Lacrime e sorrisi L’emigrazione italiana nei libri per ragazzi in età repubblicana

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ALMANACCO 2013 Il 26 ottobre per la prima volta si svolgono elezioni a suffragio universale, anche se le donne ancora non hanno il diritto di voto. Nell'eminenza del voto sul n. 20 del 15 ottobre 1913, la rivista fiorentina “Lacerba” pubblica il Programma politico futurista: “La guerra sola igiene del mondo”; “Predominio della ginnastica sul libro”; “Abolizione dell'industria del forestiero, umiliante ed aleatoria; “contro l'ossessione della cultura, l'insegnamento classico, il museo, la biblioteca e i ruderi”.

SAGGIO

Il 22 ottobre a Dawson nello stato del Nuovo Messico una tremenda esplosione fa saltare in aria una miniera di carbone. Restano uccisi ben 263 minatori. La maggior parte di loro sono immigrati italiani e, altrettanto ovviamente, nessun dirigente verrà mai indagato. Lo stesso giorno Albert Einstein divulga la teoria della relatività mentre a Budapest nasce il grande fotografo Robert Capa. Celebri sono soprattutto i suoi reportage dai fronti di guerra. A partire dalla guerra civile spagnola (chi non conosce la foto del miliziano ucciso?) per proseguire con il 2° conflitto cino-giapponese, la guerra mondiale e quella arabo-palestinese del 1948. Fino alla morte avvenuta saltando su di una mina a Thai Binh, in Indocina, il 25 maggio del '54.

di Lorenzo Luatti

Il giorno dopo nasce ad Assisi Tristano Codignola, più volte deputato e senatore, è tra i membri dell'Assemblea Costituente. Nel 1962 è tra promotori della legge che istituisce la scuola media unica, mentre sei anni più tardi si batterà per l'istituzione della materna statale. Nel 1981, anno della morte, viene espulso assieme ad altri dal P.S.I. per aver pubblicato un manifesto critico nei confronti della politica di Bettino Craxi. Figlio di Ernesto (1885-1965) grande figura della pedagogia e dell'editoria italiana, e padre di Nicoletta, per anni instancabile e sagace editrice, prima con il progetto N.I.E.P. per la Nuova Italia e quindi con Fatatrac. 9 dicembre. “Torino. Tre leoni fuggono dallo stabilimento di films cinematografiche Pasquali e C. e sono ripresi dopo una caccia movimentata. La questura dinanzi al ripetersi di simili casi, emana disposizioni severissime” (da “Almanacco italiano 1915” della Bemporad). L'11 a Milano viene arrestato l'imbianchino Vincenzo Per uggia che nell'agosto del 1911 aveva trafugato dal Louvre la celeberrima Monna Lisa di Leonardo. L'opera viene così recuperata e restitutita alla Francia. Sempre in dicembre Maria Montessori è invitata negli Stati Uniti per tenere una serie di conferenze. A Washington è ospite del Presidente della Repubblica. In quel momento vi sono in quel paese già 70 scuole che adottano il suo sistema.

Lacrime e sorrisi L’emigrazione italiana nei libri per ragazzi in età repubblicana

Non di solo “Cuore” Come è possibile - si chiedeva con vivo stupore il prefatore de I figli del Sud (Fabbri, Milano, 1973), libro-reportage sulle migrazione interne e internazionali degli italiani del giornalista e meridionalista Giovanni Russo - che milioni di persone vivano il dramma dell’emigrazione interna dai paesi agricoli del Sud alle periferie industriali del Nord, e i libri per ragazzi non ne parlino? Che milioni di incontri fra compagni di scuola debbano ancora superare l’ostacolo delle differenze di dialetto, di sensibilità, di abitudini e di reddito familiare, e la scuola non abbia strumenti adeguati per spiegarne le ragioni? […] Come è possibile, infine, non affrontare nella scuola il pericolo di un atteggiamento discriminatorio, se non razzista, quando i ragazzi vedono coi loro occhi una concentrazione di fatto della manodopera meridionale in certi mestieri e in certi quartieri delle città, e nella scuola stessa l’affollarsi dei loro compagni immigrati dal Sud nelle classi differenziali? (pp. 5-6). Per il vero, le migrazioni dal Sud al Nord della penisola durante gli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso sono state più volte tematizzate nei libri per ragazzi, alcuni dei quali ebbero anche un notevole successo tra i giovani grazie alle adozioni scolastiche: romanzi certamente validi come Il signor Serafino di Giana Anguissola (La Sorgente, Milano, 1957 e poi Mursia, Milano, 1970), Il treno del sole di Renée Reggiani (Garzanti, Milano, 1962) e Le scapole dell’angelo di Giovanna Righini Ricci (Massimo, Milano, 1972, poi ed. scolastiche B. Mondadori, Milano, 1973), per citarne solo alcuni. Uno spazio piuttosto marginale nella narrativa per ragazzi hanno avuto invece le emigrazioni degli italiani verso le Americhe e l’Europa. Destino ingrato condiviso con la letteratura rivolta agli adulti, dove un fenomeno sociale tanto importante e duraturo come l’emigrazione è stato affrontato, parzialmente o episodicamente, solo da pochi scrittori. Eppure non di solo Cuore (1886) si compone il racconto dell’emigrazione italiana per i giovani lettori! Altri autori, attingendo a racconti familiari e personali, a storie recuperate dal ricco passato migratorio di comunità e paesi, o frutto della fantasia letteraria, hanno narrato ai giovani, attraverso i linguaggi delle parole e delle immagini, le vicende di una Italia in cui “partir bisogna”.


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ALMANACCO 2013 E lo hanno fatto ininterrottamente, sebbene con intensità, finalità, motivi ed esiti differenti, dagli ultimi decenni dell’Ottocento fino ai giorni nostri. La migliore critica letteraria e pedagogica sull’emigrazione ha dedicato alcune pagine a questa produzione, con riferimenti che tuttavia non hanno pretesa di sistematicità e temporalmente collocati nei periodi di maggiore intensità del fenomeno emigratorio, dall’Unità d’Italia al ventennio fascista (v. P. Boero, C. De Luca, La letteratura per l’infanzia, Laterza, Roma-Bari, 1995, ed. agg. 2009; E. Franzina, Dall’Arcadia in America. Attività letteraria ed emigrazione transoceanica in Italia 1850-1940, Ed. Fondazione G. Agnelli, Torino, 1996, pp. 226-228 e G. Di Bello, V. Nuti , Soli per il mondo. Bambine e bambini emigranti tra Otto e Novecento, Unicopli, Firenze, 2001, pp. 241-263). Inesplorata è invece la produzione in età repubblicana: una diaspora umana lunghissima, che è anche uno dei nodi di maggiore rilievo della vicenda storica italiana, come è stata proposta e sviluppata nelle più recenti scritture per ragazzi? All’inizio della seconda metà del secolo scorso buona parte della letteratura italiana per l’infanzia e l’adolescenza era ancora caratterizzata da romanzi strappalacrime, con protagonisti orfani maltrattati se non rapiti, bambini destinati ad affrontare dolori e disgrazie come ineluttabile percorso di formazione prima del sospirato lieto fine. Trame semplici quanto improbabili, riempite di effetti melodrammatici che fanno da contorno a storie un po’ sconclusionate e ridondanti, vagamente ispirate, almeno nelle intenzioni, ai classici Cuore di De Amicis o, guardando più in alto, a Oliver Twist di Charles Dickens. Il piccolo minatore di Maria Avitabile (1958, pp. 150) e Il figlio di New York di Lia Spezzano (1952, pp. 173), editi nella seconda metà degli anni ‘50 da Fabbri, con tavole del pittore Giuseppe Bartoli, non si discostano da tutto ciò, anzi ne sono due esempi perfetti quanto a contenuti e toni. Il primo testo racconta le disavventure di Pasqualino, un ragazzino napoletano che il padre emigrato porta con sé in Inghilterra per lavorare nelle miniere, così “a casa ci sarebbe stata una bocca di meno da sfamare e col denaro guadagnato dal ragazzo la mamma avrebbe potuto curare i due [fratelli] malatini” (p. 16). Premesse queste che lasciano immaginare un proseguo traboccante di patetismi lacrimevoli e sventure, corredato qua e là da una sdegnosa e vittimistica, quanto logora, retorica antinglese. Spezzano, emigrata negli USA negli anni ‘40, fu una delle protagoniste di quel movimento culturale degli “esiliati” dalla guerra che esportarono oltreoceano la nostra espressione letteraria. Il figlio di New York rappresenta fin dal titolo questo legame tra Italia e America: è la storia di un bambino che la madre (italiana) abbandona per sottrarlo ad un padre scellerato e mafioso, che dapprima viene adottato da una anziana signora, poi dalla redazione di un quotidiano che ne

sfrutta mediaticamente la sua penosa condizione, riuscendo al fine ad accumulare cospicue donazioni da parte dei lettori. Rapito dalla Mano Nera, il ragazzino fuggirà, perderà la memoria a seguito di una caduta, sarà nuovamente adottato da un eremita e cresciuto alla vita nella natura e via via sarà protagonista di altre contorte vicende fino al lieto ricongiungimento con la vera madre. Non è il valore letterario a rendere interessante questo volume, che stordisce tanto è stucchevole e lezioso con il continuo ricorso all’elemento patetico e con figure prive di spessore psicologico, quanto la prospettiva da cui muove, dove l’universo sociale degli americani si interseca con i sentimenti e la cultura (vagamente) italiani. Si dovranno attendere gli anni ’60 e il ventennio successivo per poter leggere alcuni romanzi “per ragazzi” di spessore e rilievo letterario sulla tematica emigratoria; nello stesso periodo, la narrativa scolastica, nel suo momento di maggiore espansione, pubblica in argomento alcuni classici della letteratura per adulti. La fase “contemporanea”, dalla seconda metà degli anni ‘80 ad oggi, si colloca all’interno di un’inedita stagione di rinnovamento della letteratura per l’infanzia e in una realtà sociale – altrettanto inedita – caratterizzata da forti flussi migratori in entrata. Dai primi anni Duemila un’autentica fioritura di titoli ha rinnovato un interesse specifico per la figura dell’emigrante italiano, similmente a quanto avvenuto nella letteratura “ufficiale” e nel cinema. L’emigrazione vissuta da chi è rimasto Il romanzo giovanile sull’emigrazione italiana deve molto ad una collana di libri per ragazzi apparsa negli anni ‘70, ingiustamente dimenticata, che si impone all’attenzione per l’alta qualità della proposta letteraria e iconografica, assai lontana dal racconto educativo ed edificante di tanta precedente (e coeva) letteratura per ragazzi. Si tratta della collana “I Grandi libri” della Salani, nella quale uscirono opere narrative di sicuro pregio: i romanzi di Saverio Strati (Terra di emigranti) e Alcide Paolini (Il paese abbandonato), in primo luogo, e di Gina Basso (La siepe dei fichidindia) sull’esodo oltreconfine di contadini e operai; i romanzi di Rossana Guarnieri (Straniero fra noi) e Carlo Castellaneta (Professione poliziotto) – nonché la riedizione di Marco in Sicilia di Luciana Martini – sulle migrazioni interne. Sono questi anni caratterizzati da un momento storico di assunzione di impegno sociale, finalizzato al miglioramento della società, nella convinzione che la letteratura potesse essere uno strumento di coscientizzazione e di sensibilizzazione dei ragazzi attorno alle problematiche più complesse e un veicolo di cambiamento. La miseria, il lavoro che non c’è, la famiglia numerosa, un mondo fatto “di poco pane e molta fantasia”, lo spettro dell’emigrazione (vista come flagello, come maledizione della sorte)… sono i motivi fondamentali che sullo sfondo di piccole realtà paesane accom-

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ALMANACCO 2013 pagnano il racconto delle “peripezie” di bambini e ragazzi protagonisti di questi romanzi. Non c’è il percorso dell’esodo, con il racconto del viaggio, dell’insediamento, dell’ambientamento e infine dell’assimilazione nel nuovo paese; ma la narrazione dà la cifra della disperata condizione di coloro che sono rimasti e del travaglio dell’emigrare. L’esodo è raccontato da coloro che non sono andati via o filtrato dall’esperienza, spesso amara, di chi ha fatto ritorno. Fatalismo e atavica rassegnazione pervadono i mondi e i personaggi rappresentati in questi romanzi, ma anche la speranza di “un mondo migliore” che deve venire o bisogna trovare, e la voglia di riscatto e di un futuro diverso, altrove, lontano dalla terra avara dei padri, di cui soprattutto i giovani sono consapevoli attori. Lo scrittore calabrese Saverio Strati, dimenticato ai più, è nome noto a coloro che si occupano di letteratura sull’emigrazione per la sua significativa produzione narrativa sul tema (i romanzi Mani vuote del 1960 e Noi lazzaroni del 1972). Generalmente omesso dalle bibliografie e dagli studi critici è Terra di emigranti (1979, pp. 156), un incisivo affresco narrativo sulla condizione di solitudine e abbandono del Sud (“Per il Sud nulla è stato fatto”), nel quale si congiungono e si intrecciano di continuo i temi dell’emigrazione e i suoi problemi (il dramma e la sofferenza della “terra d’emigranti”), la famiglia e l’ambiente sociale, la selvaggia e familiare bellezza della natura e il paesaggio calabrese, con le sue tradizioni popolari, le antiche abitudini... Quest’ultime entrano soprattutto nella parte centrale del romanzo (“Sull’aia”), con la figura del massaro Domenicantonio, l’emigrante che è tornato dall’America a vivere al paese, e del suo paese ha la sapienza antica, la fedeltà, la dignità. L’intera narrazione è pervasa da un forte lirismo e da una disperata nostalgia, con una ricchezza e varietà di sfumature che rendono avvincente la lettura del romanzo. Il protagonista, Giambattista detto “Giamba”, è un ragazzo che vive con la madre in un piccolo paese dell’Aspromonte ormai abitato da donne, anziani e bambini: gli uomini adulti sono emigrati in cerca di lavoro. La madre del ragazzo diventa il perno su cui ruotano le storie, le speranze e i sogni di tanti compaesani: legge a chi non sa leggere le lettere inviate dai familiari lontani, e scrive per chi non sa scrivere le risposte, traducendole nel suo stile fantasioso e colorito. Tra i tanti compaesani emigrati c’è anche il papà di Giamba, per il quale la motivazione principale ad andare in Germania non è solo migliorare le condizioni economiche della famiglia, ma soprattutto far studiare il figlio: vuole che prenda una laurea, diventi ingegnere, ed esca per sempre dal destino dei poveri. Ma il sogno del padre resterà incompiuto. La terza parte del romanzo è il racconto di un lungo viaggio in Germania di Giamba con la madre alla ricerca del padre ferito in una lite tra immigrati, e sarà questo il momento più importante della maturazione del ragazzo.

Lì conoscerà i suoi parenti e gli amici del padre, emigrati anch’essi, ascolterà i loro discorsi, osserverà il loro modo di vivere e quello dei tedeschi: scoprirà mano a mano gli aspetti positivi, ma anche negativi di quella vita. Deciderà alla fine di emigrare anche lui, ma senza l’illusione di andare verso un mondo migliore. “Coltivai questo sogno per anni: di partire. Quando si avverò non ci provai neanche piacere”. Prospettiva e sguardo sull’emigrazione restano immutati nei racconti Paesani in città, I figli un tempo e Il Natale dei poveri che Strati raccoglie, due anni dopo, nel libro Piccolo grande Sud, sempre edito da Salani nella Narrativa Grandi Libri (1981, p. 139). Nella stessa collana esce Il paese abbandonato (1980, pp. 154) del friulano Alcide Paolini, scrittore che ebbe un momento di discreta notorietà negli anni ‘70 grazie ad alcuni testi per adulti. Il paese abbandonato è un romanzo pervaso da una poeticità struggente, in cui si narra l’agonia di un piccolo borgo immaginario della Carnia, Valverde, che, nel risveglio generale del secondo dopoguerra, si trova ancora intollerabilmente tagliato fuori dal “progresso” e perfino dal paese più vicino. Il problema dell’abbandono era legato, immancabilmente, proprio a quello della mancanza di una via di comunicazione. E così, Paolini descrive le speranze, le lotte, le amarezze e l’insuccesso finale degli abitanti di Valverde che, animati dal padre del ragazzo protagonista della storia, Luca Modolo, tentano di costruire da sé la strada che li colleghi al resto del mondo. Continui sono i richiami ai tanti compaesani emigrati in ogni angolo del pianeta, alcuni hanno fatto ritorno al paese, di altri è rimasto solo un vecchio ricordo, altri ancora tornano saltuariamente in occasione delle sagre e festività paesane, durante i mesi estivi. Nello scoraggiamento crescente di quelle povere famiglie, abituate da generazioni al destino dell’emigrazione, l’invito di un australiano, amico di un compaesano emigrato, che esorta le famiglie di Valverde a emigrare in quel lontanissimo Paese, giunge come un doloroso, ma inevitabile scioglimento del dramma. Una dopo l’altra, le case si svuotano dei loro abitanti, dei loro pochi animali, della vita che, bene o male, per generazioni vi era rimasta tenacemente legata; finché non rimane più nessuno, e il borgo verrà lentamente invaso dalla vegetazione spontanea. Luca, che ha avuto modo di frequentare il liceo di Tolmezzo, si costruirà un avvenire, puntando sulle sue capacità di scrittura, e resterà sempre animato dal desiderio di far conoscere e testimoniare la vita del suo paese. Antonio, suo padre, rimasto invalido in un incidente sul lavoro e che porta in sé il dramma di una vita da emigrante, è invece la figura più dolente del romanzo, insieme a quella di Anna, ragazza bella, intelligente e sensibile, ma dalla salute minata dalla ereditarietà (l’alcolismo e i matrimoni fra consanguinei, frequenti nelle zone isolate di montagna). Sono loro i grandi sconfitti: l’uno perché invalido, l’altra perché gravemente malata, sanno che l’aver perduto la battaglia

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ALMANACCO 2013 per la costruzione della strada significa, per loro, aver perduto la possibilità di continuare a vivere a Valverde e quindi, in definitiva, di poter guardare all’avvenire con un minimo di speranza. Pagine bellissime, che suscitano emozioni intense, ma contenute grazie ad una scrittura accurata e sobria. Di altro paese calabrese spopolato dall’emigrazione si narra in La siepe dei fichidindia (1975, pp. 154, illustrazione di copertina di R. Innocenti) romanzo d’esordio di Gina Basso, giornalista e scrittrice di tanti libri per ragazzi e per la scuola. La disoccupazione, l’emigrazione, la povertà costituiscono la problematica sociale che accompagna costantemente il lettore. La storia è ambientata a Borgo Calabro, piccolo paese di pescatori ammalato di emigrazione: Totò, il giovane protagonista vive nel timore che il padre sia costretto a seguire l’esempio doloroso di tanti uomini del paese, partiti per cercare all’estero il lavoro che la loro terra nega. Totò ha visto troppo spesso la desolante partenza degli uomini con la valigia di cartone gonfia, legata dallo spago che trattiene le povere cose, i ricordi anche, insieme con un pezzo di pecorino odoroso e un cartoccio di olive aromatiche che serviranno a calmare i morsi della fame durante il viaggio. Povertà vissuta e combattuta, ma anche tanta volontà di affrancamento pervadono queste pagine che Basso, assieme a Riccardo Medici, ripropone con alcune varianti trent’anni più tardi in un libro per la scuola (Un racconto tra le nuvole, Salani-Le Monnier,

2005, pp. 256), in cui un padre racconta al figlio la sua adolescenza e l’esperienza di emigrazione, sradicamento e riscatto, dalla Calabria all’America. Ma questa riscrittura aggiornata all’oggi - con richiami all’11 settembre, all’immigrazione in Italia etc. - è debole e didascalica. Non sono poi da dimenticare le incursioni sul tema emigratorio di Gianni Rodari. Per il grande scrittore di Omegna l’emigrante è un esule suo malgrado, costretto a lasciare un paese ingrato e socialmente ingiusto per procacciarsi di che vivere; l’emigrazione è una esperienza che segna indelebilmente chi la vive, ma lo sguardo dell’esule è sempre rivolto all’indietro, alla propria terra dove ha lasciato gli affetti più cari. I problemi degli emigranti sono affrontati in termini di schietta denuncia e di sorridente umorismo, sempre con il gusto della parodia, come nel racconto “Essere e avere” (da Il libro degli errori, Einaudi, Torino, 1964) dove l’inflessibile professor Grammaticus dovrà riconoscere le buone ragioni dei migranti nell’uso “creativo” dei verbi ausiliari. Le ingiustizie sociali che costringono ad emigrare e lo strappo biologico, psicologico ed esistenziale dal paese di origine, la malinconia e lo spaesamento dei migranti, sono protagonisti de Il treno degli emigranti (da Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi, Torino, 1960). Non è grossa, non è pesante la valigia dell’emigrante... C’è un po’ di terra del mio villaggio,


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ALMANACCO 2013 per non restare solo in viaggio... un vestito, un pane, un frutto, e questo è tutto. Ma il cuore no, non l’ho portato: nella valigia non c’è entrato. Troppa pena aveva a partire, oltre il mare non vuol venire. Lui resta, fedele come un cane, nella terra che non mi dà pane: un piccolo campo, proprio lassù... Ma il treno corre: non si vede più. Simile è lo sguardo proposto da Passaporto per la speranza. Avventure di italiani all’estero (Salani, Firenze, 1975, pp. 154, ancora ne “I Grandi libri”, sezione “Informazione gioventù”) del giornalista e fotografo Renzo Cantagalli, un testo eterogeneo che alterna capitoli in cui si narrano le vicende di Giulino e dei suoi fratelli che da un paesino della Calabria partono per raggiungere il papà emigrante in Germania e poi in Svizzera, a capitoli più descrittivi e riflessivi sull’emigrazione italiana all’estero, con informazioni e aneddoti vari. Lo sguardo del reporter coglie soprattutto il senso di sradicamento e di spaesamento, la condizione dolorosa di straniamento di chi è partito, ma anche di chi è rimasto. L’emigrante è costretto ad abbandonare il proprio ambiente perché la situazione sociale ed umana che sta vivendo gli è diventata ostica, quando non impossibile. Quasi sempre deve abbandonare, oltre ai luoghi, alle usanze, alla lingua, anche le persone più care, moglie e figli, nella incerta speranza di ricongiungerli presto a sé, o comunque di rivederli appena possibile. Questo sradicamento forzato costituisce il sottofondo comune a queste narrazioni: l’emigrazione è una “nuova nascita”, ma negativa, alienante, nel quale il mondo che si lascia è quello amato, mentre quello in cui si entra rende estranei e diversi. Le disuguaglianze sociali che obbligano ad emigrare sono oggetto di esplicita condanna politica in Storia di un emigrante scritto e illustrato da Gabriella Verna (Gruppo Redazionale “Io e gli altri”, edizioni la ruota, MilanoGenova, 1975, pp. 36) uscito in una collana (“per leggere, per fare”) di albi “impegnati”, espressione di un momento storico attraversato da forti tensioni sociali e politiche. In questa visione, l’emigrante è vittima del sistema, doppiamente gabbato e oppresso, è pedina alla mercé dei governanti dei paesi di origine e d’approdo (nello specifico, il volumetto tratta dell’emigrazione stagionale in Svizzera). Solo nell’assunzione di una coscienza di classe, il migrante “di lotta” ritrova motivo e occasione di emancipazione. Interessante la costruzione del testo attraverso un’efficace commistione e alternanza tra fotografie e disegni, tra narrazione in terza e in prima persona, con la riproduzione di missive che l’emigrante invia a casa, e brevi documenti d’epoca.

La narrativa scolastica Tra gli anni ‘60 e i primissimi anni ‘90 del secolo scorso il racconto dell’emigrazione italiana transoceanica ed europea approda anche nella narrativa scolastica, soprattutto attraverso la pubblicazione di testi appartenenti alla letteratura canonica, in considerazione del loro rilievo letterario, educativo e sociale. Mursia, Mondadori e Einaudi ripubblicano nelle collane dedicate alle letture per la scuola media alcuni classici della narrativa, nei quali l’esperienza emigratoria assume protagonismo o fa da sfondo alla storia: Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi (Mursia, 1966, poi Einaudi scuola, 1992), Fontamara di Ignazio Silone (Ed. scolastiche Mondadori, 1970,) Tempo di marzo di Francesco Chiesa (SEI, 1966). E ancora: I malavoglia di Giovanni Verga, Gli americani di Ràbbato di Luigi Capuana, La luna e i falò di Cesare Pavese, già editi in collane per la scuola in passato, sono tuttora nel catalogo Mondadori education. Si tratta di romanzi noti e ampiamente analizzati dalla critica letteraria sull’emigrazione: converrà invece fare un breve accenno ad altri testi poco conosciuti che l’editoria scolastica ripropose in quegli anni e che si configurano come veri e propri romanzi “totali” sull’emigrazione. Come Olive nere (Mursia, Milano, 1985), eclettico romanzo sull’emigrazione italiana in Germania di Enzo Demattè, che ebbe a suo tempo una significativa diffusione nelle scuole o Calle Bolivia 4714 di Pia Guffanti Chini, un corposo romanzo autobiografico ripubblicato in edizione scolastica da Signorelli nel 1992, nel quale si narra l’infanzia di una bambina cresciuta nei dolci paesaggi della Valganna, nell’alto bresciano, improvvisamente segnata dalla dura esperienza dell’emigrazione, dalle accoglienti e vecchie case di paese ai barrios di Buenos Aires. Un testo importante apparso in Italia originariamente nel 1955 (SAIE, Torino, ed. orig. americana 1942), con una duplice fisionomia di romanzo e di documento di vita reale, è Mont’Allegro. Una memoria di vita italo-americana di Jerre Mangione, figlio di siciliani emigrati negli Stati Uniti nei primi del Novecento. Il libro, uscito per la SEI (1996) all’interno della collana di narrativa scolastica “La pratica della lettura” è un affresco corale di Mont’Allegro, un quartiere di Rochester, dove una comunità di emigrati siciliani, consciamente o meno, fonda in realtà un luogo sostitutivo di quello originario, attraverso mille frangenti di adattamento, di sopportazione e di dolore, di gioia semplice e sanguigna, di simpatie e di ombrosità, di sfoghi, di ansie e di speranze. Il testo è costruito per sequenze narrative coincidenti con i capitoli del libro, composte in ossequio a una scelta di argomenti, problemi, situazioni, soggetti: la questione dell’identità, la famiglia, la parentela, le difficoltà della lingua, la religione, la superstizione, i costumi, la donna, la visione della vita, la malavita, i modelli americani, le trasformazioni sociali, l’occasione di viaggio in Sicilia e le conseguenti impressioni, la storia e la memoria come

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ALMANACCO 2013 riassunto finale dei vari contesti del racconto. Con vivezza espressiva e un linguaggio immediato, Mangione riesce a raccontarci l’intreccio di sentimenti e cultura italiana (o meglio, siciliana) con le esistenziali modalità dell’universo psicologico e sociale degli americani. Qualità letteraria eccellente e sapiente profondità introspettiva è la cifra stilistica di Stivor. Odissea della speranza di Sandra Frizzera, autrice di molti libri per ragazzi e per adulti, pubblicato originariamente a Trento (Innocenti, 1976), e poi in edizione scolastica dall’editore Janus di Bergamo (1991). Qui si narra una pagina dell’emigrazione italiana poco conosciuta: le vicende di alcune famiglie trentine della Valsugana che, a seguito degli effetti disastrosi dell’alluvione del fiume Brenta tra il 1881 e il 1882, meditarono di migrare da quella “valle disgraziata” dapprima in Brasile e quindi in Bosnia. L’epopea dei pionieri di Stivor è raccontata attraverso pagine avvincenti ed emozionanti, ma sempre sobrie. Resta impressa, grazie ad un attento scavo degli aspetti psicologici della vicenda, la grande umanità e la non comune capacità di alcuni protagonisti nel guidare e sostenere una comunità sperduta, di fronte ad un mondo ostile, sempre ingeneroso. Un’altra storia di emigrazione poco conosciuta, pubblicata direttamente in edizione scolastica, è raccontata ne Il ponte dell’amicizia: le avventure di un ragazzo italiano emigrato in Sud Africa. Un’esperienza di drammatica attualità (Fabbri, 1982) di Luciano Soldan, pseudonimo dello scrittore fiorentino e insegnante Giuseppe Bufalari, autore di tanti libri per ragazzi. È la storia di un’amicizia, ambientata nel Sud Africa dell’apartheid, tra un giovane italiano, emigrato in quel paese con la famiglia – perché in Italia “non vedevamo davanti a noi nessuna possibilità di lavoro” –, e un giovane nero. Non è un romanzo sull’emigrazione italiana in Sud Africa o centrato sull’esperienza migratoria del protagonista nel nuovo paese: è invece un viaggio di scoperta e di presa di coscienza delle brutalità del razzismo e del regime segregazionista. I brevi riferimenti alla comunità italiana in Sud Africa, sparsi qua e là nelle pagine del romanzo, ci rammentano tuttavia un’altra storia della nostra emigrazione. Tra le più recenti proposte di narrativa per la scuola segnalo infine Onde. Uomini in viaggio alla ricerca di mondi migliori (La Spiga, Milano, 2012), scritto da Giorgio Di Vita, e ispirato al dipinto “Gli emigranti italiani nel porto di Genova” (1896) di Angiolo Tommasi, e ad alcuni frammenti biografici di questo pittore, protagonista di un lungo viaggio nell’America australe nel 1899. Il racconto dell’emigrazione in tempo di immigrazione La produzione narrativa più recente si inserisce in un contesto, letterario e sociale, profondamente mutato: il mondo dei libri per l’infanzia e l’adolescenza si è radical-

mente rinnovato, anche nella componente figurativa. È in questo nuovo e vivace contesto che va collocato l’ampio repertorio di libri per bambini, preadolescenti, adolescenti e giovani adulti che raccontano le migrazioni odierne (su cui vedi “Andersen”, gennaio 2013). Dobbiamo anche a queste ultime se nell’ultimo decennio la narrativa per ragazzi ha riscoperto, seppure in forma occasionale, le “nostre” emigrazioni, recuperando in parte la memoria dei tanti emigranti italiani. In questo nuovo scenario si producono alcune mutazioni. L’incontro tra le emigrazioni di ieri e le immigrazioni di oggi diventa una chiave narrativa feconda. Come, ad esempio, nei libri Lei che sono io (Sinnos, Roma, 2005) dell’italo-argentina Clementina Sandra Ammendola e Uomini da ricordare. Nonni migratori (Campanila, Pisa, 2005) di Paolo Cotrozzi. Scrittura briosa e prosa accattivante caratterizzano la cifra stilistica del primo volume apparso nella collana di libri bilingui “I Mappamondi”, dove a raccontarsi sono direttamente i migranti di oggi. La storia familiare dell’autrice è una storia di andate e ritorni, di partenze e di arrivi, di intrecci tra più generazioni: il padre calabrese, emigrato in Argentina negli anni ‘50, la giovinezza trascorsa tra i calabresi e gli altri italiani di Buenos Aires, i lunghi soggiorni argentini della nonna italiana, il viaggio inverso dell’autrice dall’Argentina alla terra del padre. In questo andirivieni, l’aeroporto diventa il luogo d’incontro e la metafora di una storia familiare tra più generazioni. Il testo di Cotrozzi presenta una costruzione narrativa simile a quella dello splendido silent book Migrando (Orecchio Acerbo, 2010) di Mariana Chiesa Mateos (libro bifronte, due copertine, due storie intrecciate, le emigrazioni di ieri e quelle di oggi), ma gli esiti sono di gran lunga più modesti. La ragazzina protagonista dei due racconti intervista i nonni italiani emigrati nel secondo dopoguerra in Australia: con l’ausilio di un registratore, i nonni ripercorrono a beneficio della nipote le varie fasi della loro storia di emigrazione, dal viaggio alla vita nel nuovo paese. Ma il racconto si fa spesso didascalico, e ricorre ad alcuni topoi sulla figura dell’emigrante. Le illustrazioni che corredano il testo, elaborate a computer, sono completamente scollegate dall’ambientazione storica. Meglio l’altra metà del libro, con il racconto di Léon, ivoriano emigrato in Italia. L’emigrazione italiana in Germania fa da sfondo al romanzo La memoria di A. (Gruppo Abele, Torino, 1993) di Alessandro Micheletti e Saidou Moussa Ba: per il giovane protagonista, partito da un inconscio “razzismo quotidiano” costruito nell’Italia dell’immigrazione di oggi, il viaggio attraverso la Germania insieme al nonno si trasforma in un percorso iniziatico contro tutti i razzismi, quelli del passato e quelli odierni. Un’ulteriore “mutazione” attiene alla prospettiva da cui muove il racconto dell’emigrazione italiana: non più da coloro che sono rimasti nel paese di origine abbandona-


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ALMANACCO 2013 to da tanti compaesani, ma da chi è andato in cerca di una vita migliore in altre parti del mondo, con la nostalgia per il paese lasciato, i nuovi incontri, le speranze e le disillusioni, le prospettive e le nuove opportunità di vita. La narrazione del viaggio e della nuova vita nel Paese di adozione, con le rose e le molte spine dei cammini dell’integrazione, diventano i temi più frequentati nella nuova produzione letteraria per ragazzi. Nel romanzo Le arance di Michele. Italia-New York 1901 (Mondadori, Milano, 2002, ora Il Battello a vapore, Milano, 2011) Vichi De Marchi racconta l’epopea dei piccoli emigranti italiani all’inizio del Novecento, attraverso la storia di una bambina, Angela, che lascia le campagne venete con la sua famiglia – la madre, i fratellini e il nonno – per raggiungere il padre emigrato a New York. Sulla nave diretta al Nuovo Mondo, Angela incontra Michele, un ragazzino siciliano “affittato” dalla sua famiglia ad un boss d’oltreoceano, e che Angela vorrà in tutti i modi aiutare. Il romanzo ripercorre gran parte dei passaggi “obbligati” dell’esperienza migratoria ed è fin troppo denso di situazioni, richiami, termini e simboli che hanno fatto la storia dell’emigrazione italiana (tutti messi in fila, con un approccio più giornalistico che letterario). La seconda parte del libro è incentrata sulla vicenda di Michele, il giovane tredicenne arrivato in America con i documenti del fratello maggiorenne, venduto dai genitori e schiavizzato da un boss locale, che campa girando per la città facendo il lustrascarpe e il suonatore di violino. Angela lo aiuterà a scappare dal suo aguzzino, verso il sogno brasiliano, “dove avrò un banco di frutta e verdura tutto mio. Anzi, un banco di sole arance. Le arance di Michele” (p. 76). Nel testo non mancano i richiami agli italiani crumiri che fanno i lavori pericolosi e faticosi, quelli che altri non vogliono più fare, gli appellativi dispregiativi che venivano utilizzati dalla popolazione locale contro gli italiani (“macaroni” e “uccelli di passo”), il richiamo alla “black hand” (la mano nera), all’America “amara” e così via. Insomma quasi un compendio, in 120 pagine, dell’immaginario, pieno di sogni e delusioni, dell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti d’America (su cui si sofferma la “Scheda storica” di Luciano Tas, che chiude il libro). In questa “corsa” a cui ci sottopone l’autrice, le pagine dedicate alla figura del nonno, “partito ma mai arrivato”, sono sicuramente le più intense e riuscite. Anche Bellosguardo (Sinnos, Roma, 2006), un albo scritto e illustrato da Manuela Salvi, ci riporta ai tempi in cui gli italiani emigravano negli Stati Uniti, costretti a fare tappa ad Ellis Island dove i funzionari decidevano se i nuovi arrivati potevano raggiungere le destinazioni o erano costretti a fermarsi “in quarantena”. Lo scrittore Angelo Petrosino alcuni anni fa ha raccontato, con grande compostezza emotiva e essenzialità di scrittura, la sua storia infantile di emigrazione a Parigi, nei primi anni ’60. Il viaggio che egli racconta in terza persona in Mi chiamo Angelo. Storia di un viaggio (Sonda,

Casale M.to, 2000) non è solo quello migratorio compiuto dall’autore in giovane età e dalla sua famiglia, da un paesino del meridione italiano ad un altro piccolo paese della Francia, all’inseguimento costante del padre partito dal paese alla ricerca di un lavoro. Madre e figlio, con grande dignità e forza di volontà, si sottopongono a continui traslochi: raggiungono il capofamiglia a Châtel, poi a Parigi, e ancora a Saint-Denis nella periferia nord della capitale francese, popolata da tanti migranti provenienti da ogni parte della terra (e dall’Italia, soprattutto). Le valigie sono l’emblema di questi continui spostamenti, arrivi e partenze, incontri e addii: “le valigie erano le stesse che si erano portati dall’Italia. Grandi ma fragili. Se ti sedevi sopra quando erano vuote, le sfondavi. Dentro continuavano a starci tutte le loro proprietà” (p. 176). Il racconto è anche un viaggio interiore che Angelo compie alla ricerca della propria strada, tra le difficoltà e le paure dei suoi genitori e degli altri adulti, le ostilità di un ambiente che non conosce, la nostalgia per il paese e gli affetti che si è lasciato alle spalle. Il giovane Petrosino dovrà superare molte prove, anche l’esame di lettura in una scuola francese per il quale si è preparato per settimane. La prospettiva emigratoria si rinnova e si arricchisce con il racconto dei figli degli emigranti all’estero, di seconda e di terza generazione. Nel convincente romanzo Terza generazione (trad. di Looking for Alibrandi, Mondadori, Milano, 1999, coll. “Junior Gaia”) della scrittrice australiana di origine italiana, Melina Marchetta, la protagonista diciassettenne, Josie Alibrandi è la nipote di due emigranti siciliani, sospesa tra due identità – intrappolata fra due dimensioni, quella australiana e quella italiana – e costretta a fare i conti con la comunità d’origine, ancora attaccatissima alle vecchie tradizioni, ma anche con i pregiudizi che non mancano neppure in un paese multiculturale come l’Australia. Figlia “irregolare” di emigranti – ovvero figlia di una donna non sposata, di origine siciliana –, convive con la tradizione della sua famiglia, affascinante e insopportabile, incarnata dalla figura (o meglio, dal ricordo) di un nonno padre-padrone. Josephine-Josie-Jozzie-Giuseppina – la pluralità di nomi con cui viene chiamata è significativa di una condizione di disappartenenza – ha una domanda che la tormenta: “Perché detesto questo paese e al tempo stesso lo amo?”; alla fine del romanzo saprà darsi una risposta: “sono un’australiana nelle cui vene scorre sangue italiano, e... ne vado fiera”. Non è un libro sull’emigrazione, ma una storia agro-dolce di una adolescente alle prese con una difficile ricerca di identità e la fatica per costruire il futuro (dal libro, il film omonimo per la regia di Kate Woods, con Greta Scacchi, Australia, 2000). Che emigrazione voglia dire identità e memoria è Valérie Losa, artista svizzera d’origine italiana, a esplicitarlo nel garbato albo Sapore italiano. Piccole storie di pranzi domenicali (Zoolibri, Reggio Emilia, 2010). Usando il materiale

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ALMANACCO 2013 raccolto in interviste ai suoi connazionali emigrati in Svizzera, l’autrice racconta attraverso la loro voce l’esperienza di una vita vissuta tra due paesi, serbando sempre un’unica memoria e un’unica identità. Un’identità profondamente legata alla cultura del cibo, perché, come succede anche agli immigrati di oggi che popolano le città italiane, il cibo costituisce un legame forte e al contempo ideale con il paese d’origine. Belle e dense di emozioni sono le illustrazioni della stessa Losa: tavole che descrivono la vita casalinga degli emigranti italiani oggi, vengono intercalate con altre, più velate, dedicate ai ricordi della vita in patria. Il racconto dell’emigrazione in questi anni di forte rinnovamento dell’editoria per ragazzi deve molto allo sviluppo delle componenti iconica e grafica. Abbiamo già visto alcuni picture books e graphic novel, e al riguardo un accenno merita l’affascinante e struggente L’approdo di Shaun Tan (Elliot, Roma, 2008), costruito solo con l’intensità dei disegni, capace di raccontare, a metà tra storia e fantasia, l’universale avventura del migrante, le migrazioni di oggi e quelle di ieri, anche degli italiani. Un compendio dei differenti filoni e approcci al tema migratorio sopra richiamati. Un racconto poetico nelle parole e nelle immagini è Io, Titanic (Il gioco di leggere, Milano, 2012), albo di grande formato scritto da Fulvia Degl’Innocenti e illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, uscito in occasione dei cent’anni dall’affondamento del Titanic. La nave accoglie i passeggeri sul suo ventre, “come una madre”, e va incontro alla tragedia: anche il sogno americano di tanti emigranti andrà ad infrangersi nell’oceano, un’umanità dolente che vediamo affollarsi sul molo in attesa di imbarcarsi nel transatlantico più famoso. Un altro anniversario e un’altra tragedia, in gran parte italiana, raccontano Igor Mavric e Davide Pascutti nella storia a fumetti, sorta di graphic journalism, Marcinelle. Storie di minatori (Beccogiallo, Treviso, 2006), in cui si alternano la cruda cronaca storica degli eventi e la sofferta memoria personale del protagonista. L’occasione è offerta dal cinquantesimo anniversario della tragedia consumatasi nella miniera del Bois du Cazier - ove morirono 262 minatori, 136 italiani, immigrati da varie parti del mondo -, e da un viaggio nei luoghi del disastro compiuto da Giovanni con la piccola figlia: è un viaggio a ritroso e doloroso, nei ricordi di infanzia del padre, rimasti assopiti per tanto tempo in un angolo della memoria. È l’occasione per trasmettere alle nuove generazioni, con la forza delle immagini in bianco e nero (sfocate ma vivide nel ricordo quelle che riportano alle vicende del passato), le avventure del nonno che, come moltissimi nel dopoguerra, abbandonò l’Italia in cerca di fortuna. Concludiamo questa sommaria ricognizione dei testi sul tema emigratorio con Fratelli neri, un lungo racconto per parole e immagini tratto dalla storia vera dei ragazzini ticinesi che ancora alla fine del XIX secolo venivano venduti

per lavorare come spazzacamini in Lombardia. Scritto da Lisa Tetzner, pubblicato per la prima volta in Germania nel 1941, divenuto poi popolare in molti paesi come racconto per ragazzi, e illustrato magnificamente cinquant’anni dopo dal pittore svizzero Hannes Binder, Fratelli neri esce in Italia nel 2004 per Zoolibri. Il racconto, per il periodo storico in cui è ambientato (metà Ottocento) e per il tema affrontato (tratta dei bambini, bambini girovaghi…), si inserisce in un filone narrativo della letteratura per ragazzi particolarmente esplorato tra Otto e Novecento - ma, come si è visto, presente anche nei romanzi più recenti di Maria Avitabile e poi di Vichi De Marchi - di cui fanno parte Senza famiglia (1878) di Hector Malot, e i romanzi degli italiani Olimpia De Gasperi (Il romanzo del piccolo vetraio, 1903), Giuseppe Errico (Piccoli esuli d’Italia, 1903), Lino Ferriani (Un piccolo eroe. Romanzo per fanciulli, 1906), Tommaso Catani (Casa mia casa mia… Storia di un piccolo emigrato, 1916), Carolina Invernizio (Spazzacamino, 1912). Ma non di solo lacrime, fortunatamente, è cosparsa l’intrigante produzione per ragazzi sul tema emigratorio: approcci favorevoli all’emigrazione (vista come sviluppo delle ambizioni personali, come occasione di riscatto…) e posizioni antiemigrazioniste (l’illusione dei migranti, il ritorno in patria…) si sono da sempre confrontate anche nell’immaginario letterario giovanile. Soprattutto nell’età pre-repubblicana. Ma questa è una storia ancora da scrivere.


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