L'immigrazione nei libri per ragazzi

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A pprofondimenti

Edizioni Erickson © 2013

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L’immigrazione nei libri per ragazzi di Lorenzo Luatti –lorenzo.luatti@oxfamitalia.org

Più di 20 anni fa le migrazioni verso l’Italia iniziarono a fare la loro comparsa nella narrativa italiana per ragazzi. Da allora sono usciti oltre 200 libri, tra romanzi, albi illustrati, edizioni per la scuola, che raccontano l’esperienza migratoria e la vita nel nuovo Paese nelle sue molteplici fasi e sfaccettature (il viaggio, l’inserimento scolastico, la vita nei quartieri multietnici, le seconde generazioni, le famiglie miste, ecc.). Dopo un esame attento delle scritture «pioneristiche» sul tema, il contributo cerca di far emergere le diverse rappresentazioni dell’immigrazione presenti nei più recenti romanzi e racconti per ragazzi, allo scopo di individuare sia i codici espressivi con cui queste immagini sono rese, sia di evidenziare quali idee sono veicolate più o meno esplicitamente dai libri esaminati.

IL RACCONTO DELLA MIGRAZIONE PRIMA DELL’IMMIGRAZIONE Il racconto della migrazione di uomini, donne e bambini non è una novità assoluta nella letteratura italiana per l’infanzia e l’adolescenza. Le emigrazioni degli italiani verso le Americhe e l’Europa, e poi le migrazioni interne degli anni ’60 e ’70 del se- colo scorso, dal Sud al Nord della penisola, hanno avuto un loro Educazione interculturale Vol. 11, n. 1, gennaio 2013 (pp. 7-#)

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spazio nella narrativa per ragazzi. Uno spazio piuttosto marginale, per la verità, limitato a pochi titoli, alcuni dei quali tuttavia hanno avuto una certa notorietà (e una buona diffusione) nelle scuole e tra i ragazzi nel corso degli anni ’70: in una fase di sviluppo e diffusione dell’editoria e della critica della letteratura giovanile, a onor del vero, assai diversa da quella che prende avvio nella decade degli anni ’80, e che porterà a un profondo rinnovamento e a un nuovo modo di guardare alla letteratura per l’infanzia e alla sua storia (Boero e De Luca, 1995; Blezza Picherle, 2004; Beseghi e Grilli, 2011). Pochi gli autori che hanno raccontato l’epopea dell’emigrazione italiana ai ragazzi, e pochi i titoli usciti, in genere passati inosservati o dimenticati anche dagli studiosi della letteratura sull’emigrazione. Un destino condiviso con la letteratura «alta» della tradizione culturale canonica, dove un fenomeno sociale e un tema civile così importanti e protrattosi a lungo nel tempo come l’emigrazione sono stati affrontati, parzialmente o episodicamente, solo da pochi scrittori. Si chiedeva laconicamente, ma con parole ancora oggi valide, il prefatore di I figli del Sud (1973, pp. 5-6), libro-reportage sulle migrazione interne e internazionali degli italiani del giornalista e meridionalista Giovanni Russo: Com’è possibile che milioni di persone vivano il dramma dell’emigrazione interna dai Paesi agricoli del Sud alle periferie industriali del Nord, e i libri per ragazzi non ne parlino? Che milioni di incontri fra compagni di scuola debbano ancora superare l’ostacolo delle differenze di dialetto, di sensibilità, di abitudini e di reddito familiare, e la scuola non abbia strumenti adeguati per spiegarne le ragioni? […] Com’è possibile, infine, non affrontare nella scuola il pericolo di un atteggiamento discriminatorio, se non razzista, quando i ragazzi vedono coi loro occhi una concentrazione di fatto della manodopera meridionale in certi mestieri e in certi quartieri delle città, e nella scuola stessa l’affollarsi dei loro compagni immigrati dal Sud nelle classi differenziali?

Di un secolo e oltre di emigrazione italiana all’estero restano poche tracce nei libri per ragazzi, nei libri che i ragazzi hanno fatto loro anche se in origine erano stati pensati per un lettore adulto, nei libri che gli insegnanti hanno imposto ai loro alunni attraverso la narrativa scolastica, generalmente gonfiati da ingombranti apparati didattici. Anche se, come ho evidenziato altrove, non di solo Cuore (1886) — il noto testo di De Amicis ancora profondamente radicato nell’imma- ginario collettivo — si compone il racconto dell’emigrazione italiana per i giovani lettori (Luatti, 2012). Lo dobbiamo alle odierne migra- zioni verso l’Italia se, soprattutto nell’ultimo decennio, la narrativa 8


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per l’infanzia e l’adolescenza ha riscoperto le «nostre» emigrazioni, recuperando almeno in parte la memoria dei tanti emigranti italiani. A differenza dei giovani lettori di ieri, i ragazzi di oggi dispongono di un panorama assai vasto e composito di metafore e rappresentazioni sulla migrazione e sui suoi molteplici esiti (le tante sfaccettature dei cammini di integrazione). La narrativa per bambini e ragazzi è da tempo attenta a raccontare i profondi mutamenti che ridisegnano il volto demografico e socio-culturale dell’Italia del XXI secolo: dai primissimi anni ’90 del secolo scorso — cioè un quindicennio dopo l’avvio della nota trasformazione dell’Italia da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione, da terra di partenze a terra di arrivi — le migrazioni internazionali iniziano a fare la loro comparsa nella nar- rativa italiana per ragazzi. I primi testi esplicitamente rivolti a un pubblico di giovani lettori che tematizzano l’immigrazione escono tra il 1990 e il 1991, un bienniospartiacque per chiunque intenda avviare un’analisi «Natale con Mohamed» sul fenomeno migratorio in Italia. È in quegli anni che vengono a maturazione alcuni importanti processi legati all’immigrazione, avviatisi nel decennio precedente, di tipo normativo, sociale, educativo, pedagogico e anche letterario.1 Nel 1990, Gianni Cordone, un dirigente scolastico con una grande passione per la scrittura giovanile, pubblica per la casa editrice da lui fondata e diretta, il racconto Natale con Mohamed, una favola urbana e ironica sull’accoglienza, ispirata e scritta bene, che ben esemplifica la fase dell’immigrazione degli albori, durante la quale lo sguardo e gli atteggiamenti verso i migranti — presenze recenti e perturban- ti, ancora poco visibili nelle città — erano pervasi da incoerenze e opposizioni: aperture e chiusure, curiosità e pregiudizio, vicinanza e distanza. Il testo mantiene ancora oggi la sua forza narrativa, affronta temi seri con proprietà e competenza — l’autore in quegli anni era impegnato in attività di volontariato nell’accoglienza dei migranti

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È del 1990 la prima disciplina organica sull’immigrazione (legge Martelli, n. 39/1990), nonché la prima, innovativa, circolare del Ministero della Pubblica Istruzione sull’educazione interculturale (n. 205/1990); in quegli anni prendono avvio le pioneristiche esperienze di mediazione culturale realizzate in alcune grandi città del Nord ad opera dell’associazionismo migrante e italiano. E ancora: nel 1990 esce la prima edizione del Dossier Immigrazione della Caritas/Migrantes (oggi arrivato alla 22ª edizione), nascono i primi Centri interculturali e si pubblicano i primi testi di narrativa scritti in italiano dagli immigrati.

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(Cordone, 1992) —, con levità e stupore, spingendo il lettore al sorriso e all’introspezione. Nel 1991, due anni dopo la prima circolare ministeriale sugli alunni stranieri (la n. 301/1989, «Inserimento degli alunni stranieri nella scuola dell’obbligo»), e precedendo la pubblicazione dei primi studi monografici sull’argomento, escono due volumetti — Io sono filippino di Vinicio Ongini inaugura la pioneristica collana di libri bilingui «I Mappamondi» e Quando il vicino di banco si chiama Abdul Karìm di Giovanni Catti — che possiamo considerare i «capostipiti» di un filone tra i I capostipiti dalla natura più tematizzati, quello sulla presenza a scuola dei tanti bambini e ragazzi ibrida figli dell’immigrazione. Si tratta di due testi non facilmente catalogabili, nei quali parti di narrazione, con un’esile storia e dei protagonisti, si alternano con informazioni e aneddoti vari: una natura ibrida del testo dovuta forse alla «novità» del fenomeno che generava nel mondo scolastico un bisogno di conoscenza e un atteggiamento di curiosità verso Paesi e culture di provenienza dei «nuovi» allievi di cui allora si sapeva poco o nulla. Tuttavia, se guardiamo allo sviluppo del racconto dell’immigrazione contemporanea in Italia, bisogna riconoscere il ruolo di «apripista» alla narrativa per la scuola che ha affrontato subito l’argomento senza più abbandonarlo. In questo caso a spingerne la produzione sono state la considerazione del rilievo sociale del fenomeno e la convinzione che fosse importante parlarne a scuola (media). Molti testi vengono scritti a tavolino, su commissione editoriale, pensati ab origine per un utilizzo scolastico: libri che dovevano parlare di un «problema» emergente e nuovo per l’Italia, qual era l’immigrazione. In collane di narrativa per la scuola escono, all’inizio degli anni ’90, due testi assai diversi per ispirazione, motivazione e stile: Fra rabbia e nostalgia di Gina Basso (1991), giornalista e scrittrice di tanti libri per ragazzi e per la scuola, nonché per molti anni voce degli emigranti italiani come autrice e conduttrice di programmi radiofonici, e La promessa di Hamadi, scritto a quattro mani dal senegalese Saidou Moussa Ba e il giornalista Alessandro Micheletti (1991), espressione di quella coautorialità che caratterizza la primissima fase della narrativa scritta da migranti in Italia (Luatti, 2010). Altri testi, più di recente, sono usciti in edizione scolastica dopo la loro diffusione nel mercato dei libri per ragazzi;2 altri ancora, sebbene nati come testi per adulti,

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Si pensi, ad esempio, allo splendido romanzo La neve di Ahmed, di Francesca


Caminoli, pubblicato originariamente per Jaca Book (2003) nella collana di let10


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e anche a seguito del successo ottenuto presso i giovani, sono stati pubblicati dall’editoria scolastica.3 Prima di tutti, forse il primo romanzo in assoluto ad aver tematizzato l’immigrazione in Italia — considerando anche «Il sogno di Hassan» la letteratura per adulti4 — è Il sogno di Hassan. Le avventure di un giovane tuareg di Giovanna Righini Ricci (1985), scrittrice di tanti libri per ragazzi diffusi soprattutto nella scuola durante gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, nei quali l’autrice racconta storie di adolescenti in contesti sociali difficili, l’esperienza dello sradicamento, l’incontro tra culture diverse (sia quelle vicine a noi, come la vecchia immigrazione, la gente del sud, sia quella più lontana, come i pellerossa, gli esquimesi, ecc.). Il sogno di Hassan anticipa i tempi, parlando di immigrazione e di coloro che arrivano «clandestinamente» in Italia, quando l’esodo dei migranti doveva ancora iniziare. Hassan, il primo migrante nella finzione letteraria, abbandona la sua tenda nel deserto per raggiungere Marrakech, la città dei suoi sogni, ma il viaggio si trasforma ben presto in una rocambolesca peripezia che lo dirotta in luoghi del tutto diversi, come immigrato clandestino prima in Spagna e poi in Italia, a Torino, dove si ritrova venditore ambulante, mendicante e, infine, ballerino acrobata in un circo. Per il giovane tuareg — «migrante solo» o «minore straniero non accompagnato», come oggi verrebbe categorizzato — l’impatto con la civiltà moderna è traumatico, fonte di umiliazioni e sofferenze. La sua storia tuttavia sembra ripercorrere un canovaccio caro a molta letteratura giovanile di fine Ottocento e primo Novecento, quella dei bambini girovaghi e dei ragazzi alla

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teratura per ragazzi «I vagabondi» e poi riproposto tre anni dopo, con apparato didattico, da Mondadori education. È il caso del romanzo di Maria Pace Ottieri Quando sei nato non puoi più nasconderti: viaggio nel popolo sommerso (2003) — da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Marco Tullio Giordana nel 2005 — pubblicato nel 2006 da Mondadori scuola. Ma il caso più eclatante e recente è il bestseller internazionale Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari di Fabio Geda, pubblicato da Dalai Editore nel 2010, uscito l’anno dopo da Mondadori education nella collana «Narratori per la scuola medie». Il libro ha avuto anche una edizione (con riduzione e adattamento del testo) per i più piccoli, cartonata e illustrata da Marco Cazzato (Dalai, Milano, 2011). Mauceri e Negro (2009), autrici di un approfondito (ma anche assai controverso: Fracassa, 2011, pp. 177-178) studio sulla letteratura italiana (per adulti) sull’im- migrazione, individuano nel romanzo di Edoardo Albinati, Il polacco lavatore di vetri (1989), il primo libro ad aver tematizzato l’argomento.

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ventura (Di Bello e Nuti, 2001), che lasciano la propria terra in cerca di fortuna e affrontano mille disavventure, superando prove di estrema difficoltà prima di fare ritorno a casa. Nel loro viaggio di crescita e maturazione cadono vittime di loschi figuri, sono costretti a svolgere i lavori più ingrati, ma trovano l’occasione per fuggire dalle mani dei loro profittatori, si uniscono ad altri compagni di sventura, girovaghi pure essi… e infine tornano a casa, perché non c’è un altrove migliore della propria terra, dove la vita è dura ma meravigliosa. Il romanzo si chiude con Hassan, felice nella sua terra, a «fare il tuareg» in spettacolini per turisti in cerca di folclore ed esotismi. Il senso della testimonianza di Hassan è chiara: i sogni non si coronano con l’emigrazione, che anzi è fonte di maggiori sofferenze, ma a casa propria, nelle proprie tradizioni dove ci sono libertà e possibilità di riscatto. Un elemento di interesse è fornito dalla breve descrizione5 dell’in- contro tra il giovane marocchino che mendica per le vie di Torino e i passanti, caratterizzato da un misto di curiosità e buonismo verso l’alterità, di apertura da parte degli autoctoni, che troviamo nell’im- maginario nutrito tanto di esperienze concrete quanto di metafore letterarie dell’immigrazione degli albori. Il romanzo, tra le prove meno convincenti di Righini Ricci, sporge e ritrae lo sguardo su un fenomeno inedito e agli esordi, senza affrontare il tema con novità e abilità (come invece farà cinque anni dopo Cordone).6 Ancora prima di Hassan, e molto prima che i flussi di immigrazione arrivassero in Italia, per trovare storie di immigrati, dei loro sentimenti, delle difficili relazioni con la società locale, bisognava recarsi nei Paesi del Nord Europa. Ne è un esempio il bel libro per ragazzi di René Swartenbroekx, Deserto bianco deserto nero, pubblicato in Italia nel 1977 da Giunti Marzocco. L’autore, un maestro elementare belga, già una quarantina d’anni fa insegnava in una classe multiculturale: 5

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Nel romanzo si nota l’assenza di tematizzazione della questione linguistica: Hassan arriva in Italia e, senza che venga detto alcunché dall’autrice, comprende da subito e possiede un italiano scorrevole, sostenendo dialoghi complessi con le persone che incontra. Un rilievo non marginale, se si considera lo spazio che al tema della lingua e dell’apprendimento linguistico come fattore di integrazione verrà dato dalla successiva letteratura sull’immigrazione. Che poi dieci anni più tardi, quando i ragazzi potevano disporre di alcuni buoni testi sull’argomento e dopo il primo grande afflusso di migranti dall’Europa dell’Est, Il sogno di Hassan sia stato riproposto in una nuova edizione scolastica (1996) è cosa che risponde all’imponderabile. Di Righini Ricci si ricorderà il romanzo per la scuola Le scapole dell’angelo (Massimo, 1972 e ripubblicato l’anno dopo da Edizioni scolastiche Bruno Mondadori), in cui si narra la storia di un ragazzo del Sud che vive una difficile integrazione a Milano, libro che ebbe più edizioni raggiungendo una tiratura complessiva di 600.000 copie (Renzi, 1999).


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dalla sua esperienza con immigrati di varie nazionalità nasce la storia del romanzo, che è anche una storia di amicizia fra un vecchio operaio italiano e un giovanissimo marocchino alle prese con le sue prime esperienze nel freddo, diffidente Belgio, dove i primi minatori immigrati sono stati gli italiani. È soprattutto (è ancora) dai primissimi anni ’90 che gli editori italiani propongono libri di autori stranieri tradotti: il che fa pensare almeno a una maggiore attenzione e sensibilità verso storie, già disponibili in altri Paesi, su tematiche che stavano diventando e poi sono diventate sempre più attuali e pregnanti per l’Italia. Da allora le storie, a sfondo autobiografico o di fiction, sull’esperienza migratoria e i cammini di integrazione nel nuovo Paese si sono moltiplicati con una concentrazione dal Duemila fino a oggi. Disponiamo così di un sostanzioso corpus narrativo con racconti provenienti da Paesi europei e dal Nord America, in particolare; libri importanti come L’Approdo di Shaun Tan (2008) o Cècile. Il futuro è per tutti di Marie-Aude Murail (2010). che arricchiscono l’immaginario narrativo sulle «migrazione degli altri», consentendoci di fare possibili accostamenti con le storie italiane di immigrazione e integrazione.

UN’AMPIA VARIETÀ DI NARRAZIONI E GENERI Oltre duecento i titoli usciti — tra albi illustrati, romanzi, racconti, edizioni per la scuola — dal 1990 a oggi ove si racconta l’avventura dell’immigrazione e dell’integrazione in Italia, attraverso una pluralità di voci, codici, stili e chiavi narrative (Luatti, 2011). Metafore d’infan- zia sull’immigrazione (e i suoi esiti), mondi e vicende visti attraverso gli occhi dei giovani protagonisti. Accanto ai tanti autori «autoctoni», tra cui molti giornalisti che per il loro mestiere sono in continuo contatto con l’attualità e la realtà del Paese da cui traggono ispirazione per i loro romanzi, vi è un piccolo gruppo di autori di origine immigrata che racconta ai giovani — con le parole della nuova lingua — l’esperienza di migrazione, attingendo ai vissuti e ai ricordi personali e familiari. Racconti talvolta di viaggi «avventurosi», di sradicamenti, di difficile integrazione; popolati da ricordi dolorosi, specialmente per chi viene da Paesi in guerra, da sentimenti di nostalgia, da una forte volontà di riscatto, sempre alla ricerca di una vita migliore. Agli amanti dei numeri, che pure sono utili per comprendere le dimensioni assunte dall’argomento nell’editoria per ragazzi, ricordo soltanto che nell’ultimo triennio, dal 2010 a oggi, sono usciti dalla penna degli scrittori italiani e dei «nuovi italiani» una cinquantina di testi rivolti

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ai giovani che tematizzano l’immigrazione e i cammini d’integrazione. Penso agli ultimi libri di Roberto Piumini, Paola Capriolo, Pia Varriale, Zita Dazzi, Carolina D’Angelo, Jole Severi Silvestrini, Luigi Ballerini, Patrizia Rinaldi, Anna Vivarelli, Antonio Ferrara — scrittori questi ultimi che più di altri nei loro libri hanno dato voce e volto ai migranti —, che con sensibilità e sguardo attento, talvolta condito da un pizzico di ironia, hanno raccontato le vicissitudini di bambini e famiglie alle prese con le rose e le spine dell’integrazione in Italia. Anche la serialità, che tanto spazio occupa nelle proposte editoriali della fascia preadolescenziale, ha tematizzato l’immigrazione; talvol- ta dedicandogli un episodio della serie, altre volte facendone il filo conduttore dell’intero ciclo narrativo. Lo scrittore Angelo Petrosino (2011), ad esempio, ha pensato bene di inserire l’incontro sui banchi di scuola tra la protagonista della sua fortunata serie «Valentina» con bambini e ragazzi stranieri. Nel corposo Valentina e i colori del mondo, la giovane protagonista ha molti compagni di classe provenienti dai vari angoli del mondo, ciascuno con una propria storia di migrazione: Valentina li intervista, intervista i loro genitori per conoscere le usanze, le tradizioni e i rapporti che mantengono con i Paesi di origine. Il racconto ha un carattere didascalico e informativo, non c’è una storia vera e propria, i vari protagonisti sono soltanto comparse costrette a recitare una parte nei loro vestiti di appartenenza. Così è per il precedente Pablo, un nuovo amico per Valentina (2003), dove l’arrivo in Italia del giovane Pablo diventa l’occasione per parlare di alcuni aspetti culturali, storici e paesaggistici dell’Argentina. Presenze còlte solo come pretesto per introdurre usi e Un uso della narrazione con costumi di Paesi lontani; insomma, un uso della narrazione a fini divulgativi, finalità divulgative espressione di un vezzo, il didascalismo, purtroppo ancora diffuso nella letteratura per ragazzi, e che nel racconto dell’immigrazione trova non pochi esempi.7 E inoltre: nel 2011, gli editori Einaudi e Piemme hanno inaugurato due collane di narrativa per ragazzi che già nel titolo — «il Coro Arlecchino» e «Pizza Tandoori» — esprimono un’attenzione ai mu- tamenti e ai processi di mescolamento in atto nella società (a scuola

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Petrosino alcuni anni fa ha raccontato, con grande compostezza emotiva ed essenzialità di scrittura, la sua storia infantile di emigrazione a Parigi, nei primi anni ’60 (Mi chiamo Angelo. Storia di un viaggio, Torino, Sonda, 2000).


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e nelle famiglie) a seguito Non si tratta di un 8 dell’immigrazione. fenomeno nuovo e isolato.9 Non sembri dunque esagerato affermare che, per le dimensioni che questo filone va assumendo, siamo dinanzi a un aspetto inedito nel panorama della narrativa italiana per ragazzi. A parte le narrazioni dal forte impianto autobiografico che originano dalle vicende personali e familiari degli autori — su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo —, i romanzi e i racconti che affrontano questa tematica rientrano prevalentemente nel genere della finzione a sfondo realistico e talvolta sono dichiaratamente ispirati a «storie vere», a vicende realmente accadute (con un richiamo a storie individuali, o a vicende collettive, che spesso hanno avuto spazio nei mass media). Un recente esempio è offerto dal romanzo di Ave Gagliardi (2012), Nei campi di oro rosso, che si ispira ai noti fatti di cronaca che hanno portato la magistratura a sgominare un’organizzazione criminale attiva tra Rosarno, Nardò e altre città della Puglia, dedita allo sfruttamento di immigrati e clandestini nella raccolta dei pomodori.10 In altri casi, prevalgono chiavi narrative collocabili più nel fiabesco o nel racconto giallo, filoni che trovano così nuovi protagonisti e mutati contesti. 8

Vedi i libri La voce di Sasha (2011), Il canto di Micaela (2011) e Veri amici (2012) di Roberto Piumini, tra i più noti scrittori italiani per bambini e ragazzi, usciti ne «Il Coro Arlecchino», sezione della collana «Storie e rime» di Einaudi; nonché i romanzi insipidi, dove si narrano le vicende di una famiglia «mista» italo-indiana, Mia mamma? Te la presto! (2011), Nina e Jaya, sorelle per forza (2011), Avanti! C’è posto (2012) e Scintille in famiglia (2012) di Annalisa Strada, usciti nella sezione ad hoc «Pizza Tandoori», collana «Il Battello a vapore» di Piemme. 9 Già la collana «La Calamitica III E» (Torino, EDT-Giralangolo) propose, tra il 2007 e il 2009, una decina di volumetti firmati da Barbara Pumhösel e Anna Sarfatti, con le illustrazioni di Simone Frasca, in cui si raccontavano, con ritmo incalzante e freschezza di penna, le avventure di una classe multiculturale di scuola primaria, come se ne trovano tante nelle nostre scuole. Negli stessi anni escono le avventure di «La banda delle 3 emme», sezione della collana di Mondadori ragazzi «I sassolini a colori», dove i protagonisti sono Muradif, un bambino rom con il pallino della matematica, Mascia, una bambina russa arrivata in Italia da pochi mesi, e Mario, la voce narrante. Ultimo arrivato in ordine di tempo Un gol non ha colori (2012), nella serie «Ciponews» firmata dal giornalista Luigi Garlando. 10 Queste vicende sono narrate nel recente libro di Yvan Sagnet, Ama il tuo sogno. Vita e rivolta nella terra di oro rosso, (2012). Altri testi ispirati a storie vere sono, ad esempio, i romanzi dei giornalisti Zita Dazzi (Il volo di Alice, 2011), Elisabetta Lodoli (Questo mare non è il mare, su cui l’autrice anni prima aveva girato il documentario Ninsala la tranquilla), Fabrizio Gatti (con il bestseller Viki che voleva andare a scuola, 2003). Il bel romanzo Cola pesce (2004) di Carola Susani si richiama all’ecatombe di migranti nello stretto di Sicilia, raccontata anche nell’inchiesta giornalistica di Giovanni Maria Bellu I fantasmi di Portopalo (2004). Un libro destinato a un pubblico di giovani adulti che racconta un tema delicato come la prostituzione minorile e la tratta di ragazzine dall’Est è La ragazza dell’Est (2010) di Fulvia Degl’Innocenti.

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L’«altro», il diverso, e dunque spesso lo straniero e l’immigrato, con quell’alone di misterioso, enigmatico e di «ambiguità» che si porta dietro, appare un soggetto ideale per il racconto di investigazione e poliziesco. Del resto, anche le periferie multietniche delle nostre città, dipinte come il luogo del degrado e del crimine, costituiscono ottimi contesti dove collocare storie con sfumature del «giallo»; e se poi i protagonisti, giovani e adulti, e le ambientazioni che fanno da sfondo alla storia parlano cinese, allora sembrano esserci proprio tutti gli ingredienti del «giallo».11 Rispetto all’immigrazione cinese gli autori (italiani) per ragazzi evidenziano una certa difficoltà ad allontanarsi dalle rappresentazioni più comuni e monolitiche dell’immaginario mediatico: essa è generalmente descritta come minacciosa, collocata in contesti e situazioni di illegalità, sfruttamento, criminalità, infiltrata nelle mafie locali. Al contrario, per stemperare l’asprezza di certi incontri e scontri, il registro del Parlare di immigrazione «favoloso» fino all’esplorazione dell’oniadottando il registro del rico e del surreale ha offerto ad alcuni autori una validissima via narrativa, «favoloso» probabilmente più congeniale al proprio stile, per parlare (anche) di immigrazione e diversità culturali. Dobbiamo riconoscere che questa chiave narrativa ha prodotto, fin dagli esordi, i testi più riusciti che hanno tematizzato l’immigrazione.12 Protagonisti assoluti di queste narrazioni, come succede per tutta la letteratura rivolta all’infanzia e alla gioventù, sono i bambini e i ragazzi, stranieri ma anche italiani. È attraverso i loro occhi e la loro voce che le storie ci sono raccontate, in prima o in terza persona. I ragazzi e le ragazze straniere che incontriamo in queste pagine sono per lo più arrivati da poco nel nuovo Paese, ricongiungendosi con un genitore: si trovano a vivere una fase di spaesamento e disorientamento, intrisa di profonda nostalgia, ma anche di consapevolezza e responsabilità. Sono giovani costretti a crescere in fretta. Nei romanzi che tematizzano il processo di integrazione viene sottolineata l’importanza dell’accoglienza e dell’aiuto delle persone che

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Basti citare, per fare riferimento a un trittico di buoni libri, Febbre gialla (1997) di Carlo Lucarelli e, più recentemente, L’ombra del drago (2011) di Pia Varriale, Mare giallo (2012) di Patrizia Rinaldi. Buone letture, extra Cina, sono anche La chiave nel muro (2003) di Nadia Bellini e Quaranta gradi (2011) di Alessandro Gatti. 12 Tra i quali merita segnalare almeno Due africani a Milano (1992) di Ambrogio Borsani; Le avventure del vigile urbano Emiliano Poletti (2001) di Alberto Tinarelli; il già ricordato La neve di Ahmed di Francesca Caminoli e il più recente L’estate delle falene (2011), di Mario Pasqualotto.


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entrano in contatto con gli stranieri: talvolta viene sottolineato il ruolo attivo che una persona deve avere se vuole sentirsi a casa nel Paese di accoglienza. Come avviene per Sewa (in Questo mare non è il mio mare), ragazza diciassettenne sbalzata dallo Sri Lanka in una nuova vita a Roma, che parla un italiano semplificato e ritoccato di romanesco imparato dai suoi compagni a scuola: la sua insegnante di italiano fa comprendere alla giovane che deve essere lei l’artefice della sua integrazione, per spronarla e convincerla a impegnarsi di più nell’apprendimento della nuova lingua. La promozione a scuola non solo rinforza l’autostima di Sewa e sancisce il suo inserimento, ma la riconcilia anche con il padre, prima impaurito e ancor più severo, ma adesso orgoglioso del successo della figlia. Un segno che forse anche nella mentalità dell’uomo qualcosa sta cambiando: in questo modo si allude al ruolo che i figli degli stranieri hanno nel processo di integrazione dei genitori. Giovani intrappolati in un Negli ultimi anni, tuttavia, tra le pagine groviglio di contraddizioni giovanili hanno fatto la loro comparsa i figli di genitori immigrati che identitarie «sono qui da una vita» (Granata, 2011). Si pensi al libro dell’italoegiziana Randa Ghazy Oggi forse non ammazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista (2007), una sorta di diario ironico e appassionato di una ventenne, Jasmina, milanese di origini arabe, sola, smarrita in un groviglio di contraddizioni identitarie, generazionali e culturali. Ribelle e passionale, Jasmine detesta la rigidità del suo mondo, che allo stesso tempo ama, ed è alla ricerca dell’equilibrio tra il suo essere musulmana e donna occidentale, e quello di ragazza «educata alla araba e scolpita all’italiana». Uno stile giovane e insieme profondo per riflettere e far riflettere sulle mille gradazioni dell’identità e sul senso di «disapparte- nenza» con cui devono spesso fare i conti i giovani italiani di origine straniera. Resta semmai da osservare che, quando scrivono gli autori che hanno vissuto l’esperienza migratoria o i figli della seconda gene- razione, il racconto si fa più autentico e profondo. È in questi autori, e soprattutto in queste autrici, che la poetica dello «spaesamento» e della pluri-appartenenza, della duplicità e dello stare «nel mezzo» sembra trovare una forte intensità espressiva e stilistica. Nei libri che tematizzano l’immigrazione e i cammini d’integrazione gli aspetti più ricorrenti riconducibili alle diversità culturali fanno riferimento, ad esempio, alle differenze linguistiche e religiose, alle tradizioni relative all’alimentazione e all’abbigliamento: in queste

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narrazioni esse vengono vissute più come un ostacolo e una fatica aggiuntiva per i ragazzi e le ragazze protagoniste, che come una ric- chezza. Per i personaggi stranieri si crea spesso un idioma di mezzo, un miscuglio tra la lingua materna, l’italiano standard e le forme dialettali della zona in cui vivono (il romanesco, soprattutto), per evidenziare anche linguisticamente e foneticamente la posizione di sospensione dei protagonisti tra il passato e il presente. Ma può trattarsi, nelle migliori delle ipotesi, di una soluzione funzionale all’autore per sottolineare i progressi linguistici del protagonista (come avviene nel citato Questo mare non è il mio mare), oppure, quando la lingua è l’italiano dialettale, per evidenziare un livello di integrazione e interazione nel gruppo dei pari molto elevato, soprattutto tra i giovani figli di immigrati nati in Italia (come nei libri di Ferdinando Vaselli Sopra il cielo di San Basilio, 2008 e di Geraldina Colotti Scuolabus, 2003). Lo stereotipo, al riguardo, colpisce nuovamente i bambini e i ragazzi Scafisti, badanti e lavoratori immigrati dalla Cina, che talvolta vengono fatti parlare (e pensare) con tuttofare il rotacismo (la «l» al posto della «r») o non pronunciano le doppie... Se guardiamo alle figure più ricorrenti interpretate dagli stranieri nella finzione letteraria, scopriremo che lo scafista è il più gettonato (definito come «lupo», «squalo»…); compaiono anche le «badanti» e gli ambulanti (venditori di rose, generici «vù cumprà» soprattutto nei primi libri…), i lavoratori agricoli e i lavoratori tuttofare nel settore della ristorazione. Il mediatore lin- guistico è l’unica figura professionale rivestita da stranieri a svolgere un lavoro non manuale. Tra gli italiani, indubbiamente l’insegnante prevale su tutte, ma troviamo anche volontari, educatori, operatori delle forze dell’ordine, amministratori locali, medici, sacerdoti, ecc. Negli ultimi anni emerge comunque un nuovo modo di raccontare i processi del quotidiano mescolamento che si producono nella scuola, nel gruppo dei pari, nei condomini; una lettura forse più aderente allo sviluppo dei percorsi di integrazione e dell’immigrazione in Italia, che non intende calcare la mano sulle diversità e le molteplici appartenenze dei vari protagonisti delle storie narrate (il che non si- gnifica manifestare indifferenza); dove la presenza di bambini e ragazzi immigrati o figli di genitori migranti costituisce una «normalità», un fatto acquisito che non deve sorprendere più. Dopo oltre vent’anni di flussi migratori e la presenza di una seconda generazione, con la terza — dei figli dei figli dei migranti — che fa capolino; e soprattutto dopo vent’anni di scritture sull’immigrazione, anche la narrativa per

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ragazzi, nel raccontare questi cambiamenti, si dimostra attenta a cogliere le dinamiche evolutive del fenomeno migratorio. Evidenzia cioè un passaggio a una nuova fase che, a ben vedere, possiamo definire di «seconda generazione». Una possibile lettura ci è offerta dal buon romanzo Quaranta gradi di Alessandro Gatti (2011), dove due ragazzini di tredici anni, Emi e Yù, vivono un’intensa amicizia che li isola dagli altri compagni di scuola. Durante una torrida estate i due giovani si rifugiano in un luogo segreto tra i tetti da cui osservano scrupolosamente il mondo degli adulti. Diventa il loro gioco, che però ben presto di trasforma in un’avventura rischiosa: un giorno, infatti, assistono a un crimine. L’autore è abile a non dirci nulla di Yù, anche se dal nome e dal cognome, Boghnam, e soprattutto dall’immagine di copertina (si vede un ragazzino dalla pelle scura), ne possiamo supporre l’origine straniera. Ma non è poi così importante, del resto neppure Emi si pone la questione, è un amico e basta. Per questo non comprende e si arrabbia, quando verso la fine del racconto una signora — che rappresenta il mondo del grandi — descrive Yù come un marocchino ubriacone, uno dei tanti che circolano in città. A partire da queste considerazioni, nei prossimi paragrafi cercheremo di esplorare alcune rappresentazioni dell’immigrazione e dei suoi esiti offerte nei recenti racconti per bambini e ragazzi, allo scopo sia di individuare i codici espressivi con cui queste immagini sono rese, sia di evidenziare quali idee sono veicolate più o meno esplicitamente dai libri esaminati. Soffermeremo lo sguardo anche sul vasto mondo degli albi illustrati che hanno offerto alcune tra le più significative e recenti metafore narrative sull’immigrazione.

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IL RACCONTO AUTOBIOGRAFICO Strumento di conoscenza del mondo migrante è la «letteratura di testimonianza», sviluppatasi fin dai primi anni ’90 in alcune opere letterarie spesso scritte a quattro mani da un autore immigrato e un giornalista o uno scrittore italiano. In esse il riferimento alla vita nel Paese di origine e all’esperienza migratoria, dal viaggio alle vicissitudini nel nuovo Paese, diventa sorgente di profonda ispirazione. Questi testi letterari sono espressione del bisogno di alcuni intellettuali migranti di farsi ascoltare, di comunicare e di incontrarsi anche sulla «carta» con il pubblico dei più giovani. Il gesto di donare la propria storia attraverso un percorso di ricerca e rielaborazione interiore, attraverso un lavoro di scavo nella memoria, 19


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mai banale e indolore, diviene richiesta esplicita di riconoscimento e ospitalità nel mondo estraneo a cui si è approdati, ed è un invito allo scambio delle memorie. Il senso di questo gesto è duplice: da una parte, esso porta chi lo compie alla consapevolezza di un’identità narrativa; dall’altro, esso invita a comprendere le storie degli altri e a dialogare con loro, nell’assumere, con immaginazione e simpatia, la storia dell’altro attraverso i racconti di vita che lo riguardano (Ricoeur, 1994). E i racconti parlano di guerre, esilio politico, diritti negati, costrizioni, povertà ma anche di affetti, abitudini, nostalgie. Emergono in questo modo le difficoltà, ma anche le aspettative e le conquiste, il desiderio di costruirsi un avvenire in piena autonomia e libertà. È invece assente in questi testi il racconto dell’esperienza scolastica nel Paese di approdo, poiché gli autori sono per lo più arrivati in Italia da adulti (dunque sono racconti, tranne poche eccezioni, della «prima generazione» dell’immigrazione). I racconti della I testi rivolti ai ragazzi riconducibili alla dimensione autobiografica, contrariaprima generazione mente a quanto si potrebbe pensare, sono pochi: tra gli scritti dei migranti dell’immigrazione prevale la fiction o il racconto fiabesco, come abbiamo altrove evidenziato (Luatti, 2010). A parte il primo romanzo di Saidou Moussa Ba e Alessandro Micheletti (il già citato volume La promessa di Hamadi), e quelli pubblicati nella pioneristica collana «I Mappamondi» — una ventina di titoli dai primi anni ’90 a oggi —, le altre prove narrative a sfondo autobiografico che affrontano il tema dell’emi/immigrazione in Italia uscite dalla penna dei migranti sono il breve racconto di Jacinto Vahocha (Si è fatto giorno, 2000), l’affa- scinante mosaico narrativo dell’artista camerunese Henri Olama (Le mappe degli Adinkra. 20 simboli per raccontarsi, 2006) e il Fazzoletto bianco di Viorel Boldis. La portata «interculturale» di questi racconti non è sfuggita ai loro editori, tant’è che quasi tutti i testi citati, tranne l’ultimo, sono corredati da un apparato didattico e informativo più o meno sviluppato a uso scolastico, mai comunque tale da interfe- rire con la letterarietà dei testi e la piacevolezza della narrazione. Il coinvolgimento del giovane lettore pare assicurato dalla intensità delle vicende narrate, spesso in prima persona, e dalla motivazione etica e dalla forte carica emozionale che questi racconti di «vita vera» riescono a trasmettere. Si pensi al citato racconto Il fazzoletto bianco dell’italo-rumeno Viorel Boldis, pubblicato nel 2010 da Topipittori, editore di albi illustrati tra

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i più raffinati e innovativi dell’attuale panorama editoriale italiano, peraltro in forte evoluzione e fermento (Terrusi, 2012; Hamelin, 2012). Il testo, scritto alla fine degli anni Novanta — vincitore di un concorso di letteratura e poi apparso su giornali e riviste web di letteratura della migrazione —, è un intenso e struggente frammento autobiografico, un racconto sul distacco e il ritorno, sul ritrovarsi. Una lettura altamente coinvolgente, capace di emozionarci e farci sentire partecipi di una storia, al contempo, individuale, familiare e collettiva. Scritto originariamente per un pubblico adulto, proposto da un editore «per bambini», il libro in realtà è un picture book per tutti i lettori, capace di comunicare a più livelli. È dunque un nuovo libro e non una semplice riedizione di un racconto già noto. E non mi riferisco al lieve editing a cui è stato sottoposto il testo (rispetto alla versione precedente sono cambiate alcune parole). Difatti, accanto alla narrazione testuale il libro presenta delle splendide tavole illustrate con la tecnica xilografica bianco e nero della compianta Antonella Toffolo; tavole che appaiono cupe rispetto ai Un picture book colori che sprigionano dai ricordi di Boldis, almeno nella prima parte, per tutti i lettori ma che preparano sapientemente quell’at- mosfera claustrofobica e solitaria, fatta di attese e timori, che respiriamo nel ritorno a casa. Il lavoro dell’illustratrice ha almeno due pregi che rendono questo picture book davvero speciale. Da una parte, emerge un parallelismo tra il testo scritto e la tecnica iconografica adottata: al lavoro di ricomposizione e di scavo nella memoria dell’autore, Toffolo risponde con un impegnativo lavoro volto a far emergere le figure dal nero della tavola. Dall’altro, le immagini bianco e nero proiettano la narrazione in una dimensione onirica, che nelle pagine finali assume le forme di un sogno angoscioso: la paura di non essere accolto, ac- cettato, riconosciuto. Ma nella dimensione onirica l’interpretazione del racconto si dilata, si arricchisce di più significati: oltre al topos poetico del ritorno che risale agli albori della letteratura, il testo è un invito per noi a entrare nel cerchio del dialogo, a incontrare, accoglie- re, riconoscere l’altro che sta ancora sulla soglia o l’ha varcata. A noi, che abitiamo la sua nuova «casa», Boldis tende la mano e ci invita a esporre il fazzoletto bianco dell’ospitalità.13

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Per un supplemento di emozione, si legga la storia vera del racconto in Boldis, 2010.

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TEMATICHE RICORRENTI Il racconto sull’esperienza migratoria è contrassegnato da alcuni passaggi tematici ricorrenti: l’addio alla terra di origine e il viaggio «avventuroso» verso il nuovo Paese, l’inserimento a scuola e le relazioni nel gruppo dei pari, le relazioni nella città e la vita negli spazi di prossimità. Il racconto di questi eventi/contesti presenta specifiche caratteristiche che ritroviamo in buona parte dei libri che tematizzano l’immigrazione e la figura del migrante. Come evidenziato di seguito. Il viaggio verso il nuovo Paese La narrazione del viaggio migratorio è spesso la storia di più viaggi: per terra e per mare, nero e notturno, attraverso più luoghi e Paesi, con più mezzi, dal Sud fino al Nord della penisola; ma è anche un viaggio nel tempo e nella memoria, poiché l’attraversamento è sempre accompagnato da continui flashback, con i vividi ricordi dei cari e della vita lasciati alle spalle che ritornano incessantemente. Si parte per darsi una speranza di futuro, per darsi la possibilità di realizzarsi in maniera differente: è il tentativo di traversare sia mari e confini, sia le disparità. La narrazione del viaggio è attenta descrizione degli eventi e dei passaggi e nelle prove migliori, quando il narratore capace l’affronta con autenticità e appropriatezza, essa produce nel lettore un effetto di sospensione temporale e una forte partecipazione emotiva. Il racconto presenta spesso un momento culminante, di intensa drammaticità, contrassegnato da un evento tragico, ma con un finale positivo e di speranza. Attesa, euforia, rabbia, sofferenza, dolore, perdita… salite, discese e ancora risalite sono gli stati d’animo espressi in queste narrazioni. Si prenda, ad esempio, il romanzo Storia di Ismael che ha attraversato il mare di Francesco D’Adamo (2009), ove si narra il dramma di una gioventù di un’altra sponda del Mediterraneo costretta a crescere in fretta. Il quattordicenne Ismail, figlio di una beduina delle sabbie e di un pescatore berbero della costa nordafricana, è costretto ad andare da clandestino nella vagheggiata «Talia»: intraprende un viaggio della speranza dall’Africa all’Italia per aiutare la sua famiglia impoverita. Il ragazzo affronterà il mare e uomini senza scrupoli disposti a trasportarlo, anche se la barca è troppo piccola per sopportare un mare avverso. Qui D’Adamo ci consegna la narrazione più intensa di tutto il libro: la descrizione della tempesta che farà morire tutti i compagni di cammino del ragazzino è lucida e visionaria, drammatica e commovente. Dolce e composto il ricordo-confessione che Ismael immagina con la madre e con il papà, prima di congedarsi — come

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lui crede — dalla sua giovane vita. Ma il suo destino è un altro. Soccorso dai pescatori, Ismael conoscerà il mondo che divide gli uomini in clandestini e non clandestini; dell’Italia conoscerà l’ospedale, il centro di identificazione dove rimarrà chiuso per un mese e il filare di viti dove dormirà in una notte di luna piena. Nient’altro. Sarà poi rimpatriato al suo villaggio e, come ogni sopravvissuto, si chiederà perché proprio a lui sia toccato raccontarlo. La storia di Ismael non è una storia straordinaria, perché racconta un dramma che le cronache (e i teleschermi) hanno riportato molte volte in questi anni, al punto che non ci facciamo più caso.14 Straordinario è invece il modo in cui D’Adamo la racconta, in terza e in prima persona, facendo parlare il suo giovane protagonista. Un libro intenso, scritto in presa diretta, che sa emozionare il lettore catapultandolo nella drammaticità di certi tragici momenti. Con uno stile asciutto, senza fronzoli, senza cadere nel rischio del lacrimevole e del sentimentalismo. Albi illustrati per i più piccoli Vi sono albi illustrati che aiutano i più piccoli a esplorare l’universo dei sentimenti, ad affrontare le difficoltà, le fatiche e la paura di non farcela, a trovare la forza per «risalire la china». Sono albi dai colori vibranti e acidi come sono le difficoltà che ciascuno incontra nella vita, dove è presente un messaggio finale di speranza. Almeno per chi è pronto ogni volta a chinarsi, piantare di nuovo il suo semino, e desiderare ancora che cresca, che diventi grande. È questo il caso dell’albo In viaggio, testo di Antonio Ferrara (2011) e illustrazioni di Serena In- tilia, che affronta con fiduciosa sincerità il viaggio sofferto e doloroso degli immigrati, filtrato dagli occhi di un bambino. Dal bagagliaio al barcone, fino al centro d’accoglienza in un «Paese che non ci vuole», si percorrono insieme a un ragazzino fuggito dalla guerra tutte le tappe di un cammino difficile e ingiusto. Un albo poetico e coraggioso che ci mette a tu per tu con le nostre ipocrisie e con la grande dignità di un bambino che, nonostante tutto, è sempre pronto a vedere il colore in ogni cosa, non perde il sorriso, la tenacia e la voglia di farcela.15

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Si leggano al riguardo i libri di Liberti (2008) e Del Grande (2008: 2010), resoconti appassionati e testimoni diretti dei problemi e delle rotte dei migranti. 15 Un altro paio di buoni libri sul tema sono Dall’altra parte del mare (2005) di Erminia dell’Oro e Gjerj, il piccolo Skandërberg (2011) di Maria Francesca Rotondaro ed Enrico De Grazia. Di grande impatto emotivo, per i testi autobiografici e per la cura iconografica, è il libro serigrafico «a fisarmonica» Erano come due notti, 2011, con illustrazioni di Slim Fejjari: brevi tracce di viaggi che ci dicono di partenze e

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Le storie di integrazione scolastica Il contesto scolastico rappresenta un terreno privilegiato, e assai esplorato, dai libri per ragazzi che tematizzano l’immigrazione. A ben vedere, all’interno di queste narrazioni metaforiche è presente un po’ tutto il repertorio di atteggiamenti che ha accompagnato l’inserimento degli alunni stranieri in questi vent’anni di idee e pratiche nella scuola multiculturale: curiosità, buonismo, aperture, timori, chiusure, fatiche, dedizioni... (Favaro, 2011). La figura dell’allievo straniero neoarrivato, che fa il suo ingresso nella nuova scuola, l’incontro/scontro con i compagni sono motivi che ancora pervadono l’immaginario degli scrittori per ragazzi, benché nella realtà si tratti di un fenomeno in netta diminuzione. In queste narrazioni emergono spesso situazioni e eventi che hanno favorito positivamente i cammini di inclusione di bambini e ragazzi migranti, aprendo a relazioni in classe più distese. Lo «sblocco» nel percorso di integrazione avviene quando i bambini ed i ragazzi hanno avuto l’occasione di esprimere saperi, talenti, com- petenze e capacità fino a quel momento non riconosciute (come la partecipazione al coro della scuola nei citati testi di Roberto Piumini o le abilità nel gioco del calcio nei libri di Paul Bakolo Ngoi Un tiro in porta per lo stregone, 1994, e Colpo di testa, 2003, e di Luigi Gar- lando, Un gol non ha colori, 2012); anche l’accettazione da parte del gruppo dei pari gioca un ruolo positivo nell’inserimento della ragazzina neoarrivata (come nell’albo illustrato di Silvia Serreli e Allegra Agliardi Viola cambia scuola, 2009 e nel citato romanzo Questo mare non è il mio mare) o l’intervento di un adulto competente diventa la leva da cui partire per intraprendere il viaggio di integrazione (Io sono tu sei, di Giusi Quarenghi, 2007). Tra i diversi e recenti libri per ragazzi che soffermano il loro sguardo (anche e soprattutto) sulle dinamiche di inserimento scolastico dei nuovi alunni venuti da lontano bisogna almeno citare Spaghetti al curry di Annamaria Piccione (2010), una storia di immigrazione di un bambino di dieci anni, Dinesh, che dallo Sri Lanka arriva a Catania per ricongiungersi con la sua famiglia. Ma è soprattutto un frammento di una storia familiare dove ciascun componente è alle prese con le rose e le molte spine dell’integrazione in Italia, a scuola, nel lavoro, nei rapporti con gli «autoctoni». Di pregiudizi, invidie, fatiche, disattenzioni e banali cattiverie sono disseminati i percorsi di Dinesh, di sua sorella maggiore Lomathy e saluti, naufragi e carceri, confini e attraversamenti, ritorni impossibili, tempeste private e collettive.

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dei suoi genitori, preoccupati di assicurare ai loro due figli un futuro migliore. Vivono presso la casa di una famiglia benestante italiana, presso la quale la madre Chandrika presta servizio come tuttofare. Dinesh si sente molto «strampalato»: a scuola non sa dire una parola in italiano, per l’insegnante è un inciampo (se non invisibile), i com- pagni lo guardano come un estraneo. In famiglia non comprende la sorella che, giunta in Italia da piccola, è strenuamente impegnata a farsi passare da «italiana», tanto che si fa chiamare Laura. Dinesh è simpatico, sveglio, riflessivo, osserva e capisce (anche se a volte finge di non capire) cosa accade intorno a lui e alla sua famiglia. Si fa valere: ben presto cattura l’attenzione e l’amicizia dei compagni, grazie alle sue competenze nella lingua inglese. Dinesh è determinato, assertivo, ha le idee chiare: da grande vuole fare l’avvocato e c’è da credere che ci riuscirà. Il romanzo funziona, è fluido, piacevole, ha anche il pregio di essere spiritoso e di fare riflettere. Convince La determinazione di Dinesh meno la scelta di caratterizzare troppo alcuni personaggi (in positivo o in negativo), disegnando delle vere e proprie «caricature», come per la maestra Clelia, la signora Barbara e sua figlia Lucrezia. Se soprattutto negli anni passati l’arrivo di un nuovo bambino stra- niero provocava, anche nella finzione narrativa, curiosità e stupore da parte dei compagni (Un nuovo amico per Anna di Maria Loretta Giraldo e Nicoletta Bertelle, 2011) e diventava l’occasione per parlare di aspetti culturali dei Paesi di origine, relegando lo straniero a un ruolo puramente esotico, in anni più recenti questo evento ha conosciuto rappresentazioni diverse, ora come fattore destabilizzante e conflittuale per il clima della classe (Io e Zora, di Sofia Gallo, 2008), ora come occasione feconda per la nascita di una nuova intensa amicizia (Abdul vuole rivedere il mare, di Roberta Grazzani, 2003). Negli ultimi anni, tuttavia, si nota un passaggio significativo: le storie «di scuola» accolgono e riconoscono i mutamenti prodottisi nella composizione della popolazione studentesca, anche implicitamente e semplicemente attraverso i nomi tradizionalmente «poco» italiani degli alunni, senza dire nulla di più al loro riguardo. Non si calca la mano su queste presenze, e non sono oggetto o protagoniste della narrazione. Rappresentano un elemento di uno scenario di fatto, di una quotidianità acquisita. Questi testi non pongono al centro, o comunque non offrono uno spazio significativo alla tematica mi- gratoria e alle diversità culturali portate dai migranti;

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ciò nonostante essi trasmettono un messaggio chiaro e forte di riconoscimento e di 25


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consapevolezza dei mutamenti multiculturali prodottisi in questi anni (i libricini della citata collana «La calamitica III E» costituiscono l’«avanguardia» di questa recente chiave narrativa). La città come luogo di incontro/scontro Un ampio repertorio di testi, infine, mette al centro le situazioni di convivenza multietnica nelle periferie urbane, nei palazzi, nei condomini, nei quartieri e nelle piazze. La città diventa il luogo di incontro e di scontro tra «vecchi» e «nuovi cittadini» e tra gli stessi migranti. Io come te di Paola Capriolo (2011), uscito in una collana rivolta agli adolescenti ma che ha lo spessore di una storia per tutti, narra le vicende di Luca, un quindicenne immaturo che, spinto dai sensi di colpa per la propria indifferenza, cerca e imbocca pian piano la strada di un cambiamento, appropriandosi di un nuovo senso di responsabilità nei confronti della vita altrui. Luca è un ragazzino come tanti che, dopo una forte delusione amorosa, decide di farsi trascinare in una serata tra amici, fatta di alcol, violenza e teppismo. Luca non sapeva che sarebbe andata a finire così, se lo ripete continuamente, dopo aver visto i suoi compagni di classe cospargere di benzina un immigrato che dormiva su una panchina e dargli fuoco. Fortunatamente l’uomo, Rajiva, è sopravvissuto. Luca appena scopre questa bella notizia, si precipita in ospedale per conoscere la vittima dei suoi amici. Tra le bende e le ustioni scopre un mondo diverso dal suo, in cui proverà a immedesimarsi per aiutare Rajiva a mantenere a distanza la sua famiglia. La vita di Rajiva, il venditore di rose, indossata da Luca riserva più di una sorpresa, l’esperienza bruciante dell’esclusione, del disprezzo, dell’umiliazione e della paura. Scoprirà cosa significa davvero essere «diverso» in Italia e quanto pesino gli sguardi di chi pensa che tu sia pericoloso solo perché di colore diverso. Quel calvario di ostilità che scandisce spesso l’esistenza degli immigrati. Insomma, è solo se si riesce a calarsi nei panni altrui, ad assumere il punto di vista dell’altro, che si possono comprendere anche le altrui ragioni. Perché questo è quel che accade in modo speculare ai due protagonisti: a Luca, che strada facendo si conquista una faticosa maturità e una consapevolezza di sé, ma anche a Rajiva, che sperimenta il valore di un legame fraterno. Una vicenda che, ancor prima di affrontare il problema sociale degli immigrati, ha spiegato l’autrice in un’intervista, propone una rifles- sione etica: il tema del bene e del male e della responsabilità troppo spesso latitante collegato con i tanti aspetti della vita condivisa con quegli «altri», deboli e fragili, che sono i tanti stranieri che abitano le nostre città.


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Su questa tematica dovremo fare cenno almeno ad altri due buoni libri. Il romanzo di Michela Turra, Il mondo nel palazzo (2011), narra le vicende di un gruppo di adolescenti — Denise, Silvia, Aymen e Ostap — che abitano nel caseggiato popolare di una grande città italiana. Intorno a questi ragazzi con biografie e provenienze assai diverse — chi è nato in Turchia, chi in Marocco, chi in Ucraina, chi in Italia — vi è una realtà composita e brulicante, un’umanità ricca e viva, comprendente famiglie di diverse etnie e nazionalità, custode di vicende che si intrecciano nella condivisione del quotidiano. Tra flirt, conflitti ed episodi di razzismo, un mosaico esistenziale dei giorni nostri prende corpo nei luoghi urbani dell’oggi: dal chiuso dei singoli appartamenti al parco condominiale, i personaggi vivono un incontro/scontro che si fa scambio di conoscenze, amicizia, solidarietà. L’inizio di una vita migliore sembra possibile nel condominio quando i ragazzi e gli altri inquilini decidono di cominciare a parlarsi, conoscersi e aiutarsi. È invece una costruzione gigantesca l’Hotel «House» a Porto Recanati: 17 piani, 480 appartamenti, più di 2.000 persone provenienti da 32 diversi Paesi. Parlano lingue diverse e diverse sono le storie che potrebbero raccontare. Protagonista di H.H. (2011), iniziali del menzionato grattacielo, è un ragazzo, Mauro Boukhari: lo vediamo scappare dalla possibile ira del padre per una parola di troppo, correre attraverso i corridoi, entrare nelle porte socchiuse, sentire suoni e voci sconosciuti. In questa storia di fughe, di condivisione e convivenza, il giovane incontra la donna velata, la parrucchiera bionda, l’uomo che protegge la fabbrica di scarpe dai due giganti neri che mimano una partita di calcio, e da tutti quelli che incontra sente dire qualcosa che li accomuna: «tutti uguali!». Alla fine della corsa però non c’è punizione, ma solo un gesto d’affetto e un invito ad andare a dormire. Un picture book molto riuscito, adatto a un lettore adolescente, scritto da Carolina D’Angelo e illustrato sapientemente da Marco Paci.

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IL RACCONTO DELLA MIGRAZIONE COME ESPERIENZA COLLETTIVA E UNIVERSALE Questa rapida panoramica su alcune tra le più diffuse e/o significative metafore narrative sull’immigrazione sarebbe lacunosa senza un cenno a un’ulteriore chiave narrativa piuttosto frequentata dagli scrittori per ragazzi: basata sulla commistione e sull’incontro, sul gioco di specchi e sul ribaltamento di prospettiva tra le emigrazioni di ieri e le immigrazioni di oggi, con l’intento più o meno esplicito di «guidare» i giovani lettori a riconoscere nel fenomeno migratorio un’esperienza comune 27


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a tutti i Paesi e popoli, che ha coinvolto e coinvolge anche gli italiani. Livelli e dimensioni, dunque, che si intrecciano, si sovrappongono e confluiscono fra loro, rendendo l’opera universale per geografia e riferimenti temporali. Non a caso i migliori testi sono dei silent books, cioè libri senza parole, che non hanno testo scritto ma solo illustrazioni, capaci dunque di parlare a tutti, al di là delle barriere linguistiche. Oppure, in altri casi, sono libri che presentano un testo scritto che dialoga intensamente con un apparato iconico molto sviluppato, come nel caso del libro Dall’Atlante agli Appennini (2008) della scrittrice e poetessa Maria Attanasio, che presenta dei bellissimi disegni in bianco e nero a piena pagina di Francesco Chiacchio. Il libro opera un capovolgimento di senso a partire dal titolo: Marco, il ragazzo protagonista del deamicisiano «racconto mensile» Dagli Appennini alle Ande, che parte dall’Italia in cerca della madre emigrata in Argentina, adesso si chiama Youssef, il suo Paese «Dall’atlante agli appennini» non è ai piedi dell’Appennino ligure ma dell’Atlante marocchino, l’Eldorado non si chiama Argentina ma Italia. Il ragazzo è deciso a ritrovare la madre, giovane vedova analfabeta emigrata in Italia e scomparsa nel nulla, insieme al paesano che scriveva le sue lettere e spediva i soldi delle sue rimesse. Youssef ha un indirizzo, dal quale non arrivano più risposte, una fotografia della donna e il nome di una città, Bologna, ed è convinto che lei non sia morta, come pensano i parenti, ma si trova nei guai, forse in pericolo, in attesa del suo aiuto. Perciò accetta la proposta di un ambiguo egiziano al quale si impegna a pagare il viaggio con un numero imprecisato di giornate lavorative all’arrivo. Il giovane si imbarca clandestinamente per andare a cercare la madre in Italia, compiendo così il cammino inverso di Marco che, in De Amicis, dagli Appennini era partito verso le Ande. Il viaggio è quello descritto dalle cronache di ogni giorno, su un battello sconquassato e sovraccarico, in un mare tempestoso che inghiottirà l’amico. Come il suo predecessore italiano, Youssef arriva in un mondo complicato e ostile, scoprendo che la distanza fra la Sicilia e Bologna è enorme, il lavoro una schiavitù, le promesse false. Si susseguono fughe e delu- sioni in giro per le città italiane alla ricerca della madre, con l’incubo costante della polizia che rimanda indietro i clandestini, dei «padroni» che lo cercano, delle «teste rasate» che hanno massacrato di botte e affogato nel canale un giovane immigrato come lui. Figure paurose che assumono il volto e i poteri degli spiriti cattivi protagonisti delle favole del suo Paese, ma come nelle favole incontra anche delle per-

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sone buone: un camionista siciliano, i ragazzi di un centro sociale bolognese, un venditore di panini di Torino, una vecchietta veneziana e infine un vecchio raccontastorie. Saranno gli sforzi congiunti degli «spiriti buoni» a riunire Youssef alla mamma, risolvendo una serie di incidenti banali: un cambio di indirizzo, un equivoco, una lettera smarrita. Il ricongiungimento con la mamma è auspicio e speranza per un futuro migliore. Nel libro Migrando (2010) l’autrice Mariana Chiesa Mateos, nipote di emigranti spagnoli in Argentina e migrante lei stessa dall’Argentina alla Spagna fino all’Italia, dove oggi vive e lavora, propone un viaggio di andata e ritorno di grande fascino. Il libro racconta, attraverso le sole illustrazioni, le migrazioni, due in particolare: quella degli italiani ed europei che vanno, agli inizi del Novecento, verso il Sudamerica e l’Argentina e quella, ancora più disperata di oggi, dove gommoni e mezzi di fortuna traghettano attraverso il mediterraneo uomini, donne e bambini dalle coste africane o mediorientali verso l’Europa. Migrando è un libro bifronte (due copertine, due storie) che si può leggere da un verso o dall’altro — le due storie, infatti, si uniscono al centro del libro — per chi pensa che i mari uniscano e non divi- dano. Una lettura che prevede, letteralmente, il ribaltamento delle pagine e quindi del punto di vista. Le immagini, altamente evocative, lasciano libero spazio all’interpretazione e al Un libro bifronte per chi racconto di una storia personale: uccelli migratori (con la testa d’uomini), alberi pensa che i mari uniscano con rami e radici, familiari, e l’acqua del grande oceano che sostiene, separa e unisce speranze, terre e destini. Talvolta la parola è inutile di fronte alle immagini, ed è quanto accade in questo prezioso albo, dove i disegni, con delicatezza e proprietà, sanno comunicare ai bambini, ma anche agli adulti, la tristezza della lontananza, le speranze e le paure per un futuro incerto e il coraggio di una scelta che porta lontani. Ma la graphic novel più affascinante e struggente sui migranti uscita in questi anni, costruita solo con l’intensità dei disegni e nessuna parola, capace di raccontare, a metà tra storia e fantasia, l’universale avventura del migrante — le migrazioni di oggi e quelle di ieri, anche degli italiani —, è L’approdo di Shaun Tan (2008), un giovane artista figlio di malesi emigrati in Australia negli anni ’60. Un uomo lascia la sua casa, sua moglie e sua figlia. Lascia la sua città che non ha più niente per lui e che si è fatta cupa. Uno sguardo alle vecchie stoviglie della casa, la valigia appoggiata sul tavolo assieme ai resti dell’ultima

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colazione, poi a piedi fino alla stazione. Una grande e scura coda di drago solca il cielo e aleggia sulla città deserta. La giovane figlia cerca di far finta di non capire quello che sta accadendo. L’uomo affronta un lungo viaggio e arriva in una città diversa in cerca di fortuna, una città con regole da città delle nuvole, dove i cani sembrano pesci, la scrittura algebra, i frutti animali, gli animali cose. Dove anche le leggi della gravità sembrano diverse, ascensionali. E le persone cercando di aiutarlo perché sembra che anche loro abbiano attraversato il perico- lo della coda di drago. L’Approdo — The Arrival è il titolo originale — ci proietta in un’atmosfera senza tempo, una storia semplice e di straordinaria forza emotiva che inizia coi volti di alcuni dei profughi che sono sbarcati a Ellis Island, New York, tra il 1892 e il 1954, qui raffigurati in un’atmosfera onirica e surreale, per poi immergersi in un Paese di fantasia, costruito di sogni, zeppo di imprevisti ma anche di insolite aspettative, di animali nuovi e banali incomprensioni, una terra dai panorami alterati, fabbriche sconfinate e grandi idoli che si elevano sopra una città, che infine si rivela ricca di possibilità. È L’Approdo sognato da tutti i migranti.

ABSTRACT Immigration to Italy began to appearance in Italian children’s narrative more than 20 years ago. More than 200 books have been published from that time up to the present day, including novels, picture books and school texts, which describe the migratory experience and life in the new country in its multiple phases and facets (the journey, settling into school, life in multi-ethnic neighbourhoods, the second generations, mixed families, etc.). After a detailed examination of the «pioneering» texts written on the subject, the article endeavours to pinpoint the various representations of immigration which are contained in the most recent children’s novels and stories, in order to identify the expressive codes used to describe these images and to highlight which ideas are conveyed more or less explicitly by the books examined.

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