Urban #126

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Intervista di Francesco Mascolo

Londra. Dopo quel capolavoro di Once I Was an Eagle, Laura Marling si è presa una bella pausa, una crisi esistenziale in incognito a zonzo per gli States alla ricerca di nuovi stimoli. Il risultato è Short Movie, quinto album autoprodotto che espande la sua matura concezione folk: il senso di un lungo viaggio con i suoi suggestivi scenari di quiete; sullo sfondo sfide e paure delle metropoli. La giovane cantautrice inglese ci racconta la sua avventura: tra animali totemici, Los Angeles, la natura selvaggia e le suggestioni di Jodorowsky.

Ma nel disco c’è qualcosa che riporta alle memorie di Los Angeles? Quali sono i luoghi che ti hanno più ispirata?

Ti abbiamo lasciata nei panni di un’aquila, che animale è oggi Laura Marling?

Credo di voler tenere l’aquila! Se vogliamo rimanere in tema totemico, il cavallo sembra ritornare spesso in questo Short Movie, a partire dall’iniziale Warrior - «I’m just a horse with no name» - fino al singolo animato nel videoclip della title track diretto da Art & Graft...

La corrispondenza animale è sempre stata molto evidente nel mio percorso artistico, vi sono molto legata. Il cavallo è una creatura affascinante, mistica e indomabile e rappresenta bene la mia esperienza degli ultimi anni.

Short Movie: il ritorno di Laura Marling, la sacerdotessa del folk desertico on the road

Esperienza che ti ha portato a lasciarti tutto alle spalle e partire per una nuova avventura. Qual è il vero significato di Short Movie?

È un titolo che rispecchia il periodo trascorso negli States: il buttarsi in una nuova avventura, instaurare rapporti da zero con persone differenti. Sapevo di vivere un piccola parentesi della mia vita, di dover tornare... quel tempo è arrivato, e oggi a Londra mi sento in realtà quella di prima.

talento indomabile

A dire il vero Los Angeles in sé non è stata particolarmente ispiratrice. Voglio dire, è una città bellissima, ho incontrato delle persone straordinarie, ma la cosa che più mi ha affascinato è stata la sua vicinanza al selvaggio: foreste e deserti, montagne e poi il mare. Ecco, se devo essere sincera la maggiore ispirazione è stata il sentirmi aliena in quella città. I singoli Short Movie e False Hope hanno anticipato alcune sonorità elettriche che fanno incursione nel tuo nuovo disco, da dove arriva questa spinta inedita?

Credo di aver abbracciato tutte le sfumature possibili con la mia chitarra acustica. Al momento mi trovo più a mio agio con sonorità elettriche: è così che ho sentito i nuovi pezzi, un pretesto anche per movimentare un po’ le cose, smuoverle dalla noia. Certo, le vecchie sonorità non sono state abbandonate, convivono intonate su questo nuovo umore. Tra i brani che mi hanno colpito spicca Gurdjieff’s Daughters, ti va di parlarne?

Quel brano ha preso vita dalla lettura della biografia di Alejandro Jodorowsky, che in realtà mi ha accompagnato per tutto quel periodo, e in particolare dal racconto del suo bizzarro incontro con la figlia del metafisico Gurdjieff. E infine, a proposito dell’acquerello di copertina: cosa raffigura?

È un semplice schizzo che ho fatto al Parco nazionale del Joshua Tree. A riguardarlo oggi mi fa sorridere, lo trovo un po’ infantile! Mi piace però, penso rifletta molto come mi sentivo a Los Angeles: come una bambina. Eh sì, perché Laura Marling oggi è una donna - ‘I’m a woman now, can you believe?’ - non più una ragazza con la chitarra, e Short Movie ne è l’ennesima dimostrazione.


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