24 febbraio Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it

Chissà perché pensavo che “saltico” fosse un piccolo ragnetto bianco e nero rinomato per i suoi salti mirabolanti. Invece Claudio Ronda, stupito, mi corregge e mi ricorda che la fabula saltica era la denominazione data nell’antica Roma alla pantomima, perché i romani, a differenza dei Greci, oltre che del gesto facevano uso anche della danza. Qui nel nome già una indicazione importante perché la drammaturgia pantomimica antica prevedeva sempre una storia. Claudio Ronda, che è appunto il coreografo della Compagnia Fabula Saltica predilige raccontare storie con la danza, e il 9 marzo porterà al Teatro Verdi di Padova Cenerentola. Una storia italiana. Una Cenerentola moderna, ma non troppo, collocata in una Italia anni ‘60 agli esordi della crisi del mondo agricolo e alle soglie di una industrializzazione impetuosa. Non troveremo zucche che si trasformano in carrozze, né i topini disneyani, ma una giovane donna intenta a trovare uno spazio nel mondo nuovo che sta crescendo. Vorremmo dire che il titolo potrebbe essere Cenerentola ossia la bontà in trionfo, riprendendo il dramma gioioso di Giacchino Rossini. Di Rossini sono le musiche, ma senza le parti cantate. E non poteva essere diversamente visto l’amore di Ronda per le opere liriche, in particolare per Rossini, e la sua attività di regista di opere liriche. «E poi – aggiunge Ronda – l’origine della favola è italiana, per la precisione del napoletano Giambattista Basile». Una danza contemporanea, che articola una storia utilizzando «una scrittura del corpo nello spazio». Ronda racconta del suo personale colpo di fulmine, quando a undici anni, assistette alla Nona Sinfonia di Beethoven all’Arena di Verona con la coreografia di Maurice Béjart e alla sua magia di muovere un corpo di ballo di ottanta persone. Il suo mito: il maestro Robert Cohan, spentosi nel 2021 a 95 anni e attivo presso la Compagnia, a sua volta allievo di Martha Graham! Rivedrò Appalachian Spring prima di Cenerentola e sono sicuro che ne troverò alcuni spunti. Loris Casadei Cenerentola. Una storia italiana 9 marzo Teatro Verdi-Padova www.teatrostabileveneto.it

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Potere alla parola Perversioni rituali

Prosegue con successo la seconda edizione della rassegna di stand-up comedy In piedi – Il potere delle parole, proposta dal Settore Cultura del Comune di Venezia in collaborazione con Dalvivo Eventi al Teatro del Parco (Bissuola) di Mestre. Tra febbraio e marzo sono quattro gli appuntamenti da segnare in agenda. L’8 febbraio va in scena Cabaret di Filippo Giardina, stand-up comedian tra i più amati (e odiati) dello Stivale, che con il suo undicesimo monologo satirico ci ricorda che «più il mondo va a picco, più solo una risata potrà alleviare il dolore del lento, ma inevitabile, inabissamento». Severo ma giusto Giardina dichiara guerra al perbenismo e bigottismo dilaganti come nuovi valori positivi e reclama la libertà di espressione in uno spettacolo comico, coraggioso, trasgressivo, scorretto e tutto quello che serve per alleggerire il peso di questo tempo che abitiamo. Un tempo contraddistinto dalla smania di schierarci sempre dalla “parte giusta”, finendo per vivere una realtà polarizzata che fa parte di quelle Verità comode che ci raccontiamo per sentirci meglio, e che Daniele Fabbri non mancherà di sbatterci in faccia il 22 febbraio, con il suo nuovo monologo. Il 7 marzo tocca invece a Yoko Amada e all’ironia del suo Mary Poppins e i doni della morte in cui affronta temi come le tentazioni, il lavoro, i cartoni animati e la paura. Quella paura di tentare che pensi ti possa salvare, perché se non ci provi non puoi nemmeno fallire. Ma se non ci provi neanche, può andare a finire Male male, e ce lo insegna Daniele Gattano il 21 marzo con il monologo/sfogo di un trentenne non troppo entusiasta della vita, o per lo meno della sua. C.S. In Piedi 2023.24 8, 22 febbraio; 7, 21 marzo Teatro del Parco-Mestre www.comune.venezia.it

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Ispirato al feroce delitto commesso nel 1933 a Le Man dalle sorelle Papin che scosse l’intera Francia, entrando a far parte della mitologia contemporanea e dell’immaginario di surrealisti, artisti, letterati e studiosi – Jacques Lacan ne scrisse nei suoi primi studi sulla psicosi paranoica – Le serve (Les bonnes), capolavoro di Jean Genet del 1944, rivive nell’attualità dell’adattamento firmato da Veronica Cruciani, con traduzione di Monica Capuani. In scena il 14 marzo al Teatro di Mirano, per la rassegna curata da La Piccionaia, Le serve di Cruciani, con l’iconica Eva Robin’s protagonista nei panni di Madame, traspone la vicenda originaria in una città dei nostri giorni, valorizzando i temi principali della commedia: il potere, il genere, la malattia mentale. Solange e Claire, a servizio presso una ricca signora, sono sorelle legate da un rapporto esclusivo, entrambe sono animate da sentimenti di amore/odio nei confronti della loro Madame, e quando questa non è in casa, le due cameriere a turno recitano la parte della Signora, nell’alternarsi fra fantasia e realtà, fra gioco del delirio e delirio reale. «La rivolta delle serve contro la padrona – spiega la regista Veronica Cruciani – non è un gesto sociale, un’azione rivoluzionaria, è un rituale. Questo rituale è l’incarnazione della frustrazione, l’azione di uccidere l’oggetto amato e invidiato non potrà essere portata a compimento nella vita di tutti i giorni, viene ripetuta all’infinito come un gioco. Tuttavia questo gioco non raggiunge mai il suo apice [...] Secondo Sartre questo fallimento è inconsciamente insito nel cerimoniale stesso che le serve mettono in scena; il tempo sprecato nei preliminari non porterà al compimento del rituale [...] Una fallimentare ripetizione magica, il riflesso deformato del mondo dei padroni, che le serve adorano, imitano, disprezzano». C.S. Le serve 14 marzo Teatro di Mirano lapiccionaia.org/teatrodimirano

Un’alba nuova Ci è mancato tanto il Teatrino Zero di Spinea, abbiamo dovuto rinunciarvi per qualche anno causa pandemia, ma il 2024, già dallo scorso gennaio, ci ha restituito questo piccolo ma vitale e pulsante spazio culturale, fucina creativa grazie ai laboratori e promotore di una proposta artistica libera, ricca e originale, che ha sempre portato sul palco nomi di rilevanza nazionale e internazionale. Con l’azzeccatissimo titolo Risvegli – Rivisitazioni contemporanee su trame antiche, la nuova stagione, dopo l’apertura con Gigio Brunello e a seguire I Sacchi di Sabbia, accoglie, il 3 febbraio, Teatrino Giullare con Drone tragico, speciale progetto sull’Orestea raccontata da Pasolini che unisce teatro e digitale per ampliare la questione dei diversi punti di vista posti dal testo, filmando azioni e situazioni con un drone e videocamera a 360 gradi e concedendo così allo spettatore la possibilità di scegliere cosa guardare. Il 17 febbraio Bottegavaga presenta Incanto d’Aprile: quattro signore inglesi affrontano, senza mariti e senza conoscersi, una vacanza in un castello medievale arroccato sulle scogliere liguri a picco sul mare, dal romanzo The Enchanted April di Elizabeth Von Arnim. Con Alla frutta, concerto ispirato alla tradizione del teatro-canzone di Alessio Pollutri prodotto da Madame Rebiné, il 9 marzo scopriremo a che punto siamo, perché se siamo alla frutta, «siamo al momento in cui trovare viva contentezza». Chiude il mese di marzo, il 23, l’incursione della compagnia romana Teatro dei Dis-occupati, con il pluripremiato Sotto chiave, avvincente affresco disegnato per tutte le età a partire dall’onirico racconto Elisabetta e Limone di Juan Rodolfo Wilcock. Gli spettacoli iniziano tutti alle 21 e, come sempre, si comincia quando ci siamo tutti! C.S. Risvegli 2024 3, 17 febbraio; 9, 23 marzo Teatrino Zero-Spinea (Crea) www.facebook.com/teatrinozero


COMICI TERESA MANNINO

Il giaguaro mi guarda storto Dopo lo strepitoso successo di Sento la terra girare, in tournée per tre stagioni dal 2018 al 2020 con 171 date sold-out e uno stop forzato causa pandemia, Teresa Mannino torna a teatro con Il giaguaro mi guarda storto. È un ritorno carico di storie, di domande, di desideri, primo fra tutti quello di ritrovarsi «per scoprire chi siamo diventati dopo questa assenza epocale», scrive Mannino nelle note. «Dai racconti d’infanzia alla difficile relazione che abbiamo con l’attesa, dalla perplessità nei confronti degli animali-umani alla stima per le formiche, il filo conduttore sarà il desiderio, stupore vitale che accende sogni, infuoca cuori e libera movimento». Quello dell’artista palermitana è un invito a danzare insieme, condividere, a non smettere di sognare ma ricordando di «tenere gli occhi ben aperti una volta fuori dal teatro». 12, 13 febbraio h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre www.dalvivoeventi.it

GIOELE DIX

Ai nostri tempi (biblici) La longevità dei patriarchi della Bibbia è stata variamente commentata e interpretata; per alcuni frutto di un insensato atto di fiducia da parte di Dio nei confronti dell’uomo, per altri proiezione leggendaria del desiderio umano di lasciare un segno. Gioele Dix, tra passi biblici e brani letterari di diversa estrazione, prova ad affrontare l’intricata matassa, offrendo una propria personale visione. Una serata speciale dedicata, con passione e ironia, a tutte le donne e gli uomini che non hanno alcuna intenzione di invecchiare. Mescolando parole proprie a quelle altrui – dai grandi classici antichi fino alle nuove voci emergenti contemporanee – Dix si muove agilmente tra scoperte e sorprese, considerazioni letterarie e ricordi personali, dimostrando di volta in volta come il riso e l’umorismo permettano in modi inattesi e folgoranti di ritrovare identità e verità che si pensavano perdute. 22 febbraio h. 21 | Teatro Villa dei Leoni-Mira www.lapiccionaia.org

ELEAZARO ROSSI

Grande figlio di p*****a Irriverente, spiazzante, provocatorio, Eleazaro Rossi torna con un nuovo show che già dal titolo è tutto un programma. Dopo il successo del primo tour Eleazaro Experience, e del secondo, L’ora di religione, in scena in oltre 60 città, registrando circa 30 mila spettatori, la primavera 2024 saluta il terzo tour di Eleazaro: «quello che lo proietta nel gotha della drammaturgia, alla sinistra di Carmelo Bene e alla destra – ma leggermente spostato in diagonale di un paio di centimetri – di Gian Maria Volonté. Un trattato di umanità e umorismo – mai volgare – che procede fermo e sicuro nel solco tracciato dal principe della risata: Totò. Spettacolo in costume – l’artista è travestito da sé stesso – e completamente privo di fumi e raggi laser, fatta eccezione per quelli procurati all’interno degli spettatori tramite il soffocamento indotto dall’atarassia». 1 marzo h. 21.15 | Teatro Corso-Mestre www.dalvivoeventi.it

KATIA FOLLESA E ANGELO PISANI Ti posso spiegare

Alla fine questo matrimonio si farà? Chi lo sa! Lo scopriremo insieme a Katia Follesa e Angelo Pisani, coppia comica e nella vita, che con il nuovo spettacolo, Ti posso spiegare, catapultano il pubblico nei ferventi preparativi per le nozze, con tutti i risvolti tragicomici che ne possono derivare. Alternando i classici, affilatissimi duelli verbali a veri e propri sketch comici, con l’accompagnamento di un corpo di ballo che oltre a danzare sarà co-protagonista dell’esilarante querelle, Katia e Angelo ci portano nella loro casa coinvolgendoci nell’organizzazione del matrimonio, tra liste degli invitati, schemi di posti a sedere, parenti ingombranti, abiti da cerimonia e brochure di viaggi esotici, sognando il tanto agognato viaggio di nozze, sì… ma dove si va?!? 15, 16 marzo h. 21 | Teatro Toniolo-Mestre www.dalvivoeventi.it

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ANCORA, OGGI Vedere o rivedere su grande schermo alcuni capolavori che hanno segnato lo sviluppo del cinema è un’occasione che i giovani non intendono lasciarsi sfuggire Alberto Barbera di Giorgio Placereani

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cinema

e il destino dei classici del cinema è

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in gran parte di essere visti sui teleschermi o sui monitor, magari in copie non adeguate, per fortuna esistono i restauri per il grande schermo. Il 14 febbraio parte a Venezia, al Multisala Rossini, la quinta edizione di Classici Fuori Mostra. Festival permanente del cinema restaurato, organizzata dalla Biennale di Venezia in collaborazione col Circuito Cinema del Comune e i docenti di cinema dell’Università Ca’ Foscari e dell’Università IUAV. La rassegna, che si conclude il 15 maggio, presenta a cadenza settimanale undici grandi film restaurati. Il film che apre la rassegna, presentato da Stefano De Bosio, Maria Ida Baggi, Giuseppe Ghigi e Marco Borghi, è Il terrorista di Gianfranco De Bosio, 1963, sceneggiato da De Bosio con Luigi Squarzina. Questa storia di partigiani si svolge in un’inusuale ambientazione a Venezia, che ne sfrutta con abilità gli angoli, i passaggi, l’identità di città che è insieme di terra e d’acqua, nella fotografia di Alfio Contini e Lamberto Caimi. Il protagonista (Gian Maria Volontè), fondatore di un GAP, propugna una linea di attentati che il CNL locale disapprova. Il film ha una buona forza drammatica, benché mostri un’impostazione di tipo teatrale in alcune scene, e a volte nel linguaggio compaia una sfumatura di nitore letterario. Ha una coraggiosa originalità nel suo affrontare le divisioni tattico-politiche all’interno della Resistenza, al contempo riflettendo sul problema personale dell’individuo che si osserva, con una sorta di spavento, di fronte alla necessità della violenza. Quest’anno è il centenario della nascita di Gianfranco De Bosio, grande regista teatrale che fu il primo a portare in scena Brecht nel 1953. Il suo nome è legato a quello del Ruzante, che mise in scena con successo e che portò al cinema nell’interessante esperimento de

La Betía, ovvero in amore per ogni gaudenza ci vuole sofferenza, del 1971. Il 21 febbraio si potrà vedere Blow Out (1981) di Brian De Palma, introdotto da Sara d’Ascenzo. Blow Out è per l’orecchio quello che Blow-Up (Antonioni, 1966) è per l’occhio: in entrambi i casi non i sensi ma piuttosto le loro riproduzioni meccaniche. Se in Blow-Up il protagonista era un fotografo, in Blow Out è un tecnico del suono (come il protagonista de La conversazione di F.F. Coppola). In De Palma come in Antonioni c’è alla base l’inconsistenza delle tracce e della realtà. Se Antonioni declina questo concetto sul piano metafisico della conoscenza, De Palma, seguace di Hitchcock, lo declina nella forma del thriller politico (nel punto di partenza, un’auto finita in un fiume dove muore un candidato alla Presidenza mentre si salva la ragazza che era con lui, si vede un ricordo a parti invertite del famoso incidente che costò a Ted Kennedy la corsa alla Presidenza). Il 28 febbraio, il terzo appuntamento è con lo stupendo Il grido (1957) di Michelangelo Antonioni, introdotto da Adriano De Grandis. Il grido porta il dolore esistenziale antonioniano in un ambiente proletario: un operaio, dopo la delusione ricevuta dalla donna che voleva sposare, e con cui ha avuto una figlia, vaga senza meta nella zona del delta del Po. Senza accettare l’accaduto, si rinchiude sempre più in se stesso, incontrando altre donne con cui non gli è concesso di legare. L’evidenza del suo dolore inespresso si sovrimprime su un paesaggio indifferente, tutto acqua e rami spogli (memorabile la fotografia di Gianni Di Venanzo), fino al tragico finale. Classici Fuori Mostra 2024 14, 21, 28 febbraio; 6, 13 marzo Multisala Rossini www.labiennale.org


Blow Out, Brian De Palma, 1981

I

s the fate of classical cinema to show on TV screens or monitors, mostly as inadequate copies? No—there’s such a thing as restoration, and they’re a feast for the eyes. Starting on February 14, Multisala Rossini theatre in Venice will be home to a season of classic cinema produced by the Venice Biennale in cooperation with the local universities. Every week until May 15, a newly restored classic film will be released and screened. The first one is The Terrorist, a 1963 Italian film by Gianfranco De Bosio and a war story of partisan guerrilla in Venice. The protagonist (Gian Maria Volontè) devises a series of terror attacks in the area, which the local CNL (the committee oversighting partisan warfare against the Nazi and Fascists in Italy in the later years of WWII) disapproves of. The feature is powerful in its dramatic enactment, though it shows a certain theatricality in a few of its scenes, and feels overly literary in others. It is quite original in its depiction of tactical and political ideological friction in the Resistenza. Reflections on the individual’s personal issues with the need for violence are also distinctively poignant. De Bosio, who was born in

1924, has been an accomplished theatre director, the first to stage Brecht in Italy back in 1953. Brian De Palma’s Blow Out (1981) is scheduled for February 21. Blow Out is to the ear what Antonioni’s Blow-Up (1966) is to the eye. In both cases, it is not really about the senses as much as their mechanical reproductions. De Palma’s film, a political thriller, features a sound engineer exploring the elusiveness of the tracks of reality as he takes it upon himself to investigate a car accident and homicide cover-up. The film is rife with political and artistic references. On February 28, The Outcry by Michelangelo Antonioni will tell a story of existential pain in a working-class world: Aldo, a labourer, is rejected by his longtime mistress, whom he wanted to marry. The two had a daughter together, Rosina. Aldo and Rosina set off and wander aimlessly in the area, with Aldo hoping to find a new love and a new start. Nothing seems to catch on, though. He shuts further and further in as his pain shows physically in the film’s setting, thanks to Gianni Di Venanzo’s amazing cinematography, until the tragic epilogue.

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cinema FESTIVALS

Il ponte sull’Oceano Venezia-Cannes-Hollywood, conferma di una tendenza Il fermento ovviamente era ben palpabile, con i Golden Globes che come da tradizione esprimono una dichiarazione d’intenti di quelle che nella maggioranza dei casi si sono rivelate le scelte dell’Academy nella corsa alla statuetta dorata più famosa e desiderata del Pianeta. Il settore cinematografico non fa eccezione, anzi: quando parliamo di “clamore mediatico”, questo arrivava a livelli non meno che fragorosi nel promuovere questa o quella pellicola, non solo in occasione dell’uscita in sala ma in ogni aspetto della lavorazione, con social e piattaforme che ormai non conoscono confini geografici e di pubblico. Ma la qualità è un’altra cosa, Venezia e Cannes lo sanno molto bene. Perché se due indizi fanno una prova, la pioggia di nomination condivise tra le ribalte europee e la “prova del nove” hollywoodiana non può di sicuro lasciare indifferenti. Nella rosa delle candidature agli Oscar 2024, in programma il 10 marzo, 7 film sono stati presentati alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, con 24 candidature complessive: il Leone d’Oro Povere creature! (Poor Things) di Yorgos Lanthimos, il Leone d’Argento Io capitano di Matteo Garrone, Maestro di Bradley Cooper, El conde di Pablo Larraín, La società della neve (La sociedad de la nieve) di J.A. Bayona, La meravigliosa storia di Henry Sugar di Wes Anderson e Bobi Wine: the People’s President di Moses Bwayo e Christopher Sharp, passato a Venezia 79. Ben 11 le candidature ottenute da Povere creature! di Yorgos Lanthimos: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale (Tony McNamara), miglior attrice protagonista (Emma Stone), miglior attore non protagonista (Mark Ruffalo), miglior colonna sonora (Jerskin Fendrix), miglior montaggio, miglior fotografia, migliori costumi, migliore scenografia e miglior trucco. Il film italiano Io capitano di Matteo Garrone, Leone d’Argento per la migliore regia, ha ottenuto la nomination per il miglior film internazionale, mentre Maestro di Bradley Cooper ha ottenuto sette nomination: miglior film, migliore attore protagonista (Bradley Cooper), migliore attrice protagonista (Carey Mulligan), miglior sceneggiatura originale, miglior fotografia, miglior trucco e miglior suono. Cannes non è da meno, con 9 film della sua Selezione Ufficiale, rappresentati in 16 categorie per un totale di 26 nomination. Il film Palma d’Oro 2023 di Justine Triet, Anatomy of a Fall, prodotto da Marie-Ange Luciani e David Thion, distribuito in Francia da Jean Labadie e Le Pacte, da Tom Quinn e Neon negli Stati Uniti e venduto a livello internazionale da mk2 Films, è candidato in 5 categorie: miglior regia per Justine Triet, miglior attrice protagonista per Sandra Hüller, miglior sceneggiatura originale per Justine Triet e Arthur Harari, miglior montaggio per Laurent Sénéchal e miglior film. Se il rapporto tra Venezia e Academy si era ulteriormente rafforzato già nel 2022, con una delegazione americana che aveva molto più che presenziato in occasione del 90simo anniversario della manifestazione e con iniziative concrete che nel prossimo futuro vedranno camminare a braccetto Golden Globe Foundation e Biennale College Cinema, tra Europa e Stati Uniti si è negli ultimi anni lastricato un percorso che ha portato pellicole premiate a maggio e settembre a raccogliere la definitiva consacrazione proprio a marzo agli occhi del mondo, non solo a quelli degli spettatori. Il fenomeno planetario Oppenheimer, la riscossa di una Barbie d’autore (anzi, d’autrice), il trio delle meraviglie Scorsese-De Niro-DiCaprio, lo stesso Lanthimos e la sua Emma Stone moderna Frankenstein: la notte degli Oscar ci regala volti noti e meno noti, conferme e soprese che già si stanno disvelando con annesso strascico polemico, vedasi le mancate nomination nelle rispettive categorie per due protagonisti del cinema contemporaneo come Leonardo DiCaprio e Margot Robbie. È il cinema, bellezza. Un cinema che speriamo riesca a stare fuori dalle polemiche il più possibile per puntare alla qualità, guardando alla realtà con la lente d’ingrandimento della sensibilità registica e con una lucidità di sguardo che arriva dove l’occhio a volte non riesce. O magari, non vuole. Davide Carbone

Anatomy of a Fall

Bobi Wine: the People’s President

El conde

Oscar 2024 10 marzo www.oscars.org

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La meravigliosa storia di Henry Sugar


IMPRONTE D’ORSO

Poor Things

Io capitano

Maestro

Sono due i film italiani in concorso alla 74. edizione del Festival del Cinema di Berlino. Another End, secondo lungometraggio del regista e musicista siciliano Piero Messina (dopo L’attesa del 2015 con Juliette Binoche, presentato alla 72. Mostra del Cinema di Venezia) racconta la storia di Sal, un uomo che si affida ad una nuova tecnologia per riportare brevemente in vita, ma in un altro corpo, la coscienza di Zoe, l’amore della sua vita. Insieme al protagonista Gael García Bernal, nel cast anche Bérénice Bejo, star del cinema francese vista recentemente ne Il colibrì di Francesca Archibugi, e Olivia Williams, la ‘seconda’ Camilla della serie Netflix The Crown. Il secondo film che cercherà di riportare l’Orso d’Oro in Italia (l’ultimo a riuscirci fu Gianfranco Rosi con Fuocoammare nel 2016) è Gloria! di Margherita Vicario. Per il suo esordio alla regia l’attrice e cantautrice romana, classe ‘88, sceglie una storia ambientata in un istituto femminile della Venezia di fine ‘700. Un gruppo di ragazze, capitanate dalla talentuosa e visionaria Teresa, mette in piedi una band musicale che – nelle parole della regista – «scavalca i secoli e sfida i polverosi catafalchi dell’Ancien Régime inventando una musica ribelle, leggera e moderna. Pop!». Il film vede fra gli interpreti anche Elio e Natalino Balasso, oltre alla protagonista Galatéa Bellugi, classe ’97, già apprezzata ne Il ragazzo invisibile (parte seconda) di Gabriele Salvatores e nel film generazionale Amanda, accattivante opera prima di Carolina Cavalli. Sullo schermo del Berlinale Palast i due italiani dovranno vedersela, fra gli altri, con un regista del calibro di Olivier Assayas (Hors du Temps) e con uno dei titoli più attesi della stagione, Small Things Like These di Tim Mielants. Tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice irlandese Claire Keegan, il film apre il festival il 15 febbraio forte di un cast degno di nota (Cillian Murphy, Eileen Walsh, Michelle Fairley, Emily Watson). Oltre a Cillian Murphy, fra le star più attese sul tappeto rosso berlinese ci saranno anche Rooney Mara, Liv Lisa Fries e Isabelle Huppert. Non mancherà dunque il glamour nella fredda Berlino, ma i direttori Mariette Rissenbeek e Carlo Chatrian promettono anche un momento di riflessione sul Medio Oriente, uno spazio di dialogo aperto in ferma contrapposizione all’acuirsi di sentimenti antisemiti e anti-islamici, in un’ottica di comprensione delle diverse sofferenze che da quell’area del mondo stanno invocando l’attenzione del mondo, confermando la vocazione ‘politica’ di un Festival che negli anni ha premiato registi come Zhang Yimou, Robert Altman, Rainer Werner Fassbinder, Pier Paolo Pasolini e Jafar Panahi. Marisa Santin 74. Berlinale 15-25 febbraio Berlino www.berlinale.de

La sociedad de la nieve

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cinema RASSEGNE

L’aristocrazia al cinema

Corti accademici

Marina Cicogna Mozzoni Volpi di Misurata, donna eclettica che ha segnato in profondità la storia del cinema italiano, scomparsa il 4 novembre 2023, è destinataria di un doveroso omaggio alla casa del Cinema di Venezia. Iniziato il 9 gennaio, fino al 20 febbraio, Teorema Cicogna passa in rassegna i film più importanti da lei prodotti. Prendendo a prestito le sue stesse parole, Marina Cicogna così rispondeva a chi le chiedeva da dove nascesse il suo intuito verso pellicole rivelatesi straordinarie: «[...] Belle de Jour fu un film che io volli a tutti i costi, Helga fu davvero un colpo di fortuna e devo essere sincera lo scelsi perché pensavo che avesse le potenzialità per fare davvero molto denaro, cosa che poi avvenne. Indagine… fu un capolavoro, ma nessuno all’inizio sa se quello sarà o no un capolavoro, vengono fuori all’improvviso. Di sicuro fu il film più facile da fare della mia carriera, a parte i momenti di brutto carattere di Gian Maria Volontè, perché tutti andavano d’accordo sul set, e la direzione di Elio Petri fu perfetta, sapeva precisamente cosa fare e dove voleva arrivare. Ecco forse Petri è stato davvero il migliore regista con cui ho lavorato. Ogni film ha comunque la sua storia e la sua ragione d’esistere, dire perché li scegliessi davvero è impossibile, qualcosa me li faceva scegliere, ma non so dire cosa fosse [...]». Marina era molto legata a Venezia, fu suo nonno Giuseppe Volpi ad inventare la Mostra del Cinema, mentre sua madre, Anna Maria Cicogna Mozzoni visse a Venezia fino alla morte avvenuta nel 2004. Marina è stata protagonista del mondo della cultura e considerata a ragione un’icona di stile, donna libera e anticonformista che ha saputo fare la rivoluzione anche dall’interno degli ambienti più esclusivi e altolocati, suo côté naturale, vivendo i suoi amori, all’epoca assolutamente “trasgressivi”, senza mai dover rispondere ad alcuna etichetta. Dal documentario di Andrea Bettinetti a lei dedicato, Marina Cicogna. La vita e tutto il resto, ad Anonimo veneziano, che non produsse, ma contribuì a rendere un importante campione d’incassi, la rassegna Teorema Cicogna offre un ritratto a tutto tondo di una figura unica nel panorama italiano. F.M. Teorema Cicogna 6, 13, 20 febbraio Casa del Cinema www.culturavenezia.it/cinema

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Ca’ Foscari Short Film Festival è il primo festival cinematografico europeo gestito da studenti universitari sotto la guida di uno staff di professori di cinema e professionisti del mondo del cinema. L’iniziativa si traduce in un Concorso Internazionale aperto agli studenti di cinema di tutto il mondo ed è diventata un punto di riferimento importante per chi si occupa di studi cinematografici. Viene promossa la diffusione dei risultati ottenuti nel campo del cinema e dei transmedia collaborando con scuole di cinema e distributori internazionali. Produttori, esperti di cinema, registi e attori di rilevanza internazionale partecipano ogni anno come membri della giuria o come ospiti speciali. Oltre al Concorso Internazionale principale, il Ca’ Foscari Short Film Festival include il Concorso delle Scuole Superiori – incentrato su cortometraggi diretti da studenti delle scuole di secondo grado –, e il Concorso Internazionale Music Video, che include video musicali realizzati da studenti di scuole di cinema o universitari. Il Ca’ Foscari Short Film Festival è un vento nuovo, comparso nel 2011 e capace in questi anni di dotarsi di un respiro internazionale, curato dagli studenti e per gli studenti ma aperto più che mai al mondo. E il vento, si sa, non lo può imbrigliare né recintare: allora è meglio accompagnarlo, godere dei profumi e del cambiamento che porta, con il cinema che ancora una volta diventa finestra da cui osservare la realtà. Il manifesto è ancora una volta a cura di Manuele Fior, da anni veneziano d’adozione il cui amore per Venezia è chiaramente testimoniato da uno dei suoi ultimi successi, la graphic novel Celestia – uscita nel 2020 per Oblomov – che non solo deve il suo nome a una delle zone più affascinanti e recondite dell’isola principale, ma vi è interamente ambientato in una sorta di fantasia post-apocalittica della città. Nato a Cesena nel 1975, Fior ha vissuto a Berlino, Oslo, Parigi e appunto a Venezia. Collabora con le sue illustrazioni a riviste come The New Yorker, Vanity Fair, a quotidiani come La Repubblica, Le Monde e Il Sole 24 Ore, a case editrici come Feltrinelli, Einaudi. I circa 200 studenti volontari che rendono possibile la realizzazione di questo Festival unico al mondo saranno di nuovo al centro di una rassegna che si conferma confermarsi di primo piano nel panorama di settore, come testimoniano i 2805 film provenienti da 117 Paesi ricevuti dalla Commissione di selezione, a cui toccherà una scrematura imponente fino alla scelta dei 30 cortometraggi in Concorso. 14. Ca’ Foscari Short Film Festival 20-23 marzo Auditorium Santa Margherita cafoscarishort.unive.it


SUPERVISIONI

Sissi & Ich

Lumbrensueño, Biennale College Cinema 2023

Sulle spalle dei giganti «Affiancare e arricchire la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con opere di nuovi talenti, promosse dalla Biennale e sviluppate in un laboratorio di alta formazione, ricerca e sperimentazione. Il programma copre l’intero arco di ideazione, sviluppo, produzione, regia, marketing, audience engagement e distribuzione di opere audiovisive. Fare avanzare la ricerca sulle produzioni micro e low-budget, che sono diventate, in tempi di crisi, una delle poche possibilità che i giovani talenti hanno per cimentarsi con opere audiovisive di lunga durata». Così recita uno stralcio del bando che Biennale College Cinema dedica ormai ogni anno ai ‘registi del domani’ italiani e stranieri, regalando ai progetti capaci di superare un rigoroso percorso di selezione la ribalta del festival cinematografico più longevo del mondo, la Mostra del Cinema di Venezia. Dal 28 agosto al 7 settembre di quest’anno, per l’81. edizione dell’appuntamento lidense, saranno ancora 4 i progetti che il pubblico potrà vedere in sala, precisamente: Honeymoon (regista Zhanna Ozirna, produttore Dmytro Sukhanov); January 2 (regista Zsófia Szilágyi, produttrice Dóra Csernátony); My Birthday / Il mio compleanno (regista Christian Filippi, produttore Leonardo Baraldi); The Fisherman (regista Zoey Martinson, produttore Kofi Owusu Afriyie). Alla conclusione del workshop di pre-produzione tenutosi a metà gennaio partirà il percorso concreto di realizzazione delle pellicole, cui la Biennale contribuirà con 200.000 euro ciascuno e con la messa a disposizione di figure professionali in grado di trasmettere il giusto know how ai registi, in vista del grande happening settembrino. Di questi giorni è poi l’annuncio del rinnovo, da parte della Golden Globe Foundation, del programma di residenza per i registi di Biennale College Cinema, in collaborazione con Film Independent. Il programma intende favorire lo sviluppo professionale dei giovani autori attraverso una residenza di tre settimane a Los Angeles. Tre registi provenienti da Ungheria, Italia e Messico del programma di formazione della Biennale sono stati selezionati per la residenza a Los Angeles a febbraio di quest’anno. Oltre a loro, il programma riunirà tre registe di talento provenienti da India, Giordania e Arabia Saudita, selezionate da Redsea Labs e Film Independent per fornire una prospettiva internazionale più ampia al gruppo. Durante il loro soggiorno a Hollywood, a coppie verranno affidati a tutor – registi affermati – che li aiuteranno ad affinare le proprie abilità. www.labiennale.ogr

Il Trieste Film Festival è giunto quest’anno alla sua 35a edizione. Ha sempre avuto un ruolo chiave nell’indagare, studiare e presentare una cinematografia, quella dell’Europa centro orientale, che spesso non ha una adeguata circolazione nelle sale italiane. Tra le sue diverse sezioni presenta un focus dedicato alle cineaste europee intitolato Wild Roses, quest’anno rivolto alle registe tedesche, curato da Mariëtte Rissenbeek, executive director della Berlinale. Ottimo lavoro il suo, con film estremamente interessanti, di grande profilo, sia per il contenuto che per la valenza tecnica, propriamente di regia. Una curiosità infantile mi spinge a riflettere sul perché di una scelta al femminile. Ma quando chiedo a Ana Felicia Scutelnicu, regista e sceneggiatrice del delicato Anisoara, su una quindicenne moldava che scopre l’amore e i primi turbamenti, sembra quasi stupita. Più decisa la grande Margarethe von Trotta (Leone d’oro a Venezia nel 1981 con Anni di piombo): «Un film è sempre un’opera collettiva, spesso poi è il produttore a dettare il copione e a imporre alcune regole, come nel caso del film che oggi presento, Ingeborg Bachmann-Reise in die Wüste», uno dei pochi che troverà sicura circolazione nelle sale italiane. Abbandoniamo il tema e veniamo a due ‘perle’, che vorrei citare come suggerimenti di visione. Sissi & Ich di Frauke Finsterwalder, presentato alla Berlinale 2023, una storia particolare di Elisabetta, nota come Sissi, imperatrice d’Austria e Ungheria verso la fine dell’800 vista con gli occhi della sua dama di compagnia. Una metafora sulla fine di un mondo e la nascita dell’autonomia femminile. Del 2023 anche Im toten Winkel, (Punto cieco) di Ayse Polat. Ho apprezzato come le scelte stilistiche di regia abbiano donato al film un carattere neoespressionista. Bianco e nero alternato con colore nell’aiutare lo spettatore a ricomporre il quiz della storia, un offuscamento delle immagini nei punti oscuri e dubbi della trama, talvolta usato al posto della dissolvenza. La vicenda è presentata in quadri in cui la parte successiva svela qualcosa della vicenda mostrata in precedenza, il tutto con le premonizioni di una bambina apparentemente in grado di vedere eventi del passato e anticipare quelli futuri. Siamo in piena “società della sorveglianza”, da Foucault a Lyon, dove telecamere, telefonini, selfie e registrazioni sono indiscussi protagonisti e spesso dettano la condotta degli attori. Un’ardita sfida alla differenza tra sorpresa e suspence tracciata da Hitchcock. Ma il filo conduttore è una lente indagatoria sulla polizia segreta turca e sulla violenta repressione contro i curdi. Ayse Polat, anche se cresciuta ad Amburgo, è di origini curde, appunto. Legata al gruppo Berlin School, con questo film viene decisamente superata la critica di mancanza di tensione e di lack of narrative impulse, spesso attribuita agli artisti vicini a questa corrente. Loris Casadei

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cinema REVIEW

Prima il cinema, poi la musica Roberto Pugliese racconta Pino Donaggio Se il cinema può essere letto come un’estensione dell’attitudine musicale, per dirla con Giovanni Morelli, autore nel 2011 di Prima la musica, poi il cinema (Marsilio) luminoso saggio che legge il cinema come esito di pratiche estetiche prettamente musicali, per Pino Donaggio dobbiamo fare un’eccezione. Se l’assunto morelliano che vede la musica precedere esteticamente il cinema può risultare congruo nell’avvicendamento di due arti contigue, crolla se riferito all’esperienza del compositore veneziano. A ricordarci la vicenda artistica di uno tra i più eclettici e sorprendenti autori di musica per film è la prosa critica rigorosa e smagliante di Roberto Pugliese, che con il suo Venezia-Hollywood. Pino Donaggio per il cinema e la televisione (Falsopiano) mette ordine nella carriera multiforme di un grande compositore, spesso ricordato solo per aver scritto ‘canzonette’, come la celeberrima Io che non vivo (senza te) del 1965, che Elvis volle per sé nel 1970. Ben prima di sfondare a Sanremo – ricordiamolo – Donaggio era un promettente e richiesto violinista. Dalla sua Venezia (è nato a Burano nel 1941), si sposta a Milano per collaborare con Claudio Abbado, per poi tornare in Veneto tra I Solisti Veneti di Claudio Scimone, con cui collabora fino all’esordio all’Ariston nel 1961. In principio, sì, fu la musica. Poi venne il cinema. Che arriva cinquant’anni fa in una circostanza in cui il caso sembra più coerente del destino, quando Nicolas Roeg lo scrittura per il suo giallo psicologico A Venezia… Un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now, 1973), un successo internazionale girato nella sua città. Da quel momento in poi, nell’arte di Donaggio, il rapporto tra musica e cinema si capovolge. Come rivela Pugliese, al contrario di Morricone Donaggio compone ‘sulle’ immagini, non ‘per’ le immagini. La sua musica cioè nasce su ispirazione visiva, aderisce alle immagini e dà loro corpo, spessore emotivo, colore. Felicissima, in questo senso, la collaborazione con Brian De Palma, per Carrie - Lo sguardo di Satana (Carrie, 1976) e Vestito per uccidere (Dressed to Kill, 1980) ma soprattutto per Blow Out (1981), che ragiona proprio sulla giustapposizione del suono all’immagine, sulla ricerca del suono perfetto. Ma perfetto per cosa? Non tanto perché aderisca all’intenzione del regista, compiacendo il suo sguardo, piuttosto perché alle immagini fornisce, come in Blow Out, una ‘chiave di lettura’ anche rivelatrice. L’istinto leitmotivico di Donaggio si traduce in una scrittura per completamento, che pare dialogare con le immagini e ispessirne il senso, funzionando a volte al di sopra di esse. Come nel caso della produzione per certo cinema di genere basso, riscattato grazie alla ricercatezza delle musiche (su tutti lo score per Così fan tutte di Tinto Brass, sulle cui carni tremule risuonano sopraffine eco mozartiane). C’è il cinema di genere, più che gli autori nella vicenda artistica di Donaggio. Destino di chi intercetta il cinema nei Settanta, prolificissimi di pellicole dei generi più disparati. Dopo De Palma, Joe Dante, Lucio Fulci, Ruggero Deodato, Romero e Argento. Ma anche Cavani, Placido, Avati. E a chi ha provato a piegarlo, a condizionarlo secondo preconcetti o stilemi estranei alla sua poliedrica sensibilità, figlia di una solida formazione classica, di una cultura musicale e di una sensibilità in grado di spaziare dalla dodecafonia alle avanguardie, fino alla musica applicata e leggera, Donaggio ha sempre saputo rispondere con la sorpresa, con la felicità di una scrittura sempre riconoscibile, che con le immagini intrattiene un rapporto rivelativo, interpretativo e per questo libero. Riccardo Triolo

Blow Out

Carrie - Lo sguardo di Satana

Così fan tutte

A Venezia… Un dicembre rosso shocking

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cinema FABBRICA DEL VEDERE

Lo sguardo puro Intervista Carlo Montanaro di Andrea Zennaro ‘La Fabbrica del Vedere è uno spazio in cui si approfondiscono i temi dell’immagine in movimento, dal cinema sperimentale al video d’artista. È un luogo di studio e di visioni, in cui si discutono le idee del presente e si possono mettere alla prova sistemi di riproduzione antichi. È una vera fabbrica perché è stata fondata per lavorare, con lo sguardo e coi pensieri’. Con questa presentazione si intende far capire che non siamo di fronte ad un semplice archivio o ad una sala espositiva museale, ma ad un luogo vivo che ha come scopo la divulgazione, la fruizione, il dibattito e l’incontro intellettuale. Nel corso degli anni sono state numerose le iniziative qui promosse che hanno spaziato in lungo ed in largo sulle tematiche della visione: oltre all’appuntamento annuale del Calendario, con approfondimenti sui macchinari (la lanterne magiche, la stereoscopia, i diorami, il passo ridotto), e alle mostre tematiche sugli sperimentatori del passato, da Bruno Munari a Marcel Duchamp, e sugli artisti contemporanei di videoarte, sono state proposte, anche in altre città, mostre fotografiche di assoluto livello, tra le quali quelle su Francesco Pasinetti, Carlo Naya e Alida Valli. Si è da poco conclusa la mostra del Calendario 2024, intitolata Mancavano…, dedicata ai reperti non ancora inseriti nelle mostre precedenti ma comunque fondamentali per la storia della visione, con particolare riferimento alle immagini di Venezia, città tra le più amate e riprodotte da sempre. Nel decennale de La Fabbrica del Vedere abbiamo incontrato il professor Carlo Montanaro, suo ideatore, storico del cinema nonché collezionista alla continua ricerca di ulteriori tasselli mancanti nel grande mosaico storico delle immagini in movimento. Venezia è stata fin da subito al centro delle attenzioni dei primi operatori cinematografici sguinzagliati in giro per il mondo dalla ditta Cinématographe Lumière. Come i veneziani recepirono questa nuova tecnologia? Il 22 agosto 1896, esclamando ‘andémo, andémo alle vedute vive’, i veneziani confluivano al Teatro Minerva (nato come Teatro San Moisè) in calle XXII Marzo, che già dal 9 luglio di quell’anno fungeva da proto-cinematografo. In agosto era scattata la più autentica delle novità, ovvero i filmati dei Lumière che mostravano Venezia ripresa nei primi mesi di quell’anno dagli operatori Charles Moisson (Arrivée en gondole e Pigeons sur la place Saint-Marc) e Alexandre Promio (Panorama du Grand Canal pris d’un bateau, probabilmente primo camera boat della storia). Al di là di queste prime proiezioni dei film dei Lumière vicino a Piazza San Marco e dei numeri speciali dei varietà nei teatri leggeri del periodo, con in testa il trasformista Fregoli passato anche per Venezia, è con i Luna Park o fiere viaggianti che

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si arriva ad una diffusione capillare del cinematografo nelle città di tutto il mondo. Sul finire del XIX secolo gli ambulanti Zamperla, Bläser e Roatto portano a Venezia il cinematografo con baracconi presenti anche alla fiera in Riva degli Schiavoni. Cinema che inizialmente si configura quindi anche qui come ‘fenomeno da baraccone’? Luigi Roatto senior, di origini veronesi, aveva sposato la veneziana Adelaide Gamba e si era specializzato nel portare in giro per l’Italia, assieme ai suoi sei figli, saltimbanchi, donne cannone, ma anche i ‘panorami’, attrazione molto in voga nel periodo del pre-cinema. Con l’avvento del cinematografo, che coincide con la sua morte, i figli Luigi Alessandro e Almerico si appassionano alla nuova tecnologia andando ad informarsi direttamente sul posto dove ha preso vita, ossia Parigi, e, dopo essersi procurati un apparecchio, allestiscono un baraccone per le proiezioni chiamato Bioscop e poi altre attrazioni ancora, quali un Museo Panottico e un Teatro Meccanico, raggiungendo il massimo dell’attività tra il 1906 ed il 1907 con Il Re dei Cinematografi – The American Bioscope. Quando avviene a Venezia il passaggio da attrazione fieristica a vero e proprio esercizio cinematografico stabile? Luigi Alessandro Roatto apre nel dicembre del 1905 la prima sala cinematografica residente vicino a Piazza San Marco e la chiama Edison, o San Zulian. In verità un’altra sala aveva già iniziato una sua programmazione regolare: il Modernissimo, che altri non era se non il famoso Ridotto che, dopo anni di trasgressioni, soprattutto monetarie (lo stesso Casanova vi aveva giocato d’azzardo), era diventato un teatrino specializzato in marionette. Visto il successo, Luigi, assieme ai fratelli, apre anche altri piccoli cinematografi (il Radium, il Gigante poi Iride, il Marconi, il Re, il Goldoni e, assieme al fratello Domenico, il San Marco). D’accordo con gli ambulanti, manda altri padiglioni di cinematografo in giro, addirittura ‘all’estero’, nello specifico a Trieste, che all’epoca apparteneva ancora al Regno Austro-Ungarico.


Sul finire del XIX secolo i Roatto portano a Venezia il cinematografo con baracconi presenti anche alla fiera in Riva degli Schiavoni

Si collega alle distribuzioni, comincia a sua volta a fare anch’egli il distributore, impegnandosi poi nella produzione attraverso la costruzione un piccolo teatro di posa, andato perduto, vicino all’officina per manutenzioni e riparazioni in Barbaria delle Tole. Diventa il capo degli ambulanti italiani e apre un negozio di dischi e grammofoni in Calle dei Fabbri, vicino al Ponte dei Dai. Che tipo di pellicole produceva Luigi Roatto? Con ogni probabilità, dopo aver ripreso più e più volte l’uscita dalla messa domenicale, promettendo in ogni occasione di proiettarla dopo poche ore dal suo svolgersi di modo che la gente potesse riconoscersi, il suo primo film a soggetto è da considerarsi La signora Marietta ed è interpretato forse dalla sorella Maria. Gira poi, tra il 1906 ed il 1907, Biasio el luganegher, truculenta storia del macellaio che cucinava le carni di bambini da lui stesso uccisi, Anima santa, sponsorizzato dalla Cassa di Risparmio, e Corsa alla luganega. Poi passa alle ‘attualità’, con la Visita del Re d’Italia in Grecia e le inaugurazioni delle Biennali d’Arte. Nel 1911 l’impresa cambia ragione sociale e diventa la ‘Cinematografi & Films Premiata ed Antica Ditta cav. Luigi Roatto’. Acquisisce i diritti di filmati esteri, ma, soprattutto, comincia ad aiutare chi vuole provarci: vende tecnologia, compresi i complessi sistemi di cinema sonoro con lettura di dischi sincronizzati in proiezione con la pellicola, diavolerie che raramente andavano oltre all’enunciazione ‘Non è come l’altra volta, oggi funziona veramente…’. Ma, forse a causa di un eccesso di ampliamento, la ditta fallisce nel 1914 e definitivamente chiude tutte le sue imprese nel 1915. Continuerà a fare l’operatore durante la Prima guerra mondiale, per stabilirsi infine a Milano. Là produrrà opere che, a giudicare dall’unica sopravvissuta (Le capriole del cuore), non tenevano alcun conto del progresso che la tecnica ed il linguaggio cinematografici stavano raggiungendo, essendo il cinema divenuto nel frattempo il divertimento preferito dalla gente un po’ in tutto il mondo.

Veniamo alla nuova acquisizione de La Fabbrica del Vedere e dell’Archivio Carlo Montanaro. Nel periodo della sua attività Luigi Roatto aveva anche distribuito materiale tecnologico, lo seguiva, lo riparava. Nel 2023 ricevo una segnalazione, dalla provincia di Verona, dell’esistenza di un cinetoscopio Roatto (in realtà il proiettore in questione non era un Roatto, ma un Pathé). Il messaggio del veronese Franco Ruaro è il seguente: ‘Conserviamo un Cinetoscopio del Cav. Luigi Roatto. Un parente fotografo nei primi anni del ‘900 si è lasciato affascinare dalle immagini in movimento e ha comperato a Venezia un’attrezzatura per proiettarle. Interessa?’ La cosa ha dell’incredibile: nel 1905 la Pathé ha prodotto un proiettore ‘eterno’ relativamente al cinema muto, non ancora del tutto perfezionato, che si chiamava Pathé Renforcé. Essendo quasi indistruttibile, anche quando la Pathé stessa perfezionerà i propri sistemi di proiezione e ne costruirà altri di migliori continuerà comunque a produrre quel modello, cedendolo ad altri distributori, che lo rivendevano poi come proprio. Montanaro ci fa notare come, nel punto del proiettore dove c’era il logo della Pathé, in questa macchina c’è il marchio ‘cav. Luigi Roatto forniture cinematografiche Venezia’. Sempre collegato a questa macchina troviamo, nello spazio espositivo, un piccolo gadget del Salone Edison datato 1909 regalato ad una spettatrice, con addirittura un fotogramma originale di un film incorporato come ricordo, simile alle cartoline che i fratelli Lumière, fin dagli inizi, donavano ai loro spettatori. Inoltre, terzo tassello, una cartolina che ricorda il primo rinnovamento dei locali dell’Edison del 1907. Questi tre cimeli messi insieme rappresentano le tracce più antiche in assoluto dell’attività cinematografica, a livello di esercizio e di produzione, riscontrabili a Venezia.

www.archiviocarlomontanaro.com

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cinema CINEFACTS

a cura di Marisa Santin

LA GIUSTA VICINANZA Dieci anni fa, il 22 gennaio 2014, moriva all’età di 57 anni il regista e sceneggiatore padovano Carlo Mazzacurati. Leone d’Argento a Venezia nel 1994 per Il toro, un Nastro d’Argento, un David di Donatello speciale, una scuola di cinema a Padova a lui intitolata: con il suo sguardo ironico e delicato Mazzacurati ha raccontato storie di periferia – padane e universali – abitate da nebbie e da personaggi perdenti, svantaggiati, disgraziati, sempre sull’orlo di una disperazione alla quale, però, non cedono mai del tutto.

Notte italiana

(1987) Presentato con successo alla Mostra del Cinema (Settimana della Critica) e primo film prodotto dalla neonata Sacher Film di Nanni Moretti, il lungometraggio di esordio di Mazzacurati è una riflessione sull’Italia degli anni ’80, raccontata con gli occhi di un avvocato di città (Marco Messeri) alle prese con la cultura rurale del Polesine, dove viene inviato per occuparsi di un vecchio caso di omicidio.

Il toro (1994)

Diego Abatantuono è Franco Montagner, dipendente di un allevamento di bovini che dopo essere stato licenziato decide di rubare Corinto, un toro da riproduzione che potrebbe fruttargli molti soldi. Insieme all’amico Loris, Franco si mette in viaggio con il toro verso l’Ungheria… Leone d’Argento per la regia e Coppa Volpi come miglior attore non protagonista a Roberto Citran. La colonna sonora è di Ivano Fossati.

Vesna va veloce (1996)

Una volta arrivata a Trieste con una comitiva, Vesna decide di abbandonare il gruppo e proseguire il viaggio da sola. La giovane ceca è in cerca di una scorciatoia per migliorare la sua vita, anche a costo di prostituirsi. Dopo una serie di incontri con uomini indistinti in squallidi alberghi, le speranze lasciano posto ad una disillusione che forse nemmeno Antonio (Antonio Albanese), un cliente che si è innamorato di lei, riuscirà a dissipare.

La lingua del Santo

(2000) Nel 1991 tre uomini armati e coperti da passamontagna entrarono nella Basilica del Santo a Padova e rubarono la famosa reliquia. Si scoprì poi che dietro al clamoroso furto c’era l’ombra della Mala del Brenta, ma il caso offrì al regista il pretesto per raccontare una versione parallela della vicenda. Memorabili le interpretazioni di Antonio Albanese e Fabrizio Bentivoglio nei panni di due scombinati e improbabili ladruncoli.

La giusta distanza

(2007) La “giusta distanza” è quel velo di indifferenza che un giovane giornalista dovrà abbattere per andare oltre il pregiudizio nei confronti di un immigrato tunisino, sul quale si concentrano i sospetti di un omicidio. Il regista torna nel Polesine per ambientarvi un giallo intriso di atmosfere rarefatte che si trasforma in denuncia sociale. Nel cast, un’esordiente Valentina Lodovini.

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CI METTO LA FACCIA ... perché l’armadillo in realtà è l’unico animale che puoi vedere gratis se vai allo zoo di Roma: la gabbia sta prima della biglietteria. Quindi pure se non paghi il biglietto l’armadillo lo puoi vedé Zerocalcare di Marisa Santin

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on si può dire che Zerocalcare non

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ci metta la faccia in tutto quello che fa, ed è sicuramente una ‘faccia politica’ oltre che artistica. Per riportare solo alcuni dei suoi ultimi interventi pubblici, risale a qualche mese fa la sua decisione di non partecipare al Lucca Comics – ovvero una delle più importanti vetrine a livello internazionale per chi si occupa di fumetto – per il fatto che l’evento si avvale del patrocinio dell’ambasciata israeliana. A poche settimane dall’atroce attacco di Hamas del 7 ottobre e dalla pesante reazione di Netanyahu, Zerocalcare spiegava così la sua presa di posizione: «In questo momento in cui a Gaza sono incastrate due milioni di persone che non sanno nemmeno se saranno vive il giorno dopo […] per me venire a festeggiare lì dentro [al Lucca Comics, n.d.r.] rappresenta un cortocircuito che non riesco a gestire». Parole che non gli hanno risparmiato una valanga di assurde accuse di antisemitismo. Recentemente l’artista si è espresso anche sulla terribile vicenda di Ilaria Salis, l’attivista e insegnante di scuola elementare di Monza che dall’11 febbraio dell’anno scorso è detenuta in Ungheria con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra. Abbiamo visto tutti le terribili condizioni in cui la donna è trattenuta, e ora su di lei incombe la possibilità di una pesante condanna definitiva. Zerocalcare racconta questa storia come meglio sa fare, attraverso un fumetto dal titolo In fondo al pozzo. Una storia di nazisti, galera e responsabilità, pubblicato su uno degli ultimi numeri di Internazionale. Come dimenticare inoltre, andando un po’ più indietro

nel tempo, il suo Kobane Calling (2015), reportage a fumetti del viaggio che lo aveva portato al confine tra Turchia e Siria nella città di Kobanê, al fianco dei curdi assediati dallo Stato Islamico. Insomma, Zerocalcare la faccia ce la mette sempre, eccome, a partire dal suo alter ego a fumetti, il personaggio cigliuto che, guarda caso, come lui vive a Rebibbia, parla in romanesco ed è continuamente pungolato da una coscienza invadente che assume la forma di un armadillo. Quando nel 2011 uscì La profezia dell’armadillo, il suo libro d’esordio diventato poi anche un film presentato alla Mostra di Venezia, il fumetto era un genere che faticava a trovare spazio nel mercato editoriale. I fumetti si compravano perlopiù in edicola o in negozi specializzati, ed erano considerati ‘cose da nerd’. Inizialmente distribuito in pochissime copie, La profezia dell’armadillo cominciò in breve tempo a scalare le classifiche di vendita grazie soprattutto al passaparola. Quella storia così personale e autobiografica stava decisamente convincendo critica e lettori, conquistandosi una fetta di affezionati sempre più ampia. Va dato atto a Michele Rech, questo il suo vero nome, di aver riportato il fumetto nelle librerie e di aver riavvicinato anche il pubblico generalista ad un’arte che presuppone una somma di talenti, dal disegno alla narrazione, fino alla capacità di arrivare al cuore delle persone. E Zerocalcare questi talenti ce li ha senza dubbio tutti. Più Libri più Laguna 16 febbraio Teatrino di Palazzo Grassi www.pinaultcollection.com


LIBRI IN TEATRINO Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria di Roma arriva a Venezia grazie ad una collaborazione tra Palazzo Grassi – Punta della Dogana e Libreria MarcoPolo. La rassegna, ospitata al Teatrino di Palazzo Grassi e curata da Chiara Valerio, avrà inizio il 16 febbraio con la partecipazione di Zerocalcare. A partire dal successo del suo fumetto d’esordio, La profezia dell’armadillo (2011), il disegnatore romano ha continuato a convincere lettori e critica grazie a storie che attingono a piene mani ad esperienze di vita vissuta, dalle graphic novel ambientate nel quartiere di Rebibbia, dove vive, fino ai reportage grafici dei suoi viaggi in aree calde del mondo, come la Kobane assediata dallo Stato Islamico (Kobane Calling) o l’enclave irachena degli Ezidi in Medio Oriente (No Sleep till Shengal). Zerocalcare si è recentemente dedicato alla realizzazione di opere di animazione, fra cui Rebibbia Quarantine, in cui racconta il periodo del lockdown, e le due serie per Netflix Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo. Al termine dell’incontro (gratuito previa prenotazione sul sito di Palazzo Grassi a partire dal 5 febbraio) l’autore sarà a disposizione del pubblico per il firmacopie della sua ultima pubblicazione, Enciclopædia Calcarea (BAO publishing). Il secondo appuntamento, in programma lunedì 27 maggio, vede la presenza di Lorenzo Gasparrini, filosofo e attivista antisessista, autore del saggio Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni (Settenove, 2020). Chiude la rassegna, giovedì 6 giugno, Rosi Braidotti, filosofa femminista, autrice di numerosi studi sul postumano e docente emerita presso l’Università di Utrecht. © Rosdiana Ciaravolo

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MEHDI CHAREF IL ROMANZO E IL FILM

Il tessuto sociale di Paola Salerni È in programma per il 1° marzo una giornata in onore dei 40 anni dell’opera prima di Mehdi Charef, Le Thé au harem d’Archi Ahmed, organizzata presso l’Aula Tesa I dalla prof.ssa Paola Salerni, docente di Lingua e traduzione Francese presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari. Al mattino, alla presenza di Mehdi Charef, gli studenti del corso di Letteratura francese LM e alcune classi del Liceo Marco Foscarinisez. Europea, parteciperanno alla proiezione del film Le Thé au Harem d’Archimède, seguito da una discussione con docenti specialisti che metteranno in luce gli aspetti più innovativi e significativi dell’opera. Nel pomeriggio l’incontro con l’autore continuerà con gli interventi di docenti universitari francesi e italiani, specialisti dei tre ambiti di ricerca coinvolti dalla letteratura charefiana: in particolare, verranno approfonditi gli aspetti linguistici, narrativi e sociologici. Sarà presa in considerazione l’evoluzione della lingua parlata nelle realtà urbane, come dal secondo dopoguerra il paesaggio sonoro francese si sia modificato. Nei quartieri popolari coabitano comunità di origini diverse che hanno prodotto una “variazione” linguistica che ha destrutturato la lingua nazionale: l’edilizia nelle aree della periferia, già nel primo Novecento, fino alle aree degli agglomerati e alla formazione della periferia popolare, sono stati il prodotto di una specifica politica d’immigrazione e d’integrazione dei migranti. La politica urbanistica francese verrà presentata nei suoi aspetti sociali e relativi all’integrazione e alla costituzione del territorio extra-urbano, secondo criteri discriminatori che hanno portato alle elaborazioni metaforiche delle ‘mitologie’ urbane, parigine e francesi. Mehdi Charef arriva in Francia all’età di dieci anni, con la madre, i fratelli e le sorelle, all’inizio degli anni ‘60, dopo essere stato testimone degli orrori della guerra per l’indipendenza dell’Algeria. Trascorre gran parte della sua infanzia e adolescenza nella baraccopoli di Nanterre e nelle zone extra-urbane di transito della regione parigina. Il padre era emigrato in Francia da parecchi anni per la drammatica precarietà in cui versava la famiglia durante la guerra, diventando operaio sterratore, come molti altri manovali utilizzati per la ricostruzione degli alloggi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Alunno studioso e promettente, Charef si ritroverà lui stesso a lavorare in fabbrica dal 1970 al 1983. Nel 1983 pubblica la sua opera prima, Le Thé au harem d’Archi I 40 anni del romanzo di Mehdi Charef, Le thé au harem d’Archi Ahmed. Il romanzo e il film 1 marzo Aula Tesa I Università Ca’ Foscari www.unive.it

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Fotografia attribuita a Jean-Paul Vacher © Bibliothèque municipale de Lyon

Ahmed per Mercure de France: è la cronaca della vita quotidiana di numerose famiglie in una cité di case popolari della periferia parigina negli anni ‘80. Charef si fa coscienza narrante della figura emblematica di Madjid, figlio di immigrati, in conflitto fra due culture, due lingue, due identità. È il primogenito di una famiglia numerosa interamente sostenuta economicamente dalla madre, dopo l’incidente che ha reso disabile il padre. Espulso da scuola insieme al suo migliore amico Pat, con un gruppo di amici Madjid si rifugia nei ‘non-luoghi’ dei centri urbani, trascorrendo un quotidiano caratterizzato da piccoli atti di delinquenza in un contesto di paura, droga, violenza e disperazione. Il romanzo di Charef diventa l’opera fondatrice di una generazione di scrittori e scrittrici, in maggioranza figli di francesi immigrati di origine magrebina, algerini in particolare; la narrazione penetra negli animi, negli spazi desolati e cementificati per mostrare, come in una ripresa cinematografica, in uno scorrere di eventi in immagini, il quotidiano di ragazzi nei quartieri delle zone extra-urbane. L’autore rivela le drammatiche difficoltà d’integrazione e di discriminazione della “seconda generazione”, indaga i motivi della scelta della ‘cultura della strada’ piuttosto che quella della scuola, la deriva nella delinquenza prodotta da una profonda crisi socio-identitaria. La letteratura «delle periferie urbane», «del cemento», «della segregazione» conta oggi un importante corpus ed è stata oggetto di numerosi dibattiti che vertono da un lato sulla necessità di raggruppare queste opere letterarie sotto un’etichetta basata sull’origine degli autori, dall’altro sul posto legittimo che spetta a questa letteratura all’interno della produzione letteraria francese. Nel 1985, sollecitato da Costa-Gavras e Michèle Ray, Charef trasforma il romanzo nella sceneggiatura del film che lui stesso dirigerà, ambientato nella “Cité des 4000” a La Courneuve e nella “Cité


Quando siamo arrivati qui, non potevamo essere noi stessi. Non era proprio possibile, perché dovevamo parlare subito francese, adattarci subito, integrarci subito. Questo è stato molto difficile per me

du Luth” a Gennevilliers, le grandi cités della periferia parigina. Il film vince numerosi premi, tra cui il Premio della gioventù al Festival di Cannes 1985, il Premio Jean-Vigo 1985 e il César come miglior film d’esordio all’undicesima cerimonia dei César. Gli anni ‘80, durante la presidenza del socialista François Mitterrand, segnano in Francia l’inizio di una presa di coscienza del fallimento sociale dei grandi complessi edilizi costruiti nel secondo dopoguerra nelle periferie delle grandi città francesi. Qui vivevano gli operai magrebini di prima generazione, che saranno raggiunti progressivamente dalle famiglie fino agli anni ‘70. Al tempo stesso, il disagio economico e abitativo degli strati più popolari dei cittadini francesi e di origine magrebina insieme restituisce l’esistenza di una società oramai plurietnica in crescente aumento, logica conseguenza della storia post-coloniale con la quale la Francia cominciava a fare i conti allora fra conflitti sempre più violenti. Per la seconda generazione dei giovani francesi di origine nordafricana e sub-sahariana il 1983 è l’anno della “Camminata per l’uguaglianza e contro il razzismo”, soprannominata dai media “Marche des beurs” (il termine nel gergo del francese parlato settoriale “beurs” identifica, secondo una connotazione stigmatizzante, la gioventù francese di seconda generazione legata all’immigrazione). Si è trattato di una ‘camminata’ antirazzista attraverso la Francia, durata dal 15 ottobre al 3 dicembre 1983, per denunciare la segregazione abitativa, il disagio e la mancata integrazione di cui ritenevano responsabile la Repubblica francese, ritenendola responsabile del mancato riconoscimento dei loro diritti di giovani francesi. In questa prima fase la società prende conoscenza dell’esistenza d’intellettuali, scrittori, cineasti e artisti a tutto campo provenienti dalla cultura nord-africana: come dichiarerà Charef, «Per i figli della seconda generazione era un momento favoloso,

underground. Il nostro maggio ‘68. Sapevamo che qualcosa stava per succedere». Mehdi Charef viene visto come «la guida»: come dichiarerà, invece di «camminare» ha preferito «scrivere», alternando nella sua attività artistica la scrittura letteraria, teatrale, la sceneggiatura e la regia cinematografiche. La prosa di Charef eccelle in particolare nel tradurre i drammi dell’infanzia, come nel romanzo del 1999 La maison d’Alexina, nel quale porta alla luce le drammatiche situazioni di precarietà materiale e affettiva sopportata da adolescenti con fragilità comportamentali e psicologiche diverse: denuncia gli abusi familiari, il lavoro forzato, i drammi legati alla droga, all’alcool e alla violenza all’interno di nuclei familiari o di famiglie monoparentali con grandi disagi. Vale la pena ricordare anche l’episodio girato da Charef nell’ambito del cortometraggio collettivo Les enfants invisibles, presentato per la prima volta al Festival di Venezia nel 2005. Nel suo episodio, Tanza, Charef affronta il tema dei bambini-soldato coinvolti nella guerra d’Africa. Si tratta dell’insieme di sette creazioni francoitaliane commissionato dal governo italiano e dal Programma Alimentare Mondiale (PAM) al quale hanno partecipato anche Emil Kusturica, Spike Lee, Ridley Scott, Stefano Veneruso. L’UNICEF è stato associato all’operazione per denunciare la situazione dei bambini la cui vita e il destino sono diventati invisibili agli occhi di chi li circonda ma più in generali di tutti nel mondo. Questa giornata in onore dell’opera di Mehdi Charef è rivolta soprattutto agli studiosi e agli studenti interessati alle problematiche legate alla letteratura francese derivata dall’immigrazione post-coloniale, agli stereotipi prodotti dall’integrazione ‘dell’altro’, al problema dell’identità e alle rivendicazioni dei giovani dei quartieri extra-urbani francesi.

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ALESSANDRO MARZO MAGNO CASANOVA

Alla corte del Settecento Intervista Alessandro Marzo Magno di Elisabetta Gardin Casanova, edito da Laterza, è il ventunesimo libro pubblicato da Alessandro Marzo Magno, romanzo appassionante attraverso il quale l’autore veneziano, con il consueto rigore storico e un’accuratissima documentazione, a quasi 300 anni dalla nascita del veneziano più noto al mondo ci trascina nella storia incredibile della sua esistenza e in un avvincente affresco del Settecento europeo. Il racconto, infatti, ci offre il senso di un’intera epoca non solo di una vita, non a caso La storia della mia vita, l’autobiografia di Casanova, è la fonte migliore per conoscere quella stagione. Le donne, a cominciare dalla madre Giovanna Maria Farussi, bellissima attrice, che lo lascerà da piccolo alle cure di nonna Marzia, svolgono sempre un ruolo fondamentale nella vita di Casanova: ne è attratto con enorme curiosità, ha bisogno di essere sempre innamorato ma più in una visione per così dire giocosa, legata alla leggerezza e al divertimento che connotavano quel tempo. Le sue relazioni non si limitano certo alla sfera sessuale; ha bisogno di dialogare, di essere pienamente coinvolto in una relazione anche se brevissima. Il suo vero grande amore sarà una giovane francese, Henriette, che non dimenticherà mai. Marzo Magno ci spiazza subito: certo, Casanova era amante delle donne, ma qui – conti alla mano – la figura del seduttore impenitente, dell’amante focoso, del libertino insaziabile vengono presto demolite. Dice infatti l’autore: «qualsiasi bagnino di Rimini o maestro di sci di Cortina ha fatto meglio di lui». Non era un pornografo, Marzo Magno lo dipinge più come un personaggio che mascherava nell’allegria la propria tristezza. Sicuramente era un avventuriero e il libro ci racconta anche di magia, di massoneria, di spionaggio. Finì più volte in carcere: famosissima la sua rocambolesca fuga dai Piombi di Venezia. Era un instancabile viaggiatore, testimone di grandi eventi, come quando assistette al primo volo di una mongolfiera a Parigi nel 1783. Aveva visitato innumerevoli città, tra cui Madrid, San Pietroburgo, Londra, Costantinopoli, conoscendo migliaia di persone, molti letterati, musicisti, attori, personaggi notissimi come Voltaire o Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart, e ben dodici sovrani regnanti. Protagonista indiscusso del Settecento europeo, era uno scrittore –pubblicherà con alterne fortune ben 43 titoli – dotato di raffinate doti diplomatiche, un abile giocatore d’azzardo – spesso barava – e amava il vino e il buon cibo – nomina ben 120 ricette diverse. Casanova muore a Dux in Boemia nel 1798. Da anziano è uno sconfitto e si ritrova in un’Europa post-rivoluzionaria che non riconosce più. Con lui finisce un’epoca felice, ludica, in una parola, leggera. Alessandro Marzo Magno per restituire il profilo e le gesta di questo avvincente personaggio utilizza una scrittura chiara, precisa, lineare,

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retaggio di un lungo passato da cronista. Ci appassiona, ci diverte e sicuramente lui stesso si diverte indagando le incredibili vicende vissute dal libertino. Tuttavia Casanova rimane un personaggio inafferrabile: l’autore ci suggerisce che forse è da questo che deriva il suo immarcescibile fascino grazie al quale ancor oggi riesce a riempire i nostri sogni. Veneziano, laureato in Storia a Ca’ Foscari, Marzo Magno lavora tra Milano e Venezia. Giornalista, dopo essere stato per quasi dieci anni responsabile degli esteri del settimanale Diario, dirige il semestrale Ligabue Magazine e collabora con Il Gazzettino. Ha pubblicato libri di argomento storico, tra i quali L’alba dei libri. Quando Venezia ha fatto leggere il mondo, tradotto in inglese, spagnolo, giapponese, coreano e cinese. Per Laterza è autore di La splendida. Venezia 1499-1509, L’inventore di libri. Aldo Manuzio, Venezia e il suo tempo, tradotto in giapponese e spagnolo, e Venezia. Una storia di mare e di terra, tradotto in cinese, greco, polacco e russo. Giacomo Casanova, un personaggio raccontato da molti autori, esplorato in plurimi modi, dal cinema al teatro, di recente anche in un musical. Cosa l’ha spinta a tornare su questa figura? Sono affascinato dal Settecento, un secolo intelligente e gaudente, e volevo approfondire la conoscenza del rapporto tra Casanova e Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart. Dopodiché, leggendo le oltre cinquemila pagine dell’edizione italiana di Storia della mia vita, pubblicata nel 1964 da Mondadori, mi sono reso conto che il veneziano traccia un sensazionale ritratto dell’Europa settecentesca. Si trova di tutto: dai dodici regnanti che Casanova incontra – tra i quali Caterina la Grande di Russia e Federico II di Prussia – al passaggio dall’ora italiana, con il quadrante a 24 ore e una lancetta, a quella francese, con il quadrante a 12 ore e due lancette, da notizie sulla gastronomia e sugli alberghi alle tecniche per barare al tavolo da gioco. Un capitolo del libro è dedicato alla sua amicizia con Da Ponte e ai versi che Giacomo scrisse per il Don Giovanni di Mozart, poi non entrati nella versione finale del libretto dapontiano.


Giacomo era un figlio del suo tempo e leggere le migliaia di pagine che ci ha lasciato significa compiere uno straordinario viaggio nell’Europa del Settecento

Che cosa c’è di contemporaneo in Casanova e perché continua ad esercitare così tanto fascino ancora oggi? Può sembrare sorprendente, ma l’aspetto più contemporaneo del suo vissuto è la considerazione della donna. Casanova in un suo opuscolo usa le parole “educazione e condizione della donna”, concetti di sorprendente modernità, tanto che qualche studioso americano ha addirittura parlato di “protofemminismo” casanoviano. Forse l’assunto è un po’ eccessivo, perché per altri aspetti Giacomo era invece un figlio del suo tempo e quindi anche con le donne, nonostante un’indubbia generosità, compie alcune azioni che oggi l’avrebbero condotto diritto in prigione. Comportamenti che nel Settecento, tuttavia, non solo non erano considerati reati (tipo l’incesto), ma nemmeno socialmente censurabili. Tutti i suoi libri hanno alle spalle un grandissimo e accurato lavoro di ricerca e di documentazione. Come si è svolto nello specifico il lavoro per la realizzazione di questo suo ultimo volume? Ci ho messo un anno e mezzo tra lavoro di documentazione e scrittura. Ho cominciato, come detto, leggendo Storia della mia vita, impresa non banale vista la sua imponente lunghezza, per poi proseguire con numerose altre opere sue e su di lui. Ho esaminato documenti d’archivio: ai Frari a Venezia sono conservate le relazioni che Giacomo inoltrava agli Inquisitori di Stato della Serenissima. Da Praga mi hanno mandato le copie elettroniche di numerosi documenti che Casanova aveva lasciato nel Castello boemo di Duchcov, dove aveva vissuto gli ultimi tredici anni della sua vita fino alla morte. Insomma, ho cercato di ricostruire per quanto possibile il caleidoscopico tragitto esistenziale di una figura assolutamente non incasellabile in alcun schema, in alcun modello univoco. Da padre di due figli, come crede si possano educare i giovani alla lettura, ad amare i libri? Prima di tutto con il buon esempio, ma non è detto che basti. Per quanto vedesse leggere a casa, il minore dei miei due figli sembrava

refrattario alla lettura. A un certo punto gli è scattata una scintilla che ha acceso il fuoco. L’innesco è stato un libro che gli avevo regalato, senza per questo sollecitarlo insistentemente a leggerlo. Quindi direi che con i giovani può funzionare rendere il libro un oggetto familiare. La voglia di leggere scatta con la consapevolezza che sia un divertimento, non un obbligo, un’imposizione. Poi c’è il capitolo scuola: nonostante la bravura di tanti insegnanti, il sistema scolastico italiano sembra fatto apposta per diseducare alla lettura. Dare ai giovani come compito a casa «leggere da pagina tale a pagina talaltra e poi fare il riassunto scritto» è il sistema migliore per allontanare i giovani dai libri. Anche gli editori potrebbero fare di più: il nostro sistema di avanzamento privilegia l’anzianità, quindi diventano responsabili delle collane indirizzate ai giovani persone che giovani non sono più. All’estero a capo di tali collane spesso si trovano ventenni, ovvero chi conosce dall’interno, per esperienza diretta, presente, esigenze e attitudini delle nuove generazioni. Come storico ci ha raccontato grandi eventi e grandi uomini. Se potesse vivere in un’altra epoca quale sceglierebbe? Dopo aver scritto quest’ultimo libro non esiterei a rispondere il Settecento. Era un secolo ricco di fermenti, di novità, si sviluppavano nuove idee, si cominciava a prendere consapevolezza dell’importanza della dignità umana, cosa che nei secoli precedenti mancava del tutto, si stava finalmente allentando il controllo asfissiante della Chiesa sulla società. E poi era un secolo gaudente: cibo, vino, sesso, gioco, tutto vissuto con allegria e leggerezza e non solo nelle classi sociali più elevate. La testimonianza di Lord Byron, a inizio Ottocento, ci fa sapere che anche le popolane erano coinvolte nell’atmosfera libertina che pervadeva il secolo. Dopodiché non bisogna dimenticarsi che si poteva morire di appendicite o di setticemia provocata da un banale ascesso in bocca. Da veneziano quali ritiene siano le urgenze prioritarie in città a cui dover dare risposta? Ne vedo tre: residenza, residenza e residenza.

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Marzo giallo shocking

PAROLE a cura di Renato Jona

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i sono parole che, non si sa perché, nel fondo del

Treviso Giallo è il primo festival letterario che affronta con taglio scientifico il genere giallo e noir, offrendo uno strumento straordinario per raccontare e comprendere la realtà contemporanea. Il Museo Santa Caterina ospita quattro giornate di incontri, presentazioni di libri con interviste di approfondimento all’autore, tavole rotonde alle quali parteciperanno scrittori, giornalisti, sociologi, criminologi, investigatori, magistrati, psicologi, psichiatri. La rassegna si caratterizza per il taglio scientifico che la distingue a livello nazionale ed europeo e che vede l’attiva collaborazione con diversi atenei universitari italiani e stranieri. Il suo intento è quello di valorizzare e approfondire questo specifico genere letterario attraverso un approccio teorico in grado di abbracciare unitariamente più discipline e forme di espressione artistica. «Forse nessun libro è una cartina di tornasole di un’epoca come un romanzo di crimini e di spie», afferma Claudio Magris, uno dei più autorevoli saggisti contemporanei e fra i più penetranti e geniali studiosi di letteratura mitteleuropea, erede della grande tradizione culturale triestina e da sempre attento osservatore di quelle zone di confine tra letteratura e sociologia. «L’obiettivo del Festival ha affermato Pierluigi Granata, del Comitato scientifico della rassegna ‒ è di valorizzare con un approccio accademico, che abbraccia unitariamente più discipline scientifiche, il genere letterario giallo e noir, nelle sue declinazioni peculiari. Infatti, Treviso Giallo ha la finalità di creare un preciso percorso metodologico che consente di fornire al pubblico una nuova chiave di lettura e interpretativa della letteratura ‘gialla’ e ‘noir’, tesa soprattutto a far recepire quanto il suddetto genere sia uno strumento privilegiato di analisi della società contemporanea». Treviso Giallo 21-24 marzo Museo Santa Caterina-Treviso trevisogiallo.it

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nostro inconscio, hanno connotazioni negative. Parole i cui significati vorremmo fossero sempre lontani da noi, messi quasi da parte. Anzi, in tutta sincerità, volendoci sottrarre a colpe, vere o presunte, imbarazzi, omissioni gradiremmo che almeno si riferissero sempre e soltanto agli altri. Ma la correttezza e l’onestà impediscono che possa realizzarsi questa aspirazione, questa comoda scappatoia. Per cui dopo tante altre parole, questa volta (un po’ a malincuore?) dobbiamo avere il coraggio di affrontare proprio lo scomodo e deprecato errore. Liberati da questa istintiva repulsione e rivolgendo la mente al suo significato, scopriamo che contiene un ventaglio, una ricchezza incredibile di varianti, nelle quali “inciampiamo” spesso e non volentieri, nel nostro vivere quotidiano. La rosa delle possibili varietà, se considerata con un certo spirito, diventa quasi affascinante! Cominciamo perciò pudicamente a riflettere su significati meno imbarazzanti, per non dover subito… arrossire. Errore e sbaglio in genere si riferiscono per lo più a informazioni non completamente esatte o addirittura non vere. Interessante notare che la parola errore si può sempre sostituire con sbaglio, ma non è vero il contrario: non tutti gli sbagli sono sostituibili con la parola errore. Inoltre, se l’errore si riferisce alle parole stampate esiste addirittura un termine specifico per indicarlo: refuso. Non tutti gli errori, tuttavia, possono vantare espressioni specifiche, peculiari per indicarli. Pensiamo all’errore di calcolo, di valutazione. È semplicemente un errore, magari dalle conseguenze gravi, anche gravissime, ma… non cambia nome. Resta sempre “errore”. Altre volte capita che l’errore addirittura necessiti della presenza di altri vocaboli che sembrano aiutare ad esprimere o completare il concetto: cadere in errore, cadere in fallo. E già il sostantivo “fallo” talvolta richiede più precise integrazioni. Ad esempio “cogliere”, quando viene rilevato da terze persone, forse più competenti in materia o semplicemente più attente, vigilanti e, perché no? concorrenti o superiori. E l’espressione può avere diversi riferimenti di gravità: errore lieve, (mettere un piede in fallo); errore considerato grave, assai più rilevante, ad esempio: morale. E non mi dite che non vi aspettavate un riferimento al tanto comune fallo sportivo rimarcato dal giudice di gara, durante una partita! E allora questo, come tutti sappiamo, se rilevato a carico nostro, è assai temuto, può causare conseguenze. Più lievi o più gravi, a seconda delle circostanze. Si arriva anche, in certi casi, a fermare il gioco. La squadra cui appartiene il giocatore che l’ha commesso subisce una punizione (per mancata osservanza intenzionale o meno, delle regole stabilite


ORE in precedenza per la gara). Non solo, ma l’errore, in altri campi, come previsto, viene punito per legge: ad esempio guidando un veicolo, per fretta, distrazione o per sfida alle norme, un conducente di un veicolo non arresta lo stesso tempestivamente di fronte ad un semaforo rosso, e allora si perdono punti dalla patente di guida o addirittura la sospensione temporanea o definitiva del permesso di guida . Un errore poi, tanto comune, è il fraintendimento: in questo caso si tratta di una scorretta interpretazione di parole ricche di significati. In questo caso si tratta di un equivoco. (Di frequente anche invocato da chi si è lasciato andare a azzardate, sconvenienti o imprudenti dichiarazioni, che sarebbe più opportuno “cancellare”, ma, nell’impossibilità di farlo, ribalta sull’ascoltatore la propria colpa). Talvolta, non sempre, una volta chiarito, non rimangono tracce materiali né morali. Ma l’errore è così frequente che altre, colorite parole, lo indicano, rendendone più simpatico il riferimento: prendere un “granchio”, un “abbaglio”, “una cantonata”, esser presi “in castagna”, o più semplicemente trarre in “inganno”, volutamente o senza cattive intenzioni, e la causa può essere ricercata nella superficialità, verosimiglianza, carenza dell’opportuna, necessaria attenzione, prudenza, oppure omissione di un indispensabile approfondimento. La nostra lingua è davvero ricca. Chi non conosce le espressioni: “svarione”, “strafalcione”, sproposito (“sfondone”)? Se ci soffermiamo un attimo a riflettere, ci stupiamo della abbondanza, della quantità e qualità di errori che possiamo commettere e del fatto che quasi per ogni categoria troviamo pronta la parola adatta. Anche soltanto nel parlare, abbiamo una straordinaria quantità (e frequenza!) di errori: grammaticali, di sintassi (ah, quanti mancati congiuntivi che, anche in bocca di persone colte, diventano… indicativi!), di ortografia, sgrammaticature, sostituzione di parole dovuti ad assonanze (pochi anni fa qualcuno, in un’aula parlamentare italiana, ha scambiato Auschwitz con… Austerlitz), oppure traditore per traduttore e così via. Inoltre se ci si riferisce al palcoscenico incontriamo le “papere” (sostituzione di parole), “le stecche” musicali (note sbagliate o storpiate). Ma il ventaglio di possibilità di errori non si esaurisce qui: non dobbiamo dimenticare la “topica”, errore un po’ più sofisticato, che consiste nel dire inopportunamente ciò che viceversa si dovrebbe tacere, detta anche “magra” o, se vogliamo essere eleganti, la definiamo “gaffe” (comunque “una figuraccia”!), spesso molto imbarazzante, le lacune (omissioni di parole); le imprecisioni (errori veniali).

E, considerato il fatto che per definire un errore siamo andati ad attingere termini oltralpe, è corretto segnalare un’espressione precisa e colorita d’oltre Atlantico: “blooper”, dicono gli americani riferendosi a un errore imbarazzante, un passo falso, un pasticcio, qualcosa che non avremmo dovuto fare e che soprattutto ci vergogniamo di ammettere di aver compiuto! Gli studiosi della materia hanno inoltre osservato che in particolare le persone eccezionalmente dotate trovano una particolare difficoltà ad ammettere di aver commesso errori. Figuriamoci poi, quelle mediamente dotate…! E adesso guardiamoci allo specchio. La maggior parte di noi è soggetta a un processo assai comune, assai puerile, adottato pur di non confessare di aver commesso l’errore: si razionalizza, si giustifica, si nega, si dà la colpa ad altri… I politici, poi, sembrano aver una speciale difficoltà ad ammettere propri errori, ancorché lampanti, dimostrando in tal modo le loro puerili debolezze, la loro caparbietà, e talvolta i “tessuti bronzei” della cute facciale! Di fronte all’evidenza, talvolta, arrivano persino ad alzare la voce, triste indice di aver raggiunto il limite più basso e debole a propria difesa, molto prossimo alla... indecenza. Suvvia! Ammettere un errore è anche segno di correttezza, onestà e, perchè no?, di forza. Quanti errori commettono banchieri, giudici, economisti, medici, poliziotti! E le giustificazioni più comuni accampate? «È dipeso dal Governo precedente», «si trattava di circostanze eccezionali», «era il meglio che si poteva fare», «i dati che ci hanno fornito non erano corretti»... Ecco perché, come si diceva all’inizio, il concetto di errore coinvolge altri pensieri imbarazzanti, quali colpe, vergogne, fobia di figuracce, disagio, inaccettabilità dell’eventuale perdita di prestigio. Quasi che il vocabolo evocasse tremende assonanze: errore, terrore! Ma le parole non sono mezzi asettici. Sono lo specchio della nostra vita, ci accompagnano, caratterizzano, limitano, definiscono. E qualche volta, però, volendo considerare il bicchiere mezzo pieno, ci aiutano a riflettere, a correggerci, ci chiariscono non solo il nostro essere, ma talvolta indicano anche il dover essere, la strada giusta da seguire. A questo punto, però, mi sorge un dubbio: e se la scelta di questo vocabolo fosse stata un errore? Per evitare le tanto deprecate brutte figure, le “normali” vie di fuga, è opportuno che io ammetta subito pubblicamente la mia valutazione sbagliata. Errare humanum est! Prometto che la prossima parola… eh, no, nessuna anticipazione: largo alla curiosità! Un po’ di giusta suspense…

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etcc... Sensibilità trasversale

I giovani devono sapere Giorno del Ricordo, la storia siamo noi Nel 1964 la Biennale di Venezia vide lo sbarco in laguna della Pop Art americana, che modificò radicalmente i parametri stessi dell’arte attraverso le opere di Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg e Robert Rauschenberg, che si vide attribuire il gran premio di quella storica edizione. Dino Buzzati non solo fu testimone diretto di quell’evento ma ne fece un preciso resoconto da cronista dalle colonne del Corriere della Sera, raccontando all’Italia del boom economico la novità che arrivava dall’America. La mostra Buzzati, Venezia e la Pop Art, allestita da Marco Perale al Centro Candiani di Mestre, permette di seguire l’evoluzione cronologica e stilistica della pittura di Buzzati, dai primi anni Venti fino all’esplosione degli anni Sessanta, attraversando i diversi influssi che ne hanno segnato la maturazione, da Rackham ad Alberto Martini, dalla Metafisica al Surrealismo, fino alla folgorazione della Pop Art. La mostra comprende 43 opere di Buzzati, tra cui 6 inediti non compresi nel catalogo generale della sua opera edito nel 2006, con due quadri e un disegno che non sono mai stati esposti prima. Completano l’esposizione una trentina di libri impreziositi dalle particolari dediche scritte a mano da Buzzati con la sua caratteristica calligrafia, ed una trentina di riviste degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta che ospitano articoli di e su Buzzati, in grado di mettere in luce la sua straordinaria capacità di captare il nuovo, raccontandolo in modo apparentemente naturale e assemblando invece un linguaggio di assoluta modernità. Buzzati, Venezia e la Pop Art Fino 25 febbraio Centro Culturale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/candiani

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Il 10 febbraio in Italia si celebra il Giorno del Ricordo. Purtroppo la lettura politica, molto di parte, che da sempre si è voluto dare a questa violenta e ignobile pagina di storia, ha creato un momento di ulteriore strappo, di divisione fra gli italiani e fra gli italiani e gli sloveni. Quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una giornata di rispetto e non di oltraggio, di analisi storica e non di propaganda, di fraternità e non di odio, di pace e non di guerra è divenuta una giornata comunque divisiva in cui l’eterno vizio italico delle contrapposizioni ideologiche non ha saputo restituire il valore della Storia, trasformandolo in un festival della retorica “patriottica” molto cara alla destra, ora di governo. Il Giorno del Ricordo è stato istituito dal Parlamento Italiano il 30 marzo 2004 e corrisponde alla data del 10 febbraio 1947 che, con la firma del Trattato di Pace di Parigi, sancì anche sul piano diplomatico la fine della Seconda Guerra Mondiale scatenata dall’Italia fascista e dalla Germania nazista. Carlo Azeglio Ciampi fu il primo Presidente della Repubblica (1999–2006) a commemorare il Giorno del Ricordo: «Questi drammatici avvenimenti formano parte integrante della nostra vicenda nazionale, devono essere radicati nella nostra memoria, ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del Secondo conflitto mondiale e dai drammi che ne seguirono. L’Italia non vuole e non può dimenticare non perché ci animi il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano nel futuro. La Seconda Guerra Mondiale scatenata da regimi dittatoriali portatori di perverse ideologie razziste, ha distrutto la vita di milioni di persone nel nostro Continente, ha dilaniato intere nazioni, ha rischiato di inghiottire la nostra civiltà europea. Non dimentichiamo e non cancelliamo nella memoria le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra». Se ci fosse rispetto della Storia non si potrebbe prescindere dall’invasione italiana della Jugoslavia, dalla violentissima repressione della resistenza slovena, dalla efferatezza nei confronti dei civili, dai delitti dei criminali di guerra italiani. Tutto ciò non diminuisce affatto la mostruosità dei crimini perpetrati nelle Foibe, ma potrebbe contribuire ad una lettura storica non demagogica e totalmente di parte, come se anche i morti ammazzati fossero ascrivibili a questo o quel settore politico. L’Università Ca’ Foscari per conservare e rinnovare la memoria di questi tragici eventi, realizza annualmente studi, convegni, incontri e dibattiti volti a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate. Giorno del Ricordo 10 febbraio www.unive.it/memoriaricordo


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IL VINO, INTORNO... di Massimo Bran

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rmai un po’ tutti si sono assuefatti a questa idea, a questa pervasiva narrazione che Venezia sia mero sinonimo di accumulo di criticità, tra acque alte, turismo mordi e fuggi invasivo, riduzione della città a parco a tema, prezzi alle stelle e chi più ne ha più ne metta. Lo si è a tal punto che pochi hanno la forza ormai, ma direi proprio la vivida curiosità, di scoprire ed esaltare la straordinaria, ineguagliabile vivibilità di questo miracolo urbano. Intendiamoci, le criticità di cui sopra sono fatti reali e purtroppo cronicizzati, a parte le acque alte, va detto, grazie al tanto vituperato Mose. Solo degli apprendisti illusionisti potrebbero trascenderne la tangibilità, che è davvero sotto gli occhi di tutti. Un dato consolidato dalla cronica, ormai incancrenita, mancanza di visione presente e futura da parte di chi questa città amministra, che è poi una diretta conseguenza di una evidente rassegnazione da parte della comunità che abita la città, perlomeno di una solida maggioranza di essa. Questo impasto scaduto restituisce perciò un’immagine della città nociva, come se nei suoi labirintici scaffali non si potessero trovare delle prelibate sorprese. Tolte quattro, cinque grandi calli, arterie che connettono i quattro, cinque punti topici della cartolina-città, assi in cui si accalca almeno l’80 % delle masse turistiche, il restante, maggioritario reticolo cittadino è espressione della migliore vivibilità urbana contemporanea. Se si fosse capaci di vedere questo mero, oggettivo dato, se fossimo quindi in grado di valutarne la straordinaria cifra qualitativa, si sarebbe già sulla buona strada per meglio costruire anche delle possibili, praticabili soluzioni alle criticità di cui sopra. Vero, anche in queste larghe aree di superlativa vivibilità la comunità, la residenzialità effettiva si è erosa di anno in anno in maniera drammatica, con l’affittanza turistica a farla da padrona anche qui. Però se si intende cercare davvero di ricostruire una quotidianità normale, un vissuto ordinario da vera città, è dall’osservazione, dal vivere quotidianamente studiandole queste parti di città che si deve ripartire, individuandone le molte tracce più che resilienti, ben più che meramente resistenziali, che restituiscono la tenacia nella qualità dell’abitare questa città di molte, moltissime persone. Prendiamo San Pietro di Castello, contesto in cui si svilupperà un intrigante progetto di cui ora parleremo, per eccellenza una Venezia laterale, di confine, lontana, quanto storicamente centrale nella secolare vita della Serenissima e a due passi dall’epicentro culturale senza se e senza ma del presente veneziano, la Biennale. Un luogo di una bellezza assoluta, con quell’essere insieme entità aperta, luminosa verso la laguna e al contempo già classico reticolo urbano intricato, Venezia insomma. Con una storia industriale, artigianale possente, non ancora spentasi

del tutto fortunatamente, pur in declinazioni necessariamente altre rispetto ai secoli ma anche ai decenni che furono. E’ da qui, da questo tratto identitario produttivo, industriale, segnatamente cantieristico, che prende il via questo progetto, questa sfida culturale che unisce arte, fotografia, musica al convivio, al buon vino e al buon cibo. “Enologismi”, questo il titolo del progetto curato da Laura Riolfatto e ospitato in uno dei meravigliosi ed ottimamente recuperati spazi dei gloriosi cantieri Cucchini, in altri spazi lì adiacenti ancora industrialmente attivi, si definisce propriamente come una sfida lanciata alla città, a chi la vive e a chi dovrebbe rinsavirla vitalmente amministrandola, da una prospettiva urbana laterale e però vivibilissima, facendo leva su linguaggi, su modalità relazionali che rappresentano quanto di più congruo al vivere Venezia oggi, un tempo in cui la cultura, il fare cultura tutti i giorni rappresenta una delle poche possibilità per assicurare a questa città uno straccio di futuro degno. Un’area, questa di San Pietro, già rivitalizzata dall’apertura della seconda entrata alla Biennale Arte fronte Arsenale, quella che per l’appunto si affaccia in questo fantastico angolo aperto della città, con una serie di Padiglioni Nazionali ed Eventi Collaterali ad occupare spazi riconvertiti all’arte anche qui. Gli stessi cantieri Cucchini da anni ospitano il Padiglione della Catalunya in uno dei loro spazi. Ecco allora che questo progetto, Enologismi, va ad aggiungere nuovi contenuti culturali a quest’offerta espositiva, contenuti peraltro più che prossimi ad essa, dato che tra mostre, incontri, degustazioni da qui a fine marzo sembrerà davvero di respirare con qualche mese di anticipo il miglior profumo del clima Biennale, però in forma più intima e, per l’appunto, vivibile. In queste stesse pagine trovate nel dettaglio il ricco programma di eventi allestito per questo progetto di confine, geografico e di linguaggi. Qui, per concludere, non resta che ringraziare i Cantieri Cucchini e in particolare la curatrice Laura Riolfatto (figura con alle spalle una profonda esperienza pluriennale sia nel settore culturale ed artistico, a partire dai nove anni passati come coordinatrice della Fondazione Prada qui a Venezia, sia nel settore enologico come sommelier e wine&food stylist) per questa scommessa, per questo sano e vitale coraggio di dare vita a un progetto che si definisce proprio come un percorso vivibile fuori da ogni eco da grande evento estemporaneo, espressione di una appassionata e vivida tensione verso il recupero di funzioni e relazionalità quotidiane in una parte di città meravigliosa e da troppo tempo amaramente dimenticata. Enologismi Fino 30 marzo _docks_ cantieri cucchini, TESA2 San Pietro di Castello 40/B www.laurariolfatto.com


Enologismi si definisce come una sfida lanciata alla città da una prospettiva urbana laterale e però vivibilissima, facendo leva su linguaggi, su modalità relazionali che rappresentano quanto di più congruo al vivere Venezia oggi

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ROBERTO RACCA PAGINE DI VITE E DI VINO

Il sapore dell’esperienza Intervista Roberto Racca di Fabio Marzari Il torinese Roberto Racca è consulente strategico per molte importanti case vinicole. Per i tipi di Allemandi ha pubblicato un romanzo molto particolare, che intreccia racconti di vita e di grandi vini: Me la ricordo come una giornata felice. Pagine di vite e di vino. Non l’ennesimo libro sul vino, ma una serie di piccoli racconti in cui si evidenzia come il vino e la vita in fondo seguano percorsi paralleli ed entrambi possano misurarsi in attimi o sorsi, sperando non siano troppi i calici amari da dover sorseggiare. È disponibile anche in versione audiolibro per ipovedenti, in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Il libro esplora l’anima umana e i suoi tanti stati, dalla felicità alla delusione, dalla malinconia alla forza straordinaria che serve per superare le difficoltà, anche quelle più drammatiche. Il volume è diviso in tre parti, tre differenti piani di lettura e di osservazione che si intrecciano lungo le pagine: il lato sinistro è dedicato alla vita, senza una sequenza temporale lineare essa viene raccontata con tutte le sue contraddizioni e i suoi momenti memorabili. A destra scorrono storie di vino, quello importante, intessuto di aneddoti indimenticabili, etichette e territori; vi sono narrate esperienze molto personali rese straordinarie, ancora una volta, dagli uomini e dalle donne e dalle loro scelte. Racca dimostra di saper condurre il lettore alla scoperta del vino, inteso come viaggio, uno strumento nobile per distillare, riconoscere e schiarire pensieri e sentimenti. La terza parte contiene le undici tavole realizzate con fili e frammenti di carta e stoffa dall’artista Annalisa Bollini dedicate ad altrettante opere realizzate nel corso degli anni per Roberto Racca. Solitudine, Malinconia, Rimpianto, Nostalgia, Assenza, Morte, Tenerezza, Innamoramento, Luce, Buio e Non è la fine uniscono colori, fili e frammenti di carta e di stoffa preziosa attraverso ricami dalle tinte forti o delicate, che riempiono i contorni di forme misteriose. La prima domanda è d’obbligo: quale la genesi del suo libro? Nasce da frammenti di diario da viaggiatore errante quale sono, che qua e là raccoglie spunti. Avere a che fare con la scrittura, siano essi comunicati o appunti, annotazioni o ricordi, rappresenta una parte integrante della mia professione di consulente enologico, nel corso della quale ho sempre viaggiato molto. Forse l’idea che potessero diventare qualcosa di compiuto c’era, ma è stato l’incontro casuale con Annalisa Bollini, che mi ha raccontato del suo nuovo approccio al ricamo, suscitando in me una grande curiosità, che mi ha spinto a chiederle se fosse possibile rendere ricami una serie di titoli come Solitudine, Malinconia, Assenza, Amore e Morte. Se avesse accolto questa mia suggestione avremmo potuto realizzare il libro. Così è andata e da

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allora l’avventura ha iniziato a prendere una sua forma concreta. Il vino arriva in un secondo momento. Esso rappresentava la mia credibilità nei confronti degli altri, pensavo che inserendo qualcosa attinente al mondo del vino mi sarebbe stato più facile “aprire qualche porta”. Mi ha molto intrigato cimentarmi col racconto, lo trovo altamente sfidante; nel racconto serve asciugare, andare all’osso, quasi scarnificare, non puoi permetterti cedimenti. Nel racconto ogni virgola, ogni verbo, ogni aggettivo deve essere frutto di attenzione; una componente, questa, che mi è piaciuta molto. Naturalmente molti di questi racconti erano stati stesi in un numero di battute assai più ampio, tuttavia ho avuto la fortuna di avere al mio fianco Giorgina Bertolino a fare la parte di editing, la quale mi ha portato a scavare ancora di più, a scarnificare i testi trasmettendomi uno stato di grazia a livello tecnico di scrittura, aiutandomi ad aprire i cassetti, quelli che metaforicamente rappresentano delle pratiche inevase, come quelle scatole finite nell’angolo più remoto della soffitta e che speriamo di non dover mai aprire, ma che comunque ci appartengono. Una volta iniziato questo lavoro mi sono così detto: apriamoli tutti, anche quelli che davvero non avrei voluto. Ammetto di avere avuto una vita abbastanza complicata; ho omesso un po’ di cose, e Giorgina mi ha obbligato a sostituire un paio di racconti con altri. Non ho neppure cercato un editore compiacente; ho bussato a varie porte, senza alcun favoritismo. Quando Allemandi ha accettato il mio lavoro mi è stato detto che alcuni di questi scritti erano troppo duri, strong, e allora ho dovuto far ricorso a qualche racconto che rappresentasse una sorta di bagaglio di scorta, qualcosa di più leggero, insomma, soft. Mi è dispiaciuto dover fare queste rinunce, anche se in effetti almeno un paio di racconti erano da brivido. Quando si scrive della propria vita inevitabilmente si finisce per raccontare quanto ci è accaduto ed avendo io avuto una vita molto complessa, pensare e scrivere questo racconto fatto di racconti ha rappresentato per me un utile esercizio. Una grande soddisfazione l’ho avuta ricevendo commenti positivi da parte di molte persone che si sono ritrovate nelle mie parole; per me rappresenta davvero una cosa bellissima aver potuto dar voce a situazioni che più o meno erano state vissute anche da altri, in cui altre persone si sono potute riconoscere.


Il vino è piacere della vita distillato, quasi un’esperienza spirituale

Il vino è un altro tema cardine del libro. Lei da indiscusso esperto della materia non prova una sorta di fastidio intorno alla troppa retorica imperante intorno al vino? Fastidio per la retorica del vino è un buon titolo, rappresenta la restituzione esatta di un punto di saturazione a cui siamo arrivati. Ho cercato volutamente di non essere didascalico. Ormai nella drammaturgia del vino, detto senza presunzione da chi come me nella vita ha acquisito attraverso lunghi anni di lavoro uno status riconosciuto di conoscitore della materia, tutti per forza devono sapere qualcosa, millantare la conoscenza, che rovina! Star, starlette, blogger, influencer, parvenu, nani, ballerine, mangiatori di fuoco…, tutti devono parlare di vino. Chiunque almeno due robine le deve dire, perché è qualcosa che ti accredita agli occhi dei commensali. E questo accade un po’ ovunque nel mondo, non solo da noi. Frequento molto la Francia e la Svizzera francese, quella di Ginevra e Losanna. Parliamo di aree nodali per l’industria e il commercio del vino; si calcoli che l’intera Svizzera è il polmone mondiale del prodotto, transita tutto da lì, dove ci sono le cantine più esclusive del pianeta. La Francia, poi, è e rimane la Francia e quindi chapeau! Entrambi sono contesti più maturi del nostro. Noi italiani siamo arrivati dopo, siamo più giovani rispetto a loro, ma questo grande circo Barnum, questo baraccone del vino, si respira anche lì, Non era così 20 anni fa, 30 anni fa meno ancora. Sono abbastanza grande anagraficamente da aver vissuto e visto queste diverse fasi. Il vino esplode negli anni ‘90, intendo dire che è in quegli anni che si comincia a parlare diffusamente di vino anche in ambiti non per addetti ai lavori: si dedicano copertine di giornali al vino, si intervistano i produttori. Oggi, dopo più di 30 anni in cui è successo di tutto, siamo arrivati all’insofferenza vera per tutta questa retorica, perché sul palco a parlare sono saliti troppi soggetti improbabili. Questa deriva fa dimenticare, o comunque obnubila, un dato oggettivo riguardante questo tema: si tratta di una materia infinita, in perenne aggiornamento, tra le più complesse in assoluto, per cui l’arroganza, darsi l’etichetta o la medaglia al valore di “sapere di vino” è una pura ed oggettiva bestialità. Io sono ascritto, con le dovute virgolette del caso, tra coloro che in Italia sono deputati a poter parlare di vino in tutta una serie di contesti autorevoli e riconosciuti,

in cui bisogna portare quel tot di bagaglio culturale in più. Ho investito una vita intera per costruire una conoscenza e una reputazione. Bisognerebbe ricordare che questa è una materia costosissima: per poter creare un file che sia sensoriale occorre avere i riferimenti, è un prodotto serissimo, va studiato, va vissuto. Troppi parlano per sentito dire, scrivono per sentito dire, postano foto di cose che a loro volta hanno ripreso chissà da dove, discorrendo di cose che non potrebbero mai permettersi di proferire di fronte a chi ne sa davvero. Tornando al libro, ad ogni modo all’interno mi soffermo su bottiglie di vino che per me hanno rivestito una valenza importante nella mia vita, legate a precisi momenti del mio percorso esistenziale. Volutamente non ho fatto un ranking dei vini, perché qui si trattava di fermare situazioni intime, del proprio personale vissuto, che mi piaceva ricordare e fermare. Emblematico a riguardo è il suo racconto nella “Cappella Sistina” dei vini, una mezza giornata nel Domaine de la Romanée-Conti. Quel racconto è una buona dimostrazione di come si possa parlare del sancta sanctorum in modo sereno, pacato: «Un pomeriggio in cui il paradiso, di cui come tutti ignoro la reale esistenza, si è manifestato in una forma che, se fosse così, varrebbe davvero la pena di raggiungere». Ci racconti qualcosa in più… Sono riuscito a barattare il ricambio di un grande favore con la visita in quel luogo, che nell’immaginario collettivo del mondo del vino è il luogo più inaccessibile e mitico. Era il 10 dicembre 2012. Credetemi, non è e non è stato affatto semplice ottenere l’ingresso in quel tempio, ci vogliono e ci sono voluti anni. Non ricevono visite normalmente e al mio arrivo il capo cantiniere Bernard Noblet non si dimostrò propriamente amichevole, anzi, sembrava decisamente infastidito da questa incombenza, che gli richiedeva di dedicarmi qualche ora. Si è un po’ rilassato quando ha trovato in me passione vera e non solo curiosità e suggestione. Cito nel racconto gli assaggi di questo viaggio nel sublime: posso dire che abbiamo quasi finito le bottiglie che mi erano state offerte per delle degustazioni alla cieca... Sarebbero ancora molti i temi da affrontare con lei grazie a questo viaggio esistenziale e narrativo davvero curioso ed intrigante. Mi permetta di chiedere un’ultima cosa circa l’edonismo del vino. Come vive, come si dovrebbe vivere questa disposizione verso il piacere? Bere in maniera sbagliata e inconsapevole reca danno. Diversamente resta uno dei pochi piaceri naturali, ma ovviamente parliamo di vino con la V maiuscola. Il vino resta un piacere naturale che attraverso la liberazione di endorfine conduce davvero a uno dei massimi piaceri possibili quando entra nel sangue. Il vino è piacere della vita distillato, quasi un’esperienza spirituale. Dobbiamo smetterla di desiderare il desiderio!

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menu TASTE

Volere volare Il caso ha voluto che io provassi il ristorante All’ombra del Gabbiano di Mestre grazie alla segnalazione di amici asolani che, a loro volta, seguendo le indicazioni di una famosa guida rossa, avevano pranzato da poco nel locale. Scegliendo questo ristorante avrei testato la sintonia con la blasonata guida e soprattutto avrei potuto verificare l’attendibilità dei suggerimenti amicali in vista di consigli futuri. Due su due! Questa è la descrizione che ho trovato nella Michelin: «Un simpatico locale, tipo bistrot mediterraneo, nato una ventina di anni fa come osteria-cicchetteria, ma che recentemente si è convertito ad un’offerta totalmente gluten free. La proposta comprende anche piatti vegani, senza alcun compromesso sulla qualità, sulla bontà e neppure sulla bella presentazione di ciò che si trova nella carta ben articolata. Servizio attento e cordiale e tavoli all’aperto in zona pedonale nella bella stagione». Silvia e Federico Marzola da molto tempo lavorano in ambito ristorativo e le loro proposte di cucina senza glutine a 360 gradi convincono per la resa finale dei piatti, vegani o di carne e di pesce, dai sapori equilibrati e semplici nella loro eleganza, che sembrano rispondere all’esigenza di un cibo appagante più che al traino di mode pseudo salutiste. Lo chef Andrea Tronchin, coadiuvato da Giorgio Billi e Mattia Carraro, formano una squadra capace di offrire piatti non banali, ben descritti dal personale di servizio e realizzati in maniera convincente. Anche la carta dei vini spazia in più territori, italiani e stranieri, e denota una ricerca attenta, per un pubblico che chiede sostanza e non vuole cadere nelle trappole da parvenu tipiche di molte situazioni in luoghi prossimi a città ben più importanti, come Venezia. Un posto con una sua anima, malgrado Mestre mi verrebbe da dire, e dove sarà facile poter ritornare volentieri. Thank you Goffredo! Fabio Marzari All’Ombra del Gabbiano Via Caneve 2, Mestre allombradelgabbiano.eatbu.com

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Lofoten/Venezia e ritorno Pietro Querini, lo stoccafisso e il viaggio del gusto tra tradizione e innovazione La passione per lo stoccafisso è connaturata alla cucina veneziana in modo inscindibile. Era il 1432, molto prima della scoperta dell’America, quando il mercante veneziano Pietro Querini naufragò a Røst, un’isoletta dell’arcipelago delle isole Lofoten. Partito da Creta con una nave carica di vino malvasia, legni aromatici, spezie e cotone con l’obiettivo di raggiungere le Fiandre, vide sfumare il suo sogno commerciale nel freddo mare del Nord. Gran parte dell’equipaggio morì in mare, tuttavia una delle due imbarcazioni di salvataggio riuscì a raggiungere un isolotto deserto, coperto di neve. I superstiti si salvarono bevendo neve disciolta e nutrendosi di frutti di mare e molluschi, fino all’arrivo di alcuni abitanti dell’isola vicina. I sopravvissuti furono accolti, sfamati e curati dalla popolazione locale. Questa gente aveva un modo insolito di conservare il proprio alimento principale, il merluzzo atlantico. Essiccato all’aria per mesi, il pesce diventava duro come un bastone. Pietro Querini tornò a casa dopo un lungo viaggio per mare e per terra e portò con sé il nuovo alimento. In questo modo fece conoscere il prodotto in tutto il suo percorso e nei domini della Serenissima, diffondendo lo stoccafisso (stokkfisk, “pesce a bastone”), chiamato in dialetto veneziano bacalà. Nel 1932, gli abitanti dell’isola di Røst celebrarono i 500 anni dell’arrivo, salvataggio e partenza di Pietro Querini e della grande amicizia tra gli abitanti delle Lofoten e Venezia, con un monumento in sua memoria. Røst è l’ultima isola dell’arcipelago in direzione sud occidentale, differente dalle altre isole per la sua conformazione geografica, meno estrema rispetto a tutte le altre; non ci sono solo le montagne a picco sul mare, ma grandi distese che rendono l’isola perfetta per la migliore stagionatura del merluzzo. I venti arrivano con maggiore portata tra i fiskehjel, i caratteristici graticci di legno dove vengono appesi centinaia e centinaia di merluzzi ad essiccare a due a due. torrfiskfralofoten.no/it | pescenorvegese.it


Venice to Lofoten return ENG

Il merluzzo bianco dell’Artico, unico al mondo, è stato insignito dal 2015 del riconoscimento IGP, Tørrfisk fra Lofoten IGP. Solamente in Norvegia – e nelle isole Lofoten in particolare – si produce lo stoccafisso. Il gusto inimitabile che contraddistingue lo stoccafisso norvegese è il risultato di un processo di lavorazione davvero unico e naturale. Viene prodotto principalmente dallo skrei – il merluzzo artico stagionale – che viene pescato al di sopra del circolo polare artico tra febbraio e aprile. In questi mesi il merluzzo artico norvegese lascia il solito habitat nel Mare di Barents per arrivare alle isole Lofoten, dove depone le uova. In tale periodo le temperature e il giusto equilibrio di vento, sole e pioggia rendono l’area perfetta per far essiccare il merluzzo all’aperto su apposite rastrelliere lungo la costa. È quindi proprio la natura a trasformare questo pesce incredibile in uno stoccafisso davvero unico e di alta qualità. Lo stoccafisso norvegese è quindi un ottimo ingrediente per preparare piatti moderni e innovativi in tanti modi diversi: basta rispettare il suo sapore deciso, utilizzando abbinamenti semplici, anche inusuali, per renderlo ancora più invitante come ci hanno insegnato rinomati chef in questi anni di sperimentazioni culinarie. Inoltre questo pesce migratore unisce alle classiche carni bianche e saporite del merluzzo nordico un grande apporto del prezioso Omega 3, un grasso polinsaturo, assimilabile solo per via alimentare, che aiuta a combattere i trigliceridi alti. La tre giorni veneziana all’Arsenale dello scorso autunno, organizzata da Arena Querini AS, società creata dai produttori di stoccafisso di Røst che promuove la Norvegia e i suoi prodotti ittici, in collaborazione con il Norwegian Seafood Council, ente che si occupa di divulgare la cultura del pesce del territorio nel mondo, promotore del marchio di origine “Seafood from Norway”, ha rappresentato l’occasione per fare un viaggio esclusivo grazie soprattutto al cooking show guidato da Francesca Romana Barberini, che ha coinvolto Franco Favaretto, chef del ristorante Baccalà Divino di Mestre, Marianna Vitale, chef stellata di SUD Ristorante di Quarto (Napoli), designata Ambasciatrice dello Stoccafisso 2023, e lo chef norvegese Jonathan Romano, pioniere del sushi in Norvegia e proprietario del ristorante Aquarie di Oslo. Passando dal tradizionale Baccalà norvegese mantecato con alghe norvegesi, realizzato da Favaretto con prodotto a marchio Tørrfisk fra Lofoten IGP, all’innovativo Stoccafisso norvegese fritto, tartufo e giardiniera della chef Vitale, e alla sperimentazione del Sashimi di salmone norvegese con maionese di stoccafisso, funghi sottaceti, scaglie di stoccafisso essiccato, germogli di piselli e kimchi in vinaigrette dello chef Romano, è andata in scena una kermesse di sapori unici e raffinati che hanno saputo valorizzare sapientemente lo stoccafisso. Tom-Jørgen Gangsø, direttore Italia del Norwegian Seafood Council, ha voluto sottolineare che «nonostante Italia e Norvegia siano paesi così lontani geograficamente, sono però strettamente legati, grazie soprattutto al nostro stoccafisso, il prodotto distintivo che l’Italia ha saputo valorizzare al meglio nella propria cucina della tradizione oltre che gourmet. Un legame che ci unisce da oltre 500 anni, come racconta la storia di Pietro Querini». F.M.

Venice cuisine and stockfish are inseparable. Their bond goes back to 1432, when Venetian merchant Pietro Querini shipwrecked in Røst, an islet in the breathtakingly beautiful Lofoten Archipelago. Querini had set sail in Crete with a load of Malvasia wine, perfume, spice, and cotton. His destination was the Flanders, but the cold North Sea had different plans. Most of his crew perished at sea, but one lifeboat managed to land a deserted, snow-capped island. Survivors drank melted snow and ate seafood, until villagers from a nearby island met them and nursed them back to health. The indigenous population had a peculiar way to preserve their staple food, Atlantic cod: they air-dried cod for months, to the point the fish grew stiff as wood. After a long way back home through sea and land, Pietro Querini brought some stockfish (‘stick fish’) with him, and the Venetian called it bacalà. In 1932, Røst celebrated the 500 years since their Venetian encounter and their friendship with Querini. A monument stands as memento. Røst is one of the farthest out islands in the Lofoten going southwest. Its flat landscape lets wind blow unobstructed, the ideal conditions for cod to season perfectly. This also explains why stockfish comes from Norway, and from Norway only. Skrei cod is fished between February and April north of the Arctic circle. Then, the right mix of nature and human ingenuity turn this fish into stockfish of the highest quality. Norwegian stockfish is an excellent ingredient for modern, original preparations. All it takes is to respect its naturally sapid flavour and pick simple pairings, even unusual, to make it even more inviting. Coming up in Venice is a three-day event produced by Arena Querini AS, the industry’s association of Røst stockfish suppliers. A cooking show by Francesca Romana Barberini will display the potential of this nutritious, healthy food, from traditional bacalà creamed with Norwegian seaweed, to fried stockfish with truffle and giardiniera, to stockfish sashimi, mayonnaise, preserved mushroom, pea sprouts, and kimchi… unique, refined flavour all around. Tom-Jørgen Gangsø, managing director for Italy of the Norwegian Seafood Council, commented how “even though Italy and Norway are so far apart in space, they are united in friendship thanks to our stockfish, a distinctive product that Italy turned into a valuable piece of exquisite gastronomy. We have been sharing this friendship since over 500 years, thanks to Pietro Querini.”

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menu INSIDER

a cura di Fabio Marzari

RACCONTI D’INVERNO

Dopo il capitolo estivo sulla Venezia di un tempo lontano, ma non lontanissimo, prosegue il racconto di Alessandro Zoppi legato agli inverni veneziani della sua infanzia, simile per alcuni aspetti a quella di molti altri bambini che allora vivevano, numerosi, in città. Non è un nostalgico “come eravamo”, ma un ricordo condiviso di una Venezia molto diversa da quella odierna, trasformatasi via via da luogo di vita a destinazione temporanea 146


Alessandro Zoppi

Vuoi sparare? «Premessa doverosa, gli inverni erano freddi. I foresti erano pochissimi e quindi restavamo quasi solo noi veneziani in città. Ricordo come una rarità un misterioso ufficiale americano che stava in albergo da noi in inverno, forse era una spia, chissà... Nel mio tragitto da San Fantin, dove abitavo, alla scuola a Sant’Angelo, spesso dovevo fare i conti con un ventaccio freddo e non è vero che un tempo non ci fosse l’acqua alta. Ho una foto scattata il 30 gennaio, giorno del mio compleanno, che coincideva anche con quello di mio padre, in cui indicavo con la mano il numero 5, i miei anni, ed indossavo stivaletti di gomma. Anche le nevicate non erano così infrequenti e c’erano sempre pronti degli spalatori per tenere il più possibile pulite le strade. Legato al freddo invernale è il ricordo molto nitido del doposcuola. Mio padre voleva prendessi delle ripetizioni di matematica, sin dalle prime classi delle elementari non era la mia materia favorita e quindi ne andava secondo lui incentivato lo studio. Decise di mandarmi a lezione dalla maestra Ghio, che abitava dalle parti di Santa Maria Formosa. Con un mio amico ci recavamo in quella casa, freddissima, riscaldata solo da una stufa posizionata nella stanza in cui studiavamo. Ogni tanto compariva il fratello della maestra con addosso una giacca da casa, non di velluto e bordata, ma pesantissima, forse realizzata con una vecchia coperta, portando in testa una retina. Mio padre aveva deciso che da bambino fortunato quale ero avrei dovuto conoscere da subito i vari aspetti della vita e questa fu una lezione che appresi e che porto ancora con me. D’inverno la maggior parte del tempo dedicato al gioco si trascorreva in casa, questo significava per me avere a disposizione l’ultimo piano dell’albergo, dove c’erano la lavanderia e la stireria. Con il mio amico Renato, che è andato a vivere in bassa California per studiare le balene, i nostri giochi erano quasi esclusivamente rivolti a situazioni di guerra, oppure si estraevano i grandi cassetti da un mobile e diventavano delle imbarcazioni utili a risalire il Rio delle Amazzoni dove poi avremmo trovato i dinosauri, tuttavia essendo entrambi molto pignoli, si perdevano ore nei preparativi. Era mia madre che ci ricordava quanto poco tempo effettivamente ci sarebbe rimasto per giocare, dopo gli accurati preliminari! Io indossavo un casco coloniale di mio padre e mi sentivo totalmente a mio agio nel ruolo di esploratore, pronto ad usare le armi per fronteggiare un eventuale nemico. Le armi le prendevamo in un negozio che era posizionato in un altro bancone e ogni volta andavamo lì a rifornirci prima della nuova avventura. Quando invece da Venezia ci si spostava in campagna, ad Onè di Fonte, si assoldavano i bambini del luogo per poter compiere con loro delle esplorazioni in Africa, portando in giro, sopra dei tavoli rovesciati, molti oggetti pesanti. Il mio amico in quelle occasioni indossava un fez rosso. Spesso una buona e golosa occasione per interrompere temporaneamente i giochi veniva offerta da una tazza di cioccolata calda; allora era imperdibile quella di Zorzi, con la panna montata al momento in un grande paiolo di rame. Una latteria molto frequentata che offriva già allora anche una piccola cucina vegetariana. In campo Santa Margherita per Carnevale c’erano le giostre, un vero e proprio parco divertimenti per moltissimi bambini e relativi genitori, molto indaffarati a non perderli di vista. Tra le molte attrazioni, le mie

favorite erano gli autoscontri e il tiro al bersaglio. Avrò avuto circa otto anni, ricordo come fosse ora il ragazzo responsabile degli autoscontri pettinato con il ciuffo alla Elvis, che indossava una camicia scozzese, jeans arrotolati e scarpe da ginnastica – allora considerate una cosa disdicevole da usare per strada –, che saltava da una macchinina all’altra per recuperare i gettoni. Ma soprattutto c’era lei, la ragazza del tiro a segno, bionda, forse artificiale, che indossava un maglioncino di angora rosa e ripeteva a chi si avvicinava: «Vuoi sparare?». Non potrò mai dimenticarla, me ne ero innamorato e imparai anche a sparare piuttosto bene! Le nostre esplorazioni urbane ci avevano spinti dopo la Giudecca a visitare anche la zona intorno alla stazione, che a noi sembrava una sorta di Chinatown, con tutto quel brulicare di luci e insegne, così strane ai nostri occhi, abituati a una Venezia che per noi finiva a Santi Apostoli. C’era il viaggio in vaporetto e poi la pasticceria Dal Mas, ma soprattutto, in campo san Geremia, un negozio di abbigliamento, i grandi magazzini al Cavallo, con i primi jeans e i giubbotti alla “Fronte del porto”, che per noi affamati di modelli cinematografici erano il massimo. Il mio amico Renato, a cui non è mai mancato lo spirito imprenditoriale, si era inventato un modo speciale di guardare la televisione, che entrambi avevamo in casa dal 1954. Metteva delle carte colorate sullo schermo, per ricreare l’effetto del colore come al cinema, e invitavamo altri bambini che pagando cinque lire avrebbero avuto anche una bevanda colorata e una tazza di tè, con le bustine che io portavo dall’albergo. Talvolta, ispirandosi al film Il pianeta proibito, si metteva in scena uno spettacolo. Complice un robottino giocattolo e un tavolo rovesciato che diveniva un’astronave, e soprattutto il rumore dei motori prodotto dalla televisione accesa, finivamo per vivere avventure ogni volta diverse in pianeti sconosciuti e pieni di insidie. Capitava non di rado che passassi del tempo da zia Amelia, sorella di mia mamma che aveva una sartoria per abiti femminili in calle del Cafetier, a Sant’Angelo. C’erano con lei un paio di lavoranti, una delle quali veniva chiamata da mia zia “Melampo”, come il cane di Pinocchio, ed era uguale a Lucia Mannucci del quartetto Cetra, e cantava pure bene. C’era anche un uomo, io lo chiamavo “Conte”, come faceva mia zia. Una volta lo vidi per strada con la moglie e lo salutai, «Ciao Conte!», e notai lo stupore della moglie, evidentemente all’oscuro di tale soprannome. Fu nella sartoria di mia zia che vidi delle donne in sottoveste, che le dicevano di non preoccuparsi per la mia presenza, «assa qua el bambin, no importa», mentre invece mia nonna, quando avevo sette anni, riprese le cameriere che mi avevano visto nascere ed erano sempre super gentili con me, coccolandomi e abbracciandomi, dicendo che ero ormai grande per quelle manifestazioni di affetto, anzi, in realtà usò delle espressioni più colorite...».

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reservations a cura di Fabio Marzari

Momenti di non trascurabile felicità Luoghi di delizia e di rigenerazione in città

Spa Metropole

Nelle giornate di freddo intenso e di nebbia che attanagliano in queste settimane Venezia, ci sono degli indirizzi utili in città per regalarsi preziosi attimi di benessere, per il corpo e soprattutto per lo spirito, senza dover intraprendere lunghi viaggi. Stiamo parliamo di Spa, luoghi di delizia e di rigenerazione, almeno temporanea. Ci sono varie opzioni da poter scegliere, questi sono suggerimenti da poter cogliere al volo, inseguendo per una volta il senso dell’hic et nunc. Il benessere non può mai essere troppo differito. L’anima arabeggiante della Venezia più autentica si respira nella Spa del Metropole (www.hotelmetropole.com) in cui è possibile rivivere l’esperienza di un elegante Hammam. Luci soffuse e un’atmosfera avvolgente accompagnano il momento di benessere tra vasche d’acqua, vapori rigeneranti e trattamenti ad hoc, arricchiti dalle inebrianti essenze dal potere rilassante. Oriente e Occidente si incontrano, per offrire un’esperienza da mille e una notte, tra magici trattamenti e massaggi irrinunciabili. The Gritti Spa – Sisley Paris, al Gritti (www.thegrittipalace.com) rappresenta il luogo perfetto per una fuga di benessere, accompagnati dall’esperienza di una equipe d’eccellenza. Due suite per rigeneranti trattamenti, da soli o

in coppia, con bagno turco privato e una cabina dedicata agli sfizi di bellezza, firmati Sisley Paris, a base di inebrianti oli profumati ed estratti vegetali. Un delicato equilibrio tra corpo e mente grazie a tecniche di massaggi sempre all’avanguardia con un approccio altamente personalizzato. Eforea Spa è il tempio della bellezza e del relax, all’interno dell’Hotel Hilton Molino Stucky (www.eforeaspavenice. com). Uno spazio di benessere in cui poter rigenerare i propri sensi, seguendo un percorso in cui la natura è principale protagonista con trattamenti e prodotti ad hoc. Massaggi e tecniche che intrecciano filosofia orientale e occidentale, una sauna in legno, bagno di vapore, una Jacuzzi e una zona relax in cui lasciarsi coccolare tra candele profumate e luci soffuse. A Palazzo Papadopoli, Aman Spa (www.aman.com/it/hotels/aman-venice) si trova nel mezzanino al terzo piano del bellissimo palazzo. Un luogo accogliente e intimo con tre sale per i trattamenti, immerse in un’atmosfera di luci soffuse; qui è possibile scegliere una selezione di massaggi e terapie eseguiti con prodotti d’eccellenza, che si ispirano alle filosofie curative asiatiche e alla tradizione termale di Salsomaggiore per riequilibrare corpo e mente. 149


Marina Nani Donà Hereditas Dipinti della sua Collezione

14.12.2023 - 24.03.2024 Palazzo Contarini del Bovolo, San Marco 4303

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february-march2024

Aria di primavera... art, music, theatre, dance, book and cinema!

citydiary

agenda pag. 152 exhibitions pag. 162 etcc... pag. 163 screenings pag. 164 books pag. 166

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agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

02

venerdìFriday

THE SMART SET Soul jazz “The Italian Affair“

Al Vapore-Marghera h. 19

DJ CHRISTIAN EFFE

:musica

FebFeb

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“ Hard Rock Cafe h. 21

03

sabatoSaturday

LE MYSTERE DES VOIX BULGARES Folk

Teatro Malibran h. 20

SÖNDÖRGO

HARDSTYLER

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30

Dock 29-Forte Marghera h. 23

World music “Candiani Groove“

06

martedìTuesday

BOB MARLEY BIRTHDAY

Dj-set

Conestoga Pub-Marghera h. 19

07

mercoledìWednesday

THE CLEOPATRAS Garage rock “The Italian Affair“

Al Vapore-Marghera h. 19

HENRY LAZZERI MICHELANGELO MONGIELLO BILL CARSON ENRICOBANDINI ERIC DJIANE MICHAEL KERN Dj-set “The Italian Affair“

Al Vapore-Marghera h. 19

YOUSUKE YUKIMATSU CAROLINA MARTINES PIGIENNE Dj-set

Argo16-Marghera h. 23

04

domenicaSunday

RASTA SNOB PARTY

Dj-set

Bacarando h. 19

DJ MENE

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“ Hard Rock Cafe h. 21

152

Dj-set “Afro Jamaican Spot“ Zanzibar h. 20

13

martedìTuesday

BRUSCO STEVE GIANT PAPALUKA

Bacarando h. 19

Laguna Libre h. 20.30

DJ CHRISTIAN EFFE

World music

Jazz

Zanzibar h. 20

08

CARNIVAL COSTUME PARTY DJ SMASH

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

giovedìThursday

DJ NINA KIPIANI STEVE GIANT PAPALUKA

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30

Hard Rock Cafe h. 21

EPOQUE & TOMMY KUTI STEVE GIANT PAPALUKA

Arsenale di Venezia h. 22

Dj-set “Afro Jamaican Spot“

Arsenale di Venezia h. 22

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

sabatoSaturday

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

BATISTOCOCO

Dj-set “Afro Jamaican Spot“

DJ SMASH

10

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE ROCK’N’ROLL IN VENICE

BATISTOCOCO

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE GRAND OPENING OMIS SUPERGIAN ZAMPINO

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

Indie “Carnevale di Venezia 2024“

Zanzibar h. 20

SÖNDÖRGO

World music “Candiani Groove“

09

venerdìFriday

TOMMY VEE

Dj-set “Carnival Glamour Cocktail Aperitif“ Splendid Venice Hotel h. 18

PERPLEX CARNIVAL PARTY WHOMADEWHO SIMONE DE KUNOVICH

Hard Rock Cafe h. 21

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

Arsenale di Venezia h. 23

Arsenale di Venezia h. 22

UNA FESTA A CASO

TEENAGE DREAM

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

Dock 29-Forte Marghera h. 23

11

domenicaSunday

DJ JESA STEVE GIANT PAPALUKA

ONE LOVE HI POWA STEVE GIANT PAPALUKA

Dj-set “Afro Jamaican Spot“

Zanzibar h. 20

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE MUEVETE

Dj-set “Afro Jamaican Spot“

TRES LATIN TRIO Jazz

Laguna Libre h. 19/21

CARNIVAL COSTUME PARTY DJ CHRISTIAN EFFE

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“ Hard Rock Cafe h. 21

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE ORIENT EXPERIENCE ALBERTO MILANI DANIELINO GURU SUPERGIAN

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“ Arsenale di Venezia h. 22

Hard Rock Cafe h. 21

ARSENALE CARNIVAL EXPERIENCE LA ISLA D’ORIENTE MARCO CAVAX MISTERICKY BIGTOMMY

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“

Zanzibar h. 20

Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“ Arsenale di Venezia h. 22

BIG GAME PRE-PARTY DJ MENE Dj-set “Carnevale di Venezia 2024“ Hard Rock Cafe h. 22

12

lunedìMonday

THE ODD COUPLE FT AWA FALL & BUNNA STEVE GIANT PAPALUKA Dj-set “Afro Jamaican Spot“ Zanzibar h. 20

Indie“Carnevale di Venezia 2024“ Dock 29-Forte Marghera h. 23

16

venerdìFriday

ANNA CASTIGLIA CATERINA CROPELLI Musica d’autore “Bissuola Live“

Teatro del Parco-Mestre h. 20

23

venerdìFriday

FEDERICO ZALTRON & DUVED DUNAYEVSKY HOT FOUR Jazz

Centro Culautrla Candiani-Mestre h. 19.30

24

sabatoSaturday

GHEMON

Rap “Bissuola Live“

Teatro del Parco-Mestre h. 20

27

martedìTuesday

MASSIMO RANIERI

Musica leggera

Teatro Goldoni h. 21


29

giovedìThursday

GIOVANNI ALLEVI

Musica d’autore

Gran Teatro Geox-Padova h. 20

MarMar

01

venerdìFriday

FABRIZIO BOSSO JULIAN OLIVER MAZZARIELLO Pino Daniele Tribute “Stagione 2023.2024“

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

02

sabatoSaturday

SAVERIO TASCA VIBES TRIO Jazz “Jazz&“

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30

08

venerdìFriday

LUCA CIARLA Jazz “Jazz&“

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30

GAZZELLE Pop

Fiera di Padova h. 21

09

sabatoSaturday

TONINHO HORTA

Música popular brasileira “Candiani Groove“

15

venerdìFriday

INDIRIZZI

PREMIATA FORNERIA MARCONI

AL VAPORE

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

ARGO16

De Andrè tribute

16

sabatoSaturday

AARON GOLDBERG TRIO Jazz “Jazz&“

Sale Apollinee, Teatro La Fenice h. 19.30

17

domenicaSunday

SALVADOR SOBRAL

Jazz “Candiani Groove“

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18.30

21

giovedìThursday

Via F.lli Bandiera 8-Marghera www.alvapore.it Via delle Industrie, 27/5-Marghera argo16.it

ARSENALE DI VENEZIA Tese di San Cristoforo carnevale.venezia.it

BACARANDO San Marco 5495 Fb: Bacarando

CENTRO CULTURALE CANDIANI Piazzale Candiani 7-Mestre www.comune.venezia.it

CONESTOGA PUB

Via Bacchiglione 17-Marghera Fb: Conestoga Pub

DOCK 29

LOREENA MCKENNITT

Via Forte Marghera 30-Mestre carnevale.venezia.it

Gran Teatro Geox-Padova h. 21

FIERA DI PADOVA

Folk

Via Tommaseo 8-Padova www.zedlive.com

GRAN TEATRO GEOX Via Tassinari 1-Padova www.zedlive.com

HARD ROCK CAFE Bacino Orseolo carnevale.venezia.it

LAGUNA LIBRE

Fondamenta Cannaregio www.lagunalibre.it

SPLENDID VENICE HOTEL Mercerie 760 www.venetojazz.com

TEATRO GOLDONI

Centro Culturale Candiani-Mestre h. 21

San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

13

TEATRO DEL PARCO mercoledìWednesday

ELIO

Jannacci tribute

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

14

giovedìThursday

ELIO

Jannacci tribute

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

Via Gori 11-Mestre www.comune.venezia.it

TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN Campiello del Teatro www.teatrolafenice.it

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Malipiero-Mestre www.comune.venezia.it

ZANZIBAR

Campo S.M. Formosa 5840 rastasnob.it

153


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

01

:classical

FebFeb

giovedìThursday

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Musiche di Gioachino Rossini Direttore Marco Paladin Regia Bepi Morassi “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

02

venerdìFriday

LA BOHÈME

Musiche di Giacomo Puccini Direttore Stefano Ranzani Regia Francesco Michelii “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

GIOVANNI ANDREA ZANON

08

giovedìThursday

LA BOHÈME

(vedi venerdì 2 febbraio)

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

09

venerdìFriday

IL BARBIERE DI SIVIGLIA (vedi giovedì 1 febbraio)

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

17

sabatoSaturday

HARTMUT HAENCHEN direttore

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Bruckner “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 20

18

domenicaSunday

HARTMUT HAENCHEN

10

sabatoSaturday

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

(vedi giovedì 1 febbraio)

Musiche di Satie, Guilbert, Scotto “Carnevale di Venezia2024”

Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

03

OMAGGIO A ENNIO MORRICONE

domenicaSunday

LA BOHÈME

Musiche di Morricone “Landscapes 2024”

Ingresso/Ticket € 20/10 Chiesa di San Teonisto-Treviso h. 18

11

domenicaSunday

IL BARBIERE DI SIVIGLIA CARNIVAL OPERA

(vedi venerdì 2 febbraio)

(vedi giovedì 1 febbraio)

06

NE VEDREMO DELLE BELLE!

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 15.30

martedìTuesday

LA BOHÈME

(vedi venerdì 2 febbraio)

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

07

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 17

Musiche di Satie, Guilbert, Scotto “Carnevale di Venezia2024” Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 17

PIERRE-LAURENT AIMARD pianoforte

mercoledìWednesday

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

(vedi giovedì 1 febbraio)

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

Musiche di Ligeti

Ingresso libero/Free entry Teatrino Grassi h. 18

13

martedìTuesday

IL BARBIERE DI SIVIGLIA CARNIVAL OPERA

(vedi giovedì 1 febbraio)

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 17

154

pianoforte

28

Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

04

TRIO BOCCHERINI LEONORA ARMELLINI

20

Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 17

martedìTuesday

MARTIN OWEN corno FRANCESCA DEGO violino ALESSANDRO TAVERNA

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 19

martedìTuesday

Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 19.30

Musiche di Satie, Guilbert, Scotto “Carnevale di Venezia2024”

NE VEDREMO DELLE BELLE!

(vedi giovedì 1 febbraio)

27

Musiche di Beethoven “Stagione 2023.24”

pianoforte

IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

(vedi sabato 17 febbraio)

violino

sabatoSaturday

(vedi ) “Musikàmera”

direttore

pianoforte

Musiche di Beethoven, Dvorak, Grieg “Sei suonato? Stagione Giovane”

lunedìMonday

NE VEDREMO DELLE BELLE!

Ingresso/Ticket € 230/99 Teatro La Fenice h. 15.30

LEONORA ARMELLINI

26

KUSS QUARTET

Musiche di Schumann, Brahms “Musikàmera”

21

mercoledìWednesday

MARTIN OWEN corno FRANCESCA DEGO violino ALESSANDRO TAVERNA pianoforte

(vedi martedì 20 febbraio) Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

23

mercoledìWednesday

MASSIMILIANO FERRATI pianoforte

MARCO GIRONI oboe VINCENZO PACI clarinetto MARCO GIANI fagotto LORIS ANTIGA corno Musiche di Mozart, Beethoven “Musikàmera” Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

29

giovedìThursday

ENSEMBLE LA RÊVEUSE

Musiche di Purcell, Saint-Saëns, Ravel “Landscapes 2024” Ingresso/Ticket € 20/10 Chiesa di San Teonisto-Treviso h. 20.30

venerdìFriday

ALPESH CHAUHAN direttore Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Bruckner “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 20

25

Ingresso/Ticket € 25/15 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

domenicaSunday

ALPESH CHAUHAN direttore

(vedi venerdì 23 febbraio) Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro La Fenice h. 17

KUSS QUARTET

Musiche di Mozart, Bartòk “Musikàmera” Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

MarMar

01

venerdìFriday

IVOR BOLTON direttore VALENTINA FARCAS soprano CECILIA MOLINARI mezzosoprano

MAURO PETER tenore MILAN SILJANOV basso

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Cherubini, Haydn “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20


03

domenicaSunday

IVOR BOLTON direttore VALENTINA FARCAS soprano CECILIA MOLINARI mezzosoprano

MAURO PETER tenore MILAN SILJANOV basso (vedi venerdì 1 marzo)

Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h.17

05

martedìTuesday

ODHECATON PAOLO DA COL direttore

Musiche di Desprez, Willaert “Musikàmera” Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

06

mercoledìWednesday

ODHECATON PAOLO DA COL direttore (vedi )

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

07

giovedìThursday

direttore

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Beethoven “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20

venerdìFriday

MARIA EGIZIACA

Musiche di Ottorino Respighi Direttore Manlio Benzi Regia Pier Luigi Pizzi “Stagione Lirica e Balletto 20232024” Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro Malibran h. 19

09

sabatoSaturday

RUDOLF BUCHBINDER

direttore

(vedi giovedì 7 marzo)

Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20

10

lunedìMonday

domenicaSunday

MARIA EGIZIACA

(vedi venerdì 8 marzo)

21

giovedìThursday

ANDRÁS SCHIFF fortepiano

(vedi mercoledì 20 marzo)

pianoforte

Ingresso/Ticket € 50/25 Teatro La Fenice h. 20

Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

22

Musiche di Mozart, Fano, Respighi “Musikàmera”

12

MARIA EGIZIACA

(vedi venerdì 8 marzo)

Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro Malibran h. 19

13

mercoledìWednesday

QUARTETTO BARTHOLDY Musiche di MendelssohnBartholdy, Beethoven “Musikàmera” Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

14

giovedìThursday

pianoforte

direttore

ROBERTO BARALDI violino EMANUELE SILVESTRI violoncello

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Beethoven “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro Malibran h. 20

23

sabatoSaturday

MYUNG-WHUN CHUNG

direttore

ROBERTO BARALDI violino EMANUELE SILVESTRI violoncello

(vedi venerdì 22 marzo) Ingresso/Ticket € 99/45 Teatro Malibran h. 17

QUATUOR STRADA PIERRE FOUCHENNERET

MARIA EGIZIACA

SARAH NEMTANU violino LISE BERTHAUD viola FRANCOIS SALQUE

(vedi venerdì 8 marzo)

violino

Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro Malibran h. 19

violoncello

QUARTETTO BARTHOLDY

Ingresso/Ticket € 15/5 Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 19.30

(vedi mercoledì 13 marzo) Ingresso/Ticket € 30/15 Teatro La Fenice h. 20

16

sabatoSaturday

MARIA EGIZIACA

(vedi venerdì 8 marzo)

Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro La Fenice h. 15.30

20

mercoledìWednesday

ANDRÁS SCHIFF fortepiano Programma a sorpresa “Musikàmera” Ingresso/Ticket € 50/25 Teatro La Fenice h. 20

Musiche di Fauré, Roger-Ducasse “Il filo di Fauré“

24

domenicaSunday

CYRILLE DUBOIS tenore TRISTAN RAËS pianoforte

Musiche di Fauré, Godars, SaintSaëns, Ravel, Boulanger “Il filo di Fauré“ Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 17

27

giovedìThursday

MYUNG-WHUN CHUNG direttore

ANGELA MEADE soprano ANNALISA STROPPA FABIO SARTORI tenore RICCARDO ZANELLATO basso

Orchestra del Teatro La Fenice Musiche di Verdi “Stagione Sinfonica 2023-2024” Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fen ice h. 20

29

venerdìFriday

MYUNG-WHUN CHUNG direttore

Musiche di Fauré, Ladmirault, Laparra “Il filo di Fauré“ Ingresso/Ticket € 15/5 Palazzetto Bru Zane h. 18

28

mezzosoprano

venerdìFriday

MYUNG-WHUN CHUNG

martedìTuesday

LORÈNE DE RATULD

RUDOLF BUCHBINDER

08

11

AMIRAM GANZ violino ALEXANDER PALEY

ANGELA MEADE soprano ANNALISA STROPPA mezzosoprano

FABIO SARTORI tenore RICCARDO ZANELLATO basso

(vedi giovedì 28 marzo)

Ingresso/Ticket € 143/77 Teatro La Fenice h. 20

INDIRIZZI CHIESA DI SAN TEONISTO

Via San Nicolò 31-Treviso www.fbsr.it

PALAZZETTO BRU ZANE San Polo 2638 bru-zane.com

SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2454 bru-zane.com

TEATRINO GRASSI

Campo San Samuele 3231 www.pinaultcollection.com

TEATRO LA FENICE Campo San Fantin 1965 www.teatrolafenice.it

TEATRO MALIBRAN mercoledìWednesday

MAURO LOGUERCIO violino EMANUELA PIEMONTI pianoforte

Musiche di Beethoven “Musikàmera”

Cannaregio 5873 www.teatrolafenice.it

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Cesare Battisti Mestre www.comune.venezia.it

Ingresso/Ticket € 50/25 Teatro La Fenice h. 20

Ingresso/Ticket € 143/55 Teatro Malibran h. 15.30

155


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

01

:theatro

FebFeb

giovedìThursday

CLITENNESTRA​​

Da La casa dei nomi di Colm Tóibín Adattamento e regia Roberto Andò Con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio Coreografie Luna Cenere “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 20.30

L’ISPETTORE GENERALE

di Nikolaj Gogol Adattamento e regia Leo Muscato Con Rocco Papaleo “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 19

02

venerdìFriday

CLITENNESTRA​​

(vedi giovedì 1 febbraio) Teatro Goldoni h. 19

L’ISPETTORE GENERALE (vedi giovedì 1 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

03

sabatoSaturday

CLITENNESTRA​​

(vedi giovedì 1 febbraio) Teatro Goldoni h. 19

DRONE TRAGICO Spettacolo concerto di Teatrino Giullare “Risvegli 2023-24”

Ingresso/Ticket € 9/7 Teatrino Zero h. 21

L’ISPETTORE GENERALE (vedi giovedì 1 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

04

domenicaSunday

CLITENNESTRA​​

(vedi giovedì 1 febbraio) Teatro Goldoni h. 16

INCANTO D’APRILE

da The Enchanted April di Elisabeth Von Arnim Con Betty Andriolo, Linda Bobbo, Paola Brolati, Marta Richeldi Regia Alberta Toninato “Carnevale di Venezia 2024” Ingresso libero/Free entry Teatrino Groggia h. 18

L’ISPETTORE GENERALE (vedi giovedì 1 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 16

156

06

martedìTuesday

GL’INNAMORATI

di Carlo Goldoni Adattamento Angela Demattè Regia Andrea Chiodi “Stagione Teatrale 2023.24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

07

mercoledìWednesday

GL’INNAMORATI

(vedi martedì 6 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

BRICOLA E REGINA

Spettacolo di Commedia dell’Arte di Nora Fuser e Giorgio Bertan Centro Culturale Candiani-Mestre h. 18

08

giovedìThursday

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO

Ispirato al canovaccio Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni Soggetto originale e regia di Marco Zoppello Stivalaccio Teatro Sovratitoli in inglese e fracese “Carnevale di Venezia 2024” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 20.30

GL’INNAMORATI

10

sabatoSaturday

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO

(vedi giovedì 8 febbraio) Teatro Goldoni h. 19

11

domenicaSunday

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO

(vedi giovedì 8 febbraio) Teatro Goldoni h. 16

12

lunedìMonday

FANTINA E L’EREDITÀ DI MARCO POLO

Con Chiarastella Seravalle Musiche di Mariana Oliboni “Carnevale di Venezia 2024”

Ingresso libero/Free entry Fondaco dei Tedeschi h. 18.15

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO (vedi giovedì 8 febbraio) Teatro Goldoni h. 20.30

L’ATLANTE DELLE CITTÀ Liberamente ispirato a Le città invisibili di Italo Calvino di Antonio Panzuto Adattamento in versi e regia Vasco Mirandola “Carnevale di Venezia 2024”

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Ingresso libreo/Free entry Teatro del Parco-Mestre h. 16

FILIPPO GIARDINA

TERESA MANNINO

“In piedi – Il potere delle parole”

“I Comici 2023-24”

(vedi martedì 6 febbraio) Cabaret

Il giaguaro mi guarda storto

Ingresso/Ticket € 25 Teatro del Parco-Mestre h. 21

Ingresso/Ticket € 40/32 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

09

venerdìFriday

MARCO POLO, IL GRANDE CANE E LA MAGIA DELL’INVISIBILE Con Elonora Fuser Maschere e oggetti di scena di Giorgio De Marchi Regia Sandra Mangini “Carnevale di Venezia 2024” Ingresso libero/Free entry Scuola Grande San Giovanni Evangelista h. 18

13

MA VINEGIA ESSER D’ORO

Composizione teatrale in tre episodi a cura di Vincenzo Tosetto e Piermario Vescovo “Carnevale di Venezia 2024” Ingresso libero/Free entry Campo Santo Stefano h. 12-16

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO (vedi giovedì 8 febbraio) Teatro Goldoni h. 20.30

TERESA MANNINO

Teatro Goldoni h. 19

“I Comici 2023-24”

ARIANNA PORCELLI SAFONOV Alimentire

“I Comici 2023-24”

Ingresso/Ticket € 25/22 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

mercoledìWednesday

Scritto e diretto da Marco Baliani Con Andrea Pennacchi “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

OTHELLO TANGO

Ideazione, coreografie e regia Luciano Padovani Compagnia Naturalis Labor “Calligrafie 2023/24”

Ingresso/Ticket € 29/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

15

giovedìThursday

ANIME LEGGERE

Dekru “La Città a Teatro 2023-24” Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21

ARLECCHINO?

(vedi mercoledì 14 febbraio) Teatro Verdi-Padova h. 19

16

venerdìFriday

DOVE ERAVAMO RIMASTI

Scritto da Massimo Lopez e Tullio Solenghi Con la collaborazione di Giorgio Cappozzo e con la Jazz Company diretta dal Mastro Gabriele Comeglio “Stagione Teatrale 2023.24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

ARLECCHINO?

(vedi mercoledì 14 febbraio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30

martedìTuesday

ARLECCHINO MUTO PER SPAVENTO (vedi giovedì 8 febbraio)

14

ARLECCHINO?

Il giaguaro mi guarda storto Ingresso/Ticket € 40/32 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

I RAGAZZI IRRESISTIBILI di Neil Simon Con Umberto Orsini e Franco Branciaroli Regia di Massimo Popolizio “Stagione di Prosa 2023/24”

Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

17

sabatoSaturday

DOVE ERAVAMO RIMASTI (vedi venerdì 16 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

INCANTO D’APRILE Bottegavaga “Risvegli 2023-24”

Ingresso/Ticket € 9/7 Teatrino Zero h. 21


ARLECCHINO?

CIARLATANI

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

(vedi mercoledì 21 febbraio)

29

I RAGAZZI IRRESISTIBILI

GIORGIA FUMO

PEDIGREE

Teatro Verdi-Padova h. 16

Scritto da Giorgia Fumo e Manuela Mazzocchi Regia di Enrico Zaccheo

Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

Ingresso/Ticket € 30/20 Teatro Corso-Mestre h. 21

THE CITY ​​

24

Teatro Verdi-Padova h. 19

05

(vedi mercoledì 14 febbraio) (vedi venerdì 16 febbraio)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

18

domenicaSunday

DOVE ERAVAMO RIMASTI

(vedi venerdì 16 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

ARLECCHINO?

(vedi mercoledì 14 febbraio)

A vita bassa

sabatoSaturday

L’ISPETTORE GENERALE ​​

(vedi giovedì 22 febbraio)

Teatro Verdi-Padova h. 16

Teatro Goldoni h. 19

I RAGAZZI IRRESISTIBILI

CIARLATANI

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

(vedi venerdì 16 febbraio)

20

martedìTuesday

SUL SOGNO

Letture shakespeariane

Letture da Sogno di una notte di mezza estate, a cura di Massimo Cacciari Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro Goldoni h. 19

21

mercoledìWednesday

CIARLATANI

(vedi mercoledì 21 febbraio)

BALLADE

Coreografie di Enrico Morelli e Mauro Bigonzetti MM Contemporary Dance Company “Calligrafie 2023/24” Ingresso/Ticket € 29/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

25

domenicaSunday

L’ISPETTORE GENERALE ​​

(vedi giovedì 22 febbraio)

Teatro Goldoni h. 16

giovedìThursday

Babilonia Teatri “La Città a Teatro 2023-24”

(vedi mercoledì 28 febbraio)

MarMar

01

venerdìFriday

ELEAZARO ROSSI Grande figlio di p*****a

di e con Eleazaro Rossi

Ingresso/Ticket € 30/20 Teatro Corso-Mestre h. 21.15

THE CITY ​​

(vedi mercoledì 28 febbraio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30

CIARLATANI

di Pablo Remón Traduzione italiana Davide Carnevali da Los Farsantes Con Silvio Orlando, Blu Yoshimi “Stagione di Prosa 2023/24”

di Pablo Remón Traduzione italiana Davide Carnevali da Los Farsantes Con Silvio Orlando, Blu Yoshimi “Stagione Teatrale 2023.24”

ABACO

Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

Ingresso/Ticket € 4 Teatrino Groggia h. 11/16.30

02

22

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

giovedìThursday

L’ISPETTORE GENERALE ​​

di Nikolaj Gogol Adattamento e regia Leo Muscato Con Rocco Papaleo “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 20.30

CIARLATANI

(vedi mercoledì 21 febbraio)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

DANIELE FABBRI Verità comode

“In piedi – Il potere delle parole” Ingresso/Ticket € 20 Teatro del Parco-Mestre h. 21

23

venerdìFriday

L’ISPETTORE GENERALE ​​ (vedi giovedì 22 febbraio)

Teatro Goldoni h. 19

La Baracca “A Pesca di Sogni 2023/24”

CIARLATANI

(vedi mercoledì 21 febbraio)

27

martedìTuesday

CASSANDRA O DELL’INGANNO

Drammaturgia di Elisabetta Pozzi Con la collaborazione di Massimo Fini “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 20/10 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

28

mercoledìWednesday

THE CITY ​​

di Martin Crimp Traduzione di Alessandra Serra Regia di Jacopo Gassmann “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

sabatoSaturday

COSA NOSTRA SPIEGATA AI BAMBINI di Stefano Massini Con Ottavia Piccolo Regia di Sandra Mangini Musiche di Enrico Fink “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 26/8 Teatro Goldoni h. 19

THE CITY ​​

(vedi mercoledì 28 febbraio) Teatro Verdi-Padova h. 20.30

CIARLATANI

(vedi venerdì 1 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

03

THE CITY ​​

(vedi mercoledì 28 febbraio)

CIARLATANI

(vedi venerdì 1 marzo)

martedìTuesday

L’UTOPIA

Letture shakespeariane

Letture da La tempesta, a cura di Massimo Cacciari Ingresso/Ticket € 18/10 Teatro Goldoni h. 19

ARLECCHINO?

Scritto e diretto da Marco Baliani Con Andrea Pennacchi “Stagione Teatrale 2023.24” Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

06

mercoledìWednesday

ARLECCHINO?

(vedi martedì 5 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

07

giovedìThursday

THE CITY ​​

di Martin Crimp Traduzione di Alessandra Serra Regia di Jacopo Gassmann “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 20.30

ARLECCHINO?

(vedi martedì 5 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

YOKO YAMADA

Mary Poppins e i doni della morte

“In piedi – Il potere delle parole” Ingresso/Ticket € 15 Teatro del Parco-Mestre h. 21

08

venerdìFriday

THE CITY ​​

(vedi giovedì 7 marzo)

Teatro Goldoni h. 19

ARLECCHINO?

(vedi martedì 5 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 21

domenicaSunday

STELLE

di Carlo Presotto e Silvano Antonelli La Piccionaia “A Pesca di Sogni 2023/24”

INCANTO D’APRILE

Bottegavaga “Mira, il Teatro fa centro 2023-24” Ingresso/Ticket € 22/18 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

Ingresso/Ticket € 7 Teatrino Groggia h. 16.30

157


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

:theatro

09

sabatoSaturday

THE CITY ​​

(vedi giovedì 7 marzo)

Teatro Goldoni h. 19

ALLA FRUTTA

Madame Rebiné “Risvegli 2023-24”

Ingresso/Ticket € 9/7 Teatrino Zero h. 21

CENERENTOLA. UNA STORIA ITALIANA

Coreografie di Claudio Ronda Compagnia Fabula Saltica “Calligrafie 2023/24” Ingresso/Ticket € 29/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

Regia Veronica Cruciani “La Città a Teatro 2023-24” Ingresso/Ticket € 18/15 Teatro di Mirano h. 21

LA BUONA NOVELLA (vedi mercoledì 13 marzo) Teatro Verdi-Padova h. 19

15

ANTONIO E CLEOPATRA ​​ (vedi giovedì 14 marzo) Teatro Goldoni h. 19

KATIA FOLLESA E ANGELO PISANI Ti posso spiegare!

“I Comici 2023-24”

ARLECCHINO?

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

LA BUONA NOVELLA

10

THE CITY ​​

(vedi giovedì 7 marzo)

Teatro Goldoni h. 16

ARLECCHINO?

(vedi martedì 5 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 16.30

13

mercoledìWednesday

LA BUONA NOVELLA

di Fabrizio De André Drammaturgia e regia Giorgio Gallione Con Neri Marcorè, Rosanna Naddeo “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

CALLAS, CALLAS, CALLAS Coreografie Adriano Bolognino, Carlo Massari, Roberto Tedesco COB Compagnia Opus Ballet “Calligrafie 2023/24” Ingresso/Ticket € 29/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

14

ANTONIO E CLEOPATRA ​​

di Jean Genet Con Eva Robin’s, Beatrice Vecchione, Matilde Vigna Regia Veronica Cruciani “Stagione di Prosa 2023/24”

Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

16

sabatoSaturday

Teatro Verdi-Padova h. 16

LE SERVE

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

19

martedìTuesday

MOBY DICK ALLA PROVA

di Orson Welles Adattato in versi sciolti dal romanzo di Herman Melville Traduzione di Cristina Viti Uno spettacolo di Elio De Capitani “Stagione Teatrale 2023.24”

mercoledìWednesday

MOBY DICK ALLA PROVA (vedi martedì 19 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

IL GIOCATTOLAIO

di Gardner McKay Regia Enrico Zaccheo Con Francesca Chillemi, Kabir Tavani “Stagione di Prosa 2023/24”

ANTONIO E CLEOPATRA ​​

Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Verdi-Padova h. 20.30

Teatro Goldoni h. 19

21

(vedi giovedì 14 marzo)

KATIA FOLLESA E ANGELO PISANI Ti posso spiegare!

“I Comici 2023-24”

giovedìThursday

MOBY DICK ALLA PROVA

LA BUONA NOVELLA (vedi mercoledì 13 marzo)

LE SERVE

(vedi venerdì 15 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

LE SERVE

domenicaSunday

ELLE

Ingresso/Ticket € 4 Teatrino Groggia h. 11/16.30

SOTTO CHIAVE

Teatro dei Dis-Occupati “Risvegli 2023-24” Ingresso/Ticket € 9/7 Teatrino Zero h. 21

ALFABETO DELLE EMOZIONI

di e con Stefano Massini “Mira, il Teatro fa centro 2023-24” Ingresso/Ticket € 22/18 Teatro Villa dei Leoni-Mira h. 21

IL GIOCATTOLAIO

(vedi mercoledì 20 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

ARLECCHINO?

(vedi giovedì 22 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

24

domenicaSunday

IL GIOCATTOLAIO

(vedi mercoledì 20 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 16

ARLECCHINO?

(vedi giovedì 22 marzo)

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 16

27

mercoledìWednesday

FILIPPO CACCAMO

Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

Male male

Ingresso/Ticket € 45/25 Teatro Corso-Mestre h. 21.15

sabatoSaturday

DANIELE GATTANO

LUCA RAVENNA di e con Luca Ravenna

23

Le Filippiche

Ingresso/Ticket € 40/32 Teatro Toniolo-Mestre h. 21 Red Sox

(vedi giovedì 22 marzo)

(vedi martedì 19 marzo)

Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Teatro Prova “A Pesca di Sogni 2023/24”

158

(vedi mercoledì 13 marzo)

20

17

di Jean Genet Con Eva Robin’s, Beatrice Vecchione, Matilde Vigna

LA BUONA NOVELLA

LE SERVE

da William Shakespeare di Valter Malosti Con Anna Della Rosa, Valter Malosti “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/8 Teatro Goldoni h. 20.30

Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

(vedi mercoledì 13 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

giovedìThursday

Teatro Goldoni h. 16

Ingresso/Ticket € 30/27 Teatro Toniolo-Mestre h. 19.30

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

domenicaSunday

ARLECCHINO?

(vedi giovedì 14 marzo)

(vedi venerdì 15 marzo)

venerdìFriday

Ingresso/Ticket € 40/32 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

(vedi martedì 5 marzo)

ANTONIO E CLEOPATRA ​​

“In piedi – Il potere delle parole” Ingresso/Ticket € 15 Teatro del Parco-Mestre h. 21

IL GIOCATTOLAIO

(vedi mercoledì 20 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 19

ARLECCHINO?

Scritto e diretto da Marco Baliani Con Andrea Pennacchi “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 37/5 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30

22

venerdìFriday

IL GIOCATTOLAIO

(vedi mercoledì 20 marzo)

Teatro Verdi-Padova h. 20.30

“I Comici 2023-24”

28

giovedìThursday

MOMENTI DI TRASCURABILE (IN) FELICITÀ

Dai libri di Fransceco Piccolo Con Pif e Francesco Piccolo “Stagione Teatrale 2023.24” Ingresso/Ticket € 30/25 Teatro Toniolo-Mestre h. 21

LE METAMORFOSI

da Le Metamorfosi di Ovidio di Sami Ibrahim, Laura Lomas e Sabrina Mahfouz Traduzione Monica Capuani Regia Veronica Cruciani “Stagione di Prosa 2023/24” Ingresso/Ticket € 15/10 Teatro Mario Del Monaco-Treviso h. 20.30


CENTRO CULTURALE CANDIANI

Piazzale Candiani-Mestre www.culturavenezia.it/candiani

FONDACO DEI TEDESCHI

Calle del Fontego (Rialto) San Marco carnevale.venezia.it

SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA San Polo 2435 carnevale.venezia.it

TEATRINO GROGGIA

Sant’Alvise, Cannaregio 3150 www.comune.venezia.it

TEATRINO ZERO

Via Don Egidio Carraro 6-Spinea www.facebook.com/ teatrinozero

TEATRO CORSO

Corso del Popolo 30-Mestre ww.dalvivoeventi.it

TEATRO GOLDONI

San Marco 4650/B www.teatrostabileveneto.it

TEATRO MARIO DEL MONACO

Corso del Popolo 31-Treviso www.teatrostabileveneto.it

TEATRO DI MIRANO

Via della Vittoria 75-Mirano www.piccionaia.org

TEATRO DEL PARCO Parco Albanese-Mestre www.culturavenezia.it

TEATRO TONIOLO

Piazzetta Cesare BattistiMestre www.culturavenezia.it/toniolo

TEATRO VILLA DEI LEONI Riviera S. Trentin-Mira www.piccionaia.org

TEATRO VERDI

Via dei Livello 32-Padova www.teatrostabileveneto.it

FebFeb

01

:cinema

INDIRIZZI

giovedìThursday

RADIOFRECCIA

Regia di Luciano Ligabue (1998) “Oltre le onde. La radio nell’evoluzione dei media” Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

02

venerdìFriday

IL RE DEI LADRI

Regia di Richard Claus (2006) “15. Carnevale Internazionale dei Ragazzi della Biennale di Venezia” Teatro Piccolo Arsenale h. 16

TUTTI PAZZI A TEL AVIV

Regia di Sameh Zoabi (1970) “Con Marco Polo sulla Via della Seta”

13

martedìTuesday

UOMINI CONTRO

Regia di Francesco Rosi (1970) “Teorema Cicogna”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

SUSPIRIA

(vedi lunedì 12 febbraio)

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19.15/21.15

14

mercoledìWednesday

IL TERRORISTA

Regia di Gianfranco De Bosio (1963) Introducono: Stefano De Bosio, Maria Ida Biggi, Giuseppe Ghigi e Marco Borghi “Classici fuori Mostra 2024” Multisala Rossini h. 19

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

SUSPIRIA

06

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19.15/21.15

martedìTuesday

INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO

Regia di Elio Petri (1969) “Teorema Cicogna”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

08

giovedìThursday

I CENTO PASSI

Regia di Marco Tullio Giordana (2000) “Oltre le onde. La radio nell’evoluzione dei media”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

LE AVVENTURE DI MARCO POLO

Regia di Gianini & Luzzati (1971) a seguire

THE CAMERAMAN

Regia di Buster Keaton e Edward Sedgwick (1928) Con accompagnamento musicale dal vivo di Lorenzo Liuzzi “Carnevale di Venezia 2024” Ateneo Veneto h. 17.30

12

lunedìMonday

SUSPIRIA

Regia di Dario Argento (1977) “IMG Cult”

IMG Cinemas Candiani-Mestre h. 19.15/21.15

(vedi lunedì 12 febbraio)

15

giovedìThursday

21

mercoledìWednesday

BLOW OUT

Regia di Brian De Palma (1981) Introduce: Sara d’Ascenzo “Classici fuori Mostra 2024” Multisala Rossini h. 19

SENZA MALIZIA. LAURA ANTONELLI, LA DIVA MALINCONICA

Documentario di Bernard Bédarida e Nello Correale (2023) “Giorno del Ricordo 2024” Videoteca Pasinetti h. 17

22

giovedìThursday

RADIO AMERICA

Regia di Robert Altman (2006) “Oltre le onde. La radio nell’evoluzione dei media”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

26

lunedìMonday

LA SIGNORA DELLA PORTA ACCANTO

LAVORARE CON LENTEZZA

Regia di François Truffaut (1981) “IMG Cult”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

27

Regia di Guido Chiesa (2003) “Oltre le onde. La radio nell’evoluzione dei media”

16

martedìTuesday

TEOREMA

venerdìFriday

ADIEU LES CONS

Regia di Albert Dupontel (2020) “Alliance Française incontra Circuito Cinema”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

20

IMG Cinemas Candiani-Mestre

Regia di Pier Paolo Pasolini (1970) Introduce: Sara D’Ascenzo “Teorema Cicogna” Multisala Rossini h. 18.30

LA SIGNORA DELLA PORTA ACCANTO (vedi lunedì 26 febbraio)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

martedìTuesday

ANONIMO VENEZIANO

Regia di Enrico Maria Salerno (1970) “Teorema Cicogna”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

28

mercoledìWednesday

IL GRIDO

Regia di Michelangelo Antonioni (1957) Introduce: Adriano De Grandis “Classici fuori Mostra 2024” Multisala Rossini h. 19

29

giovedìThursday

SERGIO & SERGEJ

Il Professore e il Cosmonauta

Regia di Ernesto Daranas Serrano (2017) “Oltre le onde. La radio nell’evoluzione dei media”

Videoteca Pasinetti h. 17.30/20.30

159


agenda

MUSICA, CLASSICA, TEATRO, CINEMA

06

:cinema

MarMar

mercoledìWednesday

LE MÉPRIS

21

giovedìThursday

14. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL

Auditorium Santa Margherita

Regia di Jean-Luc Godard (1963) Introduce: Carmelo Marabello “Classici fuori Mostra 2024”

22

12

Auditorium Santa Margherita

Multisala Rossini h. 19

martedìTuesday

UOMINI E DEI. LE MERAVIGLIE DEL MUSEO EGIZIO

Regia di Michele Mally (2023) “La Grande Arte al Cinema”

IMG Cinemas Candiani-Mestre

13

venerdìFriday

14. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL

23

sabatoSaturday

14. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL

Auditorium Santa Margherita

mercoledìWednesday

BADLANDS

INDIRIZZI

Regia di Terrence Malick (1973) Introduce: Marco Dalla Gassa “Classici fuori Mostra 2024”

ATENEO VENETO

UOMINI E DEI. LE MERAVIGLIE DEL MUSEO EGIZIO

AUDITORIUM SANTA MARGHERITA

Multisala Rossini h. 19

(vedi martedì 12 marzo)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

18

lunedìMonday

ANSELM

Documentario di Wim Wenders (2024) “IMG Documentari” IMG Cinemas Candiani-Mestre

19

martedìTuesday

ANSELM

(vedi lunedì 18 marzo)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

20

mercoledìWednesday

14. CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL Auditorium Santa Margherita

ANSELM

(vedi lunedì 18 marzo)

IMG Cinemas Candiani-Mestre

160

Campo S. Fantin San Marco 1987 ateneoveneto.org

Dorsoduro 3689 cafoscarishort.unive.it

IMG CINEMAS CANDIANI Piazzale Candiani-Mestre imgcinemas.it

VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA

San Stae 1990 www.culturavenezia.it/cinema

MULTISALA ROSSINI

San Marco 3997/a www.culturavenezia.it/cinema

VIDEOTECA PASINETTI CASA DEL CINEMA

San Stae 1990 www.culturavenezia.it/cinema


SHOWCASE PANDORA, DESIGN RITSUE MISHIMA

OTTART.IT

161

Photo © Enrico Fiorese — Gallerie dell’Accademia di Venezia/su concessione del Ministero della Cultura


193 GALLERY VENICE Melancholic Dreams

2 febbraioFebruary-31 marzoMarch Ex Farmacia Solveni, Dorsoduro 993/994 www.193gallery.com

APLUSA GALLERY ANASTASIYA PARVANOVA Sidereal Messenger FinoUntil 29 marzoMarch San Marco 3073 www.aplusa.it

CA’ GIUSTINIAN LUCA MASSIMO BARBERO Un Diavolo Amico

La Biennale di Venezia Portego di Ca’ Giustinian, San Marco www.labiennale.org

exhibitions

Mostre a Venezia

CA’ PESARO/1 Il ritratto veneziano nell’Ottocento

FinoUntil 1 aprileApril Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it

CA’ PESARO/2 MAURIZIO PELLEGRIN Me stesso e io

FinoUntil 1 gennaioJanuary Galleria Internazionale d’Arte Moderna Santa Croce 2076 capesaro.visitmuve.it

CA’ REZZONICO ROSALBA CARRIERA Miniature su avorio

FinoUntil 14 febbraioFebruary Museo del Settecento Veneziano Dorsoduro 3136 carezzonico.visitmuve.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI/1 CHAGALL Il colore dei sogni

FinoUntil 13 febbraioFebruary Mestre, Piazzale Candiani muvemestre.visitmuve.it

CENTRO CULTURALE CANDIANI/2 Buzzati, Venezia e la Pop Art FinoUntil 25 febbraioFebruary Mestre, Piazzale Candiani www.culturavenezia.it/candiani

COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM MARCEL DUCHAMP e la seduzione della copia

FinoUntil 18 marzoMarch Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 www.guggenheim-venice.it

FONDACO DEI TEDESCHI The Rivus Altus

7 febbraioFebruary-7 aprileApril Calle del Fondaco dei Tedeschi, Rialto www.rivusaltus.it

FONDATION VALMONT EGO

FinoUntil 25 febbraioFebruary Palazzo Bonvicini, Calle Agnello Santa Croce 2161/A www.fondationvalmont.com

FONDATION WILMOTTE Venezia bianca

FinoUntil 3 marzoMarch Fondaco degli Angeli, Fondamenta dell’Abbazia, Cannaregio 3560 www.fondationwilmotte.com www.prixw.com

162

FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA Appunti fotografici La Venezia di Luigi Ferrigno

FinoUntil 1 aprileApril Area Carlo Scarpa, Campo Santa Maria Formosa, Castello 5252 www.querinistampalia.org

PALAZZO CONTARINI DEL BOVOLO MARINA NANI DONÀ HEREDITAS Dipinti della sua collezione FinoUntil 24 marzoMarch San Marco 4303 www.gioiellinascostidivenezia.it

GALLERIA ALBERTA PANE MICHELE SPANGHERO L’esprit de l’escalier

PALAZZO GRASSI JULIE MEHRETU Ensemble

GALLERIA LUCE ARMANDO MARROCCO convergenze spaziali Venezia, Milano e oltre...

PALAZZO GRIMANI DAVID “CHIM” SEYMOUR Il Mondo e Venezia. 1936-56

FinoUntil 2 marzoMarch Calle dei Guardiani, Dorsoduro 2403/h albertapane.com

16 febbraioFebruary-20 marzoMarch Campiello della Fenice, San Marco 1922/A www.gallerialuce.com

GALLERIE DELL’ACCADEMIA La Madonna in Rosso di Giovanni Bellini FinoUntil 7 aprileApril Sala V, Campo della Carità Dorsoduro 1050 gallerieaccademia.it

M9 – MUSEO del ‘900 BANKSY. PAINTING WALLS 23 febbraioFebruary-2 giugnoJune Via Giovanni Pascoli 11, Mestre www.m9museum.it www.fondazionevedova.org

MAGAZZINI DEL SALE 3 Prometeo possibili FinoUntil 16 marzoMarch Dorsoduro 264 www.accademiavenezia.it

MARIGNANA ARTE GIULIO MALINVERNI Il dormiente nella valle MAURIZIO PELLEGRIN L’immagine ritrovata

FinoUntil 30 marzoMarch Galleria, Dorsoduro 141 Project Room, Dorsoduro 140/A www.marignanaarte.it

MARINA BASTIANELLO GALLERY SOPHIE FRANZA L’Établi (Il banco di lavoro)

FinoUntil 29 febbraioFebruary Via Pascoli 9/C (a fianco M9), Mestre www.marinabastianellogallery.com

MUSEO DEL VETRO Cento anni di NasonMoretti Storia di una famiglia del vetro muranese FinoUntil 29 febbraioFebruary Fondamenta Marco Giustinian 8 Murano museovetro.visitmuve.it

OCEAN SPACE Re-Stor(y)ing Oceania

23 marzoMarch-13 ottobreOctober Ex Chiesa di San Lorenzo Campo San Lorenzo, Castello 5069 sumus.community

17 marzoMarch-6 gennaioJanuary, 2025 Campo San Samuele San Marco 3231 www.pinaultcollection.com

FinoUntil 17 marzoMarch Museo di Palazzo Grimani Ramo Grimani, Castello 4858 polomusealeveneto.beniculturali.it

PALAZZO FORTUNY JOAN FONTCUBERTA Cultura di polvere FinoUntil 10 marzoMarch San Marco 3958 fortuny.visitmuve.it

PALAZZO LOREDAN DAVIDE BATTISTIN Genesis

FinoUntil 18 febbraioFebruary Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti Campo Santo Stefano, San Marco 2945 lineadacqua.com

PROCURATIE VECCHIE/1 THE HUMAN SAFETY NET A World of Potential

(terzo piano) Piazza San Marco 105 www.thehumansafetynet.org

PROCURATIE VECCHIE/2 THE ART STUDIO The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential by Arthur Duff FinoUntil 10 marzoMarch (terzo piano) Piazza San Marco 105 www.thehumansafetynet.org

PROCURATIE VECCHIE/3 Re-Emerging 1-15 marzoMarch Piazza San Marco 139/153A www.re-emerging.it

PUNTA DELLA DOGANA PIERRE HUYGHE Liminal

17 marzoMarch-24 novembreNovember Dorsoduro 2 www.pinaultcollection.com

SPARC* Spazio Arte Contemporanea SILVANO RUBINO Progetto Kafka La scrittura e il segno

FinoUntil 25 febbraioFebruary Campo Santo Stefano, San Marco 2828/A www.veniceartfactory.org

SPUMA – Space for the Arts ANTHONY CORNER Over and Over and Over

3 febbraioFebruary-31 marzoMarch Giudecca 800/R www.veniceartfactory.org


Bourse de Commerce Parigi

Venezia Palazzo Grassi Punta della Dogana

i r p o c e S r t s o m e l Scop r la ca i rd

1 card one 1 collezi 3 musei

ship r e b m e M Pinault n Collectio 163


a cura di Davide Carbone

a cura di Marisa Santin APPENA USCITE

Non sto dicendo che è un film perfetto, ma posso dire di essere molto più felice della Parte Due che della Parte Uno. Non vedo l’ora di poterlo condividere con i fan e con gli spettatori Denis Villeneuve Film, serie, uscite in sala

(Prime Video) Tratta dal bestseller internazionale The Expatriates di Janice Y. K. Lee e diretta dalla regista Lulu Wang (The Farewell, 2019), la nuova serie tv di Amazon porta sul set Nicole Kidman nel ruolo di Margareth, moglie di un imprenditore trasferitosi con la famiglia a Hong Kong per lavoro. In seguito ad un incontro apparentemente banale, la vita di Margareth e quelle dell’amica Hilary (Sarayu Blue) e della giovane Mercy (Jiyoung Yoo) saranno risucchiate in un vortice di colpa e responsabilità, incastonate nella complessa trama dei quartieri residenziali di Hong Kong.

SERIALE

screenings

(Sky) Per le ambientazioni fra i ghiacci, l’autrice e regista Issa López dice di essersi ispirata a La cosa di Carpenter, all’Overlook Hotel di Shining e all’astronave Nostromo di Alien. Girata fra l’Islanda e l’Alaska, la nuova stagione della serie tv antologica firmata HBO ruota attorno alla misteriosa scomparsa di otto scienziati da un centro di ricerca internazionale. Due detective (Jodie Foster e Kali Reis) vengono incaricate delle indagini. «Se la prima stagione era maschile e madida di sudore – dice López – Night Country è fredda, oscura e femminile».

EXPATS

DA RECUPERARE

DUNE PARTE 2

di Denis Villeneuve (USA, Canada, 2024) Protagonista della storia è ancora una volta Paul Atreides (Timothée Chalamet), che dopo essersi unito a Chani (Zendaya) e agli altri Fremen, medita vendetta contro i cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia. Quest’avventura lo porterà a intraprendere una missione molto importante, che gli permetterebbe di impedire la realizzazione di un terribile futuro, che soltanto lui è capace di prevedere. Dopo il successo stratosferico di Dune (2021), l’adattamento cinematografico della saga fantascientifica basata sull’omonimo libro di Frank Herbert giunge al secondo capitolo, diretto nuovamente dal regista canadese Denis Villeneuve. La sceneggiatura è stata scritta dal regista con la collaborazione di Jon Spaihts, ma questa volta senza il supporto di Eric Roth. Come per il primo film, anche in questo caso la colonna sonora è stata composta da Hans Zimmer, il quale ha addirittura creato delle musiche per aiutare il regista a trovare l’ispirazione per scrivere la sceneggiatura.

Dal 28 febbraio al cinema 164

TRUE DETECTIVE – NIGHT COUNTRY

PAINKILLER

(Netflix) Più efficace della morfina, l’OxyContin è un farmaco oppioide a lento rilascio usato per contrastare i dolori, un forte analgesico che venne messo in commercio nel 1996 dall’azienda statunitense Purdue Farmaceutical. Mentre la Purdue incassava miliardi di dollari, migliaia di persone caddero inesorabilmente nel vortice della tossicodipendenza. La mini-serie tv di Netflix (Matthew Broderick e Sam Anderson nel cast) ricostruisce nella fiction quanto Laura Poitras ha raccontato nel documentario Tutta la bellezza e il dolore grazie alla straordinaria testimonianza di Nan Goldin.


THE WARRIOR – THE IRON CLAW

di Sean Durkin (USA, UK, 2023) Scritto e diretto da Sean Durkin, racconta la storia vera della famiglia Von Erich, soffermandosi sui tre fratelli che negli anni Ottanta sono riusciti a scrivere la storia nel mondo altamente competitivo del wrestling professionistico. Un biopic che si concentra soprattutto sulla vita del wrestler professionista Kevin Von Erich, interpretato sul set dalla star Zac Efron. Oltre a lui, nel cast ci sono Jeremy Allen White, Harris Dickinson, Maura Tierney, Holt McCallany e Lily James. Tragedie e trionfi di tre fratelli che hanno vissuto all’ombra del padre e dell’allenatore prevaricatore. Il mitico personaggio che interpreta Efron è conosciuto anche come il Guerriero d’Oro, mentre Jeremy Allen White interpreta Kerry Von Erich, il fratello di Kevin che ha gareggiato nella divisione dei pesi massimi.

Dall’1 febbraio al cinema

UN ALTRO FERRAGOSTO

VOLARE

di Margherita Buy (Italia, 2023) Annabì è un’attrice di successo che soffre di aviofobia, ovvero la paura di volare. A causa di questa sua fobia, l’attrice è stata costretta a rinunciare a scritture importanti. Avrebbe potuto aspirare a un successo internazionale, ma l’idea di salire su un aereo per un casting o per le riprese l’ha sempre frenata. Adesso che sua figlia si è trasferita in California per studiare, Annabì è alla ricerca di qualcosa da fare e decide di iscriversi a un corso nell’aeroporto di Fiumicino. Riuscirà a vincere la sa paura? Prendendo spunto da una fobia personale, comune a molte più persone di quel che immaginiamo, ovvero la paura di volare, Margherita Buy esordisce dietro la macchina da presa con una commedia corale in cui mette molto di se stessa e della sua vita, ma si apre anche al mondo con empatia e vivacità.

Dal 22 febbraio al cinema

di Paolo Virzì (Italia, 2024)

KUNG FU PANDA 4

Virzì ci riporta sull’Isola di Ventotene, dopo il suo Ferie d’agosto del 1996. In quell’estate, Cecilia (Laura Morante) rimase incinta di Sandro (Silvio Orlando) ed ebbero un figlio, Altiero, che oggi ha ventisei anni. Il giovane Altiero è un imprenditore digitale e si è sposato con un fotomodello. Questo Ferragosto lo passeranno sull’amata isola del padre che è molto malato. A loro si uniscono gli amici di una vita, che trascorreranno l’ultima estate di Sandro tutti insieme per renderla indimenticabile. Nessuno si aspetta di trovare l’isola in festa per l’imminente matrimonio di Sabry Mazzalupi con il fidanzato Cesare. Sabry, figlia dei bottegai romani Ruggero e Luciana (Paola Tiziana Cruciani), è una celebrità del web e il suo matrimonio è un evento che attira i media e gli arrampicatori sociali...

Il quarto capitolo della saga vede il panda Po impegnato in una nuova avventura nell’antica Cina, mentre si dedica, come sempre, all’arte del kung fu senza tralasciare il suo amore per il cibo. Al Guerriero Dragone viene affidato da parte di Shifu un compito molto importante: diventare una guida spirituale nella Valle della Pace. Peccato che Po sia un buongustaio e un gran mangione, un talentuoso maestro di kung fu, ma non di certo un capo spirituale per qualcuno. Inoltre, deve trovare e addestrare un suo erede, ovvero un allievo che prenda il suo posto e il suo titolo di guerriero, cosicché lui possa dedicarsi pienamente alla spiritualità. Come se non bastasse, una perfida maga mutaforma sta seminando il panico tra i maestri kung fu…

Dal 7 marzo al cinema

di Mike Mitchell (USA, 2024)

Dal 21 marzo al cinema

165


a cura di Fabio Marzari

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso Daniel Pennac ALAIN GRESH

Israele, Palestina Le verità su un conflitto

books

Readings & Reviews

Einaudi

166

GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ

Ci vediamo in agosto Mondadori

Si affronta la questione medio-orientale ristabilendo alcuni fatti indiscutibili, principi su cui fondare la discussione e cercare una soluzione laica al conflitto. Rifiuta la solidarietà astratta con uno dei contendenti: nessuno dei due è investito da una “missione superiore”, nessuno è buono o giusto per natura o per qualche grazia divina o immanente. L’Autore indaga la questione fissando gli episodi che hanno determinato la storia del conflitto israelo-palestinese - dalla guerra del 1948 alla creazione dello Stato d’Israele, dalla resistenza palestinese alla creazione dell’OLP, fino alla pace di Oslo - mostrandone la concatenazione e inquadrandoli secondo criteri universali.

Ogni anno, il 16 agosto, una donna ritorna sull’isola dove è sepolta sua madre per portare un mazzo di gladioli sulla tomba. Un rituale che si ripete identico: lo stesso sole impietoso, il traghetto, l’hotel un po’ vecchiotto, la solita bancarella di fiori. Ma improvvisamente ad Ana Magdalena Bach - quarantasette anni di età e ventisette di solido matrimonio - l’attesa del traghetto del giorno dopo spalanca nuove prospettive. E così al rituale si aggiungerà la ricerca di un uomo per la notte e l’attesa spasmodica di questo annuale momento di libertà…

CHIARA VALERIO

DEBORAH WILLIS

Sellerio

Bollati Boringhieri

Chi dice e chi tace Un golfo dalla linea morbida, una lunga spiaggia di sabbia che corre parallela alla via Appia tra due colline, il Monte d’Oro e il Monte d’Argento. Poco più a sud scorre il fiume Garigliano e inizia la Campania. Scauri, nel Lazio, sul Tirreno, seimila residenti nei mesi invernali e centomila nei mesi estivi. Un paese né bello né brutto dove ha scelto di vivere Vittoria, che è morta nella sua vasca da bagno. È stato uno stupido incidente. L’avvocato Lea Russo, un marito e due figlie, è sempre stata affascinata da Vittoria. Lea non vuole più accontentarsi di ciò che ha avuto sempre davanti agli occhi. Vuole capire come è morta Vittoria, e chi era davvero...

La mia ragazza su Marte Annoiata dalla solita vita, Amber - che vive con Kevin, trent’anni entrambi, insieme da quattordici, in un appartamento a Vancouver dove coltivano illegalmente marijuana - decide di iscriversi alle selezioni di un nuovo reality. Si chiama MarsNow e i due vincitori - un uomo e una donna - verranno spediti su Marte, per la prima missione umana sponsorizzata dal miliardario Geoff Task. Kevin, che è uno sfaccendato, non capisce questa improvvisa smania di Amber di voler dare un senso alla sua vita, quando, se mai dovesse andare su Marte, si tratterebbe, per loro, di non vedersi mai più: la tecnologia garantisce l’andata, ma non il ritorno sul pianeta Terra. Ma Amber è irremovibile...


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167


staff

Mensile di cultura, spettacolo e tempo libero Numero 284-285 - Anno XXVIII Venezia, 1 febbraio 2024 Con il Patrocinio del Comune di Venezia Autorizzazione del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Direzione editoriale Massimo Bran Direzione organizzativa Paola Marchetti Relazioni esterne e coordinamento editoriale Mariachiara Marzari Redazione Chiara Sciascia, Davide Carbone Speciali Fabio Marzari Coordinamento Newsletter e progetti digitali Marisa Santin Grafica Luca Zanatta

Hanno collaborato a questo numero Katia Amoroso, Elena Cardillo, Loris Casadei, Sergio Collavini, Elisabetta Gardin, Renato Jona, Michela Luce, Franca Lugato, Massimo Macaluso, Irene Marchetti, Andrea Oddone Martin, Daniela Paties Montagner, Giorgio Placereani, Paola Salerni, Livia Sartori di Borgoricco, Fabio Di Spirito, Camillo Tonini, Riccardo Triolo, Luisa Turchi, Andrea Zennaro Si ringraziano Claudia Roth, Serena Bertolucci, Serena Nono, Petra Schaefer, Jens Althoff, Alessandro Marzo Magno, Carlo Montanaro, Gherardo Ortalli, Roberto Racca, Silvia Baratta, Alessandro Zoppi Traduzioni Andrea Falco Foto di copertina Banksy, Robot Boy courtesy M9 – Museo del ‘900 lo trovi qui: Bookshop Gallerie dell’Accademia; Qshop (c/o Querini Stampalia, Santa Maria Formosa); Alef (c/o Museo Ebraico, zona Ghetto); Mare di Carta (Fondamenta dei Tolentini); Studium (zona S. Marco); Toletta, Toletta Cube e Toletta Studio (zona Campo San Barnaba) e in tutte le edicole della città. Direttore responsabile Massimo Bran Guida spirituale “Il più grande”, Muhammad Alì Recapito redazionale Cannaregio 563/E - 30121Venezia tel. +39 041.2377739 redazione@venezianews.it www.venezianews.it

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Redazione Venezianews

Stampa Chinchio Industria Grafica Srl Via Pacinotti, 10/12 - 35030 Rubano (PD) - www.chinchio.it La redazione non è responsabile di eventuali variazioni delle programmazioni annunciate

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