UndergroundZine Marzo 15

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ATLAS PAIN “Atlas Pain”

GENERE: Metalk/Folk ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Mad

Giovane formazione quella degli “Atlas Pain”, formatisi nel 2013 che hanno dato subito alla luce un Demo dall’omonimo titoli e contenente quattro brani. Le tematiche ambientante nell’Antico Galles, unite al sound definito dalla band Metalk/Folk, fanno di questo Demo un buon trampolino di lancio. Si parte con l’intro “Intro” molto d’atmosfera definita dalla band lenta ed evocativa, che si fonde inmaniera impercettibile alla seconda traccia “Annwn’s Gate”. La terza traccia “Foreign Lands” è un’insieme di colonne sonore note e riviste ovviamente in chiave Metal-Folk (Il Signore degli Anelli, Jurassic Park, Il Re Leone, Dragon Trainer e I Pirati dei Caraibi). Atlas Pain, si chiude con “Once Upon A Time”, basata su un’antica favola irlandese nella quale un anziano cantastorie, in crisi per non avere più storie da raccontare al suo Re, viene aiutato da un apparente mendicante, che si rivela essere un potente mago.Ovviamente non stiamo facendola recensione ad un libro, dunque da un punto di vista musicale possiamo dire che il livello tecnico della band è buono, come buone sono le idee impiegate per la realizzazione di questo lavoro. La voce calda e ben impostata, unita alle chitarre ed alla sezione ritmica danno l’impronta scura a questo progetto, grazie comunque ai contributi tra campionamenti e strumenti a fiato, “Atlas Pain” gode di una buona componente chiara così da rendere tutto il cd più orecchiabile e definito. Buon avvio per gli “Atlas Pain” , gli aspettiamo alla prossima prova con più carne al fuoco!

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ACID AGE

“Drone shark etnics” GENERE: Thrash ETICHETTA: Witches Brew VOTO: 66/100

RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Esordio sulla lunga distanza per i nord irlandesi Acid Age, giunti a fine anno al quarto lavoro dopo un demo di debutto e due Ep, “Enter The Zomborg” dello scorso anno e “The Throma-Tized” uscito alcuni mesi fa. Il quartetto di Belfast suona come se non ci fosse un domani, ma anche un oggi, un thrash tipico anni 80 della costa est, per capirci quella molto infettata dall’ambiente e dall’attitudine hardcore. Il tutto suona molto, pure troppo, old school. La questione nella loro scelta, se pur encomiabile, è comunque estremamente datata e priva di novità. Ci troviamo di fronte ad un album che non solo trae le proprie radici dal thrash anni 80 alla Anthrax, alla D.R.I. alla S.O.D., Suicidal Tendencies alla Madball e a tante altre band del periodo e del genere, ma che ne ripercorre le scelte sia in positivo che in negativo; il che a mio avviso non pare una scelta che possa pagare sulla lunga distanza. Produzione estremamente scarna, grafiche non solo retrò, ma anche un retrò poco aggraziato. Capisco il thrash oldschool, ma così mi par troppo, anche perché non risulta grottesco come poteva essere una grafica alla S.O.D. o M.O.D. o volendo anche alla Tankard, ma pare la copertina di un album uscito direttamente da una tipografia del 1984 di una band più che sconosciuta; il che penalizza troppo la band a mio avviso. Le composizioni sono certamente thrash old school, ma essendo così tanto old school non si trova la minima innovazione o la minima reinterpretazione e la produzione è tenuta come se fossimo nel 1986-87 con registratori a bobina e via discorrendo. Canzoni come “50,000 Robot Archers”, “No Place To Skate”, “Charles Gein”, “F.T.P.L. (Fuck The Poor Legislation)” e “Women With No W” sono un esempi di cosa sono in grado di comporre e suonare gli Acid age. Come sempre fate vostro il cd e decidete voi quali possono essere le vostre tracce preferite. Un lavoro per i fan più accaniti del genere e del periodo ma nulla più, da rivedere con il prossimo lavoro sperando in una piccola evoluzione almeno per quanto riguarda la parte post produttiva e di arrangiamenti.

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AHAMKARA

“The Embers Of The Stars” GENERE: Black ETICHETTA: Nordvis/Bindrune/

Eihwaz recordings VOTO: 45/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Il debutto degli Ahamkara è un mix tra black vecchio stile, con forti sprazzi di atmosfere date dai synth. Sulla band si sa poco se non che sono un duo formato da Michael Blenkarn (Ahamkara, Wodensthrone, Axis of Perdition) e Steven Black. Poche informazioni ci sono sulla band e altrettante poche sensazioni posso dare io dopo l’ascolto di questo materiale. La voce è oltremodo filtrata e modificata al punto che non si ha la minima idea di cosa stia dicendo e la cosa risulta oltremodo stucchevole. Inoltre le proposte sonore della band mi sembrano un pochino scontate, ancorché siano curate e valide, ma dam più punto di vista sono abbastanza prevedibili. Il “Diabulus in musica” usato per dare una certa grevità è scontato e poco “ispirato” a mio avviso, oltretutto l’aver portato all’esasperazione alcuni brani lascia ancor più l’amaro in bocca. Per la serie qualche traccia in più e qualche variazione in più non avrebbe fatto male a nessuno, anzi avrebbe fatto bene al cd. Purtroppo viste le lunghissime composizioni senza molte variazioni, la pesantezza e la noia sopraggiungono molto facilmente. Il peggio poi è che a volte pare la prima canzone che si protrae più a luingo, ed invece non si tratta della stessa canzone, ma di un’altra. La cosa che mi lascia perplesso è che tutto sommato, le idee ci sarebbero anche, solo che vengono articolate male e vengono allungate e come si dice da queste parti “allungare il brodo non è mai un bene”. Forse questo album potrebbe trovare il gradimento degli appassionati del genere, black atmosfericoe depressive black, ma per gli altri direi che forse non è il caso.

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APOCRYFAL

“Aberration Of Mind” GENERE: Death metal ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro

Schümperlin

Gli Apocryfal sono una giovane band finnica al secondo lavoro in formato mini cd, dopo il demo “Ravens”, che aveva suscitato un discreto interesse nel 2012. Un lavoro anche in questo caso è autoprodotto ma , come spesso accade con materiale estero, ha un approccio professionale. Non a casoc’è la mano e le idee di Mr. Dan Swanö, per chi non lo conoscesse Dan Swanö è il deus ex machina di parecchie band e parecchi progetti di metal estremo di fine anni 80 e fino alla fine degli anni 90 (Edge of sanity giusto per fare uno dei mille nomi in cui Swanö ha partecipato o fondato). Non avendo avuto la possibilità di recensre il vecchio lavoro non posso far raffronto, ma quello che si sente è un buon lavoro di composizioni, e di lavoro dietro al banco mixer. Gli strumenti dal primo all’ultimo hanno una loro dimensione e sono percettibili in modo chiaro e definito. Ovviamente come dico sempre in ambiti di musica “vecchia scuola” non aspettatevi novità eclatanti, ma godetevi lo spettacolo sonoro che la “old school” vi propone. Ovviamente senza un minimo di abilità dei musicisti Swanö avrebbe potuto far poco. “Contra”, “Mother of all” e “Aberration of mind” sono un esempio di quanto indicato sopra ovvero, death metal fatto come si deve e con le radici ben radicate, e forse un pochino troppo legate, nelle band storiche del panorama estremo scandinavo. Di certo farà la passione e il piacere degli amanti del death anni 90. Ottima prova della band e credo che con questi presupposti ci saranno possibilità future all’interno di qualche etichetta discografica, per ora vi dico di far vostro il cd “Aberration of mind” se volete del death carico, rabbioso, violento e massiccio. Per la band auspico si una continuazione sul generis, ma contestualmente consiglio di staccarsi un pochino dagli stilemi delle band a cui fanno riferimento, per poter evolvere in un proprio suono e in una propria identità.

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FRUSTRATION

“Humanity through the madness” GENERE: Death/black ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

“Humanity through the madness” esce dopo 6 anni dalla formazione dei Frustration, qualcuno potrebbe dire meglio tardi che mai, Band dall’attitudine diretta e grezza con un certo sapore southern e a cavallo tra stoner, sludge e heavy classico. La band nasce nel 2008, dopo la stesura del demo si scioglie (a detta dei fondatori non è chiara la motivazione ). Solo nel 2013 viene riformata la band e si riparte “di slancio” per un nuovo cammino. L’anno scorso questo nuovo cammino ha portato alla registrazione di questo album d’esordio. La cosa che non mi è chiara è la scelta di alcune parti di batteria che risultano poco incisive, troppo ovattate e senza “controllo” alcune dinamiche dei piatti. Il che rende tutto un pochino troppo impastato, le composizioni al contrario sono molto curiose ed interessanti. Purtroppo, va detto, se pur ci sono delle belle emozioni e dei buonissimi rimandi empatici la tecnica di registrazione è piuttosto carente; stessa cosa vale per la post produzione. Capisco tenere alcune sonorità in tipico stile stoner e sludge, ovvero piuttosto saturate e “sporche”, con un occhio vicino a Lemmy, ad Onkel Tom et simila; ma c’è il rischio fondato di interpretare questa scelta come una mancanza grossolana da parte del gruppo e, se per l’esordio possiamo anche in parte soprassedere, su di un secondo lavoro la cosa non potrebbe ripresentarsi senza ripercussioni. “Doom of life”, “The big eyes”, “The worst is yet to come”, la tiletrack “Healthy inner violence”, e “Straightjacket” sono I brani che mi hanno colpito molto, come sempre in ordine sparso, come sempre ascoltate il cd per decider le vostre canzone preferite. Menzione speciale a “Useless tears” che mi ha ricordato tantissimo i Cathedral, pur non avendo minimamente copiato, ma solo avendo dato la stessa malinconia al brano tipica di alcuni pezzi della band Britannica. Concludendo, esordio alla “Ha potenzialità ma non si impegna abbastanza” come dicevano i professori a scuola, ovvero: la band ha le carte in tavola per dare un buonissimo risultato, ma deve applicarsi di più per quanto riguarda le parti di post produzione e di gestione delle registrazioni se vogliono andare oltre la sufficienza. Che dire, non pulito, non originale ma splendidamente piacevole.

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JOHNNY Y LOS SANTOS CALAVERAS “DO and Die”

GENERE: Punk and roll ETICHETTA: Subwix/relief records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Johnny y los santos calaveras, sono al secondo album, questo album che è intitolato “Do e Die” e sono una band stanziata a Novara. La band esiste dal 2008 ed hanno alle loro spalle già un album dal titolo “Rock hell Roll”. Johnny “ El santo Calavera” Basso e canto, Nico “El Simio” chitarra e voce e Stuppune “El Asenio” alla batteria sono il trio che sta dietro a questa prova di musica fuori moda, ma atomica. Fuori moda perché il punk and roll alla Hellacopters, alla Gluecifer, alla Danko Jones, alla Dropkick Murphys, alla Nashville Pussy e con un pizzico di psychobilly non è di moda ed è per questo che è assolutamente speciale questo album. Come se non bastasse ci sono delle chicche tipiche di un certo hardcore senza mezzi termini e sarcastico oltre ogni limite il tutto ben suonato e ben registrato. Unica pecca a mio avviso in questo album sono le tracce live di fine album che per la qualità dei takes non rendono giustizia ne alle tracce proposte e neppure ai Los Santos calaverna per le abilità che hanno i tre. Ottime canzoni come “Coccia libre” (per chi non lo sa il Coccia è il teatro di Novara), “The ballad of Barbara D’urso”, “Love story” e la versione swing di “Eat fast diet young” (già presente nel precedente lavoro in versione “originale”) e “Rock ‘n’ roll Hooligan”. Come sempre fate vostro il cd, ascoltatelo, divoratelo e decidete quali sono le canzoni migliori per voi. In conclusione direi che la band ha dimostrato con questo album di avere abilità sia compositive che di attitudine e di feeling. Di certo la loro proposta musicale non è per chi ha la mania delle mode del momento e per chi non ha passione per la vera e polverosa vena del rock and roll verace e sfacciato. Ennesima dimostrazione che anche l’Italia ha le sue carte da giocare in ambito ri “origini del rock”. Che dire di più, buona la seconda.

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LEATHER ALIVE “Loom”

GENERE: Stoner rock ETICHETTA: Go down records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

“Loom” dei Leather alive esce per la Go Down Records ed è un notevole lavoro. La band è stanziata in quel di Cesena, e sono nati nel “lontano” 2009, si propongono come stoner rock band e devo dire che hanno inserito alcune variabili interessanti allo stoner classico. Che dire d’altrodi loro ? Poco purtroppo perché non hanno lasciato molte note biografiche su di loro ne all’interno del cd (ripieno di immagini e senza neppure un testo o una nota) che nella pagian Facebook. Il che porta di certo a dover parlar di musica, ma lascai a bocca asciutta chi voleva avere informazioni su di loro. Purtroppo non è mai un bene lascaire così tanto spazio “vuoto”. Strutturalmente le canzoni dei Leather alive viaggiano su più binari in contemporanea, ci sono quelli dello stoner più classico, con tanto di venature psichedeliche e liserciche, ci sono quelle del grunge alla Smashing pumpkins e l’hard rock heavy più classico (con piccole derive verso i Metallica per quanto riguarda alcuni vocalizzi); il tutto miscelato in modo da ottenere otto tracce di musica compatta e corposa. Le abilità dei musicisti si sentono e si apprezzano in modo completo, sia dalla composizioni che risultano interessanti e fresche pur rimanendo “fedeli” ai canoni dello stoner ; i midtempo e il basso saturato fanno da padrone in tutto il platter, le chitarre ipnotiche e le batterie avvolgenti. La voce pur essendo interessante e avviluppando il tutto è particolare e fuori dagli schemi, roca ma medio-acuta e non cavernosa come si sente sovente. Personalmente “Bonehead”, “Last man standing”, “The russian chopper” e “Orwell” sono le canzoni che più ho apprezzato nel cd. Come sempre fate vostro il cd e decidete quali possono essere le vostre tracce preferite. Concludendo buona la prova dei Leather alive, consiglio di ascoltarli, perché non suonano “italiano” per nulla se non lo sapessi direi che sono una band americana in tutto e per tutto. Complimenti alla band, ve li consiglio e faccio un consiglio alla band”continuate così, ma per il futuro qualche info in più non farebbe male”.

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MICROMOUSE “Animal”

GENERE: Alternative rock ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Micromouse sono band di reggiana nata nel 2009 e dopo diversi cambi di lineup si presentano a noi con la formazione solida e che ha permesso di affrontare il pubblico con un esordio su undici tracce. La band affonda le proprie radici in ambienti rock alternative, rock psichedelici, un pizzichino di shoegaze e, sotto un certo aspetto, al grunge di fine anni 90. Il loro esordio “Animal” si fa ascoltare già dal primo passaggio. Compositivamente parlando sono easy listening, come poco sopra accennato, con varianti e variabili sono in ambito di arrangiamenti e qualche “orchestrazione” (non nel senso di orchestra, ma nel senso di amalgama dei suoni). Le gincane che la band fa fare all’ascoltatore sono assolutamente morbide e dire ipiù vicine a una serie di morbide curve su di una strada di collina, passaggi da ambiti più psichedelici a quelli vagamente blues a refrain shoegaze tutto avvolto dalla voce di Michelle che oltre a cantare suona anche la batteria. La componente preponderante in questi componimenti è la tastiera e le trame che riesce a tessere per accompagnare chitarra e basso e batteria in questo loro personalissimo viaggio sonoro. A me ha dato buone sensazioni la opener “90”, “An alien as I feel”, la title track “Animal”, “The people of new blind”, “The trees” e “Pierced box”. Come sempre inserite in ordine sparso e come sempre ascoltate Il cd per farvi una vostra personalissima idea delle canzoni che più di altre vi hanno emozionato. Concludendo buona la prova della banda, certo se cercate componimenti complessi non è il cd che è per voi, ma se volete del rock suonato bene e con passione ed una certa aria di “passato” di certo Animal è il cd per voi. Che dire ancora?! Promossi, ecco cosa dire.

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NIHILISTINEN BARBAARISUUS “Synkkä Tuuli”

GENERE: Atmospheric Punk Black Metal ETICHETTA: Horror Pain Gore

Death Productions VOTO: 50/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Nihilistinen Barbaarisuus progett oblack atmosferico particolare. Particolare non per la scelta del genere, ma per la provenienza dei membri della band: Uno finnico e l’altro americano, della Pennsylvania per la precisione. Da quello che leggo nella bio, però la band sta per divenire un solo project, ma le motivazione della dipartita del membro d’oltre oceano non è dato sapere. La proposta in questo loro nuovo album “Synkkä Tuuli” è piuttosto debole a mio avviso. Debole perché non solo ci sono dei grossi errori in fase di registrazione e post produzione , ma anche riff (per la parte non atmosferica) piuttosto prevedibili e troppo ripetitivi. Capisco essere grim e frostbitten, capisco voler fare le cose in modo primordiale, ma non riesco ad accettare dei suoni da “canta tu” o da registratore “fisher price” in un Album/EP/Demo/Promo. C’è la batteria che a più riprese è imbarazzante ascoltarla per i suoni che emette. Stessa cosa per la voce stra ovattata e al punto che non sempre è riconoscibile e completamente percepibile ciò che vien detto. Le chitarre non sono chiare e risultano troppo impastate. La stranezza in tutto questo è che per le parti di chitarra pulite e per quelle di pianoforte i livelli ed i suoni sono ottimali, quindi non mi è chiaro se la scelta di certe risoluzioni sonore sono derivate da errori o da decisioni prese in modo cosciente (e poco proficue a mio avviso). Personalmente credo che questo lavoro sia per gli appassionati e fans die hard del genere, a me non ha lasciato molto se non l’amarezza di sentire riff interessanti sparsi qua e la che non hanno avuto la possibilità di avere lo spazio che meritano e la ricerca musicale ottimale per poter dare il meglio di se. Concludendo dire che PROBABILMENTE il prossimo lavoro sarà meglio, ma questo resta sotto la sufficienza e me ne dispiaccio, come sempre quando debbo “bastonare” una band, ma purtroppo ci sono errori e lacune che non possono essere tenute nascoste. Rimandati.

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PIRANHA

“Seratina easy all’appartamento 9” GENERE: Rock alternative ETICHETTA: Tepoj Majinarte Records/

Mal de testa records VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Soprassedendo alla bio assolutamente fuori dagli schemi dato che , stando alle note della bio, la band nacque nel 1969, peccato che a occhio i ragazzi che compongono i Piranha sono piuttosto giovani. Ma detto questo la loro proposta musicale è un rock con venature blues e psichedeliche che avvicinerebbe quantomeno l’età indicata sulla bio con le musiche proposte. L’ep dal titolo “Seratina easy all’appartamento 9” è una commistione di sonorità ante anni ottanta e rimandi a quello che è un certo tipo di rock alternative dei primi del 2000. Strutturalmente composizioni buone e di livello piuttosto alto. Registrazioni con alcune piccole correzioni da fare a mio pensiero. Le chitarre risultano un pochino basse, quasi come se fossero state registrate con un amplificatore di piccolo wattaggio o con troppa distanza dei microfoni rispetto all’ampli. Le batterie nel complesso buone ad esclusione dei piatti che con le code delle dinamiche completamente “libere” e lasciate “allo sbando” che alla lunga risultano leggermente stucchevoli. La voce buona per le proposte sonore fatte e carino anche il groove del basso che serpeggia in tutte e quattro le canzoni. “Ho finito di non amare” e “Habemus rockstar”, sono delle quattro tracce le due che mi son piaciute di più. Come per altri EP,cd,promo,demo etc… vi consiglio di farvene vostra una copia ed ascoltarlo ne vale la pena nel complesso. In conclusione la prova essendo la prima, può per alcuni errori passare “promosso”, ma di certo se su una prova più lunga o su un secondo lavoro questi non possono essere errori che vanno. Di certo se la band farà tesoro delle mie parole, e di critiche costruttive similari, farà un salto di qualità, cosa che oramai serve per poter andare oltre alle mille proposte che ogni giorni ci sono in ambiente rock e non solo.

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MARCO SANCHIONI

“Dolcemente Gridando Sul Mondo” GENERE: Rock/cantautore ETICHETTA: Autoprodotto/

GT music distribution VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Nuovo album solista per il cantautore italiano Marco Sanchioni, classe 1969, album che arriva dopo “Dieci anni dopo”, diverse apparizioni in album tributo, compilations e demo e questo “Dolcemente Gridando Sul Mondo” segna un ulteriore passo avanti nella sua attività compositiva e di ricerca sonora. Diciamo che facendo metafora Marco Sanchioni è come trovare Guccini che incontra Morgan e decidono insieme di fare un album. Sanchioni riesce a mettere d’accordo le realtà del rock più dispararate da quelle più vicine all’ambito del cantautore più classico a branche de rock pesante, passando per il pop, e persino sotto un certo aspetto anche il punk. Il tutto pur restando coerente alle liriche che propone e alle sonorità che innesta. La chitarra la fa da padrone in questo album e Marco la sa far vibrane in modo emozionale. “Gli intellettuali non salveranno il mondo”, “Il mio girotondo”, “Bimbi di pietra”, “Canzone per me”, “Il potere è adesso” e “Sopravvivere vivendo” sono canzoni che segnano il passo di questo album e che indicano la strada percorsa da Marco. Come vi dico da parecchio fate vostro il cd per poter meglio apprezzare i suoni e le melodie composte da Marco. Molto curata la post produzione, gli arrangiamenti e le orchestrazioni. Purtroppo a parer mio la pecca è che il rimando con Guccini è abbastanza immediato, sia per le tematiche che il metodo di espressione e persino per la lieve imperfezione di pronuncia con la erre moscia molto simile al cantautore bolognese, il che credo sia una “croce e delizia” per Marco, perché certamente glielo avranno già fatto presente e sicuramente la cosa ha avuto delle ripercussioni sia nel bene che nel male nella sua carriera. Concludo questa mia consigliando principalmente questo lavoro a chi è appassionato della musica d’autore italiana con testi impegnati e con spessore. A Sanchioni non mi resta che augurargli solo di proseguire in questo modo, sperando che le nuove composizioni si distacchino leggermente come attitudine da Guccini e dal “cantautorato” di fine anni 70 ed 80.

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SHADOWBREAKER “Shadowbreaker”

GENERE: Hard rock/Heavy ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 55/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Dietro il monicker Shadowbreaker troviamo alcuni membri dei Re-Creation. Di fatto all’interno di questi Shadowbreacker troviamo 4/5 della formazione dei Re-Creation; ingaggiando un nuovo cantante e spostando uno dei chitarristi come bassista, anzi spostandoli entrambi da come è indicato dalla bio, riconfermati anche tastierista e batterista. La proposta della band è di proseguire da dove si erano fermati, facendo dell’heavy classico con ampie sfumature hard rock. Compositivamente parlando le canzoni sono piuttosto prevedibili ed il peggio è che la voce, e le linee vocali di conseguenza, non sono particolarmente varie e sulla “lunga distanza” di tre brani, che compongono questo EP, si nota questa cosa e si sente anche una pronuncia un pochino stentata ed approssimativa. Inoltre le chitarre a più riprese si perdono nel basso e questo credo sia un problema legato principalmente alle scelte di produttive e post produttive. Purtroppo pur essendo un lavoro con sudore e passione , non stupisce, non rimane e si dimentica facilmente il che è tutt’altro che un bene, specie oggi che la musica di band emergenti, più che quelle affermate, ha una durata di “vita” più breve rispetto al passato. Le sonorità a cui la band fa riferimento sono piuttosto palesi, ci sono rimandi agli Iron dei primi album, ci sono delle strutture sonore che ricordano sotto un certo aspetto canzoni di Ozzy (ma non per la voce) e dei Sabbath, sempre del periodo Ozzy, ma purtroppo questo non basta, perché come per altre uscite sul generis c’è la spada di damocle che incombe “piuttosto della copia ascolto l’originale!” Spero fortemente che le potenzialità della band non siano completamente concetrate in queste tre tracce, perché se così fosse consiglio alla band di fermarsi un momento e riorganizzare bene forze compositive e scelte post produttive per il prossimo futuro. Mi spiace ma siamo sotto, se pur di poco, alla sufficienza.

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SIREN

“The Row” GENERE: Rock alternative ETICHETTA: Red Cat Records VOTO: 75/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I Siren, band di Pesaro, esordisce a fine ottobre dello scorso anno con il disco “The Row”, il cd è rilasciato dalla Red Cat Records e distribuito dalla Audioglobe/The Orchard. La band di recente formazione, gennaio 2013, ha ad un anno di distanza dalla “nascita” registrato il loro esordio, nello specifico a marzo 2014; a pochi mesi di distanza la band hafirmato proprio per Red cat records. La proposta sonore della band è rock alternative, di stampo americano senza disdegnare comunque delle risoluzioni sonore abbastanza orecchiabili e radio oriented. Il che non è da considerarsi un demerito, sia chiaro, l’unico mio dubbio è che questa scelta possa in qualche modo aver ridotto le “vie espressive” della band. Pur restando composizioni con nulla di “nuovo” (come molti potrebbero sottolineare), perché composte e strutturate con i classici stilemi del rock alternativo dei primi del 2000; ci sono una serie di cose interessanti e particolari che permettono ai più attenti di gustare delle sfumature del suono dei Siren. Gli arrangiamenti e le orchestrazioni danno spazio ad una serie di sonorità e di strumenti “aggiuntivi” quali archi, fiati, synth e persino delle fisarmoniche. Nel complesso comunque sono canzoni che hanno un certo appeal ed un certo fascino, sia chiaro che sono tracce che non “scivolano” ma che restano in testa; segno che non è musica da “usa e getta” ma che ha un certo peso ed una certa anima. Diciamo che di certo le canzoni proposte dai Siren non hanno difetti in ambito post produttivo, anzi ci troviamo di fronte ad una produzione di alta qualità e di ampissimo rimando d’oltreoceano. Personalmente canzoni quali “Wave”, “Roger sabbath”, “Mission” e “Dr. Saint” sono quelle che più mi hanno preso più delle altre, ma come spesso dico fate vostr oil platter e decidete le vostre preferite. Concludendo, buona la prima prova, ma consiglio alla band di provare ad andare per i propri lidi, senza troppo pensare a quali possono essere le sonorità più sornione o più “in standard” con il genere, perché come nell’alternative così come in qualsiasi genere musicale oramai vi sono si due step differenti alta e bassa qualità, ma vi sono chi è già “arrivato” e non deve più dimostrare (Anche se in questo caso avrei da ridire) e chi deve “arrivare” ed ha un sacco di cose da dimostrare, non ultima l’inventiva e la novità.

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SKOLL

“Grisera” GENERE: Black/Pagan black ETICHETTA: I ed. Ewiges Eis Records/

II ed. Fallen Angels Productions VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Gli Skoll ritornano a farsi sentire dopo quasi cinque anni dall’album precedente. Dietro a Skoll c’è M. The Bard (già nei The True Endless ed Opera IX e molti altri progetti death e black). Facciamo un minimo di storia, e permettetemi posso anche aggiungere alcune parti senza controllare la bio dato che li seguo dalla loro fondazione. Nati nel 94 e.v., come proposta black metal con influenze scandinave e pagane, direi che possiamo tranquillamente definire gli Skoll come prima band black pagan della Penisola. Nel 1996 esce il primo vagito della band “…In the mist I saw…” in cassetta come autoproduzione, l’anno successivo la band entra in una compilation della Velvet Music int. Nella quale troviamo band quali “Nono serviam”, “Agathodaimon”, “Horna”, “The eye”, “Nagelfar”e molti altri della scena europea black . Dal 1998 al 2008 la band riesce a sfornare con cadenza quasi annua diverso materiale, vuoi materialei inedito, vuoi split cd e vuoi tributi e quant’altro. Il problema della band purtroppo è che ha subito diversi cambi di lineup tanto che nel 2000 M. rimase l’unico membro della band, cambio attitudine abbandonando i live e facendo diventare Skoll un progetto da studio. Rimandi a Bathory e alle sonorità di band quali i primi Enslaved e Ulver sono palesi, resta il fatto che la band non fa copia incolla, ma da una proporia versione di quello che sono i propri componimenti. A livello tecnico devo dire che la batteria risulta troppo ovattata a mio avviso, purtroppo in più punti le “opportunità” date alla batteria vengono penalizzate dalle scelte dei volumi e di alcune valutazioni in postproduzione. Pur avendo diversi progetti M. riesce a mio avviso a dare una propria anima ed un proprio “camminio” alle scelte sonore fatte, senza, per fortuna, far sembrare tutto un progetto unico diviso e splittato con altri nomi. Personalmente le scelte di inserire archi e violini (per mano di Lunaris e di Laura Brancorsini). L’album si muove bene e tracce come “Grisera”, “Hrothaharijaz” e “Wolves in the mist” sono canzoni che danno il senso di quello che sta dietro il moniker Skoll. Considerate che con la seconda edizione c’è un brano in più “The bard” e disponibile in cd. Come sempre vi consiglio di prendere il cd e farvelo vostro e decidere quali sono le tracce che preferite. Concludendo questa recensione album di discreta fattura e buona attitudine. Consigliato a chi ha piacere nel metal estremo a 360°.

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SOLARSTEINN

“The challenge of Thor” GENERE: Pagan ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 65/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Solarsteinn è il moniker di un solo project del chitarrista dei Rising Moon Angelo De Innocentiis e propone a l pubblico un promo da una traccia sola da diciotto minuti ispirandosi alle “Norse Ballads” di Henry Wadsworth Longfellow. La traccia è ben composto, si articola bene, se pur particolarmente lunga e con rischi a volte di risultare troppo ingarbugliata. Credo che se Solarstenn avesse deciso di fare un mini concept in merito, dividendo la singola traccia in più tracce si avrebbe tra le mani un’ottima proposta di pagan-death metal. Gli strumenti tutti suonati da Angelo sono ben calibrati e danno un buon rimando alle parti di voce e si amalgamano in modo ottimale e con un buon refrain e con passaggi molto epici di stampo scandinavo. Buona anche la parte post produttiva e di mastering, se pur un minimo di volume in più sulla doppia cassa non avrebbe minimamente rovinato il tutto anzi avrebbe dato una maggior spinta alle parti veloci. “The challenge of Thor” è una buona prova, non darò un voto alto per il fatto che sia stata proposta una singola canzone, anche se oltremodo lunga, per il semplice fatto che alter band ed altri progetti musicali hanno proposto e propongono più materiale su cui far valutazione. Sia chiaro che Solarsteinn per quanto mi riguarda è un progetto da seguire e da sostenere se manterrà le attuali caratteristiche e se nel prossimo futuro porporrà altro materiale di così alta qualità.

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STARS CRUSADERS “New Horizons”

GENERE: Electropop/synthpop/Electro Sy-Fy ETICHETTA: WTII Records VOTO: 85/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

“Spazio profondo, ultima frontiera. Data astrale…”. No non sono matto, gli Stars Crusaders si propongono come fusica del futuro o meglio musica dello spazio, quindi perché non iniziare così la recensione? Loro per la precisione si propongono come “Sy-Fy Electro” e vengono da Torino e debuttano con questo “New Horizons”. Sulla band c’è poco da dire se non che sono nati un anno fa, dal connubio di tre musicisti appassionati di elettronica e di fantascienza e sono stati prodotti dal Deus ex Machina dei Mind.In.A.Box., il che è tutto dire! (e sentire) “New Horizons” non suona minimamente “italiano” anzi ha un ottimo suono mitteleuropeo tipico di certi gruppi di elettropop e synthpop attuali e della decade precedente. La composizione, in primis e la produzione, in secundis, sono eccellenti e dimostrano sia la maturità dei membri della band al secolo: Yeda Furyan (Fabio Furlan), Symorg (Simone Fornaro) e Davedax (Davide Gay). I takes essendo in ambito elettronico sono precise e calcolate in modo ottimale, va da se che in situazioni di questo genere, e dell’elettronica in generale, le melodie, gli arrangiamenti e le orchestrazioni sono le parti che la fanno da padrone. I torinesi ne sanno a pacchi in merito e lo dimostrano. Poi di certo la mano del loro produttore si sente ed ha sicuramente dato una mano direttamente e indirettamente. La cosa che più mi ha colpito oltre alla musica, è anche il concept che sta dietro a questo album d’esordio. Siamo nel 2514 e la terra non è più un posto abitabile per i 10 miliardi di persone; come nel film “Elysium” c’è un gruppo minoritario di umani che abita in una stazione orbitante intorno alla terra e sia quelli sulla terra che chi è sull stazione orbitante attendono di poter insediarsi in nuovo pianeta, questo pianeta si chiama Hydra e … il resto non ve lo svelo. Dovrete ascoltare il cd. Personalmente amo tantissimo “Mothership”, “Time travellers”, “Supermarket signs”, “Aeterna” e “In the venusberg”. Come sempre in rigido ordine sparso e ancor di più di altre volte vi consiglio di ascoltare questo esordio e di seguire la band. Concludendo ottimo lavoro, belle composizioni e spettacolare concept. Mi sarei aspettato qualche cosa di più dalla copertina, ma è un “peccato veniale” che per un esordio è comunque perdonato. Consiglio a chi ha passione per il dark a tutto tondo e per chi ha piacere di ascoltare delle composizioni “out of space”.

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THE SHIVER

“The darkest hour” GENERE: rock ETICHETTA: The alternative factory VOTO: 72/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I The Shiver nascono come progetto nel 2005 dall’incontro tra Federica “Faith” Sciamanna (cantante e compositrice) e Francesco “Finch” Russo (batterista). La band dagli esordi ad oggi ha macinato esperienza ed ha definito il suo attuale suono stando in bilico tra sonorità tipicamente rock con rimandi elettronici e vagamente gothic metal.Il gruppo vanta, tra le altre, tour in tutta Europa e persino l’aver condiviso il palco con band quali: The Ark e Papa Roach , Misfits e molti altri. Il combo è al suo terzo studio album full lenght ed un EP “The Acoustic Experience #1” del 2011 uscito in versione acustica. Gli altri due album portano il nome di “Inside” e “A New Horizon “ rispettivamente del 2008 e del 2010. Entrambe i lavori sono usciti per due etichette differenti, il primo lavoro uscì per la label indipendente Uk Division Record ed il secondo per Aural music/Dreamcell11. “The Darkest Hour” è stato preceduto da due singoli:“Ocean” e “The Key”. Se dovessi fare un rapporto con latre band i The shiver li vedo come una versione italiana e con voce femminile dei Finnici Poets of the fall. Non perché copino o cose del genere, ma le sonorità e le melodie ricordano molto la band finnica nota ai più per la colonna sonora di Max Payne 2 (il videogames noire dei primi 2000). Compositivamente parlando questo è un lavoro maturo ed interessante, carico di atmosfere particolari e di ricercatezza sonora senza minimamente abbandonare e feeling e tecnica. La voce è interessantissima ed è una delle poche che a mia memoria in questi ultimi cinque anni propone la propria voce senza dover usare il cantato lirico o il simil cantato lirico. A dimostrazione che le donne sono in grado di cantare e che hanno delle belle voci senza dover impostarla o peggio sforzarla a livelli assurdi per MODA. Il resto della strumentazione è incastrata in modo da ottenere un portentoso quadro e regalando di fatto non solo sensazioni, ma anche abilità e capacità della band. Ottime a mio avviso tracce quali “The secret”, “Bury”, i due singoli che aprono l’album “Ocean” e “The key” e menzione d’onore per la versione acustica di “Now I forget” che è una bonus track molto intensa ed emozionante. Come sempre ve le ho proposte in ordine sparso e come sempre vi esorto a far vostro il cd in modo da poter valutare di persona quali e quanto possano essere per voi le tracce migliori di questo lavoro. Per concludere, “The Darkest Hour” è un album che va oltre la sufficienza; è un album che segna un nuovo passo per i The Shiver. L’unica pecca che possiamo trovare a questo album è derivata da una non sempre immediata memorizzazione di taluni brani.

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THE SUNSHINE UNDERGROUND “Nagual”

GENERE: Drone-ambient ETICHETTA: Tepoj Majinarte Recods VOTO: S.V. RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I The sunshine underground sono un collettivo musicale italiano, da non confonderli con la band britannica che fa indie rock,e si presentano a noi con questo “Nagual”, album-promo-ep- demo (non so come definirlo) di una sola traccia distribuiti in modo gratuita dalla Tepoj Majinarte Recods di musica drone ambinet. Non ci sono informazioni in merito alla band e unica nota di copertina della traccia è l’indicazione su come ascoltare il pezzo, rispetto a come è stato registrato e le motivazioni che stanno “dietro” a questa scelta di registrazione. Assolutamente ostica come canzone, traccia che dura più di venti minuti ed è una fucina di ridondanze, di echi di ossessionanti suoni e di distoniche armonie. Siamo in ambito di arte sonora concettuale e non si è di fronte a composizioni “euclidee”, quindi è più che comprensibile il fatto che non sia facile parlarne se non si è esperti del genere ed avvezzi a quelle sonorità. Concludo questa recensione consigliando questo brano ai soli appassionati dell’ambient drone, per gli altri… provate ad ascoltarlo, è a distribuzione gratuita, ma siate coscienti a cosa andate incontro. Personalmente non do voto per la singola traccia, non perché non sia un lavoro concettualmente interessante sia chiaro.

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WRONG ERA “The Wrong”

GENERE: Hard Rock ETICHETTA: Logic(il)logic Records VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

I mantovani Wrong Era si propongono a noi con un mix tra hard rock, grunge e una spruzzata di rock italiano alla Timoria dei vecchi tempi. L’esordio omonimo è composto da sei brani che mi ricorda molto Pedrini , Renga & co. del periodo che fa da “storie per vivere” a “2020 speedball” ma con diversa attitudine. Ovvero la band essendo un trio e volendo, a mio avviso, restar fedele all’approccio più da palco ha lasciato alcune delle tecniche di abbellimento dei Timoria da parte, andando a pescare in ambiti più “polverosi” e più “grezzi” se vogliamo. Non male le composizioni, pur restando un classico hard rock abbastanza radio oriented, propongono a più riprese delle risposte sonore carine. La cosa che qua e là mi lascia perplesso è la scelta di non armonizzare meglio i soli delle chitarre al resto della canzone e ciò avviene sovente. Non mi è chiaro se è stata una scelta decisa con criterio di dare quel suono troppo “transistor anni 90” alle chitarre durante i soli oppure se è stata una svista in post produzione. Inoltre i testi, se pur la scelta della band la considero piuttosto coraggiosa, avrei provato ad affinare di più la “lama” della penna con cui son stati scritti. Questo perché essendo il mercato italiano piuttosto difficile e di limitata portata, certi meccanismi e certe scelte vanno soppesate bene, sia dalle parole (e nello specifico le rime baciate o per assonanza etc…) che dalla dizione. Non che con l’inglese si possa ovviare sulla dizione, ma a volte si riesce a “giocare”, mentre l’accento delle proprie origini sovente si sente se non si è provato a far dizione. Sono abbastanza combattuto, “Non son torpore” e “Vittima e carnefice” potrebbero essere le canzoni con la opener “Perfect li(v)es” a dare il senso di quello che la band vuole proporre a pubblico. Coem sempre fate vostro il cd e decidete con le vostre orecchie quali possono essere le tracce per voi migliori. A mio avviso i Wrong Era si sono mossi tutto sommato bene, se pur vi sono ancora delle cose da affinare e da aggiustare; il mio augurio è che possano trovare una quadra per ottenere un minimo di loro visibilità in un mercato oltremodo saturo che è quello del rock italiano.

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ZILTY

“Il basso addormentato nel bosco” GENERE: Musica elettronica/drum and bass ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 70/100 RECENSORE: Alessandro Schümperlin

Zilty è un progetto molto particolare, ambizioso e simpatico allo stesso tempo. Una combinazione esplosiva fatta da Zilty, appunto, e B3st che sono rispettivamente basso e VST e Batteria e VST di questo progetto. Quindi si parla di musica elettronica e nello specifico delle sonorità molto, drum and bass e non solo. Questo EP è un continuo movimento e una continua variabile che sfugge al controllo dell’ascoltatore. Purtroppo di loro si sa nulla, il che non è sempre un bene, (lo scrivo da molto, dare informazioni sul proprio progetto serve a voi in primis) possiamo solo dire che in questo EP non è stato minimamente maltrattata nessuna chitarra. Ovvero in questo EP ci sono bassi, batterie e tanti VST (che per chi non è avvezzo sono strumenti sintetici dato che VST vuo dire: Virtual Studio Technology) la proposta della band se pur con premesse modeste dimostra tranquillamente che se si hanno le idee in testa ottime si ottengono ottimi risultati. Non dico molto della parte tecnica, dato che le composizioni sono ottime, le registrazioni sono più che dignitose e l’uso dei VST è fatto in modo splendido ed in alcuni casi direi che chi non è del “giro” faticherebbe a credere che sono sintetizzatori quelli che suonano (oltre al basso ed alla batteria). Questo è un EP che sia per chi è appassionato di musica elettronica a 360° che per chi ha la passione per la musica buona , troverà tranquillamente ottimi spunti, ottime riflessioni e ottime tracce. Per me le migliori sono “Neutral”, “Haste!”, “Sun-De-Rika” e “Lemon cake”. Concludo con un plauso a Zilty ed al suo “Il basso addormentato nel bosco” perché mi ha garbato oltremodo e mi ha permesso di spaziare un pochino “più in là” di quanto non fossi già diametralmente scollegato dai meccanismi di genere. Complimenti vivissimi e ve li consiglio vivamente. Ovviamente il voto è leggermente basso per il solo quantitativo di brani proposti (come da mia “politica” sulle recensioni) rispetto a band similari che hanno proposto un album intero.

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AMBRA ROCKESS “Holy Hell”

GENERE: Alternative Rock ETICHETTA: Believe Digital VOTO: 80/100 RECENSORE: FreeZone

Ambra Rockess, cantante e autrice che dall’età di 11 anni grazie ad una tastiera giocattolo si dedica alla composizione di canzoni sia in lingua inglese che in italiano. Da allora non è più riuscita a fermarsi tanto da portarla nel corso degli anni a vincere numerosi premi tra cui Giffoni Music Concept, Premio della Critica What’sUp, Downlovers Award (7chords,2008); M.E.I. (Meeting Etichette Indipendenti) 2008, Lingua Rock 2010, Etna Rock 2009. Solo nel 2013 dopo l’incontro con Umberto Ferro (produttore) riesce a realizzare la sua prima opera “Holy Hell”. L’album è Alternative Rock, o come piace definirsi ad Ambra Rockess “Female Intimate Rock”, al canto una fenomenale voce femminile, agile senza mai perdere quell’intonazione tra ragazza difficile e sensibile che la rende unica (e che le viene, passando per Tori Amos, Kate Bush, Elisa, Bjork), sorretta dalla distorsione della chitarra di Umberto Ferro. Brani come “Holy Hell”(da cui prende il nome l’album)e “So Fucking Beautiful” fanno da padroni, passano tra riff polverosi e ritornelli a volte più acidi che romantici ad assoli di pianoforte e voce. Non mi stupirei di sentire uno di questi brani nella colonna sonora di un film di Christopher Nolan o Michael Bay. Il sentore italiano arriva con “I tuoi occhi” e “La nostra vita all’inferno”, due brani eccellenti, orecchiabili, ottimi per il passaggio in radio, il primo una ballata da cantare a squarciagola passando al secondo brano che prende dei connotati caustici tipici di un amore tormentato, insomma un album eclatante. “Holy Hell” e scaricabile on-line su tutti gli stores digitali, ve lo consiglio.

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BIAS

“Heart & Mind” GENERE: Rock/ Hard Rock ETICHETTA: Indipendente VOTO: 80/100 RECENSORE: FreeZone

I BIAS nascono nel 2012 da un’idea di Giorgio Lai che solo nel Marzo 2014 trova la formazione ufficiale con Giorgio Lai (Voce principale, chitarra e tastiere), Enrico Deiana (chitarra e cori), Alessio Damasco (basso), Ivan Camboni (batteria) e Maurizio Baduena (tastiere e cori); i quali entrano in studio per formare l’EP Heart & Mind. Un concept album, dalle chiare sonoritá rock progressive nascoste da una spiccata vena melodica, e con influenze del classico hard rock. Il pezzo che apre l’EP non può essere che “Heart & Mind” , percussioni molto basilari ma la presenza principale della tastiera è la summa della proposta artistica di Lai, la canzone è un uptempo melodico e accattivante, liriche azzeccatissime, a tratti ricordano l’indimenticabile Robert Smith. La seconda traccia è “Fake World”, una tra le meglio riuscite dei BIAS, groove coinvolgente e melodie altalenanti impreziosiscono un brano in cui tutti gli esecutori si amalgamano alla perfezione. “The Inner Enemy” si trasforma in una song tipicamente 80’s, arrangiato sapientemente il brano si lascia ascoltare volentieri, la successiva “Never Give Up” è una track veloce susseguita da assoli di tastiera e chitarra, in particolare modo la tastiera porta a pensare ad i BIAS come il glam del nuovo millennio. La conclusiva “Like a Summer Storm” è la canzone perfetta per cocludere l’EP, incredibilmente ruffiana e ammiccante nella quale le alte tonalità liriche dimostrano che l’idea di Lai è brillante.

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FIORINO

“Il masochismo provoca dipendenza” GENERE: Cantautorale ETICHETTA: Frivola Records VOTO: 80/100 RECENSORE: FreeZone

Marinaio-Cuoco della Spezia, Matteo Fiorino inizia a scrivere canzoni a 27 anni, dopo varie vicissitudini nel 2011 da vita al suo progetto cantautorale FIORINO, auto producendo la sua prima esperienza discografica “L’esca per le Acciughe”. Nel Gennaio 2015 esce la sua ultima opera “ Il masochismo provoca dipendenza”, LP nel quale tira somme di vita non ancora dimenticate. Un guazzabuglio, nel senso buono, contenente tracce brillanti con temi contemporanei accompagnati da un’evoluzione musicale intelligente. Un giro di valzer fantozziano accompagna “Stornello dell’interfaccia”, prima traccia dell’ LP, ballata degna dei più conosciuti chansonnier francesi con versi colossali come “La paura fa 90 ma a 90 fai paura”, ascoltatela e capirete. “La Buona Occasione” come la definisce Fiorino è una “dallata in piena regola”, anche questa una ballata dove se si vuole racconta la sua crescita musicale, orecchiabile che già dal secondo ascolto entra inevitabilmente nel canterellare quotidiano, la romantica “Amanda” a tratti si infrange in un primordiale progressive, un passaggio emotivo, generazionale, funzionale allo svolgersi, il testo si può leggere come un ricordo alla vecchia e compianta moneta. La rumba rocheggiante de “L’esca per le Acciughe” scuote il sistema nervoso tanto da non poter trattenersi dal ballare, nello specifico in questa traccia decanta il suo disappunto nel falso allarmismo e la scadente informazione che quotidianamente ci stressa le menti. L’album continua con atmosfere raggae in “Verme solitario Antropomorfo”, una divertente sincopata su giovani donne emancipate, ma non troppo. “Senso di colpa” è pesantemente influenzato dalle credenze e abitudini nazionali, capace di generare un effetto a catena tra ascolto ed il collegamento celebrale, un folk/rock italianizzato che svela la musica popolare caduta nell’oblio. Tutti noi abbiamo un amico che quando si “accasa” sparisce dalla circolazione o comunque ostenta una certa superiorità rispetto a chi non lo è, questo si traduce in “Mauro” , un lento ska americano anni 60, con vocalizzi ben assestati e ironiche battute su questo nostro amico comune.

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Le assurde disavventure di Fiorino non finiscono mai e le racconta in “Caratteri Dominanti” e “Borghesia Napoletana”, due ibridi di rock progressivo che riescono a creare una fusione particolare e distintiva affrontando tematiche che noi tutti ben conosciamo. L’album si conclude con “Stoner di Portorotondo”, traccia dai ritmi lenti e accordature basse con una voce melodica e una produzione di vecchio stampo che induce a rievocare atmosfere tipiche di località turistiche e dei loro avventori. “Il masochismo provoca dipendenza nella misura in cui, col passare degli anni, migliora performance nel ripetere gli stessi errori, Insomma, si deventa bravissimi a sbagliare”, cosi Fiorino definisce il proprio LP d’esordio. Bhè speriamo che tu “sbaglia” molte e molte altre volte, “Il Masochismo provoca dipendenza” è un album dissacrente, ironico, che frantuma ogni convenzione e diventerà di sicuro uno dei capisaldi della canzone d’autore italiana.

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FOUR GREEN BOTTLES “Step”

GENERE: Alternative Rock ETICHETTA: Irma Records VOTO: 70/100 RECENSORE: FreeZone

Nel Febbraio 2009, nei pressi di Padova, cercando suoni di chitarra distorti, testi trasgressivi e attitudini ribelli nascono i Four Green Bottles. Dopo aver autoprodotto il loro primo EP “Believe The Thief”, il quale ha permesso al quartetto patavino di esibirsi in tutta la regione, a Maggio 2014 firmano per l’etichetta Irma Records con la quale nel Novembre dello stesso anno produrranno il loro primo full lenght “Step”. Album giovane, energico come richiama la prima traccia “Hurricane”, i riff schiacciasassi non mancano, la batteria è sempre ben presente la quale ben mixata con il basso crea una malgama che pulsa con efficacia per tutti i 3:10 min. che la compongono. “My Home” è una ballad sinuosa volutamente frenata, viziosa, comunque traquillizzante con quel riff arpeggiato esplodendo a tratti in un elementare, eppure stravagante, vena adolescenziale. L‘album continua sulle note di“Wind”, formula vincente eseguita con chitarre arroganti che accompagnano un testo capace di dipingere squarci di vita. giovanile, “You live what you feel” e “Supernova” contribuiscono a trascinare il disco, grazie ad un nuovo cocktail ubriacante di chitarre tese e vocals cantilenanti. La nota italiana arriva da“Ora che”, quello che spicca inizialmente è il piacevole giro di basso persistente, voce più pulita ma non meno tagliente e d’impatto si fa apprezzare sin dall’inizio dove le parole assumono le sembianze di vere e proprie sferzate di cianuro che si innestano nella mente dell’ascoltatore. A discostarsi dall’umore generale è invece quella che va a sigillare l’album,“Hands”, quieta ed innervata appena da qualche bagliore di chitarra elettrica. I “Four Green Bottles” riescono a colpire, più che per originalità, per immediatezza ed energia, comunque resta una della band dal potenziale più interessante della scena padovana.

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LEITMOTIV “I Vagabondi”

GENERE: Folk/Rock ETICHETTA: La Fabbrica VOTO: 75/100 RECENSORE: FreeZone

Band pugliese fondata nel 2001 i LEITMOTIV fanno parlare di se già dai primi anni di attività grazie alla loro miscela di Rock, Folk e Pop. Vincono molteplici premi nazionali tra cui l’Arezzo Wave che li spinge al loro esordio discografico portandoli a varcare i confini andando a Skopje e Siviglia. Dopo centinai di concerti alle loro spalle e ormai una radicata esperienza musicale escono con la loro ultima incisione “I Vagabondi”, dieci brani che compongono un viaggio musicale attraverso le varie sfaccettature della band, sintetizzando le loro esperienze. Partono energici con “Ad occhi chiusi” , una boccata d’ossigeno vitale e rassicurante in un mare di musica ormai apparentemente sconnesso. Cosi accade che dopo pochi ascolti sprigionino lentamente la loro poesia, grazie a brani come “Testa di Paglia”, “Niente da Perdere” e “Passi” , talmente preziosi d valere da soli il disco. I quattro accordi di piano che accompagnano la ballata “Madama Milano” spiccano come piccole gemme su di un ramo, “Coriandoli”, “Sintomatica” e “Diciottenni” continuano a tessere la tela con ricercate liriche, bassi onnipresenti, diesis che fanno venire al pelle d’oca. “I Vagabondi” dà meritatamente il nome all’album, un brano che si differenzia da tutto il resto, il testo fa riflettere da subito l’ascoltatore, il giro di basso e superlativo, mille sonorità che sbucano dopo ogni repeat, non ti stanchi mai di ascoltarlo. La conclusiva “Marinai” finisce per trasformarsi in un caleidoscopio di frasi, che si compongono e ricompongono nella testa di chi ascolta come spezzoni di conversazioni ascoltate per caso e rimaste in mente. Sono pochi i gruppi che mettono in mostra la stessa bravura musicale, la stessa capacità di pensare in termini di suono, la propria visione e trasformarla in CD.

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L’INVASIONE DEGLI OMINI VERDI “16 anni dopo”

GENERE: punk hc ETICHETTA: indie box VOTO: 100/100 RECENSORE: Milo

Sono fondamentalmente da queste “piccole” cose che capisco che il tempo,inesorabilmente, passa .. Ricordo,come fosse ieri, i primi live e le prime canzoni degli OMINI, ed ecco invece che mi ritrovo ad oggi ,con la conferma ben evidente che invece,di anni, ne sono passati ben 16. Ed è proprio per festeggiare questo ottimo traguardo che la band ha deciso di far uscire “16 ANNI DOPO”, un doppio cd, in cui si possono trovare raccolti tutti i maggiori successi della band. Fare una semplice raccolta però,era una cosa troppo fredda e distaccata ed ecco quindi che, gli OMINI ,hanno deciso di entrare in studio e registrare nuovamente i maggiori successi di sempre, regalando nuova vita e nuova linfa vitale ai pezzi. “Dopo 16 anni sui palchi” dice la band , “è naturale che i brani abbiano subito un’evoluzione, dei riarrangiamenti, a volte piccoli, altre volte sostanziali, vuoi per gusto o per semplice ispirazione del momento. Tutto questo ha dato, negli anni, ai nostri brani un’aria diversa, più fresca e sempre attuale. Abbiamo deciso che, per celebrare la nostra lunga carriera, avremmo potuto re-inciderli e sentire cosa sarebbe accaduto. Abbiamo scoperto con sorpresa che le nostre canzoni non sono invecchiate affatto. Moltissimi testi sono ancora più attuali di un tempo, la potenza è quintuplicata e ora suonano come li avevamo in testa tanti anni fa… sono più belli, sono tutti nuovi!!” E come dare loro torto? Il primo cd scivola via tutto d’un fiato tra i ritmi HC di “STELLA” “GIORNI INSTABILI” “98” “MONDO A PARTE” fino ad arrivare alla tranquillità e malinconia di un rifacimento da 100 e lode de “LA LINEA DEL TEMPO”. 23 in totale i pezzi del primo cd , e credetemi ragazzi.. sono tutti da pelle d’oca!!! Il secondo Cd invece è molto più soft del primo infatti impressi al suo interno troviamo un totale di 8 brani ovvero: 3 inediti, una bside (E C’E’), 1 cover (POLICE IN MY BACK dei CLASH), 2 canzoni acustiche (NATO MORTO e ANCORA QUI) ed infine la versione radio de IL TEMPO IN SCATOLA.

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Da dove cominciare? Gli inediti continuano il percorso innovativo a livello compositivo che il gruppo aveva iniziato ad intraprendere con “IL BANCO PIANGE”. Personalmente le trovo molto belle, complesse nel loro insieme, di certo sono canzoni che necessitano di più ascolti per essere capite e amate. Bellissime le acustiche, come anche la versione di E C’E’. Particolare la cover di POLICE IN MY BACK, fa un po’ strano sentire ALE cantare in inglese.. questione di abitudine!!! Che dire.. 16 ANNI DOPO spacca davvero e “segna un punto di demarcazione tra ciò che fu e ciò che sarà”.

Tanti auguri OMINI.. altri 100 di questi 16 anni!!!

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NH3

“Rise up” GENERE: Ska core ETICHETTA: One step records VOTO: 90/100 RECENSORE: Milo

RISE UP, uscito sotto la ONE STEP RECORDS a fine 2013, è il terzo lavoro in studio degli NH3, gruppo SKA-CORE pesarese, che proprio quest’anno festeggia il 13° anno onorato di carriera. L’album ,è , come loro stessi amano definirlo, molto “Combat” grazie a dei testi sempre molto politicizzati e socialmente impegnati in una lotta costante contro tutte le ingiustizie che la gente comune è costretta a subire ogni giorno. Le tematiche spaziano da temi molto delicati ed attuali appunto,come la diversità e l’omofobia, fino ad arrivare a temi un po’ meno pesanti ma più spensierati, come il calcio. Strumentalmente questi ragazzi spaccano davvero, e riescono a confezionare canzoni che risultano essere molto orecchiabili e fruibili anche da chi non segue pienamente il genere. Da segnalare le numerose collaborazioni presenti in questo album; “AGAINST RACISM” ,che è stato anche il loro primo singolo, vede la partecipazione di ENRICO (LOS FASTIDIOS) ed il DUCA (REDSKA), su “VENTO RESISTENTE” invece c’è la presenza di DEMA (TALCO). Presente invece su “RUDE LOVE” e “PER UN FUTURO DIVERSO” DE VEGGENT (ex REDSKA) che con le sue tastiere da un pizzico di armonia e colore in più. Trovo che RISE UP sia veramente un gran bel lavoro, ed è per questo che vi invito ad ascoltarlo e vedrete che di certo non vi deluderà. Chiudo con una frase non mia ma che racchiude tutto il senso di RISE UP e degli NH3. RISE UP è un album potente e sanguigno, che parla della gente e che è rivolto alla gente in un momento storico in cui sembra essersi perso il filo logico e umano delle cose.

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PLANKTON DADA WAVE “Haus of dada”

GENERE: Funk/ new wave/post punk ETICHETTA: Ghost records VOTO: 75/100 RECENSORE: Milo

Loro sono i PLANKTON DADA WAVE, vengono da Varese e ci presentano il loro secondo EP che uscirà in Aprile sotto la GHOST RECORDS. L’EP verrà prodotto unicamente in formato vinile da 10”, una chicca quindi per gli amanti del vinile. “HAUS OF DADA” è un mix micidiale di sonorità ,a volte dissonanti tra loro , che difficilmente si riescono a racchiudere in un unico genere distinto. Ci sono dei grandi richiami al funk , specie nella sezione ritmica ,con giri di basso importanti a cui però vengono accostati suoni di chitarra che ci riportano a sonorità new wave e alle canzoni dei famosi anni 80 grazie anche alle incursioni di suoni campionati. Le liriche sono veramente fuori di testa, con testi che sembrano essere ironici.. dico sembrano perché ,se devo essere sincero,non ho capito molto!!! HAUS OF DADA è il classico album che o si ama o si odia, non esistono vie di mezzo.. e come amano definirlo loro stessi “è una lotta sia al fighettume indie sia al machismo rockettaro”. Ascoltare per credere!!!

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RAZOR CUT “Rise again”

GENERE: Street punk oi! ETICHETTA: Rebellion records VOTO: 90/100 RECENSORE: Milo

Dopo varie partecipazioni a compilation, due EP ed un mini LP, ecco finalmente vedere la luce il primo FULL LENGHT degli australiani RAZOR CUT , che esce sotto le ali protettive della REBELLION RECORDS. Potente al punto giusto, “RISE AGAIN” non delude le aspettative che si erano create con i lavori precedenti, anzi, il gruppo ha saputo spostare ancora più in alto il limite,forti di una maggiore maturazione a livello compositivo. Ottimo il lavoro alle chitarre di BEL (entrata nel gruppo solamente a settembre) , che ha saputo dosare egregiamente ed equamente melodie e parti ritmate con sonorità calde ma graffianti al tempo stesso, che bene si amalgamano alla voce unica e potente di AL. Perfetto anche il lavoro alle sezioni ritmiche di DOZ e SNAZ (basso e batteria). Semplicemente perfette infine le doppie voci presenti in tutti i pezzi che rendono ancor di più “RISE AGAIN” un album che non può mancare nella vostra collezione di Cd. Chiudo con la notizia che i RAZOR CUT quest’estate saranno in giro per l’Europa…. Passeranno anche per l’Italia? Bè.. sta anche a voi lettori deciderlo..

Several partecipations to various compilation, two Ep and a mini Lp later, the australian band “RAZOR CUT” have released their first Full Lenght under REBELLION RECORDS. “Rise Against” is a powerfull album, that doesn’t disappoint the expectations created by the previous works. On the contrary, the group has been able to rise their limits, thanks to a greater maturity level composition. Excellent work on guitars of BEL ( new entry of the group, just from September), who has been able to measure out very well the melodies and rhythmic parts with warm but scratchy sounds at the same time, that well amalgamate to the unique and powerful voice of AL. The rhythm sections by DOZ and SNAZ is totally impeccable ( bass and drums ) . And perfect are also the background voices, in all the songs, that make “ RISE AGAIN “ even more an album that cannot miss in your CD collection. RAZOR CUT this summer will be touring around Europe ... . Even in Italy ? Well .. it’s up to you, readers, to decide for ..

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CAVAVERMAN “8 bit from hell”

GENERE: Horror punk ETICHETTA: Autoprodotto VOTO: 85/100 RECENSORE: Milo

Grandissimo ritorno quello dei CAVAVERMAN che ci presentano il loro nuovissimo EP “ 8 BIT FROM HELL”. Si sa, a volte cacciare gli zombie comporta molta pazienza e tempi morti e cosa c’è di meglio se non ingannare il tempo con i vecchi ed amatissimi videogames? E sono proprio i videogiochi che si trovavano nei bar a cavallo tra gli anni 80 e 90 a dare nome ai pezzi di questo EP che non deluderà di certo i fans dell’horror punk e del nostro trio brianzolo. Gran bel lavoro ragazzi!! Continuate così!!

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WOODOO DOLLS “Sempre in mezzo al..” GENERE: Skacore ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Milo

Loro sono i WOODOO DOLLS, vengono da Canadese e ci presentano il loro ultimo EP uscito un paio di mesi fa.. “SEMPRE IN MEZZO AL..” è un album di 4 pezzi in cui questi ragazzi ci allietano e ci fanno ballare sulle loro note e ritmi prettamente SKACORE, loro stessi si definiscono “ska-core & baldoria” (.. e questo già anticipa come possano essere i loro live…). Le canzoni sono tutte molto ben strutturate, e non risultano essere noiose o ripetitive. Le sonorità si rifanno per la maggiore a quelle di gruppi famosi d’oltreoceano (uno fra tutti MAD CADDIES) , anche se in certi passaggi, e questo soprattutto per via del cantato in italiano, ricordano i primi lavori dei PERSIANA JONES. Ottimo lavoro ragazzi, ora attendiamo l’album vero e proprio!!

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THE ANTHONY’S VINYLS “Like a Fish”

GENERE: Funk/indie rock ETICHETTA: VOTO: 65/100 RECENSORE: Max doctor rock ugolini

Sono abbastanza spensierati gli Anthony ‘s vinyls che con il loro mix di funk e indie rock spaziano tra ritmo sfrenato squarci di surf rock che fa’ molto California’s mood, giri di basso sempre presenti sino ad arrivare ad una voce complementare ma non per questo fondamentale. L’inizio è con Chromatic games dove troviamo basso e batteria a dirimere un duello fra chitarre,una ritmica e l’altra a ruota libera e a volte lasciano a casa chorus e delay per diventare più distorte e accattivanti. Stesso discorso per My mister Shouts come anche in just can’t get enoughdove i giovani romani ci invitano a ballare come se non ci fosse domani. Più lente, rock e che lasciano piu’ spazio alla voce sono invece running man my body e like a fish : Si ritorna a cassa dritta e alle danze con <poppy per poi arrivare a radio obsession sino alla chiusa di the train of ther life dove la batteria la fa’ da padrona.

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RECENSIONI

GALERA

“Sanguine” GENERE: Hardcore, blast beat ETICHETTA: VOTO: 75/100 RECENSORE: Lidel

I Galera sono una band con influenze converge, testi in italiano. L’ep di 6 pezzi “Sanguine” è rabbia, sudore, sangue con attitudine molto anni 80, il che è un bene. “Fuggiasca” dà il benvenuto con la leggiadria di una mitragliatrice, “Punk is dead” continua a martellare senza pietà, “Padre pedofilo” dà la mazzata finale. Le altre 3 canzoni sono all’incirca uguali. Questo comporta un grande problema per me: ho avuto un po’ di difficoltà a capire quando finiva una canzone ed iniziava quella seguente. I Galera sono una band esclusivamente da sentire live, in disco, nulla da dire sulla registrazione, impatto, cattiveria ma un minimo di varietà avrebbe giovato parecchio anche se già in “Cantastorie” e “Yankee” i blast beat aiutano a mitigare un po’ il senso di noia che mi ha attanagliato. Mi voglio soffermare un po’ proprio su “Yankee”, il miglior pezzo dell’ep che è di tutto altro livello. Se i ragazzi riusciranno a partire come base da questo pezzo, non credo avranno problemi a farsi notare ancora di più nel panorama hardcore pesante.

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RECENSIONI

TERAPIA DELL’ODIO “Due minuti d’odio”

GENERE: Hardcore. metalcore, post hardcore,

screamo ETICHETTA: VOTO: 65/100 RECENSORE: Lidel

Ep di 6 pezzi dal titolo “Due minuti d’odio” per i Terapia dell’odio, band hardcore fortemente influenzata dal metalcore, post-hardcore e dallo screamo. Il primo pezzo “Aula 325” parte dopo un intro inutilmente lungo 44 secondi per lasciare spazio ad una mazzata molto anni 80 per l’approccio con la musica, “Marchio indelebile” unisce riffoni metal ad una batteria hardcore con qualche incursione in generi più pesanti, “Massa vuota” mi ha ricordato gli exploited dei bei tempi, “Vittima” picchia senza pietà, gli ultimi 2 pezzi non aggiungono altro. La registrazione dell’album non mi è sembrata essere in linea con le produzioni odierne, in alcuni punti la batteria quasi non si sentiva. Riguardo al resto, questi ragazzi sono la tipica band che dal vivo rende meglio. Vi consiglio di ascoltarli live perchè su disco sono stati penalizzati un po’ dal risultato finale.

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RECENSIONI

WHITE SOCKS “For dirty feet”

GENERE: Rock, grunge, punk, hard rock ETICHETTA: VOTO: 70/100 RECENSORE: Lidel

I White Socks con l’album “For dirty feet” han confezionato un bell’album di rock ignorante, cafonissimo. 7 pezzi ben studiati ed adrenalinici + una cover finale. “Shitty bunch” è un ottimo biglietto da visita, un misto tra rock americano e scandinavo. “Dog house” ha un bel riffone iniziale untissimo di chitarra per lasciare spazio ad una bella canzone energica molto punk hard rock, “Inside” ricorda un po’ il grunge anni 90 alla stone temple pilots, “Out of the light” è una ballad come oramai non se ne fanno più con una accensione di chitarre da circa metà in poi, l’album continua così su queste coordinate. Riassumendo, album ben fatto, godibile. Peccato solo per la cover finale “Pastime paradise” che a livello vocale mi ha fatto discretamente schifo e penalizza il voto finale (mentre fino alla settima canzone la voce era molto valida)

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