L'astronauta caduto

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L’astronauta caduto

10.03 — 10.05.2016

Galleria A plus A Venezia

A cura di Valentina Lacinio


L'astronauta caduto caduto èè ilil titolo titolo della della L'astronauta mostracurata curatada daValentina ValentinaLacinio Laciniopresso presso mostra glispazi spazidella dellaGalleria GalleriaAAPlus PlusA. A. gli In mostra mostra opere opere di: di: In AldoAliprandi, Aliprandi,Giorgio GiorgioAndreotta AndreottaCalò, Calò, Aldo FrancescoArena, Arena,Thomas ThomasBraida, Braida, Francesco StephenKaltenbach, Kaltenbach,Rä RädidiMartino, Martino, Stephen AntonioFiorentino, Fiorentino,Margherita MargheritaRaso, Raso, Antonio FabioRoncato, Roncato,Alice AliceRonchi. Ronchi. Fabio

A Plus A Gallery San Marco 3073, Venice info@aplusa.it


Nobody is immune from the problem of preservation of memory and knowledge. This is a millennial obsession that has lasted through the centuries and has influenced even art and its representatives. This is the reason why the story of the fallen astronaut is unique as unique is the peculiar will by which this little statue was dropped on the moon as long as it represents the first actual monument “erected” on it, and the first sculptural form of communication and declaration of existence of our civilization in an extraterrestrial environment. The meaning of “fallen” is here understood as a symbol of what we rediscover by falling, as if the perfect form for being “astronauts” were precisely to “fall”, because it is from this position that we can contemplate the stars. Therefore this is the reason for the “fallen astronaut”, a small sculpture, 8.5 cm tall, representing the stylized figure of an astronaut in a space suit. A small operation that is lost in the immense lunar desert. This miniature was created by the Belgian artist Paul Van Hoeydonck, commissioned by the astronaut David Scott, in order to commemorate those who had died over

the years in the name of the progress of space exploration. It was shaped in aluminium, a material which is light but tough, and especially resistant to strong lunar changes of temperature, which would risk to distort it. The small sculpture went into orbit in 1971 on the Apollo 15 mission and was left on the moon on August 2, 1971. This was the moment when for the first time the only artefact of an artistic kind was ever left by man on the natural satellite. Two years before the space mission, the artist Stephen Kaltenbach, during the famous show When Attitude Becomes Form (1969) wrote two letters to NASA Headquarters in Washington, D.C. The first on 2 April 1969 in which he announced his desire to create “a cast of the left boot of Neil Armstrong”, the second in October of the same year in which he suggested the use of orbiting spacecraft as storage for information which goes beyond time and terrestrial space. The letters remained unanswered and the work dedicated to Armstrong unfinished. Kaltenbach’s intuitions related to the conservation of human knowledge are aligned with a number of previous attempts.


First of all, The Crypt of Civilization in Atlanta (1936), Georgia, is considered and officially recorded by the Guinness World Records as the first time capsule ever made and meant to be opened in a specific date in the future: May 28 8113. This capsule represents a real monument, for its size and for its aim: the sealed chamber of a stainless steel door is closed and it contains 800 significant books on various important topics for mankind together with 200 novels. The meaning of the word monument still remains related to its first etymological significance and today it covers a series of meanings in many areas; from the Latin “monere” - remember, which means potentially to preserve something. In fact the concepts of “monument” and of “memory preservation”, is charged with a concentration of meanings. The exhibition The fallen astronaut aims to create a three-dimensional configuration in order to challenge the crystallization of knowledge over time, and the anxious rush towards immortality. The exhibition, starts from the evocation of a historical event and it develops from Stephen Kaltenbach’s visionary projects to

the contemporaneity of the chosen artists. The works are connected by the same conceptual and alchemical references in order that they can become the spokesman of their time tremors, charged by the human impulse of imaginative projection into the distant future that will culminate with the burial of a particular capsule dedicated to this same reflection.


Abstract


Il problema della conservazione della memoria e del sapere è un'ossessione millenaria che si protrae nei secoli e di cui l'arte e i suoi rappresentanti non sono immuni. Per la sua unicità e nella peculiare volontà per cui è stato creato L'astronauta caduto rappresenta il primo effettivo monumento "eretto" sul suolo lunare, nonché la prima forma scultorea di comunicazione e dichiarazione di esistenza della nostra civiltà in ambito extraterrestre. La sua accezione di “caduto” viene qui riletta come emblema di ciò che cadendo si riscopre tale, come se la forma perfetta per poter essere astronauti sia appunto cadere, poiché è proprio da questa posizione che si possono contemplare le stelle. Da qui il motivo del fallen astronaut, una piccola scultura alta 8,5 centimetri che rappresenta la figura stilizzata di un astronauta in tuta spaziale. Un piccolo intervento che si perde nell’immenso deserto lunare. Questa miniatura fu realizzata dal belga Paul Van Hoeydonck su commissione dell'astronauta David Scott per commemorare coloro che erano deceduti negli anni in nome del progresso dell'esplorazione spaziale.

Per plasmarla fu scelto l'alluminio, come materiale leggero, robusto, e soprattutto resistente alle forti escursioni termiche lunari che avrebbero rischiato di deformarla. La piccola scultura salì in orbita nel 1971 nella missione dell'Apollo 15 e depositata sul suolo lunare il 2 agosto dell'anno medesimo. Ad oggi è l'unico manufatto di tipo artistico mai lasciato dall'uomo sul satellite naturale. Due anni prima della missione spaziale l'artista Stephen Kaltenbach nell'anno di When Attitude Becomes Form (1969) scrive al NASA Headquarter di Washington D.C. due lettere, la prima il 2 aprile 1969 in cui annuncia la volontà di realizzare “un calco dello stivale sinistro di Neil Armstrong”, la seconda ad ottobre dello stesso anno in cui suggerisce l'utilizzo dei veicoli spaziali in orbita come mezzo di archiviazione di informazioni oltre il tempo e lo spazio terrestri. Le lettere rimarranno senza risposta e l'opera dedicata ad Amstrong incompiuta. Le intuizioni di Kaltenbach relative alla conservazione del sapere umano si allineano con una serie di tentativi pregressi. Primo tra tutti La Cripta della Civiltà ad Atlanta (1936), Georgia, considerata e registrata


ufficialmente dal Guinness dei Primati come la prima capsula del tempo mai realizzata e destinata ad essere aperta in una data precisa nel futuro: 28 maggio 8113. Essa rappresenta un vero e proprio monumento per le sue dimensioni e per la portata: la camera sigillata da una porta in acciaio inossidabile è chiusa ermeticamente e contiene 800 libri significativi su ogni argomento fondamentale per il genere umano e 200 romanzi. Il concetto di monumento pur mantenendosi adeso alla sua prima accezione etimologica ricopre ad oggi un panorama di declinazioni in molteplici ambiti; dal latino “monere”, ricordare, dunque potenzialmente trattenere nel tempo qualsiasi cosa. Forte dunque della carica e della densità di senso che accompagna i concetti di “monumento” e di “conservazione della memoria”, la mostra L'astronauta caduto si propone di dare una configurazione tridimensionale alla sfida della cristallizzazione del sapere nel tempo, alla corsa affannata all'immortalità. Il percorso della mostra, a partire dalla rievocazione di un evento storico epocale,

si articola attraverso i progetti visionari di Stephen Kaltenbach per poi addentrarsi nella contemporaneità degli artisti selezionati. Accomunate dal medesimo anelito, tramite riferimenti sia concettuali che alchemici, le opere si fanno portavoce dei tremori del proprio tempo, caricandosi di uno slancio tutto umano di proiezione immaginifica verso il futuro più remoto che culminerà con la sepoltura di una particolare capsula dedicata a questa stessa riflessione.


L’astronauta caduto Valentina Lacinio


L’astronauta caduto

Valentina Lacinio

Le Muse siedono custodi dei sepolcri, e quando il tempo con le sue fredde ali vi distrugge perfino le rovine, allietano i deserti con il loro canto, e l’armonia supera il silenzio di mille secoli. (Foscolo 1987:151) Il problema della conservazione della memoria e del sapere è un’ossessione millenaria che si protrae nei secoli e di cui l’arte e i suoi rappresentanti non sono immuni. Per la sua unicità e nella peculiare volontà per cui è stato creato L’astronauta caduto rappresenta il primo effettivo monumento “eretto” sul suolo lunare, nonché la prima forma scultorea di comunicazione e dichiarazione di esistenza della nostra civiltà in ambito extraterrestre. La sua accezione di “caduto” viene qui riletta come emblema di ciò che cadendo si riscopre tale, come se la forma perfetta per poter essere “astronauti” sia appunto “cadere”, poiché è proprio da questa posizione che si possono contemplare le stelle. Da qui il motivo del “fallen astronaut”, una piccola scultura alta 8,5 centimetri che rappresenta la figura stilizzata di un astronauta in tuta spaziale. Un piccolo intervento che si perde nell’immenso deserto lunare. Questa miniatura fu realizzata dal belga Paul Van Hoeydonck su commissione dell’astronauta David Scott per commemorare coloro che erano deceduti negli anni in nome del progresso dell’esplorazione spaziale. Per plasmarla fu scelto l’alluminio, come materiale leggero, robusto, e soprattutto resistente alle forti escursioni termiche lunari che avrebbero rischiato di deformarla. La piccola scultura salì in orbita nel 1971 nella missione dell’Apollo 15 e depositata sul suolo lunare il 2 agosto dell’anno

medesimo. Ad oggi è l’unico manufatto di tipo artistico mai lasciato dall’uomo sul satellite naturale. E qui oggi, l’astronauta caduto dà il titolo a questa mostra. Due anni prima della missione spaziale l’artista Stephen Kaltenbach nell’anno di When Attitude Becomes Form (1969) scrive al NASA Headquarter di Washington D.C. due lettere, la prima il 2 aprile 1969 in cui annuncia la volontà di realizzare “un calco dello stivale sinistro di Neil Armstrong”, la seconda ad ottobre dello stesso anno in cui suggerisce l’utilizzo dei veicoli spaziali in orbita come mezzo di archiviazione di informazioni oltre il tempo e lo spazio terrestri. Le lettere rimarranno senza risposta e l’opera dedicata ad Amstrong incompiuta. Ma le intuizioni di Kaltenbach relative alla conservazione del sapere umano, di cui la capsula del tempo CONTAGION: open on Mars (1970) è un prezioso esempio, si allineano con una serie di tentativi pregressi. Primo tra tutti La Cripta della Civiltà ad Atlanta (1936), Georgia, considerata e registrata ufficialmente dal Guinness dei Primati come la prima “capsula del tempo” mai realizzata e destinata ad essere aperta in una data precisa nel futuro: 28 maggio 8113. Essa rappresenta un vero e proprio monumento per le sue dimensioni e per la portata: la camera sigillata da una porta in acciaio inossidabile è chiusa ermeticamente e contiene 800 libri significativi su ogni argomento fondamentale per il genere umano e 200 romanzi. Il concetto di monumento pur mantenendosi adeso alla sua prima accezione etimologica ricopre ad oggi un panorama di declinazioni in molteplici ambiti; dal latino “monere”, ricordare, dunque potenzialmente trattenere nel tempo qualsiasi cosa. Forte dunque della carica e della densità di senso che accompagna i concetti di “monumento” e di “conservazione della memoria”, la mostra L’astronauta caduto si propone di dare una configurazione tridimensionale alla sfida della cristallizzazione del sapere nel tempo, alla corsa affannata all’immortalità.


L’astronauta caduto

Valentina Lacinio

Il percorso della mostra, a partire dalla rievocazione di un evento storico epocale, si articola attraverso i progetti visionari di Stephen Kaltenbach per poi addentrarsi nella contemporaneità degli artisti selezionati. Dall’opera effimera μοvᾴς (2016) di Aldo Aliprandi, che dà voce allo spirito del mare, dove la vita di un tronco giunto a riva diviene il corpo d’azione dell’artista, di cui in sala rimane una parziale testimonianza della performance di apertura. Così come Dal tramonto all’alba (2006), frammento fotografico in memoria dell’intervento luminoso realizzato da Giorgio Andreotta Calò nella Torre del Parlamento Bosniaco a Sarajevo, dove un fascio di luce rossa si dipana appunto “dal tramonto all’alba” dall’ultimo piano del palazzo. Come a rievocare già delle memorie aliene, la seta unica Untitled (2014) di Margherita Raso, risultato di una complessa lavorazione dove il colore acrilico viene catturato dal tessuto in una trama arborescente che rievoca le geometrie esplose della Via Lattea. La fucilazione marziana Porzûs (2012) di Thomas Braida, anticipata da Science fiction is dancing in your hands (2015) riferimento ironico ad una fantascienza a misura di popolo; e la “creatura” sotto teca di Antonio Fiorentino, Dominium melancholiae (2014), una vegetazione chimica che si crea con l’immersione di zinco in acqua distillata e acetato di piombo, fino a comporre un paesaggio lunare in continua evoluzione. Antitesi di queste mutazioni le “copie recenti di paesaggi antichi ” di Rä di Martino nel video Petite Histoire des Plateaux abandonnée (2012), dove nel deserto del Marocco, da sempre stato considerato ideale location cinematografica sono conservate come “antiche rovine” scenografie di noti film. Le macerie custodite dalla sabbia costituiscono per i posteri un falso storico difficilmente criptabile. Così come misteriosa rimane la Piastra 14 metri e 57 (2014)

di Francesco Arena, manufatto di bronzo a metà tra una polverosa Stele di Rosetta e un cybernetico codice micro-chip. Il desiderio di sottrarre gli elementi del mondo dagli artigli del tempo porta Alice Ronchi a donare a due pietre orfane delle gambe, per potersi spostare: in questa antropomorfizzazione salvifica esse acquistano un’identintà propria, sono ora Lucy & John della serie Kilimanjaro (2014). Accomunate dal medesimo anelito, tramite riferimenti sia concettuali che alchemici, le opere si fanno portavoce dei tremori del proprio tempo, caricandosi di uno slancio tutto umano di proiezione immaginifica verso il futuro più remoto che culminerà con la sepoltura di una particolare capsula dedicata a questa stessa riflessione: L’arrivo del sonno (2016) di Fabio Roncato, una preziosa crisalide organica con un cuore di ferro all’interno del quale saranno inserite le lastre di zinco che custodiranno incisi i contenuti di questa stessa mostra.


Posologia di una possibile caduta Leonardo Mastromauro


Posologia di una possibile caduta

Leonardo Mastromauro

Io non so uscire, né entrare; io sono tutto ciò che non sa uscire nè entrare. (F. Nietzsche, L’Anticristo, in Opere 1882-1895)

1. L’ “astronauta caduto”: metaforicamente un ossimoro. La figura dell’astronauta è rappresentativa della mitologia del viaggio, un viaggio quasi impossibile fino a qualche decennio fa ma che ha segnato una tappa di rilevante importanza nel percorso antropogenetico dell’uomo: la conquista del suolo lunare e dei primi studi sullo spazio. Qui, in questo luogo antropologico e filosofico, è necessario comprendere ciò che soggiace in questa dialettica apparentemente dicotomica astronauta-caduto (ascensionediscensione) che può incontrare il suo diretto evento primogenito nella Caduta dell’uomo narrato nella Genesi: «[...] Hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?” E l’uomo proseguì, dicendo: “La donna che desti perché fosse con me, essa mi ha dato [del frutto] dell’albero e così ho mangiato”. Allora Geova Dio disse alla donna: “Che cos’è questo che hai fatto?” A ciò la donna rispose: “Il serpente, esso mi ha ingannata e così ho mangiato”. [...] Allora Geova Dio lo mandò fuori del giardino di Eden, perché coltivasse il suolo dal quale era stato tratto. E così cacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiammeggiante lama di una spada che roteava continuamente per custodire la via dell’albero della vita» (Gen. 3, 1-24). Il passo, che potrebbe essere considerato il diretto predecessore genealogico delle moderne teorie della

«caduta», «del viaggio» o semplicemente l’inizio della storia, canonicamente intesa, dimostra come l’azione di Eva, metonimica rispetto a quella dell’uomo, rappresenti il tentativo di non accettare qualcosa come definitiva o come un «già-dato»; non accettare il «paradiso» a priori significa costruire un sistema di forze telluriche che abbia quello come punto di arrivo e non di partenza. In questo avvenimento, in cui l’errore genera la caduta e la caduta realizza il grande viaggio, due possono considerarsi le principali letture: la prima consiste nella ricerca della felicità che come ricorda Aristotele è il fine ultimo dell’uomo, la seconda è rappresentata dal viaggio stesso, il processo di serendipity attraverso cui giungervi. Per quanto riguarda la prima questione, parafrasando l’organigramma ricostruito da G. Agamben ne Il Regno e la Gloria. Per quanto riguarda la seconda questione, non sorprende che lo stesso Sant’Agostino nel De civitate dei, primo trattato che discute la relazione tra cristianesimo e società, indaghi l’uomo in termini antropologicamente negativi, un uomo cioè condannato a subire la vita e a sperare in una felicità post-giudiziale, una felicità cioè raggiungibile solo nel Regno dei cieli. Per giungere alla salvezza, per guadagnarsi la beatitudine del “regno di lassù”, l’uomo deve avere un comportamento virtuoso e di fede in Terra. L’asse G. Agamben-Sant’Agostino esprime appieno ed in modo appropriato la tensione insita alla «caduta»: affinché qualcosa avvenga, affinché vi sia l’«evento ontologico» è necessario che qualcosa cada o si lasci cadere. La caduta diviene qui la massima espressione dell’altezza. Se i due concetti si relazionano come uno protesi dell’altro, come due forme imprescindibilmente legate attraverso cui uno non può vivere senza l’altro, anzi, uno è il prolungamento dell’altro, allora la figura celata dietro l’ossimoro dell’«astronauta caduto» non è un semplice calembour, ma diverrà l’emblema o il sigillo di ciò che cadendo si riscopre tale, si riscopre «astronauta». E allora qui, in questo bordo di tensione antropologica, l’uomo può giocare il suo


Posologia di una possibile caduta

Leonardo Mastromauro

destino: ricercare la caduta significherà essere un astronauta, anzi, per chiosare, la forma perfetta per poter essere «astronauti» è «cadere». Questa particolare forma di «cadere» rappresentata dall’astronauta, mette in moto un processo che ci porta a riconsiderare il senso della conservazione della memoria. Il «fallen astronaut», primo manufatto e monumento che incontra il suolo lunare con la missione dell’Apollo 15 del 1971, rappresenta la dinamica interna ai processi di conservazione culturale offrendo l’opportunità di riflettere sul senso di «monumento» e sul carattere celebrativo ad esso aerente. Come si costituiscono le metodologie contemporanee di salvaguardia della memoria? Siamo davvero certi che, com’è noto, la memoria necessiti di oggetti o liturgie attraverso cui esplicarsi? Siamo certi che l’impossibilità di restauro di gran parte delle opere d’arte contemporanea, a differenza della nota tradizione inaugurata con Cesare Brandi, non celi un luogo più strettamente legato alla nostra stessa quotidianità? L’esposizione L’astronauta caduto memore delle problematiche relative alle politiche contemporanee di salvaguardia della memoria e del sapere, cerca di tessere attraverso le opere degli artisti invitati una costellazione concettuale che indaga il crinale antropologico dell’uomo contemporaneo, dove la caduta non può che assumere la forma di quel Bird in space di C. Brâncui tanto proteso verso l’alto quanto consapevole del proprio piedistallo. «Poggiare il piede sulla superficie lunare, toccare le sue pietre, assaporare il panico e lo splendore dell’evento, sentire in fondo allo stomaco la separazione dalla terra, queste costituiscono le sensazioni più romantiche che un esploratore possa mai conoscere. Questa è la sola cosa che posso dire a riguardo. I risvolti pratici non mi interessano» (Nabokov).


Hannah Arendt e lo spazio: l’importanza di raccontare un paesaggio. Caterina Molteni


Hannah Arendt e lo spazio: l’importanza di raccontare un paesaggio.

Caterina Molteni

Hannah Arendt è conosciuta al grande pubblico per aver coniato diversi termini del pensiero politico morale, in particolare due concetti fondamentali come ‘totalitarismo’ e ‘banalità del male’. La pensatrice tedesca si è occupata per tutta la sua vita dei così detti ‘affari umani’, quella sfera politica in cui l’uomo appare, si confronta attraverso il dialogo e dove ha la possibilità di agire modificando la linearità storica. Per Arendt ciò che contraddistingue l’uomo non è tanto il pensiero razionale, baluardo della tradizione illuminista, ma l’azione, un’intrinseca capacità di immettere qualcosa di nuovo all’interno della realtà. Proprio la natalità, non intesa come semplice possibilità di generare propri simili, diventa la condizione umana in grado di portare in una superficie ‘plurale’ la profonda unicità di ogni singolo. Il discorso e l’azione sono infatti le due attività attraverso cui si costruisce una spazio di apparenza, il primo gradino dell’arena politica. Qui si dà forma al potere, un’energia in potenza che si smuove quando una pluralità decide di agire insieme. Arendt non immaginava la sfera politica come un luogo astratto. Il politico si costruiva dalla presenza fitta di discorsi, gesti e fatti accaduti nel mondo, uno spazio concreto e l’habitat naturale dell’uomo. Con Arendt viene ripreso e torna in auge il concetto di amor mundi, coniato da Sant’Agostino per definire una particolare cura del mondo e della comunità umana. Tale sentimento esprime il nesso problematico fra il sé e il mondo che viene trattato da Arendt come una condivisione del mondo con gli altri, che cambia la realtà e produce libertà. Il mondo diventa la condizione per la libertà dell’uomo e perciò un luogo non intercambiabile. In Vita Activa,testo principale per comprendere la sua posizione filosofica, Arendt racconta di un fatto che profondamente la colpì, tanto da dedicarne l’intero prologo.

Nel 1957 il primo oggetto fabbricato dall’uomo viene lanciato nell’universo “… per qualche giorno girò intorno alla terra seguendo le stesse leggi di gravitazione che determinano il movimento dei corpi celesti – del sole, della luna e delle stelle.”1 L’illusione di stare al fianco ad un tempo che sembra eterno, entrò nell’uomo generando differenti reazioni. Apparse nell’opinione pubblica l’orgoglio per i successi scientifici così come emerse uno strano senso di liberazione. È proprio da questo strano senso di sollievo che Arendt e’ spaventata. Perche desiderare di fuggire dal proprio mondo? Perchè considerarlo ‘prigione terrestre’? È qui che ci ha portato il progresso scientifico? Diversamente che liberare, il progresso moderno conduce l’uomo verso una strada di dimenticanza della propria condizione non solo politica ma naturale. Mai come in queste pagine Arendt parla del mondo naturale, quel paesaggio che circonda l’uomo condizionandone costantemente i caratteri e comportamenti specifici, che delinea e forma una postura, quasi educandolo ad un certo sguardo che appartiene ad un certo spazio. Se da una parte il progresso scientifico americano del dopo guerra rappresenta per Arendt una serie di processi di ‘artificializzazione’ della vita umana, dall’altra ciò che emerge è il pericolo di una mancanza di comunicabilità fra le nuove forme di know-how (propriamente competenza tecnica specifica) e il pensiero. “ Ma può darsi che noi, che siamo creature legate alla terra e abbiamo cominciato a comportarci come se l’universo fosse la nostra dimora, non riusciremo mai a comprendere, cioè a pensare e a esprimere, le cose che pure siamo capaci a fare. Sarebbe come se il nostro cervello, che costituisce la condizione fisica, materiale dei nostri pensieri, fosse incapace di seguirci in ciò che facciamo […]”2.

1 – Hannah Arendt, Vita Activa, p. 1 , Tascabili Bompiani Milano, 2009 2 Ibidem, p. 3


Arendt parlava con paura difendendo il mondo e la possibilità di raccontarlo, ma considerava la poesia e gli artefatti umani un modo di costruire un linguaggio di interpretazione e di umanizzare il mondo attraverso l’installazione di nuovi oggetti. Così accadde quando la prima opera d’arte salì sulla luna, come a rivendicare un sentimento umano che non bada al puro conoscere tecnico ma cerca di ricostruire il suo mondo anche su un altro satellite. In questa differenza di azione sta la peculiarità umana di costruire un paesaggio, modificando anche ciò di più lontano in un fatto, ora narrabile e trasmissibile.


Opere in mostra


Antonio Fiorentino

Dominium Melancholiae 2014 vetro, zinco, acetato di piombo, acqua 150x50x50cm Courtesy l’Artista


Margherita Raso

Untitled jacquard fabric (seta) 140x600cm Courtesy l’Artista


Fabio Roncato

L’arrivo del sonno 2016 ferro, ossa, cascami, crisalidi 90x55x35cm Courtesy l’Artista


Aldo Aliprandi

μοvᾴς legno, acciaio, plexiglass e alluminio 2016 video-installazione 150x35cm, 300x20Øcm Courtesy l’Artista




Stephen Kaltenbach

CONTAGION: Open on Mars 1970 acciaio 13,97x13,97x32,38cm Courtesy l’Artista & another year in LA, Los Angeles


Giorgio Andreotta Calò

Dal tramonto all’alba 2006 stampa cibachrome su alluminio Courtesy l’Artista & Galleria ZERO..., Milano


Thomas Braida

Science fiction is dancing in your hands 2015 olio su tela 20x25cm PorzÝs 2012 legno, pittura, soldatini 40x40x30cm Courtesy l’Artista & Galleria Monitor, Roma


Rä Di Martino

Petite histoire des plateaux abbandonè 2012 video hd Courtesy l’Artista 8’20”





Alice Ronchi

Lucy (Kilimanjaro) 2014 pietra, metallo 52x15x12cm John (Kilimanjaro) 2014 pietra, metallo 46x30x20cm Courtesy l’Artista & Galleria Francesca Minini, Milano


Francesco Arena

Piastra 14 metri e 57 2014 bronzo 25x25x1cm Courtesy l’Artista & Galleria Raffaella Cortese, Milano




L’arrivo del sonno: sepoltura della capsula del tempo

14–05–2016 3.30 pm 45°25'52.5"N 12°19'31.9"E






Graphic design: Lucia Del Zotto Traduzioni: Marisa Spagnuolo Photos: ROSSPEC Special thanks to: Getty Research Institute, Los Angeles another year in LA, Gallery, Los Angeles Galleria ZERO..., Milano Galleria Raffaella Cortese, Milano Galleria Francesca Minini, Milano Monitor Gallery, Roma


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