L'orto e l'anima

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Paola Violani

L’ORTO E L’ANIMA


Antonio Vallardi Editore s.u.r.l. Gruppo editoriale Mauri Spagnol www.vallardi.it Per essere informato sulle novità del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita: www.illibraio.it

Copyright © 2011 Antonio Vallardi Editore, Milano Illustrazioni di Paola Violani

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta,

Ristampe: 9 8 2016

7 6 2015

ISBN 978-88-7887-579-1

5 4 2014

3 2 2013

1 2012


Sommario PrefaZione Premessa L’orto nel mito e nella storia Il modello originario: il giardino dell ’Eden I primi orticoltori Nella terra degli egizi Gli ortaggi degli dèi L’elogio dell’orto nelle opere dei trattatisti romani In città e in campagna L’origine dell’hortus conclusus Molte varietà di ortaggi Eroi di Roma nell’orto Rituali e credenze Barbari e monaci Una rete di monasteri Tra le mura dei chiostri L a città coltivata Fame di terra Giardini delle Mille e una notte L a bellezza innanzitutto L a passione degli scienziati rinascimentali I giardini del re L’orto pittoresco Solo per ornamento Esperimenti nell’orto Uno scambio proficuo L a nascita degli orti operai Orti di guerra Un fazzoletto di terra in città

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L'orto e l 'anima Una passione soprattutto maschile Effetti benefici per il corpo e la mente Un giardino in carcere Un anacoreta del terzo millennio

Tecniche e saperi nel tempo

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Le dimensioni dell’orto Se l’orto non c’è Al lavoro!

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Aglio Anguria o Cocomero Asparago Barbabietola Basilico Bieta o Costa Carciofo Cardo Carota Cavolfiore Cavolo broccolo

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La concimazione I consigli pratici di Columella Concimi ricercati per Caterina di Russia Goethe per le strade di Napoli

Gli attrezzi da lavoro L’irrigazione La gestione dell’acqua L’irrigazione moderna e la fertirrigazione

I nuovi ortaggi delle Americhe Le sementi: diffusione e commercio Le origini delle ditte sementiere

Manuali e scritti di orticoltura La stampa divulga le conoscenze sull’orto Sulle orme di Linneo

Le coltivazioni L’orto e il cosmo

La biodiversità Le religioni e l’arte di coltivare l’orto Tra scienza e fede

Schede di coltivaZione


Sommario Cavolo cappuccio Cavolo navone Cavolo rapa Cavolo verza Cetriolo Cicoria Cipolla Endivia riccia ed Endivia scarola Fagiolo Fava Finocchio Lattuga Melanzana Melone Patata Peperone Pisello Pomodoro Porro Prezzemolo Ramolaccio Rapa Ravanello Rucola Scorzobianca o Barba di becco Scorzonera Sedano Spinacio Valeriana o Songino Zucca Zucchino a cespuglio

Bibliografia

168 170 172 174 176 178 182 184 186 190 192 194 198 200 202 204 206 208 210 212 214 216 218 220 222 222 224 226 228 230 232 235


Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutata a realizzare questo libro, soprattutto le donne, in particolare Silvia Broggi, ÂŤGiuliaÂť Cattaneo, Marta Isnenghi, Enrica Melossi, Paola Motta Romagnoli, Laura Peroni e in modo speciale Giulia Maria Mozzoni Crespi. Molti ringraziamenti alle ditte sementiere Franchi e Fratelli Ingegnoli per il materiale che hanno gentilmente messo a disposizione.


PrefaZione «L’orto è sempre il cuore dell’Azienda», diceva sempre il Professor Koepf, grande maestro di agricoltura biodinamica, il quale veniva negli anni settanta a insegnare questo metodo nella mia azienda agricola Cascine Orsine di Bereguardo, nel Parco del Ticino. Tale principio rimase impresso nella mia mente, e influenzò sempre la conduzione della nostra azienda. Perché, chiedevo al Professor Koepf? Perché dice questo? Rispondeva: «L’orto dovrebbe sempre più rappresentare il cuore dell’azienda. Soprattutto se, da bravi figli della Madre Terra e cultori della salute abbiamo adottato il metodo biologico o, meglio ancora, biodinamico, con intersemine, rotazioni ravvicinate e totale mancanza di additivi chimici di qualunque origine, specie o provenienza. Allora sì che l’orto diventa il centro propulsore per le campagne circostanti alle quali, anche a distanza, ampiamente irradia energia e forze vitali.» Se poi questo orto, cuore della terra, viene arricchito piantando, oltre alle verdure, qualche erba aromatica, allestendo un presello di semplici fiori, aggiungendo anche un albero da frutto, un albicocco, un pesco, un susino e magari un arbusto di alloro – in previsione di certi arrosti della domenica – allora le forze così stimolate vengono decuplicate e i profumi irradiati chiamano gli insetti amici, le api, le farfalle, le coccinelle e perché no? Anche una colonia di formiche (ma speriamo piccola!) per diffondere nell’aria il prezioso acido formico. Personalmente io ho meravigliosi ricordi dell’orto. Quando ero piccola, in Brianza, mi recavo sovente nell’orto per cogliere in una grande aiuola dove fiorivano anche nei mesi autunnali, persino in novembre, profumatissime e delicate violette. Ahimè, non sono mai più riuscita a trovare quella qualità di viole tanto rifiorenti!


L'orto e l 'anima E poi ricordo quella contadina delle nostre Cascine Orsine, una mamma che, malgrado i suoi sei figli e con una bimba disabile, coltivava meravigliosamente il suo orticello, dove cresceva sempre qualche fiore colorato e alcuni profumati gigli che al mio compleanno mi regalava! E quante volte sono andata nel nostro grande orto di campagna assieme a un nipotino, per sgranocchiare le carotine da poco spuntate, sgusciare i pisellini novelli e controllare se i primi lamponi erano maturati, o per fare una scorpacciata di fragole dolcissime all’insaputa del nostro geloso ortolano che voleva la domenica portarle in trionfo a tavola! Tutte gioie che rimangono nel subconscio dei bambini e che risvegliano e educano la loro attenzione e amore verso gli arcani segreti della natura. Gioie che, vorrei aggiungere, suscitano anche rispetto e riconoscenza per quelle manifestazioni di vita così palesi in un orto. Verso il germinare, il crescere, il fiorire, il fruttificare. Una grande educazione per i seguaci della nostra era tecnologica, dove si vuole tutto definire, tutto meccanizzare, per poi non essere ancora riusciti in questo nostro terzo millennio a individuare il grande mistero della Vita! Simili pensieri, stimoli e sensazioni si possono trovare in un orto, ma anche molto di più. Poiché assistendo all’evoluzione del crescere e del maturare ci si avvicina, anche inconsapevolmente, ai grandi processi che regolano il mondo. Non solo, anche un profondo sentimento di gratitudine si risveglia nel cuore verso il Grande Sé Spirituale a molti così ignoto, ma che tutto pervade. E, leggendo queste pagine che l’autore ha scritto con grande diligenza sullo sviluppo dell’orticoltura passata per giungere a quella presente, un contributo di conoscenza viene donato al lettore. Ma mi permetto quale finale a questo mio modesto scritto, di aggiungere al testo qui stampato una ulteriore nuova proposta, che è quella di avvicinarsi al metodo dell’Agricoltura Biodinamica: una proposta nuova, offerta all’uomo moderno che deve affrontare la coltivazione di un terreno inquinato, impoverito da centinaia d’anni da culture e sovente intriso di residui chimici. Bisogna rendere nuovamente vivente il terreno, affinché il cibo da questo generato dia forza e salute agli uomini che tanto ne hanno bisogno! Cari lettori, risvegliamo dunque nel nostro animo questa passione per l’orto, affrontiamo generosamente le fatiche necessarie che vengono richieste per coltivarlo.

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PrefaZione Allora certamente un senso di armonia, di quiete, di appagamento crescerĂ in noi. E gioiremo inconsapevolmente di tutte quelle forze elementari e celesti che vibrano nella terra e nel cosmo.

Giulia Maria Mozzoni Crespi Presidente Onorario FAI – Fondo Ambiente Italiano

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L’orto nel mito e nella storia

Molte varietà di ortaggi La città di Roma era un crogiolo multietnico e le coltivazioni riflettevano la varietà della sua popolazione. I trattatisti romani segnalano un tripudio di ortaggi: porri di Ariccia, da taglio e a testa grossa, cipolle e cipolline di Cuma, rape di Norcia, navoni di Amiterno, cicoria, endivia, scarola, ravanelli, finocchio, ramolaccio, bietole, ceci, fave, piselli, fagioli, lenticchie e lupini, coltivati negli orti e consumati freschi (fig. 9). Non mancavano le lattughe rinfrescanti, coltivate in molte varietà: scura, bianca, rossa, riccia, purpurea, di Cipro, di Cappadocia e quella di Cadice prodotta da Columella. Ma i veri re dell’orto romano erano i cavoli, considerati la «verdura» per eccellenza. Tra le erbe aromatiche si trovavano

Figura 10 Traliccio per far crescere le zucche.

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L'orto e l 'anima ruchetta, anice, salvia, menta, rosmarino, ruta, timo, maggiorana e prezzemolo. Il papavero era apprezzato per i semi saporiti. Dalla Campania proveniva una nuova varietà di cucurbitacee dolci e profumate chiamate melopepones (meloni). Le zucche erano coltivate in tutti gli orti, sia per l’alimentazione, sia per usarle come contenitori dopo averle fatte seccare. Le piante venivano fatte arrampicare su tralicci di legno o pergolati (fig. 10) da cui pendevano i frutti.

Eroi di Roma nell’orto I romani definivano se stessi «fortissimi viri et milites strenuissimi ex agricolis gignitur», ossia un popolo valoroso che proviene dal mondo agricolo. Non è dunque strano che la leggenda e la storia tramandino il ricordo di importanti personaggi che hanno incrociato nell’orto i grandi momenti decisivi per la storia di Roma. Cincinnato ricevette la nomina a dittatore mentre lavorava a torso nudo nell’orto. Gneo Tremelio Scrofa, amico di Varrone, era un coltivatore così appassionato che il suo fondo veniva visitato come un modello esemplare. Tarquinio il Superbo stava lavorando nell’orto quando fu raggiunto dal messaggero del figlio, che gli chiedeva come comportarsi con la città dei Gabii appena conquistata. Tarquinio non rispose, ma passeggiando fra le aiuole recise le cime più alte dei papaveri. Il figlio comprese che il padre gli suggeriva di eliminare tutti i personaggi importanti. Ancora oggi si usa il termine «papavero» per indicare una persona potente. L’importanza dell’orto nell’antica Roma è confermato dalla rivolta che si scatenò quando Caligola decise di istituire una tassa sugli ortaggi. Il piccolo appezzamento coltivato per il consumo domestico era anche la misura di valutazione delle capacità della mater familias. La considerazione dell’orto nel periodo repubblicano è attestata dai nomi di alcuni grandi famiglie che riecheggiano i prodotti della terra: così i Valerii traggono il loro nome da una varietà di insalata, i Fabi da fava, i L entuli da lenticchie, i Ciceroni da ceci, i Serrano da serere, cioè seminare. Alcuni imperatori erano golosi di ortaggi. Tiberio voleva sempre i cetrioli in tavola, tanto che in inverno i suoi ortolani dovevano coltivarli in vaso ricoverandoli di notte. Augusto consumava grandi quantità di lattuga a scopo curativo. Plinio racconta che Nerone mangiava con regolarità i porri da taglio conditi con olio per schiarirsi la voce.

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Figura 11 Pipistrelli, civette e gamberi di fiume erano esposti per neutralizzare gli influssi negativi sulle coltivazioni.

Rituali e credenZe Magie, superstizioni e stregonerie campestri ispirarono comportamenti destinati a tramandarsi fino all’età moderna. Plinio riferisce che durante il periodo mestruale la donna era considerata impura e perciò dannosa per l’orto. Tutto ciò che toccava sarebbe appassito all’istante. Il suo solo sguardo, se rivolto alle piante di zucca, le avrebbe fatte seccare. Una tale arma distruttiva poteva però essere utilizzata anche a beneficio delle coltivazioni: bastava che in quei giorni la donna compisse tre giri intorno all’orto e alle aiuole, a piedi nudi, con i capelli sciolti e le vesti sollevate, per far morire tutti i bruchi che infestavano le verdure. Il metodo era ritenuto efficace anche contro chiocciole, limacce e moscerini. Riproposto nei secoli, lo troviamo ancora citato nel Cinquecento nel poema didascalico L a coltivazione di Luigi Alamanni. Per combattere le avversità esistevano anche altri curiosi sistemi. Contro grandine e fulmini si usava piantare la clematide vitalba intorno all’orto, oppure minacciare il cielo con roncole insanguinate o ungere gli attrezzi con grasso d’orso. Per proteggere il raccolto da bruchi e fulmini si esponevano pipistrelli crocefissi e uccelli inquietanti come le civette (Fig. 11), oppure si issavano su pali teste d’asino, teschi di cavalla o si appendevano gamberi di fiume. A volte, per salvare il raccolto dalla «mala ruggine», si immolava un cagnolino.

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L'orto e l 'anima Ma esistevano anche rimedi meno cruenti. Per difendere le semine dai predatori si trattavano i semi con morchia di olive o si spargeva sul terreno una certa varietà di aglio selvatico cotto. Il cetriolo, meglio quello selvatico (Echallium elaterium), combatteva con i suoi semi topi e pidocchi, e il succo versato sui piedi della vite allontanava gli uccelli dai frutti. La radice di pastinaca era usata per produrre filtri amorosi, per prevenire l’effetto del morso dei serpenti e come amuleto per allontanarli. Secondo Plinio, il basilico cresceva più rigoglioso se la semina era accompagnata da maledizioni e ingiurie, e i semi di cetriolo avrebbero dato frutti privi di semi se lasciati a macerare con la culix, un’erba purtroppo mai identificata.

Figura 12 Nell’orto di san Fiacre, asceta del VII secolo, il rigoroso ordine delle aiuole coltivate è contrapposto al caos della natura selvaggia, con le rocce impervie che si perdono nelle nuvole. La rozza e povera capanna è il ricovero dell’eremita, che alterna il lavoro a momenti di preghiera. L’acqua, simbolo di vita, sgorga dalla sorgente ed è anche raccolta nella brocca presso la capanna. Lepri, cervi e uccelli minacciano le colture, ma la spiritualità del monaco protegge l’orto come una barriera invisibile.

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(Illustrazione liberamente tratta da stampa della Biblioteca Marucelliana)


L'orto e l 'anima

Un giardino in carcere Nello spazio recintato da alte mura il carcerato è tagliato fuori dal mondo. Fa parte di una comunità chiusa e vive in cella, con mansioni e orari regolati. Sembrano i ritmi di un monastero, ma qui la solitudine con se stessi non è una scelta volontaria. In carcere l’ortoterapia può diventare parte integrante dei programmi di riabilitazione, offrendo opportunità di apprendimento e di connessione con la vita. L’orto richiede assiduità, impegno quotidiano e programmazione del futuro, in un ambiente dove il futuro è molto lontano. Orgoglio del successo e autostima per i risultati, opportunità di riflessione e scoperta di se stessi nel silenzio del proprio lavoro sono altri risvolti positivi di questa attività. Gli orti delle carceri sono bellissimi, oltre che inaspettati. A volte, per l’insensibile progettazione del verde nei luoghi di pena, sorgono su terreni dove si accumulano sassi e macerie di cantiere. Così è successo a Bollate, dove con pazienza e fatica un detenuto ha ricavato il grande orto sopra i detriti, migliorando il terreno di anno in anno con il compostaggio, il letame della piccola scuderia del carcere e con tanto lavoro e perseveranza (fig. 50). L e verdure coltivate sono vendute agli stessi detenuti, che le cucinano nelle loro celle. L e coltivazioni si adeguano alle richieste e agli usi alimentari dei consumatori: cipolle, aglio, cime di rapa, pomodori.

Figura 50 Nel carcere di Bollate la coltivazione delle verdure segue i gusti dei detenuti, che le acquistano per cucinarle nella loro cella. Si susseguono nelle stagioni fave, cime di rapa, broccoli, insalate, pomodori.

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L’orto nel mito e nella storia Che la cura dell’orto abbia effetti sociali positivi era noto già ai romani. Nel 67 a.C. Pompeo Magno trasferì in Puglia un gruppo di pirati cilici da lui sconfitti e affidò a ciascuno di loro un campo da lavorare per riabilitarli con un’attività legale. Uno di essi, al quale era stato assegnato un terreno molto sterile, riuscì a renderlo così fertile da trarne sostentamento per tutta la vita. L a sua passione trasformò quel luogo arido in un paradiso festoso e ricco di verdure.

Un anacoreta del terZo millennio La vita appartata degli anacoreti, che per secoli ha caratterizzato l’esperienza religiosa del monachesimo orientale e occidentale, riemerge oggi come una via attraverso cui si manifesta la fuga mundi, il bisogno di ritorno alla natura e l’anelito alla semplicità originaria. Questa scelta può spingersi fino all’estremo, come racconta Fulvio Roiter nel libro-reportage Un uomo senza desideri (Grafiche Siz, Verona 2005). È la storia di un uomo del ricco Nord-est che per quarant’anni è vissuto da solo, in una casa fatiscente, nella proprietà di famiglia isolata da un fossato scavato con le sue mani (fig. 51). Assolutamente vegano, viveva soltanto di ciò che raccoglieva nell’orto e sugli alberi, riscaldandosi con la legna del bosco e vestendosi di stracci. Costruiva gli attrezzi da lavoro con il legno dei suoi alberi e cuciva i panni con ramoscelli sottili. L’arredo domestico era ridotto all’essenziale: niente luce, niente gas, un pozzo per l’acqua. Ogni visitatore era considerato sgradito, come qualsiasi oggetto o aiuto che venisse dalla civiltà, persino un pacchetto di fiammiferi. La sua stretta autarchia non ammetteva deroghe. Viveva esclusivamente dei prodotti della terra, senza animali di utilità o da compagnia. Un’area sabbiosa e riparata era il semenzaio dove coltivava le verdure da trapiantare. Produceva le sementi ogni anno e le conservava per quello successivo. Un ciclo chiuso, costruito metodicamente per oltre quarant’anni attraverso un rapporto amoroso con la terra che lo ricompensava con i suoi prodotti. Coltivava molti ortaggi, specialmente quelli da conservare per l’inverno come patate, legumi, cavoli, cipolle, mais per la polenta, noci e frutti. Il suo campo di cavoli era grandissimo: ve ne crescevano diverse centinaia, sapientemente coltivati in file, separate da una fitta erbetta verde che fungeva da pacciamatura. Grazie alle sue buone conoscenze agronomiche sapeva consociare ai cavoli i fagioli rampicanti. che su pali e tralicci fiancheggiavano il campo. L’ettaro di terreno coltivato era irrigato con l’acqua raccolta nel fossato, che nella torrida estate del 2003 non fu sufficiente a contrastare la siccità e il raccolto andò perduto. Morì a ottant’anni nell’inverno del 2004 per mancanza di sostentamento, pienamente consapevole del suo destino, offrendo un’estrema testimonianza dell’importante legame tra la terra e la vita.

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Figura 51 La fuga mundi è ancora possibile nel terzo millennio: nel ricco Nord-est un uomo ha scelto di vivere con le sole risorse della terra. (Illustrazione liberamente tratta da una fotografia di Fulvio Roiter per il libro Un uomo senza desideri, Grafiche Siz, Verona 2005)

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Cetriolo

Cucumis sativus. Cucurbitacee

DescriZione: pianta annuale con portamento rampicante e con fiori maschili e femminili. Originaria di Europa, Asia ed Egitto. Varietà: si distinguono molte varietà con forme, colori e dimensioni diverse, mentre per i sottaceti si usano quelli piccoli come ‘Piccolo di Parigi’ e ‘Beth Alpha’. Per le insalate si utilizzano quelli lunghi. Si ricordano tra i bianchi ‘Mezzo lungo bianco White Wonder’, ‘L ong White’, tra i verdi ‘Verde Lunghissimo d’Ingegnoli’, ‘L ungo verde degli ortolani’, ‘L ongo da China’, ‘Marketmore’, ‘Tortarello abruzzese’, e tra quelli tondeggianti ‘Carosello medio pugliese’, ‘Carosello tondo Manduria’. Tra gli ibridi si segnalano il cetriolino ‘Potomac Hy F1’ e ‘New Pioneer F1’ resistente alle malattie crittogamiche, i precoci ‘Saladin F1’, ‘Sweet Crunch F1’, ‘Swing F1’ e ‘Viridis F1’. Terreno: fresco e ben concimato; utile una concimazione fosfatica con farina d’ossa. Annaffiare regolarmente durante la produzione senza bagnare le foglie; teme la siccità ma anche i ristagni d’acqua. Semina e piantagione: in ambiente riscaldato si semina da febbraio a marzo e a dimora da aprile a giugno, in buchette con 3-4 semi. Lasciare una o due piantine a buchetta. DistanZe: tra le file 90-100 cm, lungo le file 40-50 cm. ConsociaZioni: lattuga, cavoli, fagioli, fagiolini nani e piselli. ColtivaZione e raccolta: tenere il terreno ben arieggiato ed eventualmente mettere una pacciamatura per trattenere l’umidità. Le piante vanno fatte arrampicare su reti, graticci, sostegni e recinzioni per evitare che i frutti siano a contatto con la terra. Prestare molta attenzione alle giovani piante che possono essere divorate dalle limacce.

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Schede di coltivaZione Consumo: si consumano crudi in insalata o con lo yogurt e aglio, quelli piccoli si mettono sott’aceto e in salamoia. Avversità principali: tra gli animali limacce, larve di maggiolino e nottue, e tra le crittogame ticchiolatura, tracheomicosi, peronospora.

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Cicoria

Cichorium intibus. Asteracee

DescriZione: piante biennali di cui si consumano le foglie nel primo anno. L e cicorie coltivate sono molto numerose. Per semplicità vengono qui divise in due categorie: quelle da taglio e le cicorie e radicchi rossi. Originarie di Europa e Africa settentrionale.

Cicoria da taglio Varietà: le più diffuse negli orti sono ‘Spadona da taglio’ e ‘Biondissima’ o ‘Zuccherina di Trieste’. Terreno: fertile e fresco. Semina e piantagione: a dimora in file o a spaglio da febbraio a settembre, secondo il clima; le piantine vanno diradate quando sono alte 4 o 5 cm. DistanZe: tra le file 15-20 cm. ConsociaZioni: finocchi, pomodori e sedano. ColtivaZione e raccolta: facili da coltivare, ricrescono velocemente dopo il taglio. Vogliono un’annaffiatura dopo ogni raccolta e quando il clima è molto siccitoso, senza esagerare per non favorire muffe e marciumi. Si tagliano quando le foglie sono ancora tenere e alte dai 10 ai 20 cm. Se troppo cresciuta, ‘Spadona’ ha una costa poco tenera. Consumo: in insalata, tagliate finemente. Le fogliette della varietà di Trieste si consumano appena nate, quando sono alte pochi centimetri. Avversità principali: lumache e limacce e, tra le malattie fungine, peronospora, marciume del colletto, muffa grigia.

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Schede di coltivaZione

Cicoria e radicchio rosso Varietà: tra le varietà da orto più interessanti la precocissima ‘Palla Rossa 3’, ‘Rossa di Verona’, ‘Rossa di Treviso’, ‘Orchidea rossa’, ‘Variegata di Castelfranco’, ‘Radicchio di Treviso’, ‘Variegata di Lusia’, ‘Rossa di Chioggia’, ‘Chioggia a Palla bianca’. Tra gli ibridi si segnala ‘Chioggia Presto F1’ precoce, che non monta a seme e forma una palla compatta anche con clima caldo. Terreno: fresco, fertile e correttamente annaffiato nelle stagioni calde. L a concimazione deve essere ben matura. Zappettare per arieggiare il terreno. Semina e piantagione: in file direttamente nell’orto da aprile a settembre, secondo il clima, in semenzaio da marzo e poi trapianto a dimora. Generalmente non soffrono il freddo e formano una palla piena e gustosa, che secondo le varietà può essere rossa, bianca o screziata. DistanZe: tra le file 25-30 cm, lungo le file 20 cm. ConsociaZioni: sedano, carote, pomodoro e finocchio. ColtivaZione e raccolta: raccolta scalare quando si è formata una palla ben soda. Il ‘Radicchio di Treviso’ ha cespi allungati: per ottenere i classici cespi della trevisana si recidono le foglie sopra il colletto, si estirpano le radici che si pongono a germogliare in un terriccio molto umido di torba e letame maturo, coperte di sabbia e foglie secche o paglia; dopo circa un mese si ottengono le nuove foglie. Per imbianchire e rendere croccanti le foglie della ‘Variegata di Treviso’ si coprono i cespi con paglia conservandoli in serra fredda o in cantina. Consumo: cruda in insalata o in pinzimonio, ma anche cotta alla piastra, al forno, nei risotti, in salsa, in agrodolce e sott’olio, secondo le varietà. Avversità principali: lumache e limacce e, tra le malattie fungine, peronospora, marciume del colletto, muffa grigia.

Cicoria da cespo Varietà: sono molto numerose e comprendono anche le cicorie catalogne, ‘Catalogna Puntarelle di Galatina’, ‘Pugliese’ , ‘Spigata’, a foglia larga e la varietà ibrida ‘Clio F1’, mediotardiva. Tra le cicorie da cespo la prima è la perenne ‘Selvatica da campo’, seguono ‘Pan di Zucchero’, ‘Dolce Bianca a cuore pieno di Ingegnoli’, ‘Ceriolo’ o ‘Grumolo verde’, che

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L'orto e l 'anima raggiungono dimensioni fino a 30-40 cm di altezza; le cicorie da radice sono ‘Soncino’ e ‘di Bruxelles’. Terreno: fresco e fertile, ben concimato con letame maturo, fino a una profondità di circa 30 cm. Semina e piantagione: a dimora da marzo a settembre, secondo la varietà e il clima. L e varietà a rosetta si seminano a spaglio a fine estate, a ottobre si tagliano le foglie allungate che ricresceranno a rosetta in primavera. La varietà da radice ‘Soncino’ si semina in maggioluglio, mentre quella ‘di Bruxelles’ da aprile a giugno. DistanZe: tra le file 35-40 cm, lungo le file 25-30 cm. ConsociaZioni: porri, pomodori, sedano, piselli, fagioli e rampicanti. ColtivaZione e raccolta: le cicorie da radice si estirpano in ottobre, scalarmente, iniziando dalle più sviluppate; si tagliano un terzo della radice e le foglie a un paio di centimetri sopra il colletto, si ripiantano a pochi centimetri tra di loro in un luogo soleggiato ricoprendole con 20 cm di terriccio o torba e con paglia o telo di plastica. L e foglie rinasceranno dopo 3 o 4 settimane. In inverno l’operazione si esegue in cantine o luoghi riparati. Consumo: si mangia cruda in insalata, a spicchi saltata in padella, lessata o in altre preparazioni. Avversità principali: lumache e limacce, tra le malattie fungine peronospora, marciume del colletto, muffa grigia.

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Schede di coltivaZione

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I miei appunti


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