Anatomia patologica appunti[1] unlocked

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APPUNTI DI ANATOMIA PATOLOGICA CORSO D 2009 Autore: Darkphemt – Utente “Accentato Adepto” di www.accentosullad.com. ;-­‐) con la collaborazione di Dr Cox che ha offerto i suoi appunti presi alle lezioni del prof. Bianco!

-­‐ Appunti dei Professori A.A. 2008-­‐2009 (Bianco, Di Tondo, Ascoli, Cardillo) -­‐ Riassunti libri: • Anatomia Patologica – Ascenzi, Mottura • Le Basi Anatomo Patologiche delle Malattie – Robbins • Anatomia Patologica -­‐ Woolfe -­‐ Riassunti dispense rilasciate dai Professori.

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INDICE GENERALE • Apparato respiratorio • Apparato cardiovascolare • Apparato endocrino • Fegato e vie biliari • Pancreas • Apparato gastrointestinale

-­‐ Ghiandole salivari -­‐ Esofago -­‐ Stomaco -­‐ Tenue -­‐ Crasso -­‐ Peritoneo

3 32 67 84 105 110

110 112 119 130 137 153

• Sistema ematopoietico • Cute • Apparato urinario • Osso • Apparato genitale femminile • Apparato genitale maschile • Sistema nervoso • Definizioni varie

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APPARATO RESPIRATORIO Patologia del POLMONE non infettiva DISTURBI DEL CIRCOLO BRONCO POLMONARE (Prof. Bianco + Ascenzi + Robbins) Il polmone ha due tipi di circolazione: Funzionale  A.POLMONARE con sangue venoso e nutritizia  A.BRONCHIALI con sangue arterioso. Il letto capillare si trova nel “piccolo interstizio”, cioè nella parete dei setti intralveolari, a livello dei quali avviene l’ematosi (scambio sangue/aria). I bronchi non sono uguali: il dx è maggiore del sx  il polmone dx riceve maggiore aria del sx. Il bronco dx è allineato con la trachea, mentre il bronco sx forma un angolo con essa. La parte più periferica dell’albero bronchiale intraparenchimale è costituita dai bronchioli terminali: essa ha un piano anatomico più semplice dei bronchi più grandi con epitelio: -­‐ Cilindrico -­‐ Vibratile, difesa per patogeni che arrivano da vie aeree, espulsione del muco dalla parte periferica verso le prime vie aeree. -­‐ Cellule mucipare che secernono una sostanza viscosa che intrappolano gli agenti estranei. Le ciglia hanno un movimento METACRONO, cioè in successione (come un campo di grano). I tratti centrali dell’albero respiratorio hanno ghiandole sieromucose simili a quelle salivari. Tonaca avventizia sotto la sottomucosa con anelli cartilaginei, che a livello di trachea e bronchi più grandi sono semicircolari; nei bronchi intrapolmonari sono placche cartilaginee che si riducono fino a scomparire; nei bronchioli terminali non ci sono cartilagini né ghiandole sottomucose. I bronchioli terminali si dividono in 3-­‐5 bronchioli respiratori, la cui parete ha una struttura intermedia tra quella bronchiale e quella parenchimale. L’unità parenchimale è l’ACINO, forma piramidale al cui apice penetra il bronchiolo terminale. La parete alveolare è molto sottile (pneumociti I e II ordine  questi ultimi producono surfactante), membrana basale, interstizio con capillari. Nei setti intralveolari oltre ai capillari c’è una trama connettivale di fibre elastiche e poco collagene -­‐ Anemia: consiste in una scarsa quantità di sangue complessivamente circolante e/o di globuli rossi e/o di Hb in esso contenuti. Per quanto riguarda i polmoni essa si manifesta con pallore di entrambi gli organi che risultano di colorito GRIGIO con maggiore evidenza del “tatuaggio antracotico”. -­‐ Congestione: indica un incremento locale di volume di sangue in un determinato tessuto, originato da un processo PASSIVO che risulta da un alterato DEFLUSSO da un tessuto. Il tessuto assume un colorito rosso-­‐bluatro (CIANOSI) soprattutto quando il processo porta all’accumulo di Hb deossigenata. In caso di congestione di lunga durata (PASSIVA CRONICA) si può generare na condizione di IPOSSIA cronica che può indurre la degenerazione delle cellule parenchimali. La superficie di taglio degli organi congesti è UMIDA! Microscopicamente la congestione polmonare ACUTA è caratterizzata da capillari alveolari ripieni di sangue, con spesso associato edema dei setti alveolari e/o emorragie focali. La congestione polmonare CRONICA mostra setti ispessiti e fibrotici e gli spazi alveolari possono contenere numerosi macrofagi carichi di emosiderina (dette cellule da insufficienza cardiaca). Le cause più importanti di congestione polmonare sono: sovraccarico diastolico sx (ipertensione sistemica, stenosi aortica, coartazione aortica, pervietà del dotto di botallo); ostruzione al flusso verso il ventricolo sx (stenosi mitralica, compressione vene polmonari); grave danno miocardico. -­‐ Iperemia: indica anch’essa un incremento locali di volume di sangue in un determinato tessuto, ma è originato da un processo ATTIVO che risulta da un aumento dell’AFFLUSSO causato da una dilatazione arteriolare. L’iperemia può essere ATTIVA  negli organi e tessuti in intensa attività funzionale che richiedono maggiore flusso per soddisfare maggiori esigenze metaboliche. Per fare questo liberano una grande quantità di sostanza vasodilatatrici (adenosina, prostaglandine e istamine). Queste sono iperemie FISIOLOGICHE. Ci sono però anche iperemie PATOLOGICHE che avviene quando ad esempio c’è una FLOGOSI ATTIVA. L’iperemia attiva polmonare avviene quando si procede ad un rapido svuotamento di raccolte pleuriche e peritoneali.

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PASSIVA  viene definita anche congestione venosa polmonare e avviene quando vengono limitati i movimenti di espansione del torace o in seguito a riduzione delle forze contrattili del cuore. Questo causa la stasi polmonare. Può essere a sua volta suddivisa in 1) Acuta: quando avviene in seguito a stasi acuta, come avviene nella insufficienza ventricolare sinistra.. Macroscopicamente il polmone appare aumentato di consistenza e di colore rosso cupo (INDURIMENTO ROSSO). Al taglio fuoriesce abbondante sangue scuro e liquido edematoso. Microscopicamente i capillari appaiono molto dilatati con parete assottigliata e pieni di emazie. 2) Cronica: avviene quando c’è un ostacolo al deflusso come ad esempio in caso di stenosi mitralica. Macroscopicamente il polmone è rosso scuro o rugginoso, duro, rigido (INDURIMENTO BRUNO). Spesso sono associate a bronchite cronica e a placche lipidiche sulla parete delle arterie polmonari. Microscopicamente gli alveoli sono ripieni di cellule del danno cardiaco; sono presenti molte fibre elastiche e collagene nei setti intralveolari attorno ai bronchi. Ci può essere iperplasia delle cellule epiteliali delimitante l’alveolo. Le venule vanno incontro a iperplasia fibrosa intimale associata a ipertrofia delle cellule muscolari e regressione della componente elastica. Una forma particolare di iperemia passiva è definita IPOSTASI. Essa si verifica più in persone anziane con scarsa forza contrattile del cuore, costrette per lungo tempo a letto. La lesione si stabilisce perché l’insufficiente spinta del sangue, conseguente alla debole contrazione cardiaca, non riesce a vincere la forza di gravità, per cui si raccoglie nelle parti declivi. Macroscopicamente le ipostasi si localizzano nelle zone declivi del polmone, che appare rosso cupo, aumentato di consistenza e quasi privo d’aria. Microscopicamente è simile alle lesioni da stasi cronica del polmone. -­‐ EDEMA POLMONARE: rottura dell’equilibrio di Starling (Legge di Starling = Pressione idrostatica + Pressione colloido-­‐osmotica)  accumulo di liquido nello spazio interstiziale di solito dovuto ad alterazione della pressione idrostatica (P). Si distingue in acuto e cronico con diversità soprattutto dal punto di vista anatomico. -­‐-­‐ Acuto Il liquido interstiziale entra nello spazio alveolare e non è confinato nell’interstizio. Impedisce la respirazione quindi è da considerarsi come un’EMERGENZA (terapia: diuretico in vena)! Si manifesta con dispnea ad insorgenza acuta e rapido peggioramento + tosse produttiva + fame d’aria. Il soggetto tende ad alzarsi in piedi per evitare l’aumento del ritorno venoso e quindi dell’afflusso di sangue al polmone. Nel soggetto sdraiato inizia nelle regioni costali, in quello in piedi inizia nelle basi (regioni declivi dove la P è maggiore) e si estende poi al resto del polmone. Il liquido caccia l’aria fuori dagli alveoli ma in parte si mischia ad essa formando SCHIUMA (perché contiene molecole organiche e lipidi oltre H2O) che arriva fino alla bocca. Se la schiuma è rosa vuol dire che contiene emazie e in quel caso significa che è già troppo tardi per agire Dipende da insufficienza acuta del ventricolo sinistro (+++)  ristagno di sangue nel VS  aumento P idrostatica. Tra le cause principali c’è l’IMA, cioè la necrosi del miocardio della parete del ventricolo sx. Altre possibili cause possono essere IPERTENSIONE con successiva ipertrofia del VS per compensare. Se aumenta la resistenza delle arteriole si riduce la perfusione ai vasi a valle di esse per riduzione del consumo di energia cinetica; il cuore quindi pompa con maggiore energia cinetica così da perfondere i vasi a valle delle arteriole. -­‐-­‐ Cronico  Assomiglia a qualunque altro edema del corpo. Sintomi sono leggere dispnea a riposo e dopo sforzo. L’ostacolo non è acuto ma cronico (stenosi, sclerosi mitralica) e causa una stasi nell’atrio Sx e nelle vene polmonari, con congestione cronica, ingorgo del letto vascolare polmonare, in cui la parete endoteliale diventa anossica (come il territorio circostante); il vaso perde contenitività e perde liquido, con conseguente edema interstiziale trasudatizio (ricco di proteine). Perdurando nel tempo questa condizione causa aumento del connettivo poiché c’è aumento di fattori di crescita che stimolano i fibroblasti fino a portare a FIBROSI INTERSTIZIALE (irreversibile a differenza dell’edema); la sclerosi è irreversibile ma richiede molti anni. Il polmone non è più soffice e crepitante, ma INDURATO (sta per indurito); si dice “induramento ocraceo” (il colorito ocra è dovuto alle emazia fagocitate dai macrofagi, che accumulano emosiderina color ruggine e prendono il nome di “cellule da vizio cardiaco”), o polmone mitralico. Un’esame dell’espettorato contiene cellule da vizio cardiaco.

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L’edema polmonare cronico può anche essere causato da stenosi aortica, solo se coesiste relativa insufficienza Sx (questo perché l’ipertrofia dell’atrio non compensa ma quella del ventricolo si). Il liquido è ricco di proteine perché c’è una stasi cronica  la parete dei vasi diventa ANOSSICA (le cell. endoteliali non vengono ossigenate quindi il liquido che passa attraverso una parete danneggiata è più ricco di proteine). In seguito ad una ipertrofia di compenso aumenta il diametro delle fibre miocardiche ma vengono occlusi i capillari tra le fibre quindi le fibre miocardiche sono meno nutrite; questo porta ad uno scompenso cardiaco cronico  edema polmonare cronico. -­‐ POLMONE CEREBRALE: Soggetti con paralisi dei centri bulbari: arresto cardiaco  congestione passiva del polmone (unico caso in cui quest’ultima non è associata a edema). Il polmone è cianotico e ricco di sangue ma non contiene grandi quantità di liquido (come nell’edema). -­‐-­‐EMBOLIA POLMONARE: occlusione di un vaso di qualsiasi distretto de circolo (venoso, arterioso o capillare) da parte di un embolo (massa solida, liquida o gassosa che percorre in circolo). Le cause principali sono: • Tromboembolia: distacco sotto forma di embolo di un pezzo di trombo. (Mentre il trombo è il prodotto dalla coagulazione all’interno di un vaso il coagulo si trova all’esetrno del vaso!). Il trombo si forma per tre cause (TRIADE DI VIRCHOW): 1) Alterazione della parete vasale 2) Rallentamento del flusso 3) Aumento della coagulabilità del sangue Quando queste tre condizioni avvengono insieme o avviene almeno una di esse in un determinato distretto vasale si forma il trombo. In seguito ad una FLEBOTROMBOSI ad esempio (trombo che si forma in una vena, più frequenterete nelle vene degli arti inferiori) il trombo passerà dalle vene degli arti inf. alla vena cava, da qui al cuore dx ed infine alla arteria polmonare: se i trombo occlude completamente un ramo principale porta a morte il paziente. • Embolia paradossa: il trombo passa dal cuore dx al cuore sx, per lo più avviene quando ci sono difetti interatriali o intreventricolari. Da qui questo può andare a finire al cervello. • Embolo grassoso: il distacco di un frammento di tessuto adiposo per frattura ossea che da un lato occlude il vaso, dall’altro crea una sintomatologia sistemica dovuta al rilascio di costituenti dell’embolo, soprattutto sintomi neurologici (coma); • Emboli trofoblastici o neoplastici (rari); • Emboli infettivi • Embolo di liquido amniotico • Embolia gassosa dei sommozzatori (alla pressione dell’immersione profonda i gas del sangue entrano in fase liquida; risalendo in velocità passano in fase gassosa all’improvviso); • Embolia gassosa venosa può verificarsi raramente per ingresso diretto di aria nella circolazione venosa, anche se questa evenienza è altamente improbabile (bisogna tener presente che la giugulare interna e i seni venosi della dura madre non collabiscono, sebbene abbiano una pressione inferiore rispetto a quella atmosferica). Può avvenire ad esempio in caso in cui il pz. si tagli le vene dell’arto superiore che hanno una P minore di quela atmosferica e quindi permettono il passaggio di aria all’interno del circolo venoso. Le conseguenze emodinamiche dell’embolia polmonare variano in base al calibro del distretto di circolo colpito: Se viene ostruita l’arteria polmonare a livello della sua biforcazione o a livello di uno dei rami principali porta a MORTE istantanea (entro 5 minuti) o subitanea (entro 1 ora). La morte avviene per diversi motivi tra cui: • Dissociazione elettromeccanica: viene depressa la eiezione cardiaca in quanto il ventricolo sx non riempie perché manca o è gravemente diminuito il deflusso venoso polmonare • Arresto cardiaco: si ha dilatazione ventricolare acuta causata da impedito svuotamento • Insufficienza dell’irrorazione cerebrale e coronarica Se vengono ostruiti vasi di calibro minore si hanno manifestazioni a livello del territorio intrapolmonare a valle colpito. In questo caso si potrà avere INFARTO POLMONARE se i circoli collaterali non sono adeguati, oppure in caso di efficienze di essi si potranno avere EMORRAGIE

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INTRAPARENCHIMALI oppure nel migliore dei casi CONGESTIONE del parenchima colpito senza alcuna rilevanza clinica. La funzione respiratoria risulta alterata soprattutto nei casi in cui per ostruzione arteriosa non massiva con circoli di compenso efficienti non avvengono ne morte, ne infarto polmonare: in questo caso i distretti colpiti sono ventilati ma NON PERFUSI perciò sono esclusi dalla ventilazione causando un chiaro quadro ASFITTICO che varia in base alla entità della alterazione. Clinicamente sono presenti sintomi aspecifici: dolori al torace, dispnea, tachipnea, tachicardia, ansia, turgore delle vene del collo, tosse con espettorato spesso sanguinolento; se grave ci può essere shock o arresto cardiocircolatorio. Esami di prima istanza sono la TC e la scintigrafia ventilatoria e di perfusione. Al laboratorio può essere fatta la ricerca del D-­‐DIMERO (prodotto della degradazione della fibrina) che se positivo non conferma la diagnosi, ma se negativo la esclude. La tecniche che fornisce la diagnosi certa è l’angiografia polmonare. Importante fare anche un analisi dei gas ematici che solitamente mostrano ipossia, ipocapnia (iperventilazione) e alcalosi respiratoria. La terapia è essenzialmente trombolitica (eparina, streptochinasi, urochinasi) + riposo sotto controllo medico intensivo; se necessario deve essere somministrato O2. In caso di emergenza è necessaria la embolectomia d’urgenza. -­‐ INFARTO POLMONARE: non è una conseguenza di embolia in se per se, ma è dovuto per lo più alla insufficienza dei circoli collaterali di compenso oppure a una trombosi autoctona. In generale si distinguono infarti ISCHEMICI (in cui c’è necrosi senza sangue – TUTTI gli infarti sono ischemici) e EMORRAGICI (in cui c’è necrosi con sangue – ALCUNI infarti possono essere emorragici). L’infarto polmonare è un infarto emorragico, come gli infarti degli organi con organizzazione anatomica complessa (es. intestino). Esso è rappresentato macroscopicamente da un’area piramidale con una base alla pleura (o comunque verso l’esterno del polmone) ed una apice a livello dell’ilo. L’embolo corrisponde all’apice. L’area appare rosso cupa, priva di aria, con limiti netti rispetto al parenchima circostante e superficie rilevata rispetto al resto. Il fatto che arrivi fino alla pleura significa che i prodotti della necrosi tissutale sottostante irritano la pleura: si parla quindi di PLEURITE CONSENSUALE LOCALIZZATA -­‐> consensuale perché è collaterale ad un infarto; localizzata perché è possibile riconoscere un rumore caratteristico alla auscultazione perché sulla pleura viscerale di ha la deposizione di fibrina che causa sfregamento. L’infarto polmonare dà dolore acuto, puntorio, sfregamento localizzato con grado variabile di compromissione generale. Patologia INFETTIVA polmone (Prof. Bianco + Ascenzi) Esistono numerose classificazioni delle polmoniti di origine infettiva. Tra queste è opportuno ricordare: -­‐ Classificazione EZIOLOGICA: batterica, parassitaria, micotica, virale -­‐ Classificazione EPIDEMIOLOGICA: polmonite acquisita in comunità (extra-­‐ospedaliere) polmoniti nosocomiali (ospedaliere). -­‐ Classificazione CLINICA: TIPICHE e ATIPICHE (sintomatologia subdola e aspecifica) -­‐ Classificazione ANATOMOPATOLOGICA: le polmoniti sono divise dal punto di vista anatomico in ALVEOLITI e POLMONITI INTERSTIZIALI. Questa distinzione coincide con quella eziologica. Le alveoliti sono flogosi essudative, cioè si ha la formazione di essudato; le polmoniti interstiziali sono flogosi produttive, cioè c’è il richiamo di cellule che non si trovano comunemente nell’essudato (cell. immunitarie e accessorie). -­‐ ALVEOLITI:  Polmonite lobare: risparmia SEMPRE i bronchi: è causata da un numero ristretto di agenti patogeni, per lo più PNEUMOCOCCO, DIPLOCOCCUS LANCEOLATUS, S. PNEUMONEAE o BACILLO DI FRENKEL. Le polmoniti lobari colpiscono soggetti sani e giovani. Riflette uno stato di IPERGIA (iperstimolazione, iperattività) del sistema immunitario. Viene anche detta polmonite CROUPALE, che rappresenta una lesione paragonabile al CROUP, cioè una lesione laringea associata alla difterite caratterizzata da essudato fibrinoso.

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Cause predisponenti sono: infezione delle prime vie aeree da parte di pneumococco, che può essere subclinica (pneumoc. Saprofitico) o debolmente clinica; ingestione di alcool (sia per alcolismo cronico sia per ingestione occasionale neanche eccessiva). Cause scatenanti: esposizione a PERFRIGERAZIONI ACUTE (sbalzi di temperatura): ridistribuzione di sangue in circolo  vasocostrizioni e shunt dal sistema superficiale a quello profondo: il sangue viene indirizzato verso il circolo splancnico per evitare perdita di calore dalla cute  congestione polmonare. In questo caso se il polmone è congesto e viene inalato uno pneumococco si ha la polmonite lobare. E’ una patologia NON CONTAGIOSA perché AUTOINFETTIVA che si basa su una precedente infezione e su cause scatenanti. Prima della scoperta degli antibiotici era letale nel 50% dei casi. Oggi con l’uso degli antibiotici è letale solo nel 5% dei casi. Questi dati comprendono sia casi non riconosciuti sia riconosciuti e trattati di solito complicati da sepsi pneumococcica. La sepsi è il venir meno dei meccanismi di circoscrizione del microbo da parte del sistema immunitario. Quando si diagnostica una polmonite lobare bisogna stabilire se c’è sepsi o meno; se c’è sepsi il trattamento è diverso. Per capire se è presente sepsi o meno è utile ricordare la TRIADE METAPNEUMONICA DI MARCHIAFAVA che racchiude le manifestazioni tipiche della sepsi pneumococcica, cioè: Polmonite lobare + Meningite pneumococcica + Endocardite batterica acuta! Aspetto macroscopico: interessa un lobo INTERO in modo SINCRONO e UNIFORME. Nella patologia si susseguono 4 fasi anatomopatologiche nel giro di 9 gg: 1) INGORGO  comincia la malattia clinica acutamente con brividi e febbre oltre 40°C, di solito SENZA sintomi tipici di malattia respiratoria. Tutti i capillari dei setti sono dilatati e ingorgati di sangue. Con l’auscultazione si sente la CREPITATIO INDUX (rumore patologico che si avverte quando negli alveoli sono presenti contemporaneamente aria ed essudato;si apprezza nelle fasi iniziali della polmonite -­‐ stadio dell'ingorgo -­‐ quando sulla parete alveolare si va formando un tenace essudato fibrinoso), nella fase ascendente della malattia. Macroscopicamente: lobo colpito è disteso, rosso scuro, pesante e pastoso, ricco di sangue e di liquido emorragico che sgorga al taglio. Microscopicamente: alveoli contengono molti globuli rossi + liquido essudatizio coagulato + macrofagi + numerosi pneumococchi; i capillari appaiono dilatati. 2) EPATIZZAZIONE ROSSA  il polmone è rosso scuro e ha la consistenza aumentata, solida come quella del fegato perché gli alveoli non contengono più aria ma essudato fibrinoso. E’ detta “rossa” perché viene mantenuta l’intensa congestione dello stadio di ingirgo. Il parenchima non è più crepitante. In questa fase sono presenti diversi segni: -­‐ Ottusità di coscia: alla percussione non c’è aria -­‐ Soffio bronchiale trasmesso: alla auscultazione -­‐ Assenza di murmure vescicolare perché non c’è aria negli alveoli ma c’è ancora nei bronchi -­‐ RX: si vede l’opacizzazione uniforme con il disegno dei bronchi liberi da essudato. Il cosiddetto segno del “broncogramma aereo” -­‐ Quando l’essudato aumenta la P chiude i capillari della parete alveolare 3) EPATIZZAZIONE GRIGIA  i vasi non sono più congesti ma aumenta la fibrina che conferisce il colore grigio. La fibrina aumenta fino a comprimere i capillari alveolari e i macrofagi digeriscono le emazie accumulando emosiderina. I capillari diventano anossici; i granulociti neutrofili (che causano la glicolisi anaerobia) si attivano e producono idrolasi acide che abbassano il PH e portano a degradazione dell’essudato fibrinoso e digestione contemporanea del parenchima. 4) RISOLUZIONE  Eliminazione dell’essudato con l’espettorato, l’aria torna negli alveoli. Si ha una guarigione acuta per CRISI, con sfebbramento e tosse produttiva cui consegue la risoluzione completa. Se viene trattata con antibiotici il pz sfebbra in molto meno di 9 gg. Senza terapia il meccanismo che elimina l’essudato è lo stesso che elimina l’infezione. Con terapia, gli antibiotici hanno azione battericida ma non agiscono sull’essudato, quindi anche dopo lo sfebbra mento l’essudato e l’epatizzazione rimangono anche per mesi. -­‐-­‐ COMPLICANZE: le complicanze della polmonite lobari sono: • CARNIFICAZIONE: è la più frequente nelle polmoniti lobari trattate. La fibrina residua richiama fibroblasti che trasformano essudato in collagene.

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ASCESSO: una delle complicanze più temibili; è una raccolta di pus in una cavità NEOFORMATA!! Il pus può farsi strada verso l’esterno o verso la pleura EMPIEMA: è una raccolta di pus in una cavità GIA’ FORMATA. Se il pus giunge alla pleura si avrà empiema pleurico. Infarti ischemici PERICARDITE PURULENTA Triade di Marchiafava Insufficienza MIOCARDICA per aumento pressione polmonare Morte

 Polmonite a focolaio o Broncopolmonite: i bronchi sono colpiti perché servono funzionalmente il parenchima polmonare e si trovano al suo interno. Possono essere causate da un gran numero di agenti eziologici (stafilococchi, streptococchi, pneumococchi, haemophilus, pseudomona aeruginosa, funhi e virus). Colpisce più bambini ed anziani. Interessa un focolaio sublobare, che non corrisponde ad un segmento anatomico, direttamente contiguo o servito da un bronchiolo. Caratteristiche: coinvolgimento del bronchiolo e localizzazione focale. Condizioni predisponenti: diabete (perché il muco è abnormemente glicato!), fumo, bronchite cronica, ipertensione arteriosa (il cuore sx è ipertrofico e il polmone risulta edematoso e congesto). I focolai possono essere multipli e di grandi dimensioni. Focolai multipli possono confluire in un apparente unico focolaio e coinvolgere un intero lobo, ma non si può confondere con una polmonite lobare per due caratteristiche: 1) ASINCRONIA della lesione (la sincronia è tipica della polmonite lobare) 2)Presenza di coinvolgimento dei bronchi (infatti nelle broncopolmoniti all’RX non c’è il broncogramma aereo). Il focolaio alevolitico riguarda gli alveoli ma risparmia il parenchima. I focolai sobo spesso bilaterali, localizzati ai lobi inferiori e di dimensione variabile (acinose, lobulari, lobari se confluiscono). Macroscopicamente le lesioni sono simili a quelle della polmonite lobare, ma il grado di epatizzazione è sempre meno pronunciato nelle broncopolmoniti. Microscopicamente si nota essudato intralveolare più povero di fibrina rispetto alle pol. Lobari. Il modo in cui la lesione evolve ed esita è simile a quello della polmonite lobare, e tende a sterilizzarsi con risoluzione dell’essudato in 7-­‐9 giorni. Con gli antibiotici disaccoppio i due eventi e l’essudato non si risolve; l’evoluzione della patologia nei casi (trattati o non trattati) in cui l’essudato non si risolve è la formazione da parte della fibrina di una matrice provvisoria che crea aderenze pleuriche e la seguente organizzazione con il collageno in una struttura stabile e definitiva con fibrocellule e vasi, che riempie il lume degli alveoli (carnificazione). In ogni caso all’Rx l’opacità permane (non si fa prima di 3 mesi, che il pz è guarito lo dice il decorso clinico). Complicanze: -­‐ Carnificazione -­‐ Ascesso: più frequente evoluzione di necrosi del parenchima, di broncopolmonite da aspirazione e di bronc. Ab ingestis Polmonite Interstiziale: sono polmoniti dovute per lo più a virus, ma anche a micoplasmi, clamidie e rickettsie. Morfologicamente sono caratterizzate dal fatto che il processo infiammatorio non riguarda gli alveoli (come nelle alveoliti) ma riguarda l’INTERSTIZIO, cioè tutto ciò che si trova intorno agli spazi aerei (si distingue in grosso e fine) e l’infiltrato infiammatorio interstiziale NON ESSUDATIVO in quanto c’è flogosi produttiva e sono sempre di tipo cronico! Da un punto di vista clinico vengono definite come polmoniti ATIPICHE PRIMARIE: atipiche clinicamente parlando (tosse più stizzosa della polmonite lobare) primaria perché non era conosciuto l’agente eziologico. Può dare broncopolmonite batterica come complicanza di una infezione delle alte vie aeree. Ci possono anche essere alveoliti necrotizzanti sostenute da virus (grandi pandemie), ma sono delle eccezioni; queste avvengono per infezione diretta virale della parete alveolare con successiva necrosi e insufficienza respiratoria ingravescente.

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Caratteristiche anatomopatologhe sono: -­‐ interessamento lobare unilaterale o bilaterale -­‐ frequente presenza di essudato proteinaceo in alveoli -­‐ diffusione interstiziale dell’essudato -­‐ alta predisposizione a superinfezioni batteriche TUBERCOLOSI (Prof. Bianco + Acenzi): Bacillo di Koch  MICOBATTERIO il nome ricorda i miceti perché con essi condivide la presenza di una parete cellulare con glicolipidi ad alta complessità sterica. Cioè molto ramificati (CERE). Questi formano uno strato protettivo contro meccanismi battericidi cellulari (ROS) e contro quelli di degradazione lisosomiale. In risposta a questo meccanismo si formano le “cellule giganti da corpo estraneo”, che secernono enzimi lisosomiali all’esterno nel tentativo di eliminare appunto il corpo estraneo. Il micobatterio è resistente a questi meccanismi e sopravvive all’interno di queste cellule giganti rendendo difficile la sua eliminazione. Il micobatterio si colora con la colorazione acido resistenza di Ziehl – Neelsen (rosso magenta e alcool con acido acetico). Un test utile per controllare se si è venuti in contatto con il micobatterio è il test Mantoux: esso è prova diagnostica che consiste nell'iniezione intradermica, sulla faccia palmare dell'avambraccio, di una piccola quantità nota di tubercolina al fine di saggiare la reattività dell'individuo ad una eventuale infezione dal micobatterio della tubercolosi. Risulta positivo quando il tessuto iniettato, sviluppa in 48-­‐72 ore un rigonfiamento piuttosto duro di almeno 10 mm di diametro. Questo tipo di reazione è dovuto al fisiologico accumulo di liquidi, molecole e cellule caratteristico della risposta immunitaria scatenata dalle "tossine" iniettate. Il fatto che questa sia apprezzabile in tempi relativamente brevi (48-­‐72 ore per l'appunto), indica una reazione di tipo secondario e quindi più rapida ed intensa da parte del sistema immunitario. Ciò è dovuto ad un pregresso incontro del soggetto con l'antigene in questione che ha permesso lo sviluppo di cellule memoria (es. linfociti di memoria). Una positività al test è indice dell'avvenuto contatto del paziente col batterio della tubercolosi o con la tossina iniettata, ma non prova lo stato della malattia. Per questo motivo, soggetti positivi al test Mantoux, soprattutto se a rischio come bambini, anziani, immunodepressi od operatori sanitari, vengono sottoposti ad ulteriori test diagnostici (es. radiografia del torace) discriminanti la presenza o meno della malattia. Il test viene solitamente considerato negativo nei casi in cui la risposta sia al di sotto dei 10 mm di diametro; il soggetto può non essere entrato in contatto con il batterio e quindi non c’è stata formazione di Ab, oppure è entrato in contatto ma l’infezione si è autolimitata stabilendo una leggerissima risposta immunitaria. In caso comunque risulti negativo il paziente è suscettibile di infezione e viene pertanto usualmente vaccinato. Ci sono fattori genetici che determinano il tipo di esito: l’assetto genetico che determina resistenza della TBC viene selezionato positivamente; quello che detrmina la suscettibilità alla TBC è selezionato negativamente, per cui c’è una riduzione dei tubercolina-­‐positivi. Esistono poi fattori di resistenza pre-­‐immune non genetici: es. stato di nutrizione, uso di farmaci immunosoppressivi, ecc. Infine poi ci sono fattori immuni: migrazione transcontinentale, AIDS, selezione ceppi resistenti. Le vie di trasmissione sono -­‐ INALATORIA (principalmente) -­‐ INGESTIONE (per lo più per ingestione di latte vaccino contaminato da M. Bovis che provocava mastite tubercolare delle mucche, ora non esiste più perché il latte viene pastorizzato) Evoluzione delle lesioni elementari: -­‐ Il M. Tubercolosis arrivato negli alveoli viene FAGOCITATO dai macrofagi alveolari  infiammazione essudativa!; se non c’è resistenza al batterio questo uccide il macrofago replicandosi al suo interno; successivamente avvengono ondate continue di reclutamento di fagociti; la infezione si diffonde per via linfatica ed in seguito alla risposta immunitaria si modifica la reattività dei linfociti e la loro morfologia. Avviene la risposta di tipo TH1 dopo circa tre settimane che tramite il rilascio di IFN-­‐Y attiva i macrofagi a uccidere i batteri. Inoltre i macrofagi attivati producono TNF che induce il reclutamento dei monociti. Questi si trasformano in “istiociti epitelioidi” -­‐ Cellule epitelioidi: sono macrofagi metabolicamente ed enzimaticamente molto attivi.

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-­‐ Cellule giganti di Langhans: elementi di diametro di circa 50 u, con numerosi nuclei disposti a corona alla periferia del corpo cellulare. Queste cellule derivano dalla fusione di più cellule epitelioidi. Si viene a formare quindi il GRANULOMA TUBERCOLARE che è visibile microscopicamente. All’interno dei granulomi si forma la NECROSI COAGULATIVA che viene anche chiamata CASEOSI poiché è macroscopicamente simile al formaggio. Caratteristica è che nella necrosi coagulativa tubercolare gli elementi cellulari e tessutali sono del tutto CANCELLATI. -­‐ Con l’andare avanti del processo infiammatorio si può avere la fusione di più granulomi che culmina con la formazione del FOCOLAIO PRIMARIO DI GOHN che riguarda il parenchima, cioè rappresenta il primitivo interessamento del parenchima polmonare. -­‐ L’associazione di: Focolaio di Gohn + linfadenite satellite nei linfonodi dell’ilo + linfagite tbc che connette la linfadenite con il focolaio porta alla formazione di COMPLESSO PRIMARIO TUBERCOLARE che esprime la TBC primaria. Il complesso primario è rilevabile macroscopicamente e a volte anche clinicamente (febbre, inappetenza) ed è un’entità identificabile radiologicamente come un’immagine opaca dalla forma di un manubrio (formato dal focolaio polmonare, la linfadenite e la linfangite). Il complesso primario solitamente guarisce senza lasciar notizia di sé e si può non sapere per tutta la vita. A livello tissutale entro il granuloma compare necrosi caseosa del parenchima infetto. L’evoluzione anatomica più comune è una cicatrice a volte calcifica e rilevabile all’Rx. Queste reazioni avvengono sia a livello polmonare che linfonodale. Il complesso quindi va incontro a NECROSI CASEOSA e poi FIBROSI e CALCIFICAZIONE (che rimane visibile a distanza di anni). Prima di elencare le varie forme di TBC è necessario definire diverse condizioni: • Virulenza: proprietà strettamente dipendente dalle caratteristiche del micobatterio, rappresenta la maggiore o minore facilità di moltiplicazione dei micobatteri nei macrofagi. • Resistenza congenita: A parità di ceppo e virulenza, esprime la difficoltà o la impossibilità che il micobatterio incontra a moltiplicarsi nei macrofagi che lo inglobano. • Suscettibilità: inverso di resistenza congenita • Sensibilizzazione: insieme di processi attraverso i quali si acquisisce la ipersensibilità. La lesione primaria inizia in assenza di una risposta specifica e porta quindi ad avere un organismo malato: in questo modo avviene la sensibilizzazione che NON E’ una immunità. Ha significato sia protettivo, sia anti-­‐protettivo. • Ipersensibilità: stato nel quale un antigene suscita una reazione più intensa, condizionata da un precedente contatto con lo stesso Ag (sensibilizzazione) e che culmina con la produzione di anticorpi diretti contro di esso o alla stimolazione di elementi linfoidi. • Ipersensibilità ritardata: è una risposta mediata dai linfociti T e il test alla tubercolina è la reazione più comune per poterne spiegare il significato; La reazione tubercolinica come detto è esemplificante e per questo verrà trattata come modello per la descrizione della reazioni di ipersensibilità ritardata. La presenza intradermica di tubercolina derivante dalla presenza del micobatterio, porta alla prima interazione tra antigene e anticorpo, per cui le cellule CD4+ non sensibilizzate ricoprono i peptidi micobatterici associati a molecole di classe II presenti sulla superficie dei monociti o di altre cellule APC (cellule presentanti l'antigene). Questa fissazione porta alla differenziazione dei T CD4+ in cellule TH1, sensibili ad un successivo insulto, analogamente a quanto accade nel caso delle reazioni di tipo anafilattico. I TH1 entrano quindi in circolo e vi possono rimanere per lunghi periodi, a volte per anni, da qui il principio di memoria del sistema immunitario. Negli individui già precedentemente sensibilizzati si avrà, alla seconda somministrazione, un'interazione tra le cellule TH1 della memoria e gli antigeni presenti sulle APC che attiva questi linfociti e li induce a secernere specifiche citochine, quali: * IFN-­‐γ: potente attivatore macrofagico, ne aumenta l'avidità fagocitaria, li stimola a produrre molecole di classe II, per cui la presentazione antigenica è velocizzata, e fattori di crescita lipoproteici che stimolano la proliferazione dei fibroblasti e aumentano la sintesi di collagene; * IL-­‐2: provoca la proliferazione paracrina e autocrina dei linfociti T che si accumulano in loco; * TNF-­‐α e linfotossine: citochine che stimolano le cellule endoteliali a secernere prostaglandina, ad azione vasodilatativa, ELAM-­‐1 che fa aderire i linfociti e i monociti di

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passaggio e altri fattori chemiotattici come l'IL-­‐8, favorendo nel complesso la formazione di granulomi, da qui quella che viene chiamata infiammazione granulomatosa. Gli effetti visibili riguardano un arrossamento, un indurimento e a volte anche necrosi locali, aumenta la permeabilità vascolare e si formano lacune fra le cellule endoteliali con edemi, perdita di componente proteica e fibrosi interstiziale (causa principale dell'indurimento). Se la presenza antigenica persiste la reazione infiammatoria passa di mano dai linfociti ai macrofagi che si trasformano spesso in cellule epitelioidi sotto l'azione di mediatori chimici dell'infiammazione e sono maggiormente soggetti ad aggregarsi in granulomi. Resistenza acquisita: è la proprietà di fagocitosi e distruzione dei micobatteri da parte dei macrofagi ed è abituale mete associata alla sensibilizzazione.

-­ FORME DI TBC: Tubercolosi PRIMARIA  E’ espressione del primo contatto con il Micobatterio della tubercolosi. In seguito al primo contatto possono avvenire due cose: 1) il batterio viene efficacemente eliminato senza complessi primario e non si instaura positività alla tubercolina (soggetti geneticamente resistenti) 2) si forma il complesso primario, ma non avviene cicatrizzazione e il focolaio si espande, con estesa necrosi caseosa (chiamata così perché somiglia al parmigiano: solido, granuloso, friabile e gialla). La fase primaria è limitata a quel periodo in cui i micobatteri si moltiplicano liberamente nei macrofagi e si insediano nei linfonodi regionali. Nella pratica clinica invece si intende per fase primaria la successione di avvenimenti che si susseguono continuamente per parecchi mesi. Forme di TBC primaria: -­‐ POLMONARE  la TBC primaria polmonare si manifesta come un complesso di lesioni, detto complesso primario o complesso di Ranke (oppure focolaio di Ghon). Come già detto il complesso primario è formato da: 1) Focolaio polmonare  situato quasi sempre in corrispondenza delle aree superiori dei lobi inferiori o delle aree inferiori dei lobi superiori, in sede SUPERFICIALE in modo da coinvolgere la pleura. Frequentemente è monolaterale e di dimensioni di circa 10-­‐15 mm. Nella fase più precoce si ha una ALVEOLITE ESSUDATIVA che è macroscopicamente descritta come EPATIZZAZIONE GELATINOSA; essa è microscopicamente descritta dalla presenza di accumuli endoalveolari di macrofagi inglobanti micobatteri, frammisti a pochi linfociti e granulociti, riversati in un liquido sieroso contenente scarsa fibrina. Dopo un paio di settimane compare la necrosi caseosa, come risultato della prima sensibilizzazione e le aree centrali del focolaio colpite appaiono compatte e friabili (“EPATIZZAZIONE CASEOSA”). L’evoluzione più frequente di questa fase è il riassorbimento dell’essudato con la formazione di cicatrice che poi calcifica. Se viene coinvolta anche la pleura è frequente la formazione di aderenze. 2) Stria linfagitica  è una definizione radiologica che indica la presenza di una striscia opaca che collega il focolaio polmonare a quello linfonodale. Non sempre ha un corrispettivo anatomico! 3) Lesioni linfonodali: localizzate nelle stazioni ilari omolaterali, della biforcazione tracheale. La lesione più rappresentata, soprattutto nel bambino, è la LINFOADENITE: si formano pacchetti linfoghiandolari del diametro anche di molti cm, che persistono anche per anni. In occasione di contagi massivi o da parte di ceppi particolarmente virulenti e per lo più in soggetti con scarsa resistenza è presente una forte risposta di ipersensibilità ad impronta chiaramente necrotizzante con abbondante necrosi caseosa che va incontro a COLLIQUAZIONE cioè si liquefa; in questo caso non assomiglierà più al “parmigiano” ma sarà rappresentata da un LIQUAME il quale una volta eliminato lascerà un BUCO (o caverna o tisi). -­‐ Intestinale: ormai non esiste più -­‐ MILIARE: conseguenza della disseminazione infettiva con comparsa di molteplici piccoli focolai costituiti da un agglomerato di tubercoli, che sono di dimensione esigua, paragonata a quella di “grani di miglio”. Hanno preferenza per la diffusione ematogena. (vedi avanti). Tubercolosi POST-­PRIMARIA 

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Si intende la malattia con la quale si manifesta l’infezione in un soggetto già sensibilizzato. Clinicamente si considera post-­‐primaria la affezione che compare in soggetti già tubercolino-­‐ positivi. Tutte le forme di TBC post-­‐primaria sono accomunate dalla formazione dell’infezione in condizioni di sensibilizzazione. Il meccanismo alla base della TBC primaria è la REINFEZIONE che può essere ESOGENA (insediamento di nuovi focolai per contagio inalatorio da ambiente esterno) ed ENDOGENA (formazione di nuovi focolai per diffusione linfoematogena o ematogena da precedenti lesioni). Più frequentemente si tratta di reinfezioni endogene: nel parenchima e nell’ilo polmonare (linfonodi) rimangono micobatteri vivi e virulenti dopo la formazione del complesso primario. Questo non compromette la salute del pz. ed è possibile evidenziare all’RX una tumefazione ilare. Nei linfonodi ilari e mediastinici rimangono intrappolati questi micobatteri, che possono tornare a proliferare (RIATTIVAZIONE) e causare nuovamente infezione. Da qui passano poi del torrente circolatorio: si tratta quindi di un tipo di infezione endogena ed ematogena! Tramite il torrente circolatorio si ha la disseminazioni in più sedi oltre che nell’ambito dello stesso polmone. Una classificazione generale divide le forme post primarie in: 1) Polmonari: a) TISIOGENE ; b) NON TISIOGENE Per tisi si intende buco, caverna perciò le forme tisiogene sono quelle che portano alla formazione di caverne 2) Extrapolmonari circoscritte ad un solo organo 3) Multiorgano con coinvolgimento sistemico -­ TBC Post-­primaria polmonare: • TBC nodulare dell’apice polmonare: La “tubercolosi nodulare cronica dell’apice polmonare” è una forma post-­‐primaria non tisiogena e presenta una lesione granulomatosa libera da fenomeni essudativi. E’ una forma trattabile senza un reliquato funzionale importante. Le manifestazioni cliniche possono non portare a diagnosi. C’è accumulo di materiale caseoso o fibrosi senza necrosi (in ogni caso non colliquativa), ispessimento della pleura viscerale (capsula fibrosa) e formazione di bolle enfisematose pericicatriziali o perisclerotiche (un bronchiolo non è più in asse perché strozzato dalla cicatrice e si formano così due zone, una ipoventilata atelettasica e una iperventilata enfisematosa). In sintesi le lesioni anatomicamente evidenti sono: cicatrice stellata + aderenze tra parenchima e pleura + necrosi caseosa non colliquativa. Clinicamente silente. Si manifesta solo al reperto autoptico! • Infiltrato precoce di Hassman-­‐Redecker: è una forma tisiogena in cui c’è un’opacità diffusa e velamentosa che riflette una lesione caratteristica: infezione senza difese (non si forma il tubercoloma). In Italia è stata descritta come “TBC sottoclaveare tisiogena”. E’ l’unica forma in cui esiste una componente essudativa importante e forma una zona di consolidazione parenchimale tipo polmonite. Forse è una sorta di risposta allergica; è l’unica forma di TBC in cui è consigliata la terapia steroidea a basso dosaggio per ridurre l’essudazione intraalveolare, la quale favorisce la diffusione dell’infezione con gli atti respiratori. Comincia la colliquazione e la necrosi all’interno della lesione (favorita dall’essudato) e appaiono zone di soluzione di continuo con buchi pieni di liquido (caverne). La necrosi caseosa tende ad aprirsi strada attraverso la parete di un bronco e raggiungere così altre zone dello stesso polmone, il polmone controlaterale, l’esofago e quindi l’apparato digerente e le altre persone attraverso lo sputo. E’ clinicamente osservabile: in fase precoce si ha un’alveolite essudativa in cui appunto gli alveoli risultano pieni di essudato liquido e gelatinoso (detta POLMONITE GELATINOSA) che passa da alveolo ad alveolo e poi si estende ai lobi polmonari. La necrosi caseosa è molto estesa per cui colliqua e questo accade in più punti contemporaneamente. Il liquame è contenuto all’interno delle caverne che possono essere uniche o multiple e hanno un aspetto definito dai radiologi “a nido d’ape” o a “mollica di pane”. Inoltre si distinguono caverne DINAMICHE (in cui la parete della caverna non si cicatrizza molto e quindi le pareti possono collabire e chiudere il buco) oppure STATICHE (le pareti non possono collabire e il buco rimane). Il liquame della colliquazione si fra strada attraverso canalicoli bronchiali fino a comunicare con il BRONCO DI DRENAGGIO, quindi il liquame infetto acquista una

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13 nuova via di disseminazione, non più ematogena ma canalicolare, cioè passa da una parte all’altra dell’albero respiratorio in modo stocastico (casuale). Si produce la caverna quando il liquame viene eliminato, che rappresenta un fatto infettivo attivo! Una volta raggiunto il bronco di drenaggio si parla di TBC TERZIARIA, caratterizzata dalla presenza di caverna collegata al bronco di drenaggio. Quando il materiale colliquato diffonde causa una bronchite e una broncopolmonite caseosa a focolai multipli in cui ogni focolaio riproduce la tendenza a formare una caverna. Intorno alla caverna c’è neoangiogenesi e se il processo patologico interessa la tonaca media dei vasi arteriosi della caverna si formano gli “aneurismi di Rasmussen” (questo avviene quando perché quando in un vaso si produce una lesione della tonaca media si forma un aneurisma; ciò avviene poiché non c’è più resistenza meccanica. Per aneurisma si intende una dilatazione permanente della parete di un vaso; nel punto in cui la parete è sottoposta a maggiore P e dove c’è la minore resistenza avviene la rottura); la rottura di questi aneurismi dà EMOTTISI che talora può dare sanguinamento massivo ed essere fatale per annegamento interno. Gli esiti negativi principali possono essere quindi: disseminazione canalicolare e emottisi!

Il M.T. è un aerobio stretto quindi se la PO2 è bassa di quella del livello del mare si ha un effetto terapeutico. La caverna prendendo aria dal bronco mantiene vivi i micobatteri; togliendoli l’aria si aiuta la guarigione (pneumotorace terapeutico) Come già detto la disseminazione porta a diverse complicanze. TBC localizzata d’organo Avviene in seguito alla disseminazione ematogena DISCRETA (modesta). Avviene nei casi in cui c’è una rottura critica dell’equilibrio infezione – ospite. Si parla di TBC MILIARE GENERALIZZATA quando ci sono molteplici lesioni d’organo disseminate ai diversi distretti. Riguarda TUTTI gli organi che vengono colpiti da minute lesioni di TBC (dalla forma di un “grano di miglio”), ciascuna delle quale ripropone le caratteristiche proprie delle lesioni tipiche della TBC. Ci sono forme di TBC più o meno generalizzate, es. limitate al polmone, all’encefalo, ecc. -­‐ MENINGITE TBC: una TBC miliare o una manifestazione ematogena che colpisce l’encefalo portano alla meningite TBC; è una meningite diversa da quelle causate da piogeni. È una meningite della BASE (essudato non purulento ma fibrinoso alla base cranica) non della volta (essudato purulento ricopre a cuffia gli emisferi). Avviene prima una disseminazione miliari forme alla corteccia e secondariamente il rilascio di batteri nel liquor. È associata ad uno stato soporoso detto TIFO (di cui esistono 3 tipi diversi). Ponendo il liquor in una provetta a temperatura ambiente si forma il RETICOLO DI MYA, cioè un precipitato spontaneo di fibrina dopo 24 h. Importante caratteristica di questa meningite è che le lesioni contengono alte quantità di fibrina. La FIBRINA è una parte della matrice, e ogni volta che un essudato contiene fibrina esso diviene appiccicoso. Sul reticolo di fibrina si muovono cellule che tendono a trasformare la matrice in tessuto connettivo (definitivamente). Se ciò avviene a livello della LEPTOMENINGE questa adesività va a formare un ostacolo meccanico al deflusso del liquor: questo si complica in IDROCEFALO OSTRUTTIVO! Alla base del cervello si trova il poligono di Willis, che può essere interessato in due modi: 1) Compressione da fibrina  complicanze circolatorie di tipo ischemico. 2) Processo artritico (dall’avventizia verso l’intima) con alterazioni secondarie: l’intima risponde con un ispessimento ed endoarterite obliterante (cioè restringimento del lume e ischemia a valle); la lesione della media causa la formazione di aneurismi che a livello del poligono di Willis vengono detti a “bacca” e che possono andare incontro a rottura causando emorragia subaracnoidea. Sulla superficie GLIALE si vedono i NODULI DI RICH cioè micro tubercoli che disseminano i batteri al liquor. -­‐ Osso: lesioni come SPONDILITE TBC, infezione di 10 o più vertebre. Tutte le infezioni dell’osso sono osteomieliti perché riguardano anche il midollo, che è perfuso dai vasi. Caratterizzata da granulomi, necrosi caseosa e colliquazione. La vertebra crolla (collassa) e se è una vertebre toracica compare la gobba.

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Un’altra leisone è l’ASCESSO OSSIFLUENTE: che è costituito non da pus ma da necrosi caseosa! Si forma perché la necrosi che colliqua per farsi strada percorre la colonna vertebrale e la guaina del muscolo psoas che arriva al femore fino al CAVO POPLITEO. Infine ci possono essere espansione e rarefazione delle ossa brevi (falangi, metacarpo e metatarso) = SPINA VENTOSA. -­‐ Tratto digerente: lesioni ulcerative in diverse regioni (bocca, esofago, stomaco,ecc), deostruenti (cioè ulcerative in un organo cavo). Esiti permanenti sottoforma di STENOSI -­‐ Escara: territorio di necrosi demarcato all’interfaccia con l’aria; guarisce con fibrosi riparativa ma senza stenosi perché ‘asse è longitudinale. Si formano nelle placche del Peger. -­‐ TBC primaria orofaringea: una forma particolare di TBC primaria è la SCROFOLA, cioè una TBC orofaringea che si contrae per via alimentare e produce linfadenite TBC nei linfonodi sottocervicali e sottomandibolari che conferisce un aspetto porcino al volto dei soggetti affetti. -­‐ TBC delle mani: dei mungitori (M. Bovis), degli anatomici, dei ginecologi (da contatto) -­‐ Enterite TBC: da ingestione di latte vaccino contaminato (ormai è scomparsa). ALTERAZIONI DEL CONTENUTO D’ARIA NEL POLMONE DIMINUZIONE CONTENUTO (Prof. Bianco + Ascenzi): -­ Atelectasia: L’aria negli alveoli non c’è e gli alveoli collabiscono (simile alle “labbra che si affrontano”). Si divide in atelectasia: • Primaria o fetale: mancata espansione del polmone (non collabimento secondario). Alla base ci sono de ipotesi: mancanza di surfactante (riguarda i nati pretermine prematuri) e la insufficienza dei movimenti respiratori  nel momento della respirazione forzata alla nascita l’aria non riesce ad entrare negli alveoli, anche se il movimento meccanico di ampliamento degli alveoli avviene; questa azione di risucchio, di decompressione forzata avviene a livello dei vasi. La depressione sui vasi risucchia il materiale dal letto vascolare sugli alveoli, sulla cui parete si formano membrane ialine (ialino = vitreo, omogeneo, eosinofilo, anisto – cioè senza struttura interna-­‐). Un tipo particolare è chiamato malattia delle membrane ialine o sindrome dispnoica del neonato e si tratta di una ambascia respiratoria che si manifesta nel neonato dopo la nascita. I polmoni macroscopicamente appaiono piccoli, rosso scuro e di consistenza flaccida NON CREPITANTE!. Microscopicamente il parenchima è compatto, NON SI VEDONO gli alveoli, ma spiccano le cellule endoteliali dei capillari. Le membrane ialine si possono formare anche nell’adulto per cause diverse. Questo causa danno necrotizzante alla parete alveolare che si estende poi a quella endoteliale sottostante. Normalmente però è solo ristretta ai neonati immaturi. • Secondaria: Insorge in polmoni già ventilati e normalmente espansi. Una caratteristica importante è che possono interessare anche soltanto PARTI dei polmoni o di un solo polmone. Esistono due categorie, ognuna con cause diverse e molteplici, ma soprattutto con evidente differenza anatomica. 1) DA COMPRESSIONE: Alterazioni del contenuto della cavità pleurica che possono causarla sono: -­‐ pneumotorace: aria in eccesso, l’atelectasia riguarda TUTTO il polmone. -­‐ emotorace: versamento di sangue in cavità pluerica per trauma o rottura polmonare, sanguinamento da massa neoplastica, rottura aneurisma -­‐ idrotorace: versamento trasudatizio non infiammatorio del cavo pleurico per cause cardiache (scompenso dx), renali (sindrome nefrosica), epatiche (lipoprotinemia da insufficienza epatica). -­‐ versamenti pleurici non trasudatizi: infezioni polmonari con pleurite consensuale essudativa, TBC, pleurite consensuale a infarto polmonare, tumore polmone, mesotelioma, inf. virali, IMA (sindrome di Bressler  complicanza), traumi torace (sullo sterno), plueropericardite autoimmune. Ci sono poi atelectasie da compressione che non interessano il cavo pleurico: -­‐ massa neoplastica (parete toracica, mediastino, polmone, endoaddominale) -­‐ paralisi nervo frenico -­‐ gravidanza -­‐ epatomegalia

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15 -­‐ soggetti operati (limitazione del riflesso della motilità del diaframma  escursioni limitate) Da 1/3 in su della compromissione della massa polmonare efficiente compaiono i SINTOMI Ogni area d atelectasia è un’area di speciale suscettibilità alla broncopolmonite. 2) DA OSTRUZIONE: Coincide con la zona di parenchima fornita dal bronco occluso. L’ostruzione può avvenire a livello di un bronco lobare, principale dx o sx, segmentale, ancora più piccolo. Le cause possono essere: -­‐ corpo estraneo -­‐ alterazioni clearance muco-­‐ciliate -­‐ tumore broncogeno (dal bronco). Molto più spesso sono maligni che benigni e l’atelectasia è uno dei primi segni di carcinoma polmonare  si fa la broncoscopia! -­‐ linfadenite TBC: all’ilo polmonare 2 linfonodi delle dimensioni di una noce possono comprimere il bronco lobare medio specialmente se suscettibile a compressione estrinseca da linfonodi tumefatti per la sua posizione e la sua compliance di parete. SINDROME DEL LOBO MEDIO: Atelectasia del lobo medio e tumefazione dei linfonodi ilari con conseguenti broncopolmoniti ricorrenti.

Il quadro morfologico è connesso con la mancanza di aria e nelle forme ostruttive si rende manifesto dopo parecchie ore dall’ostruzione completa. Sulla superficie polmonare si nota una depressione con margine netto a scalino e diverse alterazioni di superficie: pleura viscerale grinzosa e ridondante rispetto alle zone di parenchima che ricopre! Nell’atelectasia da compressione il colore delle zone colpite è GRIGIASTRO perché sono coinvolti bronchi e vasi; in quella ostruttiva il colore è CIANOTICO perché sono coinvolti solo in bronchi. Nei casi acuti di a. ostruttiva poiché rimane intatta la perfusione, si può parlare anche di “atelectasia rossa”: è facilitata la trasudazione di liquidi e la superficie di sezione appare rosso-­‐scura, carnosa e lucente, paragonabile a quella della milza (SPLENIZZAZIONE). AUMENTO CONTENUTO (Prof. Bianco) -­ Polmone dell’affogato: Annegamento esterno (in acqua) o annegamento interno (nel sangue o nel vomito) -­ Crisi d’asma: Nell’asma c’è un’abnorme eccitabilità della muscolatura liscia dei bronchioli con ostacolo all’espirazione (per contrazione spastica). In una crisi d’asma si accumula aria distalmente ai bronchioli ma non c’è enfisema perché non c’è distruzione; anche negli annegati c’è un quadro simile (per annegamento sia interno che esterno). -­‐Enfisema (vedi avanti) Malattie polmonari cronico-­ostruttive (Prof. Bianco + Ascenzi) La dizione si riferisce ad un quadro semeiologico e non anatomico. In senso anatomico riguarda due patologie: l’enfisema e la bronchite cronica, che spesso si associano ma sono due entità nosologiche diverse, clinicamente simili: in entrambe c’è un’alterazione funzionale che tende all’insufficienza respiratoria (ipossiemia e ipercapnia) di tipo ostruttivo, in cui cioè ci sono le stigmate semeiologiche di un’ostruzione, che sono aumento del volume residuo, aumento della capacità polmonare totale e diminuzione del volume espiratorio massimo secondo (FEV1). Il termine ostruttivo è usato in opposizione a restrittivo, che si riferisce ad una riduzione della quantità di aria (ad es. un soggetto che ha un polmone e mezzo). BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA Si tratta di una sindrome complessa comprendente affezioni diverse che però sono frequentemente associate tra loro e si esprimono attraverso un quadro fisiopatologico comune. I quadri anatomo-­‐clinici associati ala BPCO più comunemente sono -­‐ ENFISEMA: è la condizione in cui aumenta lo spazio polmonare distale ai bronchioli respiratori con distruzione di parte delle pareti alveolari. La definizione più ampiamente accettata è dilatazione anormale e permanente degli spazi aerei distali rispetto al bronchiolo terminale, accompagnata da distruzione delle loro pareti. L’enfisema porta a insufficienza per diminuzione dell’area della superficie di scambio; non è una patologia restrittiva perché si distrugge anche l’interstizio e quindi la trama elastica del polmone; anche se non c’è un’ostruzione anatomica, il risultato è lo stesso perché c’è un ostacolo al ritorno elastico nell’espirazione.

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Dal punto di vista anatomico la distruzione avviene anche a carico dei vasi del setto alveolare, il che è come potare l’albero capillare polmonare e ridurre la sezione complessiva del letto capillare polmonare con conseguente aumento della resistenza complessiva al flusso e si instaura ipertensione polmonare (ipertrofia concentrica del ventricolo dx di compenso per ristabilire la portata a valle dell’evento ostruttivo). L’evoluzione verso lo scompenso è facilitato dall’ipossiemia e causa dilatazione del ventricolo per degenerazione cellulare da ipossia (rigonfiamento degli organelli e steatosi), perciò il miocardio sarà flaccido e grigio-­‐giallastro, con una tonalità bruna da accumulo di lipofuscina. Macroscopicamente il polmone appare in una condizione di residua espansione superiore a quella normale: è voluminoso, pallido, talora con presenza di bolle, di consistenza soffice, con netta sensazione di crepitio. Una caratteristica importante è la IMPRONTABILITA’ cioè, a causa della diminuzione della elasticità, andando a comprimere con un dito si lascia una impronta depressa sul parenchima (cosa che non accade al parenchima normale dove ad una compressione segue una riespansione). Alla superficie di sezione il polmone appare relativamente asciutto e spugnoso a causa della dilatazione delle cavità alevolari. Microscopicamente si nota una architettura polmonare con alveoli più ampi, letto vascolare nei setti intralveolari ridotto, e ramuscoli vasali superstiti aumentati di calibro che decorrono spesso delimitando bolle enfisematose (detti capillari di corrente). L’ipossiemia causa poliglobulia e perciò aumento resistenza interna al flusso (viscosità) che si sovrappone alla resistenza interna e peggiora il circolo vizioso. Le cause che provocano enfisema sono due: 1) Costituzione genetica: Esistono varianti di un gene per un’antiproteasi (alfa-­‐1-­‐antitripsina) ipofunzionanti. C’e perciò uno squilibrio tra attività preoteasica e antiproteasica e questo basta a causare enfisema (anche senza fumo). 2) Fumo di sigaretta: la seconda causa è il fumo di sigaretta (è associato a arteriosclerosi, tumori del polmone, previene il Parkinson e l’Alzheimer): in questo caso non è un fattore di rischio, ma una causa, con un rapporto dose-­‐effetto (anche per la bronchite cronica). Il fumo causa la bronchite cronica tramite i suoi agenti irritanti che causano infiammazione, iperplasia ghiandolare, aumento spessore e congestione della mucosa bronchiale, con eccesso di produzione di muco con distruzione delle ciglia e ristagno del muco stesso, che aumenta la suscettibilità alle infezioni: si instaura un circolo vizioso. Riguarda l’intero apparato bronchiale. Il fumo promuove nei capillari alveolari la emarginazione e la diapedesi dei globuli bianchi, che rilascino proteasi neutre (metalloproteasi, elastasi). Esistono diverse forme di enfisema: -­‐ Centroacinari o centro-­‐lobulari: la caratteristica fondamentale è la dilatazione dei bronchioli respiratori e degli alveoli corrispondenti, mentre sono risparmiati gli alveoli più distali. E’ localizzato per lo più nei lobi superiori, particolarmente agli apici e ai margini anteriori. La teoria patogenetica alla base di questo tipo di enfisema è quella della presenza di stenosi bronchiolare + intrappolamento di aria: lesioni stenosanti, che sono costantemente presenti in questo tipo di enfisema, permetterebbero nella fase inspiratoria (attiva) l’ingresso dell’aria, mentre nella fase espiratoria (passiva) rappresenterebbero un ostacolo alla sua emissione. L’intrappolamento dell’aria causa aumento della pressione aerea endoalveolare, sovra distensione delle pareti, compressione dei vasi e atrofia ischemica dei setti. Clinicamente l’atteggiamento inspiratorio è poco pronunciato  ipossia. L’ipossia può dare luogo a cianosi e sono frequenti policitemia, ipertensione polmonare e disfunzione morfo-­‐funzionale del ventricolo dx. Il soggetto affetto di questo tipo di enfisema è definito “blue bloater”: soggetto pletorico, cianotico, obeso. -­‐ Alveolari: la caratteristica fondamentale è la mancanza di lesioni brochiolari. Sono descritte diverse forme: PANACINARE (dilatazione alveolare con alterazioni distruttive dei setti interalveolari e interessamento dell’acino in toto) e forma IRREGOLARE o PARASETTALE (dilatazione alveolare con alterazioni distruttive dei setti interalveolari e interessamento delle zone periferiche dell’acino; è la forma più comune e si sviluppa spesso vicino alle cicatrici!). Alla base delle forme panaci nari c’è il deficit dell’ alfa-­‐1-­‐antitripsina con successivo squilibrio tra proteasi ed antiproteasi a favore delle proteasi. Le forme parasettali e irregolari sembrano essere connesse alla presenza di aree di fibrosi che causerebbero retrazione sclerotica e quindi stiramento sugli alveoli. Clinicamente si osservano alterazioni anatomopatologiche di espansione dei polmoni e di posizione inspiratoria dei polmoni (TORACE A BOTTE). All’RX si nota una radiotrasparenza dei

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campi polmonari e la presenza di bolle. Il soggetto ha difficoltà alla espirazione dell’aria. E’ presente dispnea. Il soggetto affetto da questo tipo d enfinsema è definito “pink puffer”: soggetto che iperventila, non cianotico, magro. L’enfisema causato dal fumo è da noxa inalata, quello genetico no. Perciò il primo interesserà le zone più ventilate, cioè il centro del lobulo acino-­‐polmonare in cui il bronchiolo respiratorio non si è ancora sfioccato nei dotti respiratori (enfisema centrolobulare); quello geneticamente determinato ha una noxa parimenti efficace in tutte le zone del parenchima (enfisema panlobulare). C’è un terzo tipo anatomico di enfisema: irregolare o parasettale, è la forma più comune vicino alle cicatrici (ad es. tubercolari). Enfisema bolloso: bolle di parenchima macroscopiche che quando si rompono fanno uno pneumotorace. Nei fumatori le due patologie sono spesso associate, ma può spesso prevalere l’una o l’altra. -­ BRONCHITE CRONICA (Ascenzi): è una patologia caratterizzata dalla presenza di tosse produttiva presente per almeno tre mesi all’anno per almeno 2 anni consecutivi. E’ considerata come esempio di malattia multifattoriale e secondo l’OMS bisogna tenere in considerazione i seguenti fattori: abitudine al fumo, condizioni socio-­‐economiche, professione, infezioni acute delle vie respiratorie, asma, familiarità, allergie, condizioni climatiche. Macroscopicamente si possono osservare iperemia, tumefazione ed edema della mucosa, spesso accompagnati da eccessiva secrezione mucinosa o mucopurulenta. Microscopicamente le alterazioni caratteristiche sono: una ipertrofia della ghiandole bronchiali sieromucose, che può essere valutata per mezzo del rapporto tra lo spessore della strato ghiandolare e lo spessore della parete tra epitelio e la cartilagine (INDICE DI REID!  normalmente è 0,4); un incremento numerico delle cellule caliciformi; a volte sono presenti anche alterazioni della parete bronchiale (stenosi, sclerosi, ecc). Clinicamente il sintomo cardinale è la persistenza di tosse produttiva. Una bronchite cronica di lunga durata porta allo sviluppo di cuore polmonare con insufficienza cardiaca. Inoltre c’è una maggiore suscettibilità alle sovrainfezioni batteriche che possono essere anche fatali. -­ BRONCHIECTASIE (Ascenzi): sono dilatazioni permanenti di tratti più o meno estesi di bronchi, associati spesso ad infiammazione cronica delle loro pareti. Le bronchi ectasie si possono distinguere in congenite (ipoplasie polmonari con vie bronchiali che si espandono per occupare lo spazio libero) ed acquisite: per pulsione (ristagno di muco + tosse), per trazione (quando un bronco rimane incluso in un campo di parenchima sclerotico che si retrae) e per indebolimento della parete (a causa di processi infiammatori necrotizzanti). Macroscopicamente l’evenienza più comune è quella rappresentata da gruppi di dilatazioni per lo più circoscritte a campi polmonari periferici; il zona colpita del polmone assume un aspetto multiloculare tanto da essere denominato “polmone a favo”! Esistono: -­‐ Bronchiectasie cilindriche: dilatazione uniforme per lunghi tratti. -­‐ Bronchiectasie sacciformi: interessano la parete bronchiale per un tratto approssimativamente eguale come lunghezza al diametro della dilatazione. -­‐ Bronchiectasie fusiformi: aspetti intermedi tra i due precedenti. Microscopicamente si evidenziano alterazioni tipiche della infiammazione cronica, spesso con aspetti ulcerativi e necrotizzanti. Un aspetto peculiare è rappresentato dalle “bronchiectasie follicolari” caratterizzate da noduli linfatici nella mucosa bronchiale e nel connettivo peribronchiale. Clinicamente si osservano le conseguenze della frequente riduzione di parenchima funzionante con alterazioni ventilatorie e di perfusione. E’ presente tosse intensa, espettorato maleodorante, a volte ematico, dispnea e occasionalmente emottisi. Le complicanze possono essere: emorragie; disseminazioni settiche a distanza, amiloidosi secondaria. ASMA BRONCHIALE (Ascenzi) Patologia caratterizzata da eccessi parossistici di difficoltà di respiro dovuti a restringimento spastico delle vie aeree, che possono risolversi sia spontaneamente sia con terapia. Tutti i soggetti asmatici presentano una alterata reattività nei confronti di agenti irritanti e di broncocostrittori e di particolari situazioni (freddo, stress emozionali, esercizio fisico). 1) Asma atopico: detto anche allergico; è causato da specifici allergeni estrinseci in individui ATOPICI, cioè geneticamente predisposti a sviluppare preferenzialmente un maggior

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numero di anticorpi reaginici di tipo IgE. Gli allergeni possono essere di svariati tipi: pollini, forfore animali, polvere, fughi, alimenti, ecc. Il processo rappresenta chiaramente una ipersensibilità di tipo I: si ha prima una fase PRECOCE dopo 5-­‐30 minuti dal contatto con l’allergene che è caratterizzata da vasodilatazione + edema + spasmo della muscolatura liscia bronchiale; successivamente si ha una fase TARDIVA (dopo qualche ora) in cui c’è infiltrazione della mucosa da parte di eosinofili, monociti, granulociti + lesioni parietali. E’ utile una prova cutanea di ipersensibilità utilizzando l’antigene che si pensa sia la causa della allergia: questo una volta inoculato nella cute causa la formazione di un pomfo e di eritema reattivo. E’ più frequente in età giovanile. 2) Asma NON atopico: si sviluppa subdolamente in soggetti non atopici. E’ di tipo intrinseco e colpisce solitamente soggetti con bronchite cronica alla quale si sovrappongono infezioni delle vie respiratorie. Alla base di queste infezioni si pensa ci possano essere i VIRUS (si pensa che la flogosi indotta dai virus causi una diminuzione della soglia di attivazione dei recettori vagali sub-­‐epiteliali della mucosa respiratoria in risposta a stimoli irritatori anche lievi), ma altre teorie indicano come possibili fattori causali anche l’esposizione professionale a varie sostanze, l’aspergillosi, alcuni farmaci (aspirina). Macroscopicamente non ci sono lesioni caratteristiche e spesso sono simili a quelle della bronchite cronica. Solitamente c’è la presenza di secreto denso e abbondante nei bronchi medi e piccoli, che può formare dei calchi dell’albero bronchiale (BONCHITE PLASTICA). Se vengono occlusi bronchioli e piccoli bronchi si avrà ATELECTASIA. Infine sono spesso presenti anche BRONCHIECTASIE SACCULARI. Microscopicamente si rilevano i quadri della bronchite cronica e della infezione associati ad altre alterazione più o meno peculiari: gli infiltrati infiammatori contengono una ricca componente granulocitaria eosinofila; nel secreto si trovano piccoli cristalli romboidali derivanti dalla lisi dei granulociti (CRISTALLI DI CHARCOT – LEYDEN); nel muco endoluminale sono presenti addensamenti vorticosi del secreto, detti SPIRALI DI CURSCHMANN. Clinicamente l’asma è caratterizzata da episodi di dispnea improvvisa, più frequentemente di notte e di mattina presto + stridore respiratorio + sibili e rantoli respiratori + tosse con espettorato mucoso e vischioso + tachicardia. Importante per la diagnosi è una dettagliata ANAMNESI seguita da test di esclusione (RX TORACE) e test cutanei. La terapia farmacologica consiste nell’uso di glicocorticoidi inalabili come terapia protratta. In caso di attacco grave d’asma è necessario dare anche O2.

TUMORI BRONCOPOLMONARI (ASCENZI + ROBBINS + DISPENSE) FORMA FREQUENZA Carcinomi 90% Adenomi 5% Condromi, sarcomi e altre forme rare 5% La distinzione tra forma polmonare e forma bronchiale è poco netta, ma esistono tumori che sono di pertinenza esclusiva di uno o dell’altro compartimento. -­‐ Condromi bronchiali: nodi di cartilagine, spesso unici, in continuità con le cartilagini bronchiali. Benigni -­‐ Amartocondromi: neoformazioni voluminose (3-­‐4cm). Caratterizzate da nodosità e lamine cartilaginee + fessure tappezzate da epitelio respiratorio. -­‐ Carcinoidi e tumori delle ghiandole mucose: si localizzano per o più nei grandi bronchi, nel cui lume sporge una neoformazione polipoide, liscia ed occludente. Istologicamente i carcinoidi sono costituiti da cordoni di piccole cellule argirofile e argentaffini. Queste cellule prenderebbero origine dalle cellule del KULSCHITZKY e sono considerate del sistema APUD. I tumori delle ghiandole mucose sono rarissimi e sono anche detti cilindromi. -­‐ Papillomi bronchiali: sono molto rari. Possono essere multipli (più nei giovani) o solitari (più negli adulti). Sono lesioni per lo più di tipo benigno. -­‐ Carcinomi broncopolmonari: è il carcinoma più frequente al mondo e la più comune causa di mortalità per cancro. Colpisce maschi e femmine con rapporto 3-­‐6/1. E’ una neoplasia proprio

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dell’età avanzata, molto rara prima dei 40 anni; il picco di incidenza è tra 50-­‐60 anni. I fattori di rischio alla base dello sviluppo del carcinoma polmonare: • Fattori di origine industriale: esposizione all’asbesto; esposizione a prodotti chimici come arsenico, polveri di nikel e di cromo, clorometiletere; inquinamento atmosferico dell’ambiente generale; radioattività-­‐ • FUMO DI SIGARETTA: è considerato il principale fattore eziologico in seguito: -­‐ Evidenze statistiche: l’87% dei carcinomi si ha nei fumatori; un medio-­‐forte fumatore ha un rischio di sviluppare il tumore 10-­‐20 volte maggiore ad un non fumatore. -­‐ Evidenza clinica: è stato istologicamente provato che il fumo è la causa di alterazioni displastiche dell’epitelio bronchiale: perdita di ciglia, iperplasia delle cellule basali, metaplasia verso epitelio squamoso. -­‐ Evidenze sperimentali: in seguito a esperimenti su animali è stato possibile identificare sostanze contenute nel fumo che hanno azione cancerogena: esse appartengono alle classi delle nitrosa mine, degli idrocarburi aromatici policiclici, degli idrocarburi eterociclici, dei radionuclidi emittenti particelle alfa. I carcinogeni derivano da entrambe le fasi del fumo di sigaretta: 1. FASE CATRAMOSA  la freaione neutra contiene sono gli idrocarburi policiclici (una volta ossidat si attivano e vengono convertiti a epossidi altamente reattivi che legano il DNA); nella frazione basica basica ci sono nitrosamine e nicotina; nella frazione acida ci sono probabilmente composti promoventi il tumore; nella frazione residua ci sono cadmio, nichel, polonio-­‐210. 2. FASE GASSOSA  gran numero di ROS, ossido nitrico, idrazina, nichel carbonile, cloruro di vinile. • Fattori genetici: è stata suggerita una possibile predisposizione genetica per quanto riguarda alterazioni di geni responsabili del metabolismo dei carcinogeni presenti nel fumo. • Anomalie genetiche: La rottura dell'equilibrio tra le azioni opposte dei geni che stimolano la proliferazione cellulare (oncogeni) e di quelli che la impediscono (anti-­‐oncogeni): -­‐ K-­‐ras, negli adenocarcinomi; -­‐ erb-­‐B nei ca non a piccole cellule -­‐ myc nei ca a piccole cellule Macroscopicamente: nei 2/3 dei casi origina dai grandi bronchi e in 1/3 dei in casi in periferia (più agevolmente operabili quindi prognosi migliore). Nei grandi bronchi le lesioni iniziali sono PLACCHE LARDACEE della mucosa che progressivamente sporgono nel lume fino a diventare MAMMELLONI STENOSANTI o OCCLUDENTI. I carcinomi periferici sono quelli che originano a livello distale delle vie aeree (piccoli bronchi, bronchioli, alveoli) e appaiono come una MASSA GLOBOSA con limiti netti nei confronti del parenchima circostante. La sede più frequente è corticale o sub-­‐corticale e spesso viene precocemente coinvolta la pleura. Quando tumori periferici dell’APICE polmonare invadono la parete toracica si manifesta la SINDROME DI PANCOAST  dolore alla spalla irradiato al braccio, atrofia muscoli della mano, fenomeni oculari da paralisi del simpatico. La vera classificazione dei carcinomi broncopolmonari è essenzialmente istologica. Secondo l’OMS i tumori si classificano in: 1) DISPLASIA e CARCINOMA IN SITU: sono lesioni precancerose che si scoprono con la biopsia bronchiale. Le lesioni interessano aree di metaplasia pavimentosa della mucosa bronchiale. 2) CARCINOMA A CELLULE SQUAMOSE: può avere diversi gradi di differenziazione (altamente, moderatamente, scarsamente differenziato). È riscontrato per lo più nei maschi ed è strettamente correlato a una storia di tabagismo. Macroscopicamente il tumore è caratterizzato da una piccola area di ispessimento o accumulo nella mucosa bronchiale; con la progressione tumorale assume un aspetto irregolare e verrucosa che alza o erode il rivestimento epiteliale. Esso può crescere nel lume del bronco oppure cresce lungo un ampio fronte andando a comprimere il parenchima circostante (“a cavolfiore”). In tutti questi quadri il tessuto neoplastico é bianco-­‐grigiastro, di consistenza fermo-­‐duro. Frequenti sono le aree di emorragie e necrosi di colore bianco-­‐giallastro che possono cavitare. Microscopicamente è caratterizzato dalla presenza di cellule squamose maligne cheratinizzanti, e con formazione di perle cornee nelle forme ben differenziate. A seconda della quantità di cheratina, può essere -­‐ben differenziato; -­‐moderatamente differenziato

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20 -­‐scarsamente differenziato. Al ME sono presenti sono presenti abbondanti tonofilamenti, desmosomi. Esistono diverse varianti istologiche dei carcinomi squamo cellulari: • a piccole cellule: i tumori sono piccoli con focale cheratinizzazione • a cellule chiare: le cellule chiare sono numerose ( per accumulo di glicogeno), ma il tumore mostra chiara evidenza di cheratinizzazione a differenza dell'adenocarcinoma a cellule chiare. • papillare ben-­‐differenziato: si presenta come una lesione papillare intrabronchiale con scarsa invasione stromale e senza necrosi. • basalioide: questo sottogruppo é importante ed é caratterizzato da un decorso clinico molto aggressivo; • sarcomatoide (a cellule fusate). 3) ADENOCARCINOMA: tumore epiteliale maligno con differenziazione ghiandolare o produzione di mucina da parte delle cellula tumorali. È di tipo periferico ed è più frequente nelle donne e nei NON fumatori. Crescono più lentamente rispetto agli squamocellulari ma tendono a metastatizzare più precocemente. Macroscopicamente appare come una massa grigio-­‐giallastra poco circoscritta, singola o multipla. I tumori che secernono mucina, hanno un aspetto mucoide. La cavitazione é rara. Nel 65% dei casi é periferica e nel 77% dei casi interessa la pleura viscerale, dando fibrosi pleurica. Un'alta percentuale di adenocarcinomi insorge da una cicatrice fibrosa periferica. Microscopicamente si classificano in base alla differenziazione ghiandolare (formazione di tubuli o papille e la secrezione di mucina): • Acinare • Papillare • Solido, con occasionali ghiandole che producono mucina. Le varianti istologiche dell’adenocarcinoma sono: • adenocarcinoma "signet ring cells" • adenocarcinoma mucinoso • adenocarcinoma con focolai coriocarcinomatosi L'invasione vascolare si ha nell'86% dei casi e metastasi ai linfonodi ilari e peribronchiali sono presenti nella metà dei pazienti. Un tipo particolare di adenocarcinoma è il “bronchiolo – alveolare” E' un tumore che sorge nella regione bronchioloalveolare e rappresenta 1-­‐9% dei cancri del polmone. E’ presente in pazienti di tutte le età dalla terza decade di vita fino in età avanzata. Sono ugualmente distribuiti tra gli uomini e le donne, e si manifesta con dolore, tosse ed emottisi. Poiché il tumore non interessa i bronchi maggiori, l'atelectasia e l'enfisema sono rari. Occasionalmente può dare il quadro di una pneumonite interstiziale. Le lesioni solitarie possono essere resecate. La sopravvivenza a cinque anni varia dal 50 al 75% con una media del 25%. Le metastasi non sono precoci, né ampiamente disseminate, ma appaiono nel 45% dei casi. Macroscopicamente appare come un nodulo singolo o multiplo; i noduli hanno un aspetto mucinoso, grigio, translucente quando la secrezione é lucente; altrimenti appare come un'area solida grigio-­‐biancastra che può essere confusa con pneumonia. Microscopicamente si riconoscono due tipi istologici: • il tipo mucinoso , costituito da cellule colonnari ben differenziate contenenti mucina, che rivestono gli spazi respiratori senza invadere lo stroma; la caratteristica è la multiplicità. • il tipo non mucinoso (60-­‐75%) si presenta come focolai bianco-­‐grigiastri di parenchima consolidato, talora con una cicatrice centrale. Le cellule tumorali sono cuboidali piuttosto che colonnari, con maggiori atipie nucleari rispetto al tipo mucinoso; una differenziazione “Clara cells”, inclusioni intranucleari PAS positive, vari gradi di fibrosi. Il carcinoma bronchioloalveolare non mucinoso ha una prognosi migliore rispetto al tipo mucinoso. 4) CARCINOMI A LARGHE CELLULE: è un insieme di tumori epiteliali pleomorfi senza evidenza di differenziazione squamosa o ghiandolare. Le cellule sono larghe cellule poligonali, vescicolari, più grandi di quelle del carcinoma a piccole cellule.

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Al ME dimostrano lumi intra ed extracellulari (come evidenza della differenziazione ghiandolare) o desmosomi ben formati con numerosi tonofilamenti (come evidenza del carcinoma squamoso). La sede di questi tumori, e la combinazione dei quadri ultrastrutturali e immunoistochimici, suggeriscono una stretta correlazione con l'adenocarcinoma piuttosto che con altri tipi di tumori. A questa categoria appartengono: • Carcinoma a cellule giganti: costituiti da cellule bizzarre multinucleate, che si alternano con forme mononucleate, tanto da simulare un sarcoma. Molti di questi tumori sono periferici ed abbastanza estesi al tempo della diagnosi. • Carcinoma cellule fusate: le cellule hanno una forma allungata, fascicolare o storiforme da imitare uno “spindle cell sarcoma”. • Carcinoma linfoepitelioma simile: con nuclei vescicolari, nucleoli eosinofili prominenti, e infiltrazione linfocitaria. La diagnosi differenziale va fatta con lo pseudolinfoma infiammatorio e il linfoma maligno. • Carcinoma pseudo-­angiosarcomatoso: il tumore é costituito dalla formazione di spazi che simulano le anastomosi vascolari dell'angiosarcoma. • Carcinoma neuroendocrino a larghe cellule • Carcinoma non a piccole cellule con aspetti neuroendocrini. 5) CARCINOMI A PICCOLE CELLULE (MICROCITOMA): L'età media é intorno ai 60 anni. Si distinguono dagli altri tipi di tumori del polmone, per il comportamento clinico, la natura sistemica, e la risposta alla chemioterapia. Il carcinoma a piccole cellule é una lesione centrale, ma occasionalmente può essere periferica. Quando é centrato in un largo bronco, esso può interessare in modo circonferenziale o disseminarsi ampiamente nella mucosa normale adiacente. Nello stadio tardivo, il bronco può essere occluso totalmente, ma il puro interessamento endobronchiale é raro. I carcinomi a piccole cellule sono classificati in base alla classificazione IASLC del 1988 in: Piccole cellule: é la forma classica ed é caratterizzata da cellule rotonde, che rassomigliano a linfociti, con nuclei finemente granulari, nucleoli incospicui, citoplasma scarso. Misto piccole/larghe cellule: sono quei tumori che esibiscono una popolazione mista di piccole e grandi cellule. Combinato: (1-­‐3% di tutti i casi) sono definiti quei tumori con un quadro di carcinoma a piccole cellule, con in più una componente (circa il 5%) di carcinoma squamoso o adenocarcinoma (incluso il bronchiolo alveolare). Macroscopicamente il tumore é bianco, soffice, friabile ed è descritto come tumore dei grandi e medi bronchi. Microscopicamente si notano cellule rotondeggianti con nuclei ovoidali o fusiformi. Si descrivono tre varietà di cellule: a “chicco d’avena”, di “tipo intemedio” e “combinata”. Caratteristica del microcitoma è la SECREZIONE DI ACTH con sindromi cushinoidi. Più raramente si può avere a secrezione di altri ormoni. E’ un tumore a rapido sviluppo e il progredire dei sintomi porta alla diagnosi in pochi mesi. Il microcitoma è il tumore polmonare che più spesso è associato a sindromi paraneoplastiche. Tra queste è opportuno ricordare: • Sindrome da inappropriata secrezione di ADH • Produzione di ACTH  Sindrome di Cushing • Produzione di PTH o PGDE (proteina associata al PTH)  ipercalcemia • Calcitonina  ipocalcemia • Gonadotropine  ginecomastia • Serotonina  Sindrome da carcinoide • Neuropatie periferiche • Acanthosis Nigricans • Sindrome miastenica di Lambert Eaton: caratterizzata ipostenia muscolare probabilmente dovuta alla presenza di autoanticorpi diretti contro il canale neuronale del calcio. FORME MENO FREQUENTI

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22 6) Carcinoma adenosquamoso: Questo termine é usato per quei tumori che hanno una differenziazione sia squamosa che ghiandolare e rappresenta meno del 10% dei tumori del polmone. Molti di questi sono periferici, insorgono su precedenti cicatrici, il che suggerisce una più stretta correlazione con l'adenocarcinoma che col carcinoma squamoso. 7) Carcinoma a celule chiare: E' un tipo definito di carcinoma costituito da cellule chiare, contenenti mucina. Aree focali o estese di carcinoma a cellule chiare possono trovarsi sia nei carcinomi squamosi che negli adenocarcinomi. DD con presenza di un tumore a cellule chiare del rene, che metastatizza al polmone.

STADIAZIONE TNM: Tumori del polmone: classificazione clinica TNM T – tumore primitivo Tx il tumore primitivo non può essere definito, oppure ne è provata l’esistenza per la presenza di cellule atipiche nell’escreato o nel liquido di lavaggio bronchiale, ma non è visualizzato con le tecniche per immagini o con la broncoscopia. T0 non segni del tumore primitivo. Tis carcinoma in situ. T1 tumore di 3 cm o meno nella sua dimensione massima, circondato da polmone o da pleura viscerale, e alla broncoscopia non si rilevano segni di invasione più prossimale del bronco lombare (p. es. non nel bronco principale) T2 tumore con una delle seguenti caratteristiche di dimensione od estensione: -­‐ superiore a 3 cm nella dimensione massima; -­‐ interessamento del bronco principale, 2 cm o più distale alla carina; -­‐ invasione della pleura viscerale; -­‐ associato ad atelettasia o polmonite ostruttiva che si estende alla regione ilare, ma non interessa il polmone in toto. T3 tumore di qualsiasi dimensione che invade direttamente alcune delle seguenti strutture: parete toracica (inclusi i tumori del solco superiore), diaframma, pleura, mediastinica, pericardio parietale; o tumore del bronco principale a meno di 2 cm distalmente alla carina, ma senza interessamento della carina stessa; o associato ad atelettasia o polmonite ostruttiva del polmone in toto T4 tumore di qualunque dimensione che invade alcune delle seguenti strutture: mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, esofago, corpi vertebrali, carina; o tumore con versamento pleurico maligno. N – linfonodi regionali Nx i linfonodi regionali non possono essere definiti N0 non metastasi nei linfonodi regionali N1 metastasi nei linfonodi omolaterali peribronchiali e/o omolaterali ilari, compresa la estensione diretta N2 metastasi nei linfonodi omolaterali mediastinici e/o in quelli della carina N3 metastasi nei linfonodi mediastinici controlaterali, negli ilari controlaterali, negli scalenici o nei sovraclavicolari omolaterali o controlaterali M – metastasi a distanza Mx la presenza di metastasi a distanza non può essere accertata M0 non metastasi a distanza M1 metastasi a distanza METASTASI: L'estensione può aversi alla pleura o al pericardio. L'interessamento linfonodale é > al 50% (linfonodi tracheali, bronchiali, e mediastinici). Il carcinoma broncogeno metastatizza a distanza per via ematica e linfatica. Questi tumori possono disseminare nel corpo sin dagli stadi precoci della loro evoluzione. Spesso la metastasi si presenta come la prima manifestazione di un carcinoma broncogenico occulto. Le sedi preferenziali delle metastasi sono illustrate nelle tabella: SEDE FREQUENZA Cervello 44,7 % Linfonodi extratoracici 44,6 % Fegato 44,1 % Ghiandola surrenale 33,7 %

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23 Ossa Rene

29,5 % 23,6 %

CLINICA: I sintomi principali sono: • tosse (75%) • perdita di peso (40%) • dolore al torace (40%) • dispnea (20%) • febbre • Il 60% si presenta già come una disseminazione secondaria di un tumore primitivo. • Le lesioni periferiche sono silenti finché non ulcerano nel bronco o interessano lo spazio pleurico. • Nei soggetti asintomatici, i carcinomi si presentano all’RX come una massa solitaria circoscritta ("coin lesion"). Le calcificazioni nelle "coin lesion" sono presenti in meno dell'1%. Gli esami strumentali e di laboratorio utili per la diagnosi sono: * esame radiografico del torace * esame citologico dello sputo * lavaggio bronchiale * brushing bronchiale * biopsia bronchiale durante fibroscopia * biopsia transbronchiale * biopsia polmonare transtoracica con ago sottile (FNAB) e mediastinoscopia * CT, MRI – PNEUMOCONIOSI (Prof.ssa Ascoli + Ascenzi + Robbins) Processo reattivo del polmone dovuto ad inalazione e accumulo di polveri minerali NOCIVE (sclerogene “S” -­‐ sintomatiche) o INERTI (non sclerogene “NON S” – non sintomatiche). Sono patologie che si contraggono per lo più a causa di ESPOSIZIONE AMBIENTALE (aree urbane) o PROFESSIONALE (luoghi di lavoro). Le maggiori differenze fra le forme sintomatiche e non sono sintetizzate nelle tabella seguente: Caratteristiche Sintomatiche Non sintomatiche Alterazione dei tessuti Fibrosi marcata Fibrosi scarsa o assente Lesioni Irreversibili Reversibili Cessata esposizione Progressione Arresto I minerali che causano pneumoconiosi sono soprattutto: -­‐ CARBONE (NON S / S)  ANTRACOSI: enfisema da polveri; le particelle passano nell’intersizio, dilatazione alveoli, air trapping. -­‐ SILICE (S)  SILICOSI: fibrosi nodulare -­‐ AMIANTO (S)  ASBESTOSI: fibrosi interstiziale -­‐ Molto rare sono berilliosi, siderosi, alluminosi. Il meccanismo patogenetico segue i seguente schema: POLVERI  INCORPORAZIONE  interazione delle particelle in sospensione con le vie aeree. L’entità del danno è variabile ed è in rapporto con la ESPOSIZIONE (durata; coesposizione ad altre sostanze tossiche come fumo di sigaretta), con lo stato dei MECCANISMI di DIFESA dell’ospite e con la DIMENSIONE e SOLUBILITA’ della particelle inalate. Il processo di incorporazione si divide in più fasi: 1) INALAZIONE: la probabilità che una particella di polvere entri nelle vie aeree è detta INALABILITA’ e dipende dalle dimensioni della particella stessa. Dimensioni (um) 0 5 15 25 Efficienza 100 68-­‐83 39-­‐62 31-­‐35 Negli alveoli possono entrare solo particelle < 5 um perciò si può affermare che le particelle più dannose hanno un diametro compreso tra 1 e 5 um; in tal modo possono entrare nei sacchi alveolari e andarsi a localizzare nei setti.

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24 2) DEPOSIZIONE: probabilità che la particella entri in contatto con i tessuti, dove esplica la sua attività biologica. I tessuti in questione sono: vie aeree superiori; albero tracheo-­‐ bronchiale; alveoli. 3) DEPURAZIONE:). Esistono meccanismi protettivi fisiologici: vibrisse nasali, riflesso della tosse, clearance muco-­‐ciliare, espettorazione, deglutizione; con questi meccanismi vengono eliminate le polveri più velocemente nella regione di naso, orofaringe e laringe (<2 h) e in più tempo dall’albero tracheo-­‐bronciale (2-­‐24 h). Il fumo va ad alterare l’apparato muco-­‐ciliare interferendo con la clearance. Infine ci sono anche meccanismi cellulari difensivi, rappresentati dalla clearance operata dai macrofagi alveolari e dal trasporto linfatico che depurano gli alveoli; questo processo può durare da settimane a mesi. Se la particella è > 5 um viene espulsa; se è < 5 um si deposita ed ha effetto sclerogeno o non sclerogeno.

-­ Pneumoconiosi prevalentemente NON SCLEROGENE ANTRACOSI: Avviene in seguito ad esposizione e inalazione di CARBONE AMORFO (carbone antracite, contiene silice) che può essere dovuta alla esposizione all’ambiente urbano, al fumo oppure occupazionale (minatori di carbone). Solitamente è di tipo non sclerogeno e causa poca fibrosi. Tutti abbiamo un po’ di antracosi! Anatomopatologicamente esistono due forme: a) SEMPLICE  Macroscopicamente il polmone mostra zone nere sparse dovute alla presenza di granuli antracotici fagocitati da macrofagi o liberi, che iniziano puntiformi e poi si estendono. Microscopicamente si nota una dilatazione dei bronchioli respiratori con pareti infiltrate e circondate dal TATUAGGIO ANTRACOTICO. b) COMPLICATA  Macroscopicamente il polmone mostra masse fibrose nerastre per lo più nei lobi superiori, di diametro almeno di 2 cm. Questi ammassi fibrosi presentano spesso una colliquazione centrale. Microscopicamente gli ammassi sono costituiti da connettivo fibroso ricco di fibre collagene, con abbondanti deposizioni antracotiche. Clinicamente si ha un modesto calo della funzionalità respiratoria perciò viene considerata una patologia benigna. Complicanze rare (<10%) possono essere disfunzione polmonare, cuore polmonare e ipertensione polmonare. -­ Pneumoconiosi SCLEROGENE Patogenesi della fibrosi: polveri inalate  tossicità sui macrofagi  fattori chemio tattici  monociti circolanti  altri macrofagi  rilascio PROTEASI e OSSIDANTI che danneggiano il parenchima; attivazione FIBROBLASTI nell’interstizio e/o nell’alveolo con deposizione di materiale collageno. SILICOSI: conseguenza caratteristica dei lavori polverosi di miniera, di cava, di traforo delle gallerie, ecc. La silice si trova in natura sottoforma di quarzo e suoi derivati (tridimite e cristobalite). Il suo potere patogenetico è da associare alla sua configurazione cristallina (biossido di silicio). La silice in forma amorfa (es. sabbia) è innocua. Infatti i CRISTALLI DI QUARZO sono la forma maggiormente responsabile di silicosi umana. E’ la malattia professionale più diffusa al mondo e si presenta solitamente dopo decenni dall’esposizione. La prevenzione della malattia può essere fatta utilizzando filtri e maschere. In seguito all’esposizione alla silice si ha un danno cellulare diretto mediato dalla polvere stessa e un danno mediato da macrofagi attivati dalla silice. Il quadro patologico è dominato da una FIBROSI NODULARE PROGRESSIVA. Macroscopicamente il polmone mostra in fase iniziale dei piccoli noduli pallidi mentre nelle forme tardive c’è una fibrosi (zone più CHIARE) con retrazione del lobo superiore. Le lesioni fibrotiche possono colpire anche i linfonodi ilari e le pleure. I questi casi sono visibili all’RX delle calcificazioni “A GUSCIO D’UOVO” nei linfonodi. Microscopicamente ci sono due lesioni caratteristiche: il NODULO SILICOTICO che si forma in seguito a fagocitosi delle particelle cristalline da parte dei macrofagi, che poi muoiono e rilasciano la sostanza fagocitata insieme ad altri mediatori che richiamano sia nuovi macrofagi sia fibroblasti che si localizzano alla periferia del nodulo e rilasciano materiale collageno; le LAMINE FIBROSE e FIBRO-­‐IALINE.

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Clinicamente la malattia viene scoperta di solito all’RX che mostra una fine modularità nelle zone superiori del polmone. Il primo sintomo a comparire, anche se molto tardivamente è la DISPNEA. Dal momento della sua comparsa la malattia diventa progressiva anche se non si è più esposti. Questa malattia porta a MORTE lentamente e nelle fasi tardive può causare gravi alterazioni della funzione respiratoria. Tra la conseguenze e le complicanze della silicosi sono da ricordare: aumentata predispozione alla infezione TBC, BPCO, aderenze pleuriche, sclerodermia, aumentato rischio di carcioma del polmone (la silice cristallina è stata considerata carcinogena degli essere umani). ASBESTOSI: Si contrae per esposizione alla’AMIANTO. In Italia vi sono esposti 350.000 lavoratori. Esistono tre tipi diversi di amianto: 1) Crisotilo  amianto bianco, il più usato (90%). Utilizzato anche ne tessile. 2) Amosite  amianto bruno, usato nell’industria plastica e di isolanti termici. 3) Crocidolite  amianto blu, il più aggressivo. Le caratteristiche dell’amianto sono: leggerezza, resistenza, lunga durata, possibilità di essere usato in ogni luogo, impermeabilità, isolante termico, isolante acustico! Perciò è destinato a usi di più svariata natura! Coloro che hanno maggior RISCHIO di sviluppare la malattia sono i lavoratori che hanno a che fare con: estrazione dell’amianto, produzione di amianto o di manufatti in amianto, manutenzione di materiali contaminati da amianto. L’asbestosi si presenta solo molte decadi dopo l’esposizione che in genere è prolungata, ma può essere anche breve. Infatti è una pneumoconiosi definita come “inversamente proporzionale alla dose”  anche poca quantità di polvere può causare una imponente fibrosi! Le fibre di amianto sono molto lunghe (100 um), ma molto SOTTILI (0,5 – 1 um), NON biodegradabili. I macrofagi tagliano la fibra e la ricoprono di proteine e ferro. Ad ogni ispirazione la fibra si approfondì nel parenchima. Il danno causato dalle fibre di amianto è sia cellulare diretto sia mediato dai macrofagi che producono citochine, IL, fattori di crescita, O2 attivo, cioè tute molecole che rappresentano uno stimolo alla chemiotassi e alla fibrogenesi. Le lesioni sono rappresentate da FIBROSI INTESTIZIALE diffusa e bilaterale, più grave nei lobi inferiori (il setto intralveolare diventa 100-­‐ 150 volte più spesso del normale); FIBROSI PERIBRONCHIALE; ADERENZE e PLACCHE PLEURICHE. Macroscopicamente si ha aumento di volume, peso e consistenza dei polmoni; presenza di aree di fibrosi (zone più chiare). Nelle forme più gravi si può giungere al “polmone a favo d’api”. Le lesioni sono diffuse a tutto il polmone, sono sempre bilaterali, e si intensificano per lo più verso le basi. Microscopicamente c’è la presenza caratteristica dei “CORPUSCOLI ASBESTOTICI”, cioè piccoli corpi di colore marrone dorato, bastoncellari, con un centro traslucido: sono fibre di asbesto ricoperte da materiale proteinaceo contenente ferro. Clinicamente il primo sintomo a comparire è la DISPNEA prima sotto sforzo e poi a riposo; segue la presenza di TOSSE PRODUTTIVA. Le conseguenze e le complicazioni della asbestosi da ricordare sono: insufficienza respiratoria, cuore polmonare, sviluppo di carcinoma polmonare o pleurico, morte. SARCOIDOSI Malattia sistemica cronica ad eziologia sconosciuta. Esordisce frequentemente con malessere, senso di affaticamento e manifestazioni gastrointestinali, che pertanto vanno tenute bene in considerazione dal medico che dovrà procedere eventualmente a un RX del torace. La caratteristica è l’accumulo di granulociti PMN e di TH1 in praticamente tutti i distretti corporei, e la formazione di granulomi epiteliodi non caseosi. I distretti più colpiti sono la polmone, linfonodi, SNC, cute, occhi. Assieme a granulomatosi di Wegener, malattia granulomatosa cronica, artite reumatoide, malattia di Churg-­‐ Strauss forma il gruppo delle malattie granulomatose sistemiche autoimmuni. Nonostante ci sia una profonda anergia cutanea e una depressa funzione immune, la malattia è causata proprio da un aumento delle risposte mediate dagli helper. L’eziologia rimane sconociuta, ma la cosa più probabile è una risposta abnorme ad una determinata classe di antigeni che possono essere endogeni o esogeni. Epidemiologia È molto più comune fra le donne irlandesi che vivono a Londra (forse a causa di esposizione a particolari antigeni). Età 20-­‐40 più comune, distribuzione familiare anche se più probabilmente

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legata alle condizioni di vita comuni dei gruppi familiari. Massima incidenza nel sud-­‐ovest degli Stati Uniti, praticamente sconosciuta in Asia. Eziologia Tutti i dati indicano una forte attivazione e proliferazione dei TH1 in risposta ad un antigene esogeno o endogeno, con conseguente formazione granulomi, sotto lo stimolo dell’IL1 e dell’INF. Le teorie proposte per spiegare questa iperattivazione sono diverse: • Presenza di un antigene in grado di attivare selettivamente (e magari policlonalmente) i TH1 • Inefficacia del meccanismo soppressivo nei confronti dei TH1 • Difetto genetico di attivazione dei TH1, che si attivano in maniera esagerata I linfociti nella malattia sono attivati in maniera oligoclonale, e non si ha una proliferazione aspecifica. Per quel che riguarda invece il mantenimento della situazione di iperattivazione, essa è dovuta alla produzione di IL2 e di INF, di CSF-­‐GM ecc che producono la proliferazione ed il richiamo di macrofagi e linfociti. Ultimamente, sembra che la tecnica di ibridazione del DNA e la PCR, eseguite su frammenti di tessuto polmonare infetto, abbiano trovato frammenti di DNA micobatterico. Inoltre questa ipotesi è avvalorata dalla presenza di numerosi linfociti di tipo γ-­‐δ, tipici della TBC. Fisiopatologia • Accumulo di cellule infiammatorie mononucleate, e di linfociti, in forma di granuloma nei vari tessuti. La struttura tipica del granuloma è un aggregato compatto di cellule giganti ed epitelioidi, attorniato da un anello di linfociti T e B (in misura minore), e ben delimitato da una componente fibrillare. Nel complesso la struttura è abbastanza demarcata. Le cellule giganti della sarcoidosi possono avere struttura simile alle cellule da corpo incluso, con inclusioni stellate (corpi asteroidi), a forma di conchiglia (corpi di Schaumann), o corpi rifrangenti contenenti calcio (corpi residui). • Il danno che la malattia produce non è legato allo stimolo infiammatorio lesivo per il tessuto sano, ma al fatto che le cellule che si accumulano, libere o sottoforma di granuloma, costituiscono un ispessimento che finisce per danneggiare l’architettura dell’organo e quindi la sua funzione. Infatti le manifestazioni patologiche si hanno quando un numero sufficiente di granulomi ha colpito l’organo in questione. • Dipende da quale organo è colpito il manifestarsi della malattia: essa infiltra ubiquitariamente tutti i tessuti, ma sono l’occhio, il polmone, la cute e i linfonodi a dare evidenza clinica di questo, mentre ad esempio il fegato sebbene infiltrato non reca segni clinici evidenti. Nel polmone invece la malattia comprime le pareti degli alveoli, dei bronchi e dei vasi, producendo ectasia polmonare e ipoperfusione alveolare. • Nella remissione della malattia il granuloma guarisce per la dispersione delle cellule infiammatorie o per la proliferazione dei fibroblasti dall’esterno, con formazione di una piccola cicatrice. Se la malattia si protrae a lungo o se si sviluppa una infiammazione più intensa, il processo può trascendere il granuloma ed estendersi al tessuto circostante, con lo sviluppo di una fibrosi che danneggia la funzione dell’organo stesso. Anatomia patologica In tutti i tessuti colpiti sono tipici i granulomi non caseosi, formati da agglomerati di cellule epitelioidi, spesso con cellule giganti di Langherans e da corpo estraneo. La necrosi centrale è molto rara. Come detto, nella forma cronica questi vengono intrappolati da esteso tessuto fibroso Non patognomonici ma caratteristici sono: • Corpi di Schaumann: concrezioni lamellari costituite da calcio e da proteine • Corpi asteroidi: inclusioni a forma di stella presenti nel citoplasma delle cellule giganti dei granulomi Nel polmone le lesioni assumono l’aspetto di piccoli noduli palpabili di pochi cm di diametro, che appaiono come addensamenti parenchimali non cavitati e senza necrosi caseosa. Hanno una tendenza molto elevata alla cicatrizzazione e alla fibrosi polmonare interstiziale. Clinica La malattia viene nella maggior parte dei casi diagnosticata attorno ai 40 anni per un esordio improvviso di 1-­‐2 settimane, o sintomi subdoli di 2-­‐3 mesi, quali anoressia, calo ponderale, febbre e affaticamento. -­‐ Forma asintomatica: viene diagnosticata nel corso di esami di routine, e riguarda circa il 10-­‐ 20% dei casi. Soprattutto radiologie del torace. -­‐ Forma acuta: esordisce in 1-­‐2 settimane con sintomi di malessere generale e a volte sintomi polmonari. Esiste la forma di Lofgren, tipica delle donne scandinave e irlandesi, con quadro radiologico di addensamento linfonodale ilare e sintomatologia articolare, e la sindrome di

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Heerfordt – Waldenstroom con febbre, tumefazione delle parotidi e paralisi del faciale. • Alterazioni immunitarie: la malattia è un esempio della compartimentazione del sistema immune, in quanto a livello periferico non si riscontrano le stesse alterazioni che si trovano a livello della lesione. Infatti nel granuloma c’è iperattività dei T, rapporto CD4/CD8 1:10, e aumento dei TH1, mentre nel sangue i T sono quiescienti, il rapporto CD4/CD8 è normale (1:2) e i TH1 possono anche essere diminuiti. A livello sistemico sono presenti altre alterazioni, di cui la principale è l’ipergammaglobulinemia, con Ab anti linfociti T, che non hanno un ruolo nella malattia ma sono l’effetto della stimolazione dei B. • Polmoni: la sintomatologia polmonare è presente nel 90% dei soggetti a livello radiologico, e nel 50% a livello della funzionalità. 10-­‐15% sviluppa fibrosi. Nel polmone la malattia è tipicamente interstiziale, con interessamento infiammatorio per vicinanza delle pareti esterne di alveoli, bronchi e piccoli vasi. Si possono ascoltare rumori secchi, ma l’emottisi è rara. A volte la compressione dei bronchioli ad opera dei linfonodi polmonari infiltrati o di un grosso granuloma può produrre atelettasie distali. Nella forma della granulomatosi necrotizzante sarcoidosica prevale invece la arterite dei grandi vasi polmonari, provocando alterazioni cliniche importante. La pleura è poco interessata con un versamento, con essudato ricco di linfociti. • Linfonodi: molto comune la linfomegalia ilare, e anche quella sistemica, soprattutto inguinoascellare e cervicale. Anche quelli retroperitoneali e della catena mesenterica. Mobili, non dolenti e di consistenza compatta e gommosa, non vanno incontro ad ulcerazione come nella TBC; può dare problemi di compressione. • Cute: ci può essere una serie di alterazioni nel 25% dei casi. o Eritema nodoso: noduli bilaterali dolenti e violacei sulle gambe, frequente nella forma acuta ed associato con alterazioni delle articolazioni o Lesioni cutanee: placche purpuree non dolenti, spesso rilevate nel viso, glutei ed estremità, e papule maculari del viso e degli occhi, attorno al naso. o Noduli sottocutanei delle estremità e del tronco. o Lupus pernio: idurimento blu-­‐violaceo, traslucido, localizzato al naso, guance, labbra, orecchie e ginocchia. Nella punta delle dita assumono un aspetto a bulbo e sono associate a varicosità. o Occasionalmente sono state osservate, come conseguenza della fibrosi polmonare estesa, dita a bacchetta di tamburo. • Occhi: più comune di tutti è l’uveite, che conduce a fotofobia, offuscamento del visus e lacrimazione, e può anche portare alla cecità. Comune l’interessamento della congiuntiva, con noduli giallastri. Se viene colpita la ghiandola lacrimale, si può produrre una cheratocongiuntivite secca. • Vie respiratorie superiori o Laringe o Occlusione nasale o Tonsille o Raramente ostruzione completa • Midollo osseo e milza: L’interessamento di questi siti è poco comune, e ancora più rare le manifestazioni che sono una modesta anemia e la splenomegalia. • Fegato: poco importanti alterazioni delle aree periportali, con alterazioni biochimiche di tipo colestatico. Rara l’evoluzione a cirrosi. • Rene: raro interessamento dei tubuli. Più comune e la nefrolitiasi associata ad aumentato riassorbimento del calcio, a sua volta prodotto dalla ipersecrezione di 1,25(OH2)D3 da parte dei fagociti attivati. • SNC: Il 5% dei pazienti presenta segni neurologici focali, che sono la paralisi del faciale, papilledema, disfunzioni ipotalamo ipofisarie, meningite cronica e sviluppo di masse intracraniche. • Muscolo-­scheletrico: Lesioni ossee cistiche rare, più comune l’atralgia delle grandi articolazioni e l’artrite franca, che può essere migrante e transitoria oppure più raramente decorrere in maniera cronica e dare origine a deformità. • Cuore: 5% dei pazienti dimostra un interessamento del ventricolo sx che può condurre ad alterazioni della conduzione e aritmie. • Endocrino: asse ipotalamo ipofisario con diabete insipido. L’interessamento della adenoipofisi con carenza di uno o più ormoni è abbastanza visto, mentre è raro l’interessamento di altre ghiandole. • Digerente: Raramente segni esofagei o gastrici. La complicazione più frequente è la mancata ossigenazione dei tessuti derivata dalla fibrosi. Più raramente l’erosione del parenchima può

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produrre una massiva emottisi. Altri eventi mortali possono essere lo scompenso di cuore e le alterazioni del SNC. La sindrome di Mikulickz è la combinata alterazione di tipo sarcoidosico di parotidi, sottomascellari e sottolinguali assieme all’uvea. FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA Malattia polmonare ad eziologia sconosciuta, che è caratterizzata da una diffusa infiammazione interstiziale, e una fibrosi che nei casi avanzati provoca ipossiemia e cianosi severe. La malattia è una entità nosologica molto vaga, e si usa questo termine per tutte quelle alterazioni fibrosanti del polmone per le quali non si riesce a trovare una causa ragionevole. Viene posta in relazione alla risposta infiammatoria della parete alveolare a vari tipi di insulti. La risposta appare steriotipata e sempre uguale pur cambiando il tipo di insulto. La sequenza degli eventi è sempre quella: • Alveolite (accumulo di cellule infiammatorie, edema interstiziale e danno delle pareti alveolari). In questa fase si danneggiano particolarmente gli pneumociti di ordine I • Iperplasia dei pneumociti di ordine II, che tentano di ricostituire la parete danneggiata. • Fibrosi progressiva dei setti e degli alveoli con la scomparsa definitiva della normale architettura polmonare. Alla base di tali eventi ci sono probabilmente meccanismi di tipo immunitario. A seconda della fase della malattia, le alterazioni morfologiche sono differenti: nella fase precoce i polmoni hanno consistenza aumentata, e si osservano microscopicamente tutti i segni della alveolite: edema, infiltrato, membrane ialine, essudato intralveolare. In seguito la proliferazione dei pneumociti di ordine due porta alla formazione di cellule cubiche o anche cilindriche. Successivamente si ha la progressione fibrosa dell’essudato intralveolare, ispessimento dei setti interstiziali e un grado variabile di flogosi. La consistenza del polmone aumenta sempre di più e si osservano aree decisamente fibrose accanto ad aree normali. Alla fine si realizza il solito favo d’api per la presenza di aree cistiche rivestite da cellule cilindriche (sono i vecchi alveoli in cui sono proliferati i pneumociti II), separa te da tralci fibrosi. Clinicamente, i pazienti hanno gradi variabili di insufficienza respiratoria, con gradi variabili di ipossiemia e di cianosi. Alla fine si sviluppa cuore polmonare cronico anche grave. L’esito della malattia è imprevedibile. POLMONITE DA IPERSENSIBILITÀ Gruppo di alterazioni patologiche del polmone, mediate da meccanismi immunitari, soprattutto a livello interstiziale. Si manifestano nei lavoratori che vengono a contatto con antigeni verso i quali sviluppano una reazione di ipersensibilità. Il riconoscimento precoce di questa reazione e l’allontanamento di queste persone dagli antigeni è importante, perché può evitare la progressione della malattia a fibrosi. Molte condizioni patologiche di questo tipo sono legate all’esposizione ad antigeni differenti. Fra queste importanti sono: • Polmone del contadino: esposizione agli antigeni prodotti nel fieno conservato in ambiente caldo e umido, che permette la proliferazione di actinomiceti termofili • Polmone da allevatore di uccelli: proteine nel siero, escrementi e piume dei volatili • Polmone da aria condizionata: sostenuta da antigeni di batteri contenuti nell’acqua da cui si ricava l’umidificazione o il raffreddamento dell’aria. • Polmone da cercatore di funghi • Bissinosi: malattia professionale dei lavoratori del cotone, nella quale però non è stata ancora dimostrata la reale presenza di una patogenesi immunitaria. • Malattia della corteccia d’acero • Febbre da anatre Le reazioni immunitarie che si verificano sono di tipo III e IV (deposizione di immunocomplessi e reazione granulomatosa). Nel polmone si realizzano quattro quadri principali: • Polmonite interstiziale con infiltrato linfocitico, plasmacitario e macrofagico • Fibrosi interstiziale • Bronchiolite obliterante • Formazioni dei granulomi Nella metà dei pazienti oltre a questo si verifica anche una infiltrazione alveolare.

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Clinicamente si può avere un attacco acuto, con febbre, dispnea, tosse e infiltrati nodulari e diffusi, e un quadro respiratorio di tipo restrittivo. Esso si manifesta dopo 4-­‐6 ore dall’esposizione. Una esposizione cronica in quantità limitata produce una forma di malattia con progressiva IR, cianosi e dispnea. Si osserva diminuzione della CPT, e della complience. 3.5 SINDROME DI GOODPASTURE Condizione patologica rara caratterizzata da una presenza contemporanea di glomerulonefrite ploriferativa e polmonite interstiziale necrotizzante emorragica. Nella maggior parte dei casi i sintomi iniziali sono di tipo respiratorio, soprattutto emottisi, mentre l’esame radiologico mette in evidenza aree focali di addensamento polmonare. Solo successivamente si manifestano i sintomi renali, che diventano particolarmente importanti e spesso portano a morte per uremia. Colpisce frequentemente i maschi nella seconda e terza decade. Come patogenesi è ormai chiarito che i danni sono provocati dalla reazione anticorpale contro antigeni comuni alla membrana basale glomerulare e dei setti alveolari. L’evento che scatena il disordine autoimmune è ancora sconosciuto. Sono noti istotipi HLA (ad esempio HLA DR2), e anche infezioni virali, fumo di sigaretta, ed esposizioni a radicali benzenici possono portare all’aumento dalla produzione e fissazione di questi anticorpi. Nella morfologia classica i polmoni sono aumentati di consistenza, e presentano addensamenti rosso bruno. Si osservano necrosi acuta delle parete alveolari, che provocano emorragie intralveolari ed emottisi. Questo provoca ipertrofia compensatoria delle cellule di rivestimento degli stessi alveoli. Spesso, se la malattia dura parecchio, il sangue presente negli alveoli si organizza, e si trovano macrofagi carichi di emosiderina (le cellule che si repertano anche nell’insufficienza cardiaca). All’immunofluorescenza è visibile, lungo le membrane basali dei setti, è visibile accumulo di immunocomplessi. In passato la prognosi della malattia era pessima, mentre oggi si ottengono risultati terapeutici migliori con l’uso della plasmaferesi e degli immunosoppressori. EMOSIDEROSI POLMONARE IDIOPATICA Malattia polmonare rara ad eziologia sconosciuta. Inizio di solito insidioso con tosse produttiva, emottisi, anemia e perdita di peso, associate ad infiltrazioni polmonari diffuse simile a quelle della sindrome di Goodpasture. A differenza di questa, però, l’emosiderosi colpisce giovani e bambini piuttosto che adulti. I polmoni hanno peso moderatamente aumentato, con aree di consolidamento rosso bruno. Glias petti istologici essenziali sono una degenerazione marcata, desquamazione dell’epitelioalveolare e iperplasia di compenso degli elementi residui, dilatazione dei capillari alveolari. Oltre ad una modesta fibrosi interstiziale, si osservano emorragie interlveolari anche molto gravi (con emottisi a volte fatale) ed emosiderosi, sia nel contesto dei setti alveolari che nel citoplasma dei macrofagi liberi negli alveoli. VERSAMENTO PLEURICO (Robbins) Normalmente tra i due foglietti pleurici è presente non più di 15 ml di liquido pleurico. L’aumento di liquido pleurico può avvenire in seguito a diverse situazioni: -­‐ Aumento pressione idrostatica (es. insufficienza cardiaca congestizia -­‐ ICC) -­‐ Aumento della permeabilità vascolare (polmonite) -­‐ Diminuzione della pressione osmotica (sindrome nefrosica) -­‐ Aumento della pressione negativa intrapleurica (atelettasia) -­‐ Diminuzione del drenaggio linfatico (Carcinomatosi mediastinica) Si possono distinguere versamenti pleurici • NON INFIAMMATORI  ci può essere raccolta di liquido sieroso nella cavità pleurica, detta IDROTORACE. Il liquido risulta chiaro e paglierino. La causa principale è la ICC . Può essere monolaterale o bilaterale. Il liquido si raccoglie solitamente nelle regioni basali quando il pz è in posizione ortostatica causando atelettasia da compressione delle regioni polmonari circostanti. In altri casi si può avere la fuoriuscita di sangue entro la cavità pleurica, nota come EMOTORACE. La causa più frequente (e letale) è la rottura di un aneurisma aortico o un trauma vascolare. La componente fluida del sangue è accompagnata dalla presenza di grossi trombi. Porta solitamente a morte in poche ore quindi NON SI RISCONTRA normalmente una risposta infiammatoria.

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Un altro tipo ancora è il CHILOTORACE, accumulo di liquido lattescente di origine spesso linfatica. Il chilo contiene grassi emulsionati che depositandosi forma uno strato supernatante cremoso e grasso. Può essere bilaterale ma solitamente è localizzato a SINISTRA. La causa maggiore è un trauma al dotto toracico o ostruzione che causa la rottura dei principali dotti linfatici (neoplasie, metastasi). Un versamento pleurico può infine essere dovuto ad ASCITE: poiché la pressione intraperitoneale è maggiore di quella intrapleurica è favorito lo spostamento di liuido ascitico verso il torace. INFIAMMORI  sono causati da fenomeni flogistici che colpiscono la pleura, detti PLEURITI (vedi avanti).

PLEURITI (Ascenzi) Esistono diversi tipi di pleuriti accomunate da alcune caratteristiche: infiltrazione membrana sierosa da parte di cellule infiammatorie, formazione di essudato che si raccoglie nel cavo pleurico, frequente sfaldamento del mesotelio. • PLEURITE FIBRINOSA  è detta anche “secca” perché la maggior parte dell’essudato è composto da fibrinogeno, perciò è facile la coagulazione con formazione di una STRATO DI FIBRINA sulla superficie pleurica. Macroscopicamente appare ARROSSATA, OPACA e RUVIDA. Poiché manca la componente liquida tra i foglietti si avvertono gli SFREGAMENTI pleurici. Microscopicamente le cellule infiammatorie infiltrano sia la membrana sierosa sia gli strati di fibrinogeno Solitamente è conseguenza di un processo flogistico polmonare sottostante o di un infarto polmonare. • PLEURITE SIERO – FIBRINOSA  se ad una essudazione fibrinosa si associa la formazione di un versamento liquido sieroso viene a formarsi una RACCOLTA TORBIDA contenente FIOCCHI FIBRINOSI. Questa può essere anche imponente (4-­‐5 litri) e causa collasso polmonare, spostamento del mediastino con abbassamento del diaframma. In alcuni casi si può avere anche compressione dei vasi intra ed extra polmonari. • PLEURITE FIBRINOSO – PURULENTA  detto anche EMPIEMA PLEURICO o piotorace. Qualsiasi tipo di pleurite può trasformarsi in purulenta. Questo avviene solitamente per disseminazione batterica o micotica per lo più per contiguità da una infezione polmonare. Si ha quindi un aumento dei granulociti neutrofili e delle loro alterazioni regressive che portano alla formazione di un essudato DENSO, GIALLO – VERDASTRO, a volte con SCREZIO EMORRAGICO. Gli agenti etiologici più comuni Stafilococchi, streptococchi e pneumococchi. La quantità dell’essudato non supera 1 litro. In caso di circoscrizione di aderenze si può avere la delimitazione di raccolte di essudato in aree circoscritte: PLEURITE SACCATA. Se è presente o si forma una fistola bronco – pleurica può esserci pio-­‐pneumotorace. • PLEURITE EMORRAGICA  caratterizzata da essudati infiammatori ematici è molto rara e avviene solitamente in caso di diatesi emorragica, nelle neoplasie del cavo pleurico, nelle infezioni da Rickettsie. • PLEURITE TUBERCOLARE e TBC della PLEURA CONSEGUENZE DELLE PLEURITI -­‐ CASEOSI: aspetto evolutivo sia delle sia essudative, sia produttive in soggetti ipersensibili. Solitamente esito di infezione da TBC. -­‐ ADRENZE FIBROSE e FIBROTORACE: avviene quando l’essudato fibrinoso non viene disciolto e viene colonizzato da tessuto di granulazione. Macroscopicamente si notano placche fibrose biancastre dello spessore da 1 mm a più di 1 cm. Microscopicamente si osserva connettivo fibroso con piccoli vasi sanguiferi e accumuli di elementi di ordine reattivo cronico. Le aderenze fibrose si forma quando il processo di organizzazione coinvolge entrambi i foglietti conglutinati dall’essudato. La aderenze può essere ESTESA (detta SINFISI) oppure CIRCOSCRITTA (detta BRIGLIA). Il fibrotirace è una spessa cotenna che oblitera il cavo pleurico e gradualmente si retrae nell’evoluzione cicatriziale. Causa disturbi respiratori di tipo restrittivo per difettosa espansione del polmone. TUMORI DELLA PLEURA (Ascenzi + Robbins)

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Si dividono in tumori: -­‐ PRIMITIVI: detti anche MESOTELIOMI in base alla ipotesi istogenetica che considera la trasformazione neoplastica di cellule mesoteliali. • MESOTELIOMA MALIGNO DIFFUSO: tendenza alla diffusione alla intera cavità pleurica. Sono stati individuati fattori di rischio nella esposizione professionale all’asbesto, nelle esposizione para-­‐professionale (familiari di operai) e esposizione extra-­‐lavorativa (in ambienti inquinati da fonti industriali). Il periodo di latenza del mesotelioma da amianto è superiore a 15 anni, con picchi tra i 30 e 40 anni dalla esposizione iniziale. Nei confronti del mesotelioma l’amianto è considerato un CARCINOGENO COMPLETO. Altra caratteristica è la presenza ne 60-­‐80% dei mesoteliomi di una delezione nei cromosomi 1p, 3p, 6q, 9p o 22q e la presenza di sequenze di DNA virale SV40 il cui antigene è un potente carcinogeno che agisce inattivando i regolatori della crescita cellulare (p53 e Rb). Macroscopicamente nelle forme iniziali può comparire sottoforma di mammelloni lardacei multipli, mentre nelle forme avanzate si manifesta con un ispessimento A CORAZZA della pleura sia viscerale che parietale. In alcuni casi i due foglietti sono separati per la presenza di versamento emorragico. Microscopicamente sono stati definiti diversi istotipi: 1) Epiteliale: formazioni pseudo ghiandolari, cordoni e papille superficiali di cellule di aspetto epiteliale. 2) Sarcomatoide: cellule fusate, in branchi con atteggiamenti fibromatosi e sarcomatosi. 3) Misto Le caratteristiche istochimiche delle cellule sono: PAS positività, positività a reazione con Alcian blu; all’immunoistochimica è documentata la presenza nelle cellule tumorali di cheratina, vimentina e altri antigeni. Clinicamente l’esordio è caratterizzato da dolore toracico , dispnea e versamenti pleurici ricorrenti. La forma più comune di presentazione clinica del mesotelioma maligno è quella di una PLEURITE CRONICA con versamento emorragico e recidivante. • TUMORI PRIMITIVI LOCALIZZATI: è un tumore di tessuto connettivo con tendenza a fromarsi nella pleura. Il tumore spesso è ancorato alla superficie pleurica da un peduncolo. Può essere piccolo 1-­‐2cm, ma può raggiungere dimensioni enormi. Macroscopicamente consistono in tessuto fibroso denso con occasionali cisti riempiti di liquido viscoso. Microscopicamente si nota un’impalcatura di fibre reticolari e collagene tra le quali si trovano cellule fusate simili a fibroblasti. E’ comunemente considerato come neoformazione benigna. -­‐ SECONDARI: sono di gran lunga più frequenti dei primitivi. Possono insediarsi nella pleura per due vie: • Linfatica: per diffusione da polmone, mammella (linfatici perforanti della parete toracica), stomaco (linfatici mediastinici). Si formano cotenne neoplastiche estese con versamento emorragico. • Ematica: si manifestano come placchette e nodosità multiple che per il loro aspetto sono state assimilate alle GOCCE DI CERA.

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APPARATO CARDIOVASCOLARE MALATTIE DEL PERICARDIO (Prof. Di Tondo + Ascenzi): 1)Versamento pericardico: accumulo di liquido in eccesso oltre il limite fisiologico di 150 cc, sia sottoforma di essudato che di trasudato, all’interno della cavità pericardica. Durante l’esame autoptico non si trova liquido tra i foglietti pericardici perché il cadavere è refrigerato! I due foglietti sono inestensibili perché è costituito da tessuto fibroso. La conseguenza di un accumulo RAPIDO di liquido nella cavità pericardica porta a TAMPONAMENTO CARDIACO poiché i foglietti NON si estendono e il liquido comprime il cuore. Anche piccole quantità di liquido possono compromettere la funzione diastolica. Se l’accumulo avviene lentamente invece i foglietti di adattano e si possono accumulare anche 2 litri di liquido. -­‐ Versamento sieroso  frequente complicanza di un aumento del volume extracellulare (insufficienza cardiaca congestizia, sindrome nefrosica). -­‐ Versamento chiloso  contiene chilomicroni, simile a latte denso e ricco di grassi. Dovuto a comunicazione anomala tra dotto toracico e sacco pericardico, causata da ostruzione linfatica da parte di tumori o infezioni. Il pericardio appare fluttuante e disteso dal versamento e la superficie interna della sierosa rimane sottile, liscia e lucente. Questa situazione viene anche definita IDROPERICARDIO. Questi due non causano problemi al cuore. -­‐ Versamento siero-­‐ematico  H20 con sangue. Frequente in caso di trauma toracico che può essere sia ACCIDENTALE sia causato da MANOVRE RIANIMATORIE. -­‐ EMOPERICARDIO  sangue vivo nella cavità (sanguinamento diretto in forma fluida o coagulata). Le cause più importanti sono la rottura della parete del cuore dopo IMA, trauma cardiaco penetrante, rottura aneurisma dissecante dell’aorta, infiltrazione di un vaso da parte di un tumore. I versamenti essudativi invece avvengono in seguito a fenomeni di PERICARDITE (vedi avanti). 2) Pericardite acuta: infiammazione acuta del pericardio viscerale e parietale. L’eziopatogenesi è varia (agenti infettivi, tossi, immunitari) e frequentemente la causa è ignota. Essa viene classificata in base alle caratteristiche morfologiche ed istologiche in: • SIEROSA: modesta reazione infiammatoria costituita da polimorfonucleati, linfociti e istiociti. E’ presenta una modesta quantità di liquido (50-­‐200 ml) torbido perché contenente fibrina. Raramente si formano delle aderenze fibrose. Se l’infiltrato infiammatorio si trova nel grasso epicardico si tratta di PERICARDITE CRONICA. • FIBRINOSA (IMA, infezioni virali): è la forma più frequente. Il liquido del versamento è ricco di proteine e frustoli di fibrina. Le superfici pericardiche sonoricoperte da essudato opaco, granulare, ricco in fibrina. La sierosa PERDE LA SUA LUCENTEZZA per la presenza di infiltrati flogistici nel connettivo sottosieroso. La superficie epicardica è edematosa, infiammata e ricoperta da filamenti di fibrina. Il deposito di fibrina non ha aspetto omogeneo a causa della azione meccanica del cuore che fa scorrere i foglietti, e può assumere diversi aspetti: irregolare a “pane e burro”; depositi paralleli “pettinato”; forma papillare “cor villosum”. Clinicamente alla auscultazione si avvertono gli sfregamenti pericardici; altri sintomi presenti possono essere dolore toracico, febbre e dispnea. Esame diagnostico è la ecocardiografia. Queste due forme vanno solitamente incontro completa guarigione o in rari casi alla formazione di aderenze. • PURULENTA (infezione batterica): presenza di essudato simile al pus, contenente numerosi grnulociti neutrofili. Spesso è presente anche una componente fibrosa (pericardite fibrino-­‐purulenta) oppure uno SCREZIO EMORRAGICO che da all’essudato un aspetto a “lavatura di carne”. Raramente va incontro a risoluzione e l’essudato organizzandosi porta a pericardite costrittive. Clinicamente il quadro è dominato da uno stato settico generale e da un quadro di pericardite fibrinosa locale. • EMORRAGICA (processi infettivi o neoplastici aggressivi): provocata da sanguinamento nello spazio pericardico, frequente in soggetti con tumori. Tipica della TBC. L’essudato può essere sieroso, fibrinoso o purulento ma con evidente componente emorragica.

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CASEOSA (TBC): eziologia tuberolare, rara nei paesi industrializzati. Lesioni morfologiche sovrapponibili a quelle che si riscontrano nella malattia tubercolare in altre sedi. Nel liquido si possono trovare i micobatteri, ma RARAMENTE i granulomi. Precursore più frequente della pericardite cronica costrittiva fibrocalcifica.

ESITI gli esiti delle pericarditi consistono essenzialmente nella organizzazione fibrosa dell’essudato e nella trasformazione produttiva della reazione infiammatoria. Si dividono in: -­‐ Esiti aderenziali limitati al pericardio  si formano aderenze fibrose fra i due foglietti del pericardio. Generalmente asintomatici, riscontro casuale durante autopsia. 3) Mediastinopatia adesiva (Esiti aderenziali estesi al mediastino)  presenza di SINFISI PERICARDICA (adesione o fusione tra due formazioni anatomiche normalmente disgiunte) e propaggini fibrose che collegano in pericardio alle strutture presenti nel mediastino. La sintomatologia è caratterizzata dalla retrazione sistolica del diaframma e della parete toracica e dal polso paradosso. Il decorso è segnato da un aumento di lavoro del cuore con conseguente ipertrofia ventricolare ed eventuale scompenso. 4) Pericardite costrittiva (Esiti costrittivi)  Malattia infiammatoria cornica del pericardio che comprime il cuore e limita l’AFFLUSSO ematico. E’ il risultato di un processo ripartivo esuberante successivo a danno pericardico acuo. Rara nei paesi industrializzati. E’ idiopatica nella maggior parte dei casi. Cause più frequenti: pregressi trattamenti radioterapici o interventi cardiochirurgici, infezione purulenta o TBC. Lo spazio pericardico si oblitera e i foglietti viscerale e parietale si fondono in una massa densa, rigida, di tessuto fibroso. Il pericardio cicatriziale può restringere orifizi delle vene cave. L’involucro fibroso può contenere depositi di calcio. Quando una cellula differenziata, come quella muscolare, non riceve nutrimento si trasforma in cellula fibrotica che ha bisogno di meno nutrimento; se si riduce ulteriormente il nutrimento si forma il tessuto fibroso. Clinicamente i sintomi sono dovuti al fatto che viene notevolmente impedita la diastole; dispnea da sforzo, cianosi, ascite e insufficienza cardiaca progressiva con cuore ipomobile e anche la gittata sistolica è ridotta. La terapia principale è la pericardiectomia. A volte dopo un intervento cardochirurgico il pericardio non viene richiuso per evitare la formazione di esiti cicatriziali. La PERICARDITE REUMATICA è trattata nel paragrafo della “FEBBRE REUMATICA”. CARDIOPATIA ISCHEMICA (Ascenzi) Sindrome anatomo-­‐clinica caratterizzata da una comune eziopatogenesi: lo SQUILIBRIO tra l’apporto di sangue ossigenato al miocardio e le sue necessità di ossigenazione. Questo avviene a causa di una riduzione del flusso in associazione ad una maggiore richiesta di ossigeno per aumento del metabolismo. Questo è dovuto nella grande maggioranza dei casi a un restringimento statico (anatomico) o dinamico (funzionale) delle arterie coronarie. Il circolo coronarico può variare da persona a persona, ma in generale si individuano 2 vasi arteriosi principali: * Arteria coronaria destra * Arteria coronaria sinistra Entrambe hanno origine nel primo tratto dell'aorta, appena sopra la valvola aortica. Più precisamente l'arteria coronaria sinistra si origina dal seno aortico sinistro, mentre l'arteria coronaria destra dal seno aortico destro. Arteria coronaria sinistra: L'arteria coronaria sinistra, dopo la sua origine dal seno aortico sinistro, decorre in basso

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coperta dal tronco polmonare, dopo circa un centimetro raggiunge il solco coronario e di divide in arteria interventricolare anteriore e arteria circonflessa. Vascolarizza: * atrio sinistro * ventricolo sinistro (la maggior parte e il margine ottuso) * parte del ventricolo destro * parte anteriore del setto interventricolare Arteria coronaria destra: L'arteria coronaria destra origina dal seno aortico destro e va in basso davanti al solco atrioventricolare, circonda il margine acuto e termina alla crux cordis. I suoi rami collaterali sono: * arteria infundibolare * rami atriali * rami ventricolari * rami atrioventricolari * arteria del nodo atrioventricolare * arteria interventricolare posteriore La coronarica destra va ad irrorare: * atrio destro * ventricolo destro (maggior parte e margine acuto) * parte più posteriore del ventricolo sinistro * parte posteriore del setto interventricolare La cardiopatia ischemica è attualmente la più frequente causa di morte nei paesi occidentali. Nella maggior parte dei casi la sindrome si manifesta tra i 35 e i 65 anni e colpisce più i maschi tra i 35 e i 45 anni (M/F = 6/1). La causa principale della cardiopatia ischemica è la ATEROSCLEROSI CORONARICA. La cardiopatia ischemica comprende uno spettro di sindromi, che sono: angina pectoris, infarto del miocardio, cardiopatia ischemica cronica e morte improvvisa cardiaca. I fattori che concorrono allo sviluppo della sindrome sono: 1) Riduzione del lume La cause più importanti di stenosi del lume coronarico sono. -­‐ Aterosclerosi: Questa patologia causa ostruzioni dei rami coronarici a cominciare da una distanza di 2 o 3 cm dall’ostio di imbocco del tronco principale. Hanno un ruolo diverso i diversi tipi di placche ateromatose: • Placche stabili  provocano generalmente una stenosi concentrica. Si localizzano per lo più nei punti di biforcazione dei vasi (zone di basso SHEAR STRESS e maggiore stress tensivo). Tendono ad accrescersi nel tempo causando una ostruzione progressiva del vaso. Inizialmente la riduzione del flusso è compensata da una vasodilatazione del vaso, ma quando la stenosi diventa CRITICA (riduzione almeno 70-­‐75% del lume) un aumento delle richieste metaboliche del miocardio non può essere compensato, perciò va incontro a fenomeni do ischemia (per lo più sotto sforzo -­‐ ANGINA STABILE). Normalmente una placca stabile non causa eventi acuti, ma se si ha una brusca diminuzione della pressione di perfusione si può instaurare un INFARTO SUBENDOCARDICO. • Placche instabili  sono placche fibroateromasiche eccentriche caratterizzate da un cappuccio fibroso e da un ampio ateroma. Sono dette instabili perchè possono andare incontro a FESSURAZIONI in seguito solitamente a vasospasmo o a crisi ipertensiva. L’esposizione del contenuto della placca ai costituenti del flusso causa vasocostrizione, deposizione di piastrine, penetrazione di sangue nella placca (che si rigonfia bruscamente), trombosi all’interno della placca che si sporge all’interno del lume. Tutto questo causa un aumento volumetrico della placca e in caso di vasospasmo si può avere un’improvvisa riduzione del flusso e ischemia (ANGINA INSTABILE). Se a questo quadro si sovrappone un trombo occlusivo di fibrina si può avere interruzione del circolo con INFARTO MIOCARDICO TRANSMURALE -­‐ Sifilide: era responsabile di un’ostruzione dell’imbocco delle arterie coronarie in circa un terzo dei casi di aortite luetica. -­‐ Arteriti -­‐ Anomalie delle coronarie

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35 -­‐ Embolia: forma infrequente che si verifica quando c’è una endocardite trombotica o infettiva della valvola aortica oppure una trombosi su placca fibroateromasica di un seno di Valsalva aortico .

2) Riduzione della pressione di perfusione nelle arterie coronarie: La perfusione dipende dalle resistenze del letto vascolare e dal gradiente esistente tra pressione diastolica aortica e quella del seno coronarico. Se c’è una caduta generalizzata della pressione sanguigna (shock), o una caduta locale (insufficienza aortica), o per un aumento della pressione venosa (scompenso cardiaco congestizio). Una diminuzione significativa e brusca della pressione di perfusione porta ad una riduzione critica del circolo coronarico e può evocare un infarto, che per lo più avviene negli strati subendocardici del ventricolo sinistro. 3) Aumento delle richieste metaboliche del miocardio: Il circolo coronarico è controllato anche dal fabbisogno energetico del cuore. In caso di sforzi il miocardio richiede maggiori quantità di ossigeno e il circolo coronarico deve provvedere a fornirglielo. Quando il miocardio è IPERTROFICO la situazione si complica perché ad un aumento delle dimensioni delle cellule (e quindi della massa) da irrorare NON corrisponde un aumento del calibro delle coronarie. In alcuni casi particolari come la TACHICARDIA si riduce l’intervallo diastolico e con esso anche il tempo per la irrorazione del miocardio. 4) Insufficiente disponibilità di ossigeno nel sangue circolante: In caso si insufficienza respiratoria, per soggiorno il alta quota, anemie o intossicazione da ossido di carbonio si avrà inadeguata EMATOSI e quindi insufficiente disponibilità di ossigeno nel sangue. -­ INFARTO MIOCARDICO (Ascenzi) È la necrosi ischemica di un settore del muscolo cardiaco. La necrosi è il culmine di un processo ischemico reversibile dovuto ad un mancato rifornimento di ossigeno. Si distinguono due tipi di infarto miocardico: • TRANSMURALE  interessamento a TUTTO SPESSORE del miocardio ventricolare. Una caratteristica fondamentale è la corrispondenza STRETTA tra area di necrosi e territorio di distribuzione di uno specifico ramo coronarico, che risulta quasi sempre occluso. Solitamente questo tipo di infarto colpisce il ventricolo sinistro ma può estendersi al miocardio del ventricolo destro. Un infarto isolato del ventricolo destro è molto raro (1%). In quasi la metà dei casi è associato a OCCLUSIONE DEL RAMO DISCENDENTE ANTERIORE e può essere ANTEROSETTALE (coinvolge i 2/3 anteriori del setto, la punta e una piccola parte della parete anteriore del ventricolo sinistro) oppure ANTEROLATERALE (coinvolge anche la parete anterolaterale) a seconda che l’ostruzione del ramo sia rispettivamente a valle o a monte. In 1/3 dei casi l’infarto è conseguente ad occlusione del tronco dell’arteria coronaria destra e in questo caso si tratta di infarto INFEROSETTALE (coinvolge il terzo posteriore del setto e la parete inferiore del ventricolo sinistro). In 1/5 dei casi è causato da occlusione del ramo circonflesso: in questo caso l’infarto è POSTEROLATERALE (coinvolge i segmenti laterale e posteriore del ventricolo sinistro, che formano il margine ottuso del cuore). L’infarto trans murale è dovuto alla occlusione anatomica o funzionale del lume di un ramo sub endocardico delle coronarie. In oltre il 90% dei casi l’occlusione è dovuta ad una TROMBOSI OCCLUSIVA che sovrasta una placca fibroateromasica fessurata (o francamente ulcerata). Il processo inizia con la fessurazione di una placca instabile (o una erosione di una stabile) e la esposizione dell’ateroma o di altri componenti subendoteliali della placca al flusso con conseguente adesione piastrinica, aggregazione e attivazione e il rilascio di fattori tissutali che attivano la via estrinseca della coagulazione. Le piastrine attivate liberano fattori che causano una SPASMO del vaso e favoriscono la coagulazione con la conseguente formazione di un trombo occlusivo. Si ha la concomitante espressione di endotelina che inibisce la produzione di OSSIDO NITRICO che favorisce la vasodilatazione che NORMALMENTE consegue ad una trombosi e ne favorisce la dissoluzione. Il danno miocardico conseguente ad occlusione si sviluppa attraverso diverse tappe:

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36 -­‐ Fase del danno metabolico: dopo POCHI SECONDI dall’occlusione; si passa rapidamente alla GLICOLISI ANAEROBIA nel territorio ischemico, con riduzione della produzione di ATP e accumulo di acido lattico. -­‐ Fase del danno funzionale: dopo circa UN MINUTO di glicolisi anaerobia le cellule miocardiche cessano di contrarsi. Le mio cellule realizzano un enorme risparmio energetico che consente loro di sopravvivere a lungo, ma c’è un immediato danno funzionale alla contrattilità ventricolare. L’area ischemica si vede all’ecocardiografia. -­‐ Fase del danno morfologico reversibile: dopo POCHI MINUTI ci sono le prime alterazione morfologiche identificabile al microscopio elettronico  RIGONFIAMENTO DEI MITOCONDRI e deplezione dei depositi di glicogeno. Il periodo di ischemia reversibile nell’uomo dura al max 2 ore. -­‐ Potenzialità di riperfusione: se si verifica una riperfusione spontanea o terapeutica entro l’intervallo di reversibilità del danno è possibile salvare le cellule miocardiche della necrosi ischemica. Tuttavia la ripresa funzionale non è immediata, ma si passa prima per una fase di STORDIMENTO (“stunned myocardium”) in cui le cellule mostrano alterazioni metaboliche e contrattili. Se la riperfusione è tardiva non permette di salvare le cellule dalla necrosi, ma introduce modificazione significative del quadro morfologico ed evolutivo del’infarto (necrosi “apoptoica”). -­‐ Fase del danno irreversibile: dopo il periodo di ischemia reversibile si passa al fenomeno irreversibile della necrosi ischemica miocardica. Essa INIZIA NEGLI STRATI SUBENDOCARDICI e si estende poi “ad ONDA” verso gli strati subepicardici. Nell’animale da esperimento la necrosi giunge ad interessare l’intero spessore della parete in circa 3-­‐ 6 ore. Le modificazioni morfologiche dell’infarto sono caratterizzate da tre FASI SUCCESSIVE, cioè NECROSI ISCHEMICA  INFILTRAZIONE LEUCOCITARIA  RIPARAZIONE CICATRIZIALE. Tutte queste fasi avvengono in una più o meno precisa successiona temoprale (TIMING dell’infarto). -­‐ Nelle prime 2 ore dalla occlusione: le lesioni sono solo ultrastrutturali; al ME si osserva rigonfiamento idropico del sarcoplasma, scomparsa dei granuli di glicogeno, vacuolizzazione del reticolo endoplasmatico, rigonfiamento dei mitocondri; infine si osserva l’equivalente strutturale del danno irreversibile, cioè la ROTTURA DEL SARCOLEMMA. -­‐ A distanza di 2-­‐6 ore: Macroscopicamente con l’uso di particolari colorazioni istochimiche capaci di dimostrare la presenza di ENZIMI RESPIRATORI si può mettere in evidenza il territorio infartuato; nella zona di necrosi questi enzimi sono SCOMPARSI e perciò questa zona NON SI COLORA. Tecnica più utilizzata è la individuazione della DEIDROGENASI SUCCINICA. -­‐ Dopo 6-­‐12 ore: compare il primo segno ISTOLOGICO  alla periferia della zona ischemica compaiono fibre miocardiche nettamente assottigliate che presentano una serrata e parallela ONDULAZIONE (detto fenomeno del WAVING o dello STREAMING, dovuto alla assenza di contrazione dell’area infartuata). -­‐ Dopo 18-­‐24 ore: macroscopicamente il miocardio infartuato inizia ad apparire PALLIDO ed entra in contrasto con il normale colore rosso mattone del miocardio. Istologicamente è presente la NECROSI COAGULATIVA: il nucleo mostra disposizione marginale della cromatina ed è picnotico, il sarcoplasma diventa omogeno per la perdità della striatura trasversale. Alla periferia del territorio infartuale compare la MIOCITOLISI COLLIQUATIVA, caratterizzata da rigonfiamento idropico della cellula che sospinge alla periferia le miofibrille ed isola il nucleo al centro di un alone otticamente vuoto. -­‐ Dopo 2-­‐3 giorni: macroscopicamente si osserva una precisa demarcazione periferica del focolaio infartuale. I margini dell’infarto appaiono dentellati e sono evidenziati da un alone di colorito rosso, dovuto a iperemia combinata con piccole aree emorragiche. Il miocardio necrotico appare GRIGIO-­‐GIALLATRO e omogeneo (tipo argilla) ed è di aspetto OPACO e ASCIUTTO e di consistenza AUMENTATA. -­‐ Dopo 3-­‐4 giorni: inizia la infiltrazione dei neutrofili, chiamati a colliquare il tessuto necrotico. Macroscopicamente il miocardio infartuato appare di colorito GIALLASTRO. Istologicamente si ha la comparsa dei primi polimorfonucleati. -­‐ Entro 7-­‐10 giorni: la colliquazione si completa. Macroscopicamente il bordo rosso dell’infarto appare doppiato verso l’interno della lesione da un orletto giallastro (dovuto

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alla presenza di granulociti) e la consistenza diminuisce fino al RAMMOLLIMENTO (“miomalacia”). Istologicamente i neutrofili iniziano ad essere sostituiti dai macrofagi e verso il 10° giorno si ha penetrazione nel focolaio infartuale da parte di TESSUTO DI GRANULAZIONE costituito da macrofagi + capillari sanguigni neoformati per gemmazione. Il materiale necrotico fagocitato viene sostituito da connettivo ricco di fibroblasti. -­‐ Dalla 3a settimana: il territorio necrotico è completamente sostituito da un TESSUTO CICATRIZIALE ROSEO ancora cedevole -­‐ Dopo 6 settimane: si forma connettivo fibroso denso, bianco, compatto, che si RETRAE riducendo le dimensioni della perdita di sostanza del miocardio. A volte si forma un CALLO sclerotico. -­‐ Dopo 3 mesi: la cicatrice è stabilizzata e non ci sono altri fenomeni istologici. QUADRO MORFOLOGICO DOPO RIPERFUSIONE CORONARICA: La riperfusione se precoce può permettere la completa guarigione dall’ischemia. Essa può essere ottenuta con la trombo lisi farmacologica o con la angioplastica. Come già detto, la riperfusione può evitare l’insorgenza di necrosi, ma il miocardio risulta STORDITO per un periodo più o meno lungo. Il quadro morfologico conseguente alla riperfusione è la NECROSI APOPTICA delle mio cellule  necrosi a bande di contrazione: le fibre muscolari appaiono chiare, con bande eosinofile. La riperfusione tardiva (dopo 2 ore) può comunque avere un effetto benefico perché va a migliorare la nutrizione del miocardio limitrofo alle zone di infarto favorendo l’ipertrofia e diminuendo il rischio di uno “sfiancamento” del ventricolo sinistro. Tuttavia è possibile il verificarsi del DANNO DA RIPERFUSIONE, mediato almeno in parte, dalla produzione di RADICALI LIBERI dell’ossigeno sia da parte dell’infilitrato leucocitario sia da parte delle catene respiratorie danneggiate delle cellule, che non funzionano bene. COMPLICANZE DELL’INFARTO TRANSMURALE: -­‐ Insufficienza di pompa: riduzione della gittata sistolica. Lo scompenso è spesso fatale spesso se si asscocia edema polmonare acuto. -­‐ Aritmie: tachicardie sopraventricolari, bradicardia, fibrillazione ventricolare. -­‐ Rimodellamento postinfartuale precoce: macroscopicamente si osserva assottigliamento ed allungamento del tratto di parete; espansione del profilo endocardico della cavità ventricolare, mentre il contorno epicardio rimane immodificato. Microscopicamente si osserva stiramento e slittamento (“SLITTAGE”) dei fasci di mio cellule necrotiche. -­‐ Rottura del cuore: la rottura esterna complica il 10% degli infarti transmurali e interessa solitamente il ventricolo sinistro: si apre una breccia sull’epicardio con emopericardio e tamponamento cardiaco. La rottura cardiaca avviene o nei primi 3 giorni o all’inizio della 2a settimana. La rottura interna può interessare il setto interventricolare o un muscolo papillare con conseguenze rispettivamente di comunicazione interventricolare e insufficienza mitralica o disinserzione di alcune corde tendinee. -­‐ Trombosi parietale: si forma per liberazione dal focolaio necrotico di sostanze ad attività protrombotica. Col passare dei giorni si formano più strati sulla superficie colpita e negli strati profondi (i primi a essere depositati) iniziano i fenomeni litici ad opera dei neutrofili portando al distacco di frammenti che costituiscono gli EMBOLI. -­‐ Pericardite: può complicare l’infarto sia nei primi 4 giorni, sia dopo almeno 10 giorni (sindrome di Dressler). -­‐ Insufficienza secondaria della mitrale -­‐ Aneurisma ventricolare: quando la cicatrice è molto estesa si modella sottoforma di una lamina. La retrazione del tessuto sclerotico e la azione continua della diastole fanno ridurre di spessore la lamina che può diventare molto sottile e sfiancarsi. Si forma quindi un aneurisma cronico che può rallentare il circolo. Un aneurisma acuto può avvenire in concomitanza con la malacia del territorio infartuale. -­‐ Miocardiopatia dilatativa postinfartuale • SUBENDOCARDICO  la necrosi ischemica è limitata al terzo interno della parete miocardica ed è distribuita su un territorio esteso. E’ dovuto ad una IPOPERFUSIONE GENERALIZZATA (non distrettuale come il transmurale) dovuta ad una STENOSI CORONARICA DIFFUSA che causa un aumento delle resistenze nel circolo coronarico. In

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queste condizioni basta un’improvvisa diminuzione della pressione di perfusione, o un aumento delle richieste metaboliche per causare una necrosi ischemica degli strati interni del miocardio. Negli stadi precoci è molto difficile riconoscere l’infarto. Questo si rende visibile solo quando si instaura la necrosi, che è qualitativamente UGUALE a quella dell’infarto transmurale ma è più estesa. Normalmente la riparazione avviene più velocemente che nel transmurale, con formazione di bande di fibrosi sub endocardica. Clinicamente gli infarti transmurale e sub endocardico sono considerati come unica entità. I sintomi più importanti sono dolore retrosternale oppressivo-­‐costrittivo (il pz si porta il pugno sul petto per descriverlo) che si irradia spesso alla spalla e/o al braccio sinistro e più raramente ai vasi del collo e mandibola. Il pz. avverte senso di abbattimento e di morte imminente e presenta sintomi vegetativi come nausea, vomito e sudorazione. Sono presenti infine dispnea e senso di debolezza. In una discreta percentuale di casi l’infarto può avvenire in maniera asintomatica, in questo caso si parla di infarto SILENTE. Come procedura diagnostica si procede alla esecuzione di ECG, ricerca di enzimi di distruzione cardiaca (mioglobina, troponine I o T, Creatinchinasi – MB). Si può fare anche un RX per vedere la dimensione del cuore e infine una Ecocardiografia per confermare la diagnosi. • Necrosi ischemica FOCALE miocardica  è una necrosi ischemica focale visibile SOLO all’esame istologico, dovuta a difetti di irrorazione di piccoli rami intramiocardici. E’ dovuta spesso allo spasmo di una piccola arteria secondario a stimolazione endogena o esogena da parte di CATECOLAMINE; si può avere però in altre situazioni: tossicità da cocaina, danno da riperfusione. L’area di necrosi è ben demarcata, di forma rotonda, prevalentemente sub endocardica ed evolve in fibrosi. -­‐ ANGINA PECTORIS: sindrome clinica caratterizzata da crisi parossistiche di dolore stenocardico, causata da una discrepanza tra necessita e apporto energetico di sangue. Clinicamente il pz. avverte un dolore o una sensazione di pressione retro sternale con o senza irradiazione a spalla e braccio destri, sensazione di freddo e di riempimento gastrico (sindrome di Roemheld). Si distinguono: • Angina stabile, o da sforzo  il circolo coronarico presenta stenosi serrate dei rami maggiori con il quadro istologico della PLACCA STABILE. Un improvviso aumento delle richieste metaboliche scatena l’attacco e l’uso di vasodilatatori lo attenua. • Angina instabile  le crisi dolorose avvengono anche a riposo e sono più frequenti e prolungate di quelle della angina stabile. Dovuta ad attivazione di una PLACCA INSTABILE. • Angina Variante di Printzmetal  avviene in condizioni di riposo, per lo più di notte durante il sonno ed è dovuta ad un vasospasmo coronarico. Istologicamente non ci sono alterazioni tipiche; per lo più possono essere presenti piccoli focolai di necrosi. -­‐ CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA: insorgenza subdola di scompenso cardiaco progressivo soprattutto in pz. anziani. Lo scompenso può rappresentare il sintomo di esordio! Il quadro anatomopatologico è molto vario: lesioni stenosanti coronariche, diffusa miocitolisi colliquativa, aree focali di fibrosi, cicatrici postinfartuali, ipertrofia ventricolo sinistro, miocardiopatia dilatativa ischemica. Dal punto di vista funzionale l’area miocardica contrattile è INFERIORE a quella riscontrabile anatomicamente o scintigraficamente. Si parla di MIOCARDIO IBERNATO, cioè contente aree che pur sembrando indenni hanno un metabolismo rallentato che ne impedisce la contrazione. -­‐ MORTE IMPROVVISA CORONARICA: la morte improvvisa è un evento acuto e improvviso ed INATTESO: si passa da una condizione di benessere,o comunque di stabilità, alla morte in un breve lasso di tempo (1-­‐24 ore). Il decesso è causato da gravi turbe del ritmo che culminano in una fibrillazione ventricolare fatale. L’evento scatenante è di natura ischemica

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IPERTROFIA MIOCARDICA (Ascenzi + Robbins) Si intende un incremento della massa muscolare cardiaca dovuto ad un aumento di VOLUME delle mio cellule per produzione di nuovi mio filamenti e neoformazione o ispessimento delle miofibrille già esistenti. Il criterio più usato per la valutazione della ipertrofia è la misurazione dello spessore della parete delle camere cardiache: si considera ipertrofica la parete del ventricolo sinistro quando è superiore a 20 mm si spessore a metà distanza tra punta e base del cuore; si considera ipertrofica la parete del ventricolo destro quando è superiore a 2 mm di spessore a mezza lunghezza dall’infundibolo. Sono normalmente evidenti le ipertrofie che causano un aumento evidente del peso del cuore (che normalmente è circa 350 g) fino a 500 g addirittura 1000 g o più (COR BOVINUM). Una ipertrofia può instaurarsi in de condizioni di sovraccarico del miocardio: -­‐ Sovraccarico di pressione  dovuto per lo più a IPERTENSIONE per aumento delle resistenze nel circolo a valle di un ventricolo. E’ una iperfunzione di tipo ISOMETRICO e causa una ipertrofia definita CONCENTRICA, con aumento di SPESSORE delle pareti ventricolari NON accompagnato da incremento di volume tele diastolico della cavità. -­‐ Sovraccarico di volume  dovuto a condizioni in cui aumenta l’afflusso di sangue durante la diastole, come accade in alcuni difetti congeniti o in alcuni vizi valvolari (insufficienze valvolari). E’ una iperfunzione di tipo ISOTONICO e causa una ipertrofia definita ECCENTRICA, con aumento della massa miocardica associato all’aumento del volume tele diastolico. Lo spessore della parete può non essere aumentato, mentre aumentano le dimensioni delle cavità cardiache. Differenze tra ipertrofia dx e sx: • Ipertrofia ventricolo DX 1) Da sovraccarico di pressione  prodotto da tutte le condizioni che causano aumento nel piccolo circolo o un ostacolo all’efflusso del ventricolo destro (stenosi della polmonare o ipertensione venosa polmonare conseguente a stenosi mitralica ad esempio). Di questa categoria fa parte il “cuore polmonare cronico” cioè una ipertrofia del ventricolo dx dovuta a ipertensione nel circolo arterioso polmonare che può essere dovuta a molte pneumopatie croniche, embolie ripetute, ipertensione primitiva. 2) Da sovraccarico di volume  iperafflusso di sangue nella sezione destra che si verifica ad esempio in molte cardiopatie congenite (dotto di botallo, anomali del ritorno venoso per la presenza di fistole aterovenose). • Ipertrofia ventricolo SX 1) Da sovraccarico di pressione  dovuta a stenosi valvolari ma più frequentemente a ipertensione arteriosa. Il miocardio subisce una ipertrofia concentrica con muscoli papillari e trabecole carnee tozze, incremento ponderale del cuore. 2) Da sovraccarico di volume  dovuta a iperafflusso di sangue nella sezione sinistra o a un reflusso dall’aorta. Col progredire della ipertrofia il cuore perde progressivamente le sue capacità funzionali fisiologiche ed evolve verso o scompenso, cioè verso la insufficienza funzionale. Alla base della perdita di funzionalità del miocardio ci sono molte cause, ma le principali sono: -­‐ alterato rapporto tra la massa cardiaca ipertrofica e la relativa irrorazione sanguigna. -­‐ sintesi di nuove proteine strutturali cardiache in forma FETALE e quindi funzionalmenti meno efficaci. -­‐ riduzione della stimolazione catecolaminica con rarefazione dei recettori ß-­‐adrenergici miocardici. Per lo più le manifestazioni cardiache anatomiche dello scompenso sono la dilatazione delle cavità con assottigliamento di parete; la riduzione di spessore è dovuta ad uno slittamento (SLIPPAGE) dei fasci di cellule muscolari e ad un allungamento delle fibre muscolari e dei loro sarcomeri. In prelievo bioptico mostra cellule miocardiche STIRATE con nucleo voluminoso e ipercromatico proprio della ipertrofia ma assottigliate e allungate (“attenuated myocytes”). Per quanto riguarda le manifestazioni extracardiache, esse sono diverse in base al ventricolo colpito. Nel ventricolo destro lo scompenso provoca una congestione delle vene della circolazione generale, con cianosi cutanea, turgore delle vene e stasi dei visceri addominali: prima del fegato (cirrosi cardiaca) e della milza, poi del canale gastrointestinale, il pancreas e il rene. Si può avere accumulo di liquido anche negli spazi pleurici e pericardici. Può essere presente infine un edema

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periferico caratteristico, di solito alle caviglie. In altri casi si può avere un edema massivo e genraizzato detto ANASARCA. Nel ventricolo sinistro lo scompenso i sintomi sono dovuti per lo più al progressivo ristagno di sangue nel circolo polmonare con riduzione della perfusione a valle. Il sintomo polmonare principale è la dispnea e la cogestione a lungo andare provoca edema polmonare. A livello renale invece la riduzione della gittata sistolica causa riduzione della perfusione renale con attivazione del sistema RAA e ritenzione di H2o e sali; questo aumento del volume ematico può provocare o aggravare EDEMA POLMONARE. A livello cerebrale l’possia conseguente alle alterazioni polmonari può causare encefalopatia ipossica. Schematicamente si può descrivere l’ipertrofia così: IPERTENSIONE VALVULOPATIE INFARTO MIOARDICO Sovraccarico pressorio Sovraccarico di pressione e/o Disfunzione con sovraccarico volume di volume  Lavoro cardiaco   Stress parietale  Caratterizzata da: Allungamento delle -­‐  dimensioni e massa cellule cuore  -­‐  sintesi proteica IPERTROFIA e/o -­‐ Attivazione geni precoci DILATAZIONE e programma genico fetale con sintesi di proteine strutturali immature -­‐ Fibrosi -­‐ Vascolarizzazione DISFUNZIONE inadeguata CARDIACA: • Insufficienza cardiaca • Aritmie • Stimolazione neuroumorale CARDIOMIOPATIE (Ascenzi + Robbins) Questo termine indica delle cardiopatie derivanti da un’alterazione primitiva del miocardio. La definizione dell’OMS più recente è “malattie del miocardio associate a disfunzione cardiaca”. Esistono quattro tipi cardiomiopatie: -­‐ DILATATIVA  caratterizzata da IPOCONTRATTILITA’ ventricolare globale, IPERTROFIA ECCENTRICA di tutte le cavità e da un ELEVATO RESIDUO TELEDIASTOLICO con SPICCATA RIDUZIONE della frazione di eiezione. Questo quadro tende ad evolvere verso uno scompenso globale. Alla base di questa patologia c’è la progressiva perdita di filamenti contrattili da parte delle mio cellule. Le eziologia è multifattoriale sebbene in alcuni casi sia stata associata a fattori specifici:

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CONGENITI: è stata dimostrata una certa familiarità e diverse forme ad eredità autosomica dominante e recessiva; infine è considerata anche una forma X-­‐LINKED del gene della distrofina responsabile della distrofia muscolare di Duchenne. • TOSSICI: l’alcoolismo e stata associato a questa cardiomiopatia; può avere sia effetti diretti, sia effetti indiretti (malnutrizione) • IMMUNITARI: in alcuni casi c’è una storia di pregressa MIOCARDITE. Macroscopicamente il cuore appare di forma GLOBOSA per dilatazione del ventricolo sinistro. In sezione trasversale è evidente una dilatazione di entrambe le camere ventricolari. E’ costantemente presente una ipertrofia eccentrica documentata NON DALL’AUMENTO DI SPESSORE, bensì dall’aumento di PESO del cuore fino al doppio o addirittura al triplo. L’endocardio è localmente ispessito per la presenza di FIBROSI dovuta e eccessivo stress parietale ed è spesso rivestito da TROMBI PARIETALE per il rallentamento del flusso. Le valvole risultano NORMALI, solo la mitrale mostra una INSUFFICIENZA SECONDARIA alla dilatazione della cavità ventricolare. Istologicamente si notano: miocellule IPERTROFICHE (con più miofibrille e grandi nuclei), miocellule STIRATE (o attenuated myocardial fibres), FENOMENI REGRESSIVI delle miocellule (“lisi miofibrillare”), FIBROSI endocardica e interstiziale, INFILTRATI INFIAMMATORI rari. Ultrastrutturalmente si può confermare la perdita di miofilamenti contrattili e, tramite tecniche di biologia molecolare, si può accertare l’attivazione di meccanismi pre-­‐mitotici. La malattia colpisce entrambi i sessi e in tutte le età. Clinicamente si ha un’insufficienza cardiaca con progressivo aggravamento delle condizioni emodinamiche; in alcuni casi però si può avere un brusco peggioramento o morte improvvisa aritmica. I sintomi principali sono il respiro corto, facile affaticabilità e capacità fisica ridotta nella fase di “compenso funzionale”. La diagnosi è essenzialmente clinica e per lo più volta a differenziare da forme secondarie di cardiopatie dilatative (ischemica, valvolare, da farmaci, ecc). L’Ecocardiografia mostra ingrossamento delle cavità cardiache, ipomobilità delle pareti ventricolari e riduzione della gittata sistolica. L’RX torace mostra ectasia cardiaca e spesso congestione polmonare. In rari casi la BIOPSIA endomiocardica fornisce informazioni per la diagnosi differenziale. -­‐ IPETROFICA  è caratterizzata da una IPERCONTRATTILITA’ del ventricolo sinistro che può portare ad un quadro emodinamico prevalente di ostacolo al deflusso sinistro (tipo OSTRUTTIVO) oppure di rigidità della parete ventricolare con ostacolo al riempimento diastolico (tipo RESTRITTIVO). Nella maggior parte dei casi è a eziologia ignota, anche se attualmente si chiamano in causa fattori genetici. Più precisamente si pensa che sia dovuta a mutazione di uno qualsiasi dei numerosi geni che codificano per le proteine strutturali dei sarcomeri, le unità contrattili della muscolatura cardiaca e scheletrica. Nella maggior parte dei casi la malattia ha carattere familiare e si trasmette con modalità autosomica dominante. Sono stati individuati diversi loci della malattia, presenti su diversi cromosomi dove sono presenti diverse mutazioni NON SENSO dei geni che codificano per la ß-­‐miosina, la troponina T e l’α-­‐tropomiosina. Nonostante si conoscano queste alterazioni non è ancora noto come dalle mutazioni possa svilupparsi e progredire la malattia. Il quadro morfologico è dominato classicamente da una IPERTROFIA ASIMMETRICA del setto interventricolare rispetto alla parete libera del ventricolo sinistro, che può colpire diverse porzioni del setto. Macroscopicamente si descrivono tre forme diverse: • OSTRUTTIVA: con stenosi all’efflusso sinistro dovuta a ipertrofia asimmetrica della porzione basale del setto, che causa un movimento anomalo del lembo settale della mitrale che risulta ispessito e la formazione di un cercine fibroso nel punto in cui il lembo settale urta con il setto. • RESTRITTIVA: con riduzione della “compliance” ventricolare sinistra, assenza di ipertrofia della parete ma con dilatazione atriale. • DILATATIVA: con progressivo assottigliamento della parete e dilatazione del lume del ventricolo sinistro. Alla base di tutte queste anomalie c’è un disordine strutturale del miocardio, che è osservabile già macroscopicamente sottoforma di un ANDAMENTO IRREGOLARE di fasci di miocellule. Microscopicamente questo disordine è evidente sottoforma del cosiddetto MYOCARDAL DISARRAY: le fibre muscolare non decorrono più parallele (come accade normalmente), ma si INTERSECANO fra loro creando il “disarray fascicolare”; esse possono assumere aspetti stellati •

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(“disarray a Y”), o vorticosi (“disarray complesso”). Nelle aree di disarray è stata trovata un’alterazione dei filamenti intermedi di desmina e delle giunzioni intercellulari specializzate delle miocellule. Altre caratteristiche istologiche sono la IPETROFIA delle cellule muscolari, la FIBROSI INTERSTIZIALE nelle aree di disarray, una fibrosi sostitutiva focale ed una stenosi dei rami coronarici intramiocardici nelle zone di ipertrofia asimmetrica. Clinicamente la cardiomiopatia ipertrofica può rimanere asintomatica per anni. La sua gravità e la manifestazione dei sintomi sono dovuti per lo più alla riduzione del volume cavitario e alla scarsa compliance parietale che portano a difetti di riempimento e riduzione della gittata sistolica. I sintomi più comuni sono angina pectoris (le stenosi dei rami coronari intramiocardici e la maggiore richiesta metabolica delle cellule ipertrofiche  causano fenomeni ischemici), palpitazioni (per lo più dovute a disturbi del ritmo), vertigini e sincope (ridotta gittata sistolica causa bassa perfusione encefalo), dispnea. La complicanza più grave è data dalle ARITMIE che aumentano il rischio di morte cardiaca improvvisa. Alla auscultazione è possibile rilevare un soffio sistolico di eiezione al 3° spazio intercostale sinitro. La diagnosi differenziale mira ad escludere altre forme di ipertrofia cardiaca secondarira (ipertensione, stenosi valvolare aortica,ecc.). La diagnosi strumentale si esegue con ECG (mostra ipertrofia sinistra, blocco di branca sinistro, onda Q patologica e T negative nelle precordiali sx), ECG secondo Holter (aritmie ventricolari), Ecocardiografia mostra la caratteristica ipertrofia asimmetrica del setto. In caso di riscontro di cardiomiopatia ipertrofica è consigliabile effettuare un controllo cardiologico ai familiari del paziente! -­‐ RESTRITTIVA condizione rara. E’ caratterizzata emodinamicamente da SPICCATA RIGIDITA’ della parete miocardica che riduce la distensibilità del ventricolo e quindi ostacola il riempimento diastolico. Nella maggior parte dei casi è idiopatica, mentre altre volte può essere associata a malattie che colpiscono il miocardio (più frequentemente: fibrosi da radiazioni, amiloidosi, sarcoidosi, tumori metastatici ed alterazioni congenite del metabolismo). Macroscopicamente il cuore mostra cavità ventricolari di calibro e spessore NORMALE e SPICCATA DILATAZIONE delle cavità atriali. Microscopicamente si nota una FIBROSI INTERSTIZIALE e DISARRAY (simile a variante restrittiva della cardiomiopatia ipertrofica). Due tipi particolari facenti parte di questa malattia sono: • Fibrosi endomiocardica: malattia che predilige le zone tropicali. Le lesioni colpiscono più il ventricolo sinistro e precisamente le valvole atrioventricolari. Si osserva fibrosi che interessa l’endocardio e il terzo intero del miocardio che determina una forte riduzione della compliance delle pareti ventricolari, provocando un difetto funzionale restrittivo. Inoltre in circa la metà dei casi sono presenti trombi. • Endocardite di Loeffler: malattia che predilige le zone temperate. E’ molto simile alla fibrosi endomiocardica ma differisce sia per la distribuzione geografica che per la presenza di una “LEUCEMIA EOSINOFILA” cioè una eosinofilia ematica molto intensa. La parete ventricolare presenta una lesione divisa in tre strati: miocardite eosinofila nello strato profondo; fibrosi più superficialmente; depositi trombotici in superficie. • Fibroelastosi endocardica: caratterizzata da un ispessimento fibroelastico, focale o diffuso, che coinvolge l’endocardio del ventricolo sinistro. Più comune nei primi 2 anni di vita e associato a malformazioni cardiache congenite. Se diffusa porta rapidamente verso o scompenso e poi alla morte. -­‐ ARITMOGENA  era precedentemente nota come “displasia aritmogenica del ventricolo destro”. La malattia è caratterizzata dalla sostituzione del miocardio della parete ventricolare da parte di TESSUTO ADIPOSO: questo comporta lo sviluppo di aritmie come TACHIARITMIE VENTRICOLARI e rischio di MORTE CARDIACA IMPROVVISA. E’ ormai certo che la malattia possa colpire ENTRAMBI i ventricoli e non solo il destro. E’ stata dimostrata una FAMILIARITA’ dell’ordine del 30% con eredità di tipo autosomico dominante. Attualmente la malattia è stata associata a mutazioni di alcuni geni presenti sul cromosoma 14q. Morfologicamente la lesione di base, come già detto, è la SOSTITUZIONE del miocardio ventricolare con tessuto ADIPOSO. Macroscopicamente nel ventricolo destro la sostituzione è TRANSMURALE; nel sinistro, poiché lo spessore è maggiore, la sostituzione riguarda solo gli strati SUBENDOCARDICI.

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Microscopicamente si distinguono una variante ADIPOSA (infiltrazione adiposa del miocardio) e una FIBRO-­‐ADIPOSA (presenza anche di tessuto fibroso e spesso di infiltrato linfocitario). Clinicamente si distinguono tre modalità evolutive: asintomatica; morte improvvisa come sintomo di esordio; forma palesemente aritmogena (richiede trapianto cardiaco). La diagnosi definitiva è possibile con la BIOPSIA ENDOMIOCARDICA. CARDIOMIOPATIE SPECIFICHE: si intendono malattie specifiche del miocardio, cioè a genesi NOTA o non limitate solo al miocardio. Alcune di esse sono: -­‐ Cardiomiopatia ischemica: cuore dilatato con stenosi coronarica non così gravi da giustificare l’insufficienza contrattile. -­‐ Cardiomiopatia valvolare: cuore con lieve danno acquisito delle valvole che non giustifica l’insufficienza contrattile. -­‐ Tossicità da farmaci: la COCAINA causa vasospasmi e può portare a cardiopatia ischemica e secondariamente a miocardiopatia dilatativa secondaria. -­‐ Metaboliche: Amiloidosi  macroscopicamente il miocardio appare rigido, ispessito, translucido. Può causare deficit di funzionalità di tipo restrittivo. Ci possono essere depositi nodulari su endocardio e valvole. Emocromatosi o emosiderosi  da accumulo di ferro. MIOCARDITI (Ascenzi) E’ un processo infiammatorio a carico del miocardio che può essere accertato solo da un punto di vista morfologico (DANNO AI MIOCITI CARDIACI). La diagnosi istologica di miocardite deve seguire i CRITERI DI DALLAS secondo cui la miocardite è definita come: “Un processo caratterizzato da un infiltrato infiammatorio del miocardio associato ad un tipo di necrosi e/o di degenerazione delle miocellule che non sia proprio della cardiopatia ischemica”. Ovviamente per diagnosi è necessaria la BIOPSIA ENDOMIOCARDICA. Esistono ben tre CLASSIFICAZIONI DIVERSE: • Morfologica  si basa sempre sui criteri di Dallas. Il TIPO di infiltrato infiammatorio può dare informazioni sulla eziologia della miocardite. -­‐ Infiltrato con + granulociti neutrofili: probabilmente batterica -­‐ Infiltrato con + granulociti eosinofili: endocardite di Loeffler, ipersensibilità, parassitaria. -­‐ Miocardite linfocitaria: fattori immunitari, eziologia virale. -­‐ Miocardite granulomatosa: sarcoidosi (GIGANTOCELULARE) , malattia reumatica. • Cronologica  la miocardite è normalmente un processo cronico a lenta evoluzione. Esistono due tipi di classificazioni cronologiche: 1) Basata sui criteri di Dallas: i criteri suggeriscono di classificare le miocarditi in PERSISTENTE, IN VIA DI REGRESSIONE, REGREDITA a seconda che la flogosi appaia, in seguito a BIOPSIE MULTIPLE, rispettivamente inalterata, di intensità minore, assente. 2) Derivante da epatite virale: -­‐ MIOCARDITE FULMINEA  esordio acuto febbrile, compromissione grave delle condizioni emodinamiche. Istologicamente si ha miocardite attiva con necrosi multifocale. Evoluzione rapida verso risoluzione spontanea o exitus. -­‐ MIOCARDITE ACUTA  esordio subdolo con lieve ipocinesia del ventricolo sinistro. Istologicamente si ha miocardite attiva o in regressione. Evoluzione verso la risoluzione e verso un lento peggioramento. -­‐ MIOCARDITE CRONICA ATTIVA  esordio subdolo. Istologicamente si ha miocardite attiva iniziale e poi gigantocellulare. Evoluzione rapidamente progressiva verso lo sviluppo di una cardiomiopatia dilatativa. -­‐ MIOCARDITE CRONICA PERSISTENTE  reperto istologico di miocardite attiva in tutti i controlli. • Etiologica  in base ai diversi agenti eziologici: -­‐ Insediamento miocardico di AGENTI INFETTIVI  possono essere: + Batteriche (meningococchi, stafilococchi, pneumococchi, streptococchi) + Rickettsie e Miceti (tifo esantematico, aspergillosi e candidosi) + Virali: sono le più frequenti e sono spesso dovute all’insorgenza di infezioni virali in altra sede. In altri casi il miocardio è la sede primitiva di localizzazione del virus. I virus responsabili sono molteplici: ECHO, Coxsackie A e B, virus della poliomelite e dell’influenza e più raramente anche il citomegalovirus, gli adenovirus, il virus di

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Epstein-­‐Barr, virus della parotite e della varicella. Morfologicamente predomina l’infiltrazione interstiziale con focolai di necrosi delle miocellule che può essere dovuta all’effetto litico diretto del virus o alla aggressione immunitaria contro le cellule che albergano il virus o che ne esprimono gli antigeni. + Protozoi (toxoplasma gondii e tripanosoma cruzy) + Elminti (Trichinella spiralis, Echinococco, Cisticercosi) + Spirochete (malattia di Lyme da Borrelia) -­‐ Miocarditi da agenti fisici e chimici  da radiazioni ionizzanti; da monossido di carbonio e da arsenico. -­‐ Miocardite reumatica (trattata più avanti, nel capitolo della Febbre Reumatica) MIOCARDITI GRANULOMATOSE diverse dalla M. reumatica (Ascenzi): -­‐ SARCOIDOSI  Vi sono due quadri macroscopici principali: 1) Forma massiva: ampie aree biancastre di sostituzione fibrosa del miocardio ventricolare ed atriale, spesso con formazione di aneurismi. Clinicamente si hanno aritmie. 2) Forma diffusa: fibrosi disseminata con quadro clinico che simula quello di una cardiopatia dilatativa o restrittiva. Microscopicamente si hanno granulomi ad evoluzione sclerotica. -­‐ MIOCARDITE GIGANTOCELLULARE: a eziologia ignota (si pensa immunitaria per la frequente concomitanza di malattie immunitarie). Macroscopicamente il cuore appare dilatato, flaccido, ci sono chiazze di necrosi serpiginose di colorito grigio-­‐giallognolo. Microscopicamente si notano aree focali di necrosi mio cellulare, sostituite da tessuto di granulazione, ed associate ad un infiltrato infiammatorio abbondante, comprendente granulociti eosinofili, macrofagi e cellule giganti multinucleate. Prima di parlare delle manifestazioni della PANCARDITE reumatica è necessario trattare la malattia reumatica in generale. FEBBRE REUMATICA ACUTA (Prof. Di Tondo): malattia multisistemica dell’infanzia che fa seguito ad una infezione strptococcica, caratterizzata da infiammazione che coinvolge cuore, articolazioni, SNC. La malattia reumatica è scatenata da un’infezione da parte di STREPTOCOCCHI ß-­‐EMOLITICI di gruppo A.. Si ritiene che ci possa essere una CROSS REATTIVITA’ degli anticorpi del sistema immunitario con gli antigeni streptococcici da una parte e con proteine dell’endocardio,del miocardio e del muscolo liscio, con la miosina cardiaca dall’altra. E’ stato anche ipotizzato il ruolo di fattori AUTOIMMUNITARI. La malattia reumatica colpisce entrambi i sessi senza predilezione, ma le complicanze sono più frequenti tra le donne; si riscontrata solitamente tra i 5 e i 15 anni (età media 9-­‐11 anni). E’ in via d’estinzione nei paesi industrializzati, ma è ancora un’importante causa di morte nei paesi in via di sviluppo. La PANCARDITE può colpire tutti e tre gli strati del cuore (endo – mio – pericardio) contemporaneamente oppure separatamente. La sintomatologia insorge 2-­‐3 settimane dopo infezione da streptococco e regredisce in 3 mesi. Se la cardite è severa le manifestazioni cliniche possono persistere anche per 6 mesi o più. Il decesso (poco comune) avviene per insufficienza cardiaca. Per una diagnosi prettamente clinica bisogna tenere conto dei CRITERI DI JONES: MAGGIORI MINORI Cardite Pregressa f. reumatica Poliartrite Artralgia Corea Febbre Eritema marginato Test laboratorio positivi per flogosi acuta Noduli sottocutanei Alterazioni ECG La diagnosi clinica può essere posta se sono soddisfatti 2 CRITERI MAGGIORI o 1 MAGGIORE + 2 MINORI. Di seguito sono spiegate le varie forme causate dalla pancardite reumatica.

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PERICARDITE REUMATICA (Prof. Di Tondo): Macroscopicamente le superfici viscerale e parietale del pericardio mostrano densi depositi irregolari di fibrina, sottoforma di placche o aderenze (ESSUDAZIONE FIBRINOSA). Microscopicamente sono presenti le lesioni caratteristiche della malattia raumatica, che sono spiegate oltre. MIOCARDITE REUMATICA (Ascenzi): Tra le patologie cardiache associate alla malattia reumatica la miocardite è quella che può mettere a repentaglio la vita del paziente durante l’attacco acuto. I sintomi sono rappresentati da: comparsa di aritmie, dilatazione acuta del ventricolo sinistro, insufficienza contrattile (nei casi gravi). Macroscopicamente la miocardite reumatica acuta non da segni evidenti, al massimo si può sospettare per la presenza se in concomitanza di pancardite è presente flaccidezza del miocardico, focolai di necrosi e dilatazione di cavità cardiache. Una miocardite duratura può manifestarsi con fibrosi focale. Microscopicamente ci sono elementi caratteristici e patognomonici: nella fase di attacco acuto si nota dissociazione del connettivo interstiziale per EDEMA BASOFILO e successivamente c’è la presenza di NECROSI FIBRINOIDE. Dopo 1 mese dall’esordio compare un granuloma a distribuzione focale, detto NODULO DI ASCHOFF. Si tratta di noduli OVALI e a disposizione PERIVASALE, con un’area di NECROSI FIBRINOIDE; sono costituiti da cellule di Aschoff, cellule di Anitschkow, linfociti e plasmacellule. Le cellule di ANITSCHKOW sono elementi grandi di origine ISTIOCITARIA con un grosso nucleo vescicoloso con cromatina centrale disposta in modo nastriforme; se il nucleo viene sezionato secondo l’asse longitudinale, la cromatica assume l’aspetto di un MILLEPIEDI, mentre se è sezionato trasversalmente assume un aspetto a OCCHIO DI GUFO. Le cellule di ASCHOFF hanno le stesse caratteristiche nucleari, ma sono più voluminose ed hanno ampio citoplasma basofilo e sono spesso multinucleate. Il granuloma reumatico tende ad evolvere verso le sclerosi e la cicatrizzazione, che si verificano spesso dopo il 3° mese.. ENDOCARDITE REUMATICA (Ascenzi): L’endocardite è la manifestazione della pancardite che lascia gli esiti più gravi ed invalidanti. Interessa le valvole INTERAMENTE (tutto l’apparato valvolare). La malattia colpisce di norma le valvole del cuore sinistro, aortica e mitrale, contemporaneamente o isolatamente. Raramente può colpire quelle del cuore destro (soprattutto nei tossicodipendenti e immunodepressi). Morfologicamente negli stasi iniziali si notano veli valvolari EDEMATOSI ed INFIAMMATI (“valvulite sierosa”). Dopo qualche settimana compaiono nel connettivo valvolare NECROSI FIBRINOIDE e poi INFILITRATO INFIAMMATORIO diffuso. A differenza della miocardite reumatica qui non si evidenzia il nodulo di Aschoff. Gradualmente l’endocardio che riveste la valvola va incontro a erosioni a livello dei margini di chiusura e lungo le corde tendinee. Attraverso queste piccole fessure il connettivo valvolare si fa strada formando le caratteristiche VERRUCHE (“vegetazioni”) di 1-­‐3mm disposte a CORONA DI ROSARIO lungo il margine di chiusura. Dopo un anno circa le lesioni infiammatorie vengono progressivamente sostituite da connettivo denso e ialino che va a cancellare la normale struttura valvolare e causa ispessimento, irrigidimento e retrazione delle parti colpite. Le verruche si trasformano in struttura compatte e si assiste alla SALDATURA DELLE COMMESSURE. Successivamente avvengono episodi di riparazione ripetuti (anche a causa delle caratteristiche RICORRENZE della malattia) che portano alla formazione di deformità molto gravi e invalidanti (molto grave la CALCIFICAZIONE). Il quadro finale di endocardite reumatica è detto ENDOCARDITE FIBROPLASTICA (“postinflammatory scarring”) in cui vi è una fibrosi retraente senza alcuna specificità morfologica. MALATTIA REUMATICA CRONICA (Prof. Di Tondo) E’ una delle principali cause di stenosi valvolare. Si assiste a stenosi valvolare con lembi valvolari rigidi e parzialmente FUSI. La valvola più colpita è la MITRALE che mostra lembi irregolarmente ispessiti e calcifici che risultano RIGIDI; è presente anche fusione delle commessure e delle corde tendinee. L’ostio valvolare è ridotto ad una stretta apertura “a bocca di pesce”. La seconda valvola più colpita è la aortica che mostra un diffuso ispessimento delle cuspidi.

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Una lesione caratteristica è la PLACCA DI MacCALLUM, cioè un’area di endocardio ruvido, raggrinzito, presente a livello dell’atrio sinistro. Complicanze croniche possono essere endocardite batterica, trombi murali, ICC, pericardite adesiva. ENCOCARDITI (Prof. Di Tondo + Ascenzi) Si tratta di flogosi dell’endocardio che, tranne in rari casi, colpiscono essenzialmente gli apparati valvolari. Una classificazione utile è quella che divide le endocarditi in INFETTIVE (da impianto diretto dei microrganismi) e NON INFETTIVE (non c’è impianto locale di microrganismi). -­ Endocardite batterica (Prof. Di Tondo)  dovuta a colonizzazione o invasione delle valvole cardiache o dell’endocardio parietale da parte di microrganismi con formazione di vegetazione infette. Si distinguono due forme: • ACUTA: infezione di una valvola cardiaca normale da parte di microrganismi altamente virulenti. La valvola viene completamente distrutta! La morte sopraggiunge in circa 6 settimane per insufficienza cardiaca acuta o sepsi disseminata. La sintomatologia è per lo più progressiva e subdola. Fattore importante è il ridotto spessore del tessuto valvolare! • SUBACUTA: ha un decorso meno fulmineo. Microrganismi meno virulenti infettano una valvola strutturalmente normale ma deformata da una precedente malattia reumatica. I fattori eziologici possono essere riconosciuti in malattie di base e microrganismi: -­‐ Malattia di base: cardiopatia congenita; prolasso della valvola mitrale; malattia reumatica; calcificazione valvolare; abuso di sostanze per via endovenosa. -­‐ Microrganismi: Stafilococchi coagulasi negativi; St. Aureus; Streptococchi; Enterococchi; Batter Gram negativi; Funghi. La patogenesi dipende essenzialmente da TRE FATTORI: 1) Fattori emodinamici (es. insufficienza o stenosi favoriscono la infezione) 2) Formazione di un iniziale trombo sterile di piastrine – fibrina 3) Proprietà adesive dei microrganismi L’aspetto chiave è un FLUSSO EMATICO ANORMALE A CAVALLO DI UNA VALVOLA DANNEGGIATA! Morfologicamente è presente il quadro particolare della ENDOCARDITE ULCERO-­‐POLIPOSA. Sono più colpite le valvole di sinistra: macroscopicamente si notano alcune VEGETAZIONI formate da fibrina, piastrine, detriti cellulari e colonie di microrganismi si depositano sul versante atriale delle valvole atrioventricolari e sul versante ventricolare delle valvole semilunari. Il tessuto valvolare subendocardico appare infiammato ed edematoso. I lembi possono andare incontro a perforazioni e portare a INSUFFICIENZA. Le lesioni possono avere forma e dimensioni variabili. Il processo infettivo può diffondersi localmente all’anello valvolare o all’endocardio parietale adiacente e alle corde tendinee. Microscopicamente in fase acuta si riscontra un infiltrato di neutrofili, mentre successivamente compaiono macrofagi e linfociti. Clinicamente i sintomi si rendono manifesti dopo 2 settimane dall’infezione. All’inizio ci sono sintomi aspecifici (febbricola, astenia, anoressia, perdita di peso). Probabile presenza di un soffio cardiaco. Se il processo infettivo dura per più di 6 settimane si riscontrano splenomegalia, ippocratismo digitale, petecchie. In pz. tossici è frequente e caratteristica una embolia polmonare dovuta ad una endocardite che colpisce la tricuspide. In 1/3 dei casi i pz. mostrano anche sintomi neurologici. La terapia è essenzialmente antibiotica una volta riconosciuto il microrganismo responsabile; se la valvola però è irrimediabilmente danneggiata si deve procedere con la SOSTITUZIONE VALVOLARE. Le complicanze più gravi e comuni sono una TROMBOEMBOLIA SETTICA (il trombo non è sterile e si ha una disseminazione sistemica) e una GN SEGMENTARIA FOCALE. -­ Endocardite verrucosa atipica o di “Libman Sacks” (Prof. Di Tondo + Ascenzi)  E’ una lesione cardiaca tipica del LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO. Le valvole più colpite, da sole o insieme, sono la tricuspide, la mitrale e la polmonare. La malattia è caratterizzata dalla presenza di VEGETAZIONI VERRUCOSE sulle superfici endocardiche che hanno come caratteristica la capacità di estendersi dall’apparato valvolare al versante parietale e alle corde tendinee. Il tessuto valvolare risulta EDEMATOSO con presenza di infiltrato di linfociti, plasmacellule, istiociti e caratteristici CORPI EMATOSSILINOFILI. Sono presenti anche aree di necrosi e successive ulcerazioni che danno origine alle verruche.

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Normalmente questa malattia guarisce senza cicatrizzazione e non provoca deficit funzionale. -­ Endocardite trombotica NON batterica o “Marantica” (Prof. Di Tondo + Ascenzi)  caratterizzata dalla formazione di vegetazioni STERILI su valvole normali ma con piccole alterazioni preesistenti. Gli orifizi valvolari più colpiti sono in ordine di frequenza mitrale, aortica e tricuspide. Le vegetazioni sono di tipo TROMBOTICO è sono del tutto simili a quelle della endocardite batterica (o infettiva); differiscono solo per la ASSENZA DI ULCERAZIONI e la ASSENZA DI MICRORGANISMI nelle vegetazioni. Spesso insorge in concomitanza di carcinomi o altre malattie debilitanti. La patogenesi non è del tutto chiara, ma sono coinvolti un AUMENTO DELLA CAOGULABILITA’ PLASMATICA e la formazione e deposizione di IMMUNOCOMPLESSI. Le rare complicanze di questa malattia possono essere la EMBOLIA o la trasformazione in endocardite INFETTIVA. VIZI VALVOLARI ACQUISITI Gli esiti delle valvulopatie di qualsiasi tipo ed eziologia sono la STENOSI (impossibilità della valvola di aprirsi completamente) e l’INSUFFICIENZA (impossibilità di chiudersi completamente). Molto spesso questi due vizi sono presenti contemporaneamente, si parla così di DOPPIO VIZIO VALVOLARE. La presenza di questi difetti causa alterazione del flusso che si manifestano clinicamente con la produzione di SOFFI CARDIACI. Le valvulopatie acquisite più frequenti sono: -­‐ STENOSI AORTICA  esistono diverse cause che variano in funzione all’età: nelle forme giovanili le cause sono per lo più congenite (displasia mixoide); negli adulti avviene tra il 30-­‐60 anni e può essere dovuta ad endocardite fibroplastica (fusione delle commessure), calcificazione distrofica, endocardite infettiva; in età presenile tra i 60-­‐75 anni la forma più frequente è dovuta alla calcificazione distrofica di un ostio congenitamente bicuspide; in età senile la causa principale è la calcificazione distrofica. La calcificazione distrofica dell’ostio aortico comporta una stenosi serrata dell’orifizio valvolare. La calcificazione ha inizio alla base della cuspide, a partire dalla tonaca fibrosa, e si estende verso il margine di chiusura, senza però raggiungere il bordo libero della valvola. In questa malattia rispetto alla endocardite fibroplastica è ASSENTE la FUSIONE delle commessure, anche se la calcificazione può essere così massiva da mascherare le commessure stesse. Probabilmente l’insorgenza di questa patologia è dovuta ad uno STRESS MECCANICO di lunga data (processi di usura e lacerazione). Spesso interviene su una valvola aortica bicuspide congenita. Clinicamente la stenosi aortica causa un forte incremento pressorio nel ventricolo sinistro, con IPERTROFIA CONCENTRICA e possibile ischemia del miocardio ipertrofico  si può avere quindi angina pectoris, insufficienza cardiaca cronica fino allo scompenso. -­‐ INSUFFICIENZA AORTICA  può essere dovuta a numerose cause che causano insufficienza dei veli valvolari: endocardite fibroplastica (retrazione sclerotica veli), endocardite infettiva (perforazione veli), degenerazione mixoide dell’ostio valvolare. Altre volte può essere dovuta a lesione della radice aortica o del setto infundibolare: insufficienza secondaria a dilatazione del primo tratto dell’aorta ascendente (per sfiancamento dovuto ad aortite, aortopatie degenerative), aneurisma dissecante. Nell’insufficienza aortica si hanno un’IPERTROFIA ECCENTRICA con spiccata dilatazione del ventricolo sinistro e aumento del diametro longitudinale del ventricolo sinistro. -­‐ STENOSI MITRALICA  E’ dovuta nel 99% dei casi ad un esito cicatriziale di una endocardite fibroplastica di natura reumatica. La stenosi interessa il piano valvolare ed è causata dalla FUSIONE DELLE COMMISSURE. Il ripetersi di episodi di riparazione e di ricorrenze della malattia producono alla fine una DIAFRAMMA FIBROSO spesso e rigido, con una piccola apertura “a bocca di pesce”. Clinicamente si ha una spiccata dilatazione dell’atrio sinistro con fibrosi dell’endocardio e ipertrofia del miocardio. E’ frequente la formazione di trombi nei due atri che vengono modellati

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dal flusso e diventano a forma circolare (detti “trombi a palla”). Complicanza frequente è il distacco di emboli. -­‐ INSUFFICIENZA MITRALICA  si può avere un’insufficienza da LESIONE DEI VELI (endocardite fibroplastica, endocardite infettiva, degenerazione mixoide con prolasso) oppure per LESIONE DELL’APPARATO TENSORE o dell’ANELLO VALVOLARE. Clinicamente il ventricolo sinistro mostra ipertrofia eccentrica da sovraccarico di volume; il ventricolo destro mostra ipertrofia da sovraccarico di pressione per le ripercussioni che si hanno sul piccolo circolo (fino alla TRICUSPIDALIZZAZIONE DEL VIZIO MITRALICO  insufficienza mitralica secondaria a vizi mitrali gravi). Degenerazione mixomatosa della valvola mitrale (PROLASSO): è una anomalia valvolare in cui uno od entrambi i lembi valvolari mitralici sono di consistenza molle e PROLASSANO, cioè sporgono come un palloncino nell’atrio sinistro durante la sistole. Macroscopicamente le cuspidi appaiono sollevate in modo cupoliforme verso l’atrio con l’aspetto di un PARACADUTE AL MOMENTO DELL’ATTERRAGGIO (rigonfio ma non più teso). Le commessure sono ben incise e le corde tendinee hanno un aspetto a SALSICCIOTTO. Microscopicamente c’è un tipico aumento della tonaca SPONGIOSA, che assume aspetto MIXOIDE per la presenza di abbondante sostanza fondamentale ricca di glicosaminoglicani. La tonaca elastica risulta ISPESSITA. Alla base della patologia c’è probabilmente uno sviluppo anomalo del tessuto connettivo: è frequete infatti nella sindrome di Marfan. La diagnosi viene fatta con l’ecocardiografia e clinicamente è normalmente asintomatica; sono in rari casi possono avere disturbi come dolore toracico, aritmie, ansia, depressione, ecc. Caratteristico il quadro clinico denominato “Sindrome di Barlow” che è caratterizzato dalla presenza di prolasso in donne magre, con seno piccolo e ansiose. Le complicanze più gravi sono endocardite infettiva, insufficienza mitralica, ictus o altre forme ischemiche sistemiche (per embolie), aritmie. ARTERIOSCLEROSI (Robbins, Ascenzi) E’ un termine generico che indica “ispessimento e perdita di elasticità della parete arteriosa”. Esistono tre quadri di arteriosclerosi: -­‐ ATEROSCLEROSI: processo che colpisce arterie di grosso e medio calibro e coronarie. -­‐ SCLEROSI CALCIFICA DELLA MEDIA di MONCKEMBERG: depositi calcifici nelle arterie muscolari in soggetti di età superiore a 50 anni. -­‐ ARTERIOLOSCLEROSI: processo che colpisce le piccole arterie e le arteriole. L’aterosclerosi è la forma più frequente ed importante; è caratterizzata da lesioni intimali dette ATEROMI o PLACCHE ATEROMATOSE e/o FIBROADIPOSE che protrudono all’interno del lume del vaso e assumono carattere ostruente. Inizialmente le lesioni sono dette ELEMENTARI, ma col tempo vanno spesso incontro a evoluzione stenotica (lesione COMPLICATA). La aterosclerosi è la malattia al primo posto nel mondo occidentale per mortalità o come causa di grave invalidità. E’ molto diffusa nei paesi occidentali (Stati Uniti, Canada, paesi Nord Europei, ecc) mentre è molto meno presente in Asia, America Latina, Africa. ‘Italia occupa una posizione intermedia. Queste evidenze hanno portato a supporre che ci siano delle differenze nel tipo di alimentazione e nello stile di vita piuttosto che il livello di industrializzazione (in Giappone infatti la malattia è presente 5 volte in meno rispetto gli Stati Uniti!). I fattori di rischio per la malattia aterosclerotica sono: • ETA’  le lesioni elementari compaiono solitamente i primi anni di vita, per poi progredire con lo sviluppo del soggetto. Tuttavia la malattia diventa evidente in età avanzata quando causa danni agli organi periferici. Una delle complicanze più frequenti e gravi, l’infarto miocardico, si manifesta molto frequentemente tra 40 e 60 anni. • SESSO  la malattia ha una netta predilezione per il sesso MASCHILE, infatti le donne risultano protette fino alla menopausa. Successivamente, a causa della riduzione degli estrogeni endogeni, il rischio diventa pressoché uguale in entrambi i sessi. • FATTORI GENETICI  si tratta di una ereditarietà POLIGENICA, dovuta più che altro alla frequente familiarità per malattie quali diabete, ipertensione e iperlipidemia. Nonostante ciò ci sono casi in cui è evidente una familiarità, cioè quando c’è una IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE, malattia autosomica dominante dovuta a mutazione di un gene che codifica per il recettore per le LDL

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IPERLIPIDEMIA  è uno dei maggiori fattori di rischio per l’aterosclerosi. In modo particolare è coinvolto il colesterolo (IPERCOLESTEROLEMIA) che in grosse dosi è capace di stimolare la formazione delle lesioni elementari. A parte questo ci sono altri fattori negativi: trigliceridi e LDL (lipoproteine a bassa densità) le quali trasportano il colesterolo dal sangue nelle lesioni ateromatose; per contro le HDL (lipoproteine ad alta densità) hanno un effetto protettivo, veicolando il colesterolo dalle lesioni al fegato. • DIABETE  provoca ipercolesterolemia e predispone ad alcune manifestazioni d’organo della malattia aterosclerotica come cardiopatia ischemica, arteriopatia cronica ostrttiva degli arti inferiori, ictus. E’ un fattore di rischio perché l’iperglicemia causa la GLICOSILAZIONE delle LDL che ne favorisce l’accumulo nella parete arteriosa. • IPERTENSIONE  E’ il maggior fattore di rischio! E’ dimostrato che l’entità dei depositi lipidici è correlata ai livelli di pressione sanguigna e che l’ipertensione accentua la sintesi di glicosaminoglicani e proteine di matrice. • FUMO DI SIGARETTA  è un fattore di rischio dose-­‐dipendente. L’unica evidenza sperimentale del danno da tabagismo è che il fumo blocca i legami crociati dell’ELASTINA, rendendo il vaso più rigido. • ALTRI  scarso esercizio fisico, stile di vita competitivo e stressante, obesità, contraccettivi orali, omocistinuria, dieta. Attualmente per spiegare l’eziopatogensi della malattia si ricorre al modello della “REAZIONE AL DANNO”: l’aterosclerosi è una risposta infiammatoria cronica della parete arteriosa scatenata da un danno a carico dell’endotelio. La progressione è sostenuta dalla continua interazione tra lipoproteine modificate, macrofagi, linfociti T e i normali costituenti della parete arteriosa. -­‐ RUOLO DEL DANNO ENDOTELIALE: poiché le lesioni elementari e precoci si sviluppano su un endotelio indenne è probabile che avvengano una serie di modificazioni anatomo – funzionali come un aumento della permeabilità vascolare, un aumento della adesione leucocitaria e alterazioni della espressione genica delle cellule endoteliali. -­‐ RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE  l’infiammazione medica l’inizio, la progressione e le complicanze della malattia. Se l’endotelio è danneggiato, aumenta l’espressione di molecole di adesione leucocitaria (VCAM-­‐1) sulla sua superficie. A questa si legano monociti e linfociti T: i monociti migrano per raggiungere l’intima (richiamati da chemochine prodotte localmente) dove si trasformano in macrofagi e si infarciscono di LDL ossidate. I macrofagi secernono IL-­‐1 e TNF che favoriscono ulteriormente la adesività leucocitaria e inoltre producono radicali liberi dell’O2 (ROS) che ossidano le LDL nelle lesioni. I linfociti T stimolati producono IFN-­‐γe linfotossina che a loro volta stimolano macrofagi e cellule muscolari lisce a proliferare. -­‐ RUOLO DEI LIPIDI: l’ipercolesterolemia cronica può portare alla formazione di ROS che inattivano l’NO che è i principale fattore endotelio-­‐rilassante; durante la iperlipidemia cronica di ha accumulo progressivo e in crescendo di lipoproteine nelle zone in cui l’endotelio è più permeabile; il ROS prodotto dai macrofagi causa la ossidazione delle LDL che vengono poi assunte dagli stessi macrofagi con successiva formazione di cellule schiumose, stimolano la liberazione di fattori di crescita e citochine, sono tossiche per le cellule endoteliali. -­‐ RUOLO DELLE FIBROCELLULE MUSCOLARI LISCE (CML): le CML migrano dalla media all’intima dove proliferano e secernono componenti della ECM, convertendo la stria lipidica in ateroma fibroadiposo maturo. L’American Heart Association divide le lesioni aterosclerotiche in 6 categorie: TIPO 1: INIZIALE TIPO 2 : STRIA LIPIDICA Presenza isolata di “macchie chiazzetta giallognola a limiti netti lipidiche” ( cellule s chiumose che spicca sul colore grigiastro isolate) dell’intima. Il colorito è dovuto all’accumulo di lipidi e si nota la presenza di cellule schiumose infarcite di lipidi e linfociti T. I lipidi sono essenzialmente intracellulari. •

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TIPO 3: INTERMEDIO

TIPO 4: ATEROMA

TIPO 5: FIBROATEROMA

Come il tipo 2 ma con presenza di lipidi anche in sede extracellulare.

Ispessimento intimale rilevato e focale, a limiti netti, di consistenza dura e di colorito variabile tra il bianco perlaceo e il bianco giallastro. Microscopicamente si nota accumulo di CML che sintetizzano matrice e mononucleati. C’è deposizione di materiale collageno e fibre elastiche; il limite tra intima e media diviene meno netto. Evidente accumulo di elementi di matrice (GAG). Le dimensioni delle lesioni variano da 0,3 a 1,5 cm e possono essere focali e sparse, ma con tendenza a diventare sempre più numerose.

Ispessimento circoscritto con dimensioni che variano da pochi mm a qualche cm di diametro. La lesione è rilevata sul piano dell’intima e causa spesso stenosi ECCENTRICHE in arterie di piccolo e medio calibro. La placca è compatta, di colorito che va dal bianco al grigio-­‐giallastro. La parte centrale è costituita da una zona molle e giallastra che ha la consistenza di una poltiglia (ateroma). Questa zona è circondata da un involucro fibroso, bianco e di consistenza dura che va a coprire l’ateroma, originando il CAPPUCCIO FIBROSO. Microscopicamente l’ateroma è costituito da detriti cellulari, gocce lipidiche, cristalli di colesterolo e proteine plasmatiche. Ai bordi dell’ateroma c’è la costituente cellulare della placca: macrofagi schiumosi, linfociti T, CML, cellule giganti multinucleate. Sono spesso presenti vasi sanguigni neoformati. Il cappuccio fibroso è costituito da connettivo collagene composto dal CML, fibre collagene ed elastiche e sostanza fondamentale ricca di GAG.

Generalmente le placche vanno incontro a evoluzione, aumentando progressivamente le loro dimensioni e spesso vanno incontro a diverse complicanze: TIPO 6: LESIONI COMPLICATE -­‐ CALCIFICAZIONE: il calcio si deposita nella placca sottoforma di lamine dure e friabili oppure spesse e resistenti che stridono al taglio -­‐ ULCERAZIONE: consiste nel distacco del cappuccio ed esposizione del contenuto dell’ateroma al torrente circolatorio. L’ulcerazione può essere preceduta da fessurazioni del cappuccio. L’ulcerazione può portare alla formazione di emboli ateromasici, perdita di consistenza del vaso, sfiancamento aneurismatico, spasmo delle tonaca muscolare, e trombosi intra-­‐ placca. -­‐ EMORRAGIA: la ricchezza di vasi neoformati nella placca la rende facilmente predisposta a numerose emorragie intraplacca. Se queste sono piccole lasciano solo la presenza di emosiderina come segno della loro azione. Se invece sono molto gravi possono causare il rigonfiamento della placca e di conseguenza il restringimento critico del lume. Probabilmente le emorragie sono dovute a piccole fessurazione del cappuccio fibroso con conseguente penetrazione del sangue circolante all’interno della placca. -­‐ ANEURISMI: la placca colpisce prima la tonaca media e l’atrofia muscolare ed elastica che ne derivano causano sfiancamento della parete e predisposizione alla formazione di aneurismi.

-­‐ TROMBOSI: la rottura della placca espone al torrente circolatorio grandi quantità di fattore tissutale che è un potente pro coagulante. E’ la complicanza più temuta e la gravità varia in base alle sue dimensioni: può causare occlusione parziale o completa del vaso! Normalmente in seguito alla formazione di un trombo si ha una vasodilatazione compensatoria, ma in presenza di placche ateromatose questa è impedita a causa del rilascio da parte delle LDL ossidate di endotelina che bloccano l’ossido nitrico (NO), sostanza vasodilatatrice.

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Le cellule endoteliali possiedono recettori per le LDL che vi aderiscono e attraversano l’endotelio per transcitosi (vescicole che si portano dallo spazio luminare a quello interno della cellula). In caso di ipercolesterolemia si realizza un DEPOSITO di LDL nella matrice dello spazio sub-­‐ endoteliale. Una volta accumulate avviene la OSSIDAZIONE delle LDL in due tappe: 1)ossidazione della sola componente lipidica che origina MM-­‐LDL; 2)ossidazione della componente proteica. Si formano così LDL modificate che non sono riconosciute e non possono essere bloccate dalla azione protettiva delle HDL (come avviene normalmente). Le MM-­‐LDL sono in grado di stimolare l’endotelio e esprimere molecole di adesione VCAM-­‐1 e ICAM-­‐1. Queste richiamano monociti circolanti, che vi si legano e migrano nello spazio sub-­‐endoteliale, dove rilasciano ROS e fattori chemiotattici (IL, TNF) e linfociti T. I monociti circolanti posseggono anche i RECETTORI SCAVENGER (“recettori spazzino”) per le LDL modificate e le inglobano nel loro citoplasma. Man mano che si accumulano al loro interno queste LDL modificate, i monociti si trasformano progressivamente in MACROFAGI SCHIUMOSI che non possono lasciare l’intima (le LDL modificate ne impediscono la migrazione). L’endotelio danneggiato rilascia fattori di crescita (PDGF, FGF, TGF-­‐a) che inducono una proliferazione monoclonale delle fibrocellule muscolari lisce (CML), che normalmente è impedita dalla presenza di endotelio integro. I fattori di crescita causano: MIGRAZIONE delle CML dalla media all’intima, MODIFICAZIONE FENOTIPICA (le CML diventano da contrattili a FAGOCITICHE e SINTETIZZANTI; accumulano LDL modificate diventando cellule schiumose e rilasciano GAG, collagene ed elastina); PROLIFERAZIONE delle CML. Le CML sintetizzanti depongono matrice extracellulare che insieme all’accumulo di lipidi e alla proliferazione cellulare provoca accrescimento della placca. La continua transcitosi di lipoproteine e la necrosi dei macrofagi schiumosi porta al progressivo accumulo dell’ateroma, che si sviluppa al centro della placca e spinge in periferia la componente cellulare. Avviene la neoformazione di vasi sanguigni nella placca. Da questo momento in poi possono avvenire fessurazione e trombosi della placca e altre eventuali complicanze. -­‐ SCLEROSI CALCIFICA DELLA MEDIA: è una malattia rara al di sotto dei 50 anni, ha una distribuzione per sesso omogenea e predilige i soggetti diabetici. Colpisce arterie muscolari di piccolo e medio calibro, con predilezione per quelle degli arti inferiori. Si ha una infiltrazione lipidica delle CML della tonaca MEDIA e successivamente la deposizione di sali di calcio limitata a questa tonaca. Macroscopicamente le lesioni calcifiche possono apparire come una LESIONE CONTINUA (“a cannello di pipa” )o SEGMENTARIA (“a trachea di pollo”). Microscopicamente si nota che la calcificazione interessa la tonaca media a tutto spessore e spesso contiene focolai di metaplasia ossea. Eziologia sconosciuta. -­‐ ARTERIOLOSCLEROSI: colpisce arterie di piccolo calibro e arteriole ed è caratterizzata da peculiari quadri morfologici che la distinguono dalla aterosclerosi. E’ strettamente connessa con l’IPERTENSIONE ARTERIOSA. Morfologicamente si distinguono due forme: • A. IALINA  il lume delle arteriole interessate è CONCENTRICAMENTE ristretto per un aumento di spessore della parete, dovuto al deposito di una sostanza elettrondensa ed eosinofila che imbibisce tutti gli strati. A livello renale si manifesta con la nefroangiosclerosi benigna. Si pensa che questa sostanza sia dovuta a proteine plasmatiche filtrate attraverso l’endotelio. • A. IPERPASTICA  notevole ISPESSIMENTO CONCENTRICO dell’INTERA PARETE con marcata riduzione del lume. Non è più apprezzabile la suddivisione in tonache poiché tutti gli strati sono sostituiti da proliferazione di CML e dalla produzione di fibre elastiche. Probabilmente è dovuta al passaggio di fibrina nell’intima con successivo stimolo alla proliferazione di CML. • A. NECROTIZZANTE  colpisce SOLO le arteriole ed è caratterizzata da un’INFILTRAZIONE BRUSCA della parete da parte delle proteine plasmatiche, soprattutto fibrinogeno che coagula in fibrina causando NECROSI FIBRINOIDE. La struttura della parete è mascherata da questo infiltrato e il lume risulta ristretto o ostruito del tutto. Collegata con ipertensione maligna e nefroangiosclerosi maligna.

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CUORE POLMONARE Ingrandimento del ventricolo dx causato da diverse malattie polmonari. Viene considerato patologico un ventricolo dx con almeno 5 mm di spessore (in vita) e di peso di almeno 65 g (all’autopsia). Si possono distinguere cuore polmonare: -­‐ ACUTO  causato spesso da embolia polmonare o riacutizzazione di cuore polmonare cronico -­‐ CRONICO  causato da BPCO, ipertensione primitiva polmonare, sclerodermia, fibrosi interstiziale, ecc. Qualunque sia la causa il fattore importante nella fisiopatologia è l’IPERTENSIONE POLMONARE che è causata soprattutto da: riduzione irreversibile del letto vascolare (es. sclerodrmia), perdita di vaste aree di parenchima, IPOSSIA ALVEOLARE che causa vasocostrizione e ipertrofia della muscolatura liscia. L’aumento di pressione nel circolo polmonare si ripercuote sul ventricolo dx che sarà costretto a contrarsi più vigorosamente per vincere una pressione maggiore e a lungo andare si ipertrofizza. Fattore predisponente è il fumo. Clinicamente i sintomi principali sono lipotomia, tosse, dispnea, angina, emottisi, aritmie, cianosi. VASCULITI (Ascenzi) Una precedente classificazione suddivideva le vasculiti in base alla tonaca coinvolta primitivamente dalla flogosi (endoarteriti, mesoarteriti, periarteriti, panarteriti). Una seconda classificazione può essere fatta in base alla eziologia (infettive e immunitarie, causa ignota). Attualmente si usa ordinare le vasculiti per calibro del vaso colpito: -­‐ aorta  aortite luetica; -­‐ aorta e arterie di medio calibro  arterite a cellule giganti e di Takayasu; -­‐ arterie di piccolo e medio calibro  poliarterite nodosa e malattia di Kawasaki; -­‐ arterie di piccolo calibro, arteriole, venule e vene  granulomatosi di Wegener e sindrome di Churg-­‐Strauss; -­‐ arterie piccolo calibro, arteriole e venule  poliangioite microscopica -­‐ arteriole, capillari e venule  porpora di Henoch-­‐Schonlein e crioglobulinemia -­‐ capillari e venule  vasculite leucocitoclastica cutanea. A scopo didattico si utilizza la classificazione in base alla eziologia. Arteriti INFETTIVE: • A. Tubercolare  le arterie che si trovano comprese in un focolaio di flogosi tubercolare possono essere interessate dal granuloma specifico che può distruggere la parete vasale; si possono avere emorragie e/o obliterazione del lume. In altri casi si può avere un’endoarterite obliterante aspecifica in cui c’è una proliferazione connettivale dell’intima con progressivo restringimento del lume. • A. Luetica  compare nello stadio terziario della malattia luetica (o sifilide). E’ presente il granuloma luetico. • Aortite Luetica  è dovuta ad un’endoarterite obliterante dei VASA VASORUM aortici. Predilige il tratto ascendente dell’aorta. Macroscopicamente il processo inizia a livello della avventizia, che risulta aderente ai tessuti circostanti e non è più slaminabile rispetto alla media. L’intima risulta RUGOSA con aspetto a “corteccia d’albero” o a “scrittura giapponese” o “a geroglifici” per la presenza alternata di rilievi bianco grigiastri o giallastri e di depressioni cicatriziali. Microscopicamente tutte le tonache aortiche risultano colpite con infiltrati, focolai di necrosi e piccole cicatrici retraenti. Arteriti a patogenesi IMMUNITARIA La maggior parte delle volte sono dovute alla deposizione di IMMUNOCOMPLESSI (IC) o alla loro formazione in loco. Gli IC sono dovuti alla azione di particolari anticorpi che legano antigeni in circolo o depositati e formano delle strutture uniche che possono depositarsi sulla parete dei vasi. Tra gli anticorpi più frequentemente associati alle vasculiti ci sono gli AUTOANTICORPI ANTICITOPLASMA DEI NEUTRIFILI (ANCA) che sono diretti contro la mieloperossidasi neutrofila (P-­‐ANCA, deposizione perinucleare), contro le proteasi citoplasmatiche (C-­‐ANCA, deposizione citoplasmatica). Altri anticorpi importanti sono quelli diretti contro le cellule endoteliali (alla base del lupus). • Arterite a cellule giganti  detta anche “arterite temporale” o di “Horton”. E’ la arterite più frequente. Colpisce più gli anziani e preferisce leggermente in più il sesso femminile.

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Può interessare qualsiasi arteria, ma predilige le arterie temporali. Morfologicamente si distinguono 3 varianti: 1) Forma granulomatosa: detta anche “tipica”. Inizia con fenomeni regressivi nella lamina limitante interna e successiva reazione granulomatosa con macrofagi e cellule di Langhans; successivamente arrivano neutrofili, linfociti, plasmacellule ed eosinofili che invadono intima e media. L’intima va incontro a fibrosi progressiva con riduzione del lume. 2) Forma NON granulomatosa: “atipica”. L’infiltrato è prevalentemente linfocitario SENZA cellule di Langhans 3) Forma con proliferazione fibrosa dell’intima: scarso numero di mononucleati e proliferazione di fibrocellule muscolari lisce (CML) con progressiva fibrosi intimale. Clinicamente ci sono segni LOCALI come dolore e tumefazione locale e conseguenze ischemiche in base al territorio a valle colpito (se arterie temporali si avrà cefalea, affaticabilità dei muscoli masticatori, disturbi del visus). La sintomatologia sistemica consiste nella POLIMIALGIA REUMATICA con febbre, calo ponderale, dolori e debolezza muscolare. Il GOLD STANDARD per la diagnosi è la BIOPSIA della arteria temporale. Arterite di Takayasu  colpisce soprattutto in età giovanile (< 40 anni) ed ha una netta predilezione per il sesso femminile. La sede preferenziale della lesione è l’aorta a livello dell’arco aortico. Proprio in base alla sede delle lesioni è possibile classificare la malattia in 4 tipi: -­ I: arco aortico e suoi rami; -­‐ II: porzione discendente toracico e tratto addominale; -­‐ III: misti tra I e II; -­‐ IV: interessamento dell’arteria polmonare; Morfologicamente si presenta come una arterite recidivante con periodo di acuzie e di quiescenza che si alternano. In fase acuta si notano manicotti linfocitari attorno ai vasa vasorum, con diffusa estensione dell’infiltrato alla media. Il processo flogistico guarisce e esita in una fibrosi retraente. Macroscopicamente il tratto di arteria interessato risulta ispessita con ostruzione all’imbocco dei collaterali. Clinicamente si ha inizialmente febbricola, malessere aspecifico e poi compaiono le prime manifestazioni ischemiche: ASSENZA DEI POLSI radiali, ipotrofia delle masse muscolari, alterazioni trofiche degli alveoli dentari, ecc. Non è quasi mai mortale, ma è fortemente debilitante. La diagnosi si raggiunge con la BIOPSIA dell’arteria interessata. Poliarterite nodosa  il termine “poliarterite” si riferisce alla multicentricità del processo infiammatorio; il termine “nodosa” si riferisce alla presenza di piccole dilatazioni aneurismatiche del vaso. La malattia colpisce ogni sesso ed età. I vasi interessati sono le arterie di medio e piccolo calibro di ogni distretto con preferenza decrescente per rene, cuore, fegato ed altri. Morfologicamente si distinguono due fasi: -­‐ FASE ACUTA: deposizione di materiale ialino, ricco di fibrina e immunoglobuline (necrosi fibrinoide) che distrugge la media o tutta la parete vasale. La necrosi di solito interessa solo pochi millimetri del vaso. Successivamente compare infiltrato leucocitario attorno alla necrosi e poi si estende a tutta la parete. In questa fase possono avvenire due complicanze: la trombosi e la formazione di aneurismi. -­‐ FASE DI GUARIGIONE: l’infiltrato diminuisce e la necrosi viene sostituita da fibrosi. Il vaso assume l’aspetto di uno spesso cordone fibroso con lume ristretto o obliterato e con formazione di nodosità esterne a causa dell’estensione del processo all’avventizia. Clinicamente la malattia può avere un decorso acuto o cronico e i sintomi sono molto aspecifici: esacerbazioni di dolore sullo sfondo di fenomeni generici come febbre, astenia, neuropatie periferiche, ipertensione, melena, ecc. In circa 1/3 dei casi sono presenti Ag per epatite B e in 1/5 ci sono gli ANCA. Per la diagnosi la angiografia è utile, ma la certezza si raggiunge con la biopsia. Granulomatosi allergica o sindrome di Churg-­Strauss  è simile alla poliartrite nodosa ma è associata ad asma bronchiale, ha spesso localizzazione polmonare, c’è elevata presenza di eosinofili e di istiociti a palizzata. Malattia di Kawasaki  detta sindrome mucocutanea linfonodale è una malattia acuta febbrile con linfadenopatia ed esantema, accompagnata da un’arterite con caratteri by Darkphemt - www.accentosullad.com - Vietata la vendita!


54 morfologici sovrapponibili a quelli della poliarterite nodosa ma con particolare predilezione per le arterie coronarie. E’ molto frequente in Giappone e colpisce soprattutto i bambini (< 4 anni). I vasi più colpiti sono i grossi rami coronarici subepicardici e in alcuni casi anche arterie ascellari, iliache, renali, mammarie. Morfologicamente l’arterite si manifesta con un’infiltrazione di granulociti neutrofili e di mononucleati. La flogosi è transmurale e come complicanze si possono avere trombosi del lume o di aneurismi. Sul versante luminale si può sviluppare iperplasia intimale. In fase acuta il cuore può mostrare un quadro di miocardite o endocardite. Possibile lo sviluppo di infarto del miocardio. Clinicamente la malattia si manifesta come un episodio febbrile persistente in un bambino che manifesta congestione della congiuntiva, lingua a fragola, linfadenopatia e esantema maculopapuloso. Probabilmente l’agente eziologico della malattia è infettivo e i soggetti colpiti mostrano spesso un’alterazione del recettore dei linfociti T. • Poliangite microscopica  detta anche vasculite leucocitoclastica o da ipersensibilità. Colpisce le arteriole, i capillari, venule e glomeruli renali. Le lesioni più caratteristiche sono a livello cutaneo dove compaiono PAPULE EMORRAGICHE (“porpora palpabile”), mentre altre sedi sono la mucosa del tubo digerente (ematemesi), del polmone (emottisi), del cervello, del rene (glomerulonefrite necrotizzante), del cuore e del muscolo scheletrico. Può manifestarsi come malattia primitiva o secondaria ad altre patologie (crioglobulinemia, sindrome di Henoch-­‐Schonlein, ecc.). Microscopicamente si nota necrosi fibrinoide di piccoli vasi con rigonfiamento dell’endotelio, infiltrazione della parete e del connettivo da parte di neutrofili. E’ caratteristica la presenza di detriti nucleari per cario ressi dei neutrofili (LEUCOCITOCLASIA). Molto spesso nel siero si trovano P-­‐ANCA. • Granulomatosi di Wegener  è una malattia consistente in una TRIADE di lesioni: GRANULOMI NECROTIZANTI + VASCULITE NECROTIZZANTE + GLOMERULITE NECROTIZZANTE. La malattia colpisce più i giovani adulti, e leggermente più il sesso maschile. Le lesioni si localizzano preferenzialmente nel distretto otorinolaringoiatrico, nel polmone e nel rene. I granulomi mostrano vaste aree di necrosi ischemica circondate da un infiltrato di linfociti, plasmacellule, neutrofili e cellule giganti di Langhans. Microscopicamente è molto simile alla tubercolosi; macroscopicamente può essere facilmente confuso con una neoplasia maligna. La vasculite interessa arterie e vene di piccolo calibro ed il microcircolo con necrosi fibrinoide. La diagnosi è affidata alla biopsia, ma è utile anche la ricerca di C-­‐ANCA. • Tromboangioite obliterante o morbo di Burger  panangioite aspecifica ad eziologia ignota con incidenza molto limitata nei paesi occidentali e più significativa nei paesi orientali. L’eziologia è sconosciuta ma è considerato fattore predisponente il FUMO DI SIGARETTA. La patogenesi è probabilmente immunitaria: sono stati evidenziati un aumento del fattore C4 e autoanticorpi antielastina. La malattia colpisce soggetti GIOVANI + SESSO MASCHILE + FORTI FUMATORI! Morfologicamente la malattia interessa le arterie di piccolo e medio calibro. E’ presente un infiltrato parietale della media e avventizia da parte di cellule giganti, cellule epitelioidi, leucociti. Sono interessati anche vene e linfatici. Clinicamente è caratterizzata da un decorso a poussès (cioè sintomatologia caratterizzata da fasi di remissioni parziali e complete alternate a fasi sintomatiche). I sintomi e segni più comuni sono: esordio spesso con lesioni trofiche digitali, dolori a riposo, claudicatio di piede, parestesie e ipotermie, colorito rosso cianotico dei piedi. Non sono interessate le grandi arterie. La diagnosi si può raggiungere con la ANGIOGRAFIA che mostra l’aspetto caratteristico degli alberi arterioso che appaiono come un “albero spoglio” per la mancanza di circoli collaterali.

ANEURISMI (Prof. Bianco + Ascenzi) Si intende per aneurisma una dilatazione patologica e irreversibile di un tratto più o meno circoscritto di un’arterie dovuto ad indebolimento di parete (soprattutto della tonaca media). Esistono molte classificazioni diverse: -­‐ Eziologica: • Cause degenerative  aneurismi aterosclerotici.

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Cause infettive  aneurisma luetico; può colpire ogni distretto corporeo. Cause infiammatorie  da immunocomplessi, da panartrite nodosa. Cause congenite  aneurismi a bacca del poligono di Willis Cause traumatiche  molto rare, per lo più in caso di arterie poste vicino a segmenti ossei -­‐ Patogenesi formale: • Aneurismi VERI  in seguito a progressiva distensione di TUTTI i costituenti della parete. Il cediemento della parete arteriosa è dovuta alla perdita dell’equilibrio tra la spinta meccanica del sangue (pressione laterale che aumenta in corrispondenza di una dilatazione del condotto) e la resistenza di parete (punti in cui la parete è più cedevole). La tonaca MEDIA è notevolmente assottigliata perciò tutta la parete del vaso ne risente e risulta essere molto sottile e quindi più debole. A volte invece la parete può essere ispessita, ad esempio a causa della stratificazione di trombi sull’intima • Aneurismi FALSI  detti anche “pseudoaneurismi” e sono caratterizzati da un EMATOMA INTRAMURALE: in questo caso la parete della sacca è neoformata e le tonache dell’arteria non partecipano alla sua delimitazione. Si formano solitamente in seguito a traumi o protesi. • Aneurismi DISSECANTI  colpiscono le arterie di grosso calibro. Avvengono per infiltrazione emorragica e dissociazione dei fasci muscolo-­‐elastici della media, che si lacera e permette l’ingresso di sangue tra gli strati di parete. -­‐ Anatomica: • Fusiformi  interessano l’intera circonferenza del vaso, la dilatazione NON è improvvisa, lunghezza limitata con brusco passaggio da aneurisma a parete normale. • Cilindrici  interessano l’intera circonferenza del vaso, sono ESTESI per un lungo tratto. • Sacciforme  coinvolge solo un tratto della circonferenza di un vaso, hanno forma grossolanamente sferica che comunica con il lume tramite un COLLETTO. • Navicolari  quando c’è la dilatazione di ¾ della circonferenza del vaso; prende questo nome dal fatto che in sezione assomiglia al profilo di una nave. • A Bacca  sono piccoli aneurismi (poco più di 1 cm) di tipo sacciforme. • Cirsoidei  si hanno dilatazioni e restringimenti alternati del vaso, che assume quindi un aspetto a “cavaturaccioli”. Sono molto rari. Aneurismi degenerativi: hanno solitamente forma navicolare. Il distretto preferenziale è l’aorta addominale (precisamente aorta lombare, tra l’imbocco delle renali e la biforcazione iliaca). Colpiscono soprattutto soggetti anziani (> 60 aa) e di sesso maschile. Il fattore predisponente fondamentale è la malattia aterosclerotica. Possono rimanere asintomatici fino alla rottura. L’aneurisma tipico di tipo degenerativo è quello ATEROSCLEROTICO; microscopicamente l’intima risulta disseminata di placche fibroateromatosiche, in genere ulcerate e con trombi sovrapposti. La media è atrofica con distruzione della componente muscolare liscia ed elastica. L’avventizia mostra un infiltrato linfocitario. Le complicanze più importanti sono la TROMBOSI che può causare occlusione ed ischemia a valle del territorio colpito. Se un trombo occlude gli osti delle iliache comuni si potrà avere ischemia cronica degli arti inferiori e/o Sindrome di Leriche (classica tride di sintomi: claudicatio di gluteo costante e di lunga marcia + impotenza coeundi negli uomini + assenza di entrambi i polsi femorali). Se si distaccano piccoli EMBOLI si potranno avere fenomeni di ischemia acuta con infarto del territorio a valle con necrosi e gangrena del’arto inferiore (solitamente arteria tibiale e del piede). La complicanza più temibile è comunque la ROTTURA che può portare a morte velocemente (emoperitoneo). Aneurismi infettivi: LUETICO: in passato era la forma più frequente di aneurisma aortico, mentre oggi è la più rara. La sifilide (o lue) è una malattia che si sviluppa in 3 fasi: nella fase PRIMARIA, che si ha inseguito al contagio diretto, si manifestano lesioni a livello della sede del contatto. E’ una fase reversibile che tende a guarire spontaneamente. La fase SECONDARIA è di tipo sistemico e si manifesta con la comparsa di RASH CUTANEO sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi; infine la fase TERZIARIA si manifesta con lesioni al SNC e all’apparato circolatorio. L’aneurisma si sviluppa solitamente nell’aorta toracica e può essere di tipo fusiforme o sacciforme. Si manifestano spesso con sintomi compressivi a carico del mediastino, del rachide dorsale, dello sterno, della trachea, del bronco sinistro, dell’esofago (disfagia) e del nervo ricorrente (disfonia). A carico dell’apparato cardiovascolare la malattia luetica è causa sia di aneurismi sia di INSUFFICIENZA AORTICA: entrambi dovuti alla aortite luetica. Si ha la formazione di un • • • •

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granuloma ricco in plasmacellule (detto GOMMA) che invade i vasa vasorum causando una endoarterite obliterante con conseguente ischemia della media e della avventizia. La parete aortica diventa più rigida e più suscettibile alla malattia aterosclerotica. L’insufficienza aortica è dovuta alla invasione della valvola da parte della flogosi aortitica e alla secondaria retrazione finale del tessuto colpito. Le cuspidi valvolari si saldano a livello delle commessure e i lembi si accorciano e assumono aspetto a bordi smussi e arrotondati. Un’altra causa di insufficienza aortica è la dilatazione dell’ostio aortico con secondaria insufficienza della valvola. Altre complicanze importanti sono la frequente associazione con ANGINA PECTORIS (stenosi dell’imbocco delle arterie coronarie), compressione atrio destro e/o arteria polmonare. L’intima appare RUGOSA, con aspetto a “corteccia d’albero” o a “scrittura giapponese” o “a geroglifici” per la presenza alternata di rilievi bianco-­‐grigiastri o giallastri e di depressioni cicatriziali. La rottura dell’aneurisma, in base alla sua localizzazione, può causare emorragia in sedi diverse (pericardio, mediastino, vie aeree, esofago, cavo pleurico). Aneurisma dissecante dell’aorta: non si tratta di un aneurisma vero e proprio ma di un EMATOMA che disseca la media del vaso e si apre strada verso l’intima o la avventizia. La malattia colpisce entrambi i sessi in età giovane, mentre predilige in sesso maschile in età avanzata. La lesione è limitata per lo più alle arterie elastiche: AORTA e sue principali collaterali. In questa patologia si verifica quindi la penetrazione del torrente circolatorio nello spessore della parete del vaso. Il fattore scatenante è solitamente l’IPERTENSIONE, ma a può essere anche n trauma o uno sforzo fisico. Le condizioni predisponenti sono invece una serie di condizioni morbose accomunate sotto la sigla di AORTOPATIA DEGENERATIVA, cioè tutte quelle condizioni accomunate dalla assenza di fenomeni infiammatori e dalla presenza di fenomeni degenerativi della MEDIA aortica, che predispongono il vaso allo sfiancamento a alla dissecazione. Trea queste affezioni le più importanti sono: sindrome di Marfan, sindrome di Ehlers-­‐Danlos (in entrambe ci sono difetti ereditari del connettivo), malattia di Erdheim. Morfologicamente ci sono 2 elementi fondamentali: • DISSECAZIONE DELLA MEDIA  alla base di tutto c’è l’ematoma intramurale che disseca la media a livello del territorio di irrorazione dei vasa vasorum. L’ematoma può causare una DILATAZIONE del profilo aortico o un RESTRINGIMENTO del lume. Il sangue dal torrente circolatorio penetra tra gli strati aortici attraverso un FORO DI INGRESSO e poi procede scollando progressivamente la media dagli strati adiacenti. Una utile classificazione è quella di DEBACKEY: -­‐ TIPO I = dissecazione interessante tutta l’aorta a partire dalla porzione ascendente dell’arco aortico. -­‐ TIPO II = coinvolge solo la porzione ascendente dell’arco. -­‐ TIPO III = risparmia il tratto ascendente ma si estende dalla porzione discendente del tratto fino all’aorta addominale. Lungo il decorso della dissecazione, l’ematoma COMPRIME l’imbocco dei collaterali aortici.

Spesso la dissecazione porta a rottura esterna dell’aorta, ma in alcuni casi è possibile che la raccolta ematica intramurale possa riconnettersi con il LUME AORTICO tramite un

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FORO DI RIENTRO detto BRECCIA: in questo caso si forma un secondo canale permanente all’interno della parete aortica che avvolge e costeggia il lume primitivo originale. Con il passare del tempo questo secondo canale si “endotelizza”. • BRECCIA  è una lacerazione dell’intima o della avventizia con conseguente ingesso o uscita di sangue nella o dalla cavità dissecata. La breccia INTIMALE fa comunicare l’ematoma con il LUME dell’aorta ed è considerata come il punto di ingresso della dissecazione. La breccia intimale si forma soprattutto in DUE PUNTI DI FLESSO dell’arco aortico (tratto ascendente al di sopra delle semilunari, porzione discendente al di sotto del legamento arterioso). La breccia intimale può essere LINEARE (a “taglio di rasoio”), TRASVERSALE, RAMIFICATA. La breccia AVVENTIZIALE porta alla fuoriuscita di sangue (“porta d’uscita”) e si realizza una emorragia spesso fatale. Questa breccia si sviluppa per lo più nel tratto intrapericardico (emopericardio), intramediastinico (emotorace), addominale (emoperitoneo). Clinicamente i sintomi più importanti sono dolore trafittivo retro sternale con irradiazione alla schiena. Difficile la diagnosi differenziale con l’infarto del miocardio (la pressione arterioa è alta in caso di aneurisma e bassa in caso di infarto)! Le conseguenze meccaniche della dissecazione possono essere insufficienza aortica e stenosi dell’imbocco dei collaterali per continuazione della dissecazione a coronarie (infarto miocardico), carotidi (ictus), arterie intestinali (angina abdominis), arterie renali (insufficienza renale), ecc. Malattie collegate alla dissecazione aortica (aortopatie degenerative): -­ Sindrome di MARFAN  è causata da un’anomalia della fibrillina, una proteina che reagisce con elastina e collagene. Le fibre elastiche si ramificano e possono formare una rete tridimensionale in cui si forma una SPUGNA di elastina (come avviene nella parete delle arterie più elastiche come l’aorta). L’assenza di fibrillina causa la mancata organizzazione in polimeri della elastina. I soggetti affetti sono ALTI, MAGRI con CORPO SOTTILE (leptosomici) e OSSA SOTTILI (leptoschelici), con DITA LUNGHE e SOTTILI con spiccata flessibilità (aracnodattilia). Le lesioni vascolari presenti nell’aorta sono dovute alla frammentazione diffusa delle fibre elastiche della tonaca media con accumuli di sostanza fondamentale mixoide. -­ Sindrome di Ehrles-­Danlos  esistono 11 tipi e 7 sottotipi; il tipo che interessa la malattia vascolare è il tipo IV, caratterizzato da una mutazione del COLLAGENE III che partecipa alla regolazione della lunghezza delle fibre collagene. L’aorta si rompe a livello della giunzione tra media e avventizia. -­ Malattia di Erdheim o “medionecrosi cistica idiopatica”  la lesione consiste in: rarefazione delle fibre elastiche + un accumulo di glicosaminoglicani + medionecrosi (presenza di una banda nella tonaca media in cui sono scomparse le fibrocellule muscolari lisce. Predilige in sesso maschile e aumenta progressivamente con l’età. Probabilmente è dovuta a un restringimento dei vasa vasorum con successiva ischemia dei territori a valle. Il processo è simile a una calza di nylon che si smaglia e va quindi tende a peggiorare progressivamente: anche l’aorta diventa SMAGLIABILE ed in seguito ad un secondo insulto (come l’ipertensione) può rompersi. Aneurismi a BACCA delle arterie cerebrali: sono macroscopicamente simile a piccole bacche rosse che sporgono dai rami dell’albero arterioso. Si riscontrano per lo più in giovani adulti e in circa il 20% dei casi sono multipli. Colpiscono le arterie della base cerebrale soprattutto a livello dei punti di biforcazione o gli angoli dell’EPTAGONO (o poligono) di WILLIS. Sedi preferenziali sono l’angolo tra arteria cerebrale anteriore e comunicante anteriore, tra carotide interna e comunicante posteriore, prima biforcazione della cerebrale media. La arteria cerebrale media è detta anche “arteria di CHARCOT” e a questo livello si formano dei MICROANEURISMI detti “aneurismi di Charcot-­‐Bouchard” che sono grandi quanto una capocchia di spillo. Essi sono dovuti ad ipertensione. La loro parete è costituita solo da tonache media e avventizia. Se questi aneurismi si rompono si ha lo “sfacelo “ dell’emisfero cerebrale, perché causano imponente emorragia cerebrale.

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Sono aneurismi di tipo sacciforme che crescendo tendono a innicchiarsi nel contesto della sostanza nervosa. La parete aneurismatica è estremamente sottile e va spesso incontro a rottura. Si pensava prima che questo tipo di aneurisma fosse dovuto a una predisposizione genetica, mentre oggi si ritiene che sia la conseguenza dell’ipertensione su arterie che già di per se hanno una tonaca media sottile. L’aneurisma è preceduto dall’atrofia della media di un segmento di arteria. Clinicamente i sintomi variano in base ala sede in cui avviene la rottura e la conseguente emorragia. FLEBOTROMBOSI Occlusione trombotica delle vene, ad evoluzione lenta si instaura indipendentemente da una lesione infiammatoria del vaso. La conseguenza più grave è la possibilità di un distacco di particelle di trombo che agiscono in senso embolizzante. Eziopatogenesi: I fattori che predispongono alla trombosi venosa profonda si possono sintetizzare nella Triade di Virchow: -­‐ IPERCOAGULABILITA' (incremento della viscosità del sangue) -­‐ RIDUZONE DEL FLUSSO EMATICO (stasi) -­‐ DANNO ENDOTELIALE (modificazione della parete vascolare) Anatomia patologica: Il punto di partenza è a livello delle vene comunicanti della pianta del piede e del polpaccio, sono costituiti da un fitto reticolo fibrinoso. Il trombo aderisce con la sua base a livello di una vena comunicante, mentre la sua coda oscilla nel flusso della vena profonda. Da qui può bastare un movimento dell'arto o una brusca variazione del flusso perchè il trombo si stacchi e lungo la vena illiaca e la cava vada a tamponare l'arteria polmonare e provochi un'embolia polmonare. Segni e sintomi: -­‐ Dolore violento ad un polpaccio o ad un piede -­‐ Viene risvegliato dalla pressione del polpaccio o dalla flessione del piede -­‐ Modesto edema del piede e dei malleoli Phlegmasia coerulea dolens E' una forma di flebotrombosi con caratteristiche peculiari: -­‐ colpisce l'arto inferiore. -­‐ è dovuta all'occlusione massiva dell'asse venoso principale illiaco-­‐femorale. -­‐ 50 % dei casi evolve in gangrena (o cancrena: necrosi più o meno estesa di tessuti o di organi). La diffusa trombosi venosa determina abbondante trasudazione plasmatica con riduzione del gradiente pressorio tra sangue arterioso ed interstizio con possibile ischemia. Trattamento: Riposo a letto, Antiaggreganti, Anticoagulanti, Trombectomia. TROMBOFLEBITI Occlusione delle vene, ad insorgenza improvvisa in seguito ad una lesione infiammatoria della parete vasale. Il trombo è quasi sempre composto da materiale settico. Eziopatogenesi: La causa è sempre infettiva. I germi circolanti possono giungere all’endoltelio dei vasi, possono provenire dalla vena colpita o per contiguità.

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Anatomia patologica: I vasi più colpiti sono quelli degli arti inferiori, sia quelli superficiali che quelli profondi. Segni e sintomi: Possiamo avere quattro quadri clinici: -­‐ Flebite varicosa Interessa quasi sempre la grande safena. E' palpabile e dolente ma non provoca ne edemi, ne emboli. -­‐ Flebite settica Può sorgere dopo malattie setticemiche, colpisce la vena femorale sinistra, causa ostruzione dei vasi venosi profondi e si manifesta con edema ulcere e varici. -­‐ Tromboflebite migrante Presenta focolai segmentari superficiali e si manifesta con un cordone duro ed iperemico. -­‐ Phlegmasia alba dolens Insorge dopo un parto o un aborto. Si manifesta con uno stato sub-­‐febbrile e tachicardia, parestesia e crampi dell'arto interessato. Diagnosi Per la vena profonda è più difficile perchè non si palpa al tatto i segni sono: -­‐ Edema, cianosi, febbre e leucocitosi Gli esami eletti sono: Ecodoppler e flebografia Trattamento: Terapia antibiotica, Riposo, Anticoagulanti. CARDIOPATIE CONGENITE Si tratta di anomalie strutturali presenti alla nascita. Le anomalie della struttura e della funzione cardiaca, presenti al momento della nascita, riguardano l’1 per mille dei nati vivi. La maggior parte di questi raggiunge l’età adulta grazie alle cure ricevute. L’incidenza aumenta se si ha un parente affetto di primo grado e se la madre è diabetica (macrosomia fetale). Nell’incidenza non si possono valutare efficacemente quelle malformazioni gravi che causano la morte fetale o l’aborto, e nemmeno quelle asintomatiche. Circa il 25% di queste malformazioni si associano anche a patologie extracardiache. Nel 90% dei casi risulta sconosciuta. • Fattori genetici: Mucopolisaccaridosi, S. di Marfan, S. di Elelrs-­‐Danlos, Trisomie 21, 18, 15 • Fattori materni: alcolismo, diabete, LES, fumo e anche infezioni materne (rosolia e toxoplasmosi) • Farmaci: talidomide, morfina, litio, ormoni sessuali, radiazioni, Molte malattie che sono asintomatiche e benigne nel corso dell’infanzia diventano successivamente gravi e invalidanti con il progredire all’età adulta. Alcune connessioni sono frequentemente associati alle malattie cardiovascolari congenite: • Ipertensione polmonare: associata a varie cardiopatie, si ritiene abbia una genesi prevalentemente emodinamica, a causa dell’incremento del flusso ad alta pressione al circolo polmonare. In particolare in presenza di un grosso shunt sinistra – destra, il circolo polmonare si ipertrofizza e assume delle condizioni di resistenza maggiore, tale da provocare l’inversione dello shunt (sindrome di Eisenmenger) • Eritrocitosi: causata dalla ipossiemia cronica, spesso provoca sindrome da iperviscosità e trombosi, e a volte si deve ricorrere al salasso di 500 ml di sangue intero in 45 min e reinfusione di pari quantità di soluzione fisiologica. In tutti i soggetti con cardiopatia congenita è indicata la profilassi antibiotica dell’endocardite infettiva quando vi sia un substrato cardiovascolare adatto e la presenza di un focolaio setticemico. Massima attenzione all’igiene dentale e cutanea. Esercizio fisico da evitare assolutamente nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra e anche i quelli con shunt sinistro destro, nei quali la caduta delle resistenze sistemiche provocata dall’esercizio fisico può provocare l’inversione temporanea dello shunt con gravi conseguenze nell’ossigenazione del sangue e dei tessuti. Le malformazioni più frequenti sono: • difetto del setto interventricolare • difetto del setto interatriale • persistenza del dotto arterioso di Botallo • tetralogia di Fallot • coartazione aortica Classificazione Possono essere classificate in 4 gruppi in base alle alterazioni funzionali che comportano:

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• Shunt SX à DX: dette anche non cianogene con shunt. Sono caratterizzate dall’assenza di cianosi fino all’insorgenza della sindrome di Eisenmenger. Queste malattie sono: pervietà del setto interatriale, pervietà del setto interventricolare, pervietà del dotto di Botallo. • Shunt DX à SX: dette anche cianogene con shunt, sono caratterizzate dalla cianosi precoce e sono molto gravi. Tetralogia di Fallot, Tronco Arterioso comune, Atresia della tricuspide (malattia dotto dipendente) • Malformazioni ostruttive: dette anche non cianogene senza shunt, non provocano cianosi mai e sono caratterizzate dalla ostruzione del tratto di efflusso dell’aorta o della polmonare (più raramente). Atresia dell’aorta, Atresia della polmonare, Coartazione aortica. • Malposizioni: dette anche cianogene senza shunt, provocano cianosi ma senza un flusso fra destra e sinistra. L’unica condizione del genere è la trasposizione dei grossi vasi. CARDIOPATIE NON CIANOGENE CON SHUNT La presenza di uno shunt fra sinistra e destra non provoca il mescolamento del sangue arterioso con quello venoso. Ma il ventricolo destro viene sottoposto ad uno sforzo notevole e ad un sovraccarico pressorio che ne provoca l’ipertrofia e soprattutto si crea ipertensione polmonare, sia attiva che passiva. Abbiamo quindi due condizioni distinte che producono un aumento di pressione nel ventricolo destro: • L’ipertrofia, che nasce come risposta al sovraccarico e comporta una riduzione del volume e della complience ventricolare, e una stenosi del tratto di efflusso della polmonare • L’ipertensione polmonare, che per il fenomeno dello sbarramento precapillare (ipertensione attiva di Condorelli, con ipertrofia della muscolare delle arteriole polmonari e vasocostrizione) provoca un ulteriore ostacolo all’efflusso polmonare. A questo punto la via di efflusso dal ventricolo DX a minor resistenza diventa proprio quella dello shunt, e quindi è si crea un inversione del flusso con mescolamento del sangue venoso con quello arterioso. Naturalmente questa inversione avviene gradualmente nell’arco di anni. Ma quando si verifica questo, gli effetti della cardiopatia sono considerati irreversibili, ed è essenziale un intervento precoce. Difetti del setto interatriale (DIA) Da non confondersi con il forame ovale pervio, che interessa 1/3 dei pazienti ma che non ha significato clinico in assenza di una notevole pressione nell’atrio destro. Sepimentazione atriale: la sepimentazione degli atri avviene verso la fine della 4° settimana. Sul tetto dell’atrio primitivo comincia a formarsi una sottile lamina divisoria denominata septum primum che cresce verso il basso fino a raggiungere i cuscinetti endocardici. I due atri rimangono in comunicazione attraverso una apertura denominata ostium primum che si chiude del tutto durante la 6° settimana. Prima che ciò avvenga però nella parte superiore del septum primum compare una apertura detta ostium secundum che permette al sangue di continuare a fluire dall’atrio di destra (dove nel circolo fetale la pressione è maggiore) nell’atrio di sinistra anche dopo la chiusura dell’ostium primum. Successivamente a destra del septum primum si forma una seconda lamina divisoria denominata septum secundum che si dirige verso i cuscinetti endocardici e forma una seconda apertura chiamata forame ovale. L’ostium secundum ed il forame ovale sono sfalsati tra di loro perciò il sangue può continuare a fluire dall’atrio di destra a quello di sinistra soltanto finché la pressione atriale a destra è maggiore, in quanto il septum secundum è rigido, ma il primo è invece molle e può essere disteso da questa pressione. Alla nascita l’aumento del flusso polmonare e l’interruzione del flusso placentare determinano l’inversione del gradiente pressorio tra i 2 atri, perciò l’aumentata pressione dell’atrio di sinistra spinge il septum primum contro il septum secundum formando una parete divisoria priva di aperture. Morfologicamente il DIA può essere di tre tipi, che prendono nome diverso a seconda della loro localizzazione3: • DIA tipo “ostium secundum”: circa il 90% dei DIA, si localizzano, nella maggior parte dei casi come difetto isolato, nella regione della fossa ovale. Deriva da una alterazione embrionale del septum primum o del secundum, o di entrambi. La comunicazione ha dimensioni variabili può essere multipla, singola o fenestrata. • DIA tipo “ostium primum”: circa il 5% dei DIA, localizzati nella parte bassa del setto interatriale, sotto e davanti alla fossa ovale e in vicinanza delle valvole AV. In questa condizione spesso si associano alla fissurazione del lembo anteriore della valvola mitrale (difetto parziale

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del setto AV). • DIA tipo “sinus venosus”: circa il 5% dei DIA, localizzati in prossimità dello sbocco della vena cava superiore. Talvolta si associano allo sbocco anomalo delle vene polmonari destre nella cava o nell’atrio destro. Indipendentemente dal tipo, tutte questa malformazioni provocano uno shunt sinistra destra, sostenuto dal gradiente di pressione fra atrio sinistro e atrio destro, e di entità dipendente dalle dimensioni del difetto dalle proprietà diastoliche dei due ventricoli, e dalle caratteristiche di resistenza del piccolo e del grande circolo. Il sovraccarico atriale dx si riflette anche nel ventricolo e nel circolo polmonare. In queste fasi della malattia, che possono durare anche fino ai 40 anni, non si ha mai di solito una sintomatologia evidente, eccetto un modesto aumento delle infezioni respiratorie, e l’unico segno obbiettivo è un soffio da eiezione della polmonare, dovuto all’eccessivo flusso. Con il passare degli anni si sviluppano diverse anomalie: • Distensione atriale: insorgenza di aritmie e fibrillazione atriale • Ipertensione polmonare: disturbi cardio-­‐respiaratori, cuore polmonare cronico • Inversione dello shunt: instaurazione di una cardiopatia cianogena Difetti del setto interventricolare (DIV) Costituiscono la più frequente cardiopatia congenita e spesso si associano alla tetralogia di Fallot. Questo è giustificabile con la conoscenza della organogenesi di questa sepimentazione: Sepimentazione ventricolare: La sepimentazione dei ventricoli avviene alla 4° settimana quando si forma un setto muscolare che si diparte dall’apice cardiaco e si dirige in alto verso i cuscinetti endocardici. Inizialmente rimane una apertura detta forame interventricolare che lascia in comunicazione i 2 ventricoli, durante la 7° settimana si ha la chiusura definitiva con la formazione della cosiddetta parte membranosa che risulta formata dalla confluenza di 3 diverse membrane: • Una proveniente dal septum inferius • Una dal septum intermedium che divide il canale atrioventricolare, formando gli orifizi aortico e polmonare • Una dal septum trunci che divide l’aorta dalla polmonare Il septum trunci è responsabile della maggior parte della sepimentazione e se questo non scende in asse con il setto muscolare si crea una comunicazione anomala con aorta a cavaliere, che la noxa patogena primitiva della tetralogia di Fallot. I nomi assegnati ai tre tipi di DIA non hanno il minimo senso e non si deve pensare che siano legati alla caratteristica dei DIA stessi o alla struttura embrionale da quale derivano. Si vive meglio senza cercare di capire tutto! I DIV vengono classificati in base alla loro localizzazione e alle loro dimensioni. Il DIV nel 90% dei casi si localizza nel setto membranoso (DIV membranoso), e nel restante 10% si trova nella parte muscolare. Più raramente si osservano DIV nel cono di efflusso della polmonare (DIV infundibolare). Sono in genere singoli, ma possono anche essere multipli, e allora il setto prende il nome di setto a formaggio svizzero. Circa il 50% dei DIV si chiudono spontaneamente, e degli altri la maggior parte non danno significative alterazioni. Questo non è sempre vero per i DIV di grandi dimensioni (in genere membranosi o infundibolari), che provocano un significativo flusso sinistro-­‐destro, destinato all’ipertensione polmonare e all’inversione. Il DIV si tratta con la chiusura chirurgica entro l’anno di vita se lo shunt è significativo, altrimenti si attende la fine dell’infanzia per la possibilità di chiusura spontanea. Persistenza del dotto di Botallo (PDA) La maggioranza dei casi di PDA sono difetti isolati che non si associano con altre malattie. Alcuni casi invece sono legati a difetti del setto interventricolare o alla stenosi o coartazione aortica. Di solito non provoca alterazioni rilevanti se è di piccole dimensioni e può essere anche del tutto asintomatico eccetto un soffio sistolico. Lo shunt che si crea è sinistro destro e non provoca inizialmente cianosi. Le cose cambiano per quei dotti di grandi dimensioni, o se le dimensioni del dotto aumentano con la crescita. In questo caso l’afflusso di sangue direttamente nella polmonare provoca molto facilmente ipertensione polmonare e inversione dello shunt. Essendo però il flusso destro sinistro localizzato al livello dell’aorta discendente, non si osserva ippocratismo e cianosi nelle estremità superiori, ma solo nelle gambe.

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La terapia di questo difetto è sempre meno frequentemente chirurgica, in quanto si preferisce, soprattutto per dotti di piccole dimensioni, la terapia farmacologica con indometacina, che inibendo la sintesi di PGE provoca la chiusura del dotto. La chiusura è assolutamente da evitare in quelle malattie di trasposizione di vasi, o di mancato efflusso dalla polmonare o dall’aorta, nelle quali la permanenza del dotto risulta l’unica possibile strategia di sopravvivenza. In questi casi si somministra PGE per mantenere il dotto pervio fino alla correzione chirurgica, se possibile, del difetto primitivo. Difetti del setto atrioventricolare (DAV) Questi difetti nascono dalla errata giustapposizione in fase embrionale dei cuscinetti endocardici, con alterazione della formazione del setto AV e delle valvole mitrale e tricuspide. Esistono due tipi di DAV: • DAV parziale: fissurazione del lembo anteriore della mitrale (con insufficienza della valvola) e DIA di tipo ostium primum • DAV completo: ampio difetto settale e unica valvola AV comune ai due ventricoli. Questo permette una comunicazione completa fra tutte e quattro le camere cardiache e lo sviluppo di ipertrofia in ognuna di esse. Si associa nel 35% dei casi alla sindrome di Down. In tutti questi difetti la riparazione chirurgica è possibile e rappresenta la terapia di elezione. CARDIOPATIE CIANOGENE CON SHUNT Sono tutte quelle malattie che hanno shunt sinistro destro fin dall’inizio e si associano a cianosi precoce. Tetralogia di Fallot Costituisce da sola il 10% di tutte le patologie congenite del cuore, ed è la malformazione cianogena più frequente (definita anche morbo blu). E’ caratterizzata da quattro alterazioni che derivano da una alterazione della genesi dell’aorta: durante la sepimentazione del bulbo arterioso, infatti, si realizza un difetto a scapito della polmonare, che comporta una sua stenosi, e un difetto di sepimentazione ventricolare. Inoltre l’aorta rimane a cavallo di questo difetto. La comunicazione fra i due ventricoli provoca infine ipertofia ventricolare destra. Quindi: • DIV • Ostruzione sottopolmonare • Aorta a cavaliere • Ipertrofia ventricolare destra Clinica E’ principalmente correlata alla gravità dell’ostruzione all’efflusso ventricolare destro, e può essere di tre gradi: • Lieve • Moderata o severa • Atresia polmonare Nelle forme lievi di ostacolo al flusso polmonare c’è uno shunt sinistro destro attraverso il DIV che si limita a provocare dilatazione e ipertrofia del ventricolo destro (tetralogia rosa). Maggiore è il grado della stenosi polmonare, maggiore è il flusso dalle sezioni destre a quelle sinistre del cuore attraverso il DIV. A questo fa seguito la cianosi, la poliglobulia e le conseguenze di una severa ipossiemia sistemica. Spesso il difetto è lieve alla nascita, ma progressivamente ingravescente. Il lattante assume la posizione a canna di fucile per comprimere le arterie poplitee ed aumentare così la resistenza del circolo sistemico. Nell’atresia l’unica sopravvivenza possibile è la pervietà del dotto di Botallo. Da qui infatti il sangue non ossigenato dell’aorta raggiunge i polmoni (cardiopatia dotto dipendente). Diagnosi ECG: segni di ipertrofia ventricolare (raramente atriale) destra Alla RX torace è possibile evidenziare l’aspetto del cuore con ventricolo destro dilatato e atresia della polmonare (cuore a scarpa). Ecografia evidenzia la DIV, la stenosi polmonare. Accurata valutazione del tratto di efflusso ventricolare destro si ottiene con l’angiografia selettiva con mezzo di contrasto iniettato nel

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ventricolo destro. Anatomia patologica Il cuore risulta spesso ingrandito e assume una forma a scarpa (cuore a scarpa), per la grande ipertrofia ventricolare destra, che si sviluppa principalmente all’apice cardiaco. Il DIV è molto ampio spesso raggiunge le dimensioni della valvola aortica, che trovandosi a cavallo di esso con il lembo anteriore pesca in entrambe le camere. Si nota una stenosi sottoinfundibolare del tratto di efflusso della polmonare. Altri difetti che possono essere variamente associati alla malattia sono l’insufficienza valvolare aortica, difetti del setto interatriale, e un arco aortico destro, che si riscontra nel 25% dei casi. Quando la stenosi polmonare è severa, le pareti dell’arteria polmonare sono sottili e ipoplasiche, mentre l’aorta aumenta progressivamente di volume e diametro. Con la crescita del cuore, l’orifizio polmonare non cresce proporzionalmente perché non viene stimolato da un adeguato flusso sanguigno, e questo aggrava molto la stenosi. Un vantaggio dato da tutto questo è il fatto che il circolo polmonare rimane a bassa pressione e i danni da ipertensione polmonare non si creano nella tetralogia di Fallot. Anche l’ipertrofia ventricolare destra e la corrispondenze insufficienza di questo ventricolo non si verifica correntemente perché il VDX ha uno sfogo nel DIV. Quando si risolve chirurgicamente il difetto il circolo polmonare risulta quindi preservato da gra vi danni. Terapia Rapida correzione chirurgica consente di evitare l’aggravarsi della ostruzione infundibolare e i ritardi di sviluppo corporeo secondari all’ipossia. Però si deve aspettare che il bambino abbia raggiunto uno sviluppo tale da presentare arterie polmonari sufficienti a sostenere l’intervento. Tronco arterioso comune Conseguenza della mancata divisione durante lo sviluppo fetale del tronco primitivo nell’aorta e nella polmonare, al di sotto del quale è presente un DIV. Questo provoca il mescolamento precoce del sangue arterioso e venoso, che viene ripartito in uguale misura fra la polmonare e l’aorta. Si crea quindi una cianosi e contemporaneamente ipertensione polmonare. Quando questa è irreversibile, la malformazione è inoperabile. Atresia della tricuspide Per una anomala divisione del primitivo canale AV, si può avere un allargamento anomalo della mitrale e una completa atresia della tricuspide, che risulta quindi del tutto chiusa. Si hanno quindi alcune modificazioni che permettono la circolazione, e cioè un DIA, che permette il passaggio del sangue venoso fra atrio dx e atrio sx, e un DIV, che permette il passaggio fra VSX e VDX, e quindi il deflusso del sangue nella polmonare. La cianosi precoce è gravissima, e si ha una alta mortalità nei primi mesi di vita. Ritorno venoso anomalo polmonare totale (RVAPT) Nessuna vena sbocca nell’atrio sinistro, mentre le vene polmonari si connettono con la vena anonima di sinistra o nel seno venoso. Esiste poi un DIA che permette il ritorno di sangue dall’atrio destro al sinistro. Questa patologia da principalmente un sovraccarico pressorio all’atrio di destra, mentre lo shunt, almeno nelle fasi iniziali, risulta poco importante. Poi però si aggrava la contaminazione di sangue venoso quando si sviluppa ipertensione polmonare. ANOMALIE DI TRASPOSIZIONE (CARDIOPATIE CIANOGENE SENZA SHUNT) Si tratta della trasposizione dei grossi vasi, una discordanza ventricolo-­‐arteriosa in cui l’aorta origina dal ventricolo di destra e la polmonare da quello di destra. Questa condizione origina da una anomala rotazione e sepimentazione del tronco arterioso. E’ una condizione incompatibile con la vita post-­‐natale a meno che sia presente un’ampia comunicazione tipo DIV che permette lo scambio di parte del sangue ossigenato con quello venoso e quindi la nutrizione dei tessuti e l’ossigenazione del sangue4. In questa condizione si osserva ipertrofia del ventricolo destro (che lavora come un ventricolo sistemico) e contemporanea atrofia del ventricolo sinistro (che si adatta alla pressione polmonare). In genere la sopravvivenza a lungo termine è possibile solo con intervento di rotazione dei grossi vasi effettuata entro le prime settimane di vita.

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ANOMALIE CONGENITE OSTRUTTIVE (CARDIOPATIE NON CIANOGENE SENZA SHUNT) Le ostruzioni congenite al flusso sanguigno possono insorgere in una porzione del cuore o lungo il decorso dei grossi vasi. In nessun caso provocano cianosi e non è mai presente una mescolanza di sangue dalle due sezioni del cuore. Coartazione aortica Una delle forme più frequenti di malformazione strutturali, questa patologia colpisce il sesso Κ circa 3 – 4 volte più spesso di quello Λ (fanno eccezione le donne portatrici della sindrome di Turner, colpite molto spesso). Esistono due aspetti morfologici: • Forma infantile: è una ipoplasia dell’arco aortico prima dello sbocco del dotto di Botallo, che nella maggior parte dei casi risulta pervio. Risulta spesso sintomatica nella prima infanzia. • Forma adulta: stenosi posteriore allo sbocco del dotto di Botallo, subito al di sotto di esso. Qui l’aorta assume una conformazione a clessidra. Nel 50% dei casi si manifesta in associazione ad aorta bicuspide, mentre altre volte possono essere presenti stenosi della valvola aortica, DIA, DIV ed aneurismi. La gravità clinica della malattia dipende principalmente dalla gravità del restringimento. La clinica risulta significativamente diversa nei due tipi di malformazione. In realtà è possibile la sopravvivenza alla nascita anche con un DIA o con un PDA. Questi shunt però risultano instabili e non è possibile garantire la sopravvivenza del neonato senza un intervento chirurgico del setto interventricolare " Nella forma infantile il principale problema è dato dalla presenza del dotto arterioso pervio: in questo caso si verifica cianosi e ippocratismo digitale ma soltanto dagli arti superiori in giù. Comunque la malattia risulta molto grave e spesso porta a morte nel giro di poche settimane. " Nella forma adulta il problema è la stenosi, e l’ipoafflusso renale, che provoca ipertensione di tutto il circolo sistemico a monte del dotto, con ipotensione delle estremità inferiori e a valle. In questa forma è tipico lo sviluppo di un circolo collaterale che sfrutta le arterie mammarie inter ne e quindi la dilatazione di esse. Questo può provocare delle lesioni delle coste dette lesioni a Colpo d’unghia. In ogni caso, nelle coartazioni più severe, è presente cardiomegalia per l’ipertrofia del ventricolo sinistro. Atresia e stenosi aortica Sono caratterizzate dal restringimento e dall’ostruzione della valvola aortica presente fin dalla nascita. La malattia è caratterizzata da tre aspetti morfologici distinti: • Stenosi aortica valvolare: in questo caso si hanno anomalie delle cuspidi, che possono essere ipoplastiche, displastiche, ispessite o in numero anomalo. Quando questa stenosi raggiunge un grado notevole, si ha una ipotrofia del ventricolo sinistro e dell’aorta ascendente, e il ventricolo stesso può presentare una cospicua fibroelastosi endocardica. Inoltre rimane il dotto di Botallo per permettere il passaggio del sangue dal ventricolo all’aorta e da qui in via retrograda alle coronarie. Questa condizione nel complesso si chiama sindrome ipoplastica del ventricolo sinistro ed è quasi sempre letale nella prima settimana, quando il dotto di Botallo viene a chiudersi. • Stenosi subaortica: è caratterizzata da un ispessimento sotto le cuspidi che rende difficile il passaggio del sangue. Questo ispessimento può essere anulare, e presentarsi come un semplice anello fibroso, oppure tubulare e presentarsi invece come un lungo tratto ispessito e ristretto. Nell’80% dei casi è isolata oppure si associa ad altre condizioni come la coartazione o la pervietà del dotto arterioso. • Stenosi sopraortica: si tratta di una forma di displasia aortica ereditaria, in cui la parte ascendente dell’arteria si ispessisce in maniera notevole. Si tratta probabilmente di una sindrome che comprende anomalie di sviluppo di diversi vasi e di altri organi, e l’ipercalcemia dell’infanzia (sindrome di William). In linea generale, se non è particolarmente grave, risulta una alterazione piuttosto ben tollerata, e nelle forme leggere si sviluppa solo una ipertrofia del ventricolo sinistro. L’intervento chirurgico risulta comunque consigliabile per la possibilità di complicazioni aritmiche gravi.

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Atresia e stenosi della polmonare Relativamente frequente, ostruzione a livello della valvola, che può essere lieve o severa a seconda delle circostanze. Raramente isolata, può accompagnarsi ad un difetto come la tetralogia di Fallot o la trasposizione dei grossi vasi. Quando coesiste stenosi sottopolmonare come nella tetralogia, allora si può avere anche ipoplasia dell’arteria polmonare. Nella stenosi si sviluppa iperplasia del ventricolo destro e a volte una dilatazione post-­‐stenotica dell’arteria polmonare, che deriva dal danno provocato alla parete arteriosa da parte del flusso ematico turbolento a valle della stenosi. L’atresia della polmonare è invece una condizione molto più grave che per permettere la sopravvivenza ha bisogno di un DIV, oppure un DIA (più frequente), e dotto arterioso pervio. In questo caso può essere presente ipoplasia del ventricolo destro, e non si ha dilatazione della polmonare post-­‐stenotica, in quanto anch’essa risulta ipoplastica. IPERTENSIONE Nel 90-­‐95% dei casi l’eziologia della malattia ipertensiva è sconosciuta, e si parla quindi di ipertensione essenziale. In genere si parla di ipertensione quando la pressione diastolica supera i 90 mmHg e la sistolica i 140 mmHg, anche se molti autori considerano questi valori come borderline o associati ad un rischio molto lieve. A seconda del limite scelto, si hanno diversi valori di prevalenza nella popolazione, che va dal 25% di soggetti con PD > 90 al 5% con PD > 105. In Italia circa il 36% della popolazione è effetto da vari gradi di ipertensione. Di questi solo 1/3 si trova in terapia. Ogni anno il 2,5% degli ipertesi sviluppa una complicazione. Nelle donne la malattia aumenta molto la sua incidenza dopo i 50 anni, essenzialmente per motivi legati allo squilibrio ormonale della menopausa. In genere l’ipertensione può essere di distinta in essenziale e secondaria a seconda se è presente o meno un evento morboso scatenante. -­‐ Ipertensione essenziale  Sono essenziali o idiopatiche circa il 90% delle ipertensioni. In genere sono fattori di rischio per l’ipertensione essenziale: • Ereditarietà: da tempo è nota l’esistenza di una correlazione diretta fra ipertensione e familiarità. Si tratta per lo più di situazioni di eredità multifattoriale e multigenica. • Fattori ambientali: Obesità, alimentazione, famiglia, tipo di lavoro e stress. Nelle società ricche l’ipertensione è una malattia molto diffusa, esattamente all’opposto che nelle società povere. Il fattore ambientale più studiato è l’assunzione di sale, che però sembra in grado di modificare la pressione arteriosa soltanto in quei pazienti che già hanno modificazioni patologiche in grado di dare ipertensione (cioè peggiora la malattia, ma non è in grado di provocarla). • Renina: alcuni ipertesi presentano una emivita plasmatica della renina maggiore dei soggetti normotesi. La clinica distingue quindi due categorie di soggetti, quelli con normale livello di renina e quelli con aumentato livello di renina. I pazienti a bassa concentrazione di renina sono in genere afroamericani, che si pensa abbiano una maggiore suscettibilità della corticale del surrene all’angiotensina II (sono circa il 20%). Alcuni di questi pazienti possono avere anche un livello di renina normale. Il gruppo ad alta renina ha una ipertensione che però resiste al Losartan e ad altri inibitori dell’AT II, per cui si pensa che sia il livello di renina che l’ipertensione siano da imputarsi all’ipertono adrenergico. Infine esiste un gruppo detto non modulatori, che ha livelli normali di renina, e in essi l’ipertensione risulta provocata da un difetto renale di escrezione del sodio e dalla incapacità del SNA di modulare la risposta pressoria in base ai livelli di sodio (probabilmente un difetto della macula densa). • Ruolo degli ioni: alcuni studi recenti mettono in luce il fatto che l’incremento di cloro e di calcio sia responsabile di parte delle ipertensioni essenziali. In particolare, il calcio sembra in grado di aumentare l’attività della muscolatura liscia vasale e quindi di provocare ipertensione. Alcuni fattori natruiretici sembrano agire inibendo la Na/K+ ATPasi e quindi provocando un aumento di calcio intracellulare secondario. • Difetto di membrana diffuso a tutte le cellule di trasporto del calcio • Resistenza all’insulina: l’iperinsulinemia che consegue alla resistenza all’insulina provoca ipertensione attraverso quattro meccanismi diversi. Ciò presuppone però che i tessuti coinvolti nel mantenimento della glicemia siano resistenti, mentre quelli coinvolti nella risposta ipertensiva siano normalmente sensibili 1. Ritenzione renale di sodio 2. Aumento dell’attività simpatica 3. Ipertrofia delle cellule muscolari lisce vasali secondaria alla stimolazione mitogenica 4. Aumento del trasporto di calcio intracellulare

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Ci sono moltissimi valori prognostici che possono modificare la prognosi dell’ipertensione, come età di insorgenza, razza, sesso, assunzione di alcool, fumo, colesterolemia, intolleranza al glucosio, peso. L’aterosclerosi è invariabilmente associata all’ipertensione, e così l’obesità. Nel 5% dei casi può insorgere una ipertensione velocemente ingravescente che porta a morte nel giro di pochi anni; si tratta di IPERTENSIONE MALIGNA, un quadro clinico caratterizzato da valori pressori sistolici > 200 mmHg e diastolici > 120 mmHg, insufficienza renale, emorragie ed essudati retinici. -­‐ Ipertensione secondaria  Circa il 10% delle forme di ipertensione riconosce invece come causa alterazioni specifiche della regolazione della pressione arteriosa: • Ipertensione renale: può essere prodotta da una disfunzione del parenchima renale oppure dalla stenosi dell’arteria renale: 1. Ipertensione nefrovascolare:È causata dalla stenosi dell’arteria renale di almeno il 30%. La stenosi dell’arteria renale determina una forma di ipertensione definita ipertensione chirurgica poiché può essere guarita tramite trattamento chirurgico. La causa più frequente di stenosi dell’arteria renale (70% dei casi) è l’occlusione da parte di una placca ateromasica posta all’origine dell’arteria. La placca è di solito di tipo eccentrico spesso con trombosi sovrapposta. 2. Ipertensione delle nefropatie parenchimali: L’ipertensione può accompagnare qualsiasi malattia renale che determini riduzione della VFG con attivazione del sistema renina-­‐ angiotensina. Le cause può comuni sono la glomerulonefrite e la pielonefrite acuta. • Ipertensione endocrina: si raccolgono in questa denominazione tutte le cause di ipertensione che dipendono dalla secrezione di sostanze vasopressive. 1. Feocromocitoma: è un tumore secernente adrenalina e noradrenalina generalmente localizzato a livello della midollare del surrene. È caratterizzato da ipertensione di tipo: continua (da noradrenalina) con crisi (da adrenalina) continua con parossismi 2. Diabete: nel diabete di tipo I l’ipertensione si manifesta dopo l’insorgenza della patologia mentre nel diabete di tipo II le 2 patologie coesistono. L’incremento del glucosio fa aumentare la pressione per effetto osmotico richiamando liquidi. Inoltre si ha: riduzione della funzione dell’endotelio, aumento del trombossano, riduzione della regolazione del flusso, aumento di angiotensina e catecolamine, aumento del calcio intracellulare 3. Ipereninemia primaria: deriva da tumori secernenti renina come gli emangiopericitomi, costituiti da cellule iuxtaglomerulari, presenti per lo più in soggetti di giovane età. 4. Iperaldosteronismo primario: l’incrementata produzione di aldosterone determina ritenzione di sodio e perdita di potassio con soppressione del sistema renina angiotensina. 5. Cushing: il morbo provoca l’ipertensione in casi gravi, a causa probabilmente della saturazione dei siti di catabolismo epatico per i mineralcorticoidi da parte dei glucocorticoidi. 6. Iperparatiroidismo 7. Ipertiroidismo Morfologicamente le lesioni vascolari dovute all’ateroscleorsi sono di due tipi: • Aterosclerosi ialina: ispessimento omogeneo, rosaceo, ialino della parete delle arteriole con perdita della normale struttura e restringimento de lume. Le lesioni sono causate dalla penetrazione di componenti plasmatici attraverso l’endotelio vascolare e dalla eccessiva produzione di ECM (matrice extracellulare) da parte delle CML (cellule muscolari lisce) in risposta allo stress emodinamico e/o metabolico. • Aterosclerosi iperplastica: ispessimento della parete delle arteriole a buccia di cipolla, concentrico e laminato, con progressivo restringimento del lume. Le laminazioni sono costituite da CML e da una membrana basale ispessita e duplicata.

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SISTEMA ENDOCRINO IPOFISI (Robbins) L’ipofisi è una piccola ghiandola posta all’interno della sella turcica. Ha grossolanamente la forma di un fagiolo, con diametro maggiore di 1cm e peso di circa 0,5 g (aumenta di dimensioni e peso durante la gravidanza). Si distinguono due porzioni: la ADENOIPOFISI (parte anteriore) che costituisce l’80% della ghiandola e la NEUROIPOFISI (parte posteriore) che costituisce la restante parte. La adenoipofisi possiede una vascolarizzazione particolare che entra a far parte del sistema PORTALE IPOTALAMO-­‐IPOFISARIO in cui il sangue passa prima per l’ipotalamo, dove vengono riversati gli ormoni ipotalamici, e poi giunge al’ipofisi dove ci sono i bersagli specifici per questi ormoni. Gli ormoni ipotalamici hanno l’azione principale di permettere il RILASCIO degli ormoni ipofisari, che quindi sono normalmente sotto il loro controllo. L’unico ormone non la cui produzione non è controllata dai relasing factors ipotalamici è la prolattina (PRL) su cui l’ipotalamo ha effetto inibitorio. ADENOIPOFISI L’adenoipofisi è costituita da 5 tipi di cellule diversi, classificate in due grandi gruppi: -­‐ Cellule ACIDOFILE: • SOMATOTROPE  produco GH (ormone della crescita) sotto lo stimolo del GHRH ipotalamico. Lo stress, il sonno e la riduzione di glucosio nelle cellule dell’ipotalamo causano il rilascio di GHRH e quindi del GH ipofisario. Il GH nel sangue viaggia legato a proteine carrier e reagisce con recettori presenti in TUTTI i tessuti (soprattutto nel fegato). GH reagisce con recettore GHR1 formando un complesso binario; viene reclutato poi il recettore GHR2 che si lega per formare un complesso terziario. L’azione intracitoplasmatica del GH avviene tramite trasduzione del segnale econdo le vie JAK – STAT, MAP chinasi, P13 chinasi. Le sue azioni principali sono quelle di favorire accrescimento di ossa, visceri e organi per IPETROFIA, influenzare processi metabolici, permettere la produzione nel fegato di IGF che ha effetti insulino simili IMMEDIATI (riduzione glucosio, acidi grassi e aminoacidi nel sangue) e effetti ANTINSULINICI TARDIVI (iperlipidemia, inibizione di ingresso del glucosio nelle cellule). • MAMMOTROPE  producono PRL (prolattina). La secrezione avviene prevalentemente nelle ore notturne. Gli stimoli principali sono a suzione del capezzolo, lo stress e un’eccessiva attività fisica. La PRL in quantità fisiologica provvede all’avvio e al mantenimento della lattogenesi. -­‐ Cellule BASOFILE: • CORTICOTROPE  producono ACTH (ormone adrenocorticotropo) sotto lo stimolo del CRH ipotalamico, che a sua vota viene rilasciato in condizioni di STRESS. ACTH passa in circolo e va a reagire con i recettori della zone FASCICOLATA della corticale del surrene, con attivazione di proteine G e di adenilciclasi che portano ad un aumento del C-­‐AMP intracellulare; il C-­‐AMP attiva poi PKA (protein chinasi A) o il fattore di trascrizione CREB che mediano gli effetti dell’ormone. ACTH favorisce la produzione di ormoni da parte della corticale del surrene, i quali controllano il metabolismo glucidico e l'equilibrio idrico salino. Meccanismo a FEEDBACK NEGATIVO. • TIREOTROPE  producono TSH (ormone tireostimolante) sotto lo stimolo del TRH ipotalamico. Il TSH reagisce con i recettori espressi sui tireociti che trasducono il segnale tramite il secondo messaggero C-­‐AMP. Meccanismo a FEEDBACK NEGATIVO. • GONADOTROPE  LH e FSH (ormoni luteinizzante e follicolo stimolante) sotto il controllo del GnRH ipotalamico. Questi ormoni si legano a particolari recettori presenti su cellule germinali e gonadiche e permettono lo sviluppo degli organi sessuali, il ciclo mestrule, la spermatogenesi, ecc. NEUROIPOFISI Costituita da cellule dette PITUICITI e da processi assonali che si estendono dai nuclei dei neuroni dell’ipotalamo fino al lobo posteriore dell’ipofisi, passando per il peduncolo ipofisario. Questi neuroni producono: • ADH (antidiuretina o vasopressina): sintetizzato nel nucleo sopraottico. In risposta a stimoli quali aumento di osmolarità plasmatica, distensione dell’atrio sinistro, sforzo fisico e alcuni stati emozionali, l’ADH viene rilasciato in circolo ed agisce a livello di RENE (favorisce riassorbimento di acqua nel tubulo contorto distale), cuore (aumenta

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resistenze periferiche e quindi la pressione arteriosa), SNC (agisce come neurotrasmettitore e neuromodulatore). Ossitocina: stimola la contrazione della muscolatura liscia dell’utero durante la gravidanza e delle cellule mio epiteliali delle ghiandole mammarie.

Le manifestazioni delle malattie ipofisarie sono essenzialmente di 3 tipi: 1) Iperpitituarismi: eccessiva secrezione di uno o più ormoni 2) Ipopitituarismi: diminuita secrezione di uno o più ormoni 3) EFFETTO MASSA LOCALIZZATO con conseguenze possibili a carico del chiasma ottico (alterazioni dl campo visivo), ipertensione endocranica, emorragie intraipofisarie, anomali radiografiche della sella turcica. IPERPITITUARISMI La causa principale di iperpitituarismo è lo sviluppo di un ADENOMA a livello dell’adenoipofisi (più raramente iperplasia e carcinoma). Gli adenomi ipofisari possono essere distinti in FUNZIONANTI (associati ad incremento di produzione ormonale e successivi effetti clinici) e NON FUNZIONANTI o silenti. Nella maggior parte dei casi entrambi i tipi sono costituiti da UN SOLO ISTOTIPO cellulare e vengono classificati in base al tipo di ormone prodotto dalle celule neoplastiche, Più raramente è possibile anche la presenza di un adenoma MISTO. Un’altra classificazione può essere fatta in base alle dimensioni dell’adenoma: MICROADENOMA (diametro maggiore < 1cm) e MACROADENOMA (d. m. > 1 cm). Infine si possono distinguere gli adenomi in invasivi, non invasivi e maligni. Sono state scoperte numerosi difetti genetici nelle genesi degli adenomi ipofisari. Le alterazioni più importanti riguardano mutazioni delle proteine G che giocano un ruolo chiave nella trasduzione del segnale a partire dallo stimolo degli ormoni ipotalamici. Queste mutazioni riguardano particolari sub unità di queste proteine che, se mutate, le rendono COSTITUTIVAMENTE ATTIVE e permettono una proliferazione cellulare incontrollata anche i assenza di stimoli ipotalamici. Macroscopicamente l’adenoma ipofisario appare come una TUMEFAZIONE molle, ben circoscritta e confinata ai limiti della sella turcica oppure esteso al di fuori di essi. Nel 30% dei casi NON possiede una capsula e può infiltrare le strutture adiacenti (osso, meningi, encefalo, senza però tendenza a dare metastasi a distanza (in questo caso si parla di adenomi invasivi). Nei macroadenomi è frequente riscontrare focolai emorragici e necrosi. Istologicamente gli adenomi sono costituiti da una popolazione di cellule uniformi disposte in nidi o cordoni. Sono circondati da un tessuto connettivo lasso di sostegno, detto reticolina. La caratteristica che permette di distinguere le cellule neoplastiche dal tessuto ipofisario normale è il MONOMORFISMO cellulare. Le sindromi dell’ipofisi anteriore legate a iperpitituarismo: -­ Iperprolattinemia: è dovuta nella maggior parte dei casi ad un adenoma PRL-­‐secernente detto PROLATTINOMA. Esso costituisce circa il 30% di tutti gli adenomi ipofisari diagnosticati clinicamente (è il più frequente). Più raramente può essere dovuta a cause che non provocano alterazioni anatomiche dell’ipofisi, come fenomeni funzionali che interferiscono con l’attività inibitoria ipotalamica, oppure a iperplasia. In condizioni fisiologiche la PRL può aumentare in gravidanza o dopo la stimolazione del capezzolo. Macrosopicamente possono essere microadenomi o adenomi di grosse dimensioni (giganti) Microscopicamente si notano cellule debolmente eosinofile o cromofobe (prolattinomi a granuli sparsi) o fortemente eosinofile (prolattinomi a granuli densi). Un aumento elevato della PRL nel sangue può portare a galattorrea, amenorrea, perdita della libido, impotenza ed infertilità. -­ Gigantismo e Acromegalia: sono due sindromi distinte ma dovute alla stessa causa, cioè una eccessiva produzione di GH da parte delle cellule somatotrope. Macroscopicamente possono raggiungere anche notevoli dimensioni. Istologicamente si distinguono adenomi GH a granuli densi (cellule uniformi e acidofile, con forte reattività immunoistochimica citoplasmatica al GH, distribuzione perinucleare della posiività alla cheratina) e a granuli sparsi (cellule cromofobe, nuclei polimorfi, debole o focale reattività al GH). La vera distinzioni delle due sindrome è in base all’età del soggetto in cui si verifica la ipersecrezione di GH; nei BAMBINI si avrà il GIGANTISMO: un eccessivo accrescimento in LUNGHEZZA degli arti perché il GH agisce sulla cartilagini epifisarie non ancora saldate. Il risultato sarà dato da un aumento generalizzato delle dimensioni corporee con arti di lunghezza

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sproporzionata. Negli ADULTI, dopo che le cartilagini si sono saldate, si avrà l’ACROMEGALIA, cioè un accrescimento osseo in SPESSORE accompagnato da eccessiva crescita a carico di cute, tessuti molli, visceri. Segno particolare è la FACIES LEONINA (ipertrofia bilaterale delle ossa del cranio che rende la testa pesante e la forma della faccia triangolare). Inoltre ci sono altre sindromi dovute ad eccessiva stimolazione da GH: si ha una eccessiva stimolazione della produzione di IGF da parte del fegato con gli effetti precedentemente decsritti. La diagnosi si basa sulla dimostrazione nel siero di elevati livelli di GH e IGF-­‐1; inoltre la mancata inibizione della produzione di GH dopo somministrazione di glucosio è uno dei test più sensibili per la diagnosi di acromegalia. -­ Ipercortisolismo e Sindrome di Nelson: iperproduzione di ACTH da parte di un adenoma. Macroscopicamente è di piccole dimensioni. Microscopicamente questi tumori sono spesso basofili (granuli densi) o altre volte cromofobi (granuli sparsi). Entrambi i tipi sono positivi alla colorazione con acido periodico – Schiff (PAS) poiché le cellule contengono carboidrati nella pro-­‐opiomelanocorticotropina. Una iperproduzione di ACTH a livello ipofisario è responsabile del MORBO DI CUSHING (non della Sindrome omonima che è dovuta a difetti insiti della ghiandola surrenale). In alcuni casi possono insorgere degli adenomi di grossi dimensioni in seguito ad asportazione chirurgica delle surrenali: in questo caso si ha la Sindrome di Nelson, dovuta alla perdita dell’inibizione esercitata dai corticosteroidi surrenali su un microadenoma preesistente. -­ Ipergonadotropismo: dovuti ad adenomi secernenti cellule gonadotrope, che solitamente si riscontrano in uomini e donne di mezza età. Macroscopicamente risultano spesso di grosse dimensioni. Microscopicamente le cellule sono cromofobe Spesso sono paradossalmente associati a ipofunzione secondaria gonadica. -­ Ipersecrezione di TSH: molto rari (1%). A cellule basofile o cromofobe. Causa infrequente di ipertiroidismo. IPOPITITUARISMO: Condizioni in cui c’è scarsa o assente produzione di un determinato ormone o di più ormoni con conseguenti effetti clinici. Esso può essere dovuto a malattie dell’ipofisi o dell’ipotalamo: • Tumori o masse espansive della sella turcica che possono comprimere le cellule del tessuto ipofisario adiacente. • Terapia chirurgica o radiante dell’ipofisi • Apoplessia ipofisaria: emorragia improvvisa all’interno dell’ipofisi, di solito nell’ambito di un adenoma. E’ una emergenza neurochirurgica!! • Necrosi ischemica: la sindrome di SHEEAN (necrosi ischemica post partum) che si ha perché in gravidanza aumentano le dimensioni e il peso della ipofisi (fino al doppio), ma l’apporto sanguigno resta lo stesso. Si genera quindi una condizione di ANOSSIA che può portare a infarto del lobo anteriore. • Sindrome della “sella vuota”: dovuto a qualsiasi causa che provoca la distruzione totale dell’ipofisi (intervento chirurgico, radiazioni) • Anomalie genetiche: rari deficit congeniti di ormoni ipofisari Più raramente le lesioni possono interessare primitivamente l’ipotalamo: • Neoplasie: craniofaringiomi o tumori maligni che metastatizzano a livello ipotalamico. • Infiammazioni (sarcoidosi) • Infezioni (meningite tubercolare) Le manifestazioni cliniche dell’ipopitituarismo variano in base all’ormone defitario. GH  nanismo ipofisario dei bambini. GnRH  amenorrea e infertilità nelle donne,impotenza nell’uomo. TSH  ipotiroidismo. ACTH  iposurrenalismo. MSH  pallore per mancanza dell’effetto stimolatorio dell’MSH sui melanociti. Sindrome di Simmonds: distruzione dell’adenoipofisi (panipopitituarismo anteriore) in soggetti adulti, causata da diverse cause: fratture base cranica, infiammazioni, cisti ipofisarie, tumori distruttivi, craniofaringioma, metastasi, S. di Sheean DIABETE INSIPIDO (deficit ADH) La mancanza di questo ormone é causa di diabete insipido centrale, malattia caratterizzata dalla incapacità a concentrare le urine ed a trattenere i liquidi nel nostro corpo. In questa condizione,

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quindi, vi sarà una grande quantità di urina giornaliera prodotta e di acqua bevuta anche durante la notte (8-­‐10 litri). Il diabete insipido centrale può essere causato da traumi cerebrali, tumori o da infiammazioni dell'ipofisi, in particolare della parte posteriore di questa ghiandola dove, appunto, viene secreta la vasopressina. A volte, il fenomeno può essere transitorio come dopo un trauma o dopo un intervento chirurgico all'ipofisi. ll compenso clinico ottenuto con la terapia sostitutiva é assoluto. Attualmente viene impiegata una molecola simile alla vasopressina, la desmopressina (DDAVP). Questo farmaco é attualmente disponibile in spray nasale, in rinile ed, in caso di necessità, in fiale. Tra poco tempo sarà disponibile in compresse. Il diabete insipido centrale non va confuso con il diabete insipido renale dove la vasopressina viene prodotta normalmente ma il rene è incapace di rispondere adeguatamente e con il diabete mellito dove il metabolismo degli zuccheri é alterato. SINDROME DA INAPPROPRIATA SECREZIONE DI ADH Causa eccessivo riassorbimento di acqua con conseguente IPONATRIEMIA. Le cause principali sono lesioni ipotalamiche o ipofisarie e secrezione ectopica di ADH. CARCINOMI IPOFISARI e IPOTALAMICI Sono estremamente rari e solitamente NON funzionanti. È opportuno ricordare il CRANIOFARINGIOMA: si tratta di una neoplasia derivante dalla tasca di Rathke (cellule epiteliali migrate da epifaringe). Colpisce soggetti giovani e insorge in sede soprasellare o sottosellare. Può avere effetti compressivi e/o distruttivi sulle ossa della base cranica. Macroscopicamente è una massa tonda, cistica, uniloculata, a limiti ben definiti; la consistenza delle cisti è molle-­‐elastica e esse contengono un liquido paragonabile a “OLIO DI MACCHINA”. Microscopicamente è costituito da parti solide rappresentate da nidi di cellule epiteliali separati da tralci di connettivo lasso

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TIROIDE (dispense Prof. Mingazzini + Robbins) Origina in corrispondenza del forame cieco linguale, discende anteriormente all’osso ioide, sotto la cartilagine cricoide, sino alla trachea: dotto tireo glosso. Il dotto successivamente si oblitera lasciando come residuo il lobo piramidale; la ghiandola si espande lateralmente all’istmo formando i due lobi. Microscopica Struttura follicolare rivestita da un unico strato di: •  cellule follicolari, in attività secretoria : cellule alte, colloide pallida con bordi indentati; inattive: cellule basse, colloide densa eosinofila. Immuno: tireoglobulina +, CK +, EMA+, vimentina+ •  cellule parafollicolari : cellule C neuroendocrine , derivate dalla cresta neurale, sono in posizione intrafollicolare, localizzate prevalentemente nella porzione media e superiore dei lobi laterali in posizione centrale. Immuno: cromogranina A + B+, sinaptofisina+, calcitonina+ Immuno: tireoglobulina +, CK +, EMA+ -­ Ipertiroidismo: è spesso considerato sinonimo di TIREOTOSSICOSI. E’ caratterizzato da una elevata presenza delle frazioni libere di T3 e T4 nel sangue. Si distinguono ipertiroidismo primario (dovuto ad alterazioni intrinseche della ghiandola tiroide) e secondario (dovuto a cause extra-­‐tiroidee, come un adenoma ipofisario TSH secernente). Le cause principali di ipertiroidismo sono: • Iperplasia diffusa associata a MORBO DI GRAVES BASEDOW (vedi dispense sopra) • Gozzo Multinodulare iperfunzionante • Adenoma tiroideo funzionante Le manifestazioni cliniche sono caratterizzate dalla presenza di uno stato IPERMETABOLICO indotto dall’eccesso ormonale e da alterazioni dovute a IPERATTIVITA’ del sistema nervoso simpatico. Si ha un eccessivo incremento del METABOLISMO BASALE: cute calda e arrossata, intolleranza al caldo, aumento della sudorazione, perdita di peso associata ad aumento dell’appetito. Le manifestazioni cliniche più precoci sono a carico del cuore in cui si rileva un aumento della portata cardiaca, tachicardia, cardiomegalia e palpitazioni; frequenti le aritmie, soprattutto la fibrillazione atriale. A livello del sistema neuromuscolare l’ipertiroidismo causa tremori, iperattività, instabilità emotiva, ansia, insonnia. A livello oculare sono presenti fissità dello sguardo, retrazione palperbrale e, in caso di malattia di Graves, oftalmopatia tipica. A livello del sistema scheletrico gli ormoni tiroidei stimolano il riassorbimento osseo corticale e riduzione di quello trabecolare (porta a osteoporosi). La diagnosi si basa sulla determinazione dei livelli sierici degli ormoni tiroidei (soprattutto TSH). -­ Ipotiroidismo: insufficienza o mancata formazione di ormoni tiroidei. Si distinguono diverse forme di ipotiroidismo: • Primario  alterazioni proprie delle tiroide. Può essere di tipo TIREOPRIVO (associato all’assenza o perdita di tessuto tiroideo) oppure associato a GOZZO. Tra le principali cause ci sono: tiroidectomia, tiroiditi, malattie autoimmuni (tiroidite di Hashimoto). • Secondario  ridotta produzione di TSH ipofisario che si associa spesso alla ridotta produzione di altri ormoni ipofisari. • Terziario  ridotta produzione di TRH ipotalamico per alterazioni che danneggiano l’ipotalamo o l’asse ipotalamo – ipofisario. • Da resistenza ormonale  disordine genetico autosomico dominante causato da mutazioni che colpiscono geni codificati per recettori tiroidei. Esistono due sindromi legate all’ipotiroidismo: -­‐ CRETINISMO: ipotiroidismo che insorge nell’infanzia o nella prima adolescenza. In passato la causa principale era la deficienza di iodio nella dieta; in altri casi più rari può essere dovuto a errori metabolici (difetti enzimatici) che interferiscono con la biosintesi degli ormoni tiroidei. Il cretinismo è clinicamente caratterizzato da alterato sviluppo delle ossa e del SNC, con ritardo mentale, bassa statura, tratti facciali grossolani, lingua protrudente ed ernia ombelicale. -­‐ MIXEDEMA: ipotiroidismo che insorge in bambini più grandi e adulti. Le caratteristiche cliniche del mixedema sono caratterizzate da un progressivo rallentamento delle attività psico-­‐fisiche con affaticamento generalizzato, apatia, torpore mentale. E’ presente riduzione della gittata cardiaca, atti respiratori brevi e diminuita resistenza alla fatica. La cute appare fredda e pallida. Istologicamente si nota l’accumulo di glicosaminoglicani e acido ialuronico a livello di cute, sottocute e vari organi viscerali che hanno come risultato EDEMA, allargamento ed appiattimento delle strutture facciali, ingrossamento della lingua, alopecia.

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-­ GOZZO Per gozzo si intende un aumento di VOLUME della tiroide dovuto ad una inadeguata sintesi ormonale tiroidea, che comporta un aumento COMPENSATORIO dei livelli sierici del TSH che porta a sua volta a iperplasia e ipertrofia dei tireociti per contrastare il deficit ormonale. A questa categoria appartengono: • Gozzo DIFFUSO NON tossico  interessa l’intera ghiandola senza formazione di noduli. Nella maggior parte dei casi è di tipo ENDEMICO e si sviluppa in aeree dove acqua, cibo e terreno sono poveri di iodio mancanza di iodio causa una ridotta sintesi di ormoni tiroidei e una elevata produzione di TSH. In altri casi (rari) può essere SPORDICO: esistono alcune sostanze che possono interferire con la formazione di ormoni tiroidei, dette sostanze GOZZIGENE, come l’eccesso di CALCIO. Morfologicamente nell’evoluzione del gozzo diffuso si identificano DUE FASI: 1) Fase iperplastica: tiroide simmetricamente e diffusamente ingrandita, con aumento modesto (peso max 150 g). I follicoli risultano rivestiti da cellule colonnari disposte fittamente, ma l’accumulo non è uniforme in tutta la ghiandola (follicoli distesi e follicoli piccoli). 2) Fase di involuzione colloidale: quando dopo la fase 1 avviene una aumento dell’apporto di iodio o una diminuzione delle richieste. L’epitelio follicolare stimolato va incontro ad involuzione con la formazione di una ghiandola ingrandita e ricca di colloide (serbatoio di ormoni tiroidei). La tiroide appare al taglio marrone e lievemente traslucida. Le manifestazioni cliniche del sono dovute soprattutto all’effetto massa da parte dela ghiandola ingrandita (impatto estetico, disfagia, ostruzioni respiratorie, compressione di grossi vasi del collo e del torace). Nei bambini può provocare cretinismo. • Gozzo MULTINODULARE  Dovuto a episodi ripetuti di iperplasia e involuzione della tiroide con il risultato finale della formazione di NODULI. I noduli si possono distinguere in FREDDI (costituiti da un insieme di follicoli ipofunzionanti – IPOCAPTANTI I131) e CALDI (aree circoscritte di parenchima iperfunzionante – IPERCAPTANTE I131). I noduli sono causati da difetti genetici che provocano la crescita autonoma e più rapida di alcune cellule del parenchima tiroideo. Macroscopicamente i gozzi sono polilobulati, asimmetrici con peso che può raggiungere i 2000 g. Può crescere sia superiormente allo sterno che posteriormente (gozzo intratoracico). Al taglio si notano noduli irregolari, contenenti quantità variabili di colloide bruna e gelatinosa. Nei noduli di vecchia insorgenza è frequenta il riscontro di alerazioni regressive come emorragia, necrosi, calcificazioni, aterazioni cistiche. Istologicamente si notano follicoli ricchi di colloide, delimitati da epitelio piatto e aree di iperplasia e ipertrofia epiteliale. Il follicolo iperfunzionante è costituito da cellule voluminose e lume ridotto; il follicolo ipofunzionante è caratterizzato da cellule piatte, lume enorme pieno di colloide per ridotta sintesi ormonale. Le manifestazioni cliniche sono dovute per lo più all’effetto massa. In alcuni casi è possibile che nell’ambito di un gozzo diffuso di lunga data si sviluppi un nodulo iperfunzionante con conseguente ipertiroidismo (sindrome di Plummer). In altri casi può essere associato a ipotiroidismo.

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-­ TIROIDITI

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Altre tiroiditi: Più rare sono le tiroiditi dette SPECIFICHE: -­‐ LUETICA: in corso di sifilide. L’aspetto morfologico è caratterizzato dalla presenza della GOMMA LUETICA, cioè un granuloma non caseificante ricco in plasmacellule -­‐ TUBERCOLARE: Interessata dalla TBC in forma MILIARE (lesioni a “grani di miglio”) TUMORI TIROIDE (Vedi dispense Mingazzini)

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PARATIROIDI (Disp. Mingazzini) Quattro ghiandole, possibili variazioni di numero, in meno ed in più, nel 10% della popolazione. Derivano da: III tasca branchiale 2 inferiori e Timo; IV tasca branchiale 2 superiori. Si posizionano posteriormente al terzo medio ed al polo inferiore della tiroide. Macro: ovoidali, capsulate, giallo-­‐brune, mm. 4x3x1.5, mg. 35-­‐40. Micro : capsula fibrosa sottile, parenchima a struttura solida costituito da: -­‐ cellule principali, con nuclei centrali rotondeggianti uniformi, citoplasma chiaro contenente glicogeno e granuli secretori di PTH -­‐ cellule ossifile con citoplasma abbondante, acidofilo e granulare, stipato di mitocondri con scarsi granuli secretori, singole o in piccoli gruppi -­‐ cellule chiare (water-­‐clear cells) abbondante citoplasma otticamente vuoto, membrane cellulari ben definite cellule transizionali Prima della pubertà ci sono solo cellule principali. Dopo la pubertà sono presenti gocce di lipidi nel citoplasma delle cellule principali, compaiono le cellule ossifile Il tessuto adiposo nello stroma aumenta con l’età costituendo il 30-­‐40% del parenchima ed è influenzato dalla costituzione corporea, possono essere presenti follicoli e cisti a contenuto simil colloideo e con aspetto di tipo tiroideo Fisiologia Le cellule principali sono sensibili alla concentrazione ematica del calcio; la funzione endocrina di stabilizzazione della calcemia si attua mediante secrezione di PTH da parte delle cellule principali. Le cellule principali, se attive presentano nel citoplasma numerosi granuli secretori e scarso glicogeno, se inattive scarsi granuli ed abbondante glicogeno. L’azione fisiologica del PTH consiste nell’aumentare l’escrezione renale dei fosfati, nell’aumentare il riassorbimento tubulare del calcio, nell’aumentare l’assorbimento intestinale del calcio, nell’aumento del numero e dell’attività fagocitaria degli osteoclasti con conseguente riassorbimento osseo. Il meccanismo d’azione del PTH consiste nell’attivare specifici recettori delle cellule dei tubuli renali e degli osteoclasti con conseguente cascata di segnali intracellulari. Alterazioni della Funzionalità Ipoparatiroidismo Pseudoipoparatiroidismo Iperparatiroidismo: Primitivo, Secondario e Terziario Alterazioni Anatomopatologiche Iperplasia : primitiva a cellule principali, secondaria a cellule principali, a cellule chiare Adenoma Carcinoma IPOPARATIROIDISMO Eziologia -­‐ Iatrogena da asportazione chirurgica accidentale da tiroidectomia, da linfoadenectomia, paratiroidectomia per iperparatiroidismo. -­‐ Agenesia congenita delle paratiroidi come nella Sindrome di George Familiare, come sindrome autoimmune poliendocrina tipo 1, causata da mutazioni del gene regolatore autoimmune, nell’infanzia candidosi, nell’adolescenza ipoparatiroidismo, poi iposurrenalismo. -­‐ Idiopatica probabilmente da autoanticorpi diretti contro i recettori sensibili al calcio delle paratiroidi con conseguente atrofia ghiandolare. Manifestazioni cliniche Aumentata eccitabilità neuromuscolare per diminuzione ematica del calcio ionico (segno di Chvostek +, segno di Trousseau +) con tetania, crampi muscolari, convulsioni, stridore laringeo. Alterazioni psichiche da irritabilità a depressione e psicosi franca. Anomalie della conduzione cardiaca con allungamento QT e onda T, fino al blocco di branca. Anomalie dentarie, calcificazioni dei nuclei della base e del cristallino PSEUDOIPOPARATIROIDISMO In pazienti con valori normali o elevati di PTH, si manifesta ipoparatiroidismo per la resistenza dell’organo bersaglio all’azione del PTH.

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IPERPARATIROIDISMO Ogni condizione associata ad aumentata secrezione di PTH Epidemiologia: casi per anno 27/100.000, età media 40 -­‐ 60 anni, M:F= 1:2 Distinto in tre forme: Iperparatiroidismo Primitivo, Secondario E Terziario IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO Epidemiologia: Incidenza annuale 25 casi su 100.000, oltre 50 anni, M:F=1:3 Causato da: Adenoma 80%, Iperplasia 16%, Carcinoma < 4% Sporadico: 95% Nel 10% associato a carcinoma follicolare della tiroidee Familiare: 5% MEN tipo 1 da mutazione del gene oncosoppressore MEN 1 MEN tipo 2A da mutazione germinale del proto oncogene RET Associato a carcinoma midollare della tiroide Quadri Clinici:pazienti asintomatici, con manifestazioni ossee, renali. Lesioni Ossee: generalizzate, inizialmente diminuita densità, conclamate osteite fibroso cistica o Malattia ossea di von Recklinghausen localizzazione preferita mandibola Macro: aree multinodulari solide e cistiche, tumore bruno. Microscopicamente si nota riassorbimento di trabecole ossee circondate da osteoblasti ed osteoclasti con gruppi di istiociti carichi di emosiderina Lesioni Renali: nefrolitiasi, nefrocalcinosi IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO L’insufficienza renale cronica o meno frequente il Malassorbimento intestinale causa Iperfosfatemia ed Ipocalcemia, stimola le paratiroidi e determina IPERPLASIA A CELLULE PRINCIPALI. I livelli di PTH sono proporzionali al grado di insufficienza renale. Lesioni Ossee simili all’iperparatiroidismo primitivo ma, di grado moderato. IPERPARATIROIDISMO TERZIARIO In corso di iperparatiroidismo secondario ad insufficienza renale cronica o a malassorbimento intestinale, una o più ghiandole paratiroidi divengono iperfunzionanti autonomamente. L’alterazione viene scoperta per mancata risposta a terapia con emodialisi o omotrapianto e determinaIPERPLASIA A CELLULE PRINCIPALI di tipo nodulare con numerosecellule ossifile. IPERPLASIA IPERPLASIA PRIMITIVA A CELLULE PRINCIPALI Sporadica o in pazienti con MEN di tipo 1 e 2A, manifestazione clinica iniziale. Nella MEN di tipo 2B si può manifestare minima iperplasia solo in adulti. Macro: Tutte le ghiandole sono ingrandite, di colorito bruno rossastro e peso sino a gr. 10. Le ghiandole superiori tendono ad essere più grandi delle inferiori. Talora una sola ghiandola è ingrandita:iperplasia pseudoadenomatosa. Talora tutte le ghiandole normali, iperplasia microscopica: iperplasia occulta. Micro: Cellule predominanti principali, anche cellule ossifile e transizionali. Modalità di crescita: diffusa, nei giovani, nodulare negli anziani con evidenza di setti fibrosi ed aspetto lobulare, pseudorima periferica di tessuto normale. Paratiromatosi: riscontro, in corso di iperplasia, di molteplici foci di tessuto pratiroideo nel collo, responsabile di iperpatatiroidismo ricorrente dopo chirurgia IPERPLASIA SECONDARIA A CELLULE PRINCIPALI Insufficienza renale cronica, malassorbimento intestinale, deficit di vitamina D causano riduzione cronica del calcio sierico e quindi iperattività delle paratiroidi. Vari gradi di aumento volumetrico delle ghiandole, correlazione inversa tra dimensioni delle ghiandole e calcemia. Non può essere fatta una differenziazione microscopica tra forma primitiva e secondaria. Nella forma primitiva prevale la nodularità, la formazione di setti fibrosi, il pleomorfismo nucleare; nella secondaria sono più numerose le cellule ossifile. Distinzione tra iperplasia a cellule principali ed adenoma: i soli criteri certi sono l’identificazione di una rima periferica di parenchima normale e di una ghiandola paratiroidea normale. Si ha sovrapposizione di valori sul grado di pleomorfismo nucleare e sul grado di proliferazione cellulare valutato con il Ki-­‐67. E’ stato prospettato che l’iperplasia a cellule principali e l’adenoma rappresentino aspetti morfologici dello stesso processo. La genetica molecolare ha contribuito ad offuscare la precedente rigida distinzione tra adenoma ed iperplasia.

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IPERPLASIA A CELLULE CHIARE Non presenta familiarità e non è associata alle neoplasie endocrine multiple. Precedentemente considerata causa frequente di iperparatiroidismo primitivo, risulta quasi scomparsa nelle casistiche più recenti. Macro: Estremo ingrandimento delle ghiandole, sino a gr.100, più marcato nelle ghiandole superiori, di colorito marrone cioccolato, forma irregolare. Micro: Cellule di dimensioni variabili con citoplasma otticamente vuoto per coalescenza di vacuoli chiari e con membrane cellulari ben delineate. ADENOMA Tumore benigno costituito da cellule principali o ossifile o transizionali o misto. Epidemiologia: Il 75 -­‐ 80% dei casi di iperparatiroidismo primitivo sono causati da Adenoma. M:F=1:3 -­‐ Età 40 -­‐ 60 anni Forma: Sporadica 95% Familiare 5% MEN tipo 1 e tipo 2A Macro: Tumore singolo, localizzato nelle ghiandole inferiori 75%, superiori 15%, sede anomala 10% mediastino 70%, intratiroideo 20%, paraesofageo 10%. Le altre ghiandole sono di dimensioni normali o atrofiche. Tumore di dimensioni variabili da microadenoma a cm.1-­‐2 Range medio gr.0.5-­‐5 Nodulo tondeggiante o ovoidale o appiattito, rivestito da una sottile capsula fibrosa di consistenza molle, di colorito rosso bruno sulla superficie di taglio. Nel 50-­‐60% dei casi si evidenza nell’ilo vasale una sottile rima periferica di colorito grigio giallastro, corrispondente a tessuto paratiroideo normale. Struttura solida omogenea o lobulata con aree di degenerazione cistica, stravasi emorragici, aree di fibrosi e calcificazioni. Micro: Tumore capsulato riccamente cellulare, costituito prevalentemente da cellule principali, ma comuni sono forme miste con cellule oncocitarie e transizionali. Frequente evidenza di una sottile rima di tessuto paratiroideo normale situato all’ilo vascolare, separato dalla neoplasia da una sottile capsula fibrosa. Le restanti ghiandole paratiroidee presentano aspetti di normalità, o di atrofia. Modalità di crescita diffusa, ma può essere a nidi, follicolare, o pseudopapillare. Cellule più grandi del normale, nuclei rotondi, ipercromatici, cromatina densa, di dimensioni variabili, aree con marcato pleomorfismo nucleare non sono segno di malignità. Mitosi rare, meno di 1 su 10 HPF. Citoplasma ricco di glicogeno, il grasso è assente, o disperso, non in piccole gocce come nelle cellule normali. Le cellule adipose assenti, o sparse, o in piccoli gruppi periferici. Immunoistochimica: positive per PTH, cromogranina A, CK a basso peso, Ki-­‐67 inferiore a 5%. Varie anormalità genetiche identificate, ma non costanti. Esistono diverse varianti istologiche: • Adenoma Oncocitico: Costituito interamente, o quasi, da cellule ossifile con citoplasma eosinofilo granulare, ripieno di mitocondri. Abitualmente il tumore è non funzionante. • Adenoma a Cellule Chiare (raro) • Lipoadenoma: Tumore raro che contiene abbondante tessuto adiposo maturo con solo scarsi nidi di cellule principali. • Adenoma Atipico : Tumori senza evidenza certa di invasione capsulare o vasale, ma con alcuni aspetti del carcinoma: mitosi, bande fibrose, capsula spessa. Tumori ad incerto potenziale di malignità. CARCINOMA Neoplasia rara, con alta probabilità di recidiva locale e di metastasi linfonodale. Sporadico o Ereditario: Sindrome di Iperparatiroidismo Tumore della Mandibola, entrambe legate a inattivazione del gene oncosoppressore HRPT 2 Epidemiologia: Meno del 1% dei casi di iperparatiroidismo è dovuto a carcinoma (Giappone 5%), M=F, si manifesta in tutte le età, dalla prima infanzia. Clinica: Manifestazioni cliniche legate agli effetti dell’eccesso di secrezione dell’ormone paratiroideo PTH, più frequenti nel carcinoma che nell’adenoma. Ipercalcemia grave, sintomi: fatica, debolezza, perdita di peso, anorexia, nausea, vomito, poliuria, polidipsia. Elevati livelli sierici di PTH e di fosfatasi alcalina. Alterazioni ossee nel 70% Nefrolitiasi, nefrocalcinosi, insufficienza renale nel 25%. Massa palpabile del collo nel 75%. Paralisi ricorrente del nervo laringeo. Macro: Massa a contorni mal definiti interessante una sola ghiandola, di consistenza dura, di

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colorito grigio-­‐biancastro al taglio ( adenoma molle di colorito bruno ) diametro sino a cm.6, peso fino a 10 gr, aderente agli organi circostanti. Micro: Circondato da spessa capsula fibrosa, sepimentato da bande fibrose. Struttura trabecolare, meno frequente, solida, follicolare, a rosette, a palizzata. Cellule dotate di nuclei ingranditi, ipercromatici, aspetto a watermelon seeds, relativamente uniformi (pleomorfismo nell’adenoma), nucleoli prominenti, citoplasma chiaro o granulare eosinofilo, talora costituito da cellule ossifile. Diagnosi difficile: non criteri citologici affidabili, infiltrazione tessuti e metastasi. La diagnosi estemporanea è di scarso valore nel distinguere adenoma, carcinoma. Biopsie incisionale vanno evitate per prevenire impianti con iperparatiroidismo ricorrete, sia nelle lesioni maligne che benigne. La diagnosi citologica su biopsie con ago sottile è utile per identificare tessuto paratiroideo, ma è di scarso valore nel distinguere adenoma e carcinoma. Diffusione Tumorale, Stadiazione e Prognosi: La diffusione del carcinoma è prevalentemente legata a recidive locali nei tessuti molli del collo. Metastasi si localizzano nei linfonodi del collo e mediastinici, nel polmone, osso e fegato. Le dimensioni del tumore e lo stato linfonodale non si sono rivelati fattori prognostici, non esiste staging e grading tumorale (WHO 2004). L’intervallo medio libero da malattia dopo chirurgia è di 2-­‐3 anni. Recidive nel 50%. Sopravvivenza a 10 anni 50%. Lesioni Precancerose, Suscettibilità genetica. L’iperplasia e l’adenoma non sono considerate lesioni precancerose, il carcinoma origina “de novo”. Il carcinoma non è una componente delle MEN, ma della Sindrome di Iperparatiroidismo-­‐ Tumore della Mandibola: Malattia autosomica dominante da mutazione del gene oncosoppressore HRPT 2, caratterizzata da adenoma o carcinoma delle paratiroidi, fibroma ossificante della mandibola o del mascellare, cisti e tumori renali. Iperparatiroidismo nell’80%, insorge nell’adolescenza, Carcinoma nel 10-­‐15%, Tumore ossificante 30%, lesioni renali 20%. DIAGNOSTICA INTRAOPERATORIA • Scopo iniziale è “pedestre”: distinguere ghiandola paratiroide da nodulo tiroideo, linfonodo, timo, tessuto adiposo. • La discriminazione intraoperatoria tra adenoma e iperplasia è impossibile senza l’esame di una seconda paratiroide. • La valutazione della seconda paratiroide, consente di distinguere tra un processo generalizzato (iperplasia in cui tutte e 4 le paratiroidi presentano alterazioni) ed uno limitato (adenoma in cui le altre paratiroidi sono normali). • Nella seconda paratiroide vengono valutati: 1 -­‐ tessuto adiposo stromale, 2 -­‐ lipidi intracellulari • Il tessuto adiposo stromale è diminuito nelle ghiandole attive, sostituito da parenchima funzionante. Adenoma: le altre ghiandole sono in riposo funzionale per cui aumento del tessuto adiposo. Iperplasia: tutte le 4 ghiandole sono funzionanti, quindi tessuto adiposo è ridotto. Questo criterio dipende anche da età e costituzione dei pazienti. • I lipidi intracellulari valutati con Sudan IV ,o Oil Red O su sezioni al criostato Adenoma : lipidi abbondanti con gocce grossolane perché in riposo funzionale Iperplasia : deplezione lipidica perché ghiandole attive IPERPLASIA o ADENOMA? IPERPLASIA: Tutte le ghiandole ADENOMA: Una sola ghiandola La diagnosi differenziale esige l’esame di almeno una seconda ghiandola anche se apparentemente normale. La seconda ghiandola macroscopicamente può essere: -­‐ iperplastica = IPERPLASIA -­‐ normale: IPERPLASIA o ADENOMA • paratiroide di aspetto macroscopico normale, con riduzione del tessuto adiposo stromale e dei lipidi citoplasmatici: IPERPLASIA • paratiroide di aspetto macro normale,con abbondante tessuto adiposo stromale ed aumento dei lipidi citoplasmatici, come per soppressione funzionale: ADENOMA ADENOMA o CARCINOMA ? Criteri diagnostici citologici non affidabili: • Tipo cellulare • Struttura solida, trabecolare • Bande di fibrosi

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• Figure cariocinetiche, Ki-­‐67 Criteri diagnostici obbiettivi affidabili: • Infiltrazione della capsula e tessuto adiacente • Infiltrazione dei tessuti ed organi circostanti, perineurale • Invasione vascolare • Recidive locali CARCINOMA D.D: CON ADENOMA • Infiltrazione della capsula nel 70% dei casi. Infiltrazione incompleta è difficile da determinare perché nella spessa capsula fibrosa possono essere intrappolati cordoni epiteliali benigni in aree di fibrosi. • Infiltrazione dei tessuti ed organi circostanti: tessuto muscolare, tiroide e nervi • Invasione vascolare, presente nel 10-­‐15% dei casi. Deve essere valutata nella capsula o nel tessuto circostante, piuttosto che nei vasi intratumorali. • Recidive locali vanno differenziate da impianti per rottura di adenoma, di iperplasia o autotrapianto intenzionale. Aspetto pseudo invasivo di lesioni paratiroidee benigne intratiroidee. • Bande di fibrosi nel 90% dei casi. dd nell’Iperplasia fibrosi perinodulare. dd in Adenomi aree di cicatrizzazione da emorragia. • Struttura trabecolare, può esserci anche nell’adenoma e nell’iperplasia nodulare • Cellule fusate, raramente presenti in adenomi ed iperplasia • Attività mitotica maggiore di 1 mitosi per 10 HPF, ma variabile con valori sovrapponibili nell’adenoma e nell’iperplasia ; Ki-­‐67 > 5%; AgNOR, DNA ploidia, mutazioni somatiche e germinali del gene HRPT2 FAS ( Fatty Acid Sinthase) è il principale enzima interessato nella sintesi degli acidi grassi, catalizza la condensazione NADPH-­‐dipendente di malonil-­‐CoA e acetil-­‐CoA in palmitato.. Espresso nell’endometrio in fase proliferativa e nella mammella sotto stretta regolazione ormonale , mentre nella maggior parte dei tessuti umani è "down-­regulated" dal tasso di acidi grassi circolanti. Nelle cellule neoplastiche umane è fortemente espresso( identificato nel carcinoma della mammella, prostata, colon e endometrio) e anche in lesioni precancerose e cancri in situ. Nelle paratiroidi è stata recentemente studiata l'espressione del FAS nell' iperplasia secondaria : utilizzo della via enzimatica del FAS da parte delle cellule iperplastiche . P53 oncosoppressore localizzato sul braccio corto del cromosoma 17, controlla la stabilità e l’integrità del genoma tramite due ben distinti meccanismi molecolari : -­‐ in danno al DNA cellulare, blocca la cellula nella fase del ciclo cellulare G1, dando modo alla cellula di riparare il DNA. -­‐ favorisce la morte cellulare programmata (apoptosi) nel caso vi sia un danno a livello molecolare del DNA. La mutazione favorisce la crescita cellulare anormale perchèla cellula con la proteina mutata perde la capacità di riparare il DNA danneggiato. BCL-­2 oncogene che codifica per una proteina citoplasmatica di 26 Kd, localizzata nei mitocondri, nel reticolo endoplasmatico e nella membrana nucleare, che blocca l’apoptosi ; Bcl-­‐2 esercita il suo effetto oncogeno attraverso l’inibizione dell’apoptosi e non stimolando la progressione del ciclo cellulare come altri oncogeni. Svolge quindi un ruolo opposto a quello dell’oncosoppressore p53, che inibisce la crescita cellulare ed induce l’apoptosi.. Nelle paratiroidi normali molte cellule presentano una intensa immunoreattività citoplasmatica per Bcl-­‐2, sia nelle cellule principali che in quelle ossifile Ki67 proteina nucleare, espressa in tutte le fasi del ciclo cellulare tranne G0, normalmente espressa nelle cellule dei centri germinali delle tonsille, dalle cellule dello strato basale dell'epidermide e dai linfociti attivati del sangue periferico,a nella proliferazione cellulare. Permette di valutare il numero di cellule in ciclo, quindi la frazione cellulare proliferante (TPF) delle neoplasie, strettamente collegata all’aggressività tumorale.

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GHIANDOLE SURRENALI (Ascenzi, Robbins, Disp. Mingazzini) Sono organi endocrini pari, composti da una corticale e una midollare differenti per sviluppo e funzione. La corticale del surrene di divide in tre strati: 1) Glomerulare (5% -­‐ più esterna)  produce mineralcorticoidi (++ aldosterone). Formata da piccoli nidi di cellule rotondeggianti, piccole e con scarso citoplasma. Sono caratterizzate dalla presenza di mitocondri allungati con creste tubulo – laminari. L’aldosterone agisce su tubuli distali e dotti collettori stimolando il riassorbimento di Na e l’escrezione di K e H. 2) Fascicolare (70% -­‐ media)  glucocorticoidi (++ cortisolo). E’ giallastra per la presenza di pigmenti lipocromici nelle cellule e di una elevata quantità di lipidi (++ colesterolo e esteri del colesterolo). Le cellule sono disposte in cordoni paralleli, tra i quali si interpongono i sinusoidi. Le cellule hanno ampio citoplasma chiaro e assumono un aspetto schiumoso, perciò sono dette SPONGIOCITI. Sono caratterizzate microscopicamente dalla presenza di vacuoli ripieni di lipidi e mitocondri rotondeggianti. I cortisolo partecipa al metabolismo glucidico (aumento del gligogeno epatico  iperglicemia), lipidico (aumento lipolisi e lipogenesi), proteico (inibizione sintesi proteica). 3) Reticolare (25% -­‐ Interna, avvolge la midollare)  steroidi sessuali (estrogeni e androgeni). E’ di colorito giallo-­‐brunastro per la presenza di pigmenti lipocromici e melanici e per la scarsa presenza di lipidi. Le cellule appaiono COMPATTE, con citoplasma eosinofilo e granuloso e con numerosissimi mitocondri. La midollare del surrene è composta da cellule cromaffini che sintetizzano e secernono catecolamine (++ adrenalina). E’ costituita da cellule grandi, con ampio citoplasma, raccolte in ammassi e cordoni. Più esternamente ci sono cellule producesti noradrenalina, più internamente quelle producesti adrenalina (molto più numerose 10:1). Il citoplasma contiene numerosi granuli cromaffini. ATROFIA: Esistono una forma rara di atrofia dovuta a insensibilità allo stimolo dell’ACTH e una forma più frequente secondaria a riduzione o arresto dell’ACTH da parte dell’ipofisi. Questa può avvenire inseguito a danno a livello ipofisario o ipotalamico, oppure per cause iatrogene (eccessiva somministrazione cortisonici). Macroscopicamente si ha una riduzione dello SPESSORE della corticale con attenuazione del colorito giallo per deplezione lipidica. I surreni sono BILATERALMENTE diminuiti di volume e peso. Microscopicamente le cellule chiare ricche di lipidi della zona fascicolata si trasformano in cellule scure, più piccole e compatte. Il surrene atrofico non è immediatamente funzionante in seguito alla rimozione della causa che provocava ridotto o assente rilascio di ACTH perciò si avrà un primo periodo dominato da insufficienza surrenalica. IPERPLASIA: Si tratta di un aumento di spessore della corteccia surrenalica secondario solitamente a IPERSECREZIONE di ACTH. Questa può avvenire in primo luogo a causa di un adenoma funzionante dell’adenoipofisi, ma anche per la presenza di tessuto ectopico producente ACTH (soprattutto carcinoma a piccole cellule del polmone). Macroscopicamente l’ispessimento è per lo più a carico della zona fascicolata. Si distinguono: • Iperplasia diffusa  lo spessore della corteccia è uniforme è può raggiungere grandi dimensioni. Le ghiandole sono bilateralmente aumentate di volume e peso. La corteccia appare gialla a causa dell’aumento delle dimensioni e numero delle cellule contenenti lipidi. • Iperplasia nodulare  conseguenza di stimolazioni ripetute e intercorrenti dell’organo, che portano ad un alternarsi di iperplasia e ipotrofia. Col passare del tempo e il ripetersi di questi episodi, alcune zone di parenchima vanno incontro ad una iperplasia maggiore rispetto ad altre assumendo un aspetto NODULARE. I noduli hanno dimensioni da 0,5 a 2 cm e sono bilaterali, gialli e sparsi nella corteccia. Microscopicamente le cellule appaiono globose, voluminose con citoplasma assai ricco di lipidi. Una rara forma di iperplasia che può colpire la midollare è stata descritta nella sindrome di Sipple e sembra che sia la lesione che preceda l’insorgenza di focromocitoma.

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LESIONI INFIAMMATORIE E DEGENERATIVE: Possono causare insufficienze acute o croniche, nel caso che gran parte di ambedue le ghiandole venga alterata o distrutta. In caso di SEPSI si possono sviluppare emorragie surrenali che bilaterali (sindrome di Waterhouse-­‐Friderichsen). Un’estesa infiltrazione linfocitaria a livello della corticale può causare atrofia, lasciando intatta la midollare (surrenalite autoimmunitaria). Una delle più importanti cause di insufficienza surrenalica cronica è la TUBRCOLOSI: si tratta di una forma produttivo – caseosa che si sviluppa come TBC isolata d’organo. La localizzazione dei micobatteri nei surreni avviene per via ematica. Ha diverse caratteristiche peculiari: • È Bilaterale • Resta confinata alle ghiandole • Decorre solitamente come forma ISOLATA, non accompagnandosi ad altre localizzazioni della malattia (neanche nei polmoni!). Morfologicamente i surreni colpiti da TBC appaiono bernoccoluti per la presenza di multiple nodosità. I surreni si trasformano in “sacche” delimitate da connettivo fibroso, occupate da materiale caseoso necrotico con depositi calcifici. Tra le lesioni infiammatorie e degenerative del surrene le più importanti sono la SARCOIDOSI e la AMILOIDOSI (in cui il surrene è aumentato di consistenza e volume e assumono colorito grigio-­‐ giallastro). Altre forme possono essere dovute a funghi, protozoi e virus (++ citomegalovirus in neonati). SINDROMI DA IPERFUNZIONE SURRENALICA IPERCORTISOLISMO È forma di ipersurrenalismo causata da un aumento dei livelli ematici dei glucocorticoidi. La manifestazione clinica è la SINDROME DI CUSCHING. Esistono diverse cause: • Iperesecrezione di ACTH da parte di adenoipofi (adenoma ipofisario ACTH secernente, iperstimolazione da CRH). In questo caso si parla di MORBO di Cushing. • Ipersecrezione di cortisolo a causa di ADENOMA, CARCINOMA o IPERPLASIA a livello surrenale. • Secrezione ectopica di ACTH (ad es. da parte di un carcinoma a piccole cellule del polmone). • Forma iatrogena: eccessiva somministrazione esogena di steroidi. Morfologicamente le lesioni si osservano a carico dei surreni e dell’ipofisi. -­‐ IPOFISI  a seguito degli alti livelli di glucocorticoidi circolanti avviene la caratteristica lesione delle cellule ACTH secernenti, detta DEGENERAZIONE IALINA DI CROOKE: il citoplasma normalmente granuloso e basofilo delle cellule ACTH secernenti viene sostituito da materiale omogeneo e lievemente basofilo, a causa dell’accumulo di filamenti di CHERATINA. -­‐ SURRENI  possono presentare diversi quadri in base alla causa scatenante: • Atrofia corticale (vedi sopra) • Iperplasia diffusa (vedi sopra) • Iperplasia nodulare (vedi sopra) • Adenoma (vedi più avanti) • Carcinoma (raramente) (vedi più avanti) Clinicamente i primi stadi della malattia possono presentarsi con ipertensione e aumento ponderale. Con il passare del tempo si osserva la distribuzione del grasso corporeo al tronco, alla faccia (FACIES LUNARE), alla nuca e sul dorso (GOBBA DI BUFALO). Possono comparire le caratteristiche STRIE RUBRAE addominali e mammarie. Poiché ipercortisolismo causa l’atrofia delle fibre muscolari rapide si ha debolezza dei muscoli prossimali degli arti; inoltre induce iperglicemia, glicosuria e polidipsia (importante causa di diabete secondario!). Si ha ancora perdita delle fibre collagene e riassorbimento osseo (con osteoporosi) e la cute appare fragile, sottile, con tendenza all’ecchimosi. Poiché i glucocorticoidi inibiscono il sistema immunitario si ha una predisposizione maggiore alle infezioni. Infine ci possono essere distrubi mentali (cambio umore, depressione, psicosi), irsutismo e disturbi del ciclo mestruale. La diagnosi viene fatta con la misurazione del cortisolo urinario libero delle 24 ore, controllo del ritmo circadiano della secrezione di cortisolo (che appare sconvolto). IPERALDOSTEROISMO PRIMITIVO E SECONDARIO Gruppo di sindromi caratterizzate dalla cronica ipersecrezione di aldosterone. I livelli eccessivi di aldosterone provocano ritenzione di Na e escrezione di K con conseguenti IPERTENSIONE e IPOKALIEMIA. Si distinguono due forme:

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-­‐ PRIMARIO: iperproduzione autonoma di aldosterone da parte del surrene a causa di: • Adenoma surrenalico aldosterone-­‐secernente (causa Sindrome di Conn) o carcinoma (raramente). Macroscopicamente sono lesioni solitarie, piccole (< 2cm) che tendono a svilupparsi nel IV – V decennio di vita. Sono spesso nascosti all’interno della ghiandola e non ne alterano la forma ne il volume (difficile vedere con eco, TC, RM). In sezione appaiono di colore giallo chiaro. Microscopicamente sono costituiti da cellule corticali ricche di lipidi molto simili a quelle della zona fascicolata. Le cellule sono uniformi nella grandezza e nella forma e assomigliano alle cellule corticali mature. Non motrano traccia di anaplasia. Caratteristica presenza nel citoplasma dei CORPI SPIRINOLATTONICI, inclusioni eosinofile citoplasmatiche presenti dopo trattamento con antipertensivo spirinolattone. • Iperplasia surrenalica primitiva, con iperplasia nodulare bilaterale. È causa di iperaldosetronosmo idiopatico in cui è stata scoperta una causa genetica caratterizzata da una iperattività del gene CYP11B1 (gene della sintesi dell’aldosterone). Macroscopicamente è caratterizzata dall’iperplasia diffusa e focale delle cellule simili a quella della zona glomerulare fisiologica. L’iperplasia è spesso a forma di cuneo e si estende dalla periferia verso il centro. -­‐ SECONDARIO: in risposta alla attivazione del sistema renina-­‐angiotensina. La patologia è caratterizzata dalla presenza di elevati valori ematici di renina, che si possono avere per: • Riduzione della perfusione renale • Ipovolemia arteriosa ed edemi • Gravidanza • Reninoma (raro) Clinicamente i principali sintomi dell’iperaldosteronismo sono l’ipertensione e la ipokaliemia con possibile evoluzione verso la formazione di aritmie e lo scompenso cardiaco. Altri sintomi possono aversi a livello renale (con nicturia, poliuria e albuminuria). SINDROME SURRENO – GENITALE (O VIRILISMO SURRENALICO) Caratterizzata da eccesiva produzione di ormoni androgeni surrenalici. La causa principale è il deficit della 21-­‐IDROSSILASI, che impedisce una corretta sintesi sia di cortisolo che di aldosterone. Di conseguenze avviene un aumento della stimolazione da parte di ACTH che culmina in una spiccata iperplasia surrenalica e nella iperproduzione di TESTOSTERONE (unico ormone che può essere prodotto). I surreni si presentano aumentati di volume e peso e la corticale presenta un aspetto CEREBRIFORME, di colorito giallo-­‐bruno. Assenza di cellule chiare. Se ipersecrezione si verifica tra la 10° e 12° settimana di vita intrauterina le bambine nasceranno con genitali esterni con caratteristiche che simulano quelle dei maschi criptorchidi; se si verifica nei primi anni di vita, si avrà lo “pseudoermafroditismo femminile” o a “macrogenitosomia maschile”; se si verifica prima della pubertà si avrà pseudo -­‐ pubertà precoce. SINDROMI DA IPOFUNZIONE SURRENALICA INSUFFICIENZA SURRENALICA ACUTA Si tratta di un’insufficienza improvvisa con conseguente collasso cardiocircolatorio. Esistono molteplici cause di insufficienza surrenale acuta distinguibili in -­‐ PRIMITIVE: • Perdita della corticale: -­‐ Ipoplasia -­‐ Cause autoimmuni -­‐ Infezioni -­‐ Cause infiammatorie e degenerative (amiloidosi, sarcoidosi) -­‐ Carcinoma metastatico • Scompenso metabolico: -­‐ Iperplasia surrenalica congenita (deficit cortisolo e aldosterone con virilizzazione) -­‐ Inibizione farmaco – e steroido – indotta dell’ormone corticotropo o delle funzione cellulare corticale. -­‐ SECONDARIE: • Patologia ipotalamo – ipofisaria (neoplasie, infiammazioni) • Soppressione ipotalamo – ipofisaria (eccesso di steroidi esogeni). Clinicamente si può manifestare in diversi modi:

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83 -­‐ forma di CRISI  compare quando i surreni hanno esaurito la riserva funzionale e l’organismo richiede una ipersecrezione ormonale immediata da parte delle ghiandole surrenali. (es. shock). -­‐ In pazienti che assumono corticosteroidi esogeni che causano atrofia delle ghiandole surrenali e loro successiva incapacità a rispondere adeguatamente ad una richiesta improvvisa. -­‐ Come risultato di una imponente emorragia surrenalica (nei neonati dopo un parto prolungato e difficile con notevole trauma e ipossia).

SINDROME DI WATERHOUSE – FRIDERICHSEN È una sindrome rara e pericolosa caratterizzata da: -­‐ Grave infezione batterica – SEPSI IPERACUTA! -­‐ (per lo più associata a Neisseria Meningitidis e Haemophlius Influenzae). -­‐ Ipotensione rapidamente progressiva fino allo shock. -­‐ Coagulazione intravascolare disseminata con porpora diffusa per lo più a livello cutaneo. -­‐ Sviluppo rapido dell’insufficienza surrenalica associata a MASSIVA EMORRAGIA SURRENALICA BILATERALE! È una sindrome più comune nei bambini. La genesi dell’emorragia è incerta, ma si suppone che ci possa essere la crescita diretta dei batteri nei piccoli vasi del surrene. Macroscopicamente i surreni diventano dei sacchetti di sangue coagulato, con cancellazione delle precedente struttura. Microscopicamente si nota che l’emorragia inizia a livello della midollare in prossimità dei sinusoidi venosi e successivamente si estende alla corteccia. Se non viene diagnosticata in tempo porta a morte il paziente nel giro di ore o pochi giorni. INSUFFICIENZA SURRENALICA CRONICA (Morbo di Addison) Il morbo di Addison è caratterizzato da una progressiva distruzione della corteccia surrenale. Nel 90% dei casi è dovuto a 4 cause: • Adrenalite autoimmune  è la causa più comune nei paesi sviluppati. Si ha una distruzione autoimmune delle celleule STEROIDOGENICHE. È stata rilevata la presenza di AUTOANTICORPI contro enzimi della steroidogenesi (21-­‐idrossilasi e 17-­‐idrossilasi). La adrenalite autoimmune si può verificare in diversi quadri clinici: sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 1 (APS1 – mutazione del gene di regolazione autoimmune AIRE sul cromosoma 21q22), sindrome poliendocrina autoimmune di tipo 2 (APS2), malattia di Addison autoimmune isolata. Macroscopicamente le ghiandole appaiono raggrinzite in modo irregolare. Microscopicamente la corteccia contiene solo sparse cellule corticali residue immerse in una trama collassata di tessuto collagene. • Infezioni  forme micotiche e TUBERCOLARI (vedi sopra) • Sindrome da immunodeficienza acquisita • Neoplasie metastatiche  metastasi per lo più da tumore del polmone e della mammella. Morfologicamente i surreni sono ingranditi e la loro struttura è completamente nascosta dalla neoplasia infiltrante-­‐ • Altre forme rare: congenite, sarcoidosi, amiloidosi, emorragie surrenaliche. Clinicamente il morbo di Addison esordisce in maniera subdola, perché le prime manifestazioni si hanno solo quando il 90% della ghiandole è distrutto. Successivamente compaiono progressiva astenia e affaticabilità come sintomi d’esordio. Seguono sintomi gastrointestinali (anoressia, perdita peso, nausea, vomito e diarrea). In caso di sindrome surrenalica primitiva, la ipersecrezione di ACTH stimola i melanociti con conseguente IPERPIGMENTAZIONE della cute. La ridotta secrezione dei mineralcorticoidi risulta in iperkaliemia, iponatriemia, ipotensione e ipovolemia. In queste condizioni un qualsiasi STRESS (shock, intervento chirurgico, trauma infezione, ecc) possono far precipitare la situazione in CRISI surrenalica acuta con dolori addominale, ipotensione, vomito incontrollabile, collasso vascolare e coma! TUMORI SURRENE (VEDI DISP. MINGAZZINI)

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FEGATO E VIE BILIARI (Ascenzi e Robbins) Alcune lesioni istologiche elementari importanti NECROSI Ricordare le alterazioni di base del nucleo nella necrosi: • Picnosi: Riduzione progressiva del nucleo per perdita di materiale nucleare più intensamente colorabile. • Carioressi: Frammentazione del nucleo in zolle di varia grandezza. • Cariolisi: Il nucleo si disgrega in zolle di piccole dimensione e si scioglie nel citoplasma. • Vacuolizzazione nucleare: Disintegrazione circoscritta a certe zone del nucleo; Attivazione enzimi idrolitici intranucleari o distruzione diretta degli acidi nucleici. MICROSCOPICAMENTE: -­ Necrosi Parcellare o a facolaio: si incontra più frequentemente nell’epatite virale acuta. È una necrosi litica in cui e lesioni interessano gruppi di POCHI elementi cellulari e sono sparse nel lobulo. I focolai sono presto infiltrati da cellule infiammatorie (linfociti, granulociti e istiociti). Possono ritrovarsi corpi di Councilman. La necrosi focale è “A SPOTTING”, casuale nel singolo lobulo. Si ha interessamento solo endolobulare. -­‐ Necrosi della membrana limitante: è una necrosi a focolaio con particolare localizzazione alle aeree periferiche del lobulo, che risulta di aspetto “sbocconcellato” (rosicchiato) al limite verso il connettivo degli spazi porto-­‐biliari. Tipica di epatite cronica e cirrosi. -­ Necrosi Zonali: interessano una fascia circolare nel lobulo in zona: centrale, intermedia o periferica. Dovuta a fattori tossici o ipossici. -­ Necrosi zonale centrolobulare: colpisce gli epatociti situati nella fascia circostante a vena centro lobulare. Si manifesta solitamente in caso di intossicazioni da idrocarburi e ipossia nella congestione passiva. -­ Necrosi zonale Intermedia: interessa una fascia circolare interposta tra le aree centrolobulari e le aree periferiche del lobulo. Caratteristico della febbre gialla e intossicazione da berillio. -­ Necrosi zonale periferica: interessa le aree più esterne del lobulo, attorno agli spazi porto-­‐ biliari. Dovuta per lo più ad agenti tossici come i fosforo, a eclampsia, a colestasi da ostacolo extraepatico. -­ Necrosi confluenti: interessano aree più estese rispetto alle parcellari. A seconda della loro distribuzione topografica si possono distinguere in: • A PONTE  caratteristiche di epatiti virali e croniche. Essa è definita a ponte poiché coinvolge un’intera banda di epatociti. Possono esistere: a) necrosi a ponte porto-­‐biliari: si estendono tra spazi porto biliari adiacenti, lungo le zone 1 di due lobuli vicini. b) n. a ponte porto-­‐centrali: si estendono tra territori situati tra uno spazio porto-­‐biliare e la vena centrolobulare di un lobulo adiacente, e interessano per o più aree di zona 3. c) n. a ponte centro-­‐centrali: colpiscono aree comprese tra vene centrali di due louli vicini e interessano aree di zona 3. • NECROSI SUB-­‐MASSIVE  colpiscono la maggior parte del lobulo in maniera irregolare. • NECROSI MASSIVE  coinvolge praticamente tutti i lobuli estendendosi a tutto il parenchima epatico. MACROSCOPICAMENTE: Sono più evidenti le necrosi confluenti, sub-­‐massive e massive. Nelle forme massive il fegato risulta rimpicciolito (++ a carico del lobo sinistro) e diminuito di peso (fino a 500g). Se il processo però avviene velocemente paradossalmente è possibile che l’organo appaia ingrandito e aumentato di peso. La consistenza è flaccida e spesso la capsula appare grinzosa. Nelle forme sub-­‐massive ci sono aree più o meno ampie di parenchima interessato dalla necrosi. Nelle zone di necrosi il disegno lobulare è completamente cancellato; le zone appaiono di colorito giallastro spesso con porzioni variegate di rosso per stravasi emorragici e di verde per imbibizione biliare. In seguito a necrosi si può avere: fibrosi (con formazione di setti attivi o passivi), rigenerazione (per iperplasia epatocitaria compensatoria), formazione di noduli rigeneranti intrappolati tra setti fibrosi.

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STEATOSI I lipidi di deposito sono costituiti fondamentalmente da TRIGLICERIDI. Nella cellula epatica essi compaiono sottoforma di piccole vescicole disperse nello ialoplasma. La statosi epatica consiste in un accumulo di lipidi di deposito all’interno degli epatociti. Normalmente questi vengono complessati a liporproteine specifiche e secreti dalla cellula. Un eccessivo accumulo di lipidi però può avvenire per diversi difetti: - Trasporto al fegato di eccessive quantità di acidi grassi liberi - Aumentata sintesi di acidi grassi (per aumentato apporto con la dieta o per ipercatabolismo di glicidi e proteine) - Diminuita ossidazione di acidi grassi (a causa di una deficiente ossigenazione  anemia croniche, stasi venosa, intossicazioni da monossido di carbonio, insufficienza respiratoria, ecc.)+ - Aumentata esterificazione degli acidi grassi a trigliceridi (per aumento della α-­‐ glicerofosfato) - Diminuita produzione di apoproteine (con successiva riduzione della trasformazione dei trigliceridi il lipoproteine e quindi ridotta escrezione) Esistono due forme anatomopatologiche distinte: 1)MACROVESCICOLARE: causata soprattutto da alcolismo, malnutrizione, diabete mellito, obesità, malassorbimento, farmaci, tossine. Microscopicamente il viscere appare aumentato di volume e il suo peso può raggiungere anche il doppio del normale. I margini sono arrotondati, la capsula tesa, il parenchima ha colorito giallo e consistenza pastosa e aspetto opaco alla superficie di sezione. Microscopicamente si notano epatociti ingranditi, con citoplasma occupato da una grossa gocciola di grasso che sposta il nucleo in posizione periferica. Queste cellule si comprimono reciprocamente e restringono il lume dei capillari sinusoidi (conseguente pallore macroscopico). La goccie di grasso si colorano con colorazioni tipo SUDAN III che colora i trigliceridi di arancione. 2) MICROVESCICOLARE: si osserva in diverse situazioni come la degenerazione acuta in gravidanza, danni INIZIALI da alcol, da farmaci o altri tossici. E’ caratteristica delle superinfezioni da virus delta. Una patologia particolare in grado di causare questa statosi è la sindrome di Reye. Si tratta di’epatopatia associata a encefalopatia grave sostenuta da edema ed ernie cerebrali. Insorge tra i 6 mesi e i 15 anni. L’eziologia è ignota. Porta a morte in pochi giorni per complicazioni dovute alla ipertensione endocranica. Microscopicamente il fegato appare poco o per nulla ingrandito e la sua consistenza è flaccida. Dopo il taglio di un fegato steatosico la lama risulta UNTA e se si preme su parenchima c’è una caratteristica IMPRONTABILITA’. Il fegato è ben palpabile e i soi margini sono arrotondati. Microscopicamente le gocce lipidiche sono più piccole di quelle della forma macrovescicolare, perciò il nucleo cellulare riesce a mantenere una posizione centrale. Spesso entrambe le forme sono presenti contemporaneamente. Dal punto di vista clinico statosi LIEVI possono essere poco rilevanti, poiché non sono associati con evidenti manifestazioni di insufficienza epatica. Lesioni più GRAVI possono portare ad alterazioni funzionali più evidenti, anche se la statosi in se per se è comunque spesso reversibile dal punto di vista morfologico. Se la statosi si complica con necrosi cellulare, lo stadio successivo sarà caratterizzato dalla deposizione di materiale fibroso con evoluzione verso la cirrosi. IALINOSI È un’alterazione caratterizzata al microscopio ottico da un aspetto microscopico ANISTO (non strutturato) e nettamente acidofilo. Le più comuni alterazioni ialine della cellula epatica sono: • CORPI DI MALLORY: sono inclusioni ialine di forma irregolare presenti nel citoplasma degli epatociti soprattutto in corso di epatopatia alcolica. Al M.E. risultano costituite da un intreccio di filamenti di precheratina immersi in una matrice amorfa. • CORPI DI COUNCILMAN: sono cellule ialine contenenti resti nucleari picnotici, i quali scompaiono in seguito per estrusione. Al M.E. il materiale ialino appare costituito di ialoplasma (parte del citoplasma che al microscopio appare amorfa) e di residui fortemente osmiofili e raggrinziti di organelli citoplasmatici. Questi corpi si trovano nei sinusodi e/o fagocitati nelle cellule del Kupffer.

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ITTERO (Ciclo bilirubina da wikipedia) Per ittero si intende la colorazione giallastra della cute, delle sclere e degli occhi in conseguenza ad un eccesso di bilirubina nel sangue. Per essere visibile il livello deve superare 3-­‐5 mg/dL (ittero franco); al di sotto di questo valore si può apprezzare per lo più solo a livello delle sclere (sub-­‐ittero). La bilirubina è il prodotto finale del catabolismo della degradazione dell’emoglobina. L'emoglobina contenuta negli eritrociti viene catabolizzata, con rottura del suo caratteristico anello protoporfirinico e l'eme che viene liberato grazie all'eme-­‐ossidasi viene convertita in biliverdina.Con distacco del ferro e globina. La biliverdina a sua volta viene tasformata in bilirubina grazie ad un enzima citosolico detto biliverdina-­‐reduttasi. Questa bilirubina è detta "non coniugata" (o "indiretta") ed è insolubile, quindi per essere trasportata all'interno del sangue deve essere legata ad una proteina sierica prodotta dal fegato, l'albumina. Assieme all'albumina, la bilirubina non coniugata raggiunge il fegato dove viene internalizzata grazie alla presenza di una proteina vettrice epatica chiamata ligandina. Il deficit ereditario di questa proteina vettrice si manifesta con un'iperbilirubinemia congenita benigna (Sindrome di Gilbert). Nel fegato la bilirubina viene coniugata ad una proteina citosolica, glutatione-­‐S-­‐trasferasi (GST). Questo processo è catalizzato da un enzima microsomiale detto uridine diphosphoglucuronyl transferase (UDPGT) e ne deriva la bilirubina monoglucuronide e la bilirubina diglucuronide. Il deficit ereditario di questo enzima è la causa della sindrome di Crigler-­‐Najjar, che si manifesta con ittero severo e persistente. La bilirubina cosi coniugata è resa solubile e viene quindi escreta dell'epatocita nella bile, e viene riversata nell'intestino, passa nel colon dove viene parzialmente trasformata in urobilinogeno. Esistono due tipi di classificazione: -­‐ ETIOPATOGENETICA: in base ai meccanismi e cause • Itteri emolitici  eccessiva distruzione dei globuli rossi con consengente iperproduzione di bilirubina indiretta (non coniugata). Per EMOLISI intra-­‐ o extra-­‐vascolare. • Itteri epatocellulari  Dovuti ad alterazioni dell’epatocita con aumento della bilirubina DIRETTA e/o INDIRETTA (rispettivamente per difetto di escrezione della bilirubina coniugata e per difetti di captazione e/o coniugazione). • Itteri colestatici (o ostruttivi)  dovuti ad alterazione del deflusso della bile lungo le vie biliari. La bilirubina è prevalentemente DIRETTA. -­‐ FISIOPATOLOCA: si basa sulla FORMA della bilirubina (coniugata o non coniugata) che causa ittero. Per il riconoscimento del tipo di iperbilirubinemia si ricorre alla REAZIONE Di VAN DER BERGH. 1) Itteri da bilirubina prevalentemente NON CONIUGATA: si tratta di un ittero in cui circa l’80% della bilirubina totale mostra una reazione indiretta. Questo ittero può essere causato da: • Aumentata produzione di bilirubina indiretta  in seguito ad anomala distruzione dei globuli rossi con iperproduzione di bilirubina indiretta che gli epatociti non sono in grado di compensare con meccanismi di assunzione e coniugazione. La forte distruzione dei G.R. avviene essenzialmente per due motivi: EMOLISI INTRAVASCOLARE (es. errori trasfusionali, malattie del sangue) e EXTRAVASCOLARE (quando vengono assorbite grosse quantità di Hb da ematomi, infarti emorragici, versamenti in cavità sierose, ecc.) • Diminuita assunzione negli epatociti  In caso di malattia dell’epatocita non vengono meno le capacità di assunzione, coniugazione e escrezione della bilirubina. • Diminuita coniugazione  questa può essere dovuta a cause GENETICHE e ACQUISITE. Le cause genetiche più importanti sono: -­‐ Sindrome di GILBERT (autosomico dominante) in cui è presente una ridotta assunzione della bilirubina diretta e una deficienza di uridin-­‐difosfato-­‐glicuronil-­‐transferasi con conseguente difetto di coniugazione. -­‐ Sindrome di CRIGLER-­‐NAJJAR: difetto di coniugazione per deficit del sistema uridin-­‐ difosfato-­‐glicuronil-­‐transferasico. Può presentarsi clinicamente in due modi: TIPO 1 (autosomico recessivo, con deficienza pressoché totale dell’enzima, porta a morte di solito nell’infanzia) e TIPO 2 (autosomico dominante, con difetto più lieve e manifestazioni cliniche modeste). Le cause acquisite più importanti sono: -­‐ Danni epatocellulari (epatiti, cirrosi, tutti i casi in cui si riduce il parenchima epatico funzionante) -­‐ Ittero fisiologico del neonato a causa della immaturità del sistema di coniugazione.

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2) Itteri a bilirubina prevalentemente COINUGATA: si tratta di un ittero in cui oltre il 50% della bilirubina totale mostra una reazione diretta. Si può avere per: • Diminuita escrezione delle bilirubina coniugata a livello epatocellulare. Questo accade spesso in alcune sindrome ereditarie trasmesse come carattere autosomico recessivo, che hanno come manifestazione clinica peculiare ITTERO + BILINURIA (comparsa in età adulta): -­‐ Sindrome di DUBIN-­‐JOHNSON-­‐SPRINZ-­‐NELSON  il fegato appare bruno scuro o verde-­‐nerastro. Microscopicamente si nota la presenza di un pigmento di tipo lipofuscinico accumulato per lo più nei lisosomi. -­‐ Sindrome di ROTOR  è simile alla precedente, ma manca la pigmentazione brunastra del fegato. • COLESTASI: si intende un ostacolo al deflusso della bile in qualsiasi punto del suo decorso intra-­‐ ed extraepatico, dalla sua uscita dall’epatocita al suo sbocco in duodeno. Gli itteri col estatici hanno alcune caratteristiche peculiari: iperbilirubinemia DIRETTA con frequente associazione di iperbilirubinemia INDIRETTA (per danno cellulare dovuto spesso alla colestasi stessa); ristagno e passaggio in circolo anche di altri componenti della bile (acidi e sali biliari  PRURITO E BRADICARDIA e colesterolo  dislipidemia e deposizioni cutanee dette XANTOMI); feci IPOCOLICHE o ACOLICHE; Urine IPERCROMICHE. Si distinguono diverse tipi di colestasi: -­‐ Da ostacolo EXTRAEPATICO: calcoli, tumori, stenosi infiammatorie, compressioni, parassitosi, atresia dotti biliari. -­‐ Da cause INTRAEPATICHE (“pura”): assunzione di farmaci, ittero ricorrente della gravidanza, cirrosi biliare primitiva. -­‐ Da cause INTRAEPATICHE CON DANNO agli epatociti: epatiti virali, epatopatie tossiche. Microscopicamente la colelitiasi mostra delle lesioni caratteristiche. I reperti abituali: a) Ritenzione di pigmento biliare nel citoplasma e nelle cellule del Kupffer. Se la colestasi è molto pronunciata il citoplasma può assumere un aspetto chiaro e sfilacciato detto DEGENERAZIONE PIUMOSA per la presenza di vacuoli. Al. M.E. si nota che i vacuoli contengono cristalli liquidi di acidi biliari e fosfolipidi. b) Alterazioni ultrastrutturali del polo biliare con lesioni dei microvilli e disorganizzazione dei filamenti di actina. c) Trombi biliari per l’accumulo di bile addensata in capillari biliari dilatati. d) Laghi biliari, cioè stravasi di bile alla periferia del lobulo. e) Infarti biliari, cioè necrosi epatocellulare dovuta a danno citotossico a livello degli stravasi biliari. ALTERAZIONI DEL CIRCOLO (ASCENZI) -­ Alterazioni in DIFETTO: ANEMIA  situazione generale in cui si verifica una riduzione della quantità di Hb nell’intero organismo, in seguito a diminuzione della massa sanguigna, del numero dei G.R. o del pigmento ematico in essi contenuto. L’anemia determina (come in tutti gli altri organi) IMPALLIDIMENTO DEL VESCERE. Nelle forme acute (shock, emorragie massive) possono comparire microscopicamente quadri di NECROSI CENTROLOBULARE. Nelle forme croniche prevalgono fenomeni di STEATOSI localizzati nella zona 3 più sensibile ai difetti di nutrizione e ossigenazione. ISCHEMIA  Consistono nella diminuzione del flusso ematico al viscere, con conseguenti fenomeni di IPOSSIA “ISCHEMICA”. L’ipossia si può generare per diversi motivi: -­‐ Occlusione della vena porta e dei suoi rami intraepatici causata da fenomeni infettivi, ostacoli alla circolazione epatica (cirrosi), trombosi neoplastiche, compressione estrinseche, lesioni traumatiche. Le conseguenze generalmente non sono gravi perché il flusso sanguigno è garantito dalla arteria epatica. Si possono osservare per lo più impallidimento, diminuzione della produzione di bile, in casi più gravi ipotrofia del viscere. -­‐ Infarto emorragico di ZAHN: si osserva quando alla trombosi portale si associa una diminuzione della “vis a tergo” del sangue circolante nel fegato per contemporanea riduzione dell’afflusso ematico nella arteria epatica. Macroscopicamente la lesione appare come un’area piramidale o conica con apice verso l’ilo, di colorito rosso-­‐scuro cianotico e con margini netti. Microscopicamente si capische che non si

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tratta di un vero infarto, perché non ci sono necrosi ed emorragia, bensì dilatazione e congestione dei sinusoidi con ipotrofia delle travate epatocellulari. La lesione evolve con la riduzione del parenchima colpito e la sua sostituzione con tessuto fibroso. -­‐ Occlusione dell’arteria epatica e dei suoi rami: un evento molto raro che può essere dovuto a trombo embolie, traumi, esiti di interventi chirurgici. Avviene un INFARTO ISCHEMICO con lesione macroscopicamente di colore grigiastro, con margini netti, spesso circondati da un alone giallo di steatosi. Microscopicamente le strutture sono completamente cancellate per la necrosi. -­‐ Shock: il fegato è danneggiato da tutti gli shock associati a una riduzione di fusso sia nell’arteria epatica che nella vena porta. Caratteristica è la DISOMOGENEITA’ delle lesioni (nel viscere si individuano fenomeni di ischemia localizzata). Macroscopicamente le alterazioni di circolo si manifestano con gli aspetti di una steatosi, che può risultare evidente in una o più aree di forma piramidale con apice verso l’ilo. Microscopicamente si possono rilevare aree di necrosi centro lobulare distribuite nelle zone 3. Ci può essere una blanda ma diffusa infiltrazione flogistica. Alterazioni in ECCESSO IPEREMIA: Si distinguono: -­‐ ATTIVA  si può verificare in stati di pletora sanguigna (aumento della massa sanguigna in maniera inusuale) o come manifestazione di processo infiammatorio. Avviene fisiologicamente durante la digestione. -­‐ PASSIVE  diverse forme: • Fegato da STASI: quando c’è una insufficienza cardiaca congestizia (retrograda), la difficoltà di deflusso nel cuore destro si ripercuote prima di tutto sul fegato che è in grado di immagazzinare circa ¼ della massa sanguigna circolante. Si distinguono CONGESTIONE PASSIVA ACUTA  Macroscopicamente: fegato aumentato di volume, con sfumatura rosso-­‐cupa intensa e diffusa, abbondante contenuto ematico che sgorga alla sezione; microscopicamente: dilatazione dei sinuosoidi infarciti di elementi del sangue, ipotrofia epatocita ria da compressione e ipossia. CONGESTIONE PASSIVA CRONICA  Macroscopicamente nello stadio iniziale compare sulla superficie di sezione una VARIEGATURA con punteggiatura rosso-­‐cupa resa evidente dal contrasto con la steatosi che interessa le aree periferiche dei lobuli: “FEGATO A NOCE MOSCATA”. Si nota iportrofia e atrofia cellulare e dilatazione dei capillari che si rendono più manifeste in sedi particolari dette “VIE DELLA STASI”, costituite dalle zone 3 le quali descrivono anelli rosso cupo attorno ad aree gialle di steatosi del parenchima periportale (“inversione del lobulo”). Negli stadi avanzati si sviluppano fibrosi e poi fenomeni necrotici con tendenza alla cicatrizzazione e alla retrazione, la capsula risulta ispessita e il fegato aumentato di consistenza. Possono essere presenti fenomeni di IPERPLASIA della zona 1 che si notano come aree biancastre denominate “A FOGLIA DI FELCE”. Microscopicamente la presenza di aree di rigenerazione nodulare da luogo a quadri di disordine strutturale simili alla cirrosi. In casi di pericardite costrittiva si può avere una pseudocirrosi pericardica, in cui il fegato sembra coperto da una glassatura (FEGATO A ZUCCHERO CANDITO). • Sindrome di BUDD – CHIARI: processo morboso caratterizzato da ostacolo al deflusso venoso nelle vene sovraepatiche. Si ha una congestione passiva grave, con particolare impronta necrotico-­‐emorragica pronunciata nelle aree centrolobulari. Le condizioni in cui questa sindrome si può verificare sono: endoflebite obliterante primitiva delle vene sovraepatiche; stenosi e atresie congenite nel punto di sbocco delle vene sovraepatiche nella cava inferiore; trombosi asettiche, infettive o neoplastiche; compressioni esterne esercitate da neoformazioni cistiche, tumorali, ascessuali, cicatriziali, ecc.; embolie retrograde a partenza dall’atrio destro del cuore. Le manifestazioni cliniche si distinguono in acute (addome acuto + shock, con possibile esito letale) e croniche (quadro di ipertensione portale). • Malattia VENO-­‐OCCLUSIVA: del tutto simile alla precedente, da cui si distingue solo per il fatto che le lesioni venose sono sempre intra-­‐epatiche radicolari, a carico delle vene sottolobulari, con fibrosi sub-­‐endoteliale che può progredire fino alla ialinosi del vaso e la sua completa occlusione.

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89 EMORRAGIE: si possono avere emorragie anche non dovute a traumi, ma alla patologia spontanea. Sono di lieve entità, ma multiple, che compaiono nel corso di diatesi emorragiche, infezioni (tifo e difterite), intossicazione, eclampsia. EPATOPATIE INFETTIVE E INFIAMMATORIE (ASCENZI) Rientrano in questo spettro di patologie le epatiti propriamente dette, la colangiti e le alterazioni ascessuali. 1) Epatiti propriamente dette: si tratta di affezioni che interessano primitivamente il parenchima e lo stroma del fegato compartecipazione secondarie del sistema di escrezione della bile. Esistono molte forme di epatiti: -­ EPATITI VIRALI: sono attualmente suddivise sulla base degli agenti causali: • Epatite A: causata da un Enterovirus della famiglia dei Picornavirus, virus a RNA che si trasmette attraverso quattro vie: cibo, dieta, mosche, feci (solitamente in seguito ad ingestione di alimenti infetti (++ molluschi)). Dopo un periodo di incubazione di un mese in mese in media compaiono nel siero gli anticorpo anti-­‐HAV di tipo IgM, in concomitanza con la comparsa di ITTERO. Ha un effetto citopatico diretto, non cronicizza e guarisce normalmente senza terapia, se non guarisce si ha il decesso (senza vie di mezzo). • Epatite B: causata da Hepadnavirus, un virus a DNA a doppia elica. È una particella costituita da un nucleo (CORE) circondato da un involucro superficiale (COAT), nota come particella di DANE. Il core è formato da DNA e proteine antigeniche (HBcAg e HBeAg)) e da DNA-­‐polimerasi. Il coat contiene materiale antigenico detto antigene di superficie (HBsAg). Nel siero degli individui affetti sono contenute particelle sferoidali e particelle filamentose costituite da materiale dell’involucro prodotto in eccesso rispetto a quello del core. L’infezione si trasmette tramite tutti i LIQUIDI ORGANICI (sangue, saliva, urina, feci, sperma, secreto vaginale, ecc.) sebbene in passato si credeva che fosse trasmissibile solo per via percutanea con strumenti venuti a contatto con siero infetto (scambio di siringhe tra tossicodipendenti). Dopo alcune settimane dal contatto compare HBsAg nel siero e dopo 1-­‐6 mesi dalla penetrazione del virus compare ITTERO, aumento delle transaminasi, dispepsia post-­‐prandiale. La presenza di anticorpo anti HBs si osserva settimane o mesi dopo la SCOMPARSA di HBsAg e rappresenta l’inizio della GUARIGIONE CLINICA (restano per tutta la vita). La presenza di anticorpi anti HBc avviene dopo circa 1 mese dalla comparsa di HBsAg, quando iniziano i SINTOMI. La comparsa di HBeAg segue quella di HBsAg e precede la sua scomparsa, indicando l’infezione virale attiva in corso e facimente trasmissibile. Il virus HBV NON è citopatico diretto. La infezione da HBV può essere definita ATTIVA (se è presente infiltrato infiammatorio negli spazi portali), EVOLVENTE IN CIRROSI, PERSISTENTE. • Epatite C: Virus a RNA, con rivestimento lipidico, appartenente al gruppo dei flavi virus. L’infezione si trasmette per via PERCUTANEA tramite il sangue (comune in tossicodipendenti, dializzati, dopo trapianti e nel 90% dei casi dopo trasfuzione), ma è possibile anche una trasmissione per via orale. Il periodo di incubazione varia da 2 settimane a 6 mesi. Tramite PCR è possibile identificare la presenza di RNA virale, che resta nel siero che può durare poche settimane oppure rimanere anche dopo l’aumento delle transaminasi e la comparsa di anticorpi anti HCV. Il sangue contenente questi anticorpi ha ancora potere infettante. Nell’epatite C è presente la STEATOSI (assente in B e A), prevalentemente di tipo macrovescicolare (ma in realtà è MISTA con prevalenza macrovescicolare) • Epatite D: è un piccolo virus satellite contenente RNA ricoperto da HBsAg. La caratteristica peculiare di questo virus è che NECESSITA DELL’INFEZIONE CONTEMPORANEA DA PARTE DI HBV! Si possono avere due modelli di infezione: una COINFEZIONE se HBV e HDV infettano contemporaneamente un individuo, oppure una SUPERINFEZIONE se HDV si va a sovrapporre ad una infezione da HBV già attiva. Segue le stesse vie di trasmissione di HBV. La presenza di HDV è rilevata dalla comparsa nel siero di soggetti HBsAg-­‐positivi di antigene HDAg e dell’anticorpo anti-­‐HD.

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Epatite E: virus a singolo filamento di RNA senza involucro. Si trasmette con modalità simili a HAV (spesso per contaminazione fecale delle acque). Presenza frequente nelle donne in gravidanza. L’infezione virale causa danno epatico in diversi modi: -­‐ DANNO CITOPATICO DIRETTO: (++ HAV, HDV e HEV) -­‐ DANNO EPATOCELLULARE SU BASE IMMUNOLOGICA CELLULO – MEDIATA: meccanismo più probabile per HBV e forse HAV. Gli antigeni virali sono il bersaglio della reazione immunitaria che si esplica mediante la azione di linfociti T e macrofagi. Se questa reazione è troppo forte da eliminare sia antigene che virus, distruggendo le cellule infette (detta “intensità adeguata”) si svilupperà una EPATITE ACUTA, che porta usualmente a guarigione completa anche se avviene la perdita di un certo numero di epatociti.; in caso di risposta “inadeguata” non tutte le cellule vengono distrutte e il virus perdura per lungo tempo causando EPATITE CRONICA; se la risposta immunitaria è deficitaria si osserva una persistenza dell’infezione e della contagiosità, che caratterizzano lo stato di PORTATORE; se la risposta è di enorme intensità, detta “iperimmune”, può portare a distruzione massiva degli epatociti con la violenta conseguenza di EPATITE FULMINANTE (esito spesso letale per grave insufficienza epatica). -­‐ REAZIONE AUTOIMMUNITARIA: è possibile anche la presenza di una reazione stimolata da autoantigeni lipoproteici presenti sulle membrane cellulari dell’epatocita e normalmente nascosti. Il virus potrebbe agire permettendo la espressione di questi antigeni sulla superficie cellulare. Clinicamente si assiste a diversi quadri: -­‐ STATO DI PORTATORE: i portatori asintomatici non presentano segni clinici o laboratoristici riferiti a malattia epatica. Lo stato di portatore si verifica quando il virus si replica ma non c’ necrosi e questo può accadere in paziente immnodepressi o se gli anitigeni non sono espressi sugli eptociti. In caso di infezione da HBV una biopsia epatica effettuata per altri motivi può dimostrare la presenza di HBsAg nel citoplasma e HBcAg nel nucleo degli epatociti. Il preparato istologico con colorazione a base di ematossilina – eosina mostra un aspetto finemente granulare ed eosinofilo del citoplasma (paragonato al “vetro smerigliato”, che è il corrispettivo al microscopio ottico di una notevole dilatazione del reticolo endoplasmatico liscio); i nuclei ricchi di HBcAg possono presentare piccoli vacuoli (“nuclei sabbiati”). -­‐ EPATITE ACUTE: questa definizione si basa sulla DURATA DEI SINTOMI. L’epatite virale si definisce acuta quando le manifestazioni cliniche durano meno di 6 mesi. L’epatite acuta è causata nel 40-­‐45% dei casi da HAV e nel 30-­‐35% da HBV (a volte associato a HDV). È solitamente benigna e porta a guarigione completa in 1 – 2 mesi. Raramente si può avere una evoluzione verso epatite fulminante: 0,2% nell’epatite A, 1-­‐2% nell’epatite B, 4% epatite B + D, 3% nell’epatite E che però raggiunge il 20% nelle donne in gravidanza. Si possono distingure due forme: ATROFIA GIALLA ACUTA (FULMINANTE), anche se questo termine è sbagliato poiché non si tratta di atrofia, ma di necrosi e non necessariamente sarà gialla e/o fulminante; SINDROME EPATICA ACUTA BENIGNA AUTOLIMITANTESI. Macroscopiacamente il viscere risulta ingrandito, molle, con una sfumatura verdastra più o meno intensa in rapporto con il grado di iperbilirubinemia. Microscopicamente si notano: • Alterazioni epatocitarie diffuse con rigonfiamento cellulare con citoplasma chiaro per distensione idropica, che caratterizzano il quadro di DEGENERAZIONE BALLONIFORME. • Alterazioni epatocitarie a focolaio: -­‐ DEGENERAZIONE IALINA TIPO COUNCILMAN  sono cellule ialine contenenti resti nucleari picnotici. Il materiale ialino risulta costituito da una condensazione di ialoplasma e di residui fortemente osmio fili e raggrinziti di organelli citoplasmatici. Questi corpi si trovano solitamente nei sinusoidi o nelle cellule del Kupffer.; -­‐ NECROSI LITICA CON DISTRIBUZIONE PARCELLARE che interessa cellule singole o piccoli gruppi circondati da linfociti (“peripolesi”). • Modificazioni di ordine infiammatorio: peripolesi intralobulare e ATTIVAZIONE DELLE CELLULE DEL KUPPFER che appaiono rigonfie e fagocitanti materiale cellulare. • Infiltrazione infiammatoria degli spazi porto-­‐biliari con accumulo di linfociti, macrofagi, rari granulociti eosinofili e neutrofili. • Fenomeni RIGENERATIVI • Disordini della struttura lobulare conseguenti a degenerazione balloniforme, infiltrazione infiammatoria e processi rigenerativi. •

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Segni morfologici della COLESTASI non sono sempre presenti, ma quando c’è si manifestano come una forte risposta infiammatoria con interessamento dei duttili biliari negli spazi porto-­‐biliari. Normalmente l’evoluzione è verso la guarigione ed è caratterizzata dalla scomparsa di fenomeni degenerativi e detriti necrotici, dal riassorbimento dell’infiltrato infiammatorio e dal riordinamento delle strutture trabecolari. -­ EPATITI CRONICHE: un’epatite si definisce cronica se la durata dei sintomi dura da oltre 6 mesi. La frequenza della cronicizzazione varia a seconda del virus che causa l’epatite: quasi nulla in caso di HAV e HEV, 1-­‐10% in caso di HBV, ben oltre il 50% in caso di HVC, 80% in caso di associazione HBV + HDV. La natura dell’HCV è diversa da HAV e HBV. L’epatite B è data dalla perdita di un equilibrio tra il virus e la difesa dell’ospite. L’evoluzione verso la cronicità è data dall’entità della risposta immune. Nell’epatite C l’HCV è di natura MUTABILE e produce fenotipi immunitari diversi che non sono riconosciuti dall’ospite. HCV produce autonomamente la proliferazione epatocellulare. Macroscopicamente il fegato appare ingrandito, con sfumatura verdastra (se c’è colestasi) o giallognola (se c’è steatosi), superficie granulosa e consistenza lievemente aumentata in rapporto con il grado di fibrosi. Microscopicamente le epatiti croniche possono essere considerate LIEVI, MODERATE, SPICCATE, GRAVI a seconda della assenza/presenza e della entità di indicatori di attività e di evoluzione in fibrosi. Gli INDICATORI DI ATTIVITA’ sono l’infiltrazione infiammatoria degli spazi porto-­‐biliari, la necrosi coinvolgente la membrana limitante, la necrosi parcellare intralobulare, la necrosi a ponte o in più acini. Gli INDICATORI DI EVOLUZIONE IN FIBROSI sono l’allargamento degli spazi porto-­‐biliari, i setti connettivali a ponte, la circoscrizione da parte di questi setti di aree nodulari (inizio della cirrosi!). Un marker utile per verificare l’attività dell’epatite cronica è la “epatite dell’interfaccia”: si tratta della presenza di necrosi vicino alo spazio portale (detta necrosi a BOCCONE o PIECEMEAL NECROSIS). Questa necrosi cresce verso l’interno andando ad isolare una parte del lobulo dalla vascolarizzazione; si forma uno PSEUDOLOBULO che a le stesse caratteristiche del lobulo, ma è seza vascolarizzazione. La diagnosi eziologica è fatta per lo più in base a dati clinici, anamnestici e laboratoristici. La diagnosi istologica può essere utile per lo più per HBV (aspetto a vetro smerigliato). La differenza fra epatite attiva e persistente è data dal rapporto dell’infiltrato con il parenchima circostante. ALTRE EPATITI VIRALI: se non meglio specificato per “epatite virale” si intende una epatite causata da un virus puramente epatotropo (quelli trattati nel paragrafo precendente). Tuttavia esistono epatiti causate da infezioni virali in cui il fegato non è normalmente il bersaglio principale: -­‐ MONONUCLEOSI INFETTIVA  in corso di infezione con Epstein-­‐Barr virus si può avere una epatite ITTERICA mediata da meccanismi immunologici. Le lesioni istopatologiche presenti sono rappresentate da infililtrazioni infiammatorie negli spazi porto-­‐biliari e anche in sede intralobulare, con piccoli focolai sparsi di necrosi parcellare. -­‐ FEBBRE GIALLA  da Arbovirus (Virus Dengue). È una malattia febbrile con ittero e sindrome emorragica, spesso letale. Macroscopicamente il fegato appare di colorito giallo pallido con screziature emorragiche, di consistenza molle. Alla sezione si nota un offuscamente del disegno lobulare. Microscopicamente le lesioni caratteristiche sono: necrosi zonale, corpi di Councilman, detriti intranucleari acidofili. -­‐ EPATITE ERPETICA  da virus Herpes simplex nel neonato. In pochi giorni può insorgere una malattia grave con tumefazione epatica, ittero e sindrome emorragica. Nel fegato sono presenti focolai miliari formi di necrosi e corpi inclusi in epatociti sofferenti. -­‐ EPATITE DA CITOMEGALOVIRUS  in neonato e adulti con AIDS. Gli epatociti sono notevolmente ingranditi e presentano spesso corpi inclusi nucleari. Questi sono separati dalla cromatina per interposizione di uno spazio chiaro e conferiscono al nucleo un caratteristico aspetto a “occhio di uccello”. ALTRE EPATITI •

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-­ EPATITE TUBERCOLARE  l’infezione TBC del fegato avviene sempre nel periodo POST-­‐ PRIMARIO e per via ematogena. Il fegato mostra la presenza di NODULI MILIARI e focolai nodulari conglomerati di maggiori dimensioni. -­‐ EPATITI GRANUOMATOSE: SARCOIDOSI  è l’affezione che viene considerata più frequentemente alla base della comparsa di lesioni granulomatose epatiche. I granulomi sono rappresentati da accumuli di cellule dell’infiammazione cronica di dimensioni microscopiche. Prevalgono gli istiociti con atteggiamento epiteloide. 2) Colangiti e pericolangiti: con questi termini si indicano rispettivamente n’infiammazione delle vie biliari e un’infiammazione circostante le vie biliari. Se non meglio specificati, intendono l’interessamento dei duttili e del connettivo degli spazi porto-­‐biliari. Se l’infiammazione colpisce le pareti delle vie biliari, queste mostreranno un infiltrazione flogistica (++ granulociti) con alterazioni dell’epitelio e presenza di essudato anche all’interno dei lumi. Gli agenti eziologici delle colangiti sono solitamente infettivi (infezioni discendenti o ematogene  da sangue a bile; infezioni ascendenti  da intestino a colecisti). Una forma particolare cronica è la COLANGITE SCLEROSANTE PRIMITIVA. È caratterizzata da un processo blandamente infiammatorio ma con evoluzione in FIBROSI STENOSANTE e DILATAZIONI SEGMENTARIE delle vie biliari intra-­‐ ed extra-­‐epatiche (aspetto a “corona di rosario” delle vie bilirari, cioè alternarsi di stenosi e dilatazioni). Il decorso clinico è progressivo e lento ed è caratterizzato da colestasi ingravescente. 3) Ascesso epatico: è il risultato della fusione purulenta dei tessuti in seguito ad infezione da piogeni. I più comuni agenti etiologici sono i batteri piogeni (escherichia coli, klebsiella, streptococchi e stafilococchi, ecc.). Il processo si instaura spesso dopo infezione ASCENDENTE, per contaminazione epatica da parte di una flogosi purulenta. Tuttavia è possibile anche una diffusione ematogena attraverso l’arteria epatica, oppure seguente a una tromboflebite della vena porta. Gli ascessi sono spesso MULTIPLI e hanno la tendenza a confluire in unici focolai, creando le cosiddette lesioni a NIDO D’APE e cavità anche di grosse dimensioni. Inizialmente gli ascessi non risultano bene evidenti, ma lo diventano quando avviene la formazione di tessuto di granulazione. Contengono essudato purulento di colore che va dal giallo al bruno e av volte può avere una sfumature verde (bile e pus). Gli ascessi piccoli possono riassorbirsi; quelli grandi necessitano della formazione di tessuto di granulazione con successiva fibrosi e sclerocalificazione. A rottura di un ascesso può causare l’insorgenza di peritoniti. EPATOPATIE TOSSICHE Sotto questa sigla si considerano le affezioni del fegato causate: -­‐ da sostanze NON MEDICAMENTOSE, ESOGENE ed esplicanti la loro azione in seguito a esposizione professionale o accidentale (epatopatie da tossici esogeni propriamente detti) -­‐ da FARMACI impiegati in dosi elevate (epatopatie da farmaci) -­‐ da eccessiva assunzione di ALCOOL ETILICO (epatopatia alcolica). L’azione tossica della sostanza lesiva dsi può esplicare in diversi modi: • EPATOTOSSINE DIRETTE: sostanze che ledono la cellula epatica mediante un attacco fisico-­‐chimico diretto (++ per ossidazione e denaturazione delle membrane). • EPATOTOSSINE INDIRETTE: il danno è causato per inibizione competitiva o per distruzione di metaboliti essenziali o di enzimi. • SENSIBILIZZAZIONE IMMUNOLOGICA: soprattutto nelle epatopatie da farmaci, le sostanze lesive fungono da APTENI che unendosi a delle macromolecole CARRIER possono agire come antigeni e innescare una risposta immunitaria. In questo caso il danno NON E’ DOSE SIPENDENTE, ma dipende dalla SENSIBILITA’ dell’individuo (quindi è diversa da individuo a individuo). In questi casi l’epatopatia si accompagna a febbre, rush cutaneo, eosinofilia e morfologicamente si esprime con lesioni granulomatose. • IDIOSINCRASIA METABOLICA: eccessiva e/o violenta reazione quando si entra in contatto con certe sostanze, siano solide, liquide o gassose, normalmente non dannose. Epatopatie da tossici esogeni: la più frequente via di ingresso di queste sostanze è inalatoria, ma sono possibili anche forme da contatto e da ingestione. Le sostanze in grado di causare sono migliaia. Tra quelle INORGANICHE il FOSFORO è uno dei più tossici; tra quelle ORGANICHE ci sono gli alogeni-­‐derivati di idrocarburi alifatici (TETRACLORURO DI CARBONIO; CLOROFORMIO; TRIELINA). Anche sostanze tossiche presenti in funghi velenosi, come AMANITINA possono essere responsabili.

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Il meccanismo con cui si sviluppa il danno si basa su meccanismi diretti e indiretti (vedi sopra). Morfologicamente si notano DEGERNERAZIONE (++ steatosi) e NECROSI e la distribuzione delle lesioni varia i base all’agente causale (es. il fosforo causa per lo più lesioni alla periferia del lobulo). L’evoluzione del danno è direttamente correlata alla ESTENSIONE delle lesioni necrotiche nel parenchima epatico. Può evolvere in INSUFFICIENZA EPATICA oppure in GUARIGIONE con restitutio ad integrum. Epatopatia da farmaci: nella maggior parte dei casi i farmaci epatotossici agiscono PREVALENTEMENTE attraverso sensibilizzazione immunologica e/o idiosincrasia metabolica. Esistono 2 classi di farmaci lesivi: • Farmaci con epatotossicità PREVEDIBILE: farmaci che causano danno con meccanismi diretti o indiretti. Le caratteristiche di questi farmaci sono: elevata frequenza di danno epatico in seguito alla loro assunzione; correlazione dose – effetti accertata; comparsa di danni dopo un periodo di tempo breve e prevedibile; costanza delle manifestazioni morfologiche e delle manifestazioni cliniche; riproducibilità delle lesioni sugli animali. • Farmaci con epatotossicità NON PREVEDIBILE: farmaci che agiscono PREVALENTEMENTE attraverso sensibilizzazione immunologica e/o idiosincrasia metabolica. Le caratteristiche sono: rara insrgenza del danno; nessuna correlazione dose-­‐effetto; manifestazione danni tardiva e imprevedibile; quadri morfologici e manifestazioni cliniche variabili; non riproducibili su animali. I tipi di lesione sono e le correlate espressioni cliniche sono molte e di diverso tipo: -­‐ Colestasi pura (es. estrogeni) -­‐ Steatosi (es. tetraciclina) -­‐ Necrosi zonale prevalentemente centro lobulare (es. antipiretici a base di acido acetilsalicilico -­‐ ASPIRINA). -­‐ Necrosi sub-­‐massiva e massiva (es. isionazide dell’acido nicotinico) -­‐ Epatiti acute simil virali (es. tetracicline, isionazide dell’acido nicotinico, penicillina  quadri morfologici indistinguibili dalle epatiti acute virali) -­‐ Epatiti acute ad impornta col estatica (es. penicillina, eritromicina, indometacina, ecc. ) -­‐ Epatiti croniche (es. isionazide dell’acido nicotinico, aspirina, ecc.) -­‐ Epatiti granulomatose (es. sulfamidici, alotano, ecc.) -­‐ Peliosis Hepatis (forma poco frequente caratterizzata da aree del diametro fino a qualche centimetro con dilatazione notevole dei sinusoidi e atrofia epatocellulare. Associata all’uso di STEROIDI). Di solito con la sospensione della somministrazione del farmaco si raggiunge una restitutio ad integrum. In atri casi può evolvere in insufficienza epatica e cirrosi. Epatopatia alcolica: si indicano le manifestazioni anatomopatologiche indotte dall’alcool etilico sul parenchima epatico. Secondo alcuni autori una dose giornaliera superiore a 160 g di alcool puro può essere dannosa; secondo altri una dose inferiore (60-­‐80g per uomo, e 20g per donna) può essere dannosa se il consumo si protrae nel tempo. L’alcool è una sostanza a tossicità DIRETTA e INDIRETTA, ma potrebbe dare anche effetti di sensibilizzazione immunologica. Le principali espressioni delle’epatopatia da alcool sono la STEATOSI, l’EPATITE ALCOLIC e a CIRROSI ALCOLICA. Istologicamente le lesioni più presenti (come in tutte le epatopatie del resto) sono la steatosi, la necrosi, la flogosi e la fibrosi. -­‐ STEATOSI ALCOLICA  è la lesione più PRECOCE. Macroscopicamente si ha un aumento consistente della dimensione e del peso del fegato. La steatosi inizia con aspetti micro vescicolari a cui si sovrappongono aspetti macrovescicolari. Microscopicamente i mitocondri appaiono ingranditi e distorti dopo 2 gioni dalla somministrazione di elevate quantità di alcool; dopo 8 giorni diventano GIGANTI e iniziano fenomeni di degradazione citoplasmatica e accumulo di vescicole lipidiche. Esistono delle alterazioni nella steatosi che sono considerate come “PRECURSORI DELLA CIRROSI”. Queste sono: neoformazione di collagene negli spazi di Disse e attorno alle vene centro lobulari (sclerosi perivenulare). -­ EPATITE ALCOLICA  si sovrappone ad una steatosi oppure può insorgere come episodio di aggravamento di una cirrosi in atto. Ci sono caratteristiche peculiare che ne consentono la differenziazione da altri tipi di epatite:

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Associazione con steatosi o cirrosi di tipo alcolico Infilitrazione granulocitaria nei focolai di necrosi Presenza dei CORPI DI MALLORY nel citoplasma degli epatociti rigonfi o in quelli già colpiti da fenomeni di necrosi. Se l’epatite alcolica insorge in un fegato non stetosico / cirrotico si può avere la completa guarigione. Sono comunque possibili recidive. In altri casi può essere considerata come una successione di TAPPE DI AGGRAVEMENTO verso la cirrosi. -­ CIRROSI EPATICA ALCOLICA  vedi avanti nel paragrafo delle cirrosi. CIRROSI Si intende per cirrosi “una epatopatia cronica e progressiva verso la ipertensione portale e l’insufficienza epatica, di eziopatogenesi varia e non sempre conosciuta, con alterazioni morfologiche diffuse a tutto l’organo”. Queste alterazioni sono: • Fenomeni regressivi e/o necrotici di cellule parenchimali • Fibrosi diffusa con formazione di SETTI e cicatrici che sostituiscono interi lobuli • Iperplasia rigenerativa degli epatociti superstitim, con formazione di “noduli rigeneranti” delimitati (“intrappolati”) dai setti fibrosi. • Sconvolgimento dell’architettura epatica all’interno dei noduli rigeneranti, con perdite di vene centrolobulari. • Altre alterazioni meno importanti sono: infiammazione, colestasi, neoformazione di duttili biliari. • Sconvolgimento della architettuta VASCOLARE: Si creano dei nuovi vasi all’interno dei setti connettivali che connettono le aretrie epatiche DIRETTAMENTE con le vene epatiche terminali, in modo da “bypassare” il parenchima epatico. Avviente la formazione di SHUNTS in cui il sangue SALTA il parenchima epatico: i noduli di rigenerazione circondati da fibrosi, non vascolarizzati, sono nutriti per diffusione e comprimono le vene sottolobulari. La cirrosi epatica è diffusa in tutto il mondo, con particolare frequenza in regioni meridionali e orientali di Asia e Africa. Sono colpiti più i maschi che le femmine. L’età di insorgenza più frequente sono quella adulta (> 40 aa) e avanzata. Nel fegato normale negli spazi porto-­‐biliari e (in quantità minore) attorno alle vene centrolobulari e nello spazio di Disse, sono presenti collagene I e III; nello spazio di Disse c’è anche collagene IV. Nella fibrosi pre-­‐cirrotica e cirrotica si ha la neoformazione di collagene I e III da parte delle cellule di ITO che si trasformano in miofibroblasti. Queste cellule depongono collagene I e III anche nelle zone dove normalmente non c’è o è presente in minore di quantita, a seguito della distruzione cellulare dovuta al processo infiammatorio, a fenomeni regressivi e necrotici. La fibrosi degli spazi di Disse causa l’OBLITERAZIONE di fenestrature endoteliali sinusoidali con rallentamento degli scambi tra sangue e epatocita e viceversa: questo porta a IPOSSIA e ad alterazioni del quadro proteico (per ostacolo al passaggio di proteine). Esistono diverse classificazioni: • ANATOMOPATOLOGICA (o morfologica): puramente descrittiva. Si distinguono forme IPETROFICHE e forme ATROFICHE in base al riscontro di un fegato di volume rispettivamente aumentato o diminuito rispetto al normale. Un altro tipo di classificazione morfologica riguarda le DIMENSIONI DEI NODULI. Si possono distinguere quindi cirrosi MACRONODULARI, MICRONODULARI (max 3 mm) e MISTE • ETIOPATOGENICA: è quella più usata oggi. In base alla etiologia, anche se spesso questa è oscura. Si distinguono: -­‐ Cirrosi alcolica 50% -­‐ Cirrosi post-­‐necrotica 20% -­‐ Cirrosi biliari 10% -­‐ Cirrosi criptogeniche 15% La cirrosi venne descritta primitivamente da MORGAGNI. La cirrosi di Morgagni – Lennech (oggi detta criptogenica) è una particolare forma di cirrosi micronoduare, atrofica e fibrotica, con fegato di colorito giallo (cirrosi post-­‐alcolica o nutrizionale). -­ Cirrosi alcolica: è la più frequente nei paesi occidentali. Entrambi i sessi ne vengono colpiti con la stessa frequenza. La cirrosi alcolica è abitualmente preceduta da steatosi. Macroscopicamente il fegato è ingrandito, con peso di circa 2 kg, con superficie NODULARE (poiché sono micronoduli esternamente può sembrare liscio). Il parenchima è GIALLO, la consistenza AUMENTATA. Alla superficie di sezione il disegno lobulare è CANCELLATO dalla • • •

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presenza di micronoduli. In fase avanzata il fegato si riduce di volume e di peso (fino a < 1 kg). Il colorito diventa meno chiaro e possono comparire sfumature grigiastre e/o verdognole (fibrosi o colestasi). L’aspetto diviene macronodulare e l’organo si presenta deformato. La consistenza resta aumentata e CORIACEA (durezza e consistenza del cuoio). Microscopicamente sono presenti: • Fenomeni regressivi proprio della cirrosi • Fibrosi, che inizia in corrispondenza degli spazi di Disse e nelle aree perivenulari. • Steatosi abbondante nelle fase iniziali, meno pronunciata nele fasi avanzate. Possono essere presenti corpi di Mallory. • Infiammazione in corrispondenza delle aree di necrosi. • Disorganizzazione strutturale: si vengono a formare pseudolobuli rigeneranti delimitati da tralci fibrosi porto-­‐centrali. Questo causa un ostacolo al deflusso delle bile (colestasi) e fenomeni necrotici causati dai distrubi circolatori. Clinicamente circa il 10% delle cirrosi alcoliche ha un decorso SILENTE fino alle fasi avanzate. Poi si ha improvvisa insorgenza di insufficienza epatica con ittero, o addirittura ematemesi per rottura di varici esofagee. Se è presente ITTERO la iperbilirubinea può essere sia coniugata che non coniugata. Dal momento della diagnosi la sopravvivenza varia in base all’ASTENSIONE DALL’ALCOL. Circa il 90% dei pazienti che diventano astemi hanno sopravvivenza > 5 anni. -­ Cirrosi post-­necrotica: si identificano con questo termine le cirrosi per le quali si riconosca l’intervento preponderante di processi di necrosi, sulla base di elementi sia clinico-­‐anamnestici sia patologici (escludendo fattori eziopatogenetici come alcool e fattori metabolici). In questi tipi di cirrosi è predominante l’aspetto MACRONODULARE. In un’alta percentuale di casi si riconosce una precedente epatite da HBV; in altri casi si riconosce una precedente epatite da HCV. Spesso possono esserci anche storie di esposizione occupazionale ad agenti tossici o l’uso di farmaci epatolesivi. Macroscopicamente il fegato risulta, in fase inziale, RARAMENTE aumentato di volume. Nelle fasi avanzate si sviluppano NODULI di diametro > 1 cm e tra essi si trovano delle DEPRESSIONI IRREGOLARI dovute a retrazione cicatriziale oppure AREE DI COLLASSO della trama. Esternemente viscere appare BERNOCCOLATO, con irregolari INFOSSATURE. Col progredire del processo il fegato si fa sempre più PICCOLO e diminuisce il suo peso. In sede autoptica può riscontrarsi l’atrofia del lobo sinistro. Microscopicamente l’archittettura è diffusamente alterata. Sono presenti ampi e disordinati SETTI FIBROSI PASSIVI (da collasso dela trama) o ATTIVI (neoformazione di connettivo) con successiva formazione di PSEUDOLOBULI rigeneranti. I FENOMENI NECROTICI appaiono nascosti da aree cicatriziali se la cirrosi si è già instaurata, ma se evidenti sono del tipo della membrana limitante (necrosi PIECEMEAL). E’ presente infiltrazione INFIAMMATORIA prevalentemente nel connettivo. Possono essere presenti o meno steatosi e colestasi. Clinicamente spesso la cirrosi post-­‐necrotica è la conseguenza di una epatite cronica attiva. In altri casi invece si raggiuge la diagnosi dopo il riscontro di ipertensione portale e/o insufficienza epatica. -­ Cirrosi cardiaca: è causata da grande scompenso cardiaco congestizio: la stasi circolatoria a livello epatico causa alterazione e danni al viscere. L’aumento della pressione venosa centrale si trasmette direttamente al fegato attraverso la vene cava superiore e le vene sovrapatiche, causando uno stato di congestione venosa. Questa ostacola il regolare flusso portale e arterioso all’interno del fegato, venendo così a creare uno stato di relativa iachemia che risulta essere più spiccato nella zone centro lobulare. L’ischemia protratta porta a necrosi epatocitaria con conseguente fibrosi e modificazione della architettura del parenchima, tipica della cirrosi. Si possono descrivere TRE STADI nella cirrosi cardiaca: negli stadi I e II avviene la inversione del lobulo; nello stadio III ci sono necrosi e fibrosi. -­‐ Cirrosi biliare: si tratta di epatopatie croniche caratterizzate da colestasi e fibrosi. Si distinguono diversi tipi: • Cirrori biliare secondaria: dovuta ad una delle qualsiasi cause di colestasi extraepatica (vedi ITTERO) ad eccezione delle neoformazioni maligne. • Cirrosi biliare primitiva: affezione che colpisce più le DONNE in età MEDIA-­‐AVANZATA; è associata spesso a malattie auto-­‐immunitarie (tiroidite di Hashimoto, artride reumatoide, ecc.), perciò viene considerata una patologia a patogenes immunitaria. La

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presenza di anticorpi anti-­‐mitocondrio, anti-­‐muscolo liscio, anti-­‐nucleo e il fattore reumatoide suggerisce un ruolo dell’immunità umorale. Tuttavia sembra essere coinvolta anche l’immunità cellulo-­‐mediata (formazione di lesioni granulomatose). • Cirrosi biliare da colangite sclerosante primaria. Macroscopicamente nelle fasi iniziali il fegato appare AUMENTATO di volume, con superficie finemente MICRONODULARE e frequente INTENSA PIGMENTAZIONE BILIARE; la consistenza è AUMENTATA (come in tutte le cirrosi). Microscopicamente si notano soprattutto FIBROSI PERIPORTALE + INFILTRAZIONE INFIAMMATORIA CRONICA + COLESTASI. Nelle forme primitive sono comuni le lesioni necrotizzanti dei DUTTULI INTERLOBULARI, in corrispondenza dei quali si formano ACCUMULI GRANULOMATOSI. Clinicamente è presente un quadro di ITTERO COLESTATICO con particolare frequenza delle manifestazioni legate a ipercolesterolemia (XANTOMI, aterosclerosi). Ipertensione portale è rara. -­ Cirrosi metaboliche: sono cirrosi dovute ad errori del metabolismo con accumulo di sostanze tossiche nel fegato. Tra queste ci sono: 1) EMOCROMATOSI (Ascenzi + Robbins): la cirrosi associata a questa affezione è detta cirrosi PIGMENTARIA. Il quadro patologico della emocromatosi è caratterizzato da ACCUMULO DI FERRO e FIBROSI in diversi organi. La cirrosi è spesso associata a diabete e pigmentazione cutanea (DIABETE BRONZINO). È una malattia rara e colpisce solitamente dopo i 40 aa. Il rapporto uomo:donna è circa 8:1. L’accumulo di ferro può essere definito anche come EMOSIDEROSI, ma in questo caso si vuole indicare che questo accumulo avviene principalmente all’interno delle cellule del sistema reticolo-­‐endoteliale e in cellule parenchimali, sotto forma di emosiderina in ASSENZA di alterazioni morfologiche dovute al metallo. Il ferro totale nell’organismo è circa 5g Si distinguono diversi tipi di emocromatosi: • Ereditaria: autosomica recessiva dovuta a mutazione del gene HFE presente sul cromosoma 6p, consistente nella sostituzione cisteina – tirosina sull’aminoacido 282. L’accumulo di ferro dura tutta la vita. Il gene HFE è espresso normalmente SOLO nelle cellule delle cripte duodenali, dove produce la proteina HFE, localizzata sul versante basolaterale. Il ferro presente nel lume intestinale viene captato dalla proteina DMT-­‐1 dei microvilli e trasportato all’interno della cellula. Qui in parte viene fissato dalla FERRITINA (deposito) e in parte legato alla TRANSFERRINA. I recettori per la transferrina sono regolati da HFE che modula l’introduzione del ferro portato dalla transferrina all’interno delle cripte. La mutazione di HFE non permette inoltre di rilevare il livello circolante di ferro da parte della cellula della cripta: avviene così l’espressione non controllata di proteine ferro-­‐regolatrici che mediano un assorbimento INCONTROLLATO del ferro. • Secondaria: sono forme acquisite in cui c’è accumulo di ferro per diverse cause: anemia con eritropoiesi insufficiente, aumentata ingestione orale di ferro, epatopatie croniche. Le lesioni caratteristiche dell’emocromatosi sono: CIRROSI PIGMENTARIA: Macroscopicamente la cirrosi pigmentaria è caratterizzata da un INGRANDIMENTO del viscere in fase iniziale e da un RIMPICCIOLIMENTO nelle fasi avanzate. Le alterazioni sono inizialmente MICRONODULARI, ma con il perdurare del processo possono formarsi noduli di dimensioni maggiori. Il colorito del fegato è BRUNO RUGGINOSO o con sfumatura CIOCCOLATO. Microscopicamente si nota FIBROSI PORTO-­‐PORTALE e PORTO-­‐CENTRALE. Ci sono abbondanti depositi di emosiderina nelle cellule del Kupffer,nello stroma fibroso, nell’epitelio dei dotti biliari; sono presenti anche depositi di LIPOFUSCINA nella tonaca media di arterie e vene. FIBROSI PANCREATICA: il pancreas risulta solitamente FIBROTICO e RIMPICCIOLITO. La LIPOFUSCINA si può trovare nelle cellule epiteliali e nelle cellule muscolari della tonoca media dei vasi. IPERPIGMENTAZIONE CUTANEA: colorazione della cute con sfumatura BRUNA (aumento della quantità di melanina) o ARDESIACA (grigia – dovuta all’accumulo di emosiderina in fibroblasti e macrofagi dermici e nelle cellule epiteliali delle ghiandole sudoripare). L’iperpigmentazione si manifesta, in ordine di frequenza, a livello di avambracci, inguine, viso, collo, braccia, mani, gambe e piedi. PIGMENTAZIONE MIOCARDICA: granuli di emosiderina nel citoplasma delle fibr cardiache perciò il miocardio assume un colorito bruno. Può essere presente anche fibrosi interstiziale.

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PIGMENTAZIONI DI GHIANDOLE ENDOCRINE: accumuli di emosiderina nelle cellule. LESIONI TESTICOLARI: è possibile che l’accumulo di ferro sia la causa di atrofia testicolare e femminilizzazione. LESIONI ARTICOLARI: depositi di emosiderina nella membrana sinoviale e lesioni degenerative delle cartilagini articolari. Clinicamente i segni più comuni sono l’iperpigmentazione cutanea e l’epatomegalia cirrotica. La diagnosi si basa sulla rilevazione della SIDEREMIA. La terapia è basata soprattutto sull’uso di AGENTO CHELANTI e influenza molto la sopravvivenza a 5 anni. La cirrosi emocromatosica si complica, molto più frequentemente di altre, con il carcinoma epatico. 2) MALATTIA DI WILSON (Ascenzi + Robbins): si tratta di una patologia ereditaria autosomica recessiva legata ad una alterazione del metabolismo del rame. E’ una malattia molto rara (1 su 200000 nati vivi). Il rame viene assorbito nello stomaco e nel duodeno e poi viene trasportato al fegato, dove si lega alla α2-­‐GLOBULINA per formare la CERULOPLASMINA. Quest’ultima viene rilasciata in circolo e viene DESIALILATA per poi ritornare nel fegato ed essere degradata nei lisosomi in modo che il rame venga escreto nella bile. Il difetto genetico è a livello del cromosoma 13 e causa un diminuto livello di ceruloplasmina sierica, con conseguente aumenti di deposito del rame (++ in fegato, cervello, occhio). Mofrologicamente le lesioni presenti nel morbo di Wilson sono: EPATOPATIA CRONICA: ci sono tre tipi di lesioni che compaiono in periodi successivi. La prima lesione è solitamente la STEATOSI con necrosi unicellulari e discreta infiammazione cronica del connettivo e degli spazi portobiliari. Successivamente si può sovrapporre una EPATITE CRONICA simile a quelle di natura virale. Infine la conseguenza della lesione precedente è di norma la CIRROSI, che può comunque insorgere anche isolatamente. E’ di tipo solitamente MICRONODULARE, ma in alcuni casi può presentarsi in forma MACRONODULARE. Microscopicamente possono essere presenti i CORPI DI MALLORY. L’accertamento microscopico della malattia di Wilson si raggiunge con l’identificazione dell’accumulo di rame negli epatociti, che avviene solitamente in fase di cirrosi. ENCEFALOPATIA: si hanno sintomi neurologici e/o psichiatrici. Macroscopicamente si può accertare un certo INFOSSAMENTO della regione dell’insula e nelle fasi avanzati sono presenti lesioni ROSSASTRE e CRIBIFORMI dei nuclei colpiti. Solitamente le lesioni colpiscono la sede LENTICOLARE, soprattutto il GLOBUS PALLIDUS. Microscopicamente in queste sede è evidenziabile la presenza di rame, con alterazioni regressive di cellule e fibre nervose. Le cellule gliali appaiono giganti con nucleo pallido e lobulato, mentre il altri casi appaiono minuscole con nucleo vescicoloso. Elementi caratteristici sono le CELLULE DI OPALSKI, cellule grandi e globose, prive di prolungamenti, con citoplasma finemente granuloso e schiumoso e nucleo spesso picnotico. LESIONI CORNEALI: denominate ANELLI DI KAYSER FLEISCHER, sono zone di pigmentazione VERDE-­‐BRUNA dovute a deposizione di rame in corrispondenza della membrana del Descemet in prossimità del limbo. Clinicamente la malattia non è facilmente diagnosticabile. Le indicazioni più importanti sono date da una ANAMNESI FAMILIARE positiva per la stessa affezione e il riscontro di epatopatia associata a encefalopatia e anelli di Kayser Fleisher in età giovanile. La terapia si basa sull’uso di AGENTI CHELANTI (++ penicillamina). Se non trattata, la cirrosi evolve in ipertensione portale e insufficienza epatica. Conseguenze della cirrosi: IPERTENSIONE PORTALE La normale pressione all’interno della vena porta è di 7 mmHg. Quando questa supera i 10 mmHg si parla di ipertensione portale. Rappresenta nel 90% dei casi la comune e inesorabile conseguenza della CIRROSI, mentre per un restante 10% può essere dovuta ad ostacoli a livello extraepatico o intraepatico. A seconda della localizzazione dell’ostacolo si possono distinguere: • POSTEPATICA: si può avere nella sindrome di BUDD-­‐CHIARI e nello scompenso cardiaco congestizio e nella pericardite costrittiva (ostacolo al deflusso con congestione pasiva). • PREEPATICA: si può avere in caso di occlusione o stenosi del tronco venoso prima della sua ramificazione nel fegato (pileflebite, compressioni dall’esterno, ecc.) • INTRAEPATICA: si può avere in caso alterazione del circolo epatico. Si distinguono:

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-­‐ Ipertenzione PRE-­‐SINUSOIDALE  affezioni prevalenetemente del circolo portale con RARE alterazioni epatocellulari. -­‐ Ipertensione POST-­‐SINUSOIDALE  in stretto rapporto con la cirrosi; colpiscono sia il circolo portale che le vene del sistema centro lobulare (vene di deflusso). Nella CIRROSI, in conseguenza alla fibrosi negli spazi portobiliari e della sclerosi del connettivo si crea una RIDUZIONE del letto vascolare portale terminale; inoltre per il sovvertimento dell’architettura lobulare molti sinusoidi vengono compressi o perduti e molte vene centro lobulari scompaiono. Tutto questo porta alla riduzione di flusso del sangue portale aumentando la pressione a monte. Si creano delle anastomosi tra arteria epatica e sistema portale e tra rete portale e vene centrolobulari (che però sono distorte dalle alterazioni loblari – “pseudolobulo”) che favoriscono l’incremento della pressione portale. In sangue bypassa i sinusoidi e avvengono fenomeni di necrosi (per ischemia) che aggravano la situazione. Le conseguenze principali dell’ipertensione portale sono rappresentate dalla formazione di: • CIRCOLI COLLATERALI PORTOSISTEMICI  sono circoli di compenso che rappresentano la via alternativa disponibile al sangue per raggiungere il cuore. Essi sono: -­‐ VARICI ESOFAGEE: si formano per comunicazione tra vena gastrica sx (o coronaria stomacica – affluente dalla vena porta) e vene esofagee inferiori (tributarie attraverso le vene azygos, della cava superiore). Nel cadavere queste alterazioni sono visibili come strie bluastre longitudinali e ondulate, mentre nel vivo si mostrano come rigonfiamenti tortuosi. Una complicanza importante può essere la ROTTURA delle varici che porta a conseguenze negative che possono peggiorare la situazione del paziente ed essere letali: la circolazione epatica, già compromessa, viene ulteriormente depleta; il sangue nello stomaco viene digerito e funge da pasto iperproteico causando l’assorbimento di metaboliti azotati pericolosi per il SNC; anemia acuta. -­‐ CIRCOLO DEL RETZIUS: si trova interposto tra le radici della vena porta e le radici delle grandi vene della paretea addominale. Le vene provengono da: radici delle vene mesenteriche e lineale (tributarie della vena porta) + vene sacrale mediana, spermatiche, lombari e renali (tributarie della cava inferiore). La presenza di collegamento tra vena lienale e renale forma il cosiddetto SHUNT DI WARREN-­‐ZEPPA. La rottura delle dilatazioni del retzius è molto rara e porta a EMOPERITONEO. -­‐ PLESSO EMORROIDARIO: si formano in corrispondenza della sottomucosa rettale per comunicazione tra vena emorroidale superiore (affluente delle mesenterica inferiore) e vene emorroidarie medie e inferiore che, attraverso la vena pudenda e ipograstica sono tributarie della cava inferiore. -­‐ CAPUT MEDUSAE: si indica una rete venosa sottocutanea che traspare attraverso l’epidermide e il derma irradiandosi attorno alla cicatrice ombelicale. Essa si sviluppa nel caso in cui si abbia ipertensione portale associata alla vena ombelica (di BURROW) pervia: vene paraombelicali (tributarie della vena porta) + vene epigastriche inferiore, sueriore e superficiale (tributarie della cava inferiore). • ASCITE  si tratta di un grave versamento peritoneale sieroso che risulta clinicamente apprezzabile quando supera i 500 ml. Si forma per la concorrenza di diversi fattori: -­‐ Ipertensione portale: l’aumentata pressione favorisce la filtrazione attraverso il peritoneo. -­‐ Diminuzione della pressione oncotica plasmatica (π plasma): associata a IPOALBUMINEMIA (per ridotta sintesi da disfunzione epatica) che altera l’equilibro di Starling. -­‐ Iperaldosteronismo secondario e ritenzione di sodio: l’accumulo in cavitaà peritoneale di grandi quantità di liquido causano una riduzione del flusso a livello renale, con conseguente attivazione el sistema renina-­‐angiotensina-­‐aldosterone. -­‐ Stasi linfatica nel fegato: la linfa non può essere drenata a causa degli ostacoli imposti dalla cirrosi, quindi si accumula e incrementa il versamento. • ALTERAZIONI DELLA MILZA  la milza appare ingrandita e aumentata di peso (anche > 500g). Nell’ipertesione portale appare aumentata nel senso della sua lunghezza. Risulta di consistenza soda o rigida. Alla superficie di sezione la polpa rossa appare abbondante e facilmente asportabile dalla lama. Microscopicamente ci sono fenomeni di congestione ematica e di splenopatia reattiva (fagociti, plasmacellule, granulociti). • Altre alterazioni: GASTRICHE, INTESTINALI e PANCREATICHE.

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Un’altra conseguenza della cirrosi è l’evoluzione in insufficienza epatica. Coplicanze della cirrosi: tra le complicanze della cirrosi le più importanti sono: -­‐ Emorragia da rottura di varici esofagee e del circolo del Retzius. -­‐ Coma epatico: è associato a grave ittero. Il meccanismo alla base è il riassorbimento intestinale di elevate quantità di proteine (come nelle diete iperproteiche). Si produce una quota di falsi neurotrasmettitori che veicolano segnali inibitori al SNC. Inoltre la flora batterica proteolitica produce cataboliti proteici basici che portano al coma. -­‐ Complicanze infettive. TUMORI DEL FEGATO Si distinguono in: -­‐ AFFEZIONI PSEUDOTUMORALI e TUMORALI BENIGNE  appartengono a questo gruppo: 1) Iperplasie nodulari: esistono forme solitarie e multicentriche. Esistono: • Iperplasia nodulare FOCALE: nodulo unico che può raggiungere qualche centimetro di diametro. Appare circoscritto rispetto al parenchima circostante dal quale è separato per mezzo di una capsula fibrosa. Le aree centrali sono costituite da tessuto connettivo fibroso, dal quale partono dei setti che conferiscono al nodulo una forma STELLATA. Microscopicamente le cellule sono disposte in cordoni e sono ricche di glicogeno. La lesione è considerata come AMARTOMA. • Iperplasia nodulare RIGENERATIVA: il fegato presenta numerosi noduli di varie dimensioni circondati da qualche addensamento fibroso. I sinusoidi hanno un orientamento disordinato 2) ADENOMI: si possono distinguere: • Adenomi epatocellulari: Macroscopicamente è un nodo unico le cui dimensioni possono superare anche in 20 cm di diametro. Il colorito è giallastro con screzio verdastro (per la bile) o con chiazze rossastre (emorragiche). Microscopicamente la neoformazione è costituita da lamine e cordoni di epatociti senza atipie, tra i quali decorrono ampi sinusoidi. Può essere capsulata o scapsulata oppure avere una capsula discontinua. • Adenomi dei dotti biliari: Macroscopicamente sono noduli solitari o multipli, di dimensioni di max 1 cm, di colorito grigio-­‐biancastro e di consistenza soda. Microscopicamente la neoformazione risulta costituita da connettivo fibroso in cui si trovano irregolari formazioni tubulari con epitelio cubico, che ricordano i dotti biliari 3) ANGIOMA CAVERNOSO: sono spesso multipli. Macroscopicamente hanno un diametro da pochi mm a 1-­‐2 cm o anche più cm; il colorito è rosso scuro o bluastro; spesso affiorano sulla superficie del viscere; alla sezione appaiono costituite da un tessuto spugnoso ricco di sangue. Microscopicamente la cavità contententi sangue sono tappezzate da endotelio che poggia su setti fibrosi con molte fibre elastiche e scarse cellule muscolari lisce. Gli angiomi normalmente non hanno molta rilevanza clinica, però in caso di traumi dell’addome o biopsie si può rompere la loro parete originando emorragie peritoneali anche gravi. -­‐ CARCINOMI PRIMITIVI: è un tumore maligno che predilige in sesso maschile ma il rapporto M:F varia da paese a paese. Il picco di incidenza della sua insorgenza è l’eta avanzata (dal sesto decennio), mentre in aree ad alto rischio può comparire anche verso i 40 aa. Si distinguono DUE forme fin dagli inizi del XX secolo: 1) Carcinomi primitivi: sono quelli che originano dagli epatociti e che possono essere dotati della loro attività funzionale più importante (produzione bile). Allo sviluppo di questa forma concorrono diversi fattori di rischio: • Infezione da virus dell’epatite  Il carcinoma sembra essere correlato all’infezione da HBV (evidenza sierologica di HBsAg e HBcAg in pazienti con carcinoma primitivo) e da HCV. Inoltre alcuni autori hanno identificato la presenza di HBsAg e di sequenze di DNA virale all’interno della cellula tumorale. La possibilità di evoluzione verso il carcinoma è pari al 5% per HBV e 15% HCV. • Cirrosi eptica  circa il 10% di tutte le cirrosi si complica in carcinoma. Le cirrosi che più frequentemete evolvono in carcinoma (25% dei casi) sono quelle post-­‐necrotica e emocromatosica. L’evoluzione da cirrosi alcolica non è molto comune (< 5% dei casi). • Sostanze cancerogene  tra le sostanze ad azione cancerogena sl fegato umano ci sono: 3-­‐4-­‐benzopirene, il 4-­‐aminobifenile, la benzidina, l’auramina, la ß-­‐naftilamina, contraccettivi orali. Infine c’è anche l’aflatossina, prodotto del metabolismo del fungo

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Aspergillus favus, che sottoforma di muffa infesta cerali, farine e frutti secchi conservati male. Macroscopicamente il fegato è notevolmente aumentato di volume e può raggiungere i 2-­‐3 Kg di peso. Il tessuto neoplastico ha aspetto lardaceo con o senza aree di necrosi giallognole e opace, stravasi emorragici e chiazze verdastra da imbibizione biliare. Esistono tre forme: -­‐ Forma massiva o UNIFOCALE con la presenza di una massa neoplastica che può superare il 10 cm di diamtero, ben delimitata. -­‐ Forma nodulare o MULTIFOCALE in cui i noduli tumorali sono numerosi e sparsi con dimensioni ognuno di pochi cm di diametro. -­‐ Forma diffusa o INFILTRATIVA in cui c’è una compenetrazione tra tessuto tumorale e parenchima residuo. Nel carcinoma epatocellulare è spesso presente IMBIBIZIONE BILIARE e più frequentemente esso si associa a TROMBOSI NEOPLASTICHE. Microscopicamente sono state descritte diverse forme (trasecolare, vescicolare, anaplastica) ma le differenza tra loro sono minime. Una variante molto importante e particolare è quella FIBROLAMELLARE, caratterizzata da lamine e cordoni di cellule neoplastiche tra spesse bande fibrose. Nelle cellule tumorali è stata riscontrata mediante metodi immuniistochimici la presenza di alfafetoproteina e antigene carcinoembrionario in una alta percentuale di casi. In soggetti affetti da HBV le cellule neoplastiche possono assumere l’aspetto a “vetro smerigliato”. Le cellule più differenziate mostrano frequentemente PRODUZIONE DI BILE, aspetto che permette una sicura differenziazione rispetto al colangiocarcinoma, ma non rispetto ad adenomi o noduli rigeneranti della cirrosi. Ci sono abbondanti aree di necrosi. Le forme epatocellulari prediligono la formazioni di TROMBOSI NEOPLASTICHE soprattutto venose con conseguenti complicazioni circolatorie (può insorgere una sindrome tipo Budd-­‐ Chiari). Anche la diffusione per CONTIGUITA’ con invasione del peritoneo, del diaframma e del cavo pleurico destro è una possibile via di trasmissione. -­‐ CARCINOMA COLANGIOCELLULARE: deriva dalle cellule epiteliali delle vie biliari intraepatiche. Come fattore di richio per questa forma di carcinoma è stato ipotizzata l’infestazione da vermi parassiti delle vie biliari (come Clonorchis sinensis e Opistorchis felineus) la cui presenza induce iperplasia e possibile trasformazione in carcinoma. Macroscopicamente valgono le STESSE caratteristiche descritte per il carcinoma epatocellulare. La differenza da ricordare è che i colangiocarcinomi si presentano spesso come nodo unico e di consistenza duro-­‐fibrosa. Microscopicamente si tratta di ADENOCARCINOMI di epitelio cilindrico. NON C’E’ MAI produzione di bile (differenza con epatocarcinoma), mentre si può trovare MUCO nel citoplasma e nei lumi pseudo ghiandolari. In questa forma di carcinoma è presente una intensa RICCHEZZA DI CONNETTIVO FIBROSO, responsabile della notevole consistenza della massa tumorale. Questa forma neoplastica è caratterizzata dal dare frequentemente METASTASI A DISTANZA per via infatica (ai linfonodi dell’ilo epatico e di altre stazioni linfonodali e toraciche) e per via ematogena (a polmoni, ossa e surreni) Clinicamente i carcinomi epatici danno scarsi sintomi anche perché spesso si sovrappongono alla cirrosi. Spesso gli unici sintomi di allarme sono u improviso e notevole aggravamento di una cirrosi, con febbre e in presenza o assenza di ittero. -­ EPATOBLASTOMA: è un tumore primitivo epiteliale molto raro che se diagnosticato precocemente e rimosso chirurgicamente permette spesso la risoluzione della malattia. È una neoplasia caratterizzata da assente o scarsa differenziazione degli elementi cellulari che la compongono: si tratta di cellule con ASPETTI EMBRIONALI e FETALI, cioè con scarso citoplasma e di dimensioni maggiori (similli agli epatoblasti). Esistono una forma epiteliale e una forma MISTA che comprende oltre le caratteristiche descritte anche isole di TESSUTO MESENCHIMALE. Il tumore insorge in età infantile spesso in associazione con lesioni malformative. -­ METASTASI DI CARCINOMA: Circa il 50% dei carcinomi può dare metastasi epatiche. Tra i carcinomi che più frequentemente metastatizzano a livello epatico tramite la via portale ci sono: carcinoma dello stomaco, del pancreas e delle vie biliari. Altri carcinomi invece interessano il fegato con metastasi veicolate dalla circolazione generale, tramite l’arteria epatica: carcinoma del

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polmone. La diffusione di metastasi al fegato per via linfatica è dovuta per lo più a carcinomi di organi contigui: cistifellea e vie biliari. Macroscopicamente gli aspetti sono molto vari in base al numero e alle dimensioni dei noduli neoplastici; una caratteristica comune è la presenza di necrosi centrali nei noduli metastatici che nelle localizzazioni sottoglissoniane determina la formazione di un particolare infossamento detto OMBELICATURA. Microscopicamente spesso le metastasi riproducono la struttura e gli aspetti citologici del tumore primitivo, mentre altre volte sono poco differenziati. AFFEZIONI PARASSITARIE CON LOCALIZZAZIONE EPATICA • Amebiasi  l’ Entamoeba histolytica può raggiungere il fegato tramite il sangue portale. Il fegato è interessato in circa il 35-­‐40% dei casi di dissenteria amebica esaminati in autopsia. Macroscopicamente la lesione epatica inizia con una trombosi venosa che si complica con necrosi ischemica a cui segue colliquazione; si forma una cavità che può raggiungere anche > 10 cm di diametro. La lesione si localizza più spesso nel lobo destro, probabilmente perché questa zona riceve sangue dalle vene mesenteriche. Le pareti della cavità sono anfrattuose e con aspetto cencioso, contengono materiale viscido rosso-­‐ giallastro o bruno-­‐cioccolato (tipo “pasta di acciughe”). Microscopicamente i parassiti sono presenti nel parenchima circostante la lesione. Nella cavità i tessuti sono completamente necrotici. • Bilharziosi  dovuta a parassiti della specie Schistosom. Allo stadio di metacercaria raggiunge il fegato tramite il sangue portale e qui diventa adulto (verme di lunghezza 15mm). I vermi si riproducono e producono uova che si depositano soprattutto a livello degli spazi porto-­‐biliari. I vermi adulti causano reazione dei tessuti solo dopo la loro morte. Le uova invece, venendo deposte giornalmente, divengono numerosissime e rilasciano un antigene che stimola lo sviluppo di immunità ritardata con ipersensibilità e accumulo di macrofagi e linfociti. Le lesioni caratteristiche che si osservano sono di tipo granulomatoso, attorno alle uova deposte. Dopo la morte delle uova avviene l’evoluzione in fibrosi delle lesioni. Il fegato inizialmente è aumentato di volume, mentre nele fasi avanzate è diminuito perché va incontro a sclerosi. La sua superficie è granulosa e la consistenza aumentata. • Echinoccosi uniloculare e multiloculare

VIE BILIARI

MALFORMAZIONI: -­‐ Colecisti: Malformazioni di sviluppo  agenesia, duplicità e ipoplasia. Anomalie di sede  situs viscerum invertitus (associato a dislocazione controlaterale del fegato); cistifellea occulta (indovata nel parenchima epatico); cistifellea pendula (non è connessa al fegato e pende liberamente in peritoneo, connessa al dotto cistico). Alterazioni di forma  bilobata, sepimentata, a clessidra (restringimento mediano), a berretto frigio (inginocchiamento del fondo sul corpo). -­‐ Vie biliari: Anomalie di lunghezza. Anomalie di sviluppo  atresia (trasformazione dei dotti in cordoncini fibrosi), agenesia Dilatazioni idiopatiche. COLELITIASI Si intende la formazione di CALCOLI (concrezioni solide) nelle vie biliari extraepatiche o intraepatiche. Solitamente il processo ha luogo nella colecisti. È una patologia influenzata da fattori geografici e razziali; colpisce solitamente in età adulta; ha predilezione per il sesso maschile; influenzata da fattori ambinentali come estrogeni, contraccettivi orali, gravidanza; I calcoli vengono classificati in: -­‐ Calcoli PURI: sono quelli formati da UN SOLO costituente. Possono essere formati da colesterolo, bilirubinato di calcio, carbonato di calcio. Quelli con calcio sono RADIO OPACHI.

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Calcoli puri di COLESTEROLO  concrezioni solitarie che si formano nella cistifellea, dove raggiungono anche qualche cm di diametro. La forma è rotondeggiante o piriforme (a stampo della colecisti). La superficie esterna è liscia o finemente irregolare, sono di colorito giallastro, consistenza dura e leggeri. Questi calcoli spesso non danno problemi, ma se diventano troppo grandi possono bloccare il deflusso della bile. • Calcoli puri di BILIRUBINATO DI CALCIO  sono piccoli, multipli, ovali o sferici, di colito bruno e superficie di sezione omogenea. Si formano in alcune condizioni in cui è presente iperbilirubinemia indiretta. • Calcoli puri di CARBONATO DI CALCIO  rari e di origine oscura. Sono concrezioni uniche o multiple, grigio-­‐biancastre, di struttura amorfa. -­‐ Calcoli MISTI: formati da almeno DUE costituenti. Sono quelli più frequenti (80%). Sono piccoli, molto numerosi (anche centinaia), di colorito bruno o giallognolo o verdastro o grigio (in base alla prevalenza di un costituente), di forma poliedrica, superficie levigata. In sezione mostrano un centro di pigmento nerastro attorno al quale si individuano strati concentrici di vari componenti, denominati ANELLI DI PRECIPITAZIONE DI LIESEGANG. -­‐ Calcoli COMBINATI: originano per unione di un nucleo puro con un rivestimento misto. Il nucleo centrale è costituito quasi sempre da colesterolo. I calcoli sono solitari e di dimensioni ragguardevoli. I meccanismi con cui si formano i calcoli sono diversi: -­‐ FORMAZIONE DEL NUCLEO ORIGINARIO  il conglobamento di sostanze organiche derivanti da fibrina, muco, cellule epiteliali sfaldate, microrganismi o parassiti funge da condizione predisponente per la deposizione delle sostanze che formeranno la concrezione. -­‐ SOVRASATURAZIONE DI COLESTEROLO  si può avere in caso di ipercolesterolemia, obesità, gravidanza e uso di contraccettivi orali. Tutte queste condizioni causano una sovrasaturazione di colesterolo nella bile e predispongono quindi alla formazione di calcoli (sia per incremento della produzione, sia per diminuita formazione di acidi biliari). L’aumento del rapporto fra la concentrazione del colesterolo e quella degli acidi biliari è fattore di sovrasaturazione colesterolica (gli acidi biliari normalmente inglobano il colesterolo in micelle). La riduzione degli acidi biliari è un fattore importante per la precipitazione del colesterolo: può verificarsi per azione di estrogeni o per alterazioni del riassorbimento degli acidi biliari, flogosi colecistica, resezioni intestinali, ecc. -­‐ SOVRASATURAZIONE BILIRUBINA NON CONIUGATA  si verifica soprattutto in condizioni di ittero emolitico cronico. CONSEGUENZE DELLA CALCOLOSI: • Silente nel 50% dei casi; questo avviene soprattutto se i calcoli sono grossi, solitari e non impegnano il dotto cistico. • IDROPE: si ha quando uno o più calcoli occludono il dotto cistico. L’organo inizialmente si riduce di volume per il riassorbimento della bile, ma poi si DISTENDE con ASSOTTIGLIAMENTO della parete per l’accumulo di un liquido incolore, mucillaginoso che si forma per secrezione mucosa. • OSTRUZIONE AL DEFLUSSO BILIARE: avviene in caso di formazione diretta o di ingresso di calcoli nel lume dei dotti epatici e nel coledoco. In questo caso si avrà il quadro clinico della COLICA BILIARE, cioè la muscolatura licia dei dotti si contrarrà spasmodicamente per permettere l’avanzamento del calcolo. L’ostruzione causa inoltre stasi biliare con proliferazione batterica e insorgenza di colangite oppure colecistite. L’infiammazione fibrinosa della mucosa colecistica causa la formazione di aderenze con organi vicini. In altri casi, la pressione esercitata da calcolo sulla mucosa può portare alla formazione di una FISTOLA tra cistifellea e organi aderenti (caso particolare è la fistola tra colecisti e duodeno con passaggio del calcolo nell’intestono e occlusione intestinale per impegno della valvola ileocecale da parte del calcolo  ILEO BILIARE). COLECISTITI Si tratta di flogosi della cistifellea, che assumono elevata importanza clinica poiché rappresentano, dopo la appendicite, la principale indicazione alla chirurgia. Sono più frequenti nelle donne e si manifestano per lo più a partire dal III decennio di vita. L’eziopatogenesi è MULTIFATTORIALE: -­‐ Calcolosi biliare. -­‐ Infezione della bile da parte di stafilococchi e streptococchi e altri batteri. -­‐ Abnorme concentrazione della bile •

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-­‐ Reflusso di succo pancreatico. Le colecistiti possono essere classificate secondo un criterio morfologico in: 1) ACUTE: • Catarrale  forma lieve caratterizzata da lieve ispessimento della parete per edema, arrossamento della mucosa per iperemia, piccole erosioni della mucosa, aumento della secrezione di muco. Istologicamente prevalgono iperemia e edema. • Purulenta  in caso di infezione da piogeni; la parete è ispessita, con sierosa opacata per essudazione fibrinosa, mucosa tomentosa con chiazze emorragiche e frequenti ulcerazioni. La bile è mischiata a materiale purulento. Microscopicamente è caratteristica la ricchezza di granulociti neutrofili. • Empiema  forma di colecistite con ristagno di essudato purulento così abbondante da offuscare le caratteristiche della bile. • Necrotizzante o Gangrenosa  la superficie esterna è di colorito bruno scuro tendente al violaceo, la sierosa è opacata, la parete è ispessita e la mucosa ulcerata in più punti. Microscopicamente l’essudato è povero di neutrofili e più ricco di elementi mononucleati; sono presenti fenomeni di necrosi. Le principali complicanze delle colecistiti acute sono PERITONITI da propagazione e PERFORAZIONI. 2) CRONICHE: possono essere l’evoluzione di colecistiti acute oppure possono insorgere in assenza di precedenti episodi acuti. • Forme sclero-­‐atrofiche  colecisti rimpicciolita con parete sottile per sclerosi e per atrofia della mucosa. • Forme produttive  parete ispessita (anche > 1 cm!) a causa di neoformazione di connettivo fibroso. L’infilatrazione cellulare è composta da linfociti, plasmacellule e granulociti (++ eosinofili). • Empiema cronico • Colecistite ghiandolare  l’ipertofia della mucosa infiammata porta alla formzione e parziale fusione di pliche, cosicchè ne residuano cavità e fessure pseudoghiandolari. TUMORI DELLA COLECISTI -­‐ Benigni: • PAPILLOMA: escrescenza arboriforme della mucosa, spesso peduncolata, del diametro <1 cm. Microscopicamente gli assi connettivali, che costituiscono lo stroma, sono rivestiti da epitelio cilindrico. • ADENOMA: rilievo emisferico, sodo, del diametro < 1 cm. Microscopicamente è costituito da ghiandole tappezzate da epitelio tipico addossate in uno stroma fibroso. • ADENOMIOMA: come il precedente, ma nello stroma contiene anche fasci di cellule muscolari liscie intrecciate. -­‐ Maligni: • CARCINOMA DELLA COLECISTI: Si tratta di un tumore poco frequente. E’ associato nell’80-­‐90% dei casi a colecistiti e calcolosi. Il rapporto M:F è 1:2; colpisce solitamente nel VI-­‐VII decennio di vita. Interessa più spesso il collo e il fondo dell’organo e può presentarsi in forma prevalentemente INFILTRANTE oppure prevalentemente VEGETANTE. Esistono divesi istotipi di cui l’ADENOCARCINOMA è assolutamente il più frequente; seguono poi lo scarsamente differenziato e i rari papillari, squamoso e adenosquamoso. È un tumore subdolo nel suo sviluppo e alla sua scoperta è raramente aggredibile chirurgicamente, anche perché in stadio avanzato è probabile la presenza di metastasi ai linfonodi dell’ilo epatico e diffusioni per contiguità. Per questi motivi la sopravvivenza a 5 anni è solo del 5%. TUMORI DELLE VIE BILIARI -­‐ CARCINOMA DEI DOTTI BILIARI EXTRAEPATICI: poco frequenti, colpiscono più il sesso maschile. Le sedi di insorgenza più comune sono in ordine di frequenza: ampolla del Vater e tratto distale del coledoco, confluenza tra dotto cistico e dotto epatico comune, dotto epatico, dotto cistico. Sono tumori di piccole dimensioni e possono rimanere a lungo asintomatici. Si tratta di escrescenze che sporgono nel lume, ma possono avere anche comportamento infiltrante nei confronti della parete. Microscopicamente si tratta spesso di adenocarcinomi ben

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differenziati. Al momento della diagnosi la maggior parte dei carcinomi delle vie biliari non sono più trattabili radicalmente e la sopravvivenza media è di circa 1 anno dopo operazione NON radicale.

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PANCREAS ESOCRINO E ENDOCRINO PANCREAS ESOCRINO PANCREATITI ACUTE Esistono diverse forme di pancreatite acuta che possono essere causate (in ordine di frequenza) da: • Calcolosi biliare • Etilismo • Ostruzione dotto pancreatico • Farmaci • Infezioni da virus • Disordini metabolici • Ischemia • Traumi • Alterazioni ereditarie del TRIPSINOFENO CATIONICO (PRSS1  se mutato causa resistenza del tripsinogena e della tripsina alla inattivazione: pancreatite acuta ereditaria) e dell’ INIBITORE DELLA SERINA PROTEASI, KAZAL TIPO 1 (SPINK1  codifica per un unibitore della trpsina e se mutato la tripsina non può essere inattivata). -­‐ Pancreatite sierosa (interstiziale): è una forma lieve di pancreatite che si sviluppa e progredisce velocemente ed ha evoluzione verso la guarigione oppure verso la pancreatite emorragica. Macroscopicamente presente EDEMA diffuso dell’organo che gli conferisce aspetto TURGIDO, TUMEFFATTO e CONGESTO. Microscopicamente si nota una DISSOCIAZIONE dello stroma interstiziale, in cui sono presenti capillari congesti. Assenza di infiltrati flogistici. -­ Pancreatite suppurativa: è molto rara e può essere dovuta alla diffusione di germi attraverso la via canalicolare ascendente o ematogena oppure per propagazione di processi flogistici contigui. Esiste una forma localizzata, detta PANCREATITE ASCESSUALE, ( uno o più ascessi, variamente distribuiti nel parenchima) e una forma diffusa, detta FLEMMONOSA ( pancreas aumentato di volume e diffusamente impregnato di pus). Microscopicamente il pancreas risulta infarcito di NEUTROFILI e tratti di NECROSI parenchimale. -­‐ Pancreatite acuta EMORRAGICA: è presente in circa l’1% delle autopsie effettuate su adulti, predilige il sesso femminile e compare solitamente dal V-­‐VI decennio. Si tratta di una malattia dovuta a fattori multipli che interagiscono tra loro. 1) Ruolo degli ENZIMI pancreatici: In generale bisogna ricordare che la cellula pancreatica vive in un delicato equilibro, la cui alterazione porta alla attivazione degli enzimi pancreatici capaci di causare la sua morte. La cellula necrotica rilascia ulteriori enzimi che colpiscono altre cellule casando una amplificazione del processo. Alcune proteasi causano NECROSI COAGULATIVA di tessuti; le elastasi causano danno vascolare con emorragie e trombosi; le lipasi causano STEATONECROSI del tessuto fibroadiposo intra e peripancreatico. Alla base di tutte queste lesioni c’è l’attivazione del TRIPSINOGENO che permette a sua volta la trasformazione da proenzimi a enzimi attivi che mediano l’AUTODIGESTIONE. L’attivazione degli enzimi avviene per motivi tutt’ora poco chiari; si ci sono tuttavia diverse teorie per spiegarla: -­‐ Ostruzione del dotto pancreatico: L’impegno dell’ampolla del Vater da parte di un calcolo causa un’ostacolo al deflusso del succo pancreatico e il suo ristagno nell’ambiente interstiziale. Qui le lipasi (che sono degli enzimi secreti GIA’ in forma attiva) causano steatonecrosi e danno alle membrane cellulari con conseguente attivazione di tutti gli altri enzimi. -­‐ Danno diretto alle cellule acinari causato da virus, farmaci, alcol, ischemia, traumi chirurgici,ecc. -­‐ Trasporto intracellulare difettoso di proenzimi all’interno delle cellule acinari. Oltre questi fattori sono da considerare anche condizioni, cioè: il ruolo dell’ALCOL che è presente in una alta percentuale di casi di pancreatite acuta; l’IPERLIPIDEMIA; l’IPERCALCEMIA. Macroscopicamente il pancreas nelle fasi iniziali appare TUMEFATTO per edema. Col progredire del processo l’organo assume aspetto variegato per la coesistenza di necrosi ed emorragie. La necrosi della componente lobulare è di colorito grigiastro ed è distribuita in chiazze rilevate e lucenti. La necrosi del tessuto adiposo (steatonecrosi) appare sottoforma di focolai giallo chiaro, opachi e circondati da alone emorragico. Le emorragie possono essere minute o molto estese, fino a configurare veri EMATOMI. Il processo può essere circoscritto ad un focolaio (di solito nelle TESTA del pancreas) o diffuso a focolai multipli in tutto l’organo. Alcunem lesioni non restano nei confini del parenchima, ma si estendono ai tessuti limitrofi (emorragie e steatonecrosi): le lipasi ad esempio causano a livello peritoneale la formazione di placche gialastre, pallide, di aspetto opaco, rilevate e confluenti (“macchie di cera”).

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Microscopicamente la necrosi è di tipo COAGULATIVO con mantenimento della forma e del nucleo cellulare nelle fasi iniziali e aspetto di ammasso granulare nelle fasi avanzate. La steatonecrosi conseguente alla lesione delle mebrane cellulare (le lipasi attaccano i trigliceridi rilasciati dalle cellule) conferisce un aspetto di ombre cellulari contenenti materiale granulare basofilo riferibile a sali di calcio. La flogosi è discreta e localizzata soli in prossimità dei margini della necrosi. Il danno vasale causa emorragie e trombosi che interessano vasi di piccolo calibro, soprattutto venosi. Se il paziente sopravvive i focolai di necrosi ed emorragia vengono circoscritti da tessuto di granulazione: i focolai piccoli vanno incontro a cicatrizzazione, quelli più grandi si trasformano in PSEUDOCISTI, con formazione di cavità contentini liquiame brunastro. Clinicamente il sintomo cardine della pancreatite acuta è i DOLORE ADDOMINALE con particolare irradiazione al dorso a BARRA (o “a fascia”). Inoltre il sospetto può essere confermato dal riscontro di elevati livelli di amilasi e lipasi nel plasma. La pancreatite acuta è da considerarsi come EMERGENZA MEDICA poiché spesso i pazienti presentano quadri di ADDOME ACUTO. Il rilascio in circolo di abnormi quantità di enzimi tossici, citochine e altre sostanze da parte del pancreas danneggiato può causare molte manifestazioni imputabili ad una risposta infiammatoria sistemica (leucocitosi, emolisi, CID, sequestro di liquidi, sindrome da distress respiratorio, steatonecrosi diffusa. In casi gravi anche collasso vascolare periferico, shock con necrosi acuta dei tubuli renali). L’episodio di pancreatite acuta può rimanere isolato oppure essere seguito a distanza di tempo da nuovi attacchi (pancreatite acuta ricorrente). PANCREATITE CRONICA Secondo la classificazione di Marsiglia-­‐Roma la pancreatite cronica è definita da lesioni parenchimali di tipo sclerotico e regressivo, con distruzione del parenchima esocrino e, tardivamente, anche di quello endocrino. Inizialmente si manifesta con attacchi di pancreatite acuta mentre in fase avanzata compaiono segni di insufficienza pancreatica, soprattutto steatorrea, e a volte anche il diabete. Esistono due forme di pancreatite cronica: -­‐ CALCIFICA  rappresenta il 90% di tutte le pancreatiti croniche. Nonostante il suo nome, non si tratta di una vera e propria malattia infiammatoria, bensì di una LITIASI PANCREATICA con scarsa componente flogistica. La malattia si sviluppa a causa della PRECIPITAZIONE nel lume dei dotti pancreatici di materiale proteico che si aggrega a formare dei “tappi” detti PLUGS che ne determinano l’ostruzione. Poi i plugs si impregnano di SALI DI CALCIO e causano la formazione di veri calcoli. Questo evento è favorito dalla diminuita secrezione da parte della cellula acinare, di LITOSTATINA, proteina che provvede a mantenere in soluzione gli ioni calcio presenti nel succo pancreatico. Esistono una forma ereditaria di pancreatite in cui la carenza di litostatina è dovuta ad un difetto genetico. Nella forma non ereditaria invece un ruolo determinante è svolto dall’ALCOOL: è stato dimostrato infatti che anche piccole dosi di alcool possono causare pancreatite; l’alcool agisce attraverso la diminuzione della secrezione di bicarbonati e l’incremento della permeabilità duttale agli ioni calcio e causando una dieta ricca di proteine e grassi. Macroscopicamente il reperto assume importanza sono nelle fasi avanzate, quando assume aspetto INGRANDITO, privo del caratteristi aspetto lobulare e di consistenza AUMENTATA (a volte lapidea). Al taglio compaiono CAVITA’ CISTICHE contenenti succo pancreatico, detriti e calcoli. Microscopicamente è presente un danno con distribuzione lobulare: inizialmente sono copiti pochi lobuli, ma in fase avanzata il processo interessa ampie zone del parenchima indenne. Il danno lobulare è caratterizzato dalla presenza di concrezioni intraduttali e con ATROFIA DELL’EPITELIO DEGLI ACINI, a cui fa seguito la FIBROSI. L’epitelio degli acini può essere soggettoa anche a IPERPLASIA PAPILLARE e METAPLASIA PAVIMENTOSA. Le isole di Lancherans risultano più resistenti e spesso appaiono come aree indenni nel contesto del connettivo fibroso. -­‐ OSTRUTTIVA  a differenza della precedente non ha distribuzione lobulare, ma colpisce settori più limitati della ghiandola. Il danno duttale è più modesto e solo raramente si riscontrano concrezioni proteiche o calcifiche. Le lesioni sono localizzate soprattutto alla TESTA. È causata soprattutto da calcolosi biliare, stenosi litiasica e altre patologie dello sfintere di Oddi. CISTI -­ Cisti congenite (o disontogeniche): dovute ad anomalo sviluppo dei dotti pancreatici. La persistenza e la segmentazioni dei dotti ptimitivi dà origine a formazioni epiteliali cave

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sequestrate, che in seguito alla secrezione ell’epitelio, si distendono a fromare cisti. Queste cisti hanno dimensioni da pochi mm a parecchi cm, sono uniche o multiple, sono tappezzate da epitelio cubico che può sfaldarsi in seguito alla compressione del liquido con sovrapposizione di flogosi. -­ Cisti da ritenzione: compare quando c’è un’occlusione dei dotti da ostruzione o compressione (calcolosi, tumori, sclerosi infiammatorie, ecc.). Sono cisti di piccole dimensioni, multiple, localizzate soprattutto nel corpo o nella coda. -­ Pseudocisti: sono cavità che si formano nei tessuti pancreatici o peripancreatici per raccolta di liquido essudativo, necrotico-­‐colliquativo o emorragico. Sono PRIVE di rivestimento epiteliale e non comunicano con il sistema duttale. Si formano soprattutto in corso di pancreatite acuta emorragica. Sono lesioni uniche, con aspetto multiloculato, di dimensioni cospique (anche 10-­‐15 cm), si localizzano soprattutto nel corpo o nella coda e manifestano la TENDENZA AD ESTRINSECARSI nel connettivo della capsula. Le pareti sono di connettivo fibroso, con aree di tessuto di granulazione, campi residui di necrosi o di infiltrazione emorragica. Contengono liquido che è diverso in base alla causa. Una volta affiorate nel connettivo capsulare si ha una rezione peritoneale con formazione di aderenze con organi limitrofi. PANCREAS ENDOCRINO È costituito da agglomerati di cellule endocrine sparsi nel parenchima esocrino, che prendono il nome di ISOLE DI LANGHERANS. Le isole contengono 4 tipi di cellule: • Cellule ß  circa il 68% del totale. Producono INSULINA, che è contenta in granuli all’interno delle cellule. Lo stimolo per il rilascio di insulina è l’aumento della GLICEMIA (normale = 70-­‐120 mg/dl). Il glucosio entra nelle cellule ß veicolato dalle proteine di trasporto GLUT2; all’interno delle cellule avviene la glicolisi per produrre ATP, il cui aumento inibisce il recettore dei canali per il K sulla superficie e questo causa la depolarizzazione cellulare che permette l’ingresso di ioni Ca all’interno; gli ioni Ca stimolano la liberazione dell’insulina dai granuli. Le funzioni dell’insulina sono: -­‐ aumento del trasporto del glucosio all’interno delle cellule -­‐ aumento sintesi di GLICOGENO (riserva di glucosio) -­‐ riduzione della glicogenolisi -­‐ aumento della sintesi proteica e litogenesi -­‐ riduzione gluconeogenesi e lipolisi -­‐ stimolazione della proliferazione cellulare (mediata da MAPK – RET – RTK) Il recettore dell’insulina è costituito da due subunità α e due ß. Le α legano l’insulina e le ß, che hanno attività tirosin chinasica intrinseca, si autofosforilano e poi vanno a fosforilare MAPK e PI-­‐3K che mediano la trasduzione del segnale. • Cellule α circa il 20% del totale. Producono GLUCAGONE. Ha effetti opposti all’insulina. • Cellule ∂  circa il 10% del totale. Producono SOMATOSTATINA. Inibisce il rilascio di insulina e glucagone e di acido cloridrico nello stomaco, inibisce inoltre la produzione esocrina del pancreas. • Cellule PP  circa il 2% del totale. Producono POLIPEPTIDE PANCREATICO. Regolazione della funzione esocrina del pancreas, inibizione della contrazione della colecisti. DIABETE MELLITO È caratterizzato da un gruppo di disordini metabolici accomunati dal dato clinico dell’iperglicemia, conseguente ad un difetto di secrezione e/o attività dell’insulina. Si distinguono due tipi principali di diabete: Diabete Mellito di TIPO 1: è caratterizzato da un deficit assoluto di insulina dovuto alla distruzione delle cellule ß. La distruzione è mediata immunologicamente, perciò è da considerarsi una patologia autoimmune. L’aggressione delle cellule inizia molti anni prima della comparsa dei sintomi, che si manifestano dopo che più del 90% delle cellule ß sono state disrutte. La distruzione delle cellule è mediata da: -­‐ Linfociti T  TCD4 – TH1 che attivano macrofagi causando danno tissutale; TCD8 citotossici che aggrediscono il parenchima direttamente o tramite macrofagi. -­‐ Citochine  vengono prodotte localmente (IFN-­‐γ, IL-­‐1, TNF) che possono indurre apoptosi. -­‐ AUTOANTICORPI  contro le cellule insulari e contro l’insulina. Reagiscono contro vari antigeni delle cellule ß.

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Il diabete di tipo 1 ha un quadro complesso di associazioni genetiche, tra cui quelle più importanti riguardano GENI PER IL LOCUS MHC II (suscettibilità a livello di HLA-­‐D di un allele legato a DQ) e geni NON MHC (il più importante è quello per l’insulina che presenta ripetizioni in tandem nella regione promoter gene). Inoltre è ipotizzata anche la presenza di fattori ambientali, identificati nel ruolo di VIRUS che potrebbero indurre autoimmunità. Morfologicamente le lesioni sono incostanti e di scarso valore diagnostico. Nel diabete di tipo 1 si osserva una riduzione del numero e delle dimensioni delle insule. Esse appaiono piccole e inconsistenti e difficilmente identificabili. Si nota la presenza nelle insule di infiltrato linfocitario composto soprattutto da linfociti T. Con la microscopia elettronica è possible evidenziare la de granulazione delle cellule ß, che riflette la depezione dell’insulina depositata nelle cellule ß già danneggiate. Il diabete 1 è frequentemente a INSORGENZA PRECOCE ed è caratterizzato clinicamente da una classica triade: POLIURIA + POLIFAGIA + POLIDIPSIA. L’iperglicemia causa mancato riassorbimento TOTALE del glucosio e quindi si ha glicosuria che causa diuresi osmotica con successiva poliura, con grave perdita di acqua e d elettroliti. Questa perdita, combinata alla iperosmolarità e all’iperglicemia, stimola gli osmorecettori dei centri della sete, perciò si ha lo stimolo di bere e quindi polidpsia. Il deficit di insulina causa un forte catabolismo proteico e lipidico che porta a d un bilancio energetico negativo e aumento dell’appetito (polifagia). Una grave complicanza è la CHETOACIDOSI DIABETICA, in cui, oltre al deficit netto di insulina, avviene il rilascio di adrenalina che stimola il rilascio di glucagone con conseguente aumento della gluconeogenesi e della glicemia, che raggiunge valori di 500-­‐700 mg/dl. L’iperglicemia causa diuresi osmotica e disidratazione. L’assenza di insulina causa una eccesiva degrdazione delle riserve adipose con un aumento dei livelli degli acidi grassi liberi; essi raggiungono il fegato e vengono esterificati a ACETIL CoA; l’ossidazione di Acetil CoA produce CORPI CHETONICI che si accumulano molto velocemente causando CHETONEMIA e CHETONURIA. Se l’escrezione urinaria di chetoni è compromessa dalla disidratazione, aumenta la concentrazione di ioni H e avviene la CHETOACIDOSI METABOLICA sistemica che può progredire verso il COMA DIABETICO. Diabete Mellito di TIPO 2: è la forma più frequentemente presente (circa nel’80-­‐90% dei pz.) ed è dovuto all’associazione tra resistenza periferica all’azione dell’insulina e a una inadeguata risposta secretoria da parte delle cellule ß all’iperglicemia. La resistenza dell’insulina è la resistenza agli effetti dell’insulina sull’assorbimento del glucosio, sul suo metabolismo o sul suo accumulo. Si riscontra molto spesso negli OBESI; inoltre è dimostrata una predisposizione genetica. Con l’insulino-­‐resistenza il glucosio viene assorbito di meno nei muscoli e nel tessuto adiposo e non viene soppressa la gluconeogenesi epatica. Sono state dimostrate molte anomalie delle vie di controllo della secrezione insulinica, nonché del recettore, che contribuiscono all’insorgenza dell’insulino-­‐resistenza: • Ipoesposizione dei recettori per l’insulina sui tessuti bersaglio • Difetti genetici del recettore o della via di trasduzione • Mutazioni puntiformi del recettore • Modificazione dell’affinità del recettore. Il legame tra obesità e diabete di tipo 2 sono mediati dall’insulino-­‐resistenza. Il rischio di diabete aumenta all’aumentare dell’indice di massa corporea (BMI = Peso corporeo (kg) / Altezza (m2) – normale tra 19 e 25). Alcuni dei meccanismi che portano a insulino-­‐resistenza negli obesi sono mediati da: • Acidi grassi liberi (FFA – free fatty acid)  i trigliceridi e i prodotti del metabolismo dei FFA in eccesso negli obesi causano inibizione dell’effetto insulinico, diminuendo la attività delle proteine regolatorie dell’insulina. • Adipochine  il tessuto adiposo può rilasciare anche ormoni, detti adipochine, in risposta a cambiamenti dello stato metabolico. La disregolazione della loro secrezione può causare insulino-­‐resistenza nell’obeso. Tra le adipochine coinvolte c’è ad esempio la LEPTINA che agisce a livello ipotalamico inibendo l’appetito e inducendo il senso di sazietà. In caso di deficit di leptina o del suo recettore LEPR è stata rilevata una forte insulino resistenza. La disfunzione delle cellule ß si ha quando queste diventano incapaci si adattarsi alla resistenza periferica all’insulina e alla richiesta metabolica di secrezione insulinica. I difetti alla base di questa disfunzione sono di due tipi:

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QUALITATIVI  i recettori per il glucosio sulle cellule ß non funzionano bene quindi c’è un diminuzione della sensibilità o del numero dei recettori funzionanti che porta ad una risposta insulinica tardiva elevata. • QUANTITATIVI  diminuzione della massa delle cellule ß, degenerazione insulare e deposito di amiloide insulare. Morfologicamente nel diabete mellito 2 ci può essere una riduzione lieve della massa di cellule insulari. L’amiloidosi insulare appare come un deposito di materiale amorfo rosa a livello dei capillari e tra le cellule. Negli stadi avanzati può essere presente fibrosi. Perché iperglicemia causa danni? I danni mediati dall’eccesso di glucosio sono riconducibili generalmente a tre fattori: 1) ATTIVAZIONE DELLA VIA DEI POLIOLI: quando c’è iperglicemia protratta si saturano presto tutti i domini per il glucosio nelle cellule e la quantità che avanza viene trasformata in SORBITOLO. Quando il sorbitolo è in eccesso non può uscire dalla cellula e causa danno diretto o indiretto alla cellula. 2) GLICAZIONE NON ENZIMATICA DELLE PROTEINE: la continua iperglicazione proteica produce “prodotti finali di glicazione avanzata” detti AGE che si legano ai macrofagi e stimolano il rilascio di monochine e fattori di crescita che mediano il danno. 3) DISLIPIDEMIA: la diminuzione di insulina causa sconvolgimento del metabolismo lipidico con aumento della lipolisi, riduzione della lipogenesi e della sisntesi epatica di trigliceridi. Complicanze tardive del diabete Le complicanze tardive del diabete sono molte e di diverso tipo: -­‐ Macroangiopatia: si assiste ad accelerata aterosclerosi che interessa aorta e le arterie di grosso e medio calibro e le coronarie (infatti l’IMA è la più comune causa di morte nei diabetici). Altre patologie più frequentemente presenti nei diabetici sono la GANGRENA degli ARTI INFERIORI e la aterosclerosi IALINA da ipertensione. Quest’ultima è caratterizzata da un ispessimento ialino, amorfo della parete delle arteriole che provoca restringimento del lume. -­‐ Microangiopatia: uno degli aspetti più caratteristici del diabete è il DIFFUSO ISPESSIMENTO delle membrane basali, più evidente a livello dei capillare di cute, muscolo scheletrico, della retina, dei glomeruli e della midollare renali. Alla microscopia elettronica e ottica la lamina basale appare notevolmente ispessita da strati concentrici di materiale ialino composto da collegene di tipo IV. I capillari dei diabetici inoltre sono più permeabili alle proteine plasmatiche e quindi si ha evoluzione verso nefropatia, retinopatia e neuropatia diabetica. -­‐ Nefropatia diabetica: a livello renale sono presenti TRE lesioni: 1) Lesioni glomerulari  le più importanti sono: • Ispessimento della membrana basale per tutta la loro lunghezza. • Sclerosi mesangiale diffusa: diffuso aumento della matrice mesangiale. • Glomerulosclerosi nodulare: lesione glomerulare caratterizzata d depositi nodulari di matrice laminare alla periferia del glomerulo. I noduli sono PAS positivi e contengono cellule mesangiali intrappolate. Queste lesioni caratteristiche sono dette lesioni di KIMMELSTIEL-­‐WILSON 2) Lesioni vascolari renali  aterosclerosi e arteriolosclerosi. 3) Pielonefrite: infiammazione acuta e cronica o cronica dei reni. Un quadro particolare presente nei diabetici è la pielonefrite acuta con PAPILLITE NECROTIZZANTE. -­‐ Complicanze oculari: • Retinopatia diabetica: si può classificare in pre-­‐proliferativa (iniziale) e proliferativa. Nella forma iniziale la membrana basale dei vasi retinici risulta ispessita; diminusce il numero dei periciti relativi alle cellule endotelial; compaiono MICROANEURISMI; la maggiore permeabilità dei capillari retinici causa edema maculare; le modificazioni vascolari possono favorire anche la comparsa di ESSUDATI EMORRAGICI e di IPOSSIA con conseguente iper-­‐espressione di VEGF e stimolazione della angiogenesi retinica. La forma proliferativa è caratterizzata dalla comparsa di nuovi vasi (NEOVASCOLARIZZAZIONE DIFFUSA). • Cataratta • Glaucoma -­‐ Neuropatia diabetica: quadro di sofferenza assonale. Si assiste ad una demielinizzazione segmentale, con relativa perdita delle fibre mieliniche di piccolo calibro e di fibre amieliniche. Le arteriole endoneurali mostrano sclerosi, ialinizzazione, PAS positività delle pareti e un esteso ispessimento della membrana basale. •

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APPARATO GASTRO-­INTESTINALE (riassunti degli argomenti NON presenti sulle dispense). GHIANDOLE SALIVARI Sialoadeniti: si tratta di infiammazioni delle ghiandole salivari. Si distinguono: -­‐ Sialoadeniti ACUTE BATTERICHE: avvengono per propagazione dei batteri per via retrogada intraduttale e si localizzano soprattutto nella ghiandola parotide. La insorgenza è favorita da tutte la condizioni che causano XEROSTOMIA (cioè arresto e/o alterata produzione di secreto da parte delle chiandole salivari). I microorganismi sono per lo più piogeni e determinano una infiammazione purulenta che esita con la formazione di cicatrici. -­‐ Sialoadeniti ACUTE VIRALI: 1) Parotite epidemica  causata da paramixovirus che colpisce soprattutto bambini in età scolare. Dopo un paio di settimane dalla infezioni si instaura una sintomatologia dolorosa a carico di entrambe le parotisi e si rende esternamente manifesta con una deformazione della regione con sollevamento dal basso del padiglione dell’orecchio (ORECCHIONI). La tumefazione si accompagna a xerostomia e dura circa 10 giorni. Microscopicamente è presente marcata essudazione interstiziale sierosa e fibrinosa con rigonfiamento e vacuolizzazione citoplasmatica delle cellule acinari. È presente anche infiltrato di linfociti e plasmacellule. Possibili localizzazioni extraparotidee possono essere: ghiandole sottomlandibolari, testicolo, pancreas, ovaie , tiroide, miocardio, encefalo. 2) Infezione da citomegalovirus  le cellule sono aumentate di volume con nuclei grandi e polimorfi con numerose inclusioni eosinofile circondate da un alone chiaro. -­‐ Sialoadeniti CRONICHE: di solito conseguenza di una sialolitiasi (calcoli nei dotti escretori delle ghiandole  dotto di Stenone della parotide e dotto di Wharton della sottomandiboare) e sono determinate da ripetute infezioni batteriche per via ascendente. Microscopicamente sono presenti diffuse ed estese infiltrazioni di linfociti e di plasmacellule con atrofia della componente tubulo-­‐acinare e sostituzione da parte di tessuto fibroso. Il tessuto fibroso in eccesso spesso causa la formazione di un nodulo duro, che se è presente a livello delle sottomandibolari è detta “tumore di Kuttner”. SINDROME DI SJÖGREN: è caratterizzate dalla triade di sintomi: CHERATOCONGIUNTIVITE + XEROSTOMIA + ARTRIDE REUMATOIDE (o altra patologia autoimmunitaria). Si distingue una forma primaria detta SINDROME SECCA (con cheratocongiuntivite secca e xerostomia) e forma secondaria comprendente anche la malattia autoimmunitaria. La malattia è caratterizzata da secchezza delle mucose congiuntivali e orofaringea conseguente alla diminuita secrezione delle ghiandole lacrimali e salivari che risultano ATROFICHE. È la patologia autoimmunitaria più frequente dopo l’artrite reumatoide, predilige il sesso femminile (M:F = 1:9) e l’età di massima incidenza è tra 40 e 60 anni. I pazienti affetti da sindrome primaria mostrano spesso la presenza di antingeni di istocompatibilità HLD-­‐ DR4, mentre quelli affetti da sidrome secondaria mostrano Ag HDL-­‐DR3. Inoltre questi pazienti hanno costantemente una IPERGAMMAGLOBULINEMIA e si riscontrano nel siero numerosi AUTOANTICORPI contro particolari anrigeni (Ag citoplasmatico dell’epitelio dei dotti salivari, Ag nucleari SS-­‐A e SS-­‐B). Tutte queste caratteristiche fanno supporre una patogenesi autoimmunitaria e gli agenti eziologici ritenuti probabili per lo sviluppo della malattia sono virali. Macroscopicamente le ghiandole salivari (++ parotide) appaiono INGRANDITE diffusamente o localmente. Microscopicamente l‘alterazione iniziale è data da un’INFILTRAZIONE LINFOCITARIA intorno ai dotti intralobulari che si estene poi al resto del lobulo; contemporaneamente avviene la proliferazione di elementi epiteliali e mio epiteliali con occlusione del lume e atrofia ghiandolare. La maggior parte dei linfociti sono T di forma OKT4. Entro il tessuto linfoide si notano ISOLE EPIMIOEPITELIALI dovute alla proliferazione dell’epitelio dei dotti. La componente linfoide è talmente diffusa che può simulare un linfoma. La diagnosi si raggiunge con la biopsia delle ghiandole salivari. La complicazione più grave, che avviene nel 6-­‐7% dei casi è la trasformazione in LINFOMA NON HODGKIN TIPO B. Neoplasie delle ghiandole salivari -­ Adenoma pleomorfo  rappresenta circa il 60% dei tumori nella parotide, mentre sono meno comuni nelle altre ghiandole. Sono tumori benigni che originano da un MISTO di cellule duttali

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(epiteliali) e mioepiteliali. Il rischio di insorgenza di questa neoplasia aumenta con l’esposizione alle radiazioni. Macroscopicamente sono masse ROTONDE, ben demarcate, di max 6 cm di diametro. Sono capsulati, ma in alcune zone la capsula può essere meno sviluppata e vi si producono delle protrusioni digitiformi. La superficie di taglio è grigio-­‐biancastra con aree mixoidi e condroidi blu traslucide. Microscopicamente è presente una forte ETEROGENEITA’: gli elementi epiteliali sono dispersi in uno sfondo mesenchimale di tessuto mixoide lasso contente isole di cartilagine e, a volte, focolai di ossificazione. Clinicamente si manifestano come masse non dolenti, a lenta crascita, mobili e ben definite. -­ Tumore di Warthin (cistoadenoma papillare linfoma toso)  Insorge quasi sempre nella parotide, più spesso nei maschi, in genere nella V – VII decade di vita. I fumatori hanno un rischio 8 volte maggiore di sviluppare questo tumore. Macroscopicamente appare come una massa rotonda o ovale, capsulata, del diametro di 2-­‐5 cm, facilmente palpabili. Al taglio mostra una superficie grigio pallido punteggiata di piccoli spazi cistici o fissurati, riempiti di una secrezione mucinosa o sierosa. Microscopicamente questi spazi sono ricoperti da un duplice strato di cellule epiteliali neoplastiche che poggiano su un DENSO STROMA LINFOIDE. Il doppio strato di cellule di rivestimento ha un aspetto ONCOCITICO, cioè cellule ricche di mitocondri che impartiscono al citoplasma un aspetto granulare. -­‐ Carcinoma muco epidermoide  sono neoplasie composte da una variabile commistione di cellule squamose, cellule muco-­‐secernenti e cellule intermedie. Costituiscono circa il 15% delle neoplasie delle ghiandole salivari e insorgono nel 60% dei casi nelle parotidi. Macroscopicamente sono masse scapsulate, circoscritte, con margini infiltranti, di dimensioni di max 8 cm di diametro. Alla sezione appaiono grigio-­‐biancastri e pallidi e rivelano la presenza di piccole cisti contenenti materiale mucoso. Microscopicamente si notano cordoni, lamine o spazi cistici di cellule squamose, mucose o intermedie. Le cellule tumorali possono essere di aspetto benigno o altamente anaplastico (infatti si distinguono in carcinomi di basso – intermedio – alto grado). -­ Carcinoma a cellule acinari  costituiti da cellule simili a quelle sierose delle ghiandole salivari. Macroscopicamente è presente una capsula incompleta con infiltrazione dei tessuti adiacenti. Al taglio risulta di colorito giallo-­‐grigiastro. Microscopicamente si notano ammassi e cordoni di cellule basofile con citoplasma contenente granuli PAS positivi. -­ Carcinoma adenoide cistico  detto anche CILINDROMA DEL BILLROTH è un tumore che origina soprattutto dalle paratiroidi. Macroscopicamente si tratta di una massa solida biancastra non capsulata che infiltra i tessuti vicini. Microscopicamente ci sono isole epiteliali separate da scarso connettivo fibroso, con spazi cistici che ne conferiscono aspettono cribiforme. Sono presenti inoltre cellule dei dotti + cellule mio epiteliali.

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ESOFAGO MALATTIE CONGENITE DELL’ESOFAGO Sono rare, e inoltre, provocando il rigurgito del cibo ingerito, vengono in genere identificate subito dopo la nascita. Sono incompatibili con la vita e devono essere corrette nei primi giorni di vita. Agenesia: può essere parziale o totale, di solito comunque rara, e si diagnostica immediatamente alla nascita Atresia: condizione in cui un segmento dell’esofago è rappresentato soltanto da un sottile cordone fibroso non canalizzato, e quindi la parte iniziale dell’esofago è un moncone faringeo che finisce a fondo cieco. Questa porzione non canalizzata si localizza in genere alla biforcazione tracheale, e siccome l’origine embrionale dei due organi è la stessa, frequentemente si assiste ad una fistolizzazione dell’esofago con un bronco o con la stessa trachea. La sintomatologia è pesante per la possibilità di aspirazione del cibo. Stenosi: sono restringimenti non neoplastici che più spesso sono acquisiti, e si verificano soprattutto in corso di esofagite. Si tratta di ispessimento fibroso della parete, in special modo della sottomucosa. La mucosa sovrastante appare atrofica, sottile e talora ulcerata. Pliche: protrusioni della mucosa entro il lume esofageo, che si chiamano anelli di Shatzki quando vengono a trovarsi al livello della zig-­‐zag line, e pliche mucose se si trovano al di sopra di essa. Le pliche hanno un rivestimento squamoso, gli anelli un’area di metaplasia colonnare di tipo gastrico. Hanno origine incerta e in genere la loro presenza provoca disfagia transitoria per i solidi. A volte le pliche si associano a carenza di ferro, anemia microcitica, glossite e cheilosi (S. di Plummer-­‐ Wilson), con rischio di insorgenza di carcinoma esofageo. DISFUNZIONI MOTORIE L’acalasia è l’alterazione motoria più importante dell’esofago. I diverticoli e l’ernia iatale sono qui trattate in quanto una disfunzione motoria o di posizione può contribuire alla loro patogenesi Acalasia • Mancato rilasciamento del LES durante la deglutizione • Assenza di attività peristaltica nel terzo inferiore del corpo esofageo (o peristalsi scoordinata) • Dilatazione esofagea. Di solito la pressione a riposo nel LES risulta aumentata. Dal momento che la parte superiore dell’esofago risulta conservare la sua funzionalità, il bolo viene inghiottito normalmente, ma rimane incastrato a monte della giunzione esofago-­‐gastrica perché il LES non si apre e la muscolatura esofagea inferiore non è in grado di spingerlo contro la sua resistenza. L’ingresso del cibo nello stomaco avviene solo quando la colonna di cibo vince con il suo peso la resistenza del LES. La patogenesi è una degenerazione selettiva dei neuroni arginofili, deputati alla contrazione, del terzo inferiore dell’esofago, con riduzione quindi delle cellule gangliari in questi distretti, che si mantengono normali o subiscono meno alterazioni nel LES. Di solito l’eziologia è sconosciuta, e si conosce solo un agente patogeno sicuramente implicato in questa malattia, il tripanosma cruzi, che provoca la distruzione del plesso mioenterico di Auerbach. Altre condizioni che possono provocare un danno nervoso all’esofago e alle strutture motorie dell’intestino sono: • Tabe dorsale e neuropatia diabetica • Amiloidosi • Sarcoidosi • Neoplasie infiltrative La dilatazione dell’esofago si accompagna nelle fasi iniziali della malattia all’ipertrofia muscolare, così che a seconda della fase dalla malattia si osserva assottigliamento o ispessimento della parete muscolare. Di solito i gangli nervosi sono assenti nel tratto colpito e diminuiti nella zona del LES. L’epitelio in genere è indenne, ma si possono creare ulcere flogistiche ed ispessimento fibroso. Con il progredire della malattia, l’esofago si dilata ed assume nello stadio avanzato uno dei tre aspetti tipici: • A fiasco (dilatazione della porzione inferiore) • Fusiforme (dilatazione maggiore della porzione centrale) • Sigmoideo (dilatazione che accentua le curve esofagee, maggiore delle altre, detta anche

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dolicomegaesofago) I sintomi clinici sono quelli classici della malattia esofagea: • Disfagia: sia per i solidi che per i liquidi, il paziente assume i cibi aiutandosi con manovre come Valsalva, mangiando a busto eretto, eccetera. Inizialmente è occasionale, in concomitanza con spaventi o emozioni brusche, poi più frequente • Dolore: soprattutto all’inizio della malattia, quando la dilatazione esofagea è minima, ed è caratteristica l’odinofagia. In fase tardiva si sviluppa una dilatazione esofagea che è in grado di accogliere il cibo che non transita il LES. La disfagia e il dolore non sono presenti, e il sintomo più comune è l’alitosi e il rigurgito di materiale schiumoso, spontaneo o posturale. Nelle fasi avanzate, quando c’è dolicomegaesofago, ricompare disfragia e dolore, accompagnati da rigurgiti e gravi infiammazioni o ascessi polmonari secondari all’inspirazione di cibo non deglutito. Il tratto dilatato è a rischio dello sviluppo di carcinomi, soprattutto epitelioma squamoso che si sviluppa dall’epitelio normale dell’esofago nel segmento dilatato nel giro di circa 20 anni per il ristagno del cibo e la sua azione cancerogena. Inoltre, in quest’area sono frequenti le esofagiti. Diverticoli Il diverticolo è la protrusione del canale alimentare caratterizzata dalla presenza di tutti gli strati della parete. Viceversa, il diverticolo falso contiene solo la mucosa e la sottomucosa. I diverticoli veri sono tipici dell’esofago dell’anziano, mentre quelli falsi sono tipici del colon. Sono molto rare le forme acquisite, soprattutto sono forme di esofago doppio. Quelli acquisiti sono diverticoli da trazione e da pulsione, i primi secondari ad un processo cicatriziale con retrazione fibrosa e i secondi ad un indebolimento della parete con spinta eccessiva dall’interno. Si dividono in faringei, medio-­‐toracici ed epifrenici. Diverticoli faringei (diverticolo di Zenker) Diverticolo da pulsione secondario alla incoordinazione faringo-­‐esofagea, o più raramente ad un disordine di motilità dell’esofago. Si ha che quando c’è una non coordinazione fra la contrazione faringea e il UES (ritardo di apertura di questo o contrazione del cricofaringeo) nella parete posteriore dell’esofago, fra le fibre del muscolo costrittore inferiore del faringe e il cricofaringeo, nell’area detta triangolo di Killian, dove sono assenti le fibre longitudinali dell’esofago, si forma una estroflessione della sottomucosa che è limitata dalla colonna. Crescendo, infatti, essa si sposta di lato, generalmente a sinistra, e lì si reperta. Le condizioni che favoriscono lo sviluppo del diverticolo sono il tutte le cause di mancato rilasciamento del muscolo cricofaringeo dopo la deglutizione (acalasia, discalasia eccetera), la contrazione del UES prima della fine della deglutizione, l’ipertono dello sfintere, e molti altri disordini della motilità esofagea. Con il passare del tempo questa tasca cresce fino ad andare ad allinearsi sotto al faringe perché sposta in avanti l’esofago, e il cibo ingerito entra più facilmente nel diverticolo che nell’esofago. Questo provoca disfagia, tosse e rigurgito, con possibilità di compressione del diverticolo e perforazione e di polmonite ab ingestis. Tre volte più frequente nell’uomo che nella donna, la malattia ha una serie di sintomi particolari: • Iniziale fase di disfagia a livello cervicale (formazione del diverticolo) • Disfagia, tosse, alitosi, rigurgito e anoressia • Compressione della catena laterale del simpatico (raro) à miosi e enoftalmo • Compressione del ricorrente à disfonia • Compressione del vago e carotidi à sincopi Le difficoltà all’alimentazione sono grandi e spesso c’è denutrizione e calo ponderale. Un problema grave è rappresentato dalle conseguenze della permanenza di cibo nell’esofago: • Flogosi à displasia à neoplasia • Flogosi à ulcerazione emorragica à riparazione fibrosa à stenosi Diverticoli toracici 15% di tutti i diverticoli dell’esofago, spesso asintomatici. La maggior parte di essi riconosce come eziologia la trazione da parte di un linfonodo divenuto fibrotico a seguito di un processo tubercolare. Essendo dotati di parete muscolare, e non tendendo all’aumento di volume, sono in genere asintomatici, anche perché sono stirati verso l’alto o lateralmente, e quindi il cibo non tende all’ingresso dentro di essi. Invece i diverticoli da pulsione, sebbene rari sono pericolosi perché secondari ad una pressione interna da discinesia che provoca estroflessione della sottomucosa e mucosa attraverso una debolezza della parete muscolare. La loro sintomatologia è quella della discinesia che li ha provocati, ma possono avere importanti complicazioni come la diverticolite e la perforazione con conseguente mediastinite.

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Diverticoli epifrenici Sono localizzati negli ultimi 10 cm dell’esofago, costituiti da mucosa e sottomucosa e considerati fra quelli da pulsione. Sono legati a patologie con spasmo esofageo o all’ernia iatale con reflusso. I sintomi iniziali sono digestione difficile, singhiozzo e pirosi, ma poi si ha anche rigurgito, dolore toracico e disfagia. Spesso interviene una ulcerazione della mucosa con sanguinamento cronico. Ernia iatale Conseguenza della separazione della crura diaframmatica e dell’aumento dello spazio fra i pilastri di questa e la parete esofagea, l’ernia iatale può essere distinta in due tipologie morfologiche: Ernia da scivolamento (tipo 1 di Ackerlund) A seguito dell’allargamento dello iato, una parte della porzione cardiale e del fondo gastrico scivolano nel torace, per via della pressione addominale che è maggiore di quella toracica. Questo meccanismo è alla base del 90-­‐95 % delle ernie iatali. Si tratta in genere di una situazione intermittente, l’ernia è in parte o del tutto riducibile con manovre adeguate e viene evocata da manovre compressive dell’addome o dalla variazione di decubito. In genere è una affezione asintomatica dell’età medio-­‐alta, e in alcuni casi raggiunge una notevole dimensione. Ernia paraesofagea (tipo 2 di Ackerlund) Difetto di una parte della membrana freno-­‐esofagea, provoca il mantenimento in posizione del cardias, ma l’inserimento parallelo ad esso di una parte di stomaco nel torace, di solito il fondo. Questa condizione può portare alla formazione di una sacca erniaria grande, dove si impegnano colon, milza o le anse intestinali, con gravi conseguenze. Patogenesi: queste condizioni sono spesso associate a situazioni idiopatiche, a traumi o a eventi iatrogeni. Sicuramente si può verificare dopo eventi in cui si è danneggiato chirurgicamente lo iato esofageo. Si associa spesso a due malattie, la diverticolosi del colon e la litiasi biliare, nella triade di Saint. Questo fa pensare ad una origine dietetica comune alle tre malattie, tipica del mondo occidentale. • Ernia da scivolamento: asintomatica per lo più, o presenza di disturbi al transito digestivo aspecifici, come pesantezza o dolore al passaggio del cibo. Esistendo una certa correlazione fra ernia iatale e reflusso, la sintomatologia è di solito associata a quest’altra condizione. • Ernia paraesofagea: anche questa di solito asintomatica, ma alcuni pazienti dopo i pasti riferiscono una brusca e lancinante dolorabilità addominale, forse provocata dalla torsione dello stomaco. Complicanze: di solito le ernie da scivolamento piccole non sono complicate se non da reflusso, mentre appaiono più problematiche quelle grandi, per la possibilità della compressione ischemica della mucosa e quindi la formazione di ulcere ed emorragie. Il reflusso è la complicazione più frequente delle ernie iatali e di conseguenza l’esofagite. A volte l’esofagite provoca retrazione cicatriziale dell’esofago con conseguente peggioramento della postura esofagea e la malattia entra in un ciclo continuo. La peggiore complicazione è il volvolo dello stomaco, o delle anse dell’intestino impegnate in un sacco paraesofageo. Perforazioni e rotture Possono essere di natura traumatica (pallottole, armi da taglio, corpi estranei piccoli e appuntiti). I corpi estranei rapprendano un danno dall’interno verso l’esterno e possono causare anche il danneggiamento delle strutture limitrofe all’esofago. Altra causa possibile è la rottura dell’esofago per erosione neoplastica. Molto frequentemente si tratta di LACERAZIONI parziali che interessano la mucosa e la sottomucosa che si manifestano con ematemesi (sindrome di Mallory-­‐Weiss). Le lacerazioni appaiono come soluzioni di continuo fissurali, a decorso longitudinale, situate all’estremità distale dell’esofago e spesso si prolungano nella mucosa gastrica. La lacerazione NON interessa la tonaca muscolare. Sclerodermia La sclerosi sistemica progressiva è una patologia sistemica ad eziologia ignota caratterizzata da diffusa FIBROSI che interessa soprattutto la cute, ma anche altri organi e apparati. Nell’apparato digerente l’organo più colpito è l’esofago.

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Macroscopicamente l’organo appare dilatato nella parte prossimale e ispessito e stenotico nella parte distale. L’ispessimento è associato a rigidità. Sono presenti erosioni dovute all’esofagite da reflusso. Microscopicamente si apprezzano elastosi e fibrosi dell’intima delle piccole arterie con atrofia della muscolatura liscia della tonaca muscolare. Clinicamente è caratterizzata da disfagia e reflusso gastro-­‐esofageo. Esofagiti È l’infiammazione della mucosa esofagea. Essa può essere dovuta a diverse cause: • DA REFLUSSO (malattia da reflusso gastroesofageo -­‐ GERD)  in questa patologia avviene il reflusso del contenuto acido dello stomaco nell’esofago. Questo è favortito da particolari fattori scatenanti: ridotta efficacia dei meccanismi antirefllusso (tono dello sfintere esofageo inferiore); presenza di un’ernia iatale da scivolamento; detersione rallentata del materiale rigurgitato nell’esofago; svuotamento gastrico ritardato. L’azione dei succhi gastrici è alla base delle lesioni della mucosa esofagea. Macroscopicamente è possibile notare (tramite endoscopia) IPEREMIA della mucosa a cui fanno seguito EROSIONI e ULCERAZIONI. La mucosa assume aspetto GRANULEGGIANTE ed è FRIABILE e facilmente sanguinante. Nelle forme avanzate si notano STENOSI. Microscopicamente sono presenti lesioni caratteristiche: presenza di epitelio squamoso di cellule infiammatorie (eosinofili, neutrofili e molti linfociti); iperplasia dello strato basale che supera il 20% dello spessore epiteliale; allungamento delle papille della lamina propria; dilatazione dei capillari e delle papille. Se le lesioni progrediscono fino alla formazione di ulcera, questa appare costituita da tessuto di granulazione con intensa infiltrazione flogistica e le sue pareti sono costituite da epitelio con alterazioni iperplastico-­‐rigenerative. Clinicamente i sintomi principali sono disfagia,PIROSI RETROSTERNALE, rigurgito di materiae acido e, in stadio avanzato, ematemesi e/o melena. La complicanza più grave e pericolosa è l’ESOFAGO DI BARRET. Questo è il risultato di una GERD di lunga durata e rappresenta il fattore di rischio più importante per lo SVILUPPO DI UN CARCINOMA esofagea. In questa patologia avviene la METAPLASIA dell’epitelio dell’esofago distale che da SQUAMOSO è sostituto da uno CILINDRICO (simile a quello gastrico). La diagnosi di esofago di Barret può essere posta se sono soddisfatti 2 requisiti: evidenza endoscopica di epitelio cilindrico + evidenza istologica di metaplasia intestinale nei campioni di campioni ottenuti dal’epitelio cilindrico. Macroscopiacemente la mucosa dell’esofago di Barret appare VELLUTATA e di COLORE ROSSO ed è localizzata tra epitelio squamoso esofageo (liscio e rosa pallido) e mucosa gastrica (più rigogliosa e di colore marrone chiaro). La zona di metaplasia può essere piccola e limitata alla giunzione gastroesofagea oppure interessare una zona più ampia. La lesione inoltre può interessare parte della circonferza dell’esofago oppure completamente (stadio avanzato). Microscopicamente si nota la metaplasia da epitelio squamoso a cilindrico. Inoltre se nella mucosa rivestimento cilindrico si scopre la presenza di cellule CALICIFORMI INTESTINALI la diagnosi è inequivocabile. Le indagini istologiche sono importanti anche per accertare il grado di DISPLASIA cellulare (anomalie citologiche e strutturali, anomalie dei nuclei, comparsa di stroma) nell’epitelio cilindrico metaplastico. La displasia può essere di grado basso o alto. La malattia insorge solitamente tra i 40-­‐60 aa e oltre ai sintomi classici delle GERD mostra dei sintomi dovuti a complicanze secondarie (ulcerazioni locali, sanguinamenti e stenosi). Come già detto l’evoluzione più pericolosa e tragica dell’esofago di Barret si può avere verso l’ADENOCARCINOMA. La stadiazione clinica della esofagite da reflusso si basa sulla classificazione endoscopica di LOS ANGELES: GRADO A una o più lesioni < 5mm separate da mucosa indenne GRADO B almeno una lesione > 5 mm confinata tra le pliche di mucosa GRADO C almeno una lesione che si estende lungo 2 o più pliche di mucosa GRADO D Lesione che interessa tutta la circonferenza

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CHIMICHE (da caustici)  altre lesioni di tipo chimico (perché la GERD di per sé è già di tipo chimico) possono essere dovute a ingestione di sostanze irritanti come alcool, acidi (acido cloridrico, solforico, nitrico ed ossalico) o alcali (soda e potassa caustica). La gravità delle lesioni dipende dal tipo di agente causale e dal suo grado di concentrazione, quantità e durata del contatto con la mucosa esofagea. Le sostanze basiche producono danno maggiore perché penetrano nei tessuti causando necrosi colliquativa. Le sostanze acide invece producono necrosi coagulativa, ma comunque il danno è minore perché il PH alcalino della mucosa esofagea riesce in parte a neutralizzarle. Le lesioni comunque possono andare da un eritema ed edema lievi, fino allo sfaldamento della mucosa e alla necrosi transparietale dell’esofago. INFETTIVE  le più importanti sono: -­‐ Candidosi: esofago ricoperto da pseudomembrane aderenti grigio-­‐biancastre; le lesioni sono limitate alla mucosa e alla sottomucosa e sono costituite da tessuto necrotico contenente IFE fungine. -­‐ Virus: più comuni quelle da HERPES SIMPLEX TIPO 1. La lesione è caratterizzata da singole ulcere superficiali di diametro variabile da pocho mm a qualche cm; negli stadi avanzati compaiono erosioni diffuse e confluenti e microscopicamente si notano le caratteristiche inclusioni nucleari erpetiche nelle cellule epiteliali in degenerazione ai margini dell’ulcera. -­‐ Batteri (molto rare) -­‐ Tubercolosi: può localizzarsi all’esofago per deglutizione dell’espettorato infetto o per contiguità da un processo limitrofo. Si formano ulcerazioni e margini irregolari, di dimensioni lenticolari, isolate o confluenti. DA RAGGI: a seguito dell’irradiazione del’esofago i vasi ematici sottomucosi e intramurali vanno incontro a PROLIFERAZIONE INTIMALE con restringimento del lume. La sottomucosa diventa marcatamente fibrotica e la mucosa atrofica, con appiattimento delle papille e assottigliamento dell’epitelio.

TUMORI DELL’ESOFAGO Il tumore dell’esofago è benigno solo nel 20% dei casi. Leiomioma e anche fibromi, lipomi, emangiomi e polipi Il carcinoma rappresenta il 6% delle neoplasie dell’adulto, ma ha una mortalità sproporzionata (circa il 98%) e quindi è ai primi posti come numero di decessi. Maschi/femmine 3:1 (eccetto che in Iran, dove le donne superano gli uomini). Esistono due tipi di carcinomi legati ad eziologie abbastanza diverse. L’adenocarcinoma, legato alle aree di metaplasia squamosa, la cui incidenza è in aumento, e il carcinoma squamocellulare, cui sono dovuti il 75% dei casi di carcinoma esofageo, che è in diminuzione. Forme più rare sono il cilindroma, il melanoma e il carcinoide. Benigni Epiteliali Papilloma squamocellulare Connettivali Leiomioma Tumore a cellule granulari GIST Maligni Epiteliali Carcinoma epidermoidale Adenocarcinoma Connettivali Leiomiosarcoma GIST PAPILLOMA SQUAMOCELLULARE Tumore raro, singolo, localizzato nel terzo inferiore e medio, diametro medio cm. 0.5. E’ costituito da un asse fibrovascolare ramificato originato dalla lamina propria, rivestito da epitelio squamoso pluristratificato maturo. Non ha significato precanceroso. CARCINOMA SQUAMOSO (o epidermoidale) Adulti sopra i 50 anni di eta. Mas/fem varia da 2:1 a 20:1. Notevole la variazione geografica, legata alla distribuzione di alcuni fattori di rischio. Aree ad alta incidenza sono: • Nord-­‐est della Cina: alta incidenza anche superiore a 100:100000 (silicio?) • Africa: conservazione degli alimenti imperfetta, contaminazione da funghi, aflatossina • Normandia: bevande alcoliche a base di mele fermentate, produzione di nitrosamina • Iran: consumo di bevande speziate e bollenti • Giappone: consumo di cibi bollenti (nella tradizione riservati agli uomini, che difatti hanno incidenza maggiore)

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No fattori raziali per la grande differenza di incidenza fra neri africani e americani. Fattori di rischio: • Alcool • Fumo di tabacco • Nitrosamine • Cibi piccanti • HPV 16-­‐18 • Aflatossina • Silicio • Zinco e rame • Denutrizione e squilibrio alimentare Alcune condizioni predisponenti sono: • S. di Plummer-­‐Wilson • Acalasia • Stenosi • Diverticolosi Precursori: displasia lieve, moderata, severa -­‐ carcinoma in situ-­‐ Carcinoma Esofageo Superficiale ( Early ): Infiltra la lamina propria, 5% metastasi linfonodali sottomucosa, 35% metastasi linfonodali Carcinoma Esofageo Avanzato: Infiltra la muscolare propria ed oltre, metastasi linfonodali sino 80% Morfologicamente esordisce come una lesione in situ non apprezzabile macroscopicamente. 55% terzo medio, 15% superiore, 30% inferiore. Inizia in genere quindi come una lesione detta carcinoma in situ, che se trattata ha, a differenza delle lesioni avanzate, un’ottima aspettativa di vita. Il carcinoma in situ,detto carcinoma superficiale dell’esofago, ha diversi aspetti morfologici possibili: • A placche • Erosivo • Papillare • Occulto Le lesioni tumorali avanzate, invece, possono assumere tre aspetti morfologici: • Forma vegetante (60%): lesione polipoide che protrude nel lume • Forma ulcerativa-­‐necrotica (25%): infiltra moltissimo le strutture circostanti e il mediast ino (compresa la trachea) • Forma diffusa (scirrosa) (15%): stenosi e scarsa tendenza all’infiltrazione, causa ispessimento della parete.In genere il grado è bene o abbastanza differenziato, ma ciò no n impedisce al carcinoma di essere comunque spesso diagnosticato ad uno stato avanzato.L’estesa rete linfatica favorisce la diffusione della malattia neoplastica a distanz a e lungo la sottomucosa. Nidi di cellule neoplastiche si trovano regolarmente anche a di versi centimetri di distanza dalla neoplasia originaria. È detta anche forma infiltrante. Microscopicamente può essere suddiviso in: bene, moderatamente, scarsamente differenziato. Le varianti istologiche esistenti sono: carcinoma Verrucoso, a cellule fusate, Basaloide La diffusione ai linfonodi è: • Terzo superiore à linfonodi cervicali • Terzo medio à linfonodi mediastinici e tracheali • Terzo inferiore à linfonodi gastrici e celiaci ADENOCARCINOMA Insorge sulla mucosa esofagea preda di una metaplasia colonnare intestinale di tipo Barrett. Rappresenta quindi 1/4 dei tumori esofagei, ma il 50% di quelli del terzo inferiore. Si manifesta in età adulta, in genere oltre i 40 anni, mas>fem, ma più frequente nei bianchi che nei neri. Le più frequenti condizioni predisponenti sono: • Esofagiti da reflusso • Ernia iatale • Abuso di fumo e di caffè • Pasti grassi abbondanti • Farmaci FANS • Tutte le condizioni di reflusso gastroesofegeo

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Questi adenocarcinomi sono localizzati nell’esofago di Barret e possono invadere il cardias. Sono aree piatte nel contesto della mucosa normale, e in seguito possono differenziarsi, crescendo, in forme nodulari, invasive o ulcerate. Le cellule hanno aspetto intestinale o meno frequentemente ad anello con castone (tipo gastrico mucinoso). La clinica e la prognosi sono sovrapponibili a quelle del carcinoma squamoso dell’esofago.

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STOMACO Malformazioni congenite: -­ Disturbi di circolo • Anemia: in caso di stati anemici acuti e cronici. Può associarsi a atrofia. • Iperemia attiva: in caso di flogosi acute. Colore rossi vivo della mucosa. • Iperemia passiva: in caso di ipertensione portale o per insufficienza cardiaca congestizia. La mucosa è cianotica, con piccole emorragie e ricoperta da secreto mucoso denso. • Emorragie: può avvenire in due modi: una soluzione di continuo della mucosa (ulcera o erosione) con raccoglimento si sangue nella cavità; in questo caso avviene per rottura di piccole vene – “per diapedesi” – e la quantità di sangue non è molto alta. Si tratta di emorragie minute e multiple che possono confluire in chiazze dando la mucosa l’aspetto noto come “stomaco a leopardo”. In caso invece di erosione di vasi più grandi il sangue si raccoglie in quantità anche enormi all’interno del lume. Lo stomaco risulta pieno di coaguli e il suo peso aumenta di oltre 1 kg. Se il sangue ristagna per un po’ di tempo nello stomaco, in seguito alla azione del succo gastrico apparirà come fini grumi di tonalità nerastra (detto “a posa di caffè”). -­ Corpi estranei Sono particolarmente pericolosi gli oggetti piccoli e appuntiti come aghi e spilli poiché possono perforare il peritoneo e causare peritonite. Un particolare corpo estraneo è il BEZOARIO, che consiste in un intreccio di peli o di fibre vegetali. Nell’uomo esiste in forma di TRICOBEZOARIO (formato da capelli) ed è comune in soggetti nevrotici che hanno l’abiteudine di strapparsi i capelli e poi masticarli. Si possono costituire così nello stomaco delle masse di notevoli dimensioni che riproducono lo stampo della cavità gastrica. -­ Invaginazione e volvolo L’invaginazione è un’evenienza rara che si può verificare in presenza di tumori peduncolati. Il volvolo gastrico è caratterizzato dalla ROTAZIONE dello stimaco intorno ad un asse. Si possono avere du e assi di rotazione: longitudinale (o cardio-­‐pilorico) rappresentato dalla piccola curva e quella trasversale (o mesenterico-­‐assiale) che taglia ortogonalmente lo stomaco a livello della porzione intermedia. In quest’ultimo caso lo stomaco il tratto prossimale e quello distale ruotano contemporaneamente in sensi opposti determinando l’avvicinamento di cardias e piloro. Il volvolo può avvenire in seguito a tutti i meccanismi che causano il rilasciamento dei mezzi di fissità del viscere. Causa occlusione del lume e turbe circolatorie. GASTRITI Processo infiammatorio della mucosa gastrica, distinguibile in acuto e cronico. Gastrite acuta  Processo infiammatorio a carattere acuto della mucosa, in genere transitorio, con erosione ed emorragia di grado variabile, ma comunque importante causa di emorragia GE. La tendenza è la guarigione spontanea, ma la sintomatologia è variabile, da quadri lievi di bruciore a gravi emorragie. La patogenesi è dovuta a diverse condizioni: • FANS: diversi meccanismi di danno, aggravati dal fatto che si accumulano nello strato mucoso per via della ionizzazione transcellulare alla quale sono sottoposti • Diminuzione dello strato mucoso • Diminuzione del bicarbonato • Diminuzione del flusso ematico alla mucosa • Diminuzione del pH • Alcool: danno diretto e lesioni capillari (danno ischemico) • Fumo: danno diretto e lesioni capillari • Acidi biliari refluiti • Chemioterapici • RX ionizzanti • Steroidi • Shock • remia • Stress • Intubazione • Infezione da HP: fattore che sta assumendo una rilevanza sempre maggiore ma soprattutto nelle forme di gastrite cronica. Questi fattori agiscono in vario modo più o meno diretto nella messa in atto e nel mantenimento di quei meccanismi implicati nella protezione della mucosa dall’acido.

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La gastrite può assumere tre forme: • Sierosa-­‐catarrale: è tipica delle forme lieve con modesta infiammazione. L’aspetto princi pale è quello dell’edema con una modesta iperemia, ed un infiltrato di PMN sulla mucosa intatta, la cui presenza indica che la forma di gastrite è attiva. • Emorragica: l’emorragia può insorgere su una mucosa già iperemica, e allora si formano delle punteggiature rosse nel contesto di essa (soffusioni emorragiche), oppure insieme ad un erosione • Erosiva: l’erosione è la perdita di epitelio superficiale che non supera la muscolaris muco sae.Quando si ha, si accompagna con un notevole infiltrato infiammatorio, e si ha spesso essudato purulento contenente fibrina. Spesso le forme erosive e quelle emorragiche si manifestano insieme in una sola entità clinica detta gastrite erosivo-­‐emorragica, che è caratterizzata dal denudamento di ampie aree di mucosa (senza però coinvolgere la sottomucosa). Sintomi variabili da dolore, bruciore e modesta nausea e vomito, fino a emorragia franca con ematemesi e melena. Questo quadro grave è frequente negli alcolisti. Circa il 25% dei soggetti che assumono cronicamente FANS (come per l’AR) sviluppano una gastrite acuta spesso con sanguinamento. Gastrite cronica  Processo infiammatorio cronico che riguarda primariamente la sottomucosa, e che interessa secondariamente la mucosa che tende a diventare atrofica. Si crea alla fine anche metaplasia epiteliale, ma non si hanno erosioni dell’epitelio. Queste alterazioni possono diventare displastiche e divenire la base di impianto di un carcinoma. Varia molto nella popolazione mondiale. In occidente interessa circa il 50% delle persone sopra alla sesta decade di vita. Esiste una diffusa classificazione eziologica della gastrite, oggi in parte superata, che distingue tre forme principali: • Gastrite di tipo A: eziologia autoimmune • Gastrite di tipo B: eziologia infettiva, da HP • Gastrite di tipo C: gastrite da farmaci, da tossici, eccetera. Agenti che possono entrare in questa categoria sono: Alcool, Fumo, Reflusso post-­‐chirurgico, Radiazioni, Malattie granulomatose. Altra importante classificazione è fatta sulla base della localizzazione della gastrite: • Tipo A: fondo gastrico à AUTOIMMUNE nella maggior parte dei casi • Tipo B: antro gastrico à DA HELYCOBACTER nella maggior parte dei casi • Tipo AB: totale Circa il 90% delle gastriti croniche antrali sono da Helycobacter, e una buona fetta di quelle AB riconoscono il batterio come meccanismo patogenetico. Il tasso di colonizzazione della mucosa da parte di questo batterio sembra legato all’età e supera il 50% nei soggetti sopra a 50 anni, e praticamente tutti i soggetti sopra i 70 ne sono portatori. HP aumenta significativamente il rischio di ulcera peptica e di carcinoma gastrico. I meccanismi con cui si pensa possa agire il batterio sono: • Modificazioni della composizione del muco gastrico con aumento della sensibilità della mucosa • Diminuzione della secrezione gastrica dell’acido ascorbico e favorisce la secrezione di composti cancerogeni nitrosi • Infiammazione della mucosa gastrica che produce iperplasia • Produzione di ureasi (alza il pH e permette la sopravvivenza del batterio), presenza di flagelli e di adesine per le cellule gastriche epiteliali. Questo aumenta nelle cellule che esprimono antigeni del gruppo O. • Sviluppo del tessuto linfatico associato alla risposta immune (aumento del rischio per MALT) • La presenza del gene CAG-­‐A nel ceppo colonizzante provoca un aumento significativo della possibilità di sviluppare ulcera e tumore. In caso di gastrite da HP, la terapia con adatti protocolli farmaceutici (come la triplice) può rimuovere il batterio e la gastrite, in questo caso, regredisce se non c’è stato un eccessivo danneggiamento atrofico della mucosa. Nelle gastriti autoimmuni invece si ha una trasmissione autosomica recessiva, e c’è una associazione di familiarità con altre patologie come la tiroidite di Hashimoto e la malattia di Addison. Si produce una serie di Ab, variabili nei vari casi, diretti contro le cellule parietali e il

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fattore intrinseco. Questo provoca la riduzione della secrezione gastrica acida e la progressiva atrofia della mucosa. Inoltre la perdita di fattore intrinseco provoca anemia perniciosa. Macroscopicamente la mucosa è arrossata, e la trama delle pliche appare ridotta e appiattita. A volte può comparire invece un aspetto rugoso che pliche ispessite, ma è meno frequente. Più la malattia è grave, tanto più appare assottigliata e appiattita la mucosa. Microscopicamente si possono avere due aspetti: • Superficiale: presenza di infiltrato infiammatorio di linfociti e plasmacellule (non di PMN) nella superficie epiteliali, senza coinvolgimento delle ghiandole • Profonda: perdita parziale o completa delle ghiandole gastriche Oltre a questo, sono comuni diverse altre alterazioni: • Rigenerazione della mucosa: tendenza alla proliferazione delle cellule mucose del colletto per sostituire l’epitelio andato distrutto. Difficile a volte distinguerla dalla displasia • Metaplasia: la formazione di una metaplasia di tipo intestinale è abbastanza frequente. Si ha la produzione di cellule colonnari, assorbenti e mucipare. Ci sono tre tipi di metaplasia intestinale: o Tipo I, completa, tipo piccolo intestino. Cellule di Gobblet secernenti sialomucine e cellule colonnari assorbenti neutre. Rischio di progressione a carcinoma: basso. o Tipo II, incompleta, tipo celiaco. Cellule colonnari secernenti mucine neutre: solfomucine: alto rischio di progressione a carcinoma. Sialomucine: rischio basso. o Tipo III; immatura, tipo colico. Gobblet secernenti sialo o solfomucine. Epitelio colonnare di tipo colico. • Displasia: nelle gastriti di lunga durata, le alterazioni dell’epitelio divengono così marcate da produrre una trasformazione cancerosa con buona probabilità. Questo è maggiormente possibile nei pazienti affetti da gastrite cronica di tipo A. • Atrofia: marcata perdita di strutture ghiandolari, con appiattimento della mucosa. Le cellule parietali possono anche essere del tutto assenti. Le ghiandole spesso vanno incontro a dilatazione cistica. Una cosa particolare è la possibilità che si crei iperplasia delle cellule antrali produttrici di gastrina, le cellule G, che appartengono alle cellule endocrine. Queste sono stimolate dalla bassa produzione di acido cloridrico, e possono degenerare in forme di carcinoma. La produzione di alti livelli di gastrina in assenza di secrezione acida è infatti fortemente diagnostica di acloridria atrofica. La presenza di HP nella mucosa può essere messa in evidenza anche con l’utilizzo di tecniche di impregnazione argentica o con il GIEMSA. Esso non invade mai la mucosa, ed è sempre presente nell’epitelio. Il batterio è assente nelle aree di metaplasia intestinale, mentre viceversa, può vivere nel duodeno ma solo in aree di metaplasia gastrica. La diagnosi differenziale, talvolta difficile, viene fatta con: • Gastrite cronica granulomatosa (morbo di Crohn gastrico) • Cancro gastrico di tipo diffuso Clinicamente si possono avere: • Scarsi sintomi (nausea, vomito e dolore epigastrico) • Acloridria (nelle forme antrali non c’è mai completamente, perché non tutte le cellule vengono disturutte) • Anemia perniciosa nelle forme autoimmuni Approfondimento Helycobacter Pylori: è un batterio gram negativo flagellato acidofilo, il cui habitat ideale è il muco gastrico situato nello stomaco umano. Tale resistenza ad un pH di 1 o 2 gli è conferita dalla produzione dell'enzima ureasi, il quale crea intorno al batterio un microambiente compatibile con la sua esistenza. La presenza di questo enzima ha reso possibile la messa a punto del test del respiro, o UBT, secondo la dizione inglese.[4] Al paziente viene somministrata urea marcata con l'isotopo 13C. Se è presente il batterio avviene una reazione, catalizzata dall'enzima ureasi, che porta alla scissione dell'urea-­‐13C con la formazione di ammonio e 13CO2, ovvero anidride carbonica formata da ossigeno e l'isotopo 13C del carbonio. Se l'analisi del respiro del paziente rivela la presenza di 13CO2 il test è positivo. Le capacità patogene del batterio sono dovute ad una serie di sue caratteristiche:

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1) Produzione di UREASI che crea un ambiente ricco di ioni ammonio che protegge il batterio dal PH acido dello stomaco 2) Il batterio si nasconde al di sotto dello strato di muco che riveste l’epitelio della mucosa, a cui aderisce tramite specifiche adesine. L’adesione del batterio alle cellule epiteliali causa: deplezione mucinica, vacuolizzazione delle cellule con perdita dei microvilli, modificazioni delle giunzioni serrate. 3) La viscosità del muco varia a causa della azione batteria e la mucosa gastrica è esposta all’azione dell’acido gastrico. 4) I fattori di virulenza del batterio sono molti: ureasi, proteasi (altera viscosità muco), fosfolipasi (altera membrane cellulari), lipopolisaccaride (danno diretto), capacità di deplezione delle sostanze nutritive dell’ospite. L’infiammazione colpisce soprattutto l’ANTRO, ma in alcuni casi può interessare anche langulus a livello della zone di passaggio da mucosa antrale a mucosa fundica. In quest caso si dice MULTIFOCALE ed è associata a ulcera peptica e possibilità di sviluppo di carcinona gastrico. Microscopicamente si nota una gastrite cronica antrale ricca di linfociti e plasmacellule (GASTRITE CRONICA), mentre se sono presenti anche granulociti la flogosi si definisce ATTIVA. Sono presenti tutte le lesioni già spiegate nella gastrire cronica. FORME PARTICOLARI DI GASTRITE • Gastrite linfocitica: infiltrato superficiale della mucosa da parte di cellule linfatiche T e di plasmacellule che non infiltrano la mucosa. Il paziente è asintomatico, ma alla EGDS risultano delle aree nodulari con una depressione centrale, che ricoprono ed ispessiscono le pliche gastriche. Sembra correlata al morbo celiaco e si cura con corticosteroidi o cromoglicato sodico. • Gastrite eosinofila: infiltrato eosinofilo molto intenso, che si accompagna ad eosinofilia periferica, e che può interessare la mucosa, la sottomucosa o lo strato muscolare, oppure estendersi a tutto lo spessore del viscere. Si manifesta principalmente nell’antro, dove raramente si crea ispessimento della parete tale da provocare problemi di svuotamento. Disturbo più frequente è dolore epigastrico con nausea e vomito, e risponde bene ai glucocorticoidi. • Gastrite granulomatosa infettiva: istoplasmosi, candida, sifilide e TBC. • Gastrite granulomatosa secondaria al morbo di Crohn. • Gastrite da linfoma gastrico Gastrite ipertrofica  Con queste termine si intendono forme particolari di gastriti rare, caratterizzate da un ispessimento cerebriforme delle pliche gastriche. Questo ingrandimento non è infiammatorio, ma sostenuto da una ipertrofia vera. Si distinguono varie forme: • Malattia di Ménétrier: Iperplasia della mucosa gastrica, di tipo foveale, limitata alle cellule superficiali e mucose, con la distruzione delle cellule parietali e principali. Il colletto delle ghiandole si allunga e diviene molto tortuoso, e le stesse pliche gastriche diventano più spesse e tortuose. Può esserci una infiltrazione linfocitaria e può esserci metaplasia intestinale. La sintomatologia è ampia: c’è dolore epigastrico, nausea e vomito. Può esserci sanguinamento gastrointestinale occulto, emorragia conclamata rara, mentre è frequente una dispersione proteica con ipoalbuminemia. La diagnosi si pone con la biopsia e l’osservazione delle pliche alterate; la terapia con inibitori della secrezione gastrica e con dieta ad alto contenuto proteico. • Gastropatia ipertrofica ipersecretiva: iperplasia idiopatica delle cellule parietali e principali delle ghiandole gastriche • Iperplasia ghiandolare gastrica da ipergastrinemia: tipica nella S. di Zollinger-­‐Ellison Queste condizioni sono importanti per la difficile diagnosi differenziale con il carcinoma infiltrante o il linfoma gastrico, e per la presenza di una ipersecrezione acida nello stomaco. ULCERE GASTRICHE Ulcera è la soluzione di continuo della mucosa del GE che si estende attraverso la muscolaris mucosae fino alla sottomucosa, e a volte anche oltre (a differenza dell’erosione). A volte queste alterazioni della mucosa possono estendersi fino a provocare la perforazione della parete. Esistono essenzialmente due tipi di ulcere: le ulcere peptiche, causate da un danno di tipo

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cronico, e le ulcere acute, che hanno un danno appunto acuto e sono causate principalmente da stress. Ulcera gastrica acuta  Si tratta di un difetto focale della mucosa, per lo più multiple, estese allo stomaco e quasi mai al duodeno, che variano da semplici erosioni fino a vere e proprie ulcere. Si associano in genere a situazioni di intenso stress: • Traumi o ustioni estese à ulcere di Curling, che a differenza delle altre si localizzano nel duodeno prossimale • Traumi e interventi nel SNC e aumento della pressione intracranica à ulcere di Cushing, che si localizzano invece nello stomaco, ed hanno una forte tendenza alla perforazione • Spesi • Shock • FANS e corticosteroidi La patogenesi è incerta, e forse per le ulcere di Cushing è importante la stimolazione della secrezione tramite i nuclei vagali. Invece nelle ulcere di altro tipo è importante la diminuzione dell’apporto di ossigeno, della secrezione di bicarbonato e della sintesi di PG. Ulcera peptica  Lesione cronica, spesso solitaria, che può verificarsi in qualsiasi segmento dell’apparato digerente sottoposto all’azione dell’acido cloridrico e degli enzimi digestivi. Le sedi più probabili sono: • Duodeno (bulbo duodenale e seconda porzione) • Antro gastrico • Angulus, piccola e grande curva • Giunzione cardiale (da reflusso) Incidenza 1:50, M/F variabile (media 4:1). Mortalità molto bassa, 1:100000. Età 4°-­‐6° decade. La differenza M/F diventa meno significativa per le gastriche (1-­‐5:1). La donna è maggiormente esposta dopo la menopausa. Ultimamente l’incidenza delle duodenali è in diminuzione, e aumenta quella gastrica. Il motivo di questo non è conosciuto. Eziologia e patogenesi • Fumo: aumenta il rischio, ritarda la guarigione e facilita la recidiva. Diminuisce il flusso alla mucosa e provoca danno diretto • Alcool: stimola la secrezione acida e induce gastrite acuta. Aumenta il danno alla mucosa per l’iperemia passiva che consegue ad ipertensione portale • FANS • Corticosteroidi • Cause di ipercalcemia (I renale e iperparatiroidismo) à aumentano la secrezione di gastrina • Aumentata secrezione acida (S. di Zollinger-­‐Ellison) • Patologia “funzionale” (svuotamento rapido del corpo gastrico ed esposizione della mucosa al danno) Sembra però che tutti questi fattori siano principalmente dei fattori predisponenti, ma che alla fine il primo fattore causale sia l’infezione da H. Pylori. Esso appare presente nel 90-­‐100% dei pazienti con ulcera duodenale, e nel 70% dei pazienti con ulcera gastrica. Però nel primo caso l’ulcera correlata ad HP si instaura solo raramente in un’area di metaplasia gastrica: molti pazienti sviluppano ulcera duodenale avendo l’HP solo nello stomaco, e non è chiarito perché. I meccanismi di danno diretti sono quelli già descritti prima nella gastrite. Oltre a quelli, per la patogenesi dell’ulcera sono importanti: • Presenza dell’ureasi e proteasi che distruggono le glicoproteine del muco, e fosfolipasi che danneggia le membrane • Attivazione e chiemiotassi dei PMN (producono acido ipocloroso e monocloramina, che distruggono le cellule) • LPS (danneggia le cellule e richiama le cellule infiammatorie) • Danno diretto delle cellule della mucosa • Liberazione di fattori trombogenici per i capillari della sottomucosa • Provocazione di una flogosi cronica • Deplezione di sostanze nutritive da parte del batterio Oltre a questo, vi è sicuramente qualche fattore individuale che predispone all’infezione e al danno, in quanto solo il 10-­‐20% dei soggetti infettati da HP sviluppa una ulcera peptica. Oltre 50% ha un diametro inferiore a 2 cm. Di solito quelle più piccole (<3 mm) sono erosioni, e l e ulcere vere sono almeno 6 mm. Non c’è associazione fra dimensione e tendenza alla neoplasia. E’ una lesione rotonda, limitata nettamente, con pareti “ripide” e perpendicolari al fondo. I margini sporgono lievemente al di sopra della base. Nell’ulcera maligna sono frequentemente

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ispessiti e presentano dei noduli. La profondità dell’ulcera è varia, e mentre alcune sono limitate alla sottomucosa, altre erodono tutta la parete e provocano perforazione. A causa della digestione peptica dell’essudato, la base delle ulcere di questo tipo è liscia e pulita, e a volte si possono trovare nel fondo vasi (trombizzati o beanti). Le ulcere guariscono per cicatrizzazione, e quindi nelle forme croniche è frequente trovare una irradiazione delle pliche gastriche a partire dal centro dell’ulcera stessa. Istologicamente, abbiamo uno stato di necrosi attiva in cui si hanno 4 zone funzionali diverse: • Superficie: il fondo e i margini dell’ulcera sono coperti da uno strato necrotico fibrinoide, sott ile e visibile solo in MO • Sotto c’è una zona attiva di infiammazione con prevalenza di PMN • Ancora più in profondità c’è un ricco tessuto di granulazione infiltrato di leucociti e PMN • Sotto a questo, e come base per esso, esiste un tessuto fibroso solido, di cicatrizzazione. In quest’area, le pareti dei vasi sono ispessite ed i vasi stessi sono trombizzati. Clinicamente è tipicamente recidivante, con dolore gastrico urente, sordo o fastidioso che si alterna in diversi periodi. Il dolore peggiora di notte e insorge 1-­‐3 ore dopo il pasto nell’ulcera duodenale (e migliora con il cibo), mentre invece aumenta durante il pasto e migliora a digiuno nell’ulcera gastrica. Andamenti clinici così tipici sono però molto rari. Se non trattate, non riducono significativamente l’aspettativa di vita ma ne peggiorano la qualità e possono essere fonte di importanti complicazioni, come: • Emorragia (25-­‐33%): a volte è la prima manifestazione della malattia, e si può avere libera nel peritoneo oppure negli organi vicini • Perforazione: meno frequente ma molto più grave • Ostruzione (stenotica o edematosa): problema tipico delle ulcere del piloro. Per l’aumento della pressione si hanno diverticoli a monte. • Dolore intrattabile (raro) TUMORI STOMACO POLIPI E TUMORI BENIGNI I tumori benigni dello stomaco sono generalmente protrudenti nel lume e vengono a volte chiamati indiscriminatamente polipi anche tutta una serie di tumori benigni che si repertano nello stomaco (leiomiomi, lipomi). I polipi sono comunque i tumori benigni dello stomaco più frequenti, anche se non raggiungono la frequenza di quelli del colon. Si repertano polipi (neoplastici e infiammatori) nello 0,4% delle autopsie, e di solito l’incidenza clinica di queste lesioni è sottostimata. M/F 2:1, incidenza massima 6°-­‐7° decade di vita. Aumentata propensione del rischio a carcinoma nei pazienti che hanno anche poliposi colica. Morfologicamente si dividono in: • Polipi iperplastici o infiammatori: 90% • Adenomatosi: 10% I primi sono lesioni non neoplastiche, costituiti da tessuto ghiandolare iperplastico con una lamina propria edematosa e cellule infiammatorie tipicamente croniche. A volte rare fibre muscolari lisce. La massa viene determinata da un aumento della cellularità ma le cellule sono normali. Sono per lo più sessili (a larga base d’impianto), e piccoli (< 20 mm), e non hanno potenziale maligno. I secondi invece sono spesso singoli, possono essere sia sessili che peduncolati, piccoli o grandi. Le cellule che li compongono hanno una displasia di grado variabile, e contengono un potenziale maligno del 30%, con trasformazione in adenocarcinoma. Clinicamente, Frequentemente insorgono su una gastrite cronica, dove probabilmente aumenta anche la possibilità di progressione a carcinoma per via del danno cronico. Possono dare ematemesi e melena per rottura del peduncolo, e a volte anche dolore. CARCINOMA GASTRICO Tumori maligni dello stomaco sono: • Carcinoma gastrico (90-­‐95%) • Linfoma gastrico MALT (3-­‐4%) • Sarcomi • Tumori carcinoidi

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Diffusione ubiquitaria ma con rilevanti differenze geografiche. Aree ad alta incidenza sono Giappone, Russia, Cina, Portogallo, mentre negli USA, in Canada e in Australia l’incidenza è molto bassa. La mortalità e la diffusione del tumore tende nel complesso alla riduzione (negli USA dal 1° al 6° posto di mortalità negli ultimi 60 anni, in Italia dal 3° al 4°). In realtà, per motivi che vedremo, si ha una riduzione di incidenza della forma intestinale, mentre quella diffusa rimane uguale. La forma intestinale insorge in media a 55 anni, M/F 2:1. Quella diffusa insorge a 48 anni ed è paritaria nei due sessi. I fattori di rischio noti sono per la forma intestinale, dato che quella diffusa non ha una patogenesi chiara. • Dieta: i più importanti. • Presenza di nitrosamine (come il sodio nitrito usato per conservare i cibiche contiene nitrati, trasformati nello stomaco a nitriti, da cui derivano le nitrosamine). L’assunzione di vitamina C ed E previene questa riduzione. • Benzopirrene ed altri idrocarburi: acqua piovana e pesce affumicato • Contaminazione dell’acqua e del cibo da parte di nitrosamine • Mancanza di frutta e verdura fresche • Impossibilità di refrigerare i cibi e produzione di nitriti (la diffusione della catena del freddo probabilmente è alla base della riduzione dell’incidenza della forma intestinale) • Alimenti specifici: § Polpette di riso bollente (Giappone) § Fritto (Galles) § Pesce affumicato (Islanda) • Asbesto • Irradiazioni • Sale (?) • Fattori genetici: nel 4% vi è una storia di trasmissione familiare, ma non molto importante, e legata probabilmente a fattori ambientali che agiscono sulla stessa famiglia. I migranti assumono dopo una generazione lo stesso rischio della popolazione locale. Lesioni predisponenti: o Gastrite cronica con metaplasia intestinale di tipo II (cellule di Gobblet secernenti solfomucine). Il rischio aumenta fino a 18 volte, soprattutto nei pazienti oltre i 50 anni o Acloridria: facilita la colonizzazione batterica e la produzione di nitrosamine o Infezione da HP Al solito, il ruolo dell’HP merita un discorso a se stante. Esso produce una gastrite cronica superficiale che stimola la produzione di una ulcera peptica, che già di per se ha un rischio dello 0,3% di trasformarsi in tumore. Inoltre si ottiene acloridria che produce l’iperplasia delle cellule G e un aumento della colonizzazione batterica (per questo motivo anche la gastrite autoimmune è implicata). Infine, la presenza del batterio stimola il tessuto linfoide e si produce un aumento del rischio di linfomi MALT. La sede del carcinoma è preferenzialmente l’antro (50-­‐60%) piuttosto che il cardias (25%). La piccola curva in sede antro-­‐pilorica è il sito classico di insorgenza del tumore. I due tipi istologici originano da una sede di metaplasia intestinale (carcinoma gastrico di tipo intestinale) o de novo (carcinoma gastrico di tipo diffuso). Possono essere classificati in tre modi: • In base alla profondità dell’invasione • In base al tipo istologico • In base allo sviluppo macroscopico La profondità dell’invasione permette di distinguere tre tipi di tumore, che riflettono la progressione clinica e le caratteristiche di invasività: • Neoplasia in situ: si tratta di una neoplasia limitata all’epitelio. Questa neoplasia non è migliore o meno aggressiva di altri tipi, è solo precoce e si differenzierà in seguito con caratteristiche di aggressività e di infiltrazione variabili. • Early Gastric Cancer: lesione confinata alla mucosa e alla sottomucosa, che non è per questo precoce o meno aggressiva, in quanto può dare anche metastasi. Si tratta di una neoplasia che ha la caratteristica di diffondersi per largo senza comunque interessare la muscolare. Arriva anche ad estendersi per 10 cm di larghezza • Carcinoma gastrico precoce: lesione infiltrativa che però non ha ancora superato la musco-­‐ lare • Carcinoma gastrico avanzato: lesione che invade anche la muscolare e oltre.

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L’aspetto morfologico distingue invece: • Forme esofitiche: crescita verso il lume dello stomaco • Forme depresse: crescita piatta, o con una leggera depressione • Forme escavate: crescita con una profonda depressione Queste due caratteristiche si combinano fra di loro e possiamo avere forme esofitiche precoci o avanzate e così per tutte le combinazioni. Le forme esofitiche ed escavate sono facili da rilevare alla TAC o alla endoscopia. Le forme piatte invece sono molto difficili da osservare e non si distinguono se non per la perdita della normale trama mucosa.Le forme escavate possono anche dare un quadro particolare che è quello della lini te plastica. Avviene quando l’ulcera neoplastica (riconoscibile per l’aspetto necrotico e vegetante del fondo) si estende nella parete, che viene estesamente infiltrata dalle cellule neoplastiche e assume l’aspetto di una fascia di cuoio. La linite plastica viene prodotta correntemente anche dalle metastasi allo stomaco. Le caratteristiche istologiche invece distinguono: • Carcinoma gastrico di tipo intestinale: composto da ghiandole intestinali con cellule piene di mucina, che crescono in maniera espansiva nel contesto del tessuto parietale gastrico, come ampie cupole. Nel lume ghiandolare può essere presente abbondante mucina. • Carcinoma gastrico di tipo diffuso: presenta un aspetto di tipo infiltrativo, con cellule gastriche che non si associano a fare delle ghiandole, ma infiltrano la parete in nidi o follicoli. Ci possono essere cellule a castone cariche di mucina. Clinicamente in genere i tumori asportabili sono asintomatici. Con il crescere della massa, inizia un senso di pienezza al quadrante superiore dell’addome, fino ad un dolore marcato e persistente. Anoressia, sebbene molto frequente, non è di solito un sintomo d’esordio. A seconda della porzione interessata, l’esordio della malattia cambia: • Fondo: interessamento del n. frenico à singhiozzo • Cardias: disfagia • Piloro: stenosi e vomito postprandiale • Infiltrativo: compressione e diminuzione del volume gastrico à sazietà precoce, anoressia e calo ponderale • Ulcerativo: ematemesi ed anemia cronica In caso di interessamento dei nervi addominali, le nevralgie specifiche sono molto dolorose. Nella metastasi epatica, peraltro frequente, si hanno movimenti di ALP, AST, yGT. La diffusione metastatica avviene frequentemente per continuità, al fegato, colon e pancreas. Il tumore di Kukenberg metastatizza frequentemente all’ovaio per via transcelomatica. Può esserci metastasi ai linfonodi addominali e sopraclaveari. Per ragioni non note, alcuni tumori possono come primo segno clinico metastatizzare al linfonodo sopraclaveare di Virchow. Linfomi MALT e maltoma gastrico Rappresentano il 5% di tutte le neoplasie maligne dello stomaco. Lo stomaco è la sede più frequente dei linfomi extranodali. La maggior parte dei linfomi gastrici sono a cellule B del tessuto linfoide associato a mucosa (MALT). Circa l’80% dei linfomi gastrici è associato alla presenza di H. Pylori, infatti si ottengono ottimi risultati con l’uso di antibiotici specifici per questo microrganismo. In alcune forme di linfoma invece sono state descritte alterazioni genetiche, in particolare TRISOMIA del cromosoma 3 e TRASLOCAZIONI 11;18 con produzione di una proteina mutata che inibisce la apoptosi. Morfologicamente i linfomi interessano la mucosa o la porzione superficiale della sottomucosa. Nei linfomi MALT è presente un intenso infiltrato linfocitario MONOMORFO nella lamina propria che circonda le ghiandole gastriche. Queste sono invase da linfociti ATIPICI e vanno incontro a distruzione. Le caratteristiche morfologiche sono comuni a tutti i tipi di MALT: Macroscopicamente si nota un ispessimento della mucosa con erosioni e/o ulcere soprattutto a livello dell’antro. Microscopicamente si possono distinguere due forme: • Basso grado  cellule neoplastiche attorno a follicoli linfatici reattivi, con una forma simile a i CENTROCITI. Queste cellule possono infiltrare i follicoli. È caratteristica l’infiltrazione e la distruzione dell’epitelio delle ghiandole. La diagnosi differenziale è difficile nei confronti di una iperplasia linfoide reattiva. • Alto grado  cellule grandi con caratteri di CENTROBLASTI o IMMUNNOBLASTI o PLASMOBLASTI. Possono essere presenti cellule simili al quelle di Reed-­‐Steimberg.

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Importanti caratteristiche fondamentali dei linfomi MALT sono: 1) Insorgenza in zone dove è presente una flogosi cronica da molto tempo (es. maltoma gastrico su gastrite cronica da H.P, tumore di Whartin su sindrome di Sjögren) Crescita lenta 2) Fenomeno dell’”HOMING”: tendenza del tumore a restare LOCALIZZATO 3) Possibilità di regressione completa se viene eliminata la causa scatenante la flogosi cronica sottostante. Infatti è stato dimostrato che l’eradicazione di H.P. porta ad una forte riduzione dello sviluppo o della progressione di un maltoma gastrico. TUMORI STROMALI (GIST) I GIST possono essere definiti come un gruppo distinto di neoplasie mesenchimali del tratto gastrointestinale che esprimono KIT, mostrando differenziazione verso le cellule interstiziali di Cajal, anche conosciute come “cellule pacemaker gastrointestinali”. Classicamente i tumori mesenchimali gastrointestinali sono stati considerati come descritti e classificati da Stout A. P. (1941, 1967): • Leiomiomi • Leiomiosarcomi • Leiomioblastomi: Leiomiomi a cellule epitelioidi, Leiomiosarcomi a cellule epitelioidi Evidenza immunoistochimica di positività in un’alta percentuale di tumori stromali ha suggerito inizialmente di considerare l’antigene CD34 quale marker specifico di GIST. Risultò successivamente la scarsa specificità del CD34: solo una percentuale dei GIST è positiva a CD34, sono positivi a CD34 anche alcuni tumori muscolari e schwannomi. In conclusione il termine GIST torna a corrispondere solo ad una generica denominazione di tumore mesenchimale originato nel tratto gastroenterico. Studi di biologia molecolare hanno definito il KIT, codificato dal gene c-­‐kit, come recettore transmembrana tirosin chinasi costituito da un dominio extracellulare contenente il sito ligando e un dominio intracellulare contenente il dominio enzimatico chinasi. Il recettore KIT è fortemente espresso nelle cellule staminali ematopoietiche, nelle mast cellule, nei melanociti e nelle cellule interstiziali di Cajal. I recettori KIT dimerizzano in seguito al legame con -­‐ STF -­‐ stem cell factor e attivano il dominio chinasi; la fosforilazione dei residui di tirosina attiva una serie di segali coinvolti nella differenziazione cellulare, nella proliferazione, nell’apoptosi e nella genesi tumorale. Le cellule interstiziali di Cajal -­‐ ICC-­‐ costituiscono una complessa rete di connessione tra il sistema nervoso periferico e la parete muscolare liscia del tratto gastroenterico, regolano la peristalsi e sono perciò denominate “gastrointestinal pacemaker cells”. La cellula interstiziale di Cajal origina da cellule staminali mesenchimali e l’espressione del KIT in queste cellule riveste un ruolo fondamentale nella differenziazione, nella proliferazione ed eventualmente nella progressione neoplastica. La rivoluzione inizia con l’identificazione, in una serie di tumori mesenchimali, di tumori con mutazioni del proto oncogene c-­‐kit associate all’espressione del recettore KIT attivato indipendentemente dal ligando. L’espressione di KIT, assente nei tumori muscolari e nervosi, è stata proposta come il più sensibile e specifico marker di GIST. Il recettore KIT rappresenta anche il bersaglio della terapia sistemica dei GIST con GLIVEC, inibitore specifico della tirosin chinasi. L’immunofenotipo e le caratteristiche ultrastrutturali hanno evidenziato una differenziazione verso la ICC. CLASSIFICAZIONE ISTOLOGICA CCNIH 2001 • GIST a cellule fusate 70 %  strutturati in brevi fasci o vortici, disposizione a palizzata,citoplasma eosinofilo, bordi cellulari indistinti, nuclei ovoidali uniformi, vacuoli citoplasmatici iuxstanucleari, frequenti emorragie stromali. • GIST a cellule epitelioidi 20 %  strutturati in nidi, nuclei tondeggianti uniformi, alone chiaro perinucleare, citoplasma eosinofilo. • GIST a cellularità mista 10 %  transizione brusca da cellule fusate a cellule epitelioidi o aspetto citologico intermedio. Caratteristiche particolari sono: immunoreattività a CD117  diffusa positività citoplasmatica, nel 50% accentuazione focale “dot like”, spesso aspetto combinato. Fibre schenoidi PAS + nel 15% particolarmente nel piccolo intestino. DISTRIBUZIONE ANATOMICA

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GIST possono originare ovunque nel tratto gastroenterico dall’esofago al retto, sono possibili anche localizzazioni extragastrointestinali nel mesentere, omento, retroperitoneo. Le loro sedi preferenziali sono: Esofago 5%, Stomaco 55%, Piccolo intestino 25%, Grosso intestino 10%, Extra gastrointestinali 5%. Tipi Istologici rispetto alla sede: • A cellule epitelioidi più frequenti nello stomaco, • A cellule fusate più frequenti nel piccolo intestino spesso con fibre schenoidi. Non esistono criteri per distinguere GIST benigni o maligni, né per identificare lesioni con maggiore probabilità di dare metastasi, perciò il termine benigno deve essere evitato. E’ stato perciò proposto di suddividere i GIST in base alla valutazione combinata delle dimensioni del tumore ed all’ attività mitotica in 4 categorie di rischio.

Esiste poi una classificazione dei GIST in base alla differenziazione:

Sindrome di Zollinger-­Ellison È una grave malattia ulcerosa del tratto digerente superiore, accompagnata da diarrea e provocata da un tumore secernente gastrina (GASTRINOMA, vedi tumori pancreatici), che può presentarsi isolatamente, associato ad altri tumori neuroendocrini nelle MEN1. Il tumore, maligno nel 60% dei casi e spesso multiplo, è localizzato nell’80% dei pazienti a livello delle isole pancreatiche; nel 10-­‐15% delle segnalazioni si tratta di un adenoma situato nel duodeno, più raramente nella milza o nello stomaco. La gastrina, spesso prodotta insieme a VIP o a PP (anche a ormoni gastrointestinali), è secreta in quantità da 100 a 1000 volte superiori alla norma. Il

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quadro clinico è rappresentato da una malattia peptica di notevole aggressività, con formazione di ulcere nello stomaco, nell’esofago, nel duodeno e spesso anche nel digiuno. Le lesioni presentano scarsa tendenza alla guarigione con le usuali terapie mediche, frequenti recidive e rapida comparsa di complicazioni, quali il sanguinamento e la perforazione. La mucosa mostra segni di iperplasia simili a quelli della malattia di Menetrier. In oltre il 40% dei casi sono segnalate diarrea, a volte con steatorrea, oltre a una sindrome da malassorbimento, causate dalle elevate quantità di acido cloridrico prodotte dallo stomaco, e dall’azione irritante esercitata dagli acidi sulla mucosa dell’intestino tenue, con conseguente inattivazione degli enzimi digestivi. La diagnosi, dato che il diametro spesso inferiore ai 2 mm del tumore rende quasi impossibili le indagini radiologiche ed ecografiche, si basa sulla determinazione dei livelli plasmatici della gastrina con metodo radioimmunologico, mentre nei casi dubbi si possono effettuare prove di stimolo. La prognosi è buona nelle forme iperplastiche e adenomatose, infausta nei casi di gastrinoma maligno. La terapia medica si basa sugli antistaminici anti-­‐H2 (ranitidina e famotidina) a dosi 4-­‐5 volte superiori alla norma; è usato anche l’omeprazolo, che blocca la produzione di acido cloridrico nelle cellule parietali gastriche. La terapia chirurgica raramente permette l’asportazione del tumore, ma nei casi che non rispondono alle cure mediche si può ricorrere alla gastrectomia totale.

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INTESTINO TENUE MALFORMAZIONI CONGENITE -­ Laparocele  consiste in un’alterata posizione dei visceri addominali, dovuta a discontinuità o sfiancamento delle strutture muscolari della parete. I laparoceli possono essere SPONTANEI (congeniti o acquisiti), dovuti a diastasi (cioè separazione o allontanamento) dei muscoli retti addominali, ad atrofia muscolari dovute a neuropatie e da ripetute gravidanze, oppure TRAUMATICI, che possono essere dovuti a condizioni postoperatorie. Incorrispondenza del laparocele la parete addominale è presenza una sporgenza di dimensioni variabili; la parete è formata a cute, sottocutaneo e peritoneo parietali che risultano ATROFICI e spesso vengono sostituiti da tessuto FIBROSO. I visceri contenuti nella cavità possono essere liberi e riducibili oppure aderenti. -­ Volvolo  è la torsione di un’ansa sul proprio asse mesenterico. Si verifica soprattutto a livello del digiuno-­‐ileo e nel sigma. Le conseguenze sono rappresentate da occlusione intestinale e distrubi circolatori dovuti a compressione dei vasi (si può arrivare a necrosi delle anse). -­ Invaginazione  è una condizione in cui un tratto di intestino penetra nel lume di quello immediatamente successivo che funge da guaina. Si vengono a formare TRE CILINDRI coassiali: il più esterno è detto GUAINA, quello interno è detto TRATTO INVAGINATO, quello intermedio è formato dalla parete della guaina introflessa a “dito di guanto”. Tra il cilindro medio e l’esterno si interpone la parte di mesentere che prende il nome di CONO MESENTERICO. L’invaginazione può avvenire a qualsiasi punto dell’intestino, ma più frequentemente si tratta di invaginazioni ileo-­‐cecali. Esse avvengono sempre in senso isoperistaltico. Le conseguenze dell’invaginazione sono l’occlusione intestinale e gravi disturbi circolatori per compressione dei vasi del cono mesenterico: ci possono essere infarcimento emorragico e/o gangrena con conseguente peritonite. -­ Diverticoli  per diverticolo di intende un estroflessione sacciforme della parete di un organo, formato da tutti gli strati della parete. Esistono anche diverticoli FALSI, fomati colo da mucosa e sottomucosa. Possono ritrovarsi in qualsiasi parte dell’intestino tenue: • DUODENO: è la sede più freuente. Sono solitamente unici e il loro volume varia da una ciliegia a una noce. Sono diverticoli FALSI. Se coinvolgono la papilla del Vater possono portare a stasi biliare e pancreatica. • DIGIUNO-­‐ILEO: rari. Quando presenti sono situati lungo la linea di inserzione del mesentere e si sviluppano nel contesto del meso. Hanno dimensioni variabili da un pisello ad una noce. La complicazione più importante è l’anemia macrocitica dovuta ad una abnorme proliferazione batterica a livello dei diverticoli con malassorbimento della vitamina B12. Disturbi di circolo -­ Iperemia Attiva  si verifica nei processi infiammatori acuti dell’intestino. La mucosa appare diffusamente arrossata per finissima iniezione capillare. E’ presente anche edema di mucosa e sottomucosa. -­ Iperemia Passiva  si ha in caso di insufficienza cardiaca congestizia e nell’ipertensione portale. In generale comunque si manifesta in tutti quei casi in cui c’è un ostacolo al deflusso venoso (volvolo, invagina mento, strozzamenti erniari, neoplasie comprimenti, ecc.). La mucosa è rosso cianotico e a livello delle ghiandole conniventi è possibile la presenza di emorragie. La sierosa appare congesta. Lo spessore dell’intestino è aumentato e la sua consistenza è maggiore del normale (soprattutto in caso di stasi croniche). Alterazioni ischemiche Comprendono le alterazioni strutturali dovute ad un arresto a alla riduzione del circolo ematico in un determinato distretto. L’ischemia può instaurarsi ACUTAMENTE (infarti massivi transmurali o piccole necrosi della mucosa) o CRONICAMENTE (stenosi di uno o più segmenti intestinali con sitomatologia dolorosa peculiare denominata ANGINA ABDOMINIS). La gravità dell’ischemia varia in base alla durata, all’estensione del danno e alla capacità ed efficienza di formazione dei circoli collaterali. Esistono numerose cause di ischemia che sono raggruppabili in diversi gruppi: • Occlusione vaso arterioso  Occlusione arteria mesenterica superiore o dei suoi rami è una delle più frequenti. Se si associa anche occlusione di mesenterica inferiore e arteria celiaca insorgera angina abdominis con conseguente infarto massivo. Le cause principali di occlusione arteriosa sono embolia (per lo più si tratta ti emboli che si staccano da

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trombi originati nelle cavità cardiache) e trombosi (solitamente sono conseguenti alla aterosclerosi). • Ipotensione acuta • Occlusione venosa (raramente) Questi meccanismi spesso concorrono insieme. Esistono due forme di infarto ischemico dell’intestino: 1) INFARTO TRANSMURALE  Macroscopicamente l’infarto ha inizialmente un aspetto anemico, ma in breve tempo diventa di aspetto emorragico. Le anse intestinali sono dilatate per l’instaurarsi di un ileo paralitico responsabile della sintomatologia occlusiva. La sierosa appare opacata (a “vetro smerigliato”) e di colorito rosso scuro. La parete intestinale è tumefatta, ispessita, di colorito cianotico e fragile; tutte e tre le tonache sono necrotiche. La tonaca mucosa è la più interessata e appare gravemente ulcerata; la sottomucosa è sede di infarcimento emorragico. Nel lume intestinale si raccolgono sangue, muco e detriti, mentre nel cavo addominale si raccoglie liquido siero-­‐ematico. Spesso i tessuti necrotici sono invasi da batteri con conseguente formazione di bolle di gas nella parete. Il segmento di mesentere prossimale alle zone di necrosi appare edematoso e disseminato di stravasi emorragici. Microscopicamente le prime lesioni avvenogono a livello dei villi: si tratta di necrosi e formazione di pseudomembrane costituite da muco, fibrina, eritrociti e tessuto necrotico. La mucosa e sottomucosa sono congeste, edematose ed emorragiche. 2) INFARTO DELLA MUCOSA E DELLA SOTTOMUCOSA  Macroscopicamente la sierosa mantiene la normale lucentezza, ma il tratto di intestino interessato può apparire rosso scuro. La mucosa appare edematosa, emorragica e ulcerata. Se la lesione è limitata alla mucosa in pochi giorni avviene la proliferazione dell’epitelio del fondo delle cripte e la ricostituzione completa della mucosa. Se viene colpita anche la sottomucosa, la guarigione avviene mediante deposizione di tessuto di granulazione: questo porta alla formazione di stenosi anulari o tubulari. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Si definiscono così tutte le condizioni in cui c’è un alterato assorbimento di grassi, vitamine liposolubili ed idorosolubili, carboidrati, minerali, acqua. Sono dovute alla disfunzione di uno o più dei seguenti meccanismi digestivi: • Digestione intraluminale (scissione delle macromolecole alimentari in composti più semplici) • Digestione terminale (idrolisi di oligopeptidi e zuccheri semplici in aminoacidi e zuccheri di base) • Assorbimento epiteliale (meccanismi di trasporto e di diffusione attraverso la barriera intestinale) I meccanismi patogenetici sono quindi moltissimi ed è difficile identificare la condizione eziologica che porta ad un quadro di malassorbimento, anche perché questi quadri si assomigliano grandemente l’uno con l’altro. Inoltre è molto facile che una malattia da malassorbimento riconosca più cause, o addirittura la presenza di più sindromi insieme. Dal punto di vista clinico, la sintomatologia di una tipica sindrome da malassorbimento è: • Disturbi alimentari: diarrea (aumento OSM e secrezioni), steatorrea, flautolenza, dolori addominali, calo ponderale, aumento delle infezioni, fenomeni dismicrobici, infiammazione della mucosa da carenza vitaminica • Disturbi emopoietici: anemia microcitica da deficit di ferro, anemia macrocita da deficit di B12 e folati, emorragia da deficit di vitamina K • Disturbi muscolari e scheletrici: miopatie e tetano, osteoporosi • Disturbi endocrini: amenorrea, impotenza, infertilità, iperparatiroidismo secondario • Cute: petecchie emorragiche, atrofia da anemia (unghie a vetrino d’orologio), edema da ipoproteinemia, ipercheratosi da deficit vitaminico • Sistema nervoso: neuropatia da deficit di B12 e A Le condizioni eziologiche più frequenti sono: • Luminali: insufficienza pancreatica, spure celiaca, morbo di Crohn, deficit di sali biliari (eccessiva deconiugazione da parte di batteri) • Cellulari: deficit enzimatici congeniti (intolleranza al lattosio), celiachia • Ostruzioni dei linfatici: M. di Crohn, Linfangectasie, TBC intestinale, Linfomi MALT MALATTIA CELIACA Detta anche enteropatia da glutine o spure celiaca, si tratta di una diffusa malattia intestinale ad eziologia multifattoriale e incerta, prevalentemente sommersa dal punto di vista epidemiologico,

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consistente in una forma di intolleranza e di reazione infiammatoria immunomediata ad alcune componenti delle proteine del grano (gliadina). Colpisce le popolazioni di razza bianca, ed è rara o inesistente fra le altre razze. Reazione di ipersensibilità alla componente non solubile in acqua del glutine, la gliadina, una proteina presente nel grano, orzo, avena e segale. L’epitelio della mucosa esposta alla proteina diviene sede di una intensa infiltrazione di linfociti T citotossici e TH1 sensibilizzati alla gliadina. Questa reazione infiammatoria cronica danneggia le cellule assorbenti, e il quadro principale è una atrofia e appiattimento dei villi, con conseguente sindrome da malassorbimento. Le conseguenze a lungo termine di questa malattia vanno oltre, ed aumenta significativamente il rischio di carcinoma intestinale. Spesso la malattia è misconosciuta e viene confusa con una sindrome funzionale dell’intestino (sindrome dell’intestino irritabile o colite spastica). Variabili associazioni genetiche, ed esistenza di un preciso HLA DQw2 nella maggioranza dei portatori della malattia. L’ipotesi immuno-­‐genetica è confortata dall’evidenza dello sviluppo di malattia anche in soggetti figli di madre celiaca: si ipotizza che in questi soggetti si crei, fin dalla vita intrauterina, una reazione immunitaria mediata dai TH1 verso la gliadina che probabilmente è in grado di passare la placenta. Questo è confermato dal fatto che figli di madre con celiachia in fase attiva hanno basso peso alla nascita e danno intestinale di tipo celiaco se la madre segue una dieta con glutine, mentre non hanno nessun danno se la madre elimina il glutine dalla dieta. Un’ altra ipotesi è quella della cross-­‐reattività fra antigeni del virus adenovirus (proteina E1b) e la gliadina, suggerendo quindi una esposizione ambientale, che provoca danno in soggetti maggiormente sensibili dal punto di vista immunologico. Infine, si ipotizza la possibilità di un danno tossico diretto del glutine. Questa ipotesi è la passione degli ambientalisti anti-­‐transgenici, ed è sostenuta dalla presunta evidenza della minor immunogenicità delle specie “selvatiche” di cereali, prima che la loro modifica ottenuta con radiazioni già in epoca pre-­‐antibiotica li portasse alla produttività e alla resa attuale. Un confronto epidemiologico con popolazioni che si nutrono di questi cereali è però impossibile. La mucosa è atrofica o appiattita, a volte però anche normale (endoscopicamente negativa). L’aspetto tipico è una degenerazione e scomparsa dei villi, con aumento compensatorio delle cripte intestinali, in numero e in profondità. Esse hanno un aumentato indice mitotico (motivo della possibile progressione a carcinoma), e un decorso allungato e tortuoso. Lo spessore della mucosa rimane quindi normale. Dal punto di vista microscopico, le cellule del villo sono in degenerazione vacuolare, e si ha un intenso infiltrato infiammatorio di linfociti, macrofagi, plasmacellule e mast-­‐cellule (infiammazione DTH, cioè TH1 cronica). Le lesioni sono più diffuse nel tratto prossimale del tenue (duodeno e digiuno) a causa della maggior concentrazione di glutine nella dieta. In seguito ad una dieta priva di glutine, le lesioni regrediscono completamente. L’aspetto istologico è molto simile a quello della spure tropicale (diagnosi differenziale). La clinica varia fra i soggetti di una sintomatologia atipica e incostante. Può manifestarsi con diarrea, alternata a stipsi, presente per periodi di tempo variabili e imprevedibile, con manifestazione iniziale in età variabile dall’infanzia alla quinta decade. La malattia in fase conclamata presenta i sintomi tipici del malassorbimento, ma non sempre. Per la diagnosi è necessario documentare: • Anticorpi anti endomisio • Anticorpi anti gliadina • Anticorpi anti transglutaminasi (test rapido) • Danno mucoso alla biopsia • Malassorbimento • Regressione della sintomatologia dopo la sospensione del glutine. Non bisogna sospendere il glutine durante la fase di accertamento per evitare l’insorgenza di falsi negativi (diminuzione della sensibilità dei test) ENTEROCOLITI (Dispense trasformate in testo) Vasta gamma di affezioni dalla diversa eziopatogenesi, ma con una sintomatologia per lo più analoga, in talune acuta in altre cronica, in cui in genere prevalgono la diarrea ed i dolori addominali

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Di solito le malattie infiammatorie dell’intestino presentano sintomatologia simile: • Diarrea • Febbre Sindrome diarroica Può essere dovuta a germi che invadono la parete intestinale con formazione di eventuali ulcerazioni della mucosa oppure a Enterotossine ( alterazioni funzionali: non lesioni ulcerative della mucosa) Possono essere colpiti : • Individui sani • Individui già portatori di altre malattie: 1. Uremia 2. Shock 3. Insufficienza cardiaca 4. Terapie antibiotica ad ampio spettro 5. Chemioterapia e radioterapia 6. Malattie immunitarie ( AIDS etc.) 7. Prematuri (da flora microbica intestinale normale) ENTEROCOLITI INFETTIVE IMPORTANTE: • Anamnesi (viaggi in paesi con focolai endemici di enterocolite infettiva) • Isolamento dei batterio dei virus dalle lesioni e/o dalle feci • Esami radiologici ed endoscopici scarsamente dirimenti MANIFESTAZIONI EXTRAINTESTINALI DELLE ENTERITI:

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ENTEROCOLITI VIRALI Rotavirus agenti eziologici più frequenti. Bambini, neonati e adulti defedati più colpiti, Incubazione di circa 2 giorni, Mucosa del tenue mostra modesto accorciamento dei villi e infiltrazione di linfociti a livello tonaca propria. Diversi meccanismi patogenetici: • Ingestione di tossine preformate • Infezioni da parte di microrganismi tossigeni • Infezioni da parte di microrganismi enteroinvasivi Caratteristiche batteriche chiave: • Capacità di aderire alle cellule epiteliali della mucosa e di replicarsi • Capacità di produrre enterotossine • Capacità di invasione Caratteristiche morfologiche • Danno dell’epitelio superficiale • Diminuita maturazione delle cellule epiteliali • Aumento del numero di mitosi (“alterazioni rigenerative”) • Iperemia ed edema della lamina propria • Infiltrazione neutrofila di grado variabile della lamina propria e dell’epitelio SALMONELLOSI Agenti: germi a forma di bastoncino, del genere Salmonella apparteneti alla famiglia delle enterobacteriaciae, Gram -­‐, mobili, asporigeni Forme cliniche: • Gastroenteriche • Extraintestinali primitive (meningiti, artriti, osteomieliti etc.) • Febbre tifoide o tifo addominale (S. typhi) • Paratifi (S. paratyphi A, B e C) La salmonella typhi e la S. paratyphi A colpiscono esclusivamente l’uomo La S. parathyphi B e C possono infettare numerose specie di animali. Trasmissione: • Febbre tifoide e paratifo A esclusivamente dal malato o dal portatore sano attraverso gli alimenti, le feci, acqua inquinata, mosche etc. • I paratifi B e C e le salmonellosi minori anche dagli animali all’uomo Anatomia Patologica: • Sede anatomica elettiva (tenue, colon) • Ispessimento della mucosa • Iperemia • Edema • Iperplasia del tessuto linfoide • Ulcerazioni • Pseudomembrane • Sierosa normale o reazione fibrinosa o emorragica Coinvolgimento delle placche di Peyer con edema, congestione ed ulcerazione Sintomatologia: • Crampi addominali • Diarrea • Febbre (a volte) • Sangue e pus ( in caso di ulcerazioni della mucosa) FEBBRE TIFOIDE Agente eziologico : S. typhimurium INCUBAZIONE: 1-­‐3 settimane senza sintomi; poi astenia, pesantezza degli arti inferiori, dolori vaghi alla muscolatura degli arti, cefalea, brividi, insonnia notturna, sonnolenza diurna, epistassi La febbre è accompagnata da: • Anoressia • Labbra aride,screpolate, fuligginose • Lingua asciutta, impanata, ricoperta da detriti con disepitelizzazione • Ulcerazioni a stampo nel cavo orale

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Meteorismo addominale Irregolarità dell’alvo (dalla stipsi alla diarrea a “purea di piselli”) Ottundimendo del sensorio (stato stuporoso) Movimenti involontari (soprattutto alle mani) Eccitabilità neuromuscolare Polso bradicardico, molle, dicroto Ipotensione arteriosa Splenomegalia Leucopenia con linfocitosi relativa e scomparsa degli eosinofili Roseole cutanee (2-­‐3 mm, aspetto maculoso rosa pallido) Fase febbrile (Curva di Wunderlich): 1. I settimana : ascesa “a sega” o a “gradini” 2. II settimana : periodo di stato 3. III settimana : decremento Lesioni prevalentemente localizzate negli organi linfatici ( milza, linfonodi mesenterici, tessuto linfatico intestinale, follicoli solitari e placche di Peyer del tenue) caratterizzate da: • IPEREMIA • CONGESTIONE • NECROSI COAGULATIVA • FEBBRE TIFOIDE Nelle Placche del Peyer: • Fase del rigonfiamento o della tumefazione • Formazione delle escare necrotiche • Fase dell’ulcerazione • Fase della cicatrizzazione PATOGENESI Batteriemia da : Ingresso delle salmonelle attraverso l’anello di Waldeyer, Dalle placche intestinali, Dall’intestino per via portale nel fegato Diagnostica • Emocoltura • Reazione di Vidal TERAPIA • Cloramfenicolo • Ampicillina • Cotrimossazolo DISSENTERIA BACILLARE Agenti eziologici più frequenti Shigella Trasmissione uomo-­‐uomo tramite cibo, dita, feci e mosche. In genere lesioni limitate a intestino crasso. Periodo di incubazione breve ( inferire a 48 ore) ANATOMIA PATOLOGICA • Edema ed iperemia della mucosa; ipersecrezione di muco e iperplasia del tessuto linfatico, Essudato fibrinopurulento • Ulcerazioni estese della mucosa ENTERITE TUBERCOLARE Forma di tubercolosi tre le più gravi Regioni sottosviluppate. In passato rappresentava il 50-­‐80% dei casi nei portatori di tubercolosi polmonare. Primaria (tbc intestinale isolata). Secondaria (malattia di CROHN). Più frequente nel sesso femminile (infermiere, lavandaie, addette alle pulizie etc). Mycobacterium tubercolosis, ceppo umano o bovino. Infezione per: • Via enterogena • Via ematogena • Via linfatica • Da organi limitrofi ANATOMIA PATOLOGICA • Sedi più frequenti ileo terminale e cieco • Distribuzione settoriale od ubiquitaria • Flogosi ulcerosa o iperplastica • • • • • • • • •

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• Granuloma tubercolare • Caratteri morfologici delle ulcere • Stenosi, perforazione, malassorbimento Evoluzioni possibili: 1. Guarigione 2. Disseminazione delle lesioni in altri organi 3. Exitus AMEBIASI Malattia protozoaria ampiamente diffusa nel mondo, in particolare in molti paesi in via di sviluppo (fino al 10% della popolazione). Bassa diffusione nei Paesi industrializzati. 2 tipi di Entamoeba histolytica ( morfologicamente indistinguibili): • Entamoeba histolytica histolytica • Entamoeba dispar Trasmissione : oro-­‐fecale Esiste in due forme morfologiche: • Cisti ( resistenti all’ambiente esterno) • Trofozoiti (capacità enteroinvasiva e di fagocitosi delle emazie e di altre cellule) SINTOMATOLOGIA • Diarrea • Dolori addominali • Febbre (a volte) COMPLICANZE (rare) • Stenosi • Enterorragia • Perforazione ANATOMIA PATOLOGICA Lesioni tipiche a livello intestino crasso: ULCERA A BOTTONE DI CAMICIA. Formazione di uno PSEUDO ASCESSO AMEBICO caratterizzato da: • Focolaio di necrosi colliquativa a progressiva estensione • Forme vegetative rilevabili sulla parete pseudocistica • Contenuto tipicamente “a pasta d’acciughe” • Affioramento alla glissoniana con rischio di rottura e contaminazione peritoneale • Sovrainfezione DIAGNOSI • Esame della feci • Sierologia TERAPIA • metronidazolo • tinidazolo • paromomicina. Carcinoidi: sono neoplasie derivanti dalle cellule endocrine presenti nell’organo in cui insorgono. Le sedi intestinali di insorgenza in ordine di frquenza sono: appendice, tenue (ileo), retto, stomaco, colon. Macroscopicamente sono masse sottomucose o intramurali che causano la formazione di piccoli polipi o placche. Hanno aspetto solido e colorito giallastro. Consistenza molto dura per elevata desmoplasia (aumento di stroma denso). Microscopicamente ci sono cellule MONOMORFE con scarso citoplasma eosinofilo e granulare. Le mitosi sono scarse o assenti (infatti a volte non vengono considerati veri e proprio tumori).

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INTESTINO CRASSO DIVERTICOLI DEL COLON (Dispense) Erniazione di mucosa e sottomucosa attraverso la parete muscolare, solitamente situata in vicinanza delle “tenie”, dove i vasi retti penetrano nella parete colica, indebolendola. Sono diverticoli acquisiti, da PULSIONE  PSEUDODIVERTICOLI Si localizzano: • 90% colon sinistro • 65% sigma • 30% sigma + altro • 5% sigma non coinvolto • 0.7-­‐1.5% diverticoli solitari del cieco

EZIOLOGIA: • Aumento della pressione endoluminale dovuto a: • Alterazioni della motilità colica • Fenomeni di segmentazione • Riduzione della tensione parietale

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Tali fenomeni sono da attribuirsi principalmente a: Fattori dietetici -­‐ scarso introito di fibre -­‐ carboidrati raffinati; Fattori comportamentali (Sindrome dell’intestino irritabile). CLINICA

Complicanze: • Ascesso pericolico • Fistolizzazione: fistole colo-­‐coliche colo-­‐vescicali colo-­‐vaginali colocutanee • Perforazione in cavità libera • Occlusione intestinale (stenosi)

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• Emorragia Diagnosi: -­‐ Indagini Laboratoristiche: Leucocitosi (assente nel 60%) -­‐ Indagini strumentali: • Clisma opaco • Ecografia • TC • Colonscopia • Colonscopia virtuale • RM Diagnosi differenziale • Carcinoma • IBD • Colite ischemica • Colite pseudomembranosa • Appendicite acuta • Ulcera peptica perforata • Patologie urologiche • Patologie ginecologiche Rettocolite Ulcerosa Malattia infiammatoria cronica del grosso intestino interessante, con l’eccezione dei casi più gravi, la tonaca mucosa e sottomucosa, inizia nel retto e si può estendere prossimalmente all’intero colon. RCU è una malattia sistemica e può essere associata a poliartrite migrante, spondilite anchilosante, uveite, colangite sclerosante. Incidenza: 5-­‐10 su 100.000, in aumento. Età: media d’insorgenza 20-­‐25 anni. Sesso: modesta prevalenza nel sesso femminile. Significato precanceroso: rischio di cancerizzazione proporzionale alla durata della malattia, dopo 20-­‐30 anni; sequenza displasia adenomatosa non poliposa – carcinoma; 1% carcinomi del colon retto insorgono in RCU e Crohn. Eziologia: INFETTIVA Manca l’individuazione di un agente specifico Ipotesi: selezione di ceppi di E.Coli produttori di necrolisine ed endotossine patogene o che esprimono adesine. Nei modelli animali la condizione germ-­‐free previene la malattia INTOLLERANZE ALIMENTARI Osservazione di un frequente associazione con la intolleranza al lattosio. 20% dei pazienti beneficiano dell’esclusione del latte dalla dieta FATTORI AMBIENTALI • Fumo → influenza la qualità di glicoproteine nel muco prodotto dalla mucosa del colon il flusso ematico e la permeabilità intestinale. NOTA: la RCU è più comune nei fumatori ed il il rischio resta elevato nei primi 2 anni di sospensione del fumo • Contraccettivi Orali → non confermato • Appendicectomia → la CU è più frequente nei pazienti con appendice ciecale in sede (ruolo protettivo dell’appendicectomia?) Macroscopica: interessamento iniziale del retto-­‐sigma con estensione retrograda, in modo continuo, può interessare l’intero colon. Non lesioni a salto come nel Morbo di Crohn. Mucosa iperemica di colorito rosso, aspetto granulare per ulcere superficiali, sottominate, talora longitudinali in corrispondenza delle tenie. La mucosa residua tra le lesioni ulcerative assume aspetto polipoide: pseudopolipi infiammatori. All’endoscopia la mucosa appare friabile e facilmente sanguinante. La parete può essere lievemente ispessita ed il calibro diminuito per contrazione della tonaca muscolare, ma non stenotica come nel Morbo di Crohn. La tonaca sierosa risulta indenne, d.d. Crohn. Microscopica:

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RCU in fase attiva: congestione dei capillari, aumento della quota linfociteria e plasmacellulare del corion, infiltrato granulocitario della lamina propria, granulociti in posizione intra epiteliale, “pseudo ascessi criptici”, ulcerazioni superficiali della tonaca mucosa, talora anche della sottomucosa, ulcere sottominate, mucosa residua costituisce “pseudo polipi infiammatori”, modificazioni dell’epitelio: “deplezione mucinica” diminuzione delle cellule caliciformi, prevalenza delle cellule assorbenti e Paneth. • RCU in fase di risoluzione: diminuzione delle cellule infiammatorie, assenza di pseudo ascessi criptici, rigenerazione epiteliale, aumento delle cellule caliciformi. • RCU in fase di remissione – colite quiescente: assenza delle cellule infiammatorie, aumento delle cellule di Paneth, accorciamento, ramificazione e rarefazione delle cripte, spazio tra il fondo delle cripte e muscolaris mucosae, iperplasia linfatica, ispessimento della muscolaris mucosae, pseudo polipi infiammatori. Clinicamente si manifesta con un’affezione remittente e recidivante • Diarrea ematica con muco filante • Dolori addominali e crampi Complicanza freqente e grave è il Megacolon tossico -­‐ Colite fulminante. Si tratta di una forma iperacuta di RCU, spesso si manifesta come esordio della malattia con dilatazione del colon trasverso dovuto a danno tossico della tonaca muscolare e dei plessi nervosi. Complicanze: gangrena, peritonite, perforazione. Macro Dilatazione, localizzata particolarmente nel colon trasverso, con marcato assottigliamento pergamenaceo della parete ed opacamento peritoneale, diffuse ulcerazioni. Micro Marcato infiltrato flogistico granulocitario transmurale, estesa ulcerazione della tonaca mucosa e sottomucosa, assottigliamento della tonaca muscolare, peritonite diffusa. Morbo di Crohn Malattia infiammatoria cronica, denominata in origine ileite terminale perché si pensava limitata all’ultima ansa ileale, successivamente enterite regionale perché si osservò interessamento di più segmenti intestinali con interposti tratti indenni, attualmente morbo di Crohn perché la malattia può interessare ogni tratto dell’apparato gastroenterico compreso il colon. Morbo di Crohn è una malattia sistemica e può essere associata a poliartrite migrante, spondilite anchilosante, uveite, colangite sclerosante. Incidenza: 5-­‐10 su 100.000, in aumento. U.S.A. U.K. N.E. Età: media d’insorgenza 20-­‐30 anni, secondo picco 60-­‐70. Sesso: modesta prevalenza nel sesso femminile. Significato precanceroso: pazienti con Crohn rischio di carcinoma 5 volte maggiore rispetto a popolazione; rischio di cancerizzazione inferiore a pazienti con RCU; 1% dei carcinomi del colon retto insorgono in Crohn o RCU. Eziologia: -­‐ Fattori genetcii: Possibili cromosomi coinvolti: braccio corto CR 16, CR 11 e CR 5. -­‐ Agenti Infettivi: E’ stata proposta l’associazione con alcuni agenti infettivi in particolare: • Un Micobatterio para-­‐tubercolare (responsabile di una malattia granulomatosa intestinale nei ruminanti) potrebbe avere un ruolo potenziale in cross reazioni immunologiche • Il virus del morbillo (i nati durante epidemie di morbillo presentano una maggiore incidenza di Crohn -­‐ rapporto con infezione intrauterina ?-­‐ maggiore incidenza nei vaccinati ? -­‐ maggiore incidenza di Crohn da quando è stato diffuso il vaccino per il morbillo ?) Mancano dimostrazioni dirette (es. isolamento costante del batterio o presenza del genoma virale) -­‐ Allergia alimentare: Sono stati determinati molti anticorpi contro antigeni alimentari. Gli antigeni subiscono tuttavia una selezione. Es. Elevato titolo di ASCA (ab anti saccaromyces cerevisiae, un lievito); si trovano comunemente nella MC ma non nella CU. Altri possibili fattori di patogenesi: riscontro di microelementi esogeni nelle zone infiltrate e nei granulomi (titanio, abrasivi della pasta dentifricia, etc) -­‐ Fattori ambientali • Fumo (associato a rischio relativo di Crohn x 2 o x 5) •

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• Contraccettivi orali (mai confermato) • Dieta nell’infanzia ed in età giovanile (studi retrospettivi e scarsamente significativi) -­‐ Fattori immunologici L’intestino è in grado fisiologicamente di autoregolare la risposta immunitaria al costante contatto con antigeni alimentari, batterici, ecc. Questo non avviene nella MC. Nella MC è stato documentato un pattern di citochine analogo a quello che induce una risposta Th1 (IL 1, 2, 8 e TNF a elevati, riduzione di IL 10 inibitoria). E’ probabile che un fattore estrinseco inneschi una risposta infiammatoria che normalmente autolimitante, nella MC si automantiene determinando le modificazioni tissutali tipiche della malattia. -­‐ Fattori psicologici Ruolo dei fattori di stress nelle fasi di riacutizzazione (dati contrastanti) Macroscopica: Localizzazione: ileo terminale 40%, ileo terminale e colon 30%, solo colon 30% raro interessamento duodeno, stomaco, esofago, cavità orale. Tratti interessati ben delimitati rispetto ad aree sane. Tratti interessati separati da aree indenni: “lesioni a salto” . Sierosa opacata, grigiastra, granulare, tessuto adiposo del mesentere ispessito, duro, parete intestinale ispessita, consistenza gommosa, lume intestinale ristretto specie nell’ileo, ulcerazioni della mucosa inizialmente di tipo aftoso, poi lineari longitudinali, serpiginose, la mucosa separata da ulcere serpiginose “aspetto ad acciottolato”, successivamente “ulcere fissurali” sottili, profonde, a tutto spessore con aderenze peritoneali e formazione di fistole con visceri, cute perineo, rare perforazioni libere e peritonite. Microscopica: aumento della quota linfoplasmacellulare del corion, infiltrato granulocitario della lamina propria, granulociti in posizione intra epiteliale con formazione di “pseudo ascessi criptici” ed ulcerazioni superficiali “aftoidi” della tonaca mucosa, poi infiammazione transmurale con “ulcere fissurali” e fistole. Granulomi gigantocellulari non caseificanti, di tipo sarcoidosico, presenti nel 50% dei casi, l’assenza non esclude la diagnosi di Crohn, situati in tutto il tratto gastroenterico anche a distanza dalla localizzazione della malattia. Alterazioni epiteliali: atrofia della mucosa, ileo appiattimento dei villi, colon rarefazione e ramificazione delle cripte; metaplasia pilorica, metaplasia a cellule di Paneth. Aggregati linfoidi nella parete intestinale . Muscolaris mucosae ispessita e duplicata. Fibrosi delle tonache muscolare, sottomucosa, mucosa. Iperplasia delle cellule nervose gangliari.

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POLIPI E POLIPOSI I polipi del colon sono neoformazioni che originano dalla mucosa del grosso intestino o colon e crescono sviluppandosi all’ interno del lume. E’ una patologia piuttosto frequente soprattutto dopo i 60 anni quando sono presenti uno o più polipi nel 40% della popolazione e possono comparire in ogni individuo, anche se alcuni fattori di rischio non modificabili aumentano la probabilità, in particolare: * l’ età (dopo in 50 anni) * una diagnosi precedente di polipi al colon * la presenza di polipi in familiari * la presenza di cancro al colon in familiari * una diagnosi di cancro dell’ utero o dell’ ovaio prima dei 50 anni Inoltre sono noti fattori MODIFICABILI ed in particolare * un’ alimentazione ricca di grassi * fumo * alcolici * scarsa attività fisica * sovrappeso o obesità I polipi vengono classificati in base al loro aspetto macroscopico in: • Peduncolati (con un proprio asse di sostegno, simili a piccoli funghi) • Sessili (senza un asse di sostegno, di forma piatta o rilevata -­‐ senza peduncolo) Un’altra classificazione è in base all’ aspetto istologico (più importante): • Benigni (a loro volta suddivisi in polipi iperplastici o infiammatori , adenomatosi tubulari, villosi o misti) • Maligni o adenocarcinomi. Le dimensioni possono variare da pochi millimetri ad alcuni centimetri e la probabilità di identificarne è tanto maggiore quanto più ci si avvicina agli ultimi tratti del colon ed al retto. La distinzione istologica dei polipi benigni è importante perché permette di prevedere la possibilità di degenerazione maligna ovvero di trasformazione in cancro che può essere vicina allo zero o molto alta. La maggior parte dei polipi sono completamente asintomatici e vengono identificati in fase preclinica mediante accertamenti specifici, raramente possono presentarsi con sanguinamento rettale evidente o occulto e irregolarità del transito intestinale. CLASSIFICAZIONE • POLIPI NON NEOPLASTICI • Polipi iperplastici

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• Polipi amartomatosi (giovanili e sdr. Peutz-­‐Jeghers)

• Polipi infiammatori POLIPI NEOPLASTICI: Adenomi: tubulari, villosi, tubulo-­‐villosi POLIPI NON NEOPLASTICI Sono polipi benigni non hanno tendenza alla cancerizzazione. Rappresentano di solito un reperto occasionale in corso di esame endoscopico. Sono di piccole dimensioni e raramente sanguinano POLIPI NEOPLASTICI Rappresentati dagli adenomi che sono considerati precursori del cancro colo-­‐rettale (sequenza adenoma-­‐carcinoma). La varietà tubulare è molto più comune rispetto alle forme villose e tubulo-­‐ villose. TUBULARI  Sono piccoli (1-­‐1.5cm), peduncolati con asse connettivale vascolarizzato rivestito da mucosa normale VILLOSI  Sono più voluminosi (>2cm) sessili con una porzione centrale più prominente. Superficie irregolare, consistenza soffice, friabile e colorito rosso-­‐grigiastro TUBULO-­‐VILLOSI  Sono polipi adenomatosi con caratteristiche comuni sia ai tubulari che ai villosi. Un polipo viene definito maligno quando oltrepassa la muscolaris mucosae ed infiltra la sottomucosa (T1). Il TIS (tumore in situ) non è considerato un polipo maligno. I polipi di piccole dimensioni vengono asportati endoscopicamente ed inviati ad esame istologico per valutare 1) il grado istologico; 2) l’invasione angiolinfatica 3) i margini di sezione

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Clinicamente i polipi neoplastici possono manifestarsi con: • Emissione di sangue • Mucorrea • Diarrea acquosa • Tenesmo rettale • Dolore addominale La diagnosi si pone quasi sempre in soggetti asintomatici che, per la presenza di uno o più dei fattori di rischio eseguono esami strumentali ed in particolare LA COLONSCOPIA : esame di scelta che permette di esaminare tutto il colon, identificare ed asportare i polipi ed eseguire biopsie in corrispondenza di neoformazioni non asportabili endoscopicamente LA SIGMOIDOSCOPIA che, a differenza della colonscopia esamina solo il tratto distale del colon ed è quindi un esame incompleto Il CLISMA OPACO che permette di identificare eventuali polipi ma non di asportarli o eseguire biopsie La TC e la COLONSCOPIA VIRTUALE che presenta gli stessi limiti del clisma opaco. La diagnosi di polipo viene seguita dalla sua asportazione endoscopica o polipectomia che è la terapia definitiva in tutti i casi di polipi benigni ed in alcuni casi di polipi maligni o cancri localizzati. In presenza di un polipo benigno non asportabile endoscopicamente per la forma, la sede, le dimensioni o altri fattori limitanti ed in caso di polipo maligno non localizzato, alla diagnosi in genere segue l’ asportazione per via chirurgica del polipo che può avvenire per diverse vie e con varie tecniche.

Dalle dispense di Mingazzini su POLIPI e POLIPOSI

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CARCINOMA COLON RETTO Paesi ad alta incidenza: USA -­‐ Canada -­‐ Europa -­‐ Australia USA 44/100.000 Europa 35/100.000 Causa il 15% di decessi per neoplasie Paesi a bassa incidenza: Asia – Africa -­‐ Sud America -­‐ Giappone Asia 3/100.000 Africa 5/100.000 Nella popolazione giapponese l’incidenza del carcinoma del colon retto risulta aumentata e simile a quella della popolazione statunitense.

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La classificazione WHO (2000) distingue i seguenti istotipi: • Adenocarcinoma, costituito da strutture ghiandolari di variabili dimensioni e configurazione; • Adenocarcinoma mucoide (o mucinoso), caratterizzato dalla presenza di abbondante muco extracellulare, che costituisce >50% del volume tumorale; • Carcinoma a cellule con castone (signet-­‐ring cell carcinoma), costituito per >50% da cellule con castone, contraddistinte da un voluminoso vacuolo intracitoplasmatico di muco che disloca alla periferia il nucleo; • Carcinoma midollare, prevalentemente costituito da lamine e trabecole solide di cellule in genere regolari e con modeste atipie nucleari e caratterizzato dalla presenza di numerosi linfociti intraepiteliali; • Carcinoma indifferenziato, privo di aspetti morfologici di differenziazione epiteliale; • Carcinoma a piccole cellule, con caratteristiche morfologiche e biologiche simili a quelle del carcinoma a piccole cellule polmonare; • Carcinoma adenosquamoso • Carcinoma squamoso Di questi si hanno in ordine di frequenza: • Adenocarcinomi : oltre l'85% dei casi • Adenocarcinomi mucoidi : 10% • Altri istotipi : meno del 5%. • I carcinomi squamosi ed adenosquamosi sono molto rari. I tumori con una componente mucoide <50% sono classificati come adenocarcinomi. I carcinomi a cellule con castone e a piccole cellule sono associati ad una prognosi peggiore, mentre il carcinoma midollare comporta una prognosi favorevole. La diffusione del carcinoma colon rettale può avvenire in diversi modi: • Locale con infiltrazione dei diversi strati della parete • Per contiguità tessuto adiposo pericolico o perirettale e degli organi e strutture adiacenti • Impianto in cavità peritoneale con metastasi ovariche • Via linfatica ai linfonodi peri-­‐ e paracolici • Via ematogena a fegato e a polmoni (soprattutto per le neoplasie del retto) Il carcinoma si può localizzare in diverse sedi: • cieco-­‐colon ascendente 25% * • colon discendente-­‐ sigma prossimale 25%

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retto-­‐ sigma distale 25% * altre sedi 25%

Macroscopicamente si può presentare in diverse forme. 1. Forma vegetante prevale nel colon prossimale 2. Forma vegetante -­‐ ulcerata prevale nel colon prossimale 3. Forma infiltrante -­‐ anulare prevale nel colon discendente retto Microscopicamente la composizione varia in base al tipo di carcinoma: • Carcinoma in situ  UICC: Tis “include il carcinoma intraepiteliale, cellule neoplasiche confinate entro la membrana basale e il carcinoma intramucoso, cellule neoplastiche entro la lamina propria senza estensione attraverso la muscolaris mucosae nella tonaca sottomucosa.” Entrambe le lesioni non hanno rischio di sviluppare metastasi. I termini displasia di alto grado e carcinoma intramucoso, a nostro avviso, sono più appropriati rispetto a carcinoma in situ. • Adenocarcinoma  Viene definito quando si ha invasione della tonaca sottomucosa attrverso la muscolaris mucosae. Esistono diverse varianti istologiche: • Adenocarcinoma mucinoso viene definito quando più del 50% della lesione è composta da muco. risulta associato ad alta frequenza di instabilità dei microsatelliti. • Carcinoma con cellule ad anello con castone viene definito quando più del 50% delle cellule presentano mucina intracitoplasmatica. • Carcinoma adenosquamoso presenta aspetti sia di carcinoma squamoso che di adenocarcinoma. • Carcinoma midollare rara variante caratterizzata da cordoni di cellule neoplastiche con nuclei vescicolosi, prominenti nucleoli, e abbondante citoplasma, marcata infiltrazione intraepiteliale di linfociti • Carcinoma indifferenziato presenta aspetti istologici variabili,associato a MSI-­‐H. TNM CLASSIFICAZIONE UICC 2002 T -­‐ tumore primitivo Tis carcinoma intraepiteliale o infiltrante la lamina propria T1 infiltra la sottomucosa T2 infiltra la muscolare propria T3 infiltra la sottosierosa o il tessuto perirettale non peritonealizzato T4 infiltra il peritoneo viscerale o organi e strutture adiacenti. N -­‐ linfonodi regionali N0 nessuna metastasi linfonodale N1 metastasi in 1 o 3 linfonodi regionali N2 metastasi in 4 o più linfonodi regionali M -­‐ metastasi a distanza M0 nessuna metastasi M1 metastasi a distanza TNM CLASSIFICAZIONE UICC 2002 0 Tis N0 M0 I T1, T2 N0 M0 II A T3* N0* M0 II B T4* N0* M0 III A T1, T2 N1* M0 III B T3, T4 N1* M0 III C Any T N2* M0 IV Any T Any N M1* STADIO Hereditary Nonpolyposis Colorectal Cancer Sindrome di Lynch HNPCC: sindrome autosomica dominante caratterizzata dallo sviluppo di carcinoma del colon retto non associata alla presenza di poliposi; si possono manifestare anche tumori dell’endometrio, dello stomaco, del piccolo intestino, dell’ovaio, dell’uretere e della pelvi renale. Si distinguono due forme:

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Lynch I caratterizzata dalla presenza di tumori del colon (70-­‐85%) Macroscopica Sede: predilezione per il colon destro 60% , cieco, ascendente, trasverso. Crescita: vegetante, raramente di tipo infiltrativo. Tumori sincroni o metacroni nel 35% Microscopica Adenocarcinoma mucinoso a localizzazione prossimale Adenocarcinoma scarsamente differenziato Adenomi in HNPCC associati al cancro prevalentemente di tipo villoso con displasia di alto grado Età: media 45 anni • Lynch II caratterizzata dalla presenza di tumori dell’endometrio (50%), stomaco, piccolo intestino, ovaio, vie epato-­‐biliari, uretere, pelvi renale. CRITERI DIAGNOSTICI ( Criteri di Amsterdam II 1999 ) • Devono esserci almeno tre parenti con tumori associati a HNPCC • Un paziente deve essere parente di primo grado degli altri due • Almeno due successive generazioni devono essere interssate • Almeno un paziente deve sviluppare un tumore prima di 50 anni • La poliposi adenomatosa familiare deve essere esclusa nei casi di carcinoma colon rettale • Il tumore deve essere verificato istologicamente Caratteristiche geniche La dimostrazione di instabilita’ dei microsatelliti risulta un importante biomarker per il cancro in HNPCC. HNPCC e’ associata a mutazioni di cinque geni, DNA mismatch, con funzione di riparare gli errori in corso di replicazione del DNA , denominati: MSH2, MLH1, PMS1, PMS2, MSH6. •

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PERITONEO -­ Idrope Ascite  raccolta in peritoneo di liquido con caratteri di trasudato, di colore giallo-­‐ citrino, trasparente e peso specifico < 1010. Sono presenti meno di 3 g di protine per 100 ml. La fibrina è assente. Il versamento può raggiungere anche grosse entità (diversi litri) con conseguente addome globoso con svasamento ai lati, cute distesa con smagliature, cicatrice ombelicale estroflessa e diagramma sollevato. L’aumento della pressione endoaddominale causa compressione della vena cava inferiore e quindi ostacolo al flusso; si viene così a formare un ciroclo collaterale tipo CAVA-­‐CAVA visibile su entrambi i lati dell’addome. La sierosa è inizialmente lucente, ma col passare del tempo assume aspetto biancastro lattescente. La causa più frequente di idrope ascite è la CIRROSI epatica. I principali meccanismi patogenetici alla base del’idrope sono: • Aumento pressione nel circolo portale • Riduzione pressione oncotica del plasma • Iperaldosteronismo secondario con ritenzione di sodio • Aumentata trasudazione di linfa dai linfatici della capsula epatica -­ Emoperitoneo  versamento di sangue nella cavità peritoneale. E’ causato frequentemente da gravidanza tubarica, rottura della milza, rottura di aneurisma dell’aorta addominale. In seguito ad un empoperitoneo di lieve entità si potrà avere il completo riassorbimento oppure una peritonite irritativa asettica con formazione di aderenze fino alla costituzione di un guscio fibroso. Il sangue tende a raccogliersi nelle zone declivi per gravità, soprattutto nello scavo pleurico, dove si possono formare incapsulamenti di emoperitoneo. -­‐ Peritoniti  possono essere dovute sia all’azione di germi patogeni, sia all’azione di agenti irritanti. 1) SETTICHE: causata soprattutto da Escherichia coli, stafilococco aureo, streptococchi, clostridium perfringens, mycobacterium tubercolosis, e altri. L’impianto dei batteri può avvenire attraversi una ferita penetrante, per contiguità o per via linfatica da una flogosi limitrofa, per via ematogena (raramente). Se la peritonite avviene in assenza di causa dimostrata si tratta di PERITONITE PRIMITIVA o SPONTANEA. 2) ASETTICHE: tra gli agenti irritanti che, raccogliendosi nel cavo peritoneale, possono dare luogo a peritonite asettica ci sono il SANGUE, la BILE (coleperitoneo), ENZIMI PANCREATICI (in corso di pancreatite acuta emorragica), MECONIO (per rottura delle anse), TESSUTI TUMORALI, materiali dimenticati accidentalmente in cavità addominale dopo intervento chirurgico. Le peritoniti sono suddivise in acute e croniche e, in base all’esensione, in circoscritte e diffuse: • ACUTE DIFFUSE  esistono diversi tipi in base alla causa, alla virulenza di germi, alla risposta alla azione di sostanze irritanti: -­‐ Sierofibrinosa: anse intestinali meteoriche, sierosa arrossata per iperemia e emorragie puntiformi e con aspetto “a vetro smerigliato”. L’essudato è di tipo sieroso e fibrinoso e aumenta progressivamente. La fibrina ha aspetto grigiastro, ascitto, facilmente rimovibile. -­‐ Purulenta: la componente liquida assume un aspetto cremoso e le pseudomembrane fibrinose assumono colorito giallastro. -­‐ Gangrenosa: il liquido è brunastro e torbido e vi si sviluppa gas fetido. -­‐ Emorragica: nell’essudato è presente una grande quantità di sangue e una componente siero-­‐fibrinosa -­‐ Stercoracea: in caso di rottura del colon l’essudato è commisto di feci • ACUTE CIRCOSCRITTE  si ha quando il fenomeno è circoscritto dalla presenza di particolari situazioni anatomiche (rapporti dei visceri e dei relativi mesi) che vanno a formare delle logge o recessi dove si raccoglie l’essudato. -­‐ Logge sottofreniche: dette ance ascessi sub frenici. Il rivestimento delle logge è infiammato e ricoperto da uno spesso strato di fibrina commista a pus. Il liquido è fortemente torbido o è rappresentato direttamente da psu giallo cremoso. Può essere presente anche gas. -­‐ Scavo pleurico: l’essudato è ricchissimo di fibrina e può causare la formazione di aderenze fra organi pelvici, anse intestinali contigue e grande omento. La complicanza più pericolosa delle peritoniti acute è l’ILEO PARALITICO che solitamente insorge 3 o 4 giorni dopo l’inizio della flogosi. • CRONICHE  si può sviluppare in seguito a peritoniti acute oppure indipendentemente da esse. Solitamente è dovuta a infezione da TBC. Forma cronica di infiammazione del peritoneo che ha quali sintomi: disturbi dispeptici, diarrea alternata a stipsi, dolori cupi

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154 e vaghi, talvolta crampi, fenomeni di stenosi intestinale con rigurgiti, meteorismo, dimagramento, febbricola. Le peritoniti croniche sono consecutive ad ascessi peritonitici acuti; danno luogo spesso alla formazione di aderenze fibrose. I processi cronici determinano talvolta essudazione con presenza di liquido (peritoniti essudative, di solito tubercolari). La peritonite uremica, in cui si forma accumulo di sostanze azotate, può comparire come complicanza della nefrite cronica. Altre forme essudative sono di natura reumatica: coesistono facoltativamente in questi casi pleuriti e pericarditi essudative (il quadro sintomatologico è definito polisierosite). Molto utili sono gli esami collaterali (radiografia, laparoscopia, indagini ematologiche per accertamento della natura). È necessaria una dieta leggera e nutriente, con consistenti apporti vitaminici.

Tumori Tumori primitivi  molto rari. Sono rappresentati dai MESOTELIOMI e mostrano caratteristiche morfologiche simili ai mesoteliomi pleurici. Una forma particolare è nota come IPERPLASIA PAPILLARE DELLA SIEROSA PERITONEALE in cui, come dice il nome, c’è la presenza di numerose papille formate da un esile asse connettivale rivestito da pochi strati di cellule cubiche o appiattite. Tumori secondari  sono molto più frequenti dei primitivi. Originano per lo più dallo stomaco, dal colon, dalla colecisti, dalle ovaie e dal pancreas. Il peritoneo può essere interessato per INFILTRAZIONE DIRETTA, per VIA LINFATICA o per IMPIANTO di cellule tumorali cadute liberamente in cavità. Microscopicamente si notano caratteristiche molto differenti, che vanno da una diffusione miliariforme (tipo TBC) a nodulazioni di maggior rilievo, con frequenti infiltrazioni a placca e a colata. In caso di carcinomi scirrosi infiltranti il mesentere può apparire spiccatamente retratto e le anse intestinali risultano fissate alla parete superiore dell’addome. In caso di carcinoma gelatinoso si può realizzare la condizione detta PSEUDOMIXOMA del peritoneo: la cavità peritoneale contiene ammassi di materiale gelatinoso. Esistono una forma benigna (rottura di mucocele dell’appendice) e maligna (più frequente, da adenocarcinoma mucosecernente ben differenziato dell’ovaia o dell’appendice). Solitamente la carcinomatosi metastatica del peritoneo si complica con peritonite neoplastica a carattere quasi sempre emorragico.

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SISTEMA EMATOPOIETICO ANEMIE L’anemia è una condizione morbosa sostenuta da diminuzione del valore ematocrito per riduzione del contenuto di emogobina (Hb) o del numero dei globuli rossi (GR) o di entrambi nell’unità di volume di sangue, con conseguente minore ossigenazione dei tessuti. Sebbene esistano molti diversi tipi di anemie, le cause sono riconducibili essenzialmente a tre fenomeni: • Eccessiva perdita di sangue (emorragia) • Distruzione intravascolare di GR (emolisi) • Incapacità da parte dell’eritropoiesi di reintegrare la quota dei GR distrutti ANEMIA ACUTA  dovute soprattutto ad emorragia improvvisa, con diminuzione del voume ematico circolante. Il quadro clinico è dominato dallo SHOCK IPOVOLEMICO. Tutto l’organismo mostra uno stato di forte anemizzazione che, nel cadavere, si esprime con la ASSENZA totale o la RIDUZIONE delle macchie ipostatiche. ANEMIA CRONICA  in questo caso oltre allo stato di deplezione ematica sono evidenti anche le sofferenze morfologiche dei tessuti indotte dal’ipossia (++ a carico di miocardio, fegato, rene, SNC), che si manifestano per lo più sottoforma di STEATOSI. CLASSIFICAZIONE Esistono diverse classificazioni: • MORFOLOGICA  basata sull’aspetto dei globuli rossi nello stricio di sangue: -­‐ Normocitiche -­‐ Macrocitiche -­‐ Microcitiche in base al volume corpuscolare medio ed al contenuto di Hb. Non è una classificazione utile per capire l’eziologia e quindi stabilire una prognosi e una terapia. • FISIOPATOLOGICA  si basa sulle cause delle anemie. E’ una classificazione complessa è costantemente modificata e aggiornata. -­‐ Anemie causate prevalentemente da aumentata distruzione o da perdita di GR: 1) Da difetti intrinseci dei GR = alterazione membrana, deficit enzimatici, modificazioni ereditarie dell’Hb. 2) Da difetti estrinseci dei GR = mediate da anticorpi, traumi meccanici, agenti chimici, infezioni, iperattività del sistema reticolo-­‐istiocitario, emorragia acuta. -­‐ Anemie causate prevalentemente da diminuita produzione di eritrociti = disturbi della proliferazione delle cellule emopoietiche pluripotenti, disturbi di proliferazione dei precursori della serie eritroide, disturbi di sintesi del DNA, disturbi della sintesi di Hb, idiopatiche. ANEMIE EMOLITICHE Sono anemie in cui c’è una abbreviazione del ciclo vitale degli eritrociti sia per difetto estrinseco che per difetto intrinseco. Se la distruzione avviene in maniera improvvisa e cospicua l’APTOGLOBINA (che lega Hb in condizioni normale) viene a trovarsi in quantità insufficiente rispetto al bisogno (Hb liberata in eccesso dalla distruzione dei GR). L’eccesso di Hb libera viene filtrata atraverso i reni con EMOGLOBINURIA ed EMOSIDERINURIA. Se la distruzione è lenta e cronica, l’Hb liberata dalle emazie distrutte viene metabolizzata a livello delle cellule del SRE nel distretto splenico. Qui avvengono: liberazione del ferro, che si lega alla transferrina e portato in parte al midollo osseo per la sintesi di nuova Hb e in parte accumulata come emosiderina nel fegato; degradazione della globina; rottura dell’anello porfirinico dell’eme con formazione dei pigmenti biliari (tra cui il più importante è la BILIRUBINA). Ne consegue ITTERO PREEPATICO. Il midollo osseo stimolato dal cntintuo insulto interno dovuto all’emolisi va incontro a IPERPLASIA con conseguente ERITROPOIESI INEFFICACE. -­‐ SFEROCITOSI EREDITARIA  malattia ereditaria autosomica dominante, caratterizzata da prematura rottura da parte della milza, di eritrociti anormali. Si manifesta nell’adolescenza e nei giovani adulti. La malattia si caratterizza per una particolare foma degli eritrociti: accanto a GR normali (disco biconcavo) sono presenti GR anormali, più piccoli, PERFETTAMENTE SFERICI, aumentati di spessore, privi di zona chiara centrale ed intensamente colorati. Questi SFEROCITI risultano avere una RIDOTTA CAPACITA’ DI DEFORMARSI ed hanno una diminuita resistenza alle soluzioni saline ipotonoche. Gli sferociti non passano attraverso i cordoni del Billroth e vi si bloccano, ostacolando il passaggio dei GR normali nei sinusoidi splenici. I GR sequestrati vengono poi distrutti.

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La milza nella sferocitosi appare INGRANDITA con peso compreso tra 500 e 1500g. I cordoni della polpa appaiono estremamente congesti e i sinusoidi sono dilatati. I macrofaci splenici sono iperplastici e contengono emosiderina. Il midollo appare ipercellulare con spiccata iperplasia eritroblastica. Nel sangue periferico si riscontrano molti reticolociti (GR giovani), segno della attivazione del midollo. In alcuni casi il midollo può andare incontro anche ad aplasia. L’aumento di bilirubinemia indiretta causa ITTERO e COLELITIASI. Clinicamente la malattia è caratterizzata da anemia , ittero e splenomegalia. La terapia consiste nella splenectomia. -­‐ Ellittocitosi  detta anche malattia di Dresbach. È un’anomalia ereditaria autosomica dominante caratterizzata dalla presenza in circolo di GR di forma ELLITTICA (ellittociti) superiore al 15%. La deformazione ellittica si nota soprattutto A FRESCO rispetto agli strisci colorati. Gli ellittociti hanno forma biconcava con volume globulare medio e contenuto di Hb ridotta, ma la concentrazione di Hb media in ogni singolo GR è normale. Clinicamente si manifesta come una anemia cronica. L’anemia è aumentata di consistenza e istologicamente si nota un ingorgo dei cordoni da parte delle emazie. -­ Drepanocitosi (anemia a cellule FALCIFORMI)  è caratterizzata dalla presenza di una Hb strutturalmente anomale (Hb S). Questa alterazione si comporta come un carattere ereditario dominante che in condizione eterozigote causa solo anomalia senza malattia conclamata, mentre in forma omozigote HB S è presenta al 70-­‐100% e si sviluppa la malattia. L’Hb S in ambiente a BASSA TENSIONE DI OSSIGENO polimerizza in filamenti che vanno a formare entità FALCIFORMI e BIRIFRANGENTI dette TACTOIDI. Quando questo processo avviene all’interno del GR lo stroma e la membrana si deformano e l’emazia assume l’aspetto a falce con corpo rigido ed estremità appuntite. La deformazione è REVERSIBILE, se la tensione dell’ossigeno viene riportata alla normalità. La falcemizzazione si verifica spesso nei distetti venosi o di ristagno ematico (es. circoli splenici) in cui c’è bassa pressione di O2. Quando il numero delle celleli falciforme è cospicuo, si manifestano disturbi alla progressione del circolo (con danno ischemico) e sequestro splenico di GR normali e emolisi. La milza è inizialmente ingrandita con congestione marcata dei seni. Col progredire della malattia si creano ingorghi permanenti a cui conseguono lesioni trofiche e necrosi delle strutture spleniche con INFARCIMENTI EMORRAGICI. Il tessuto danneggiato è sostituito da tessuto di granulazione che evolve in fibrosi contententi accumuli di emosiderina. In questo stadio, a seguito della sclerosi, la milza si riduce di volume. A livello di RENE ed ENCEFALO si hanno lesioni ischemiche ed emorragiche. Possono essere presenti lesioni trofiche agli arti inferiori, localizzate per lo più a livello dei malleoli. A carico di scheletro e articolazioni possono essere presenti necrosi. -­ Talassemie  sono dovute ad anomalie QUANTITATIVE della sintesi di catena emoglobinica. In queste sindromi c’è l’arresto di produzione di uno dei due tipi di coppie di catene polipeptidi che omologhe che partecipano alla formazione della globina. Le Hb presenti nella vita post-­‐fetale sono Hb A (α2ß2) e Hb A2 (α2∂2). Le talassemie insorgono per mancanza di catene α, ß e ∂: • Talassemia ß  è dovuta ad un gene abnorme che si trasmette come carattere autosomico dominante. In condizione eterozigote da luogo alla TALASSEMIA MINOR, mentre in condizione omozigote da luogo a talassemia MAJOR. La forma MAJOR compare precocemente (dopo seconda o terza infanzia) e ha decorso grave. Le alterazioni eritrocita rie possono avere caratteristiche molto eterogenee (POICHILOCITOSI). Il volume medio è diminuito (anemia microcitica ed ipocromica). La macrocitosi comporta riduzione anche dello spessore e i GR appaiono SOTTILISSIMI (leptocitosi). È possibile trovare spesso GR piccolissimo detti SCHISTOCITI derivati dalla frammentazione di quelli normali. Caratteristiche sono le EMAZIE A BERSAGLIO che mostrano centralmente un addensamento di Hb. Frequente è la presenza in circolo di ERITROBLASTI. La milza appare notevolmente aumentata di dimensioni (forte splenomegalia), con capsula ispessita, consistenza soda; al taglio la polpa rossa è abbondante, carnosa, di colorito rosso-­‐vinoso; i follicoli linfatici vanno incontro ad atrofia; i cordoni del Billroth tendono ad assottigliarsi nelle fasi avanzate e vanno incontro a fibroadenia. Il fegato è aumentato di volume per cospicua emosiderosi, associata a steatosi centro lobulare.

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Il midollo osseo è estremamente IPERPLASTICO con eritropoiesi inefficace e induce alterazioni scheletriche secondarie: apposizione di periostio che produce trabecole neo formate orientate perpendicolarmente sulla superficie dell’osso (nel cranio causa il “cranio a spazzola” visibile radiologicamente). Il cuore è ingrandito, ipertrofico, sfiancato e in preda a degenerazione grassa. -­ Decifit di Glucosio-­6-­fosfato-­deidrogenasi  dovuta al deficit congenito dell’enzima G6DP e la malattia resta silente fino a quando le emazie non sono sottoposte a particolari stimoli, come FARMACI o TOSSINE oppure a particolari sostanza derivate dalle fave (FAVISMO).Tutti questi “agenti patogeni” causano ossidazione dell’Hb a METAEMOGLOBINA, che precipita all’interno del GR formando delle inclusioni caratteristiche dette CORPI DI HEINZ. Il GR risulta quindi più suscettibile alla distruzione mediata dalla milza. ANEMIE EMOLITICHE AUTOIMMUNITARIE L’emolisi è provocata da autoanticorpi che reagiscono con antigeni presenti sulla membrana eritrocitaria. La presenza di questi AutoAb sui GR può essere evidenziata trattando le emazio con un siero anti immunoglobuline umane (TEST DI COOMBS) che se positivo mostrerà la AGGLUTINAZIONE dei GR. Gli autoAb possono essere: -­‐ CALDI, che esercitano la loro azione alla temperatuta dell’organismo umano (37°C). Gli anticorpi caldi (tipo IgG) si riscontrano in anemie emolitiche autoimmunitarie idiopatiche oppure associati a linfomi maligne o malattie autoimmunitarie sistemiche (LES). -­‐ FREDDI, che agiscono a temperatura minori (30°C). Possono essere presenti in anemie idiopatiche o comparire in corso di linfomi. Compaiono con alta frequenza nelle fasi di guarigione della mononucleosi infettiva e nella polmonite da micoplasma. Le conseguente cliniche delle agglutinine fredde sono il FENOMENO DI RAYNAUD e l’EMOLISI. Morfologicamente sono simili a quelle emolitiche. ANEMIE SIDEROPENICHE Le anemie di carenza di ferro sono molto diffuse e di modesta gravità. I motivi di carenza di ferro sono diversi: scarsa introduzione con la dieta, assunzione di ferro per la maggior parte non assimilabile, incapacità dello stomaco di ionizzare in quantità sfficiente il ferro ingerito, malassorbimento del ferro a livello intestinale (spure e steatorrea nell’insufficienza pancreatica), perdita eccessiva di ferro o aumentato fabbisogno (gravidanza). Le anemie da carenza di ferro sono IPOCROMICHE poiché la quantità di pigmento emoglobinico all’interno e GR è inferiore alla norma. Inoltre sono morfologicamente di tipo MICROCITICO, il volume globulare è basso. Sullo strisci di sangue i GR risultano PALLIDI (ipocromia) con area centrale INGRANDITA e Hb che si raccoglie a formare un ANELLO PERIFERICO (ANULOCITOSI). Il ferro plasmatico è ridotto, la transferrina libera è aumentata, la bilirubina è diminuita. La cute e i visceri sono PALLIDI mentre i parenchimi vanno incontro a degenerazione grassa d ipossia cronica. ANEMIE MEGALOBLASTICHE Gruppo si anemie aventi in comune ALTERAZIONI DELLA SINTESI DEL DNA mentre la sintesi di RNA e proteine risulta normale. Avviene una asincronia tra maturazione del nucleo (dovuta a DNA) e del citoplasma (dovuta a RNA). Nel midollo sono presenti MEGALOBLASTI, cioè eritroblasti voluminosi con anomalie citologiche ed in numero maggiore di tutte le altre cellule (eritropoiesi inefficace). Di questa categoria le anemie più importanti sono: -­‐ ANEMIA PERNICIOSA ESSENZIALE (carenza V. B12)  è dovuta a carenza di vitamina B12 che può verificarsi in condizioni di diminuita introduzione con la dieta, per malassorbimento oppure (nelle anemie più gravi) per deficit del FATTORE INTRINSECO che normalmente lega la B12 e permette il suo assorbimento a livello dell’ultimo tratto del tenue. l’esame citologico mostra riduzione numerica dei GR ed abbassamento della quota di Hb, profonda modificazione della forma (poichilocitosi) e delle dimensioni (anisocitosi). Le dimensioni variano da forme piccolissime a forme gigantesche (macrociti o megalociti). Anche la quantità di Hb risulta aumentata. Questa anemia pertanto è di tipo MACROCITICA e IPERCROMICA. È costante LEUCOPENIA con neutro-­‐eosinofilopenia e linfocitosi relativa. I granulociti mostrano caratteristica anisocitosi con macrocitosi ed ipersegmentazione nucleare. Le piastrine sono giganti. Il plasma assume un colorito GIALLO ORO per l’elevato tasso di bilirubina indiretta. Il midollo osseo è IPERPLASTICO e di colorito ROSA INTENSO. Microscopicamente si notano numerosi elementi BASOFILI, voluminosi ed ampio citoplasma. La milza appare ingrandita con capsula tesa, polpa rossa abbondante.

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La lingua partecipa alla malattia con la GLOSSITE DI HUNTER in cui nel primo stadio le papille sono rade e poco elevate e la mucosa è arrossata e disseminata di ragadi e vescicole; nel secondo stadio la lingua è liscia per atrofia e scomparsa delle papille. A livello dello stomaco domina atrofia del fondo e del corpo. Il SNC mostra degenerazione combinata subacuta del midollo spinale, una lesione che inizia dalla guaine mieliniche che si rigonfiano, per poi andare incontro a disfacimento e conseguente scomparsa degli assoni. Il fegato e il cuore mosrano steatosi parenchimale (cor tigratum). TROMBOCITOPENIE Si intende una riduzione del numero di piastrine al di sotto di 100000/mm3. Le cause possono essere riferite ad aumentata distruzione o sequestrazione oppure a diminuita produzione. Un tipo particolare è la PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA (di Moschcowitz), una rara malattia caratterizzata da malattia acuta, spesso febbrile, caratterizzata da trombocitopenia con porpora emorragica, anemia emolitica e sintomatologia neurologica polimorfa. Morfologicamente è caratterizzato dalla presenza a carico di molti organi di trombi ialini piastrinici occludenti le arteriole e i capillari. Queste lesioni si trovano soprattutto nel miocardio, nel rene, nel pancreas, nei surreni e nell’encefalo. MIDOLLO OSSEO (Appunti Bianco) Midollo osseo: e’ un organo, non un tessuto, fatto da due tessuti diversi. E’ compreso negli spazi intraossei sia nelle ossa tubulari che in quelle spugnose o trabecolari. Il midollo attivo è il midollo rosso. Alla nascita tutto il midollo è attivo, crescendo parte diventa reversibilmente inattivo, giallo o adiposo. In caso di sanguinamento cronico il midollo giallo diventa rosso. 1869: Giulio Bizzozzero (teoria dei tessuti stabili, labili e perenni) prendendo una sezione di midollo notò che c’erano cellule nucleate che si coloravano con l’eosina della stessa sfumatura di arancione degli eritrociti (era un precario dell’università di Pavia). Nello stesso anno il professor Ernst Noiman fece la stessa osservazione e la pubblicò in tedesco. E’ un organo dinamico in cui i due tessuti, che sono il tessuto ematopoietico e lo stroma di supporto, cooperano:uno fa il seme e l’altro fa il suolo. La cellula staminale ematopoietica è nel sangue, circola e va nel midollo, forse si replica e torna in circolo. Si origina nell’aorta dorsale in un certo momento dello sviluppo embrionale. Si formano queste cellule e raggiungono il fegato, dove avviene l’emopoiesi prenatale, finché non si ossificano gli abbozzi condrali. Esistono patologie in cui l’emopoiesi cambia da un profilo di tipo adulto ad uno prenatale. Il midollo osseo funziona in modo sistemico; le sue neoplasie sono sistemiche e non sono “tumori” in senso stretto, ma le cellule neoplastiche sono ugualmente distribuite in tutto il midollo. Negli uccelli la borsa di Fabrizio è un organo linfoide centrale, insieme al timo. Nell’uomo il midollo è l’equivalente della borsa di Fabrizio. Nel feto umano precoce e negli uccelli le emazia sono nucleate perché originano nei vasi. (l’ontogenesi segue la filogenesi) Patologia neoplastica: tre grandi capitoli: le sindromi mieloproliferative croniche, le sindromi mielodisplastiche e le leucemie acute. Le prime sono caratterizzate da aumento delle cellule del sangue di uno o più tipi con midollo ipercellulato (iperfunzionante); nella seconda c’è citopenia periferica con ipercellularità midollare; le terze hanno troppe cellule nel sangue e nel midollo, ma tutte anormali e geneticamente indifferenziate (blasti). -­ Le sindromi mieloproliferative: leucemia mieloide cronica, metaplasia mieloide agnogenica, policitemia rubra vera (malattia di Vaquez) e la trombocitemia essenziale. • Leucemia mieloide cronica: è l’espressione globale delle tre linee germinativa dell’emopoiesi; l’aumento delle cellule può essere armonico o meno (in circolo); dipende dall’attivazione di un oncogene ed è una malattia della cellula staminale emopoietica: modesta anemia, affaticabilità, epatomegalia, splenomegalia, cromosoma Philadelphia. Si danno dei citostatici e la malattia può stare così per anche 15 anni; dopodichè vira e diventa acuta, grave e aggressiva, in cui la popolazione cellulare non è più polimorfa, ma sostituita da blasti (crisi blastica). La crisi blastica è una leucemia acuta e di solito è un evento terminale, con bassa risposta alla terapia. I blasti possono avere aspetto linfoide o mieloide, perché derivano dalla staminale totipotente. Il grado di splenomegalia è il più pronunciato di tutte le patologie (esclusa la leishmaniosi) e ha come complicanza l’infarto ischemico. Le cellule della LMC colonizzano gli organi ematopoietici fetali che

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producono cellule. Metaplasia mieloide agnogenica: alcuni tessuti si trasformano fino a somigliare al midollo. In modo agnogenico il fegato e la milza (a volte i linfonodi) diventano ematopoietici; si chiama anche mielofibrosi idiopatica cronica, perchè il midollo diventa fibroso. La fibrosi del midollo esiste in molte patologie in modo non idiopatico (es: nel cancro della prostata che metastatizza alle vertebre). La fibrosi del midollo è sempre un evento riparativo, che in questo caso è secondario ad ematopoiesi abnorme. Normalmente i fibroblasti non sono rappresentati nel midollo, ma i megacariociti abnormi rilasciano un eccesso di fattori proliferativi per i fibroblasti. E’ una malattia della cellula staminale. Il quadro clinico prevede che ci sia una modesta anemia e un modesto aumento di globuli bianchi e piastrine. Compaiono inoltre emazia abnormi, progenitori di granulociti ed eritroblasti (eritropoiesi intravasale). La malattia inizia nel midollo come una espansione dell’emopoiesi; i megacariociti sono francamente abnormi e con figure di frammentazione di citoplasma che rilasciano i fattori di crescita per i fibroblasti. Si può addirittura arrivare ad una osteomielosclerosi (ossificazione del midollo). Nel frattempo il fegato e la milza iniziano un’ematopoiesi non compensativa, poiché le cellule sono di tipo fetale e non adulto. L’evoluzione è lunga ma tende a finire con un quadro accelerato. In alcuni casi si può avere una crisi blastica, ma in genere si aggrava l’anemia, la piastrinopenia o la leucocitopenia e il pz va incontro a complicanze. Puntio sicca: all’aspirato midollare non tiro fuori nulla; è un epifenomeno diagnostico, ma non vuol dire sempre che c’è fibrosi. Policitemia rubra vera: è fenotipicamente caratterizzata dall’aumento numerico sostenuto dei globuli rossi; questo aumento è primitivo. Un aumento secondario può essere dato da una risposta adattativi o da una sintesi paraneoplastica di eritropoietina (poliglobulia isolata). La diagnosi differenziale si fa con uhna biopsia osteomidollare (cilindro osseo di 2-­‐4 mm con ago; l’agoaspirato è senza osso). L’elemento dirimente è che nella policitemia vera l’espansione non è limitata alla linea eritrocitaria, con citologia normale e numero di cellule aumentato. La viscosità del sangue è aumentata e così anche il numero delle piastrine. La malattia ha un decorso cronico in cui sono necessari salassi; è una malattia dell’età adulta che termina con un decorso accelerato con mielofibrosi secondaria. Trombocitemia essenziale: si chiama così per definizione clinica. E’ molto difficile stabilire se l’aumento delle piastrine è primitivo o secondario.

-­ Le sindromi mielodisplastiche sono state riconosciute negli anni ’70, caratterizzate da citopenia periferica con ricco midollo; sono stati preleucemici. Una staminale mutata proliferae differenzia in modo anormale, dando cellule abnormi ed inefficaci. Ci sono stigmate caratteristiche come la comparsa di sideroblasti ad anello, eritroblasti binucleati (anomalie simili a quelle dell’anemia perniciosa). Si notano frequentemente cellule PSEUDO-­‐PELGER-­‐HUET, neutrofili con solamente due lobi nucleari. Nel complesso c’è un aumento numerico dei precursori e la comparsa di blasti; la quota di blasti presente sere per discriminare tra displasia e leucemia (la prima non necessita di una terapia aggressiva, la seconda si). Ci sono diverse forme di displasia. -­ La leucemia acuta è un tumore maligno dell’ematopoiesi che impegna e sostituisce in modo sistemico l’ematopoiesi normale. C’è un quadro monomorfo di cellule grandi, con alto rapporto nucleo/citoplasma e nucleoli evidenti. Il quadro clinico iniziale è simile per tutte le varianti. Il termine acuta deriva dal fatto che acuto è l’esordio e il decorso; può portare a morte il pz in qualche settimana perchè c’è l’abrogazione dell’ematopoiesi normale. Anemia, leucopenia e piastrinopenia gravi causano espressioni cliniche secondarie: suscettibilità alle infezioni opportunistiche e non, emorragie spontanee e interne, tra cui quelle del SNC in sede atipica, e l’anemia di entità tale da compromettere la perfusione dei parenchimi (dispnea, steatosi del miocardio e insufficienza cardiaca). Il trattamento è la distruzione delle cellule neoplastiche (fatto spazio può tornare una normale ematopoiesi). Le leucemie acute si dividono in due gruppi: linfoblastiche e non linfoblastiche, distinte perché la natura linfoide o mieloide del basto dominante implica scelte terapeutiche differenti. L’ulteriore suddivisione discende dal tentativo di trovare tipi di trattamento diversi e selettivi. Le leucemie acute linfoblastiche si dividono in L1, L2 ed L3 secondo la FAB; la distinzione è morfologica: L1, cellule di piccola taglia; L2, blasti dalla morfologia variabile; L3, la cellula mutata ha l’aspetto di

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un linfoblasto non ancora differenziato in B o T. Una leucemia linfoblastica spesso impegna i linfonodi, ma se il quadro prevalente è l’impegno linfonodale si parla di linfoma linfoblastico.Le leucemie non linfoblastiche si dividono in 9 tipi diversi. Sono distinti in base alla somiglianza del basto con il fenotipo di una cellula o di una linea differenziativi normale. M6 è una eritroleucemia; M7 riguarda la trombopoiesi. Alla linea granulo-­‐monopoietica appartengono M1, M2, M3, M4, M5. M4 ed M5 sono quelle in cui le caratteristiche sono tipo monocito-­‐macrofagico (in M5 pure, in M4 miste con caratteri fenotipici di granulociti). M1 si chiama leucemia acuta mieloblastica senza differenziazione; M2 si chama leucemia acuta mieloblastica con maturazione; M3 si chiama leucemia acuta promielocitica. La mieloperossidasi sarà espressa in tutte e tre le forme, ma in più cellule nella M3 rispettoalla M1. I granuli primari azzurrofili sono espressi in tutte e tre le leucemie. I corpi di Auer sono granuli azzurrofili patologici che si formano solo nelle leucemie acute mieloidi; sono multipli in una singola cellula solo nella M3 (phagot cells). La M3 è una malattia a sé stante e al quadro clinico di base aggiunge una CID ed è una di quelle che è più difficile mandare in remissione completa durevole; dipende sempre da una traslocazione 15-­‐17. La proteina di fusione che si forma con meccanismo epigenetico comprende il recettore per l’acido retinico; si può concepire un trattamento diverso promuovendo la maturazione terminale dei blasti con acido retinoico (maturano ad un fenotipo ematopoietico normale). Esistono due tipi di M3: ipergranulosa e ipogranulare (geneticamente uguali). M4 ed M5 dal punto di vista clinico sono organomegaliche e la malattia impegna organi e tessuti diversi, infiltrandoli: fegato, milza, linfonodi, cute, gengive. Questo avviene perché i monoliti sono cellule istotrope che si differenziano a seconda degli organi. Una variante ha anche gli eosinofili, anche essi istotropi (hanno una mutazione del cromosoma 16) e si chiama M4-­‐eos; a volte mentisce condizioni di ipereosinofilia da causa diversa. La leucemia megacarioblastica (M7) si presenta con citopenia periferica e blasti indifferenziati; spesso all’aspirato midollare si ottiene una puntio sicca a causa della fibrosi midollare (rilasciamento fattori di crescita piastrinici); ha un marker che è una forma di mieloperossidasi. LINFONODI I linfonodi sono gli organi più piccoli del nostro corpo, essendo in condizioni normali delle dimensioni di una lenticchia, o ancora più piccoli. Essi sono rivestiti da una capsula connettivale e il loro parenchima è suddivisibile in una porzione più esterna, detta corticale, e una più interna, midollare (foto: corticale con, in evidenza, due follicoli, uno dei quali occupato da un "centro germinativo", o "centro chiaro". Tra i due follicoli è presente una trabecola conettivale). I linfonodi rappresentano importanti stazioni nelle vie linfatiche. Ad essi arriva la linfa, attraverso dei vasi linfatici afferenti, che raggiungono in più punti la capsula linfonodale. Questi riversano la linfa in degli ampi canali, detti seni, che percorrono dapprima la corticale (seni corticali) e poi la midollare (seni midollari) per riversarsi, a livello dell'ilo dell'organo, in un unico vaso efferente. Questi seni sono rivestiti da cellule endoteliali che formano un rivestimento continuo ma che si lascia costantemente attraversare, per diapedesi, da linfociti e macrofagi. Questi ultimi "esaminano" il contenuto della linfa e, laddove necessario, elaborano una risposta immunitaria. La struttura del parenchima del linfonodo è complessa: la sua capsula, costituita da fibre collagene e fibroblasti, si approfonda nel parenchima, formando delle trabecole che raggiungono la midollare prima di scomparire. Si formano delle camere dove una fitta rete tridimensionale di fibre reticolari forma un supporto al parenchima. In queste camere è possibile trovare follicoli che, in condizioni di inattività, sono molto piccoli e costituiti da un nucleo uniforme di linfociti B, prevalentemente immaturi, pronti a terminare la loro differenziazione e a trasformarsi in plasmacellule. Intorno ai follicoli, invece, si dispongono i linfociti T a formare un denso anello che prende il nome di paracorticale (o zona parafollicolare). I seni corticali sopra descritti si trovano per l'appunto tra le trabecole e la paracorticale. Questa microfotografia mostra la sostanza midollare con i cordoni midollari (più scuri), costituiti da pre-­‐linfociti, tra cui decorrono i seni linfatici (in chiaro), contenenti linfociti, plasmacellule e cellule fagocitarie. Il passaggio attraverso uno dei seni di sostanze patogene innesca una stimolazione antigenica che determina iperplasia del linfonodo, che può ingrossarsi fino a raggiungere le dimensioni di un paio di centimetri o più. L'iperplasia del linfonodo può interessare ciascuna delle quattro componenti descritte, ovvero i follicoli, la paracorticale, i seni e la midollare. Ovviamente, può essere interessata una sola di queste regioni o, più comunemente (circa nel 70% dei casi), più di

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una. L'iperplasia si verifica più frequente a carico dei follicoli, poi seguono la paracorticale, i seni e la midollare. Durante l'iperplasia del follicolo, esso non solo si ingrossa, ma cambia anche aspetto: si forma una zona centrale più chiara, detta centro germinativo o follicolo secondario, costituita prevalentemente da linfoblasti, circondata da una corona più scura di elementi differenziati, detta zona mantellare, che si continua nella zona parafollicolare. Cessato lo stimolo immunogeno, il linfonodo gradualmente torna alle sue dimensioni originarie. I linfonodi sono scarsamente innervati e il senso di tensione e di dolore che spesso di associa ad una linfadenite proviene in realtà dai recettori presenti nelle aree cutanee e sottocutanee limitrofe, che sono stimolati dalla compressione meccanica esercitata dal linfonodo che sta ingrossandosi, ma ancor di più da mediatori chimici della flogosi presenti nel linfonodo e nei vasi linfatici viciniori. LINFOMI “I linfonodi sono organi linfatici periferici in cui si attivano i processi differenziativi che portano alla risposta immune. Seno marginale: è lo spazio tra la capsula e il linfonodo che dove sboccano i linfatici afferenti; al di sotto si trova la corticale, che si distingue dalla midollare per i follicoli linfatici, dove avviene al risposta di tipo B; intorno c’è la zona paracorticale, dove avviene la risposta T; tra i follicoli radialmente convergono gli spazi che formano i linfatici efferenti a livello dell’ilo”. I linfomi sono i tumori primitivi dei linfonodi. La nuova classificazione è la REAL classification. REAL Classification. Negli ultimi anni si è resa disponibile un’ampia messe di nuove informazioni sui linfomi, si sono definite nuove entità clinico-­‐patologiche e si sono meglio inquadrate categorie già conosciute. Per tale motivo un gruppo di esperti emopatologi (International Lymphoma Study Group) si è riunito a Berlino nel 1993 dove si è deciso di stendere un elenco delle entità morbose che si presentano nella pratica quotidiana; molte di queste entità si associano a distinte presentazioni cliniche e a una storia naturale particolare. Poiché questa compilazione rappresenta una revisione delle classificazioni europee e americane di uso corrente, è stata definita come REAL Classification (Revised European American Lymphoma Classification). Tale classificazione, che si basa su una caratterizzazione morfologica, immunologica e genetica dei vari istotipi, è stata pubblicata su Blood nel 1994. Nella classificazione REAL i linfomi non-­‐Hodgkin vengono distinti in base all’origine dalle cellule B o dalle cellule T e NK; un’ulteriore distinzione viene fatta tra i linfomi derivati dai precursori linfoidi e i linfomi derivati dalle cellule linfatiche periferiche. In uno studio pubblicato su Blood nel 1997 è stato osservato che il decorso clinico dei vari istotipi è differente, potendosi distinguere linfomi “indolenti”, “moderatamente aggressivi”, “aggressivi” e “altamente aggressivi”, con una sopravvivenza a 5 anni rispettivamente di: più del 70 per cento, 50-­‐70 per cento, 30-­‐50 per cento, più del 30 per cento. I linfomi nella prima classificazione erano divisi a seconda del tipo di cellula (linfocita o cellule del sistema reticolo-­‐endoteliale – classificazione di Rapparort) e in base al tipo di trasformazione e di differenziazione del linfonodo (classificazione di Kiel). Era sbagliata perchè non si conosceva la biologia delle cellule di un linfonodo; la classificazione era più o meno correlata con l’aggressività. Nonostante fosse sbagliata funzionava dal punto di vista clinico. Ci sono due grandi categorie: malattia di Hodgkin e linfomi non Hodgkin (B e T periferici, pre-­‐B e pre-­‐T). Linfomi NON HODGKIN Sono neoplasie dovute a espansioni clonali neoplastiche di linfociti. A ogni stadio di maturazione o di differenziazione del linfocita corrisponde un determinato tipo di tumore (secondo le classificazioni di Lukes e Collins e di Lennert e Coll). Nella maggior parte dei casi si tratta di tumori costituiti da cellule B (CD20 positivi), mentre circa il 15-­‐20% è costituito da linfociti T. Dal punto di vista anatomo-­‐clinico è possibile dividere i linfomi in FOLLICOLARI (architettura nodulare con accumuli multipli di cellule neoplastiche) e DIFFUSI (tappeto uniforme di cellule neoplastiche disposte intorno a strutture follicolari). Un’altra distinzione è tra linfomi LINFOBLASTICI (precursori delle cellule linfatiche) e B o T MATURI (cellule mature, periferiche), i quali a loro volta possono essere a PICCOLE CELLULE e a GRANDI CELLULE (più aggressivi). -­ Linfomi linfoblastici pre-­B Ci sono cellule lifatiche di media grandezza munite di nucleo rotondo o convoluto, con cromatina dispersa e piccoli nucleoli. Numerose mitosi. Si tratta di cellule indifferenziate o pre-­‐B, CD10 e

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TdT-­‐positive. Sono tumori altamente maligni. -­ Linfomi B periferici Un signore di più di 60 anni ha un ingrossamento linfonodale sistemico con abnorme iporeattività contro le infezioni. Non sa da quanto è iniziata la malattia. E’ un linfoma B di basso grado, clinicamente non è aggressivo, il paziente è anziano e la malattia è diffusa. Un linfoma B di alto grado si presenta indipendentemente dall’età con un linfonodo ingrossato, non dolente (si fa la biopsia). La malattia è localizzata e non è in età avanzata. La malattia del paziente anziano durerà circa 10 anni e l’aspettativa di vita è poco ridotta per cui una terapia eroica fa più male che bene. Il pz giovane, se non trattato, entro un paio di settimane trova un secondo linfonodo ingrossato e la malattia si aggrava fino a raggiungere l’exitus in poco tempo. Se lo tratto ha circa il 50% di possibilità di andare incontro ad una remissione completa che va al di là del tempo canonico di follow-­‐up. Il linfoma di basso grado invece non è eradicabile. Linfoma del centro follicolare  quando una cellula pre-­‐immune è stimolata va nel centro follicolare. Qui normalmente siamo in grado di riconoscere centrociti e centroblasti. Un centrocito è grande con nucleo clivato ; un centroblastoè grosso con nucleo tondo e 2-­‐3 nucleoli al lato, simile ad un blasto. Esprimono un marcatore che è il CD10 e quando proliferano in senso neoplastico mimano la struttura follicolare normale. Se le cellule sono CD10+, CD20+, CD5-­‐ e CD3-­‐ è un linfoma del centro follicolare. Si dividono in gradi, di malignità crescente. Questi linfomi dipendono dal fatto che le cellule sovraesprimono un gene antiapoptotico (Bcl-­‐2) per una traslocazione che pone il gene sotto il promoter delle Ig. Sono di basso grado, perchè le cellule si accumulanoin anni e la malattia si rende evidente quando è disseminata. Non rispondono ai chemioterapici perchè non sono cellule che proliferano troppo, ma che muoiono troppo poco. I linfomi del centro follicolare sono molto comuni ; nell’insieme questi linfomi condividono le condizioni di cui sopra, ma la composizione cellulare ne determina l’aggressività; si riconoscono 3 gradi nei quali decresce la quota dei centrociti e cresce la quota di centroblasti; sfuma la formazione follicolare e assume un aspetto diffuso. Nella classificazione Working Formulation tutti questi linfomi erano di basso grado, tranne se avevano pattern follicolare a grandi cellule centroblastiche o se avevano pattern diffuso con cellule centrocitarie; in questi casi il grado era intermedio. Linfoma di Burkitt  sono linfomi molto maligni che insorgono in sedi extranodali o in linfonodi soprattutto addominali. Sono formati da cellule rotonde, coese, di media grandezza, molte delle quali sono in mitosi. Tra esse sono sparsi numerosi MACROFAGI che inglobano le molte cellule APOPTICHE, che conferiscono al tessuto un aspetto a CIELO STELLATO. Si tratta di cellule B, CD10 positive con IgM superficiali. Il tipico linfoma di Burkitt è tipico di alcune zone tropicali ed è associato a virus di Epstein Barr e spesso si manifesta in sede mandibolare. -­ Linfomi a piccole cellule B Costituisce un gruppo eterogeno di tumori, tra i quali i più importanti sono: 1. Linfoma linfocitico diffuso, o leucemia linfatica cronica (LLC)  non ha mai cambiato nome; il nome cambia a seconda se c’è interessamento periferico o no. E’ una proliferazione di cellule B pre-­‐immuni con sovvertimento della struttura linfonodale con cellule monomorfe piccole, ad abito linfoide, con poco citoplasma, nucleo con cromatina addensata, rotondo. Sono linfociti B pre-­‐immuni che non proliferano, ma possono blastizzare se incontrano un antigene. Tutte le cellule sono CD20+ (marker di linea B; CD3-­‐, marker di linea T); sono anche CD5+, marker dei linfociti B pre-­‐immuni. Nel linfoma linfoplasmacitico (basso grado) sono presenti plasmacellule monoclonali, con picco periferico di IgM (macroglobulinemia di Waldenstrom); si diagnostica con una biopsia osteomidollare. 2. Linfoma a cellule mantellari  in questa neoplasie le cellule tumorali somigliano molto alle cellule B normali della zona mantellare che circonda i centri germinativi. La proliferazione consiste in una popolazione omogenea di piccoli linfociti con contorni nucleari da rotondi a irregolari a occasionalmente profondamente incisi (clivati). La cromatina è addensata, i nucleoli poco evidenti e il citoplasma è scarso. Sono presenti localizzazioni extralinfoghiandolari, per lo più a livello del midollo osseo, della polpa bianca della milza, del fegato e dell’intestino. Il linfoma mantelare esprime CD19 e CD20, è generalmente CD5 positivo e CD23 negativo. E’ caratteristicamente positivo per la proteina ciclina D1. E’ associato a traslocazione 11;14 con umento di espressione della ciclina D1 che promuove la progressione del ciclo cellulare da G1 a S. 3. Linfoma della zona marginale  (appare come un centro follicolare al contrario, cioè con il centro scuro):nel linfonodo umano la zona marginale è mal definita. Nella milza del

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cane c’è questa zona in cui avviene il traffico di cellule linfoidi. Esiste una varietà nodale e una extranodale; la prima è detta a cellule B monocitoidi e non è un linfoma del centro follicolare, è di grado basso e intermedio e colpisce altre sedi, come la milza, dove prende il nome di linfoma a linfociti villosi, e diversi tratti dell’intestino, dove forma il linfoma del MALT. Il MALT non esiste fisiologicamente, ma si sviluppa dinamicamente durante fenomeni irritativi (la gastrite follicolare è solo da Helicobacter). I linfomi del MALT si instaurano nello stomaco sul terreno di una gastrite cronica da Helicobacter non eradicato; in alcuni casi si osserva remissione della malattia dopo terapia antibiotica. Questo perchè alcuni sono clonali, altri no; quelli non clonali rispondono tutti e anche una parte di quelli clonali. In realtà una percentuale di casi di linfoma MALT dà origine ad un vero e proprio clone di cellule neoplastiche. La lesione linfoepiteliale è la comparsa all’interno dell’apitelio di cellule linfoidi lesionali, cioè cellule B monocitoidi. Questa lesione può non far più riconoscere una ghiandola gastrica, di cui rimane visibile solo la MB alla colorazione PAS. -­ Linfomi a grandi cellule B: Di questo gruppo fanno parte: 1. Linfomi centroblastici diffusi  costituiti da un tappeto di cellule rotonde grandi e con esile citoplasma baofilo e nucleo con 2 o 3 nucleoli. Esiste una varieta monomorfa (costituita solo da centroblasti) e una polimorfa caratterizzata dalla presenza concomitante di immunoblasti. 2. Linfomi immunoblastici B  costituiti da cellule voluminose, basofile, con grande nucleolo centrale. A volte possono essere costituiti da immunoblasti non differenziati o da immunoblasti con segni di differenziazione plasmocitaria. -­ Linfomi a cellule pre-­T Si tratta di tumori caratterizzati da cellule con nucleo rotondo o convoluto, cromatina fine e piccoli nucleoli. Il maggior rappresentante di questa categoria rappresentato dai TUMORI DI CELLULE CONVOLUTE DI BARCOS e LUKES. -­ Linfomi T periferici Sono costituiti da cellule T sprovviste di DESOSSINUCLEOTIDILTRANSFERASI terminale. Rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie alquanto rare, tra cui i più importanti sono: • Leucemie linfatiche croniche  tappeto di piccoli linfociti con sporadiche cellule grandi. I linfociti hanno scarso citoplasma e nucleo di forma irregolare. L’immunofenotipo è solitamente T-­‐helper CD4. • Micosi fungoide  neoplasia cutanea di cellule T dotate di EPIDERMOTROPISMO, costituite da linfociti, immunoblasti, cellule T giganti (dette cellule micosiche) e cellule T con nucleo cerebri forme (cellule di Lutzner). Le cellule tendono a raggrupparsi nell’epidermide a formare i cosiddetti PSEUDOMICROASCESSI DI PAUTRIER. • Linfomi immunblastici T  simili a quelli immunoblastici B, da cui si differenziano per la maggiore irregolarità dei nuclei. Clinicamente nei linfomi NON Hodgkin il decorso clinico è molto variabile e dipende dalla localizzazione e dal tipo istologico di linfoma non-­‐Hodgkin. In circa i 2/3 dei pazienti si manifesta come ingrossamento dei linfonodi (linfoadenomegalia) asintomatico, spesso "polistazionale" e a rapida crescita. Adenopatie superficiali e/o profonde sono presenti nell’80 per cento dei pazienti e nel 30-­‐40 per cento la linfomegalia iniziale è situata nei linfonodi cervicali. L’interessamento delle stazioni mediastiniche può determinare la comparsa di una sindrome mediastinica, più frequente nei linfomi linfoblastici T bulky (localizzazione massiva). Le localizzazioni linfoghiandolari addominali possono talvolta accompagnarsi a dolori addominali, dispepsia, disturbi dell’alvo e meteorismo. Un’epato-­‐splenomegalia è presente nel 20 per cento delle persone affette. Nel 20-­‐50 per cento dei pazienti il linfoma si presenta inizialmente in sede extralinfonodale, soprattutto a livello dell’anello di Waldeyer e dello stomaco. Sintomi sistemici sono più frequenti in linfomi ad alto grado di malignità e sono rappresentati da * febbre; * astenia; * calo ponderale; * sudorazioni notturne profuse. Altri sintomi sono specifici della localizzazione tumorale (per esempio, ittero, versamenti pleurici, dispnea, sindromi neurologiche).

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LINFOMI DI HODGKIN È una malattia che copisce in tuttè le età, ma mostra un picco bifasico: tra i 15 e 30 anni e tra i 50 e 60 anni. È definita dalla presenza di un tipo di cellule specifico, la cellula di Reed-­Steinberg; non è chiaro cosa sia e ha una storia diversa da tutti gli altri linfomi. Prima si chiamava Linfogranuloma maligno (granuloma è un’infiammazione produttiva, cioè basata sull’infiltrazione di cellule e non su fenomeni vascolari, è localizzato e formato da diversi tipi di cellule). Il quadro istologico di alcune forme e di alcuni stadi dei linfomi di Hodgkin è tipico. Se ne riconoscono ora 4 forme: predominanza linfocitaria, cellularità mista e deplezione linfocitaria, che sono progressive, e la sclerosi nodulare. La strutture del linfonodo è sovvertita; c’è una popolazione cellulare pleomorfa, in cui ci sono linfociti, istiociti, granulociti e cellule di RS, che sono inconfondibili. Quando si vede la cellula di RS si fa la diagnosi: Sono cellule di volume gigantesco; i nuclei sono 2 o è uno bilobato, e sono speculari, che gli conferiscono il caratteristico aspetto a “occhio di civetta”; il citoplasma è lievemente basofilo; mancano o sono rari i lisosomi e i corpi inclusi. Si pensa che questa sia l’unica cellula neoplastica e che il background sia infiammatorio. Sono presenti anche cellule grandi di Hodgkin, elementi attivamente proliferanti, più piccoli delle cellule RS, con analogie morfologiche con gli immunoblasti. Le cellule di RS mostrano caratteri immunofenotipici che sono presenti anche in macrofagi, cellule follicolari dendritiche, linfociti T e B e in definitiva si pensa che possano essere una sorta di linfociti attivati. Esistono diverse varianti istopatologiche, classificati da Rye e Lukes: • Predominanza linfocitaria  tessuto ricco di piccoli linfociti in cui sono presenti cellule grandi con nuclei lobati e citoplasma basofilo (cellue RS di varietà linfoistiocitaria, dette cellule “popocorn”). Sono molto rare le cellule RS diagnostiche. • Cellularità mista  sono presenti le cellule RS diagnostiche distribuite in un tessuto più o meno ricco di linfociti, plasmacellule, istiociti e granulociti eosinofili. Vi possono essere segni di sclerosi. • Sclerosi nodulare  è una forma a se stante, definita dal fatto che la sezione del linfonodo è caratterizzata da tralci fibrosi che intercettano noduli neoplastici. Colpisce giovani adulti e risponde alla terapia. Sono caratteristiche le cellule RS LACUNARI, cioè con citoplasma trasparente che appare retratto o vacuolizzato durante la fissazione. • Deplezione linfocitaria  Nella forma a deplezione linfocitaria spesso le cellule RS non si vedono, ma ci sono forme simil-­‐RS più anaplastiche • Entità provvisoria: malattia di Hodgkin classica, ricca in linfociti Concetto di staging: Il morbo di Hodgkin può insorgere in quasiasi zona dell’organismo e per la prognosi è e terapia è importante definire l’entità della diffusione della malattia. Questa può essere valutata seguendo lo schema proposto da Ann Arbor, valido per entrambi i tipi di linfomi: • Stadio 1: impegno di un singolo linfonodo o di una singola stazione; • Stadio 2: più di un linfonodo o stazione dallo stesso lato rispetto al diaframma; • Stadio 3: più di 2 stazioni dai due lati del diaframma; • Stadio 4: malattia disseminata con impegno del midollo osseo. Clinicamente il morbo di Hodgkin si manifesta con la classica triade: 1. Febbre inspiegabile (superiore ai 38°C), che può essere remittente, continua o ciclica con periodi di quindici giorni alternati a periodi senza febbre; 2. Sudorazione notturna e perdita di peso superiore al 10 per cento entro sei mesi; 3. Prurito, che può essere molto intenso, resistente ai comuni antistaminici, ma sensibile ai trattamenti specifici radio-­‐chemioterapici. MALATTIE DELLE PLASMACELLULE -­‐ Plamocitosi reattive  la e plasmacellule sono facilmente identificabili sulle sezioni istologiche delle biopsie ossee: hanno un nucleo rotondo, con cromatina in blocchi disposti a “ruota di carro” e citoplasma BASOFILO con area chiara perinucleare (apparato del Golgi). Il citoplasma contiene inclusioni PAS positive ed eosinofile dette CORPI DI RUSSEL e più raramente ci possono essere inclusioni eosinofile e PAS positive intranucleari dette CORPI DI DUTCHER. Nel midollo normale le plasmacellule non superano il 2-­‐3% degli elementi nucleati. Spesso occupano tessuto mieloide , ma possono essere sparse nell’interstizio e attorno ai piccoli vasi midollari. Quando il loro numero aumenta si osservano elementi binucleati, di volume maggiore, con citolplasma intensamente basofilo. Aumenti delle plasmacellule si possono avere in caso di neoplasie e di ipergammaglobulinemie.

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-­‐ Gammopatie monoclonali di significato indeterminato  sono caratterizzate dalla presenza nel sangue di una IMMUNOGLOBULINA MONOCLONALE (migrazione elettroforetica uniforme e presenza di un solo tipo di catena leggera). Sono patologie frequenti nella popolazione anziana. Possono essere PRIMITIVE (se non correlata ad altre malattie) oppure SECONDARIE (se associata ad altre malattie come carcinomi, TBC, m. virali, epatiche, autoimmuni, ecc.). Più spesso la proteina monoclonale è una IgG. La biopsia ossea mostra midollo normale con piccolo aumento delle plasmacellule. La malattia può restare in uno stadio stazionario, guarire oppure evolvere in MIELOMA (5-­‐10% dei casi). L’evoluzione è segnalata da un aumento della proteina monoclonale nel sangue e dalla comparsa di ATIPIE delle plasmacellule. -­‐ MIELOMA  detto anche PLASMOCITOMA è una neoplasia della linea plasmacellulare, accompagnata solitamente da gammopatia monoclonale. Si distinguno: 1) Mieloma multiplo scheletrico: tumore che insorge tra i 65 e 75 aa ed ha una localizzazione prevalentemente SCHELETRICA e in altre sedi numerose. Sono più colpite le ossa spugnose (++ del cranio e del tronco). Agli arti il tumore è confinata alle epifisi prossimali dell’omero e del femore. Macroscopicamente il tessuto mieloma toso si presenta come NODULI ROTONDEGGIANTI, di max 1 cm di diametro e limiti netti. Sono molli, friabili di colorito bianco grigiastro con possibile tonalità rosse dovute ad emorragie. Essi vanno a sostituire il tessuto osseo che viene distrutto per osteolisi: la lacuna ossea che si viene a formare è “a stampo” del nodulo. A livello del cranio queste lacune danno l’aspetto del “cranio lacunare”. In conseguenza alla sostituzione del tessuto osseo con quello tumorale, si va incotro a fratture spontanee o addirittura osteoporosi diffusa. Anche i visceri sono colpiti da questa malattia, prevalentemente la milza, il fegato e i linfonodi. La diagnosi prevede la dimostrazione di una proliferazione di plasmacellule neoplastiche nel midollo ed è più accurata su sezioni istologiche di biopsie ossee che su aghi aspirati. Microscopicamente è presente una infiltrazione nodulare o diffusa da parte di plasmacellule atipiche: hanno disomogeneità di forma e volume, ipercromatismo nucleare, macronucleoli, numerose mitosi, ma possono essere anche totalmente anaplastiche. Utile per la diagnosi è il riscontro di caratteristici accumuli di plasmacellule in NIDI SOLIDI, cioè senza tessuto adiposo interposto. Le cellule mielomatose secernono immunoglobuline che causano una turba del metabolismo proteico con inversione del rapporto albumine/globuline. Nella maggior parte dei casi si tratta di IgG o IgA e contengono un SOLO tipo di catene leggere κ o λ. Queste quando vengono prodotte in eccesso vengono rapidamente filtrate e passano nelle urine dando luogo alla PROTEINURIA DI BENCE JONES. Inoltre l’aumentata globulinemia causa aumento della VISCOSITA’ del sangue con possibili ischemie in vari organi (++ encefalo e retina) e con conseguente IMPILAMENTO dei GR (formazione di ROULEAUX) per cui la VES è aumentata. Inoltre in virtù dell’osteolisi si ha anche IPERCALCEMIA. 2) Mieloma extrascheletrico: si localizza preferenzialmente ne tubo digerente e nell’apparato respiratorio dove da origine a formazioni POLIPOIDI. Spesso si associa ad accumuli di sostanza amiloide. 3) Leucemia plasmacellulare: è una particolare forma di mieloma caratterizzata dal passaggio in circolo si elementi plasma cellulari in quantità più o meno elevata. Si osserva INFILTRAZIONE DIFFUSA di plasmacellule negli organi emopoietici. Sono presenti le stesse alterazioni del siero e delle urine del plasmocitoma. LINFADENITE ACUTA ASPECIFICA I linfonodi vanno incontro a trasformazioni reattive ogni volta che sono stimolati da agenti microbici, frammenti cellulari o altre sostanze estranee. La linfadenite acuta si osserva spesso nella regione CERVICALE a causa del drenaggio microbico dovuto a infezioni di denti e tonsille. Altra sede preferenziale sono i linfonodi mesenterici, che drenano le appendiciti acute. Macroscopicamente i linfonodi sono rigonfi, grigio-­‐rossi e congesti con ampi centri germinativi in cui si possono notare molte figure mitotiche. Se la causa è batterica (piogeni) il centro dei follicoli può andare incontro a necrosi oppure l’intero linfonodo può trasformarsi in una massa ascessualizzata. In casi meno gravi è presente infiltrazione neutrofila nel seni linfoidi. Le cellule dei seni vanno incontro a ipertrofia e iperplasia e diventano di aspetto cuboide. I linfonodi sono ingrossati a causa dell’infiltrazione cellulare e dell’edema, sono DOLENTI alla palpazione, la cute sovrastante è arrossata

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LINFADENITE CRONICA ASPECIFICA Può presentarsi sottoforma di diversi quadri in base alla causa scatenante: -­‐ IPERPLASIA FOLLICOLARE  causata da stimoli che attivano le risposte immunitarie umorali (tra queste: artride reumatoide, toxoplasmosi, HIV, ecc.). Sono presenti centri germinativi grandi, di forma rotondeggiante, ricchi di cellule B e circondati da una corona di piccole cellule B vergini a riposo. All’interno del centro germinativo ci sono 2 zone: (1) zona scusa contenente cellule B simili a blasti e (2) zona piccola contente cellule B con rima nucleare clivata e irregolare. Sono presenti macrofagi sparsi per tutto il follicolo. Nelle zone parafollicolari possono essere presenti plasmacellule, macrofagi, neutrofili ed eosinofili. Il linfonodo in generale conserva la sua architettura. -­‐ IPERPLASIA LINFOIDE PARACORTICALE  causata da stimoli che innescano la risposta immunitaria cellulare. Le regioni follicolari T-­‐cellulari obliterano e a volte cancellano i follicoli B-­‐ cellulari. All’interno di queste regioni ci sono cellule T attivate, grandi 3 o 4 volte più rispetto ad un linfocita a riposo, con nuclei rotondi, cromatina dispersa, molti nucleoli e moderata quantità di citoplasma pallido. Si hanno anche ipertofia delle cellule endoteliali e presenza di infiltrato cellulare misto. -­‐ ISTIOCITOSI DEI SENI  si riferisce alla distensione e alla prominenza dei sinusoidi linfatici. L’endotelio linfatico appare ipertrofico; i macrofagi sono aumentati di numero e causano espansione e dilatazione dei seni.

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CUTE NEVI Sono affezioni mal formative della cute. Essi possono presentarsi fin dalla nascita o manifestarsi tardivamente. Crescono lentamente, soprattutto durante la pubertà e la gravidanza. Alcune forme possono anche andare incontro a regressione. In senso generale si parla di NEVI MELANOCITICI, termine che deve essere considerato sinonimo di nevo “benigno”. Secondo Maize e Ackerman i nevi possono essere suddivisi in due grandi gruppi: • Nevi nei quali i melanociti NON risultano numericamente aumentati, ma è esaltata la loro funzione MELANOGENETICA (il pigmento viene accumulato in grosse quantità nelle cellule epiteliali dell’epidermide). Questo gruppo è stato denominato “iperpigmentazione circoscritta in assenza di apparente proliferazione di melanociti” e ne fanno parte le efelidi, le macchie caffè e latte, la melanosi della sindrome di Albright, il nevo di Becker, la “lentigo senilis” e la melanosi nella sindrome di Peutz-­‐Jeghers. • Nevi nei quali il carattere saliente è la PROLIFERAZIONE dei melanociti. Questo gruppo è stato denominato “proliferazione benigna di melanociti” e ne fanno parte la “lentigo simplex”, il nevo giunzionale, il nevo composto, il nevo intradermico, il nevo balloniforme, il nevo con vitiligine perinevica, il nevo di Spitz, i nevi melanocitici congeniti, la macchia mongolica, il nevo di Ota, il nevo di Ito ed il nevo blu. Iperpigmentazione circoscritta in assenza di apparente proliferazione di melanociti -­ Efelidi  macule lentigginose che si sviluppano nelle regioni del corpo esposte al sole (viso, dorso delle mani, braccia). Compaiono in età giovanile ed è una affezione che si trasmette con modalità autosomico dominante. Istologicamente è presente solo accumulo discreto di pigmento. -­ Macchie caffè e latte  sono macule di dimensioni da pochi mm fino a oltre 20 cm di diametro, a limiti netti, può insorgere in qualsiasi parte dl corpo e manifestarsi alla nascita. Si riscontra nel 90% dei casi di neurofibromatosi. Istologicamente è uguale alle efelidi. -­ Melanosi della sindrome di Albright  è una sindrome caratterizzata da: displasia fibrosa poliostotica unilaterale + pubertà precoce + ampie macchie melanotiche a margini frastagliati che compaiono nei primi anni di vita. Microscopicamente si nota l’iperpigmentazione dello strato basale dell’epidermide. -­‐ Nevo di Becker  nevo ipertricotico che si manifesta nel corso del secondo decennio di vita e si manifesta sottoforma di un’ampia ed intensa macchia melanotica, rilevata, a limiti frastagliati ma netti. Si localizza soprattutto sul tronco e sulla spalla. Istologicamente si nota una lieve ACANTOSI con spiccata iperpigmentazione dell’epidermide con presenza di MELANOFAGI nel derma papillare. -­ Lentigo senilis  Compare nel IV-­‐V decennio di vita e predilige le parti scoperte del corpo (++ dorso delle mani). Microscopicamente le creste epidermiche appaiono allungate, claviformi; le cellule basali sono ricche di melanina e frammiste a melanociti. -­ Melanosi nella sindrome di Peutz-­Jeghers  stato morboso caratterizzato da poliposi intestinale + melanosi lentigginosa localizzata preferenzialmente in regione periorale, bordo labiale, mucosa orale e dorso delle dita. L’affezione si trasmette come carattere autosomico dominante. Istologicamente c’è iperpigmentazione dello strato basale dell’epidermide. Proliferazione benigna di melanociti -­ Lentigo simplex  chiazze pigmentarie sparse, colorito bruno o nero. Istologicamente si nota aumento della lunghezza delle creste epidermiche limitanti le papille dermiche, incremento dei melanociti nello strato basale, aumento di melanina nei melanociti e nelle cellule basali. I melanociti hanno citoplasma chiaro che contrasta con l’aspetto scuro delle cellule epiteliali circostanti. -­ Nevo giunzionale o della giunzione dermo-­epidermica  gruppi multipli di melanociti lungo lo starto delle cellule basali dell’epidermide, che si presentano come cumuli sferoidali circondati da cellule epiteliali basali iperpigmentate. I melanociti sono globosi e con citoplasma chiaro. Le cellule basali sono compresse e spinte in profondità e formano dell teche o nidi. È il nevo che si riscontra più frequentemente nel bambino. Gli strati sovrastanti l’epidermide possono essere sollevati da cumuli di melanociti. L’estendersi dei nidi di melanociti verso la sperficie è considerato segno sospetto di malignità. -­ Nevo composto  Nidi di melanociti nella zona giunzionale dell’epidermide, estesi anche nel derma sottostante. Le cellule a contatto con l’epidermide sono cuboidali, con ampio citoplasma contenente variabili quantità di granuli di melanina. Le cellule situate in profondità nel derma

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sono più piccole, con scarso citoplasma e pochi granuli. Questa è una caratteristica importante per differenziarlo dal melanoma in cui le cellule non si riducono man mano che si va in profondità! Forma comune nei giovani. -­ Nevo intradermico  forma abituale assunta dai nevi nell’età adulta. Macroscopicamente può essere di vario volume, più o meno sporgente, pigmentato, glabro, liscio o verrucoso (a seconda della configurazione dell’epidermide). L’accumulo di cellule neviche avviene a livello del derma, e alcune volte il processo può estendersi profondamente fino al sottocutaneo. Le cellule neviche sono perinucleate con nuclei a “rosetta”. I melanociti sono molto numerosi negli strati superficiali e in base alla loro quantità si possono avere vari gradi di pigmentazione. -­ Nevo a cellule balloniformi  rari. Microscopicamente si nota la caratteristica presenza di cellule grandi, rotondeggianti, con nucleo piccolo e rotondo, citoplasma chiaro. Insorge solitamente nei primi 30 anni di vita. -­‐ Nevo con vitiligine perinevica  per vitiligine si intende un DEPIGMENTAZIONE della cute. In questo caso infatti la scomparsa di melanina lascia apprezzare alla periferia del nevo un alone bianco lattaceo. Si tratterebbe di un melanoma contro il quale l’organismo produce degli anticorpi specifici responsabili della scomparsa dei melanociti, che probabilmente hanno subito una qualche mutazione che li ha resi bersaglio della risposta immunitaria (infatti i restanti melanociti del corpo non vengono attaccati). -­ Nevo di Spitz  è una lesione cupuliforme, isolata, localizzata generalmente al viso e agli arti, di colorito roseo con configurazione istologica tipica di un nevo composto. Le cellule sono di tipo fusato e di tipo epitelio ide e sono disposte in nidi che interessano solo gli strati profondi dll’epidermide. Man mano che avanzano nel contesto del derma le cellule si riducono e mostrano caratteri di differenziazione (D.D. con melanoma!). Sono presenti infiltrati infiammatori linfocitari con dilatazioni dei capillari e edema del derma superficiale. -­ Macchia mongolica  di solito compare alla nascita e scompare all’età di 3-­‐4 qnni. È più frequente nei bambini di razza mongolica. Si localizza in regione sacro-­‐coccigea e si manifesta come una chiazza rotondeggiante di colorito ceruleo. Microscopicamente è caratterizzata dalla presenza nella metà o nei 2/3 inferiori del derma reticolare di melanociti distribuiti tra fasci di fibre collagene. I melanociti sono allungati e decorrono parallelamente alla superficie cutanea. -­ Nevo di Ota e nevo di Ito  Il nevo di Ota si sviluppa elettivamente ed unilateralmente a livello del viso, può essere presente alla nascita o insorgere nell’adolescenza. Il nevo di Ito si localizza in regione sopraclaveare o deltoidea. Istologicamente hanno la stessa struttura: melanociti allungati e dendritici distribuiti tra fibre collagene del derma reticolare. -­ Nevo blu  Può localizzarsi in sede cutanea oppure sulle mucose di bocca, vagina, cervice uterina e prostata. Esistono tre tipi: • Comune nevo blu: rilevato, colorito nero-­‐bluastro. Diametro > 1 cm, localizzazione preferita su mani e piedi. Istologicamente simile a macchia mongolica, con melanociti allungati e decorrenti parallelamente alla superficie cutanea, ma molto più numerosi. Sono presenti anche melanofagi e tra le fibre collagene del derma compaiono firoblasti • Nevo blu cellulare: lesione rilevata, nodulare, superficie liscia o irregolare, diametro compreso tra 1-­‐3 cm. Microscopicamente ci sono melanociti allungati e altri fusiformi con nucleo ovoidale ed ampio citoplasma con pochissimi granuli di melanina. Spesso questi melanociti costituiscono degli isolotti in cui si intrecciano diversi elementi: cellule giganti multinucleate associate ad elementi linfocitari. • Nevo blu combinato: forma particolare di associazione tra nevo blu e nevo di altro tipo. MELANOMA IN SITU Si tratta di lesioni ancora benigne ma che hanno già gli attributi morfologici di un processo maligno. Di conseguenza dopo un periodo più o meno variabile evolverà in melanoma. -­ Lentigo maligna  detta anche “efelide melanotica di Hutchinson”, si manifesta nelle regioni del corpo esposte al sole (++ viso). È una macula pigmentata che si estende lentamente e circondata da zone in cui il fenomeno va incontro a regressione spontanea. Microscopicamente in fase iniziale c’è iperpigmentazione delle cellule dello strato basale che però può estendersi fino allo strato corneo. Nello strato basale c’è aumento di numero dei melanociti, mentre nel derma si possono trovare melanofagi e cellule infiammatorie. Con la’vanzare del processo aumenta il numero dei melanociti che sono di forma allungata, fusata, con abbondante pigmento, nuclei atipici (ingranditi, ipercromatici, polimorfi). Il derma risulta infiltrato da linfociti e mostra una degenerazione. La trasformazione in melanoma si verifica non prima di 10-­‐15 anni.

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-­‐ Melanoma in situ a diffusione superficiale  colpisce più i settori dorsali dell’uomo e quelli della gamba nella donna. Il diametro della lesione non supera i 2,5 cm e la superficie appare più o meno rilevata. Sono presenti tratti di regressione spontanea. Il colorito va da bruno nerastro a blastro. I melanociti sono disposti nell’epidermide in nidi negli strati profondi e isoltamente in quelli superficiali. Il loro nucleo è atipico possiedono abbondante citoplasma. Nel derma sono sempre presenti melanofagi e infiltrati linfocitari. La trasformazioni e in melanoma inizia più precocemente che nella lentigo maligna. -­ Melanoma lentigginoso acrale in situ  si manifesta alle palme delle mani e dei piedi. Questa forma evolve rapidamente verso il melanoma. MELANOMA Neoplasie di cellule melanocitiche con comportamento maligno. Possono esistere diversi tipi di lesioni raggruppate sotto il termine di melanoma. -­ Melanomi cutanei  I melanomi difficilmente si sviluppano in età pre-­‐puberale, mentre sono più frequenti nell’età adulta e senile. I melanomi cutanei si possono manifestare in 2 forme: • Melanoma a diffusione superficiale: si sviluppa superficialmente mantenendosi per un certo periodo nel contesto dell’epidermide. • Melanoma nodulare: invade rapidamente il derma superficiale e quello profondo. È più grave del precedente. Il melanoma maligno cutaneo appare macroscopicamente come una PLACCA o come un NODO TESO si colore NERO o BRUNASTRO, spesso variegato e circondato da un ALONE ROSSASTRO da iperemia. La superficie è LISCIA o finemente irregolare. Spesso il paziente denuncia un accrescimento sensibile negli ultimi tempi. In alcuni casi il pigmento può mancare del tutto e quindi il colorito è ROSSO CARNE. Se avviene diffusione locale, accanto al nodo principale possono esserci nodi più piccoli. Microscopicamente sono presenti caratteristiche salienti. Innanzitutto deve essere prelevato un prelievo mediante incisione “a losanga” che corre a circa 2 cm di distanza dal margine della neoplasia e che si estrinseca in profondità in modo da assicurare una ABLAZIONE il più possibile COMPLETA. La caratteristica istologica del melanoma è la intensa e irregolare ATTIVITA’ PROLIFERATIVA che si verifica alla giunzione dermo-­‐epidermica. Da un lato c’è l’invasione dell’epidermide da parte di melanociti riuniti in NIDI che si spingono fino allo strato corneo, con conseguente scompaginamento dei vari strati, dall’altro c’è diffusione nel derma, in cui melanociti avanzano fino al sottocutaneo. Le cellule presenti pur essendo molto diverse tra loro appartengono a de gruppi: cellule fusate e cellule epitelioidi e di solito nel tumore un tipo predomina sull’altro (anche se possono essere presenti entrambe). Le cellule fusate formano strutture ramificate distribuite in uno stroma collageno; le cellule epitelioidi (o epiteliomorfe) sono disposte in formazioni alveolari circondate da fibre collagene. Ci sono discrete figure mitotiche e la melanina è presente in quantità variabile. Raramente si riscontrano anche elementi balloniformi. A livello del derma sono costantemente presenti infiltrati linfocitari. Secondo CLARK esistono 5 livelli di invasione (si basa s LIVELLI ANATOMICI): 1. Interessamento epidermide e annessi cutanei 2. Invasione del derma papillare con infiltrazione di poche cellule del confine tra derma papillare e derma reticolare 3. Infiltrazione dell’intero derma papillare e ampia parte del derma reticolare 4. Invasione del derma reticolare 5. Invasione del sottocutaneo Secondo Clark dopo asportazione chirurgica del melanoma, la probabilità andare incontro alla morte entro 5 anni è di 1° livello 2° livello 3° livello 4° livello 5° livello 0% (non c’è invasione del derma) 8% 35% 46% 50% Esiste poi una seconda classificazione fatta da BRESLOW che si basa sulla misura dello spessore della neoplasia: “il punto di repere superficiale è lo strato granuloso dell’epidermide ovvero il punto più profondo dell’ulcera a seconda che il neoplasma sia intatto o ulcerato”. La gradazione di Breslow prevede che se lo spessore del tumore è < 0,76 mm esso non ha tendenza a metastatizzare e quindi non è necessaria la rimozione dei linfonodi regionali; se lo spessore è > 1,5 mm è necessaria l’asportazione profilattica dei linfonodi.

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I melanomi danno metastasi per prima ai linfonodi regionali. Inoltre possono dare metastasi per via sanguigna, in ordine di frequenza, a: polmoni, nevrasse, meningi, tubo digerente, cuore, fegato, peritoneo e surreni. In casi gravissimi in cui il melanoma è abnormemente esteso si può avere MELANURIA, MELANOSI dell’intera cute, delle congiuntive e delle mucose orale e faringea. -­ Sindrome del nevo displastico  si intendono DISPLASTICI i nevi composti a cellule fusate od epiteliomorfe entro i quali si rinvengono nidi di melanociti atipici. È una lesione precancerosa, che deve mettere in allarme il medico. -­‐ Nevo blu maligno  è un nevo che acquista caratteri di malignità: caratteristiche microscopiche già descritte, carattere invasivo, atipia e pleomorfismo nucleare, mitosi atipiche e aree di necrosi. -­ Melanoma in sedi NON cutanee  i melanomi possono insorgere in VARIE MUCOSE, comunque in zone sempre vicine al confine tra mucosa e cute. Tra questi una forma particolare è quello che insorge in sede oculare a carico della COROIDE: si sviluppa al di sotto della retina provocandone il distacco e va ad occupare la cavità el bulbo; la sua configurazione istologica è mista tra tipo fuso-­‐cellulare e globo-­‐cellulare disposte in ammassi irregolari e circondate da cellule a palizzata disposte a vortice o affiancate. La propagazione locale del tumore avviene lungo il nervo ottico verso l’encefalo.

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APPARATO URINARIO Il rene umano converte più di 170 litri di sangue/die fornito dall’arteria renale in 1 litro di urina. Le sue funzioni principali sono OSMOREGOLAZIONE e ESCREZIONE. AA RENALE  4 AA SEGMENTALI (apicale, superiore, media, inferiore)  AA ARCUATE  AA INTERLOBULARI  ARTERIOLE AFFERENTI ed EFFERENTI  VV ARCUATE INTRA E INTERLOBULARI – V RENALE. Un glomerulo è una rete mirabile arteriosa, un letto capillare connesso a due vasi omologhi (arteriosi, come in questo caso, o venosi,come nel sistema portale). Nelle reti mirabili lo scopo non è mai la perfusione. La circolazione renale è caratteristica: a livello del seno renale l’a. renale si divide nei suoi rami terminali, le aa. interlobari (nelle colonne del Bertin che separano le piramidi del Malpighi); di qui si hanno le aa. arciformi, che decorrono parallelamente alla base della piramide; aa. interlobari e vasi retti (i primi passano nelle colonne del Ferrein, dotti collettori corticali circondati d auna porzione di corticale); aa. afferenti ; aa. efferenti; capillari. Il glomerulo è una rete di vasi paralleli o in registro tra loro, che si avvolgono su sé stessi; sono suddivisi in gruppi e ciascun gruppo forma un cotiledone. I vasi che si formano dallo sfioccamento dell’arteriola afferente sono avvolti da una struttura che si chiama mesangio , che è il prolungamento delle strutture matriciali che avvolgono le arteriole. Il mesangio è diviso in unità discrete che corrispondono ai cotiledoni. Oltre la parete del capillare glomerulare (spazio di Bowmann) si trovano i podociti, cellule con dei processi di diverso ordine ( pedicoli, che prendono diretto rapporto con la membrana capillare e si incastrano tra loro; la loro membrana è fortemente arricchita di cariche negative, poichè contengono eparansolfato o perlecano, che come tutti i proteoglicani è acido; tra un pedicolo e l’altro esistono i diaframmi pedicolari). La membrana basale glomerulare separa i podociti dalla parete del capillare ed è formata da tre strati (lamina rara esterna, lamina densa, lamina rara interna) Un collagene è una proteina con una strutture Gly-­‐X-­‐Y, che gli dà la tendenza a interagire con sè stessa. La membrana basale del glomerulo è composta da: collagene IV (occupa tutti e tre gli strati della membrana basale), proteoglicani, laminina, fibronectina e endonectina. Tra i capillari glomerulari è posto il mesangio, costituito da cellule mesangiali proprie e fagociti mononucleati. Le molecole più grandi vengono intrappolate tra le fibrille del mesangio e assunte dalle cellule presenti. La cellula mesangiale propria è simile alla cellula muscolare liscia, possiede attività contrattile e contribuisce a regolare il flusso ematico glomerulare; inoltre possiede funzioni di recettore per l’angiotensina II e per il peptide natriuretico e anche attività di sintesi (IL-­‐1 – ruolo nell’infiammazione e come fattore di crescita autocrino). L’apparato iuxtaglomerulare è costituito da tre tipi di cellule: GRANULOSE (c. muscolari lisce modificate presenti nella parte terminale dell’arteriola afferente), NON GRANULOSE (poste all’ilo glomerulare, dove si incontrano arteriola afferente ed efferente), MACULA DENSA (parte di tubulo convoluto distale in prox dell’ilo glomerulare, costituita da cellule epiteliali strette e alte). A livello di questo apparato avviene la formazione di RENINA. ANOMALIE CONGENITE (Prof. Cardillo) -­ Agenesia renale  Esistono due forme: • Totale bilaterale: incompatibile con la vita, associata ad alte malattie congenite come la ipoplasia polmonare + assenza o deformità degli arti inferiori + faccia di POTTER (bassa attaccatura degli orecchi, mento sfuggente, naso allargato ed appiattito, occhi distanziati). La morte avviene precocemente, al max permette solo poche ore di vita. • Unilaterale: è compatibile con la vita poiché si ha l’iperplasia compensatoria del rene contro laterale. -­ Ipoplasia renale  anche questa può essere bilaterale o unilaterale. Spesso un rene è cicatriziale in seguito a infezioni o malattie vascolari o del parenchima renale. -­‐ Rene ectopico  causato da focolai ectopici di metanefro in posizioni differenti da quella naturale (es. pelvi). Questa condizione può causare ostruzione al deflusso urinario e quindi maggiore suscettibilità alle infezioni. -­ Rene a ferro di cavallo  i reni risultano FUSI a livello del polo superiore (10%) o inferiore (90%). Spesso è associato alla TRISOMIA 18. -­ Fusione eccentrica -­ Anomalie dei vasi  es. arteria renale aberrante con aneurisma.

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MALATTIE CISTICHE DEL RENE Si tratta di un gruppo eterogeneo di malattie le cui cause sono da ricercare in disordini ereditari, disordini di sviluppo NON ereditari, disordini acquisiti. In generale la patogenesi è dovuta ad un difetto primitivo dell’accrescimento e differenziazione delle cellule epiteliali tubulari, con successiva ipersecrezione di fluido e anomala produzion di ECM da parte delle cellule epiteliali di rivestimento dei tubuli. Le cisti renali sono classificate così: • Displasia renale cistica • Malattia renale policistica AUTOSOMICO DOMINANTE (dell’adulto)  dovuta a mutazione di un gene presente sul cromosoma 16p (90%) o sul cromosoma 4q (10% -­‐ meno grave). C’è la presenza di cisti di 3-­‐4 cm di diametro a contenuto sieroso o siero-­‐ emorragico. Tra le cisti multiple sono sparsi nefroni funzionanti. La sua penetranza è pressoché totale. Macroscopicamente i reni sono ingranditi e diffusamente cistici con marcata irregolarità della superficie sottocapsulare. Clinicamente i sintomi sono dolore al fianco, ematuria, nicturia, infezioni urinarie. Nel 50% dei casi di sviluppa insufficienza renale progressiva o cronica. È spesso associata alla presenza di cisti epatiche. • Malattia renale policistica AUTOSOMICO RECESSIVA (del bambino)  perinatale, neonatale, infantile o giovanile. Associata a lesioni epatiche (FIBROSI CONGENITA EPATICA). I pazienti si presentano con masse lombari bilaterali. I reni sono molto ingranditi ma hanno superficie LISCIA. Sono presenti numerose cisti piccole in corticale e midollare. Clinicamente si presenta come una massa palpabile alla nascita. Se la malattia si manifesta pienamente porta a morte nella prima infanzia per insufficienza renale, se la condizione è lieve il quadro clinico è dominato dalle manifestazioni epatiche. • Malattia cistica della MIDOLLARE renale  comprende tre entità principali caratterizzate da dilatazione cistica dei tubuli distali e collettori associata con fibrosi interstiziali. 1. Nefronoftisi giovanile: malattia autosomica recessiva che si presenta con anemia, ritardo di crescita, iperazotemia cronica con poliuria. Evolve in insufficienza renale entro i 20 anni. I reni sono piccoli e fibrotici. La superficie di taglio mostra la presenza di numerose piccole cisti nella regione corticomidollare. Caratteristiche presenti sono anche la sclerosi glomerulare e la fibrosi interstiziale. 2. Malattia cistica midollare: ereditata come carattere autosomico dominante. Come nella precedente malattia i reni sono piccoli e fibrotici. La superficie di taglio mostra la presenza di numerose piccole cisti nella regione corticomidollare. Caratteristiche presenti sono anche la sclerosi glomerulare e la fibrosi interstiziale. 3. Rene a SPUGNA midollare: caratterizzata da marcata e irregolare dilatazione di dotti collettori midollari e papillari. Le lesioni sono solitamente bilaterali e diffuse. Clinicamente si manifesta con ematuria e formazione di calcoli renali. I glomeruli sono preservati. • Cisti semplici  sono le cisti più comuni e di minor significato clinico. La loro incidenza aumenta con l’età. Insorgono tipicamente nella corticale e possono essere unilaterali o bilaterali, singole o mutiple. Solitamente hanno diametro < 1 cm. Clinicamente possono manifestarsi come dolore al fianco, ematuria, infezioni, ipertensione. • Malattia cistica acquisita  è limitata a malati che hanno insufficienza renale cronica avanzata, specialmente a quelli in DIALISI per malattia allo stadio terminale. Infatti circa il 30-­‐50% di pazienti in dialisi soffre di questa malattia. Sono presenti numerose piccole cisti (5mm) che interessano diffusamente un rene sclerotico in fase terminale. Nel 25% dei pazienti colpiti si riscontrano lesioni neoplastiche. LE PRINCIPALI SINDROMI RENALI -­ Sindrome nefritica acuta  è caratterizzata da: • esordio improvviso • ematuria spesso macroscopica • proteinuria di varia intensità • ipertensione • oliguria ingravescente fino all’anuria • esito solitamente favorevole

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Si manifesta soprattutto in caso di malattie primitive e secondarie del glomerulo. -­ Sindrome nefritica rapidamente progressiva  si manifesta con esordio improvviso di: • ematuria • proteinuria • anemia • progressione verso la l’insufficienza renale -­ Sindrome nefritica cronica  sviluppo lento e progressivo, che si manifesta con: • ipertensione • insufficienza renale ingravescente (incremento dei valori ematici di azoto ureico e creatinina) • proteinuria (non sempre) • uremia (stadio terminale) -­ Sindrome nefrosica  caratterizzata da: • proteinuria (selettiva o non selettiva) di origine glomerulare, superiore a >3,5 g/die • edemi e versamenti trasudatizi nelle sierose • ipoalbuminemia • iperlipidemia e lipiduria La proteinuria è il sintomo cardinale ed è provocata dal danno della parete del capillare in seguito a diverse cause che alterano i meccanismi di controllo della filtrazione delle macromolecole. Può essere complicata da TROMBOSI che interessa le vene renali, INFEZIONI. -­ Insufficienza renale acuta  si manifesta con • oliguria o anuria • rapido e progressivo aumento dell’azotemia e altri indici di ritenzione. -­ Insufficienza renale cronica  è caratterizzata dai sintomi e segni propri dell’UREMIA, il risultato finale di tutte le nefropatie croniche: L'uremia è lo stadio terminale dell'insufficienza renale. Il nome deriva dall'accumulo nel sangue di sostanze azotate a causa dell'incapacità dei reni ad eliminarle. La teoria di Frerichs vuole che la sintomatologia uremica sia dovuta a un'intossicazione sistemica causata dall'urea aumentata nel circolo, la quale, grazie agli enzimi, viene convertita in carbonato d'ammonio. In realtà, l'urea, è sì neurotossica, ma non solo non è l'unica sostanza che si accumula, ma neanche la più tossica. Inoltre segni e sintomi dell'uremia sono dovuti ad altri fattori, originati dal venir meno della funzionalità dei reni. Il rene infatti è un organo non solo preposto all'escrezione di cataboliti, ma interviene anche in numerosi processi fra cui il mantenimento della pressione arteriosa, la produzione di sostanze che regolano la produzione di globuli rossi eritropoietina, il metabolismo fosfo-­‐calcico etc. La valutazione della funzione renale si ottiene con il dosaggio della creatininemia e della clearance della creatinina o il calcolo del volume del filtrato glomerulare. Si parla di uremia quando il volume del filtrato glomerulare scende sotto i 15 ml/min (vedi insufficienza renale). Una perdita graduale e lenta della funzione renale è meglio tollerata di una perdita rapida. Pertanto i segni e sintomi dell'uremia possono evidenziarsi a diversi livelli di insufficienza renale, secondo le modalità con cui essa progredisce. Segni più frequenti sono: * astenia * dimagramento e vomito (fino alla cachessia) * pallore (dovuto non solo all'anemia, ma anche all'accumulo di tossine) * alito maleodorante (con odore urinoso, detto fetor uremicus) Naturalmente possono essere in varia misura presenti i segni delle alterazioni idro-­‐elettolitiche tipiche dell'uremia: * Iperpotassiemia (astenia marcata e danni cardiaci) * Ipocalcemia ed iperfosforemia e conseguente danni ossei e fratture patologiche * Ritenzione idrica con conseguente edema periferico e nei casi più gravi edema polmonare * Tamponamento cardiaco (pericardite uremica) dovuta allo stato tossico e possibile versamento pericardico anche di tali dimensioni da condurre ad uno shock cardiogeno (insufficienza cardiaca acuta) Tutte queste complicanze sono identificabili dallo specialista e trattabili con opportuna terapia medica che ne attenua la gravità e allontana il momento in cui è necessario eseguire una terapia sostitutiva della funzione renale: dialisi o tapianto di reni.

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MALATTIE GLOMERULARI Si chiamano glomerulopatie, di cui fanno parte le glomerulonefriti. La definizione originaria di glomerulonefriti era un danno glomerulare infiammatorio; negli anni ’60 si aggiunge: un quadro infiammatorio non infettivo e immunologicamente mediato. Esistono GN che non rientrano in questa dizione. Il danno immunologicamente mediato ha avuto gradi diversi di comprensione, in base a diversi modelli sperimentali. Meccanismi patogenetici primitivi Si possono distinguere due tipi di meccanismi immunitari: 1. Modello di Dickson: malattia da siero acuta, immunocomplessi circolanti; un immunocomplesso è un’aggregazione Ag-­‐Ab in rapporto diverso da 1:1, le dimensioni dell’IC dipendono dalla relazion quantitativa tra Ab e Ag. Quelli più grandi sono riconosciuti come corpi estranei ed eliminati; i più piccoli non sono patogeni; quelli dannosi hanno dimensioni intermedie e si formano quando c’è un leggero eccesso di Ag. Gli IC si depositano in sedi specifiche. Un IC attiva il complemento e quindi l’infiammazione. È una patologia da siero acuta in cui IC si depositano nella parete dei capillari glomerulari. La malattia umana corrispondente è la GMN post-­‐streptococcica. Malattia da siero cronica: se ho la MDS acuta la finestra in cui si formano gli IC è breve (prima sono troppo piccoli, poi troppo grandi; nel 90% dei casi è autolimitante e si cura con le tre L: lana, letto e latte); quella cronica si ottiene mantenendo un’antigenemia protratta, con formazione di IC a basso titolo che si depositano poco per volta: il complemento è insufficiente per mantenere un’infiammazione locale. Gli Ic però ci sono per mesi o anni e alterano la struttura della MB con depositi sottoepiteliali ma con sindrome nefrosica, perchè il danno non è flogogeno, bensì chimico: si perde il filtro selettivo; questo è il quadro della GN membranosa, che è sempre una patologia da IC, in cui l’Ag è cronicamente presente. Talora l’Ag è noto e rintracciabile, talora no. 2. Modello di Heymann: gli IC si formano in situ e non in circolo (Ag di Heyman) con Ag del luogo (fissi o strutturali) o con Ag circolanti (secondariamente piantati). Il modello basato sugli Ag fissi trova conferma nella GMN da Ab anti-­‐membrana basale glomerulare che reagiscono contro gli ANTIGENI DI GOODPASTURE espressi nella catena α3 del collagene IV. Il legame con antigeni mobili invece è spiegato da un modello sperimentale di GMN detta di Heymann: l’Ag è una proteina della membrana cellulare podocitaria che in seguito al legame con anticorpi circolanti, si addensa dapprima nel punto di contatto fra membrana cellulare e membrana basale, e poi si localizza sul versante esterna di quest’ultima. Si formano quindi IC che tendono ad accrescersi per continua aggregazione di nuovi Ag. Meccanismi patogenetici secondari -­‐ Ruolo del sistema del complemento  è stato dimostrata l’azione del complemento in seguito a diverse evidenze: presenza di IPOCOMPLEMENTEMIA in corso di GMN acute, presenza di frazioni del complemento nei depositi glomerulari, mancato sviluppo di GMN da siero nefrotossico in animali privati del complemento. Il complemento è formato da un gruppo di proteine che possono essere attivate in successione sequenziale attraverso due vie: • Classica: L'attivazione della via classica dipende dalla interazione di tre proteine del complemento, C1, C4 e C2, con il complesso antigene-­‐anticorpo. La reazione inizia con il legame del C1 alle immunoglobuline di tipo IgG1, IgG3 e IgM fissate ad un antigene multivalente. Il primo componente del complemento (C1) è costituito da tre sub componenti, C1q, C1r e C1s. Il C1q, composto da sei catene disposte radialmente ad ombrello, e svolge un'azione di ricognizione legandosi specificamente alla regione Fc delle immunoglobuline. Il C1r e il C1s svolgono invece una azione enzimatica: il legame di due o più catene di C1q alle immunoglobuline attiva il C1r che a sua volta attiva il C1s. Il C1s scinde enzimaticamente la seconda componente della cascata complementare il C4 in due frazioni: il C4a che rimane in circolo e il C4b che si lega covalentemente alla membrana. C1s attiva il C2 in due frazioni: la C2a e la C2b. La C2a rimane in fase fluida mentre la C2b si lega al precedente dando luogo al complesso C4b-­‐C2b. Questo costituisce l'enzima chiamato C3 convertasi della via classica, capace di legarsi al C3 e di scinderlo. Il C3 viene scisso in C3a (anafilotossina) e in C3b che si lega alla membrana batterica con finalità opsonizzanti. • Alternativa: L’attivazione della via alternativa porta alla formazione di C3 proteasi e quindi alla scissione del C3 senza il contributo di anticorpi. In condizioni normali si verifica continuamente la scissione del C3 circolante ad un ritmo lentissimo con

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formazione di piccolissime quantità di C3b. Questo se rimane in circolo viene inattivato rapidamente; se invece si lega alle superfici di cellule, per esempio batteriche, esso può associarsi ad una proteina plasmatici chiamata Fattore B. Appena legatosi al C3b il fattore B perde un piccolo frammento (frammento Ba) ad opera di una proteasi chiamata fattore D. Il frammento residuo, Bb, rimane legato al C3b costituendo il complesso C3b-­‐ Bb che rappresenta la C3 convertasi della via alternativa. La C3 convertasi è capace di scindere grandi quantità di C3 con rapida amplificazione del processo ma solo se il complesso C3bBb viene a formarsi su membrane batteriche e non quelle delle cellule di mammiferi, in quanto queste ultime posseggono delle proteine che degradano la C3 convertasi arrestando la cascata. -­‐ Ruolo degli elementi cellulari circolanti: • Polimorfonucleati  neutrofili causano danno glomerulare attraverso la liberazione di enzimi lisosomiali, peptidi ad azione dilatatrice, ROS e chemochine. I basofili secernono PAF che attira le piastrine • Piastrine  vengono richiamate e liberano istamina e serotonina, enzimi lisosomiali, proteasi neutre e sostanze stimolanti la proliferazione endoteliale. • Monociti  liberano enzimi che causano danno della parete del capillare. -­‐ Ruolo degli elementi cellulari residenti del glomerulo  • Cellule endoteliali  aumentano la sintesi di molecole recettoriali (ICAM, ELAM-­‐1 e VCAM-­‐1) per la migrazione di leucociti e linfociti • Monociti residenti e cellule mesangiali  producono citochine che favoriscono la proliferazione e la sintesi di nuova matrice. -­‐ Ruolo della coagulazione  l’esposizione della MBG danneggiata al flusso ematico causa attivazione del meccanismo della coagulazione che comporta la raccolta di fibrina nel lume dei capillari con formazione di trombi o nello spazio urinifero con formazione di semilune. LESIONI MORFOLOGICHE ELEMENTARI • Proliferazione cellulare  proliferazione di cellule mesangiali ed endoteliali con IPERCELLULARITA’ del flocculo e OBLITERAZIONE del lume capillare. Le cellule epiteliali ploriferate assumono una disposizione su più strati che concorre alla formazione di SEMILUNE occludenti lo spazio urinifero. • Infiltrazione di cellule del sangue  si tratta di neutrofili e monociti che vanno a localizzarsi nei lumi dei capillari o nel mesangio. • Modificazioni della membrana basale  1. Ispessimento per allargamento della lamina densa o per deposizione di IC. I depositi appaiono ellettrondensi. 2. Necrosi: frammentazione dei nuclei delle cellule glomerulari e rottura e disgregazione delle membrane basali, con o senza deposizione di fibrina. 3. Ialinosi: accumulo di materiale acellulare, PAS-­‐positivo, composto da glicoproteine e lipidi. 4. Sclerosi: accumulo di materiale fibrillare, PAS-­‐positivo, argento-­‐positivo, dovuto ad aumento di matrice mesangiale e dal collasso delle membrane basali. • Distribuzione delle lesioni: 1. Diffuse  interessano TUTTI o almeno l’80% dei glomeruli 2. Focali  interessano UNA SOLA PARTE del glomerulo 3. Globali  interessano TUTTO il glomerulo 4. Segmentarie  solo UNA PARTE di un SINGOLO glomerulo è interessata. GLOMERULOPATIE PRIMITIVE Glomerulopatie primitive associate prevalentemente a sindrome nefritica -­ GMN acuta post-­infettiva (post-­streptococcica)  caratterizzata dalla presenza di urina a lavatura di carne,ipertensione, iperazotemia (s. nefritica classica); è data da Streptococchi beta-­‐ emolitici di gruppo A (ceppi nefritogeni). Macroscopicamente i reni risultano ingranditi fino al doppio del loro volume normale, appaiono pallidi e con superficie di taglio umida. Nella MB dei capillari glomerulari (tutti i glomeruli di entrambi i reni) si depositano IC circolanti (con Ag streptococcici e non), che attivano il complemento e c’è una glomerulite; il glomerulo diventa ipercellulare (cellule endoteliali, mesangiali, neutrofili), diminuisce la pervietà dei capillari e porta oliguria (riduzione del filtrato), per questo c’è pressione alta (sistema renina-­‐angiotensina). Le tecniche di immunofluorescenza

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mostrano la presenza di IC , madiante l’uso di Ab contro Ig e C3, che in questo caso mostra una distribuzione granulare della fluorescenza (aspetto a “cielo stellato”. Questo pattern denota la presenza di IC. Al ME nel contesto della MB ci sono dei bozzi (humps, depositi) grandi 1000 volte gli IC, ma sono l’immagine della loro deposizione e sono collocati all’interfaccia tra MB e podociti (sempre così nella GN post-­‐streptococcica – per es. nel Lupus sono sottoendoteliali). -­ GMN rapidamente progressiva  è una sindrome clinica che porta all’insufficienza. Circa nel 10% dei casi sono stati riscontrati Ab anti MBG, nel 45% dei casi sono stati riscontrati depositi granulari di Ig e di frazioni del complemento (patogenesi da IC circolanti o in situ), nel restante 45% dei casi è stata riscontrata la presenza di Ab anti-­‐citoplasma dei neutrofili (ANCA). Macroscopicamente i reni appaiono ingranditi per aumento di spessore dela corticale che risulta pallida o punteggiata da petecchie emorragiche. La midollare è congesta. Al microscopio ottico si nota iperplasia cellulare del foglietto parietale della capsula di Bowmann (semilune). Le semilune sono uno strato di cellule che cresce verso il glomerulo e progressivamente si perde al funzione renale. Sono spesso presenti lesioni necrotiche di singole anse dei capillari glomerulari. L’intertizio è edematoso e infiltrato da polimorfonucleati. A livello glomerulare il danno comporta il passaggio di fibrinogeno e cellule di tipo monocito-­‐macrofagico nello spazio del Bowmann, a causa del danno della parete capillare. E’ la patologia che meglio riflette la patogenesi da Ab contro la MB del glomerulo, su Ag specifici e diffusi nella MB All’immunofluorescenza il quadro è unico (costante) e si chiama “pattern lineare”, come se colorassimo direttamente la MB. All’indagine ultrastrutturale viene confermata la necrosi dei podociti e si vedono interruzioni della membrana basale. Una patologia particolare in la presenza di Ab anti MBG causa danni renali ed extrarenali è la sindrome di GOODPASTURE: in questa malattia oltre al danno renale si manifesta anche una alveolite emorragica (o più specificamente una polmonite interstiziale necrotizzante emorragica) dovuta alla deposizione di Ab anti MBG lungo le pareti degli alveoli polmonari (perché sia le membrane alveolari che glomerulari hanno lo stesso sottotipo di collagene IV che viene attaccato dai medesimi auto Ab). La patologia polmonare PRECEDE quella renale ma può non manifestarsi clinicamente (subclinica). I polmoni sono pesanti con aree di consolidamente rosso-­‐marrone; microscopicamente si ha necrosi focale delle pareti alveolari associata a emorragie intralveolari. Negli stadi avanzati ci può essere ispessimento fibroso dei setti, ipertrofia degli pneumociti di tipo II. Nelle fasi inziali il danno renale è solo focale, ma col passare del tempo interessa la totalità dei glomeruli e sono presenti i segni morfologici tipici della GMN rapidamente progressiva. Fatta la diagnosi, la terapia deve essere immediata: plasmaferesi per eliminare gli autoanticorpi. Quel 10% di pazienti con MDS acuta che non guarisce evolve in questo quadro. -­ GMN di Berger (o a depositi mesangiali di IgA o nefropatia da IgA)  la lesione è localizzata nel mesangio. Nell’umo esistono due tipi di IgA (IgA1 e IgA2) ma solo le IgA1 possono formare depositi nefritogeni. Le IgA1 e gli IC di IgA1 vengono intrappolate nel mesangio, dove attivano la via alternativa del complemento e causano il danno glomerulare. Al microscopio ottico è frequente osservare iperplasia cellulare masangiale focale e segmentale o diffusa, mentre meno spesso si può notare proliferazione endocapillare. La proliferazione cellualre resta constante col passare del tempo, mentre si accentuano fenomeni di sclerosi e danni vascolare. All’IF si dimostra la presenza di depositi granulari di IgA e C3. L’esame ultrastrutturale conferma la presenza dei suddetti depositi a livello delle MBG. dal punto di vista clinico non è nefritico nè nefrosico, ma c’è ematuria isolata e persistente con proteinuria non nefrosica. E’ una lesione data da meccanismi patogenetici diversi che non sno ancora ben conosciuti, ma si manifesta anche in altre patologie. Glomerulopatie primitive associate prevalentemente a sindrome nefrosica -­ Malattia a lesioni minime (o nefrosi lipoidea)  è una patologia pediatrica ed è reversibile.è la principale causa di sindrome nefrosica nei bambini. Non si sa molto sulla patogenesi, ma l’ipotesi più accreditata implica una disfunzione autoimmune risultante nella produzione di una citochina che danneggia le cellule epiteliali viscerali, determinando proteinuria. Questa teoria si basa sul fatto che all’esame ultrastrutturale si osserva danno primitivo delle cellule epiteliali viscerali. Le lesioni sono dimostrabili soprattutt al ME. Al microscopio ottico si osservano glomeruli pressoché normali o con lieve incremento delle cellule e della matrice mesangiale.

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L’IF è totalmente negativa. Al ME (ultrastrutturale) si osserva la lesione caratteristiche, cioè la scomparsa dei pedicelli. risponde ai corticosteroidi. Caratteristica interessante di questa malattia è la sua risposta positiva ed eclatante ai corticosteroidi. -­ Glomerulosclerosi focale e segmentale  focale perchè interessa solo alcuni glomeruli (soprattutto iuxtamidollari); segmentale perchè non tutto il glomerulo è colpito ma un segmento (un cotiledone o più d’uno). Clinicamente si esprime con una sindrome nefrosica con screzi nefritici (non proprio nefrosica pura) e ha una prognosi grave perchè non risponde ai trattamenti ed è evolutiva (IRC in 10 anni). Macroscopicamente nelle fasi terminali il rene può assumere l’aspetto di rene grinzo. Al microscopio ottico si osservano NELLO STESSO PREPARATO glomeruli sani e altri lesi, con alterazioni di tipo sclero-­‐ialino. La sclerosi è solitamente segmentaria e lascia intatta gran parte dei glomeruli colpiti. In corrispondenza della anse capillare si possono trovare depositi elettrondensi di materiale ialino. Le lesioni interessano soprattutto i glomeruli iuxtamidollari. All’IF si osservano depositi di IgM e C3 solo nelle aree di sclerosi. Al ME nelle aree sclerotiche le pareti dei capillari appaiono collassate, ripiegate e ispessite, la matrice mesangiale è aumentata e ricca di fibrille collagene. I podociti che riveston queste aree hanno perso i pedicelli e vanno incontro a regressione. -­ GMN membranosa  è la principale causa di sindrome nefrosica nell’adulto. È caratterizzata da diffuso ispessimento della parete capillare glomerulare e dall’accumulo di deposii elettrondensi di Ig lungo il lato sub epiteliale della MBG. Si tratta di forma cronica mediata da IMMUNOCOMPLESSI (IC). Probabilmente l’ispessimento della parete dei capillari è dovuto alla azione delle frazioni C5b-­‐C9 che sono costantemente presenti: questa frazione attiva le cellule glomerulari epiteliali e mesangiali, inducendole a rilasciare proteasi a agenti ossidanti, che causano danno alla parete e aumento della pardita proteica. Spesso si manifesta in associaizone con: alcuni farmaci (FANS, penicillamina, ecc), tumori maligni, LES, infezioni, patologie autoimmuni. In questo caso viene considerata come nefropatia secondaria. Macroscopicamente se il paziente è morto per causa extrarenali i reni sono ingranditi, umidi, pallidi con superficie lisca e capsula svolgibile; in caso di decesso per insufficienza renale i reni risultano leggermente più piccoli, con superficie granulare. Al microscopio ottico ci sono lesioni diverse in base allo stadio della malattia: • Stadio iniziale: il lume dei capillari e pervio, attorno ad essi ci sono membrane basali normali o lievemente ispessite. • Stadio intermedio: le membrane basali sono notevolmente ispessite e rigide, con depositi ravvicinati sul versante epiteliale, separati tra loro da brevi propaggini di membrana basale. • Stadio avanzato: il lume dei capillari è ristretto a causa di un ispessimento enorme delle MBG e si associa la sclerosi del mesangio, fibrosi interstiziale, atrofia tubulare, lesioni aterosclerotiche. L’IF mostra depositi ravvicinati lungo le MBG con positività per IgG e (minore) per C3. All’esame ultrastrutturale si osserva estesa FUSIONE dei pedicelli e presenza di depositi elettrodensi che negli stadi avanzati perdono la loro elettrondensità e lasciano spazi chiari che conferiscono alla MBG un aspetto TARLATO (sono depositi “dilavati”). -­ GMN membranoproliferativa di tipo I e di tipo II  Quella di tipo 1 è una malattia da immunocomplessi in cui c’è una lesione visibile e riconoscibile: riduplicazione o sdoppiamento o proliferazione mesangiale della MB. Con il metodo PAS si vede una linea doppia (“binario di tram” alla colorazione argentica) perchè nel contesto delle MB crescono cellule di origine mesangiale. Partono dal mesangio e inviano prolungamenti nella MB in cui ci sono IC con funzione chemotattica (presenti in tutto lo spessore della MB). All’IF si osservano depositi di C3 e nei casi in cui la proliferazione mesangiale è molto marcata le anse capillari sono spinte alla periferia, configurando il quadro detto “a petalo di fiore”. Clinicamente si manifesta come un misto tra la sindrome nefritica e quella nefrosica. Quella di tipo 2 si chiama anche “malattia a depositi densi” (rara, pediatrica); nella MB ci sono depositi più grandi e più elettrondensi di tutte le altre forme di GN. Non è una malattia da IC ma esiste un’attivazione sostenuta e stabile della via alternativa del complemento. I soggetti colpiti hanno autoAb contro una C3-­‐convertasi (C3bbb) a cui si legano, mantenendola costitutivamente attiva. La caratterizzazione della malattia è soprattutto

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ultrastrutturale in cui si osservano depositi nastriformi ed intensamente elettrondensi nello spessore delle membrane basali glomerulari, della capsuala di Bowman e dei tubuli. GLOMERULOPATIE SECONDARIE (in corso di malattie sistemiche) -­ Lupus Eritematoso Sistemico  Il LES è una malattia cronica a insorgenza acuta o insidiosa, con remissioni e recidive continue, spesso febbrile caratterizzata da lesioni alla cute, alle articolazioni, al rene e alle membrane sierose (possono però essere interessati tutti gli organi). È caratterizzato dalla presenza di numerosi AUTO Ab, in particolare Antinucleo (ANA). Gli ANA sono diretti contro numerosi Ag nucleari e se ne identificano 4 tipi: Anti DNA, Anti Istoni, Anti proteine non istoniche legate all’RNA, Anti Ag nucleolari. Il riscontro di Auto Ab ANTI DNA DOPPIA ELICA e del “Ag SMITH” fa praticamente diagnosi di lupus. Altri auto anticorpi NON ANA sono presenti nel LES e sono auto Ab che reagiscono con epitopi di proteine plasmatiche che sono evidenziati quando le proteine sono complessate con i fosfolipidi. il rene è l‘organo più frequentemente colpito in corso di LES. Il danno è dovuto alla deposizione di IC. Le caratteristiche del danno glomerulare variano a seconda dei casi; si distinguono 5 classi di danno: 1. Rene normale 2. Lesioni mesangiali: divisa in IIA (quadro al microscopio ottico è normale) e IIB. Presenza di depositi di frazioni del complemento e proliferazione mesangiale 3. GMN proliferativa focale e segmentaria 4. GMN proliferativa diffusa: grande proliferazione endocapillare e mesangiale. Diffusa infiltrazione di neutrofili. Necrosi focali del flocculo con detriti nucleari (carioressi). Carattestico ispessimento della parete di anse di capillari, dette “anse a FIL DI FERRO” o “wire loop”, dovuto alla presenza di depositi sottoendoteliali. La presenza di depositi in sede mesangiale e nella parete dei capillari è confermata dall’IF e al ME. Clinicamente si manifesta come sindrome nefrosica. 5. Glomerulopatia membranosa: diffuso ispessimento delle pareti capillari. Clinicamente si può manifestare in molti modi: ematuria ricorrente, nefrite acuta, sindrome nefrosica, IRC e ipertensione. -­ Porpora di Henoch-­Schonlein  è una sindrome costituita da lesioni purpuriche cutanee che interessano le superfici estensorie delle braccia, delle gambe e delle natiche + manifestazioni addominali (dolore, vomito, emorragie intestinali) + artralgia non migrante + alterazioni renali. Le manifestazioni renali sono presenti in 1/3 dei casi e comprendono macro e micro-­‐ematuria, proteinuria e sindrome nefrosica. Microscopicamente le lesioni renali variano da una lieve e focale proliferazione mesangiale fino a una proliferazione mesangiale diffusa o a una GMN a semilune. L’aspetto caratteristico si vede all’IF e alla ME ed è dato da depositi di IgA, talvolta con IgG e C3, nella regione mesangiale. -­ Glomerulopatia diabetica  Una patologia renale avanzata o terminale si manifesta nel 40% dei casi di diabete (sia tipo1 che 2). Le lesioni interessano soprattutto i glomeruli e si associano a tre sindromi principali: proteinuria non nefrosica, sindrome nefrosica, IRC. Altre lesioni sono a carico delle arteriole, dei tubuli, e di altri costituenti del rene. Probabilmente la glomerulosclerosi diabetica è causata da un difetto metabolico (il deficit di insulina) e la iperglicemia che ne deriva. A carico della MBG questi difetti metbolici causano aumento della quantità e sintesi di collagene IV e fibronectina e una riduzione della sintesi di proteoglicani. Avviene inoltre la glicosilazione non enzimatica delle proteine, con formazione di prodotti finali di glicosilazione avanzata che aggravano la glomerulopatia. Infine meccanismi emodinamici associati all’ipertrofia glomerulare favoriscono allo sviluppo della glomerulo sclerosi. Le lesioni ranali caratteristiche in corso di diabete sono: • Ispessimento della membrana basale capillare: inizia 2 anni dopo l’esordio del diabete 1 e continua progressivamente insieme all’espansione del mesangio. • Sclerosi mesangiale diffusa: incremento diffuso della matrice mesangiale. L’aumento del mesangio si associa tipicamente a un ispessimento globale di MBG. Con la colorazione PAS diventano evidenti depositi che possono assumere aspetto “nodulare”. • Glomerulosclerosi nodulare: detta anche glomerulo sclerosi intercapillare o malattia di Kimmelstiel-­‐Wilson. Le lesioni glomerulare si presentano sottoforma di noduli ovoidali o sferici, di aspetto laminato, localizzati alla periferia del glomerulo. I noduli sono PAS positivi e si trovano all’interno dell’asse mesangiale. Spesso essi mostrano segni di mesangiolisi a livello dei punti di ancoraggio del capillare con il mesangio: i siti di ancoraggio vengono distrutti con formazione di microaneurismi capillari. I noduli

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aumentano di volume col progredire della malattia e vanno ad occludere per compressione i capillari. Si associano modesti depositi di materiale ialino nelle anse capillari (“tappi di fibrina”) o aderenti ala capsula di Bowmann (“gocce capsulari”). In conseguenza a queste lesioni il rene va incontro a ischemia, sviluppa atrofia tubulare e fibrosi interstiziale e si riduce di dimensioni. Clinicamente l’aumento della superficie di filtrazione causa microalbuminuria (30-­‐300 mg/die di albumina); col passare del tempo passa a franca proteinuria che cresce fino a portare a sindrome nefrosica. -­ Rene da mieloma  colpisce circa la metà dei pazienti affetti da mieloma multiplo. Il danno renale è dovuto a: presenza di catene leggere, loro grado di polimerizzazione e punto isoelettrico (in base ai quali passano nelle preurina oppure vengono trattenute nel glomerulo). Esistono due tipi di lesioni tipiche del rene da mieloma: 1) Tubulopatia ostruttiva mielomatosa: c’è occlusione dei tubuli distali e collettori da parte di grossi cilindri costituiti da catene leggere filtrate (proteinuria di Bence-­‐Jones) + proteine di Tamm Horsfall (mucoproteina fisiologicamente secreta nell’ansa di Henle). Il danno è rappresentato dalla necrosi delle cellule epiteliali. Attorno ai cilindri ci sono elementi giganti multi nucleati. Nell’interstizio è presente edema e infiltrato infiammatorio. 2) Lesioni glomerulari da depositi di catene leggere: è presente una proteinuria NON selettiva con scarse o assenti proteine di Bence Jones. Le lesioni microscopiche sono la glomerulosclerosi NODULARE (si formano nodli mesangiali che comprimono i tubuli) e danno tubulare con ispessimento delle membrane basali glomerulari che diventano VITREE. L’immunoistichimica mostra la presenza di catele leggere K a livello del mesangio e della MBG. Al microscopio elettronico sono evidenti depositi nastriformi continui. MALATTIA DI ALPORT È una nefrite che evolve verso l’insufficienza renale cronica (IRC), accompagnata da IPOACUSIA SENSORIALE e da DISTURBI OCULARI (dislocazione del cristallino, cataratta e distrofia corneale). È una nefrite ereditaria che nella forma più comune è legata all’X. Alla base del danno renale c’è una alterata sintesi di MBG per anomala produzione di collagene IV. La mutazione, nella forma legata all’X, riguardano la catena α5 del collagene IV. Microscopicamente le lesioni precoci sono individuabili solo al ME e constistono in un diffuso assottigliamento della MBG; nelle fasi più avanzate si sviluppano glomerusclerosi focale e segmentale o diffusa e altre lesioni progressive come sclerosi vascolare, atrofia tubulare e fibrosi interstiziale. Gli aspetti caratteristici si rendono manifesti quando la malattia è completamente espressa; al ME la MBG mostra irregolari focolai di ispessimenti alternati ad assottigliamento, con slaminamento e frammentazione della lemina densa (aspetto a “canestro intrecciato”) Clinicamente il sintomo di esordio è l’ematuria, macro o microscopica, associata spesso a cilindri ematici. Progredisce lentamente verso l’IR conclamata. PATOLOGIA TUBULO-­INTERSTIZIALE Si tratta di malattia con danno tubulare che interessano ance l’interstizio. Si possono classificare in due gruppi: • PRIMITIVE  quando il danno tubulo-­‐interstiziale costituisce la lesione primitiva e preminente che solo secondariamente di potrà complicare con lesioni al rene. • SECONDARIE  quando il danno tubulo-­‐interstiziale si presenta in concomitanza di quadri anatomo-­‐patologici complessi (GMN, rigetto di trapianti, nefropatie vascolari). Necrosi-­tubulare acuta  è caratterizzata morfologicamente dalla distruzione delle cellule epiteliali tubulari e clinicamente da una riduzione acuta o da una perdita della funzione renale. È la causa più comune di IRA (rapida contrazione della funzione renale con riduzione del flusso urinario < 400 ml/24 h). Le cause di necrosi tubulare acuta possono essere: • ISCHEMIA: per interruzione del flusso ematico (danno diffuso dei vasi intrarenali o riduzione del volume circolante) • Danno TOSSICO (farmaci, mezzi di contrasto radiologici, Hb, radiazioni) • NEFRITE ACUTA tubulo-­‐interstiziale • CID • Ostruzione urinaria Gli eventi critici alla base della insorgenza della NTA sono: 1. Danno alle cellule tubulari: esse sono molto sensibili al danno ischemico e tossico. Le cellule subiscono un danno strutturale che può essere di tipo REVERSIBILE

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(rigonfiamento cellulare, perdita dell’orletto a spazzola, vacuolizzazione, distacco cellulare) o IRREVERSIBILE (necrosi e apoptosi). Un danno precoce è la PERDITA DELLA POLARITA’ con anomalo trasporto ionico nelle cellule. 2. Alterazioni del flusso ematico renale: il danno ischemico è caratterizzato da alterazioni emodinamiche che causano una riduzione del GFR. Tra queste: vasocostrizione intrarenale che causa ridotto flusso e riduzione dell’ossigenazione. Tra i meccanismi vasocostrittori c’è in sistema renina-­‐angiotensina, il danno endoteliale sub letale che porta ad aumento del rilascio di endotelina (vasocostrittore) e la riduzione di ossido nitrico e PGI2 (vasodilatatori). Morfologicamente la NTA ISCHEMICA colpisce più la porzione diritta del tubulo prossimale e la spessa ascendente nella midollare ed è caratterizzata da necrosi tubulare focale localizzata in diversi punti lungo il nefrone, con spazi indenni interposti. Spesso sono presenti rottura delle membrane basalli (tubulo ressi) e occlusione del lumi tubulari da parte di cilindri. Altre volte il danno può essere meno grave e si presenta con danni reversibili già decritti. È frequente la presenza di cilindri ialini eosinofili e cilindri granulosi pigmentati costituiti dalla PROTEINA DI TAMM-­‐HORSFALL (glicoproteina prodotta dal rene ed escreta in grandi quantità nelle urine, che costituisce la proteinuria fisiologica) associata a Hb, mioglobina e altre proteine. Sono presenti EDEMA interstiziale e accumulo di leucociti nei vasi. La NTA TOSSICA colpisce più i tubuli convoluti prossimali ed è caratterizzata da danno tubulare acuto, con necrosi tubulare aspecifica con aspetti caratteristici che variano in base al tipo di avvelenamento (es. cloruro di mercurio  inclusioni eosinofile; tetracloruro di carbonio  grassi neutri; glicole etilenico  degenerazione belloniforme). Clinicamente si distinguono una FASE INIZIALE (lieve riduzione del flusso urinario con aumento dell’azotemia), una FASE di MANTENIMENTO (severa riduzione del flusso urinario tra 40 – 400 ml/24 h – oliguria – con aumento di azotemia, ritenzione sali e liquidi, iperkaliemia, acidosi metabolica) e FASE DI GUARIGIONE (rapido incremento del volume urinario fino a 3l/24 h). Durante la fase di guarigione il problema clinico più importante sono l’IPOKALIEMIA e la maggiore suscettibilità alle infezioni. Circa il 50% dei pazienti con NTA non manifesta oliguria, ma un aumento del volume urinario. -­ Nefrite tubulo-­interstiziale  è un gruppo di malattie che interessano soprattutto tubuli e interstizio e possono essere dovute ad una grande varieta di cause. La NTI può essere acuta (rapida insorgenza clinica e istologicamente caratterizzata da edema interstiziale, infiltrazione leucocitaria e necrosi tubulare focale) o cronica (infiltrato leucocitario, fibrosi interstiziale, atrofia tubulare diffusa). Tra le cause ci sono: 1) INFEZIONI: i batteri coinvolti sono per lo più GRAM NEGATIVI (Escherichia coli, Proteus, Klebsiella, Enterobacter, ecc.). Nella maggior parte dei casi i batteri provengono dalla FLORA FECALE del paziente stesso. I batteri possono raggiungere il rene tramite una via EMATOGENA e una via ASCENDENTE (causa più comune di pielonefrite cronica). Mentre la via ematogena è rara, quella ascendente è molto comune: i batteri iniziano a colonizzare la parte distale dell’uretra (++ nella donna); da qui risalgono in vescica dove si moltiplicano (soprattutto in caso di ostruzioni al deflusso o disfunzioni vescicali). La presenza di UN REFLUSSO VESCICOURETERALE rappresenta il punto cardine dell’infezione perché consente ai batteri di raggiungere i reni. • Pielonefrite acuta: infiammazione suppurativa acuta causata da batteri o virus (rara), sia per via ematogena che ascendente. Morfoligicamente si manifesta con flogosi interstiziale suppurativa con infiltrato neutrofilo distribuita a chiazze, aggregati endotubulari e necrosi tubulare. I glomeruli sembrano essere resistenti all’infezione, a meno che non siano coinvolti in aree di ampia necrosi. Le complicanze della pielonefrtite acuta possono essere: 1. NECROSI PAPILLARE generalmente bilaterale, che si manifesta al taglio come aree di necrosi estesa di colorito bianco-­‐grigiastro o giallo. La necrosi è coagulativa. 2. PIONEFROSI in cui l’essudato purulento riempie la pelvi, i calici e l’uretere. 3. ASCESSO PERINEFRICO in cui l’infiammazione si estende al tessuto perirenali. Dopo la fase acuta avviene la guarigione e i foci di infiammazione vengono sostituiti da una CICATRICE, che solitamente è a forma di “U” a fondo grigio. Clinicamente la pielonefrite acuta esordisce con dolore all’angolo costoverterbrale e con segni di infezione come FEBBRE e malessere generale. Poi compaiono progressivamente segni di interessamento renale come disuria, polachiuria, tenesmo. La diagnosi è confermata con gli esami colturali.

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Pielonefrite cronica: in questa patologia la flogosi è cronica e le cicatrici renali si associano a un coinvolgimento patologico dei calici e della pelvi. È un’importante causa di malattia renale terminale. Si riconoscono due forme: una legata al reflusso vescico-­‐ uretrale congenito e una legata a ostruzione renale. Macroscopicamente si nota la tipica DISOMOGENEITA’ delle lesioni nel singolo rene. Nelle fasi avanzate il rene è ridotto di volume e può arrivare a pesare poche decine di grammi. La superficie esterna è solcata da IRREGOLARI CICATRICI che incidono PROFONDAMENTE il parenchima. Il parenchima al taglio è molto SOTTILE ma in misura disuguale da punto a punto. La papilla al di sotto della cicatrice è deformata e retratta e il calice è dilatato, tozzo e deformato. Se la localizzazione è monolaterale il rene sano contro laterale mostra ipertrofia compensatoria. Microscopicamente i tubuli appaiono atrofici in alcune zone e ipertrofici e dilatati in altre. A livello della corticale e della midollare sono presenti fibrosi e flogosi interstiziale cronica. L’infiltrato è costituito da linfociti e plasmacellule. Sono presenti fibrosi dell’interstizio e atrofia parenchimale (lesione macroscopica visibile come depressione della superficie renale a fondo cicatriziale e margini dolcemente declinanti). Pielonefrite XANTOGRANULOMATOSA: forma rara caratterizzata dalla presenza di accumulo di macrofagi stipati di lipidi (schiumosi) frammisti a plasmacellule, linfociti, leucociti polimorfonucleati e cellule giganti.

CALCOLOSI RENALE I calcoli renali sono delle piccole aggregazioni di sali minerali che si formano nel tratto urinario. Oltra la componente minerale è presente una MATRICE ORGANICA che può essere costituita da aggregati batterici, coaguli ematici, proteine. I calcoli si presentano come corpi solidi di grandezza varia, di solito ovali o sferici o con forma bizzarra. Il sesso maschile è più colpito e la malattia si manifesta soprattutto tra i 20 e i 30 anni. Esistono 4 tipi principali di calcoli: 1. 70% calcoli di calcio  si riscontrano nel 5% dei pazienti con ipercalcemia e ipercalciuria associata a paratirodismo, patologie ossee diffuse, ecc. Nel 55% dei casi però è presente ipercalciuria in assenza di ipercalcemia. Contengono sali di calcio sotto varia forma: fosfato acido, ossalato e carbonato. I più comuni sono queli di ossaato di calcio che appaiono piccoli, morimorfi e duri. Il colore varia in base alla commistione con altri elementi, ma le zone più pure sono giallognole e lucenti. Sono radiopachi. 2. 15% calcoli di struvite  sono costituiti da fosfato di ammonio e magnesio. Possono raggiungere grosse dimensioni, hanno spesso forma irregolare e possono riprodurre come un calco la forma di calici e pelvi (“calcoli a stampo” o “a corna di cervo”). Hanno aspetto ruvido e terroso, colorito bianco-­‐grigiastro e consistenza friabile. 3. 5-­‐10% calcoli di acido urico  sono radiotrasparenti, rotondeggiant, lisci o porosi, brunicci, di consistenza cedevole o friabile. Alla sezione si mostra un disegno radiale cristallino e una struttura stratificata. 4. 1-­‐2% calcoli di cistina  dovuti a difetti genetici del riassorbimento renale di aminoacidi. Si formano a una baso valore di PH. un calcolo renale si forma quando l'urina è troppo densa e i minerali in essa contenuti si solidificano, cristallizzandosi. In alcuni casi, però, la calcolosi può derivare da malfunzionamenti del rene e di altre parti dell'organismo. Il meccanismo di formazione dei calcoli renali è di tipo chimico. Le sostanze che i reni estraggono dal sangue per eliminarle dovrebbero rimanere sciolte in acqua, anche grazie a pirofosfati, citrati, magnesio o zinco riversati nelle urine con la specifica funzione di impedire la formazione di cristalli. Quando le urine sono troppo dense, i cristalli non solo non si sciolgono, ma assumono la funzione di "nuclei" di aggregazione, cioè si avvicinano e si congiungono, mentre, al contempo, le sostanze meno solubili tendono a depositarvisi intorno, facendoli ingrandire ulteriormente, finché non diventano veri e propri sassolini. I calcoli diventano clinicamente evidenti quando ostruiscono il flusso urinario oppure causano ulcerazioni e sanguinamento. In una alta percentuale dei casi restano SILENTI. Il calcoli più piccoli possono migrare nell’uretere e causare COLICA BILIARE, mentre quelli grandi “a stampo” possono occupare l’intera pelvi causando riduzione della funzione renale anche grave. La prima manifestazione tipica è l’ematuria. PATOLOGIA VASCOLARE DEL RENE -­ Rene ed ipertensione  esiste uno stretto rapproto tra danno vascolare ed ipertensione: in alcuni casi l’ipertensione è causa di alterazioni vasali, in altri casi il danno vasale può causare

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condizioni di ischemia che sostiene la comparsa di ipertensione. L’ipertensione secondarie è frequentemente di origine RENALE ed è dovuta a svariate patologie: GMN, pielonefriti, rene policistico, stenosi arteria renale, panartrite, sclerodermia, tumori renina secernenti, NTA, ecc. Esistono due forme di ipertensione essenziale: BENIGNA e MALIGNA a cui corrispondono rispettivamente due quadri clinici, cioè la nefrosclerosi benigna e maligna. -­‐ Nefrosclerosi benigna  vi corrisponde un innalzamento lento e progressivo dei valori pressori DIASTOLICI entro i 100 mmHg. La funzione renale è generalmente conservata. Macroscopicamente se la malattia ipertensiva è di lunga durata i reni sono RIDOTTI di volume, simmetricamente colpiti, con capsula aderente alla superficie, superficie finemente granulare. Al taglio la corticale è assottigliata e possono essere presenti cicatrici parenchimali. Microscopicamente i vasi di maggior calibro presentano un danno aterosclerotico, con inspessimento fibroso intimale e frammentazione della lamina elastica interna, che può apparire anche REDUPLICATA. Le arteriole motrano un ispessimento IN TOTO della parete per la presenza di materiale IALINO PAS-­‐POSITIVO (quadro di aterosclerosi ialina). I glomeruli assumono il caratteristico aspetto ISCHEMICO, con flocculo collassato ipocellulare e membrane basali ispessite e fibrosi dello spazio urinifero. I tubuli sono atrofici per careza dell’irrorazione sanguigna e possono apparire dilatati e contententi cilindri ialini. L’interstizio è aumentato di ampiezza, finemente fibroso e presenta infiltrazione flogistica di mononucleati. -­ Nefrosclerosi maligna  correlata all’ipertensione maligna, si accompagna ad un rapido declino della funzione renale e spesso ad una anemia emolitica microangiopatica. C’è la comparsa di proteinuria e ematuria abbondanti e il riscontro di lesioni oculari (quadro della ipertensione maligna). Macroscopicamente i reni sono AUMENTATI di volume, hanno superficie liscia e sono ben scapsulabili. Sulla superficie esterna e su quella di taglio si notano numerose EMORRAGIE di tipo petecchiale e, a volte, piccoli infarti ischemici subcorticali. Microscopicamente il quadro è dominato dalla NECROSI FIBRINOIDE della parete delle arteriole, che viene sostituita da materiale granulare eosinofilo e il lume dei vasi può essere occluso da trombi. Le arterie interlobulare mostrano la caratteristica lesione detta ENDOARTERITE FIBROSA (o aterosclerosi iperplastica) con uno spiccato ispessimento concentrico dell’intima, nel cui contesto compaiono CML e collagene (alterazione a “bulbo di cipolla”). L’alterazione caratteristica dei glomeruli è la necrosi fibrinoide che appare spesso in continuità con quella della arteriola afferente; in stadi avanzati la necrosi del glomerulo viene sostituita da scleroialinosi. L’interstizio è occupato da una modesta fibrosi (meno che nella nefrosclerosi benigna). I tubuli mostrano una importante atrofia. -­ Stenosi dell’arteria renale  è una rara casa di ipertensione secondaria. L’occlusione del vaso è parziale ed è causata soprattutto da aterosclerosi e dalla displasia fibromuscolare. La prima provoca stenosi del ramo principale o delle arterie segmentarie ed è appannaggio dell’età medio avanzata. La seconda invece è propria dell’età giovanile ed più comune nelle DONNE. È caratterizzata da un ispessimento fibroso o fibromuscolare della parete vasale (più comunemente si tratta si IPERPLASIA DELLA TONACA MEDIA). Mentre la aterosclerosi causa una lesione UNICA, la displasia fibrocellullare provoca un quadro caratterizzato da distribuzione SEGMENTARIA delle lesioni, che all’arteriografia è dettp “a corona di rosario”. Macroscopicamente il rene può non mostrare segni di sofferenza oppure risultare lievemente rimpicciolito e con superficie graulosa. Microscopicamente in genere si nota atrofia parenchimale, che però non porta a IRC ma è causa di ipertensione (c’è iperplasia delle cellule dell’apparato iuxtaglomerulare che producono renina). Necrosi corticale  è un eveto raro che si manifesta solitamente in seguito a complicazioni della gravidanza, e soprattutto per distacco della placenta. Può essere dovute però anche a cause infettive, emodinamiche (shock, emorragie), tossiche (da veleni animali e vegetali o da sostanze chimiche). Macroscopicamente la lesione caratteristica è la NECROSI ISCHEMICA che può presententarsi in forme FOCALE (al limite della visibilità ottica), MINORE (diametro di pochi mm), A CHIAZZE (aree ampie) o DIFFUSA (intera corteccia). Se diffusa la corteccia assume colorito grigio-­‐giallastro e appare asciutta. Microscopicamente la necrosi interessa glomeruli, tubuli, interstizio e vasi ed è di tipo coagulativo. Nel lume dei vasi si trovan trombi. Nelle forme focali è possibile trovare infiltrati flogistici. Nei glomeruli vi sono aree di emorragia e nei capillari glomerulari avviene la formazione di agglomerati di fibrina. Infarto renale  i reni sono sedi molto suscettibili all’infarto, per via della loro intensa perfusione che facilita il trasporto di emboli. Spesso però questa lesione può decorrere in

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maniera asintomatica. Se ci son sintomi, questi sono dolore, ematuria e ipertensione. Esistono due forme di infarto: • ISCHEMICO: è il più frequente e avviene solitamente in seguito ad incuneamento di un embolo (prevalentemente di origine cardiaca). È più colpito il RENE SINISTRO in virtù del fatto che l’arteria renale sinistra si distacca OBLIQUAMENTE dall’aorta (mentre la destra si distacca ad angolo retto) favorendo l’imbocco di materiale trasportato dal sangue. Macroscopicamente l’infarto ha localizzazione CORTICALE e alla superficie di taglio ha forma TRIANGOLARE, con base sottocapsulare e apice verso la midollare. Questa area appare bianco-­‐grigiastra, opaca, asciutta, di consistenza aumentata rispetto a circostante parenchima e circondata da un alone emorragico. A volte una sottile banderella di tessuto sottocapsulare può essere risparmiata, perché nutrita da piccoli circoli collaterali. Microscopicamente si riconoscono le caratteristiche della necrosi ischemica: picnosi e lisi nucleare e offuscamento fino alla totale cancellazione dell’architettura. Le aree circostanti l’infarto mostrano danno ischemico di minore entità. Il tessuto necrotico viene eliminato dai macrofagi e al suo posto viene depositato tessuto di granulazione che poi viene sostituito da connettivo fibroso. In seguito alla retrazione del connettivo si forma una cicatrice a sfondo BIANCASTRO che si affonda nel parenchima assumendo una forma a “V” in sezione. Se viene occluso il tronco dell’arteria renale TUTTO il rene va incontro a necrosi ischemica: appare pallido, di aspetto “lesso”, asciutto, di colorito grigio-­‐giallastro, e in fasi successive diminuisce di dimensioni e diventa di consistenza DURA e sclerotica. • EMORRAGICO: raro, predilige i bambini < 2 aa. È causato da trombosi delle diramazioni della vena renale con successiva estensione alle diramazioni di maggior calibro. Morfologicamente parte del rene (o tutto) appare umida, di colorito rosso-­‐cupo e consistenza diminuità. I vasi venosi appaiono distesi dalla massa trombotica. (Attento: nell’adulto la trombosi della vena renale non si associa quasi mai a infarto emorrgico, bensì a sindrome nefrosica!) -­ Rene grinzo  è un quadro morfologico corrispondente a una condizione funzionale di IRC che si identifica con il cosiddetto “end stage kidney”. Rappresenta lo stadio terminale di molte patologie: • VASCOLARI: nefrosclerosi benigna e infarti renali multipli • MALATTIE GLOMERULARI: GMN acuta ad evoluzione sfavorevole, GMN membranoproliferativa, membranosa, di Berger, lupica, focale e segmentale, malattia di Alport. Il rene grinzo è molto diminuito di volume e di peso e mostra caratteristiche macro e microscopiche diverse in base alle cause che lo hanno prodotto. TUMORI DEL RENE (WOOLFE e appunti Cardillo) BENIGNI -­ Adenoma corticale  è la neoplasia benigna più comune. Sono in genere piccoli (< 2 cm diametro) e appaiono come noduli grigio-­‐giallastri nella corticale renale. È ben demarcato, sottocapsulare. Compare per lo più nella V decade di vita ed sono più colpiti i forti fumatori. Il rapporto M:F = 3:1. È presente nella corticale e deriva dall’epitelio dei tubuli (epitelio cubico). -­ Adenoma metanefrico  è associato a policitemia. È caratterizzato da piccoli acini rivestiti da blando epitelio e separato da scarso stroma. Istologicamente è correlato al tumore di Wilms -­ Tumore a cellule iuxtaglomerulari o RENINOMA  colpisce i giovani adulti (circa 27 aa), il rapporto M:F è 2:1. È un tumore producente RENINA e quindi è una causa di ipertensione. Di solito non supera i 3 cm ed è caratterizzato da prominente vascolarità e infiltrato linfocitario. -­‐ Carcinoide  raro. Origina dalle cellule epiteliali che si sono differenziate dalle cellule endocrine. Insorge intorno ai 40 aa e non c’è differenza M:F. Appare come una formazione solida, marrone – rossa emorragica. 1/3 metastatizza all’osso. Prognosi eccellente. -­ Oncocitomi  predomina nell’uomo e insorge soprattutto nella VI decade. Si è notata una associazione genetica con la pedita di un braccio del cromosoma 1. È clinicamente caratterizzato da dolori addominale, ematuria, massa addominale evidenziabile all’ecografia e all’rx. Morfologicamente è una massa solida, avascolare, ben circoscritta, marrone con cicatrice fibrosa al centro. Non sono presenti necrosi e emorragia. Istologicamente le cellule sono larghe con

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citoplasma eosinofilo pieno di mitocondri, che appaiono giganti ME. È vimentina negativo! Sono considerati come adenomi. -­ Angiomiolipoma  non è un vero e proprio tumore, ma classificabile piuttosto come AMARTOMA. Le lesioni si manifestano per lo più nell’adulto e sono composte da un miscuglio di muscolo liscio ben differenziato, tessuto adiposo e vasi ematici a parete spessa. Sono strettamente associati alla sclerosi tuberosa. Clinicamente la lesione renale è spesso silente, al max può esserci dolore. -­ Cisti multiloculari  eziologia sconosciuta. Colpisce donne di età media e si localizzano soprattutto al polo superiore del rene. -­ Fibroma  colorito biancastro e forma tondeggiante. -­ Altri  angiom cavernoso, lipoma. MALIGNI -­ Carcinomi a cellule renali (RCC)  si possono distinguere diverse varianti: • RCC a cellule chiare: colpisce M:F = 3:1. È stata ipotizzata una eziologia virale, ormonale (in soggetti trattati per lungo tempo con estrogeni). Tra i fattori di rischio ci sono: 1. Malattia di Von Hippel – Lindau (malattia cistica congenita) 2. Malattia cistica acquisita (associata a dialisi per IRC) 3. Fumo di sigaretta (raddoppia il rischio) 4. Obesità 5. Predisposizione ereditaria (tra locazioni 3;8 o 3;11. La perdità di un allele del braccio corto del cromosoma 3 è presenta nel 96% dei casi) Macroscopicamente appare come una massa tondeggiante da 3 a 15 cm di diametro. Al taglio appare di colore giallo caffeano, con zone emorragiche e necrosi nelle forme più indifferenziate. Il 5-­‐10% ha aspetto cistico con depositi calcifici. Spesso si estende alla vena renale e alla vena cava inferiore. Il tumore è MOLTO VASCOLARIZZATO (utile in caso di angiografia che lo può “disegnare”). Metastatizza preferenzialemente al surrene. Microscopicamente le cellule hanno citoplasma chiaro contenente glicogeno e lipidi. • RCC a cellule cromofile (o K renale papillare): rapporto M:F = 2:1; insorge in media tra i 50-­‐55 aa. Ha mortalità a 10 aa del 16%. È composto da un monostrato di cellule cuboidali o cilindriche organizzate in formazioni papillari costituite da un asse vascolare connettivo. Lo stroma è scarso; il tumore è ben vascolarizzato. • RCC a cellule cromofobe: non c’è differenza tra M e F. Insorge tra i 28 e gli 86 aa (55 aa in media). Macroscopicamente è una massa che va da 2 a 20 cm di diametro, circoscritta, solida. Al taglio appare di colorito marrone e c’è scarsa necrosi. Somiglia all’oncocitoma. Microscopicamente è possibile distinguere due varianti: (1) a CELLULE LARGHE (forma tipica) e (2) FORMA EOSINOFILA in cui le cellule hanno citoplasma granulare eosinofilo contenente materiale mucoso e vescicole. • K a cellule fusate (sacromatoide): cellule maligne fusate che presentano molte mitosi miste a cellule chiare o granulari. • K dei dotti collettori (o di Bellini): localizzato nella midollare, spesso si estende alla corticale e all’ilo. È presente necrosi centrale comunicante con la pelvi. Associato a monosomia 18-­‐21. Attualmente sono in uso 2 sistemi di stadiazione del carcinoma renale: il sistema di Robson ed il sistema TNM (Tumuor-­‐Nodes-­‐Metastasis). Il primo considera quattro stadi di malattia in base all'estensione locale del tumore (all'interno o all'esterno della capsula renale), alla presenza di emboli neoplastici nella vena cava o solamente nella vena renale e di metastasi ai linfonodi regionali o a distanza. In tale sistema di staging nello stadio III vengono raggruppati tumori con invasione venosa (III-­‐A) o con metastasi ai linfonodi regionali (III-­‐B) o con entrambi (III-­‐C). Classificazione clinica TNM (sesta edizione, 2002). T -­‐ Tumore primitivo TX Tumore primitivo non definibile T0 Tumore primitivo non evidenziabile T1 Tumore £ 7 cm, confinato al rene 1a Tumore £ 4 cm

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1b Tumore > 4 cm T2 Tumore > 7 cm, confinato al rene T3 Tumore che invade le grosse vene o la ghiandola surrenale o i tessuti perirenali, ma non oltre la fascia di Gerota 3a Tumore che invade la ghiandola surrenale o il tessuto perirenale ma che non va oltre la fascia di Gerota 3b Tumore che invade macroscopicamente la vena renale o la vena cava al di sotto del diaframma 3c Tumore che invade macroscopicamente la vena cava al di sopra del diaframma T4 Tumore che invade oltre la fascia di Gerota N -­‐ Linfonodi regionali (ilari, addominali para-­‐aortici e paracavali) NX Linfonodi regionali non valutabili N0 Linfonodi regionali liberi da metastasi N1 Metastasi in un singolo linfonodo regionale N2 Metastasi in più linfonodi regionali M -­‐ Metastasi a distanza MX Metastasi a distanza non accertabili M0 Metastasi a distanza assenti M1 Metastasi a distanza presenti G -­‐ Grading istopatologico GX Il grado di differenziazione non può essere accertato G1 Ben differenziato G2 Moderatamente differenziato G3 Scarsamente differenziato G4 Indifferenziato Clinicamente è presente una “classica” triade sintomatologica dell’adenocarcinoma renale (o RCC): DOLORE AL FIANCO + MASSA PALPABILE IN REGIONE LOMBARE + EMATURIA. Il valore prognostico più importante nella stadi azione è la valutazione dell’invasione o meno dei tessuti perirenali. RCC metastatizza in ordine di frequenza a: -­‐ ossa -­‐ polmoni -­‐ linfonodi regionali -­‐ fegato -­‐ surreni -­‐ encefalo Possono essere presenti diverse manifestazioni sistemiche aspecifiche: febbre, ipercalcemia, eritrocitosi, amili dosi, ipertensione, galattorrea e ginecomastia. Le complicanze più frequenti sono la amiloidosi sistemica reattiva e la GMN proliferativa mesangiale. -­ K della pelvi renale  sono lesioni costituite da epitelio di transizione, solide, associate spesso a mutazioni del cromosoma 9. Si distinguono diversi tipi: • K uroteliale della pelvi renale • K squamo cellulare • Adenocarcinoma • Tumori metastatici Data la loro sede danno luogo precocemente e facilmente ad ematuria. Se ostruiscono il deflusso urinario possono causare idronefrosi e dolore lombare. -­ Nefronlastoma (o tumore di Wilms)  è il tumore più comune dell’infanzia e rappresenta il 6% di tutte le neoplasie maligne dei bambini tra 0 e 14 anni. Sono state descritte numerose condizioni associate: anidridi (assenza dell’iride), emiipertrofia (aumento delle dimensioni di un’intera metà del corpo o parte di essa), pesudoermafrotidismo e sindrome di Drash (diffusa sclerosi mesagiale con sindrome nefrosica), Sindrome di Beckwith-­‐Wiedemann (trisomia 11), tumore di Wilms familiare (anomali cromosoma 11p), nefroblastomatosi (persistenza nel rene di cellule del blastema renale). Macroscopicamente si manifesta come una massa rotonda che occupa TUTTO il rene, che può raggiungere il 550g, solida. Al taglio appare di colorito biancastro con aree di necrosi. Microscopicamente è costituito da 3 componenti:

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1. BLASTEMA INDIFFERENZIATO (piccole cellule tonde) 2. TESSUTO STROMALE MESENCHIMALE (cellule fusate) 3. TESSUTO EPITELIALE (strutture tubulari embrionali). La stadiazione più usata è quella del National Tumor Study Group (NTWS): -­‐ Stadio I: Tumore limitato al rene, capsula renale intatta, asportazione completa. -­‐ Stadio II: Tumore esteso oltre il rene e la capsula renale, asportato completamente o il tumore solo biopsiato. -­‐ Stadio III: Tumore esteso ad organi (surrene escluso) e/o strutture extraurinarie senza metastasi ematogene. -­‐ Stadio IV: Presenza di metastasi ematogene (epatiche e polmonari) -­‐ Stadio V: Tumore renale bilaterale Clinicamente si presenta come una massa palpabile addominale, febbre e dolore addominale. La disseminazione può avvenire per via LOCALE (surrene, intestino, fegato), via EMATICA o via LIFATICA. La terapia è a nefrectomia + chemioterapia (I – II stadio) + radioterapia (III – IV – V stadio).

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MALATTIE DELL’OSSO ANATOMIA Lo scheletro può essere diviso in Assile (ossa della testa e ossa del tronco) e Appendicolare (ossa degli arti, cintura scapolare e cintura pelvica). La forma e la grandezza differisce a seconda della sua funzione: ossa lunghe (femore), piatte (pelvi) e corte (mani e piedi). Le ossa lunghe sono divise topograficamente in tre regioni: • Diafisi, • Epifisi • Metafisi, che è la giunzione della diafisi ed epifisi. L’epifisi si trova all’estremità dell’osso ed è parziamente rivestita da cartilagine articolare; nell’osso in crescita rappresenta un’area di attivo accrescimento osseo e nella patologia ossea è la zona più importante, in quanto è il più comune sito di origine dei tumori ossei. Le ossa sono classificate in due principali categorie: membranose (cranio) che si formano dal primitivo tessuto connettivale ed endocondrali (come le ossa lunghe), la cui formazione è preceduta da cartilagine. Al taglio l’osso maturo è costituito da uno strato esterno compatto (corteccia, osso corticale, osso compatto) e uno strato interno (spongiosa, midollare o osso cancelloso). L’osso compatto contiene dei canali vascolari che sono divisi in due tipi sulla base del loro orientamento e sulla relazione alle strutture lamellari dell’osso circostante: longitudinali (canali di Aversa) e trasversi/obliqui (canali di Volkmann). Ad eccezione della zona in cui vi è cartilagine articolare, la corticale è circondata da periostio, che consiste di uno strato fibroso esterno ed uno interno cellulare (cambium), costituito da cellule osteo-­‐progenitrici: fibroblasti, osteoblasti e filamenti nervosi. L’osso è uno dei pochi tessuti connettivali che mineralizzano. Biochimicamente è costituito dal 35% di componente organica (cellule dell’osso e proteine della matrice extracellulare) e il 65% di elementi inorganici (idrossiepatite di calcio). Il processo di formazione dei cristalli di idrossiepatite nell’osso induce la mineralizzazione della matrice extracellulare. L’osso non ancora mineralizzato è detto osteoide. Le cellule che formano l’osso sono: le cellule osteoprogenitori, gli osteoblasti e gli osteociti. Le cellule osteoprogenitori sono cellule steminali pluripotenti, localizzate in vicinanza di tutte le superficie ossee; se stimolate vanno incontro alla divisione e alla differenziazione in osteoblasti. Questo fenomeno è vitale per l’accrescimento e riparazione dell’osso. Gli osteoblasti sono localizzati sulla superficie dell’osso; essi sintetizzano e trasportano le proteine della matrice ed iniziano il processo di sintesi e mineralizzazione dell’ osteoide. Gli osteoblasti si formano in gruppi di 400 cellule, la cui attività è coordinata e regolata da recettori ormonali, citochine e fattori di crescita. Quando sono circondati da matrice, sono conosciuti come osteociti. Gli osteociti non sono metabolicamente attivi come gli osteoblasti, ma giocano un ruolo importante nel controllo giornaliero dei livelli ematici di calcio e fosforo e comunicano con le cellule di superficie e con gli altri osteociti attraverso dei canalicoli e trasferiscono potenziali e substrati della membrana di superficie lungo le giunzioni. Gli osteoclasti sono le cellule responsabili del riassorbimento dell’osso. Gli osteoclasti sono invece specializzate alla rimozione dell’osso. Sono cellule giganti, multinucleate (da 6 a 12 nuclei), che derivano dalle cellule precursori granulociti-­‐monociti localizzate nel midollo osseo. Istologia Nell’osso lamellare normale il collageno osteoide é depositato in forma di strati paralleli, nella direzione in cui l’osso é sottoposto al massimo stress Nell’osso “reticolato” non lamellare gli osteoblasti depositano il collageno osteoide in maniera disordinata. L’osso non lamellare é più debole dell’osso lamellare, con maggiore tendenza alle fratture. -­ Rimodellamento dell’osso L’ osso é costantemente rimodellato dalla formazione di osso nuovo da parte degli osteoblasti e dalla rimozione dell’osso vecchio da parte degli osteoclasti. Una combinata attività di osteoblasti ed osteoclasti può portare al rimodellamento dell’osso in caso di stress. Il controllo dell’attività osteoblastica e osteoclastica e quindi il bilancio tra la formazione e la distruzione nel normale rimodellamento é regolato da differenti fattori: • Ormone paratiroideo (PTH) secreto dalle paratiroidi: in risposta alla perdita di calcio ematico tende a ripristinare i livelli plasmatici di calcio attraverso una stimolazione diretta o indiretta dell’attività osteoclastica, aumentando il riassorbimento dell’osso

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osteoclastico. PTH inoltre aumenta sia il riassorbimento degli ioni calcio, sia l’escrezione degli ioni calcio da parte del rene. Vitamina D: agisce come un ormone promuovendo la mineralizzazione dell’osso. La carenza di vitamina D porta all’osteomalacia, malattia in cui vi é una perdita della mineralizzazione del collageno osteoide. Calcitonina (ormone prodotto dalle cellule parafollicolari della tiroide): in risposta all’aumento del calcio plasmatico si ha una secrezione di calcitonina la quale ha effetti opposti al PTH: essa deprime l’attività osteoclastica, riducendo il riassorbimento dell’osso osteoclastico. Pertanto è utilizzata a scopo terapeutico in alcune malattie (per esempio nella malattia di Paget), per sopprimere l’abnorme attività osteoclastica. Growth factors, citochine, prostaglandine, corticosteroidi, androgeni, estrogeni, insulina ed altre vitamine.

MALATTIE METABOLICHE DELL’OSSO Comprendono quattro condizioni in cui l’attività osteoblastica (che forma l’osso) e l’attività osteoclastica (che distrugge l’osso) non é bilanciata: OSTEOPOROSI E’ una condizione in cui vi é un lento e progressivo aumento di erosione dell’osso, non bilanciato dalla formazione di osso nuovo, che è normale. Per cui la corticale é sottile, le trabecole osse sono sottili e ridotte di numero, ma non vi é distorsione dell’architettura. Riduzione della massa ossea dovuta ad aumentato riassorbimento della massa ossea: la formazione dell’osso e’ normale, la mineralizzazione e’ normale, ma vi e’ aumentata attivita’ degli osteoclasti. Per quanto riguarda la sua patogenesi, sono stati avanzate diverse ipotesi: • Modificazioni correlate all’età • Riduzione della attività fisica che aumenterebbe il tasso di perdita ossea (in modelli sperimentali) • Fattori genetici (anomalie recettore per la vitamina D) • Deficit di apporto di calcio con la dieta • Influenza ormonale Può essere: • LOCALIZZATA (molto rara) • DIFFUSA, come manifestazione di un disturbo metabolico. La forma generalizzata può essere primitiva o secondaria: la forma primitiva più comune é l’osteoporosi postmenopausale o senile, in cui vi é la perdita della massa ossea dello scheletro, che diventa vulnerabile alle fratture. L’osteoporosi senile e postmenopausale interessa l’intero scheletro in particolare le parti ossee con maggiore superficie (le vertebre): -­‐ Assottigliamento dell’osso corticale -­‐ Riduzione nel numero delle trabecole -­‐ Facilità alle fratture La forma secondaria può essere dovuta a patologie endocrine (iperparatiroidismo, ipo-­‐ ipertiroidismo, ipogonadismo, tumori ipofisari, ecc), a neoplasie (mieloma multiplo), alterazioni gastrointestinali (malnutrizione, malassorbimento, deficit vitamine C e D, insufficienza epatica), a farmaci, a cause genetiche e sistemiche. RACHITISMO Rachitismo e osteomalacia rappresentano un gruppo di malattie legate a cause diverse, caratterizzate da un difetto della mineralizzazione della matrice, spesso associato a deficit di vitamina D. Il termine rachitismo si riferisce alla malattia dei BAMBINI, in cui la crescita ossea alterata produce delle evidenti deformità scheletriche-­‐ Il rachitismo e l’osteomalacia possono derivare: • Inadeguata dieta (puri vegetariani) • Inadeguata sintesi di vitamina D (per mancata esposizione della pelle ai UV per ragioni socio-­‐culturali) • Malassorbimento dovuto a malattie intestinali (M. Crohns o malattia celiaca non trattata) • Malattie renali: un danno dei tubuli renali può portare a mancata conversione della vitamina D nel suo metabolita attivo 1,25 dihydroxyvitamina D L’alterazione fondamentale di entrambe le malattie dipende da un eccesso di matrice non mineralizzata. Nel rachitismo le alterazioni dell’osso in accrescimento sono complicate da

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inadeguata calcificazione transitoria della cartilagine epifisaria che compromette l’accrescimento dell’osso endocondrale. Si possono susseguire i seguenti eventi: 1. Iperproduzione di cartilagine epifisaria 2. Persistenza di ammassi cartilaginei distorti e irregolari 3. Deposizione di matrice osteoide sui resti di cartilagine inadeguatamente mineralizzata 4. Compromissione della fisiologica sostituzione delle cartilagini da parte di tessuto osteoide 5. Anomala ed eccessiva proliferazione di capillari a causa di microfratture 6. Deformazione dello scheletro per perdita della rigidità strutturale dell’osso Clinicamente nel bambino, in cui lo scheletro non é del tutto formato, vi sono caratteristiche deformità strutturali delle ossa lunghe delle gambe (lordosi lombare e varismo degli arti inferiori), distorsione delle ossa del cranio (forma squadrata della testa), allargamento delle giunzioni costocondrali delle costole (caratteristico aspetto a “grani di rosario”), protrusione anteriore dello sterno (torace carenato). OSTEOMALACIA È una condizione in cui la produzione osteoblastica del collageno osseo é normale, ma la mineralizzazione é inadeguata. Questo porta alla formazione di un osso trabecolare parziamente mineralizzato e quindi fragile. Il termine osteomalacia si riferisce alla patologia che avviene nell’ADULTO. Ha la stessa patogenesi del rachitismo L’osteomalacia è caratterizzata da: • Normale deposito dell’osso osteoide da parte degli osteoblasti • Normale architettura ossea • Inadeguata mineralizzazione: solo il centro delle trabecole sono mineralizzate adeguatamente, mentre la periferia é composta da tessuto osteoide soffice non mineralizzato. Microscopicamente l’osso é caratterizzato da una matrice non calcificata intorno alle trabecole ossee, con formazione di estesi orli di tessuto osteoide. Ne risulta una minore capacità dello scheletro a sostenere carichi meccanici e si verificano facilmente INCURVAMENTI, DEFORMAZIONI e FRATTURE. Al ME il tessuto osteoide appare costituito da fibrille collagene DEL TUTTO PRIVE di calcificazione. Clinicamente nell’adulto si manifesta con dolori ossei dovuti a microfratture della corticale e delle trabecole ossee, localizzato soprattutto agli arti inferiori. All’indagine radiologica i difetti di calcificazione possono rendersi manifesti come immagini oblique o bifide dette STRIE DI LOOSER. MALATTIA DI PAGET (OSTEITE DEFORMANTE) E’ una malattia in cui vi é un eccessiva non controllata distruzione dell’osso dovuta ad una abnorme attività degli osteoclasti, con un inadeguato tentativo da parte degli osteoblasti di formare nuovo osso, producendo un debole osso non lamellare o reticolato. E’ caratterizzata da eccessivi riassorbimento dell’osso lamellare (osso corticale e trabecolare) da parte di abnormi osteoclasti, seguita da periodi di incontrollata formazione di osso da parte degli osteoblasti, che producono nuovo osteoide. Il nuovo osso formato presenta una architettura disordinata. Sia l’erosione osteoclastica che la risposta osteoblastica sono a caso e non correlate con stress funzionali dell’osso. La sequenza degli eventi é la seguente: 1. Stadio iniziale osteolitico 2. Stadio misto osteoblastico-­‐osteoclastico, che termina con una predominanza dell’attività osteoblastica 3. Stadio osteosclerotico, con distruzione dell’architettura seguita da progressiva fibrosi degli spazi midollari. La malattia di Paget inizia verso la 5° decade di vita; predominante nell’uomo; ci sono variazioni etniche: comune UK, Francia, Austria, Germania, Australia, Nuova Zelanda e USA; rara in Scandinavia Cina, Giappone e Africa. È possibile un’origine virale: paramyxovirus, che é lo stesso responsabile leucoencefalite subacuta sclerosante. Le particelle virali sono state evidenziate nei nuclei degli osteoclasti. Microscopicamente l’aspetto caratteristico é quello a mosaico dell’ osso lamellare. Questo aspetto é prodotto da prominenti linee di cemento che uniscono l’osso lamellare. Nella fase iniziale litica vi sono numerosi osteoclasti abnormi, multinucleati (fino a 100 nuclei). Nella fase mista persistono gli osteoclasti, ma molte superficie osse sono rivestite da osteoblasti. L’osso adiacente

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é rimpiazzato da tessuto lasso connettivale, che contiene cellule osteoprogenitrici e numerosi vasi sanguigni. Man mano che l’attività cellulare diminuisce, il tessuto fibrovascolare recede ed é rimpiazzato da tessuto osseo normale. Nella fase finale l’osso diventa una caricatura di se stesso: più grande del normale, composto da trabecole sottili e soffici. Questo aspetto rende l’osso vulnerabile alle fratture. Clinicamente sono presenti dolori ossei, deformità con esteso interessamento di uno o più ossa (cranio, tibia, femore, ileo omero, vertebre 15%, pelvi, spina dorsale cranio nell’ 85%) e sono risparmiate le ossa piccole delle mani e dei piedi, le costole. Possono essere presenti sintomi da compressione dei nervi e fratture patologiche. Caratteristica particolare è la sua possibile trasformazione maligna: di solito Osteosarcoma, il quale é di solito un tumore infantile, ma nei soggetti affetti da Paget é un tumore che compare in età senile. La diagnosi si raggiunge attraverso esami strumentali e di laboratorio: • RX mostra l’aspetto caratteristico di allargamento dell’osso con sottile corticale • Aumento delle fosfatasi alcaline nel siero e aumentata escrezione nelle urine di idroxiproline. La terapia medica è basata sulla somministrazione di calcitonina. OSTEODISTROFIA RENALE E’ una malattia dell’osso che si sviluppa nei soggetti con un danno renale cronico, in seguito ad un disturbo metabolico misto (principalmente sono combinati gli effetti dell’osteomalacia ed iperparatiroidismo). Con questo termine si descrivono tutte le malattie dello scheletro dovute a malattie croniche del rene: • Osteite fibroso cistica (aumentato assorbimento osteoclastico) • Osteomalacia (inadeguata mineralizzazione dell’osso) • Osteosclerosi • Ritardo di accrescimento • Osteoporosi L’osso nella osteodistrofia renale mostra una combinazione di cambiamenti da iperparatiroidismo secondario, eccessiva erosione da parte degli osteoclasti e mancata mineralizzazione del collageno osteoide. Nei soggetti che fanno dialisi si può avere un accumulo di alluminio che si deposita nell’osso, bloccando la calcificazione dell’osteoide, provocando non solo osteomalacia,ma anche anemia microcitica ed encefalopatia da dialisi. Microscopicamente risulta interessato l’osso corticale (superfici subperiostali osteonali e endosteali), piuttosto che l’osso cancelloso. Vi é un caratteristico assottigliamento della corticale. Nell’osso cancelloso vi é un tunnel di osteoclasti che dissecano centralmente le trabecole (osteite dissecante). Vi é da una parte un riassorbimento osteclastico dell’osso, dall’altro un deposito compensatorio osteoblastico di nuovo osso. I focolai possono essere singoli o multipli e le lesioni appaiono riempite di materiale soffice, semifluido di colorito marrone “ detto tumore scuro” perché costituito da masse di cellule osteoclastiche, cellule fusate e focolai di emorragia. Se le lesioni osteolitiche sono multiple si parla di “malattia di Recklinghausen dell’osso o osteite fibrosa cistica”. Nella forma primaria vi é ipercalcemia, per continuo rilascio di calcio da parte dell’osso per rottura del meccanismo di feedback Nella forma secondaria vi é invece o ipocalcemia che stimola la secrezione di PTH e rilascio di calcio da parte dell’osso, oppure il calcio é normale perché tutto il cacio mobilizzato dall’osso viene perduto dai reni malati. IPERPARATIROIDISMO L’eccessiva produzione di PTH produce una aumentata attività osteoclastica. Vi é eccessiva distruzione dell’ osso trabecolare e corticale, con inadeguata attività osteoblastica compensatoria. L’ipersecrezione di PTH stimola il riassorbimento dell’osso da parte degli osteoclasti, con rilascio di calcio dall’osso nel plasma. In condizioni normali vi é un meccanismo di feedback per cui la secrezione di PTH da parte delle paratiroidi é soppressa dalla concentrazione di calcio nel plasma. Una rottura di questo meccanismo porta ad una incotrollata produzione di PTH ed eccessiva distruzione osteoclastica dell’osso. L’intero scheletro é interessato.

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ANOMALIE DI SVILUPPO ACONDRODISPLASIA È una malattia dell’accrescimento che é la maggiore causa di nanismo. È conseguente alla mutazione del gene FGFR3 ed è trasmessa come carattere autosomico dominante. È caratterizzata da NANISMO MICROMELICO da prevalentemente accorciamento dei segmenti superiori (omero e femore) degli arti. Il cranio è voluminoso, il naso ha radice infossata, la cute e il sottocuteneo sono abbondanti e formano pieghe profonde a livello delle articolazioni. La statura raramente raggiunge i 120 cm e compare col passare del tempo lordosi lombare. MALATTIE ASSOCIATE AD ANOMALIE DELLA MATRICE Osteogenesi imperfetta = un gruppo di disordini fenotipicamente correlati con un difetto della sintesi del collageno tipo I; Mucopolisaccaridosi = dovute a deficienze di alcuni enzimi, principalmente gli acidi idrolasi, che ad anomalie della cartilagine ialina e delle cellule mesenchimali specie dei condrociti. Questi soggetti sono di bassa statura hanno anomalie della parete toracica e malformazioni ossee. Osteopetrosi detta anche malattia di Albers-­‐Schonberg= una malattia ereditaria caratterizzata da disfunzioni osteoclastiche che porta ad una sclerosi scheletrica diffusa simmetrica. E’ detta così perché l’osso é come una “creta”. Vi sono due tipi: -­‐la forma maligna autosomica recessiva -­‐la forma benigna autosomica dominante OSTEOMIELITI Sono infezioni dell’osso che interessano la corticale, la midollare ed il periostio, causate da virus, parassiti, batteri e funghi. Ma le più comuni sono l’osteomielite: • Da batteri piogenici • Forma tubercolare • Forma sifilitica Osteomielite piogenica  Stafilococco aureus (80%), Escherichia coli (particolarmente bambini e anziani); Pseudomonas e Klebsiella (con infezioni genitourinarie); Haemophilus dell’Influenza; la Salmonella; Nel 50% dei casi non viene isolato il germe patogeno. L’organismo raggiunge l’osso: • Per via ematica • Per contiguità • Per impianto diretto in seguito a fratture o manovre chirurgiche. • Può essere acuta, subacuta e cronica Nella fase acuta i batteri proliferano e inducono una reazione infiammatoria acuta. La reazione suppurativa provoca il rilascio di tossine che causano la necrosi ischemica dell’osso entro 48 ore. L’infezione raggiunge il periostio e formazione del “sequestro” costituito da materiale suppurativo e necrotico. Si può avere in questa fase la rottura del periostio, con formazione un ascesso e drenaggio del pus verso l’esterno. Dopo la I settimana dall’infezione la reazione dell’ospite evolve, l’infiltrato infiammatorio diventa cronico e stimola il riassorbimento osteoclastico dell’osso, formazione di tessuto fibroso e deposito di osso reattivo alla periferia. Il nuovo osso subperiosteale produce un “involucro” che racchiude e avvolge il focolaio infiammatorio. Se la formazione di nuovo osso continua, si forma un tessuto denso sclerotico detto” osteomielite sclerosante di Garré”. Osteomielite tubercolare  Si ha nei paesi industrializzati a causa della immigrazione da paesi sottosviluppati. Colpisce soprattutto soggetti immunosoppressi. Circa 1-­‐3% dei soggetti con una tubercolosi polmonare sviluppano una infezione tubercolare ossea. Nei soggetti conb AIDS l’infezione é multifocale. L’infezione interessa la colonna vertebrale toracica e lombare (malattia di Pott) ed è ti tipo caseosa; vari siti dello scheletro, anche e ginocchio é più distruttiva e resistente della forma piogenica. Il tessuto di granulazione si diffonde alla corticale (sinus tract) attraverso la cavità midollare, poi si estende all’epifisi, metafisi e sinovia, causando varie aree di necrosi caseosa. Osteomielite sifilitica  può essere: • congenita (intorno al V mese di gestazione) • acquisita (nella sifilide terziaria 2-­‐5 anni dopo l’infezione primaria) Può essere localizzata alla corticale (vertebre e ossa piatte) o al periostio (mani, piedi, diafisi delle ossa lunghe). Le ossa interessate sono il palato, il cranio, le estremità specie le ossa lunghe

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tubulari e la tibia. Lele spirochete tendono a localizzarsi nell’osteocrondrio (osteocondrite) e nel periostio (periostite). La periostite é costituita da tessuto di granulazione contenente plasmacellule e materiale necrotico. La sifilide acquisita é caratterizzata dalla formazione della “gumma” che é costituita da necrosi centrale circondata da uno strato di tessuto di granulazione e infiltrato cronico aspecifico. TUMORI DELL’OSSO Tumori primitivi -­‐ Tumori di natura emopoietica localizzati del midollo osseo: • Mieloma • Linfoma • Leucemia -­‐ Tumori che si originano dalle cellule che partecipano al rimodellamento dell’osso: • Osteosarcoma • Condrosarcoma -­‐ Disordini proliferativi non neoplastici (malformazioni amartomatose): • Osteoma osteoide • Fibroma non ossificante OSTEOSARCOMA E’ un tumore maligno degli osteoblasti. Colpisce i bambini adolescenti ed è più comune nei ragazzi. Questi pazienti presentano una mutazione genetica del gene del retinoblastoma, che é un gene tumore soppressore (oncosoppressore). Il tumore può colpire diverse sedi: • ginocchia, nell’estremità inferiore del femore o nel tratto superiore della tibia; • una piccola percentuale insorge nelle ossa lunghe dell’omero o nella parte superiore del femore; Il tumore causa dolore al ginocchio, che va aumentando sempre più; al tempo della diagnosi clinica e radiologica é già allo stadio avanzato Macroscopicamente il tumore si origina nella cavità midollare strettamente vicino alla metafisi, si diffonde nella cavità midollare, e erode la corticale e si estende ai tessuti molli. Il tumore cresce rapidamente , distrugge la corticale sovrastante, si estende nel canale midollare, sostituendosi al midollo osseo, che circonda le trabecole preesistenti. Metastatizza per via ematica (50-­‐60%), dando metastasi polmonari Microscopicamente gli osteoblasti maligni producono enormi quantità di collageno osteoide, una parte del quale diventa mineralizzato, visibile radiologicamente. La prognosi é scarsa (la sopravvivenza a 5 anni é del 5-­‐10%) Il trattamento è chirurgico + radioterapia e chemioterapia Osteosarcoma dell’adulto é la trasformazione maligna della malattia di Paget dell’osso. CONDROSARCOMA E’ insieme all’osteosarcoma il tumore maligno più comune. E’ caratterizzato da produzione di cartilagine neoplastica. Insorgen mediamente nella 4° -­‐5° decade di vita; colpisce M:F = 2:1. Le ossa più colpite sono le ossa larghe: pelvi, scapola e costole. Macroscopicamente si presenta come una massa bianco-­‐grigiastra traslucida, talora con aree mixoide e gelatinose. Possono essere presenti aree di necrosi ed emorragia, che formano degli spazi cistici. Microscopicamente si notano condrociti anaplastici che infiltrano le trabecole ossee. Il grado di malignità dipende dalle atipie cellulari e dall’ attività mitotica presente. Vi sono 4 varianti: intramidollare, juxacorticale, a cellule chiare, dedifferenziato, variante mesenchimale. I tumori di basso grado hanno un decorso lento, la sopravvivenza a 5 anni é del 90%; l’intervento chirurgico radicale può essere curativo. Quelli di grado intermedio hanno una sopravvivenza a 5 anni dell81%, mentre quelli indifferenziati hanno una sopravvivenza del 43%. La prognosi dipende dal grado di differenziazione del tumore, dalla grandezza del tumore: i tumori > di 10cm sono molto aggressivi. Metastatizzano al polmone e allo scheletro.

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Tumori Secondari Tumori metastatici da altri siti primitivi: adenocarcinoma della mammella carcinoma dei bronchi (carcinoma a piccole cellule indifferenziato) adenocarcinoma del rene adenocarcinoma della tiroide adenocarcinoma della prostata Le cellule neoplastiche nell’interno degli spazi midollari provocano erosione delle trabecole osse sia direttamente, sia indirettamente attraverso l’azione osteolitica, che porta all’erosione della corticale (metastasi osteolitiche). Il carcinoma della prostata produce metastasi osteosclerotiche (con formazione di nuovo osso) particolarmente nella regione lombo-­‐sacrale. Metastatizza più alla tibia. Il carcinoma mammella metastatizza al bacino TUMORI CHE FORMANO OSSO Osteoma  E’ un tumore benigno a lento accrescimento, raramente si trasforma in osteosarcoma; età adulta, predomina nel sesso maschile. Interessa le ossa del cranio e della faccia, dando problemi di compressione e di funzionalità della cavità orale. Macroscopicamente è una formazione rotondeggiante, sessile che si proietta dalla superficie endosteale o subperiostale della corteccia. Può essere solitario o multiplo (S. Gardner -­‐ poliposi intestinale familiare). Microscopicamente è costituito da tessuto lamellare e woven che si deposita nella corticale. Osteoma osteoide e osteoblastoma  Sono identici, ma differiscono per la grandezza: • Osteoma Osteoide é per definizione < 2 cm; • Osteoblastoma é > a 2cm L’osteoma osteoide compare nella 2° decade di vita (75% hanno età < a 25 anni), predilige tibia e femore (50%), insorge nella corteccia e raramente nella cavità midollare, é molto doloroso (dolori notturni) nonostante le piccole dimensioni, che scompaiono con l’aspirina. L’osteoblastoma interessa la stessa fascia di età, interessa più frequentemente la spina dorsale, é indolore o se é presente il dolore non risponde ai salicilati. Macroscopicamente si presentano come una massa rotondeggiante, ricca di tessuto emorragico. Microscopicamente sono ben circoscritti, costituiti da osteoblasti attivi, che depositano larghe masse irregolari di collageno osteoide in maniera disordinata. Radiologicamente ha un aspetto caratteristico con un’area densa centrale, circondata da un alone di osso lucente. TUMORI CHE FORMANO CARTILAGINE Sono tumori caratterizzati dalla formazione di cartilagine ialina o mixoide. I tumori benigni sono più frequenti di quelli maligni. Osteocondroma (detto anche esostosi)  E’ una lesione benigna attaccata allo scheletro da uno stalk di osso . Può essere solitario o multiplo (esostosi multipla ereditaria); colpisce più adolescenti e giovani adulti; uomini sono più colpiti delle donne (3:1); insorge dalla metafisi delle ossa lunghe tubulari; raramente sono interessate le ossa della pelvi, scapola, costole e le ossa corte delle mani e piedi. Macroscopicamente può raggiungere dimensioni enormi (da 1 fino a 20cm). Microscopicamente è costituito da cartilagine ialina benigna di vario spessore delineata da pericondrio; la cartilagine é disposta in maniera disorganizzata e può andare incontro ad ossificazione; la corticale dell’asse continua con la corticale dell’osso ospite, così che la cavità midollare del condroma è in continuità con quella dell’osso. Clinicamente l’accrescimento é lento e cessa quando é terminato il processo di crescita. È doloroso se c’é compressione dei nervi. Circa l’1% evolve in condrosarcoma, specie nelle sindromi ereditarie Condroma  E’ un tumore benigno della cartilagine ialina: • encondroma (se sorge nella cavità midollare) • condroma subperiostale o juxacorticale se insorge sulla superficie dell’osso Colpisce entrambi i sessi dai 30-­‐50 anni. Esistono: • Forma solitaria é localizzata nelle metafisi delle ossa tubulari delle mani e dei piedi • Forma multipla é detta Malattia di Ollier o può essere associata ad emangiomi ( S. Maffucci).

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Morfologicamente si presentano come una massa non più grande di 3cm, traslucida, nodulare. I noduli sono circoscritti e i condrociti presenti nelle lacune sono benigni. Alla periferia dei noduli la cartilagine va incontro ad ossificazione encontrale mentre al centro può andare incontro ad ossificazione. Clinicamente risultano asintomatici ed indolori. L’aspetto radiologico é caratteristico: nodulo radiolucente di cartilagine ialina nell’interno superficie endostiale. Condroblastoma  E’ un tumore benigno raro (1%); colpisce giovani pazienti (2° decade); rapporto uomo/donna é di 2:1; la sede in cui insorge è il ginocchio; genesi sconosciuta. Microscopicamente il tumore é cellulare ed é costituito da condroblasti sparsi in una matrice ialina. L’attività mitotica e la necrosi é frequente. Clinicamente é di solito doloroso, e porta a mobilitazione dell’articolazione. Anche dopo il trattamento chirurgico può recidivare. TUMORI FIBROSI e FIBRO-­OSSEI Sono dei tumori che interessano lo scheletro e sono costituiti da tessuto fibroso: Fibroma non ossificante  E’ abbastanza comune; insorge nel 30-­‐50% dei bambini oltre i due anni. Sorge eccentricamente nella metafisi del tratto distale del femore e prossimale della tibia e nella metà dei casi é bilaterale e multiplo. Viene diagnosticato verso l’adolescenza. All’ RX appare come un’area eccentrica lobulata radiolucente, circondata da margini sclerotici. Macroscopicamente la lesione appare grigiastro o giallo-­‐marrone. Microscopicamente é costituita da fibroblasti arrangiati in maniera storiforme e da istiociti costituti da cellule giganti multinucleate e macrofagi spumosi. Displasia fibrosa  E’ un disordine di maturazione dell’osso con arresto allo stadio immaturo di osso woven. Il disordine si origina nell’osso cancelloso, si espande alla corticale subperiostale. Raramente la corteccia é erosa. Può essere: • Monostotica nel bambino (70%): ossa cranio facciali. • Poliostotica senza endocrinopatia (25%): femore, tibia, omero, cranio, mandibola, vertebre, ulna e radio; • Poliostotica con endocrinopatia (3-­‐5%) (ipertiroidismo, S. Cushing ) e pigmentazione cutanea caffé-­‐latte(S. Albrigth) Macroscopicamente la lesione appare ben circoscritta, intramidollare, di varia grandezza,colorito giallo-­‐grigiastro, che si espande e distorce l’osso. Microscopicamente è costituto da tessuto connettivo maturo (con caratteristica disposizione a spina di pesce) riccamente vascolarizzato, in cui vi sono trabecole irregolari ricurve di osso giovane; assenza di osteoblasti sulla superficie delle trabecole. All’RX si nota il caratteristico aspetto a vetro smerigliato. Il decorso clinico dipende dall’estenzione della malattia. Le lesioni monostotiche hanno dei sintomi minimi. Le lesioni poliostotiche vanno incontro a fratture e raramente evolvono verso l’istiocitoma maligno. Istiocitoma fibroso maligno o fibrosarcoma  E’ un sarcoma dell’osso. Occorre in ogni età. Colpisce preferenzialmente l’età media o avanzata. Sono colpite le metafisi delle ossa lunghe (femore, tibia, ginocchio, omero) e le ossa pelviche. Macroscopicamente si mostra come una massa biancastra con aspetto gelatinoso e aree emorragiche. Microscopicamente è costituito da fascicoli di fibroblasti maligni, disposti in maniera storiforme, cellule giganti multinucleate e occasionali figure mitotiche. La prognosi dipende dal grado di differenziazione del tumore. I tumori di alto grado hanno una sopravvivenza del 20% a cinque anni. OSTEOCLASTOMA o TUMORE A CELLULE GIGANTI Colpisce in media nella 3°-­‐5° decade; rapporto uomo /donna é di 4:5; interessa le ossa distali del femore, prossimali della tibia (ginocchio), fibula, pelvi, mani e piedi. Macroscopicamente la lesione si presenta multilobata di colorito rosso-­‐marrone con aree emorragiche e necrotiche. Microscopicamente è caratterizzato dalla presenza di cellule giganti multinucleate , che rassomigliano agli osteoclasti con più di 100 nuclei) sparse in uno stroma di cellule mononuclete. Si può trovare necrosi, depositi di emosiderina, emorragia.

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All’Rx si nota una lesione litica che si espande nella parte bassa del femore, intorno alla cartilagine articolare. Ricorrenza 25-­‐50% dei casi Mortalità a cinque anni é 80% SARCOMA DI EWING E’ un tumore primitivo a piccole cellule dell’osso. Compare in età media 5-­‐20 anni; maschi affetti più delle donne; dovuto ad una traslocazione del braccio lungo del cromosoma 11;22. La neoplasia interessa l’intera cavità midollare delle ossa lunghe (femore, tibia, omero, fibula) pelvi, vertebre, mandibola, clavicola. All’RX c’è l’aspetto caratteristico a buccia di cipolla, per la reazione periostale dell’osso in strati paralleli alla corteccia Macroscopicamente appare solido, attraversato da setti fibrosi cintenenti aree emorragiche. Microscopicamente il tumore é costituito da cellule rotondeggianti, uniformi con piccoli nucleoli, raro citoplasma arrangiati a formare delle rosette con o senza vaso al centro. Sono presenti granuli PAS positivi nel citoplasma delle cellule maligne, dovuti alla presenza di glicogeno. Le colorazioni per Vimentina, il collageno I e II e talora le citocheratine sono positive, mentre la colorazione per neuron-­‐specifico-­‐enolase é negativo (questo le differenzia dai tumori neuroendocrini in cui NSE é positiva). DD con altri tumori a piccole cellule: linfoma, rabdomiosarcoma, neuroblastoma, carcinoma a piccole cellule del polmone. Sopravvivenza a 5 anni é del 10% dopo radioterapia.

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APPARATO GENITALE FEMMINILE CERVIVE UTERINA La cervice uterina è la porzione inferiore dell’utero, che collega il corpo uterino alla vagina. Si divide in: • Porzione esterna (esocervice): protrude nella parte superiore della vagina. Rivestita da epitelio squamoso ricco di glicogeno. • Porzione interna (endocervice): canale che collega la vagina alla cavità endometriale. Rivestita da creste mucose longitudinali rivestite da un singolo strato di cellule mucose La giunzione tra eso-­‐ ed endocervice è denominata orifizio uterino esterno. Dal punto di vista microscopico la giunzione dell’epitelio squamoso e dell’epitelio cilindrico mucinoso è chiamata “giunzione squamocolonnare” L’area tra l’endocervice e la cavità endometriale è denominata istmo o segmento uterino inferiore. La sede di transizione tra un epitelio e l’altro varia con l’età e la parità L’ introflessione dell’epitelio squamoso (epidermizzazione) da un lato e contemporaneamente la differenziazione squamosa delle cellule basali endocervicali (metaplasia squamosa) inducono la formazione della ZONA DI TRASFORMAZIONE, area in cui iniziano le lesioni precancerose e il carcinoma squamoso. La metaplasia squamosa avviene in diverse fasi: • Fase precoce  le cellule basali, che normalmente costituiscono un singolo strato iniziano a proliferare. • Fase tardiva  le cellule basali proliferanti rimpiazzano l’epitelio ghiandolare. Cervicite Frequente. Correlata alla costante esposizione alla flora batterica vaginale. Risultato dell’infezione di molti microrganismi (streptococco, stafilococco, enterococco, gonococco, ecc.) Vie di trasmissione dei microrgaismi: • Sessuale • Introdotti da corpi estranei (tamponi, ecc.) Dal punto di vista clinico si distinguono cervicite: ACUTA Macroscopicamente la cervice è arrossata, rigonfia ed edematosa, c’è perdita di pus dall’orifizio uterino esterno. Microscopicamente si nota un esteso infiltrato di granulociti polimorfonucleati ed edema stromale CRONICA Molto frequente. La mucosa cervicale appare iperemica. All’esame istologico lo stroma è infiltrato da cellule mononucleate, principalmente linfociti e plasmacellule. L’epitelio squamoso metaplastico della zona di trasformazione può estendersi all’interno delle ghiandole endocervicali. Polipo endocervicale È la più comune proliferazione endocervicale. Si manifesta come una massa singola, a superficie liscia o lobulata, tipicamente con una dimensione massima inferiore ai 3 cm. L’epitelio di rivestimento è mucinoso, con vari gradi di metaplasia squamosa. Terapia : escissione Raramente (0,2% casi) dà origine a carcinoma Iperplasia microghiandolare Condizione benigna. È caratterizzata dalla presenza di hhiandole strettamente addossate senza stroma interposto. È presente un infiltrato granulocitario neutrofilo. Usualmente asintomatica Tipicamente associata a stimolazione progestinica Neoplasia Squamocellulare 50 anni fa era la principale causa di morte fra le donne. Ora si trova all’ottavo posto grazie alla diagnosi precoce (TEST DI PAPANICOLAU) e all’accessibilità della cervice alla colposcopia e alla biopsiaIn contrasto la frequenza di lesioni iniziali e carcinomi in stadio iniziale è molto alta PAP TEST  Il Pap test è stato introdotto come test di screening cervicale nel 1943 da George Papanicolaou. Il test permette una valutazione:

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• Funzionale • Infiammatoria • Oncologica Il Pap test (o citologia cervicovaginale) è un esame citologico che indaga le alterazioni delle cellule del collo dell'utero. Il suo nome deriva dal medico greco-­‐americano Georgios Papanicolaou (1883-­‐1962), il padre della citopatologia, che sviluppò questo test per la diagnosi rapida dei tumori del collo dell'utero. Il Pap test è un test di screening, la cui funzione principale è quella di individuare nella popolazione femminile donne a rischio di sviluppare un cancro del collo uterino. Inoltre il Pap test può dare utili indicazioni sull'equilibrio ormonale della donna e permettere il riconoscimento di infezioni batteriche, virali o micotiche. Per l'esecuzione del Pap test viene prelevata una piccola quantità di cellule del collo dell'utero con la spatola di Aire e un tampone cervicale. La spatola ha una forma complementare all'anatomia della cervice e una volta inserita è in grado di prelevare cellule dall'esocervice grazie a una rotazione di 360°; il tampone invece, del tutto simile a quelli usati per la faringe, preleva esattamente le cellule dall'endocervice penetrando nell'orifizio uterino esterno. Nel pap test convenzionale le cellule vengono quindi strisciate su un vetrino per l'esame di laboratorio. Nel pap test in fase liquida una macchina provvede ad allestire un preparato a "strato sottile". Indipendentemente dal tipo di allestimento, le cellule vengono quindi colorate secondo il metodo di Papanicolau ed esaminate al microscopio da un citologo o patologo che provvederà a stilare un referto. Il referto, sino a ieri numerico, viene oggi comunicato con una sintetica descrizione dello stato delle cellule. In Italia la classificazione consigliata e più frequentemente utilizzata è il Sistema Bethesda 2001 (TBS 2001) che suddivide i risultati del test in: negativo non evidenza di cellule tumorali LSIL cellule di lesione squamosa intraepiteliale di basso grado HSIL cellule di lesione squamosa intraepiteliale di alto grado AIS cellule ghiandolari sospette per adenocarcinoma in-­‐situ del collo dell'utero carcinoma cellule sospette per tumore infiltrante ASC-­‐US cellule squamose abnormi, non ulteriormente classificabili ASC-­‐H cellule squamose abnormi, non si esclude una HSIL AGC cellule ghiandolari (endocervicali od endometriali) abnormi, non si può escludere un tumore

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IL SISTEMA BETHESDA  Il Sistema Bethesda (SB) per la refertazione della citologia cervico-­‐ vaginale è stato elaborato nel dicembre 1988 in un workshop organizzato dal National Cancer Insitute (NCI) al fine di stabilire una terminologia diagnostica uniforme e capace di favorire la comunicazione tra laboratorio e clinico. Il modulo per la refertazione SB comprende una diagnosi descrittiva e una valutazione dell'adeguatezza del preparato. Il SB è stato ideato per essere flessibile, cioè adattabile all'evoluzione dello screening del cancro cervicale ed ai progressi in patologia cervicale. La classificazione del SB non è di tipo istogenetico: si tratta piuttosto di una nomenclatura elaborata per facilitare la suddivisione in categorie e la refertazione della diagnosi citologica. Come nel sistema dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la diagnosi è in definitiva determinata dalle cellule con maggiori anomalie, indipendentemente dal loro numero; va inoltre rilevato che la citologia cervico-­‐vaginale non è sempre in grado di precisare la sede d'origine di un'anomalia, poiché tumori morfologicamente identici possono originarsi dalla vagina, collo uterino endometrio od ovaio. ADEGUATEZZA • Soddisfacente per la valutazione: 8.000-­‐12.000 cellule ben conservate. • Non soddisfacente: < 5.000 cellule -­‐ >75% di cellule oscurate CATEGORIE GENERALI NEGATIVO PER LESIONI INTRAEPITELIALI O PER MALIGNITA’ • Organismi • Trichomonas • Funghi del tipo Candida • Variazione della flora suggestiva di vaginosi batterica • Batteri morfologicamente del tipo Actinomyces • Modificazioni cellulari suggestive di Herpes Simplex • Alterazioni cellulari reattive associate con infiammazione, radiazioni e IUD • Cellule ghiandolari in post-­‐isterectomia • atrofia ANORMALITA’ DELLE CELLULE EPITELIALI Cellule squamose: • cellule squamose atipiche (ASC) • lesione intraepiteliale di basso grado (LSIL) • lesione intraepiteliale di alto grado (HSIL) • carcinoma squamoso Cellule ghiandolari • cellule ghiandolari atipiche (AGC) • specificare se endocervicali, endometriali o non classificabili (NOS) • adenocarcinoma endocervicale in situ (AIS) • adenocarcinoma: endocervicale, endometriale, extrauterino ALTRO Cellule endometriali in donne di età > ai 40 aa (specificare se negativo per lesione squamosa) Neoplasia Squamocellulare Vari fattori implcati nella patogenesi: • Primo rapporto sessuale in giovane età • Partners sessuali multipli • Partner sessuale con precedenti partners multipli • Papillomavirus (HPV)  è un virus appartenente al gruppo dei papovavirus, è un virus nudo, quindi senza pericapside, dotato di genoma a DNA circolare a doppio filamento. Appena entrato dentro le cellule fa esprimere alcuni geni detti "early" (indicati con la lettera E) che servono a modificare il metabolismo della cellula infettata per metterlo al servizio dell'HPV, il quale poco prima della fuoriuscita dalla cellula fa sintetizzare altre proteine dette "late" (indicate con la lettera L) che sono in particolare due proteine strutturali, che associandosi tra loro formano la struttura icosaedrica del capside virale (formato da 72 capsomeri). Le infezioni da HPV sono estremamente diffuse e possono causare malattie della pelle e delle mucose. Il carcinoma cervicale è il primo cancro a essere riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità come totalmente riconducibile

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199 a un’infezione (3). Il carcinoma della cervice è infatti causato dall’infezione genitale da virus del papilloma umano (Hpv). A tutt’oggi sono stati identificati più di 120 genotipi di Hpv che infettano l’uomo e, tra questi, 40 sono associati a patologie del tratto anogenitale, sia benigne che maligne. I diversi tipi di Hpv vengono infatti distinti in basso e alto rischio di trasformazione neoplastica. I genotipi a basso rischio sono associati a lesioni benigne come i condilomi anogenitali, mentre quelli ad alto rischio sono associati al cancro cervicale oltre che ad altri tumori del tratto anogenitale, come per esempio il carcinoma del pene, della vulva, della vagina e dell’ano. I genotipi virali ad alto rischio più frequentemente implicati nel carcinoma cervicale sono il 16, cui vengono attribuiti circa il 60% di tutti i casi di questa patologia neoplastica, seguito dal 18, responsabile di circa il 10% dei casi. Pertanto, complessivamente, circa il 70% di tutti i carcinomi cervicali sono associati alla presenza di Hpv 16 o 18 (4). L’infezione da Hpv è molto frequente dnlla popolazione: si stima infatti che oltre il 75% delle donne sessualmente attive si infetti nel corso della vita con un virus Hpv, con un picco di prevalenza nelle giovani donne fino a 25 anni di età (5). La storia naturale dell’infezione è fortemente condizionata dall’equilibrio che si instaura fra ospite e agente infettante. Esistono infatti tre possibilità di evoluzione dell’infezione da Hpv: regressione, persistenza e progressione. La maggior parte (70-­‐90%) delle infezioni da papillomavirus è transitoria, perché il virus viene eliminato dal sistema immunitario prima di sviluppare un effetto patogeno (5). La persistenza dell’infezione virale è invece la condizione necessaria per l’evoluzione verso il carcinoma. L’acquisizione di un genotipo virale ad alto rischio aumenta la probabilità di infezione persistente. In questo caso, si possono sviluppare lesioni precancerose che possono poi progredire fino al cancro della cervice. La probabilità di progressione delle lesioni è correlata anche ad altri fattori, quali l’elevato numero di partner sessuali, il fumo di sigaretta, l’uso a lungo termine di contraccettivi orali, e la co-­‐infezione con altre infezioni sessualmente trasmesse (5). Generalmente il tempo che intercorre tra l’infezione e l’insorgenza delle lesioni precancerose è di circa cinque anni, mentre la latenza per l’insorgenza del carcinoma cervicale può essere di decenni (5). Per questo, la prevenzione del carcinoma è basata su programmi di screening, che consentono di identificare le lesioni precancerose e di intervenire prima che evolvano in carcinoma.

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Neoplasia Intraepiteliale Cervicale La neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN) è definita come uno spettro di modificazioni intraepiteliali che inizia con una minima atipia e progredisce, attraverso stadi in cui si manifestano alterazioni intraepiteliali più marcate, fino al carcinoma squamocellulare invasivo. Esistono 3 gradi di CIN: • CIN 1 : displasia lieve • CIN 2 : displasia moderata • CIN 3 : displasia severa/carcinoma in situ Il sistema Bethesda per la refertazione delle diagnosi citologiche cervicali/vaginali raggruppa queste lesioni in maniera leggermente differente: • SIL a basso grado (LSIL, low SIL) : lesione che raramente progredisce in forme più gravi e che in genere scompare (CIN 1, displasia lieve) • SIL alto grado (HSIL, hig SIL) : lesioni istologiche più severe (CIN 2, CIN 3), che tendono a progredire e richiedono pertanto un trattamento La CIN è una patologia dell’epitelio metaplastico presente nella zona di trasformazione o nell’endocervice. L’estensione della zona di trasformazione determina la distribuzione della CIN sulla porzione esposta della cervice. Nella CIN viene alterato il normale processo di maturazione dell’epitelio squamoso cervicale Neoplasia Intraepiteliale Cervicale CIN 1  Cambiamenti più pronunciati evidenti nel terzo basale dell’epitelio; Cellule con atipie morfologiche presenti in tutto lo spessore dell’epitelio; Il citoplasma mantiene una sostanziale differenziazione man mano che le cellule atipiche avanzano attraverso i due terzi superiori dell’epitelio; I nuclei negli strati superiori sono morfologicamente atipici. CIN 2  Maggior parte delle anomalie cellulari confinate nei terzi inferiore e medio dell’epitelio, Aspetti di differenziazione cellulare sono ancora presenti nel terzo superiore (in misura inferiore rispetto alla CIN 1). CIN 3  Cellule dell’epitelio superficiale non mostrano differenziazione. Il 20% dei casi di CIN 3 progredisce a carcinoma invasivo nell’arco di 10 anni. Neoplasia Squamocellulare Carcinoma squamocellulare microinvasivo  Stadio più precoce (Ia) del carcinoma cervicale invasivo. Presenta cellule neoplastiche che invadono minimamente lo stroma. I piccoli aggregati di cellule o nidi solidi nello stroma hanno le seguenti caratteristiche: • Profondità di invasione minore di 3mm (stadio Ia1) o 5mm (stadio Ia2) al di sotto della membrana basale • 7mm di estensione massima laterale

La neoplasia squamo cellulare è il tipo più comune di neoplasia cervicale. La sua frequenza è in diminuizione negli Stati Uniti (13000 nuovi casi/anno). Causa principale di mortalità per carcinoma nelle aree in via di sviluppo.

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Fisiopatologia:

Morfologicamente si distinguono diversi stadi: Stadi iniziali: • Lesione erosa, granulosa, a limiti mal definiti oppure • Massa nodulare od esofitica • Se si sviluppa all’interno del canale endocervicale, può apparire come massa endofitica, che infiltra lo stroma e causa ampio allargamento e indurimento della cervice (“cervice a barile”) All’esame istologico: Maggior parte dei tumori mostra aspetto non cheratinizzante caratterizzato da nidi solidi di cellule squamose neoplastiche ampie, con soli aspetti di cheratinizzazione a cellula singola. La maggior parte dei restanti carcinomi mostra nidi di cellule cheratinizzanti arrangiate in strutture spiraliformi concentriche, le “perle cornee”. Aspetto meno comune è il carcinoma a piccole cellule, forma più aggressiva e associata alla peggior prognosi. È costituito da masse infiltranti di cellule neoplastiche piccole, coese, non cheratinizzate. Diffusione: • Per contiguità e tramite vasi linfatici, raramente per via ematogena • Localmente può invadere parametri, con conseguente compressione ureterale, vescica, retto, ecc. • Linfonodi interessati da metastasi possono essere i linfonodi paracervicali, ipogastrici e iliaci interni. Clinicamente nello stadio iniziale si può avere sanguinamento vaginale dopo un rapporto sessuale, irrigazione vaginale. Negli stadi avanzati i sintomi dipendono da modo ed entità di disseminazione metaplastica. Le determinazione dello stadio clinico del carcinoma cervicale è miglior indice prognostico di sopravvivenza. Percentuale di sopravvivenza a 5 anni: 60%. Stadiazione clinica FIGO:

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Per ciascuno stadio la percentuale di sopravvivenza a 5 anni si distribuisce: • Stadio I: 90% • Stadio II: 75% • Stadio III: 35% • Stadio IV: 10% La terapia: Isterectomia radicale indicata nei tumori localizzati, specie in giovani donne. Radioterapia o radioterapia combinata ad isterectomia in stadi più avanzati. Adenocarcinoma cervicale Rappresenta il 20% dei tumori cervicali maligni. L’età media alla presentazione è 56 anni. Maggior parte dei tumori è di tipo endocervicale (mucinoso). Stessi fattori epidemiologici del carcinoma squamo cellulare. Diffusione metastatica analoga a quella del carcinoma squamo cellulare. Adenocarcinoma in situ  Generalmente origina dalla giunzione squamocolonnare e si estende all’interno del canale endocervicale. Caratterizzato da cellule cilindriche alte con citoplasma eosinofilo o mucinoso. È una proliferazione intraepiteliale e quindi viene mantenuta la normale architettura delle ghiandole endocervicali. Le cellule mostrano lieve ingrandimento, nuclei atipici ipercromatici, aumento del rapporto nucleo-­‐citoplasma, mitosi in numero variabile CIN di alto grado è presente nel 40% dei casi Adenocarcinoma invasivo  Massa papillare o polipoide vegetante. I tumori esofitici hanno spesso asspetto papillare; i tumori endofitici mostrano aspetti tubulari o ghiandolari. Tumori scarsamente differenziati sono costituiti da lembi cellulari solidi. Diffusione per invasione locale o per via linfatica. Sopravvivenza globale bassa rispetto al carcinoma squamo cellulare. Trattamento simile a quello del carcinoma squamo cellulare. UTERO IL CORPO UTERINO Il corpo uterino è più piccolo della cervice alla nascita e durante l’infanzia, ma aumenta rapidamente di dimensioni dopo la pubertà. È costituito da : • ENDOMETRIO (strato interno) • MIOMETRIO (strato muscolare medio) • PARAMETRIO (strato sieroso esterno) L’endometrio, composto da ghiandole e stroma, è sottile alla nascita, costituito da uno strato continuo di epitelio cuboidale che si approfonda nello stroma a rivestire poche ghiandole tubulari. Dopo la pubertà l’endometrio si ispessisce. I 2/3 della superficie (zona functionalis) rispondono alla stimolazione ormonale e si sfaldano ad ogni ciclo mestruale. Il terzo più profondo, lo strato basale, a ogni ciclo mestruale rigenera una nuova zona funzionale. L’endometrio è irrorato dalle arterie arcuate che attraversano lo strato esterno del miometrio e danno origine a 2 gruppi di vasi: uno per il miometrio e uno (arterie radiali) per l’endometrio. A loro volta le arterie radiali si ramificano in due tipi di vasi: • Le arterie basali: irrorano l’endometrio basale • Le arterie spirali: irrorano i 2/3 superiori dell’endometrio

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Ciclo mestruale Serie di modificazioni sequenziali che favoriscono la crescita dell’ovocita. In assenza del concepimento l’endometrio si sfalda e poi si rigenera per il ciclo successivo. Si possono distinguere 2 fasi del ciclo mestruale: 1. Fase proliferativa: • Primi 14 giorni del ciclo • Sotto la stimolazione estrogenica • Zona funzionale caratterizzata da ghiandole di forma variabile da tubulare a tortuosa • Stroma cellulato, monomorfo • Via via che la proliferazione avanza le ghiandole diventano più tortuose e aumentano il loro calibro. • L’epitelio cilindrico che riveste le ghiandole diventa epitelio pseudostratificato mitoticamente attivo. • Le ghiandole producono una secrezione acquosa alcalina. • Lo stroma è mitoticamente attivo • Le arterie spirali hanno un lume ristretto 2. Fase secretiva: • Dopo l’ovulazione, il follicolo graafiano, che ha espulso l’ovulo, diventa corpo luteo mestruale. • Le cellule della granulosa del corpo luteo vanno incontro a luteinizzazione e iniziano a produrre progesterone, l’ormone che trasforma l’endometrio da proliferativo a secretivo • Dal 17° al 19° giorno: Ghiandole endometriali si allargano, si dilatano e diventano tortuose Le cellule di rivestimento sviluppano vacuoli subnucleari ricchi di glicogeno Le cellule ghiandolari producono copiose secrezioni.. • Dal 20° al 22° giorno: Ghiandole endometriali si allargano, si dilatano e diventano tortuose Edema stromale • 23° giorno: Le cellule stromali si allargano e mostrano nuclei vescicolosi, ampi, e abbondante citoplasma eosinofilo. Queste cellule sono i precursori delle cellule decicuali della gravidanza e sono denominate predeciduali. • 27° giorno: Tutto lo stroma è predecidualizzato e pronto per la mestruazione. Le ghiandole tubulari continuano a dilatarsi e assumono contorni dentellati. NOTA BENE: In assenza di una gravidanza, senza blastocisti che producono gonadotropina corionica umana (ß-­‐HCG) i livelli di progesterone crollano, l’endometrio si coarta, le arterie spirae lo stroma si disgrega. La mestruazione inizia al 28° giorno, dura da 3 a 7 giorni, comporta un flusso pari a circa 35mL di sangue. La superficie endometriale denudata è riepitelizzata per diffusione dell’epitelio ghiandolare residuo. Endometrio atrofico Dopo la menopausa il numero di di ghiandole e lo stroma diminuiscono progressivamente. Le ghiandole residue sono orientate parallelamente alla superficie e lo stroma contiene abbondante glicogeno. Le ghiandole atrofiche molto spesso appaiono fortemente dilatate, aspetto denominato atrofia cistica senile dell’endometrio Endometrio in gravidanza Sotto lo stimolo del progesterone prodotto dal corpo luteo gravidico l’endometrio diviene ipersecretorio. L’endometrio ipersecretorio mostra ghiandole dilatate rivestite da cellule con abbondante glicogeno. La risposta ipersecretoria può divenire esagerata nella gravidanza intrauterina, nella gravidanza ectopica e nella patologia del trofoblasto. In queste circostanze i nuclei delle cellule ghiandolari diventano grandi, globosi e poliploidi. I nuclei protrudono al di là dei confini citoplasmatici all’interno del lume ghiandolare, aspetto denominato reazione di Arias-­‐Stella

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ANOMALIE CONGENITE Agenesia  Per difetto di sviluppo dei dotti mulleriani. Quasi sempre accompagnata da altre anomalie del tratto urogenitale quale l’assenza della vagina e delle tube di Falloppio Utero didelfo  Doppio utero. Riflette un difetto di fusione dei due dotti mulleriani durante le fasi precoci della vita embrionale. In genere accompagnato dalla presenza di una doppia vagina Utero doppio bicorne  Utero con una parete in comune a due distinte cavità endometriali. La parete comune interposta tra i dotti mulleriani giustapposti non regredisce e forma una singola cavità uterina. Utero setto  Utero unico con la presenza di un setto parziale a causa dell’incapacità della parete dei dotti mulleriani di riassorbirsi completamente. Aumentato rischio di aborti ripetuti. Utero bicorne  Utero con due “corni” e una cervice comune. Difetti di fusione uterina di tipo didelfico o bicorne comportano un lieve aumento d’incidenza di parti prematuri ENDOMETRITE Infiammazione dell’endometrio è diagnosi istologica che si basa sulla presenza di infiltrato infiammatorio anomalo nell’endometrio. Raramente si riconosce una causa specifica. Può essere distinta in acuta e cronica. Endometrite acuta  Anomala presenza di leucociti polimorfonucleati nell’endometrio. Nella maggior parte dei casi è dovuta a infezioni ascendenti dalla cervice. Il Curettage diagnostico e spesso curativo (Il curette è una maniglia del metallo con un ciclo all'estremità. Il ciclo è usato per raschiare le cellule dal rivestimento uterino. Il tessuto è rimosso dall'endometrio ed è trasmesso al laboratorio per esame). Endometrite cronica  Presenza di plasmacellule nell’endometrio. È associata a dispositivi intrauterini (IUD), alla malattia infiammatoria pelvica (PID) e alla persistenza di residui del concepimento dopo un aborto o un parto. I principali sintomi sono sanguinamento, dolore pelvico o entrambi. In genere è autolimitantesi PIOMETRIA Pus nella cavità endometriale. Associata ad ogni lesione che causi una stenosi cervicale-­‐ Una piometra di vecchia data può essere associata allo sviluppo seppur raro di un carcinoma squamocellulare dell’utero. LESIONI TRAUMATICHE -­‐ Dispositivi intrauterini, che predispongono a : • Aumento del flusso mestruale • Perforazione uterina • Aborti spontanei quando il concepimento avviene con lo IUD posizionato -­‐ Aderenze intrauterine (sindrome di Asherman) • Aderenze intrauterine fibrose che si formano dopo un raschiamento uterino • Bande fibrose che attraversano la cavità uterina • Ulteriori complicanze possono essere amenorrea, aumentata frequenza di aborto, travaglio pretermine o placenta accreta ADENOMIOSI Presenza di ghiandole endometriali e stroma all’interno del miometrio. Clinicamente si manifesta con dolore, dismenorrea, menorragia. 1/5 di tutti gli uteri rimossi chirurgicamente mostra un certo grado di adenomi osi. Macroscopicamente talvolta l’utero è ingrandito dalla muscolatura liscia, ipertrofica attorno ai focolai di adenomiosiAll’esame macroscopico miometrio mostra piccole aree soffici, rossastre, alcune delle quali sono cistiche. L’esame istologico mostra ghiandole rivestite da un endometrio da debolmente proliferativo a inattivo, circondate da stroma endometriale con vari gradi di fibrosi. TUMORI DELL’UTERO Nomenclatura dei tumori dell’utero

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Polipo endometriale  Si manifestano dal punto di vista clinico prevalentemente nel periodo postmenopausale e sono praticamente assenti prima del menarca. Si ipotizza che originino da focolai di endometrio ipersensibili alla stimolazione estrogenica o non responsivi al progesterone. Non si sfaldano durante la mestruazione ma continuano a proliferare. Nella maggior parte dei casi originano nel fondo. Possono essere lunghi pochi mm o occupare tutta la cavità endometriale. Nella maggior parte dei casi sono singoli, nel 20% dei casi sono multipli. All’esame istologico l’asse centrale del polipo è costituito da : 1. Ghiandole endometriali, spesso cisticamente dilatate e iperplastiche 2. Stroma endometriale fibroso 3. Vasi ematici dilatati, tortuosi, a parete spessa, che originano da un’arteria perforante che normalmente andrebbe a irrorare la zona basale dell’endometrio Rivestimento di epitelio endometriale ricopre la superficie del polipo. L’epitelio ghiandolare raramente è in uno stadio del ciclo corrispondente a quello dell’endometrio normale, adiacente. Tipicamente si manifestano con sanguinamento intermestruale, dovuto ad ulcerazione superficiale o infarto emorragico Nello 0,5% dei casi danno origine ad un adenocarcinoma Iperplasia endometriale  Spettro di alterazioni che va da un semplice affollamento ghiandolare a un’intensa proliferazione di ghiandole atipiche, difficili da differenziare rispetto a un carcinoma precoce. Il rischio di sviluppare un carcinoma endometriale aumenta con la progressione dei gradi di iperplasia endometriale. I carcinomi che si sviluppano in donne con iperplasia sono in genere adenocarcinomi endometrioidi. Frequentemente si riscontra una relazione con l’esposizione a estrogeni È possibile classificare l’iperplasia endometriale in: -­‐ Semplice: • Minima complessità e affollamento ghiandolare • Nessuna atipia citologica • 1% dei casi progredisce ad adenocarcinoma -­‐ Complessa: • Marcata complessità e affollamento ghiandolare • Nessuna atipia citologica • Ghiandole aumentate di numero • Stroma interposto alle ghiandole scarso • 3% dei casi evolve in un adenocarcinoma -­‐ Atipica: • Atipia citologica • Marcato affollamento ghiandolare con aspetti di tipo “back-­‐to-­‐back” • Ghiandole possono avere una struttura complessa, con una disposizione papillare intraluminale oppure un aspetto di ghiandole che “gemmano” nello stroma • Cellule epiteliali ingrandite e ipercromiche, con nucleoli prominenti e aumentato rapporto nucleo-­‐citoplasma

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¼ di questi casi progredisce ad adenocarcinoma, quasi sempre di tipo endometrio ide Una classificazione più recente introduce una nuova entità: Neoplasia intraepiteliale endometriale (EIN). Essa è basata sul concetto che i principali precursori morfologici del carcinoma endometriale sono lesioni monoclonali benigne che mostrano una continuità nell’acquisizione di marcatori genetici durante la trasformazione maligna . In questa neoplasia l’area occupata dalle ghiandole è maggiore di quella occupata dallo stroma. Il focolaio anomalo deve essere superiore a 1mm e citologicamente differente dal restante endometrio. Le lesioni EIN hanno inizio in focolai e crescono di dimensione nel tempo, fino a diventare carcinoma. I 2/3 delle EIN presentano la perdita di funzione del gene PTEN. Clinicamente l’iperplasia endometriale può essere il risultato di cicli anovulatori, di una sindrome dell’ovaio policistico, di un tumore producente estrogeni o dell’obesità. Un trattamento con progestinici può indurre una remissione obiettiva. L’isterectomia è trattamento indicato in donne non più fertili e in quelle con iperplasia significativa. Circa 1/6 degli uteri asportati per iperplasia avanzata mostra piccoli focolai di adenocarcinoma ADENOCARCINOMA DELL’ENDOMETRIO Quarto carcinoma più frequente nelle donne americane. Carcinoma più frequente in ambito ginecologico. Incidenza varia con l’età: ¾ delle donne con adenocarcinoma endometriale sono in età postmenopausale. Età media alla diagnosi: 63 anni. Sono noti diversi fattori di rischio • Prolungata stimolazione estrogenica • Obesità • Diabete • Nulliparità • Menarca precoce • Menopausa tardiva • Tumori a cellule della granulosa secernenti estrogeni Tutte queste condizioni hanno in comune un IPERESTRENISMO RELATIVO! Il carcinoma endometriale si associa ad una più alta incidenza sia di carcinoma mammario che di carcinoma ovarico in donne con una stretta parentela. Rappresenta il carcinoma extracolico più frequente in donne con sindrome ereditaria del cancro del colon non associato a poliposi (sindrome di Linch II). I carcinomi non endometrioidi, in particolare l’adenocarcinoma sieroso e quello a cellule chiare, non sono correlati all’esposizione all’estrogeno. In genere si verificano in donne alla sesta-­‐ settima decade di vita. L’endometrio adiacente è in genere atrofico. L’adenocarcinoma endometriale è classificato secondo diversi gradi: •

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L’adenocarcinoma cresce con aspetto diffuso e polipoide e spesso tende a coinvolgere molteplici aree. I tumori di grandi dimensioni sono in genere emorragici e necrotici. Ne esistono diversi sottotipi: -­‐-­‐ Adenocarcinoma endometrioide  Costituito interamente da ghiandole. Rappresenta la variante più comune (60%). Il sistema FIGO divide questo tumore in tre gradi sulla base del rapporto fra elementi ghiandolari ed elementi a struttura solida: • Grado I: altamente differenziato; costituito quasi esclusivamente da ghiandole neoplastiche • Grado II: moderatamente differenziato • Grado III: scarsamente differenziato; ampie aree (>50%) di componente tumorale solida Microscopicamente si notano nuclei vescicolosi, pleomorfi e mostrano nucleoli prevalenti, figure mitotiche abbondanti e spesso atipiche. Le cellule tumorali crescono in lembi solidi e in genere sono scarsamente differenziate. -­‐-­‐ Adenocarcinoma endometrioide con differenziazione squamosa  1/3 di tutti i carcinomi endometrioidi contiene cellule squamose. Se la componente squamosa è ben differenziata e mostra non più che una minima atipia il tumore è denominato adenocarcinoma endometrioide con differenziazione squamosa ( o adenoacantoma). Se la componente squamosa è maligna il tumore è denominato scarsamente differenziato con differenziazione squamosa (carcinoma adenosquamoso). Rappresentano rispettivamente il 22% ed il 7% di tutti i carcinomi endometri ali. Spesso coesistono con un carcinoma ovarico sincrono che ha la stessa istologia. -­‐-­‐ Adenocarcinoma sieroso  Assomiglia istologicamente all’adenocarcinoma sieroso dell’ovaio Mostra spesso diffusione transcelomatica. La forma in situ è denominata “carcinoma intraepiteliale endometriale” (EIC). -­‐-­‐ Adenocarcinoma a cellule chiare  Tumore delle donne anziane. È composto da cellule grandi con un cospicuo citoplasma ricco di glicogeno (a cellule chiare) o da cellule con nuclei globosi (cellule hobnail). Sono associati ad una prognosi sfavorevole. -­‐-­‐ Carcinoma secretorio  Cellule con vacuolizzazione subnucleare. In genere colpisce donne in età premenopausale. Le cellule carcinomatose rispondono al progesterone con formazione di ampi vacuoli subnucleari di glicogeno. La prognosi favorevole rispetto ad altri adenocarcinomi Clinicamente l’adenocarcinoma dell’endometrio colpisce le donne in età peri-­‐ o post-­‐ menopausale. Il sintomo principale è un sanguinamento uterino anomalo. All’ecografia: endometrio di spessore > 5mm fortemente sospetto. Può diffondere direttamente ai linfonodi paraortici, saltando pertanto i linfonodi pelvici e può dar luogo a metastasi polmonari (40% dei tumori metastatici). Terapia: Isterectomia semplice se carcinoma ben differenziato e limitato all’endometrio. Isterectomia + radioterapia se: • Tumore scarsamente differenziato • Miometrio invaso oltre la metà del proprio spessore • Cervice coinvolta • Metastasi linfonodali La stadi azione chirurgica è

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La sopravvivenza legata a molteplici fattori: 1. Stadio e grado 2. Età alla diagnosi 3. Altri fattori di rischio misurabili come: l’attività del recettore progestinico, la profondità dell’invasione miometriale, l’estensione dell’invasione vascolare, gli esiti del lavaggio peritoneale TUMORI STROMALI DELL’ENDOMETRIO Meno del 2% di tutte le neoplasie maligne uterine. Alcuni sono sarcomi puri, altri mostrano un’intima commistione di elementi sarcomatosi (stromali) e carcinomatosi (epiteliali). I tumori stromali puri sono divisi in due categorie principali in base ai margini della crescita tumorale, che possono essere espansivi o infiltrativi: 1. Noduli stromali benigni: lesioni espansive che non invadono lo stroma; scarsa rilevanza clinica. 2. Sarcomi stromali: margini infiltrativi. Può essere polipoide e occupare interamente la cavità endometriale oppure può invadere diffusamente il miometrio. È formato da cellule fusate simili alle cellule dello stroma endometriale nella fase proliferativa del ciclo. Possied una ricca rete vascolare di supporto, con cellule neoplastiche disposte concentricamente attorno ai vasi ematici. L’atipia nucleare può variare da minima a severa. L’attività mitotica può essere bassa o esuberante. L’espressione del CD-­‐10 aiuta a confermare la diagnosi. Clinicamente è caratterizzato da frequenti recidive, dapprima pelviche poi anche metastasi linfonodali. In presenza di tumori di piccole dimensioni o di sarcomi a basso grado possono trascorrere anche molti anni prima che la recidiva si manifesti clinicamente. I sarcomi ad alto grado recidivano precocemente, in genere con metastasi diffuse ADENOSARCOMA UTERINO Tumore a basso grado costituito da una combinazione di epitelio ghiandolare benigno e stroma maligno. Si mostra come una massa polipoide all’interno della cavità endometriale ed è costituito da epitelio ghiandolare che somiglia a quello delle ghiandole endometriali nella fase proliferativa. Le cellule stromali sono maligne e somigliano alle cellule stromali endometriali nella fase proliferativa del ciclo. Circa ¼ delle pazienti decede per recidiva locale o per la diffusione metastatica. CARCINOSARCOMA (tumore mesodermico misto maligno)

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Tumore costituito da una combinazione di epitelio ghiandolare maligno e stroma maligno. Origina da cellule staminali multitipotenti. La sopravvivenza globale a 5 anni è del 25%. LEIOMIOMA È il tumore più comune dell’apparato genitale femminile. È benigno e origina dal muscolo liscio. Colpisce nel 75% delle donne con più di 30 anni, mentre sono rari prima dei 20 anni. In genere regrediscono dopo la menopausa. Spesso sono multipli. L’estrogeno ne promuove la crescita Macroscopicamente sono duri, di colore grigiastro, fascicolati e sprovvisti di capsula. Possono misurare da 1mm a più di 30cm di diametro. I margini sono lisci e distinti rispetto al miometrio circostante. Esistono diverse forme: • Intramurali • Sottomucosi • Sottosierosi • Peduncolati Spesso sono presenti aree di ialinizzazione degenerativa separate dall’adiacente miometrio (al contrario una necrosi a carta geografica è tipica del leiomosarcoma). I leiomiomi che hanno bassa attività mitotica (<4 mitosi per 10 campi a forte ingrandimento [HPF]) e sono privi di atipia nucleare e necrosi a carta geografica non hanno potenziale maligno. All’esame istologico mostrano fasci di cellule fusate uniformi che si intersecano. Ci sono nuclei allungati e con estremità smussate, citoplasma abbondante, eosinofilo e fibrillare. Clinicamente i leiomiomi sottomucosi possono causare sanguinamento per ulcerazione dell’endometrio sovrastante. Alcuni di questi diventano peduncolati e protrudono dall’orifizio cervicale e provocano dolori crampi formi. Possono dare sintomi per l’effetto massa. Possono interferire con la funzione intestinale o vescicale e causare distocia in corso di travaglio di parto. In genere crescono lentamente, ma talvolta s’ingrandiscono rapidamente durante la gravidanza I grandi leiomiomi sintomatici sono rimossi con la miomectomia o l’isterectomia. Una terapia alternativa è l’ablazione mediante trombosi arteriosa Leiomiomatosi intravenosa Rara. Si tratta di crescita di tessuto muscolare benigno all’interno delle vene uterine e pelviche. Origina dall’invasione vascolare da parte di un preesistente leiomioma o dalla crescita di tessuto muscolare liscio appartenente alla parete venosa. Non metastatizza. Trattamento: isterectomia radicale. LEIOMIOSARCOMA Neoplasia maligna che origina dal tessuto muscolare liscia. Incidenza: 1/1000 rispetto alla controparte benigna. Rappresenta circa il 2% dei tumori maligni uterini. Colpisce in genere donne oltre i 50 anni d’età. Morfologicamente è simile al leiomioma ma diversamente da questo è soffice e contiene aree di necrosi visibili all’esame macroscopico; i margini irregolari, non protrude dalla superficie di taglio. All’esame istologico criteri diagnostici sono: 1. Attività mitotica 2. Atipia cellulare 3. Necrosi a carta geografica (cioè necrosi basofila ed a contorni irregolari) Gli elementi diagnostici sono: • 10 o più mitosi per 10 HPF • 5 o più mitosi per 10 HPF, con atipia nucleare e necrosi a carta geografica • Tumori muscolari lisci mixoidi ed epitelioidi con 5 o più mitosi per 10 HPF La dimensione è un importante fattore prognostico: tumori inferiori a 5 cm di diametro quasi mai recidivano. La maggior parte dei leiomiosarcomi è di grandi dimensioni e in stadio avanzato al momento della diagnosi. Circa metà si metastatizza inizialmente al polmone. La sopravvivenza a 5 anni è di circa il 20%

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OVAIE Le ovaie sono organi pari situati ad entrambi i lati dell’utero. Sono attaccate alla superficie posteriore del legamento largo in una fossa peritoneale poco profonda fra i vasi iliaci esterni e gli ureteri. Struttura dell’ ovaio : 1. Epitelio di superficie 2. Stroma mesenchimale contenente cellule che producono steroidi 3. Cellule germinali Queste strutture consentono una suddivisione in una parte corticale (esterna) e una parte midollare (interna). Compaiono precocemente nella vita embrionale come rigonfiamenti delle creste genitali. Al 19° giorno di gestazione le cellule germinali migrano dal sacco vitellino primitivo alle gonadi e si moltiplicano per divisione mitotica. Al 40° giorno le ovaie e i testicoli sono istologicamente distinti. Verso il III trimestre della vita fetale le cellule germinali interrompono la divisione mitotica e continuano a svilupparsi per meiosi. Su 1 milione di follicoli primordiali (alla nascita) solo il 70% rimane alla pubertà e meno del 25% a 25 anni. Soltanto 450 ovociti circa sono effettivamente liberati nel corso di un periodo riproduttivo di 35 anni. Istologicamente il mesenchima della corteccia è formato da cellule fusate simili a fibroblasti. Queste danno origine alle cellule della granulosa e della teca, che formano l’unità funzionale attorno a ciascun ovocita (teca interna e teca esterna). Il complesso formato da cellula germinale e cellule della granulosa di supporto è il FOLLICOLO PRIMORDIALE. Nel periodo riproduttivo, ogni mese si sviluppa un follicolo dominante (FOLLICOLO GRAAFIANO) che poi si rompe durante l’ovulazione. A seguito dell’ovulazione le cellule della granulosa vanno incontro a luteinizzazione, un processo caratterizzato da ipertrofia e accumulo di lipidi. In questa fase le cellule secernono progesterone oltre ad estrogeni. Il follicolo collassato assume un colore giallo brillante e si trasforma in CORPO LUTEO.

Le cellule dello stroma ovarico sono quelle dell’ilo e quelle che assomigliano alle cellule della teca interna. Sono entrambe responsive agli ormoni ipofisari. Sintetizzano e secernono ormoni sia androgeni che estrogeni . LESIONI CISTICHE Sono le cause più comuni di ingrossamento ovarico. Si distinguono: • Cisti sierose • Cisti follicolari

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Cisti del corpo luteo Cisti della teca luteinica

Cisti follicolari  hanno strutture a parete sottile, ripiene di liquido. Sono rivestite internamente da cellule della granulosa ed esternamente da uno strato di cellule della teca interna. Si presentano ad ogni età fino alla menopausa. Sono uniloculate e possono essere singole o multiple, unilaterali o bilaterali. Originano dai follicoli ovarici, probabilmente correlate ad anomalie nel rilascio di gonadotropine ipofisarie Cisti del corpo luteo  Risultato del ritardato riassorbimento della cavità centrale del corpo luteo stesso. È tipicamente uniloculare, da 3 a 5 cm di diametro, provvista di una parete giallastra. Il contenuto è variabile da fluido siero-­‐ematico a sangue coagulato. È costituito da numerose cellule della granulosa di grandi dimensioni, luteinizzanti. È una condizione autolimitantesi. Cisti della teca luteinica  Comunemente multiple e bilaterali. Sono associate ad alti livelli circolanti di gonadotropina (es. in gravidanza, nella mola idatiforme, nel coriocarcinoma e nella terapia con gonadotropina esogena). All’esame istologico mostrano uno strato di cellule della teca interna marcatamente luteinizzato SINDROME DELL’OVAIO POLICITICO (Sindrome di Stein-­Leventhal) Manifestazioni cliniche correlate alla secrezione di un eccesso di ormoni androgeni. È caratterizzata da: • Anovulazione persistente • Ovaie contenenti molte piccole cisti sub capsulari Teoria patogenetica:

Macroscopicamenre entrambe le ovaie sono ingrandite. La corticale risulta ispessita e con numerose cisti, da 2 a 8 mm di diametro disposte alla periferia attorno a un denso asse stromale All’esame istologico si notano numerosi follicoli in stadio precoce di sviluppo, atresia follicolare, stroma aumentato, a volte con cellule luteinizzate (ipertecosi), segni morfologici dell’assenza di ovulazione (capsula spessa, liscia e assenza di corpi lutei e corpi albicanti). Sindrome dell’ovaio policistico (Sindrome di Stein-­‐Leventhal) Clinicamente colpisce pazienti nella seconda decade di vita e si manifesta con obesità precoce, problemi mestruali e irsutismo. La metà delle pazienti è in amenorrea. Il 75% delle donne affette è effettivamente infertile (alcune donne occasionalmente ovulano). Inoltre è associato ad aumentata incidenza di iperplasia endometriale e adenocarcinoma. La terapia è principalmente ormonale.

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IPERTRICOSI STROMALE Si tratta di una luteinizzazione focale delle cellule stromali dell’ovaio. Le cellule stromali luteinizzate sono spesso funzionanti e causano virilizzazione. Più comunemente si manifesta in donne in postmenopausa Macroscopicamente entrambe le ovaie possono essere ingrandite. La sierosa ovarica è liscia, con superficie di taglio omogenea, dura e di colore da bruno a giallastro. Nella corticale o nella midollare sono presenti singoli nidi o noduli di cellule stromali luteinizzate. Ipertecosi stromale TUMORI Il carcinoma ovarico è la 2° neoplasia ginecologica più frequente dopo il carcinoma dell’endometrio. Le neoplasie ovariche principali sono più di 25; con le varianti e le entità rare il loro numero supera le 100. Sono distinti in base al tessuto di origine:

Tumori epiteliali Possono essere classificati in generale come: • Benigni: rivestimento costituito da un songolo strato di cellule epiteliali ben differenziate e normalmente orientate. Se sono presenti strutture papillari, queste consistono in uno stroma fibroso ben vascolarizzato ricoperto da un singolo strato di cellle dello stesso tipo. • A malignità borderline (proliferazioni atipiche o a basso potenzial di malignità): sono neoplasie altamente proliferative in cui l’epitelio può essere costituito da 2 0 3 strati dei cellule ed in cui le strutture papillari, se presenti, possono essere molto complesse. Le cellule epiteliali mostrano un moderato grado di displasia. Il più importante criterio per definire queste lesioni è la ASSENZA DI INVASIONE STROMALE. • Maligni: sono costituiti da una componente epiteliale anaplastica che INFILTRA SIA LO STROMA SIA LE STRUTTURE ADIACENTI. Le cellule tumorali sono scarsamente differenziate e sono disposte in più strati. Sono correlati al ripetuto danno, e conseguente riparazione, dell’epitelio di superficie. Colpiscono più comunemente le donne nullipare e meno frequentemente si verificano in donne in cui l’ovulazione è stata soppressa. In alcuni casi vi è una storia familiare di carcinoma ovarico. Mutazioni di BRCA-­‐1 incriminato nella patogenesi dei carcinomi ovarici familiari. La maggior parte di questi tumori origina dall’epitelio di superficie o dalla sierosa dell’ovaio. Durante la vita embrionale la cavità celomatica è rivestita da mesotelio, parti del quale diventano specializzate a formare l’epitelio sieroso che riveste la cresta gonadica. Lo stesso rivestimento mesoteliale dà origine ai dotti mulleriani, dai quali originano le tube di Falloppio, l’utero e la vagina. Man mano che le ovaie si sviluppano l’epitelio di superficie può estendersi all’interno

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dello stroma gonadico a formare ghiandole e cisti. In alcuni casi queste inclusioni diventano neoplastiche e mostrano una varietà di differenziazioni di tipo mulleriano. In ordine decrescente di frequenza i tumori epiteliali comuni sono: • Tumori sierosi (cellule assomigliano all’epitelio delle tube di Falloppio) • Tumori mucinosi (cellule simili a quelle della mucosa dell’endocervice) • Tumori endometrioidi (ricordano la struttura ghiandolare dell’endometrio) • Tumori a cellule chiare (cellule ricche in glicogeno simili a quelle delle ghiandole endometriali in gravidanza) • Tumori a cellule transizionali (cellule simili a quelle della mucosa vescicale) • Tumori misti Cistoadenomi  I tumori epiteliali comuni benigni sono quasi sempre adenomi sierosi o mucinosi. Si manifestano in genere in donne di età compresa tra 20 e 60 anni. Sono frequentemente di grandi dimensioni (spesso da 15 a 30 cm di diametro) e tipicamente cistici. I cistoadenomi sierosi sono più frequentemente BILATERALI (15%) rispetto ai mucinosi. Tendono ad essere uniloculari. I tumori mucinosi tipicamente mostrano centinaia di piccole cisti (loculi). I tumori epiteliali benigni dell’ovaio tendono ad avere pareti sottili e sono privi di aree solide. Un singolo strato di cellule epiteliali cilindriche alte riveste le cisti. Le papille, quando presenti, consistono di un asse fibrovascolare rivestito da un singolo strato di epitelio cilindrico alto identico a quello del rivestimento della cisti. Tumore a cellule transazionali (tumore di Brenner)  E’ un tumore benigno che colpisce tutte le età, nella metà dei casi in donne con più di 50 anni. Le dimensioni sono variabili da un focolaio microscopico a masse grandi 8 cm o più di diametro. È formato da due componenti: 1. Nidi solidi di cellule simil-­‐transizionali (urotelio-­‐simili) 2. Stroma fibroso denso Tumori borderline  Gruppo ben preciso di tumori ovarici che hanno una prognosi eccellente, a dispetto delle caratteristiche istologiche indicative di un carcinoma. In genere colpiscono donne di età compresa tra 20 e 40 anni. I tumori sierosi sono più frequentemente bilaterali rispetto ai tumori mucinosi o agli altri tipi. Nei tumori sierosi è frequente trovare proiezioni papillari che si distinguono da quelle presenti nei cistoadenomi benigni per: 1. Stratificazione epiteliale 2. Atipie nucleari 3. Attività mitotica Se è presente più di che una microinvasione (definita come piccoli nidi di cellule epiteliali che invadono lo stroma ovarico per un’estensione non superiore ai 3 mm) il tumore è rimosso dalla categoria a malignità borderline e identificato come francamente maligno. Adenocarcinoma sieroso  E’ la neoplasia maligna più comune dell’ovaio. Circa i 2/3 dei carcinomi sierosi con estensione extragonadica sono bilaterali. In genere sono uniloculati o pauciloculati, con soffici e delicate papille che ricoprono l’intera superficie e comunemente contengono aree solide, spesso con necrosi ed emorragia. Istologicamente si distinguono diverse forme che variano da scarsamente differenziate a ben differenziate. • Nella forma scarsamente differenziata l’aspetto può essere in cospicuo, poiché la maggior parte delle aree è composta da lamine solide di cellule neoplastiche. L’invasione stromale e capsulare delle cellule tumorali è evidente. Sono presenti concrezioni calcifiche dette CORPI PSAMMOMATOSI in 1/3 dei casi. Adenocarcinoma mucinoso  Rappresenta circa il 10% di tutti i carcinomi ovarici. In circa, 1/6 dei casi sono bilaterali. Sono tipicamente multiloculari, con cisti piccole e spesso contengono alcune aree solide o altre con proiezioni papillari. Le aree cistiche appaiono come tumori benigni o borderline. Aspetti francamente maligni si riscontrano solo nelle aree solide. All’esame istologico lo stesso tumore può mostrare uno spettro completo di aspetti, da bene a scarsamente differenziato. • I tumori ben differenziati contengono ghiandole neoplastiche rivestite da cellule cilindriche alte, mucosecernenti, con alcune aree che in genere sono solide o cribiformi. • I tumori scarsamente differenziati mostrano nidi irregolare e cordoni di cellule tumorali e numerose figure mitotiche. L’invasione stromale rappresenta la regola, mentre frequentemente si ha anche invasione della sierosa.

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Adenocarcinoma endometrioide  Rappresenta ciirca 20% di tutti i carcinomi ovarici. Insorge più comunemente dopo la menopausa. Sono per la maggior parte maligni. Circa la metà di questi carcinomi sono bilaterali. Istologicamente assomiglia alla sua controparte endometriale. (già descritto). Adenocarcinoma a cellule chiare  Spesso si manifesta in associazione con l’endometriosi. Rappresenta circa il 5-­‐10% di tutti i carcinomi ovarici che in genere si presentano dopo la menopausa. Le dimensioni possono variare da 2 a 30 cm di diametro; nel 40% dei casi è bilaterale. Solitamente sono in parte cistici e mostrano necrosi ed emorragia nelle aree solide. Le cellule hanno citoplasma con struttura spongiosa, ampio e chiaro per accumuo di glicogeno. In qualche area i nuclei possono protrudere ne lume ghiandolare, dando il caratteristico aspetto a “chiodo di scarpone”. Clinicamente i tumori epiteliali sono per lo più non funzionanti e raramente danno sintomi fino a quando non sono grandi. Negli stadi avanzati possono causare dolore, senso di peso a livello pelvico o compressione degli organi vicini. Al momento della diagnosi molti carcinomi ovarici hanno solitamente già metastatizzato sulla superficie della pelvi, degli organi addominali o della vescica. La loro stadi azione clinica è la seguente:

Tumori delle cellule germinali Rappresentno circa ¼ di tutti i tumori ovarici. Nelle donne adulte sono praticamente tutti benigni, mentre nelle bambine e nelle giovani sono in gran parte maligni. Nelle bambine sono la forma più frequente di carcinoma ovarico. Sono invece rari dopo la menopausa. Vengono classificati in base al grado di differenziazione:

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I tumori germinali dell’infanzia tendono ad essere solidi e immaturi. I tumori che insorgono nelle giovani adulte mostrano maggiore differenziazione. I tumori a cellule germinali maligni che insorgono in donne con più di 40 anni in genere sono il risultato della trasformazione di una delle componenti di un teratoma cistico benigno. Caratteristica importante e grave è che questi tumori tendono ad essere altamente aggressivi. Disgerminoma  È la controparte ovarica del seminoma testicolare. È costituito da cellule germinali primordiali. Insorge maggior parte dei casi in pazienti con un’età compresa tra 10 e 30 anni. È bilaterale nel 15% dei casi circa. Spesso sono grandi, di consistenza dura, con superficie esterna bozzoluta. Alla superficie di taglio appaiono soffici e molli con aspetto carnoso. Istologicamente si notano grandi nidi di cellule tumorali omogeneamente uniformi, con citoplasma chiaro ripieno di glicogeno e nuclei centrali irregolarmente appiattiti. Il tumore è attraversato da setti fibrosi. Teratoma  Origina dalle cellule germinali e si differenzia in strutture somatiche. La maggior parte dei teratomi contiene tessuti che rappresentano almeno due, ma generalmente tutti e tre i foglietti embrionari. • Teratoma maturo: Neoplasia benigna che rappresenta ¼ di tutti i tumori ovarici. Picco di incidenza nella terza decade. È cistico e per più del 90% contiene cute, ghiandole sebacee e follicoli piliferi. Metà dei tumori mostra muscolo liscio, ghiandole sudoripare, cartilagine, osso, denti ed epitelio respiratorio. Struma ovarii: lesione cistica composta principalmente da tessuto tiroideo (5-­‐20% dei teratomi cistici maturi). 1% delle “cisti dermoidi” va incontro a trasformazione maligna. • Teratoma immaturo: Composto da elementi di derivazione dai tre foglietti germinali. Contiene tessuti embrionali. Principalmente solido e lobulato e contiene numerose piccole cisti. Le aree solide possono contenere osso e cartilagine immaturi. All’esame istologico si riscontrano molteplici componenti tumorali, incluse quelle differenziate in senso nervoso, ghiandole e altre strutture presenti nel teratoma maturo. • Tumore del Sacco Vitellino: Tumore altamente maligno delle donne con meno di 30 anni. Istologicamente somiglia al mesenchima del sacco vitellino. Tipicamente di grandi dimensioni con aree di necrosi ed emorragia. Aspetto istologico più frequente è quello retiforme. I corpi di Schiller-­‐Duval (formazioni papillari con asse vascolare, rivestite da cellule endodermiche embrionale, a localizzazione perivascolare. Ricordano i seni endodermici della placenta di ratto) sono presenti solo in una minoranza di tumori, ma sono caratteristici. Nel citoplasma delle cellule neoplastiche e negli spazi intercellulari è di solito presente un materiale ialini, PAS positivo, costituito da AFP. Coriocarcinoma  E’ un tumore raro che simula l’epitelio che ricopre i villi placentari. Si manifesta nelle giovani donne con sviluppo sessuale precoce, irregolarità mestruali o rapido accrescimento mammario. E’ un tumore di dimensioni variabili, unilaterale, solido ed estesamente emorragico. È costituito da cellule sinciziali che secernono gonadotropina corionica umana (hCG). Gonadoblastoma  Raro tumore ovarico che si distingue per l’associazione con vari tipi di disgenesia gonadica, specialmente in donne che hanno un cromosoma Y. La maggior parte delle

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donne colpite ha segni di virilizzazione ed è affetta da amenorrea primaria ed anomalie dello sviluppo dei genitali. Si tratta di un yumore solido spesso estesamente calcifico, che nella metà dei casi su un gonadoblastoma cresce un disgerminoma. Tumori dei cordoni sessuali e dello stroma gonadico Originano dai cordoni sessuali primitivi o dallo stroma mesenchimale delle gonadi in sviluppo e rappresentano circa il 10% di tutti i tumori ovarici. Fibroma  Tumori ovarici stromali più frequenti. Si verificano a tutte le età, con un picco nel periodo postmenopausale. Sempre benigni. Sono tumori solidi, duri e biancastri. Istologicamente le cellule sono simili a quelle dello stroma della normale corticale dell’ovaio. La metà dei tumori più grandi è associata ad ascite, raramente ad ascite e versamento pleurico (sindrome di Meigs). Tecoma  Tumori ovarici funzionanti che insorgono nelle donne in postmenopausa. Nella maggior parte dei casi danno segni riferibili alla produzione di estrogeni. Si tratta di tumori solidi, la maggior parte dei quali misura da 5 a 10 cm di diametro. La superficie di taglio è giallastra per la presenza di molte cellule della teca ricche in lipidi. Prendono origine dallo stroma ovarico e sono costituiti da fasci intrecciati di cellule fusate. Alcune di queste sono rigonfie e contengono LIPIDI (che sono l’espressione morfologica della secrezione di lipidi). La componente cellulare produce estrogeni. Possono andare incontro a complicanze come iperplasia endometriale e carcinoma. Tumore a cellule della granulosa  È il prototipo della neoplasia funzionante dell’ovaio associata alla secrezione di estrogeni. Deve essere considerato maligno per la sua capacità di disseminazione locale e la frequente insorgenza di metastasi a distanza. La maggior parte insorge dopo la menopausa (forma dell’adulto). La forma giovanile si manifesta nelle bambine e nelle giovani donne ed è caratterizzata da iperestrenismo e pubertà precoce. I tumori dell’adulto sono grandi (12 cm in media) e da focalmente cistici a solidi. La superficie di taglio mostra aree giallastre, aree biancastre di stroma e focali emorragie. Istologicamente mostrano una gamma di aspetti: • Diffuso (sarcomatoide) • Insulare (isole di cellule) • Trabecolare (fasci anastomizzati di cellule della granulosa) Le cellule tumorali sono rotondeggianti o ovalari ed in nuclei mostrano una caratteristica incisura longitudinale che conferisce loro un aspetto a CHICCO DI CAFFE’. L’orientamento casuale dei nuclei attorno ad uno spazio di degenerazione centrale (corpi di Call-­‐Exner  piccole rosette di cellule neoplastiche contenenti materiale eosinofilo misto a detriti cellulari) genera il tipico aspetto follicolare. Tumore a cellule del Sertoli-­Leydig  Rara neoplasia mesenchimale dell’ovaio a basso potenziale di malignità che assomiglia al testicolo embrionario. Rappresenta il prototipo di tumore funzionante secernente androgeni. Insorge a tutte le età ma è più frequente nelle giovani donne in età fertile. Unilaterale, la maggior parte misura dai 5 ai 15 cm di diametro. Tende ad essere lobulato, solido e di colore bruno-­‐giallastro. Variano da forma scarsamente differenziate a ben differenziate e alcuni mostrano elementi eterologhi. Gli aspetti più caratteristici sono grandi cellule di Leydig con abbondante citoplasma eosinofilo e nucleo centrale con nucleolo prominente. Le cellule tumorali sono immerse in uno stroma sarcomatoide. Tumori metastatici Circa il 3% dei tumori ovarici origina al di fuori dell’ovaio. Sedi più frequenti sono: mammella, grosso intestino, endometrio e stomaco. I tumori di Krukenberg sono metastasi ovariche, in cui lo stomaco è la sede primitiva nel 75% dei casi. Macroscopicamente le neoplasie sono bilaterali, solide con superficie liscia o nodulare. Istologicamente si notano nidi di cellule ad anello con castone ripiene di muco nel contesto di uno stroma cellulato di origine ovarica.

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APPARATO GENITALE MASCHILE TESTICOLO TESTICOLO – EPIDIDIMO Sono interessati prevalentemente da patologie diverse: di carattere neoplastico per il primo, infiammatorio per il secondo. ANOMALIE CONGENITE Criptorchidismo  mancata discesa dei testicoli nello scroto, interessa fino all’1% dei bambini con meno di un anno. La discesa avviene normalmente in due stadi: 1. discesa trans-­‐addominale: regolata dal MIF 2. discesa inguino-­‐scrotale: probabilmente mediata dal rilascio da parte del nervo genito-­‐ femorale di una sostanza simile alla calcitonina, sotto stimolo androgenico (che gli androgeni siano essenziali lo dimostra la sindrome di Morris da resistenza androgenica completa, in cui tutte le pazienti mostrano criptorchidismo). la causa comunque nella maggior parte è sconosciuta, perché non si riscontrano alterazioni ormonali: per cui sono postulate anche difetti genetici (per esempio il criptorchidismo accompagna sempre la trisomia 13); il testicolo si trova più frequentemente nel canale inguinale. Morfologia: solitamente unilaterale, il testicolo criptico mostra dopo due anni circa se non riposizionato alcune alterazioni che consistono nell’arresto della spermatogenesi associata a sclerosi e ialinosi dei tubuli seminiferi con ispessimento marcato della membrana basale. Le cellule di Leydig invece per contrasto appaiono prominenti, ammassate a gruppi. Queste stesse alterazioni si ritrovano anche nel testicolo controlaterale normoposizionato e nelle disgenesie gonadiche come la sindrome di Klinefelter, per cui si ipotizza che i difetti dello sviluppo testicolare siano intrinseci e associati, piuttosto che correlati direttamente con la posizione anatomica. Il criptorchidismo va corretto chirurgicamente perché nel canale inguinale il testicolo è esposto a traumi. Sfortunatamente il riposizionamento (orchiopessia) non scongiura due importanti complicazioni come l’aumentato rischio di cancro e l’infertilità, a riprova che il difetto è proprio del testicolo. Anorchia (“vanishing testes syndrome”)  è una condizione caratterizzata da assenza di tessuto testicolare in soggetti fenotipicamente maschi. Poiché la secrezione di testosterone da parte del testicolo fetale è indispensabile ad una corretta differenziazione dei genitali, ed il processo di differenziazione si completa nelle prime 14-­‐16 settimane di vita embrionaria, si ritiene che questa condizione sia causata da un evento lesivo (infezione, insufficienza vascolare) che colpisce il testicolo fetale dopo la 16a settimana di gestazione. Di qui il nome di “vanishing testes” che indica un testicolo inizialmente normale che poi è svanito, per una causa ignota (probabilmente vascolare-­‐ischemica). I pazienti sono fenotipicamente maschi ed hanno uno sviluppo normale. INFIAMMAZIONI Sono notevolmente più comuni nell’epididimo che nel testicolo, che spesso è interessato solo secondariamente. Orchiepididimiti aspecifiche  Sono correlate a infezioni urinarie (UTI), ad es. uretriti, prostatiti, cistiti, che raggiungono l’epididimo attraverso i dotti deferenti o i linfatici del funicolo. La cause variano con l’età: nell’infanzia sono soprattutto infezioni da G-­‐ associate ad anomalie congenite del tratto genito – urinario, negli adulti sono soprattutto patogeni a trasmissione sessuale (Clamydia e Neisseria), negli anziani saprofiti intestinali come E.Coli e Proteus. Morfologia: segni classici di processo flogistico, con congestione, edema, infiltrato di PMN, macrofagi e linfociti. Inizialmente è coinvolto solo l’interstizio, poi i tubuli e infine può sfociare nella necrosi suppurativa dell’epididimo e da qui diffondersi al testicolo, causando distruzione dei tubuli seminiferi. La funzione delle cellule di Leydig è sufficientemente conservata per cui non si hanno alterazioni della sfera sessuale Qualunque sia la causa le forme aspecifiche possono cronicizzate. Orchite granulomatosa  forma non tubercolare autoimmune, d’insorgenza negli adulti di età media. Si ha in ingrossamento unilaterale del testicolo, ad evoluzione rapida ed allarmante oppure indolente; i granulomi differiscono da quelli tubercolari perché non hanno la necrosi caseosa né le cellule di Langhans al centro bensì plasmacellule e PMN. Lo scatenamento dell’autoimmunità potrebbe essere innescato dal dissequestro Ag per traumatismo. Tuttavia spesso è l’interessamento è unilaterale e quindi l’ipotesi autoimmune non è certa.

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Infiammazioni specifiche  Quella prodotta dal gonococco produce modificazioni analoghe alle forme aspecifiche, con più ampia ascessualizzazione e financo distruzione dell’epididimo e del testicolo, per infezioni a lungo trascurate. Il virus della parotite interessa il testicolo con una discreta frequenza quando l’infezione è contratta da adulti, e può essere anche l’unica manifestazione della varicella. L’infezione tubercolare inizia sempre dall’epididimo per estensione da sedi primarie come la prostata e le vescichette seminali e diffonde poi al testicolo. L’aspetto morfologico è quello classico. La sifilide invece, al contrario di tutte, inizia primariamente dal testicolo e spesso non si estende affatto all’epididimo. Istologicamente può presentarsi con le “gomme” luetiche (granulomi colliquanti), o con una flogosi interstiziale diffusa ed endoarterite obliterativa con infiltrato analogo perivascolare. TUMORI DEL TESTICOLO Circa il 90% delle neoplasie testicolari origina dalle cellule germinali e praticamente tutte mostrano potenzialità maligne. Costituiscono circa l’1% di tutte le neoplasie nell’uomo. Clinicamente si manifestano come un AUMENTO DI VOLUME NON DOLOROSO di un testicolo, mentre in altri casi la manifestazione di esordio può essere dovuta a metastasi in altri organi. Possono essere anche presenti disturbi endocrini, di cui il più frequente è la GINECOMASTIA. I tumori del testicolo vengono classificati in 5 categorie: 1. Tumori a cellule germinali (90%), che derivano dalle cellule germinale dei tubuli seminiferi. 2. Tumori stromali dei cordoni sessuali (2%) 3. Tumori MISTI a cellule germinali e stromali dei cordoni sessuali 4. Tumori primitivi insorgenti anche in sedi extratesticolari 5. Tumori secondari, da altre sedi primitive. Tumore a cellule germinali  esistono molte classificazioni, ma possono essere semplicemente distinti in: • SEMINOMI • NON SEMINOMATOSI • COMBINAZIONE FRA I PRECEDENTI Tutti questi tumori originano dalla CELLULE GERMINALE. Sono utilizzati due sistemi di classificazione, una britannico e una della WHO: British Testicular Tumor Panel WHO Seminoma Seminoma • Classico • Tipico • Spermatocitico • Spermatocitico Teratoma maligno, indifferenziato Carcinoma embrionale Teratoma maligni intermedio Carcinoma embrionale con teratoma Teratoma differenziato Teratoma maturo Teratoma maligno trofoblstico Coriocarcinoma Tumore del sacco vitellino Tumore del sacco vitellino Come si vede dalla tabella, il termine teratoma è causa di confusione poiché nella classificazione britannica ha connotazione più aggressiva rispetto a quella della WHO. È opinione comune che esista una LESIONE PRECANCEROSA alla base dello sviluppo delle neoplasie a cellule germinali. Si tratta di una lesione denominata NEOPLASIA A CELLULE GERMINALI INTRATUBULARE (ITGCN) in cui le cellule normali germinali sono sostituite da GRANDI cellule con nuclei irregolari e nucleoli prominenti. I tubuli nei quali è presenta la ITGCN non mostrano normale spermatogenesi. Queste cellule anomale producono fosfatasi alcalina placentare (PLAP). SEMINOMI  in forma pura costituiscono circa il 40% delle neoplasie a cellule germinali. Si possono distinguere in due tipi: • CLASSICO o TIPICO  circa il 90% di tutti i seminomi. Insorgono in media tra 30 e 50 aa. Macroscopicamente sono masse ben definite con superficie di taglio bianco-­‐grigiastro, con possibile presenza di aree di necrosi. Microscopicamente ci sono bande di cellule germinali di aspetto primitivo, divise in LOBULI da setti connettivali infiltrati da linfociti e plasmacellule. Le cellule tumorali

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sono GRANDI e con ampio citoplasma chiaro e sintetizzano PLAP, enzima convertente angiotensina, ferritina e vimentina. Nel 10% dei casi possono trovarsi cellule giganti (simili a sinciziotrofoblasto) che secernono ß-­‐Hcg. SPERMATOCITICO  Colpisce in media soggetti di 55 aa. È un tumore molto meno aggressivo del seminoma classico e compare sempre in FORMA PURA. Macroscopicamente appare come una lesione grande e di consistenza gelatinosa. Microscopicamente le cellule sono disposte in lobuli da setti connettivali che NON sono infiltrati da cellule flogistiche. Il nucleo delle cellule contiene cromatina filamentosa. Il citoplasma di molte cellule ricorda quello delle plasmacellule. Sono presenti spesso cellule con 2, 3 o 4 nuclei. Le mitosi sono frequenti SEMINOMA ANAPLASTICO  sono seminomi classici in cui si riconoscono tre o più mitosi per campo a forte ingrandimento.

TERATOMA  è un termine che descrive (in Grab Bretagna) un gruppo di neoplasie derivate da cellule germinali con potenzialità di differenziarsi in cellule o tessuti ECTODRMICI, MESODERMICI o ENDODERMICI. Teratoma differenziato maligno ( WHO: teratoma)  rappresenta circa il 3% dei teratomi testicolari ed è il tipo più comune dell’INFANZIA. Data la sua natura, esso potrà contenere qualsiasi tipo di struttura: cute, ghiandole sudoripare, bronco, intestino, cervello, retina, muscolo, cartilagine, ecc. Molto spesso sono presenti delle piccole cisti sulla superficie. Le metastasi di questo tumore mostrano anch’esse una tendenza alla differenziazione (es. nel polmone ci possono essere metastasi policistiche con cartilagine e osso). Teratoma maligno indifferenziato ( WHO: carcinoma embrionale)  ha una scarsa tendenza alla differenziazione. Insorge in media tra i 20 e 30 aa. Macroscopicamente mostra caratteristiche simili al seminoma, ma con aree focali di emorragia e di necrosi. Microscopicamente si notano piccole cellule indifferenziate di varia forma e mitosi frequenti. Le cellule (al contrario del seminoma) esprimono CITOCHERATINE e alcune legano anche Ab contro Hcg e AFP (α fetoproteina). Teratoma maligno intermedio ( WHO: carcinoma embrionale con teratoma)  è la forma più comune di teratoma ed ha caratteristiche intermedie tra i due precedenti. Teratoma maligno trofoblastico ( WHO: coriocarcinoma)  tre forme principali: 1. Cellule giganti sinciziotrofoblastiche isolate senza citotrofoblasto di accompagnamento 2. Sinciziotrofoblasto accompagnato da citotrofoblasto 3. Sinciziotrofoblasto e citotrofoblasto disposti in un aspetto papillare con il tessuto sinciziale che forma una strato superficiale sopra il trofoblasto; ha aspetto PAPILLARE ed è in genere emorragico e contiene focolai di necrosi. Sono tumori molto aggressivi che tendono a metastatizzare precocemente per via ematica. Tumore del sacco vitellino  rispecchia un aspetto differenziativo embrionale, risultando in un tessuto che rassomiglia morfologicamente e funzionalmente al normale sacco vitellino umano. Questa differenziazione può essere di due forme: • Forma PURA: nell’infanzia e nella prima fanciullezza. Ottima prognosi • Forma MISTA a cellule germinali nell’adulto. La forma pura macroscopicamente è una massa molle bianca o giallastra, con piccoli spazi cistici sulla superficie. Microscopicamente somiglia ad un adenocarcinoma, con cellule disposte in strutture tubulari o papillari rivestite da cellule cubiche o cilindriche. L’aspetto diagnostico più attendibile è la presenza di corpi di SCHILLER-­‐ DUVAL. Le cellule tumorali possono produrre AFP. I tumori a cellule germinali diffondono in maniera abbastanza prevedibili. Per via linfatica sono interessati prima i linfonodi iliaci e paraortici e poi quelli diaframmatici. Per via ematogena le matastasi raggiungono soprattutto polmone, fegato, cervello e ossa. I tumori sono classificati in STADI secondo la classificazione dell’Ospedale di Royal Marsden: Stadio Criteri I Tumore confinato al testicolo II Interessamento dei linfonodi sottodiaframmatici III Interessamento dei linfonodi sopra-­‐ e sottodiaframmatici IV Metastasi extralinfonodali

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TUMORE A CELLULE DEL LEYDIG  costituiscono circa l’1-­‐3 % di tutti i tumori del testicolo. Circa il 10% di essi mostra comportamento maligno, con comparsa di metastasi fino a 9 anni dopo la loro rimozione. La maggior parte dei tumori è unilaterale; sono ben circoscritti e hanno un caratteristico colorito bruno, dovuto alla presenza di LIPOFUSCINA nelle cellule. Le cellule tumorali sono simili a quelle del Leydig, sono disposte in trabecole. In 1/3 dei casi contengono CRISTALLI DI REINKE. Clinicamente si manifestano con tumefazione testicolare, ginecomastia e diminuzione della libido e impotenza, nei pazienti in età prepuberale si ha pseudoprecità sessuale. TUMORI STROMALI DEI CORDONI SESSUALI Sono rari tumori composti da cellule del Sertoli e elementi di stroma gonadico. Si possono manifestare in ogni età, ma sono più frequenti nell’infanzia. Sono associati a due condizioni caratteristiche: 1. GINECOMASTIA in soggetti in età prepuberale e in quelli > 50 aa. 2. Alta frequenza di comportamento MALIGNO. Morfologicamente le lesioni includono: • Tumori somiglianti a tumori a cellule granulose dell’ovaio • Tumori a cellule del Sertoli, di cui la più caratteristica è una forma a grandi cellule che va incontro a calcificazione. Clinicamente possono dare distrubi endocrini, essere associati alla sindrome di Peutz-­‐Jeghers, oppure possono costituire una sindrome a parte, comprendente mixomi cardiaci e chiazze di pigmentazione cutanea. LINFOMA MALIGNO È il più comune tumore maligno nell’uomo > 55 aa. Sono per lo più linfomi NON HODGKIN di origine B-­‐cellulare. Macrcoscopicamente il testicolo è aumentato di volume e alla superficie di sezione mostra infiltrazione di tessuto neoplastico biancastro. Microscopicamente è presente infiltrazione di cellule linfoidi maligne attorno e dentro i tubuli seminiferi. Il 40% dei pazienti ha interessamento testicolare bilaterale. Utile alla diagnosi è l’utilizzo di Ab monoclonali contro Ag leucocitari. PROSTATA IPERPLASIA L’iperplasia nodulare (detta anche ipertrofia prostatica benigna) è una condizione talmente comune nell’anziano da dover essere considerata quasi fisiologica: praticamente da 70 anni in su interessa 9 uomini su 10. Negli ultra65enni (negri in particolare) l’intervento di resezione transuretrale (TURP) è secondo solo all’escissione della catarattaed ebrei. Tuttavia non c’è una correlazione diretta tra le alterazioni morfologiche e i sintomi clinici: precisamente solo metà di coloro che hanno un’iperplasia istologicamente dimostrabile hanno un reale ingrossamento della ghiandola e solo ¼ accusano disturbi clinici. Numerose evidenze testimoniano il ruolo degli androgeni: 1. sono necessari testicoli normofunzionanti 2. in animali e individui castrati l’iperplasia può insorgere con la somministrazione di androgeni il mediatore ultimo del trofismo prostatico è il diidrotestosterone, prodotto dalla 5 α-­‐reduttasi delle cellule stromali: esso poi agisce sia in maniera autocrina che paracrina (sulle cellule epiteliali), inducendo l’espressione di fattori di crescita fitogeni ,in maniera 10 volte più efficace del testosterone. Gli estrogeni svolgono un effetto sensibilizzante importante; infatti non tutti gli individui traggono beneficio dall’impiego della finasteride (inibitore della 5 α-­‐reduttasi) e l’impiego di 17 b-­‐estradiolo aumenta l’effetto iperplasiogeno del DHT. Nell’anziano si verifica appunto un aumento del rapporto estrogeni-­‐androgeni, con conseguente overespressione del recettore per gli androgeni e aumento del DHT fissato. Si può arrivare a un peso di 60-­‐100 g, ma anche 200. L’iperplasia inizia sempre dalla zona periuretrale e transizionali della ghiandola. In questa maniera comprime le pareti membranose dell’uretra prostatica causandone cifosi e/o scoliosi e inoltre sposta in avanti il lobo medio, il quale slivella il pavimento della vescica producendo un considerevole residuo minzionario. I noduli, pur non essendo incapsulati presentano un piano di clivaggio ben individuabile costituito dal tessuto circostante compresso. I primi noduli sono sempre epiteliali, cioè costituiti da una proliferazione ghiandolare, e sono soffici e giallastri e alla spremitura lasciano defluire un liquido lattescente. Successivamente in molti prevale la componente fibromuscolare e

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diventano grigiastri, duri, asciutti, poco demarcati dal tessuto circostante. L’epitelio iperplastico è caratteristicamente sollevato in escrescenze papillari. Inoltre si possono rinvenire localmente piccole aree infartuati con metaplasia squamosa ai margini. Clinicamente i sintomi sono dovuti a due conseguenze: 1. Compressione dell’uretra: disuria con getto poco potente 2.Ritenzione urinaria: produce inizialmente distensione e ipertrofia della vescica (detta “a colonne” per la prominenza dei fasci muscolari lisci). Nella fase di scompenso si ha iscuria paradossa, infezioni urinarie ascendenti fino all’IRC (prodotta dalla pielonefrite cronica e dall’idronefrosi). Nella vescica possono formarsi pseudodiverticoli dati dalla protrusione della mucosa in conseguenza dell’aumentata pressione interna. È stato definitivamente dimostrato che l’iperplasia prostatica NON è una lesione precancerosa. -­ Iperplasia atipica: è detta anche ADENOSI. Si tratta di una lesione istologica circoscritta formata da piccoli acini con scarso stroma interposto. È una lesione importante perché può essere confusa con un adenocarcinoma e presumibilmente è una lesione precancerosa. -­ Iperplasia cribiforme a cellule chiare: detta MICROACINARE. Il lume degli acini è occupato da tessuto epiteliale formato da cellule con ampio citoplasma chiaro contenente glicogeno. -­ Adenosi sclerosante: ci sono piccoli acini mal configurati ed irregolarmente distribuiti che si associano ad uno stroma ricco di cellule. CARCINOMA PROSTATICO È il cancro più frequente del sesso maschile (69 x 100000 abitanti in USA, seguito da quello del polmone Classificazione: che lo supera però come mortalità). L’incidenza è ancora 1) K clinico: palpabile attraverso maggiore se si considerano i focolai microscopici esplorazione rettale carcinomatosi di riscontro occasionale (carcinoma latente o incidentale), che non danno problemi durante la 2) K incidentale o latente: vita: fino al 70%(!) oltre la settima decade di vita. Vi asintomatico, non palpabile, di sono importanti differenze geografiche: questo tumore è dimensioni microscopiche, estremamente raro tra gli asiatici ma essi acquisiscono il rilevabile solo con indagini rischio della popolazione residente quando migrano. Per istologiche cui oltre fattori genetico-­‐razziali sono importanti anche quelli ambientali. L’età media alla diagnosi è 73 anni: 3) K occulto: si manifesta con le quindi l’incidenza è aumentata negli ultimi anni anche metastasi per l’innalzamento dell’età media. I fattori di rischio sono poco conosciuti: l’insorgenza in età avanzata e i dati sulle popolazioni migratorie confermano l’importanza dei fattori ambientali. Tra questi si è pensato a una dieta ricca di grassi che potrebbe innalzare i livelli di testosterone, mentre forse risulta protettivo il complesso vitaminico A. Gli androgeni hanno un ruolo quantomeno permissivo (trofismo delle cellule epiteliali ghiandolari), in quanto il carcinoma prostatico non si verifica mai dopo orchiectomia. Per quanto riguarda la base genetica e molecolare, in 1/3 dei casi familiari è stato mappato un gene di suscettibilità sul cromosoma 1q24-­‐25, più un’altra serie di geni oncosoppressori localizzati sui cromosomi 8p, 10q, 12p, 16q22 (gene per la caderina-­E). Morfologiamente in più della metà dei casi il carcinoma insorge nella zona periferica – posteriore, ed è quindi palpabile all’esplorazione rettale. Macroscopicamente il tumore si confonde con il tessuto normale, mentre al tatto è molto più duro, stridente al taglio. L’origine può anche essere multicentrica al momento della diagnosi e ci può essere infiltrazione degli organi limitrofi (vescica, vescicole seminali, retto). Istologicamente la maggior parte sono adenocarcinomi derivati dagli acini ghiandolari o dai dotti e conservano un’architettura ben riconoscibile, tuttavia lo strato cellulare basale, più esterno è assente (mentre c’è nella prostata normale e in quella iperplastica) e gli acini hanno disposizione disordinata. I nuclei delle cellule hanno atipie aspecifiche come ipercromasia, prominenza dei nucleoli, moderato pleomorfismo. La diagnosi differenziale con iperplasia nel caso di un carcinoma ben differenziato può essere ardua anche perché le mitosi sono rare. Un elemento che contraddistingue il carcinoma è il tipo di crescita schiena-­‐schiena delle ghiandole (cioè tutte addossate, con scarso stroma), oltre a segni di malignità come il superamento della capsula, infiltrazione di vasi, linfatici e spazi perineurali. Nelle forme meno differenziate le cellule sono riunite in cordoni o nidi.

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Nella maggior parte dei pezzi operatori, a margina del tumore sono evidenziabili foci multipli di alterazione considerata precursore del carcinoma: ciascuno di essi è denominato PIN (Prostatic Intraepitelial Neoplasia) o displasia duttulo-­‐acinare. Tali alterazioni consistono in atipie citologiche non accompagnate però da infiltrazione della capsula o scomparsa dello strato basale. Circa 1/3 delle PIN progrediscono a carcinoma e sono caratterizzate dalle stesse anomalie molecolari delle cellule cancerose. Grading (Gleason scale) Il sistema Gleason si basa sulla disposizione ghiandolare e sul grado di differenziazione osservabile a basso ingrandimento: • Gleason 1: Tumore composto da noduli di ghiandole ben delimitati, strettamente ravvicinate, uniformi, singole e separate l’una dall’altra. • Gleason 2: Tumore ancora abbastanza circoscritto, ma con eventuale minima estensione delle ghiandole neoplastiche alla periferia del nodulo tumorale, nel tessuto prostatico non-­‐neoplastico. • Gleason 3: Tumore che infiltra il tessuto prostatico non-­‐tumorale; le ghiandole presentano notevole variabilità di forma e dimensione. • Gleason 4: Ghiandole tumorali con contorni mal definiti e fuse fra loro; possono essere presenti ghiandole cribriformi con bordi irregolari. • Gleason 5: Tumore che non presenta differenziazione ghiandolare, ma è composto da cordoni solidi o da singole cellule. Dato che possono presentarsi aree riferibili a un grado diverso, si assegna il grado primario al morfotipo dominante e uno secondario a quello subdominante. I singoli gradi vengono poi sommati per avere il Gleason combinato (nel caso di tumori monomorfi il grado viene semplicemente raddoppiato). Con questo sistema si ha un’ottima correlazione tra grading e prognosi. Il patologo descrive sul preparato istologico i due pattern più frequenti che vede e quindi la somma è relativa ai due pattern, si andrà perciò da un minimo di 2 ad un massimo di 10: • 2 – 4  ben differenziato • 5 – 7  mediamente differenziato • 8 – 10  scarsamente differenziato Staging:

Clinicamente la progressione della malattia è più rapida mano mano che aumenta lo stadio, in particolare A2>A1. La maggior parte dei pazienti si presentano con malattia localizzata in stadio A o B, anche se alcuni hanno già micrometastasi non rilevabili. La diagnosi avviene accidentalmente, visto che a questo stadio il tumore asintomatico (infatti, insorgendo nella zona periferica non dà disturbi urinari precocemente come l’iperplasia). Pazienti in stadio C o D, oltre che per i disturbi urinari compresa l’ematuria possono presentarsi per dolori neurogeni dovuti all’infiltrazione dei nervi capsulari ma più spesso dolori ossei della colonna. La presenza di metastasi ossee osteoblastiche è virtualmente diagnostica di carcinoma, anche se esse possono essere osteolitiche. Per la diagnosi ci si avvale di test di screening, costituiti da • Esplorazione rettale • Ecografia transrettale • Biopsia di conferma.

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Per una corretta stadiazione occorre scoprire eventuali metastasi LN, con TC, RMN o meglio ancora linfadenectomia pelvica. La scintigrafia ossea serve per valutare le metastasi ossee. Marcatori biologici utili sono la fosfatasi acida prostatica e soprattutto il PSA (Prostatic Specific Ag), che è un enzima proteolitico secreto con lo sperma con la funzione di sciogliere il coagulo. Il PSA è un marcatore organo – specifico, non tumore – specifico, quindi è elevato anche in condizioni benigne come l’iperplasia e la prostatite e con il cut-­‐off posizionato a 4 ng/ml c’è una notevole sovrapposizione. Per questo sono stati ideati indici più precisi come la densità del PSA (valore sierico corretto per la massa dell’organo) e il tasso di variazione nel tempo (“velocità” del PSA), rapporto forma libera/legata (più basso nel carcinoma), valori di riferimento standardizzati per età. Il PSA è utilizzato anche nel monitoraggio della terapia e nel rilevamento di metastasi dopo prostatectomia radicale. Chirurgia e rxterapia sono i trattamenti per i carcinomi in stadio A e B, cui conferiscono un’aspettativa di vita media di 15 anni. Nelle forme avanzate ci si avvale della terapia ormonale (antiandrogeni, estrogeni, analoghi dell’LH e orchiectomia).

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SISTEMA NERVOSO -­‐ Diploe cranica: uno strato di tessuto osseo spugnoso ben vascolarizzato, posto tra i tavolati esterno e interno delle ossa piatte del cranio. Esso garantisce particolare resistenza ai traumi. -­‐ Lamina Vitrea: tavolato interno delle ossa piatte craniche. -­‐ Meningi:

-­‐ La microglia è parte del sistema monocito-­‐macrofagico; gli astrociti e gli oligodendrociti derivano invece dagli stessi progenitori dei neuroni. -­‐ E' il tessuto più suscettibile all'ipossia. Persino un'ipossia relativa, parcellare, può causare la mortedi singoli neuroni, e dare il "quadro del neurone rosso"; questo perchè sono le cellule che hanno il maggior consumo di ossigeno. L'anossia può essere anossica, anemica, istotossica (se i neuroni non sono capaci di utilizzare l'ossigeno, come nel blocco della catena respiratoria causato dal cianuro), ischemica. -­‐ Leptomeningi: aracnoide e pia madre. MALFORMAZIONI CONGENITE Tra gli agenti considerati teratogeni sono considerati: • Lesioni del genoma • Infezioni materne durante la gestazione • Anossia • Farmaci antineoplastici • Radiazioni ionizzanti Una delle possibili classificazioni delle malformazioni congenite è sulla base della PATOGENESI FORMALE. In base ad essa si distinguono: • Malformazioni da agenesia e da mancata chiusura del tubo neurale  cranio schisi e rachischisi, anencefalia e emicranìa, amilia (mancanza totale del midollo spinale, può esistere SOLO se c’è anche anencefalia) e mieloschisi, meningocele cerebrale, encefalocele, encefalocistocele, encefalocistomeningocele, exencefalia (arresto dello sviluppo della volta cranica), spina bifida, meningocele spinale. • SIRINGOMIELIA  affezione del M.S. caratterizzata dalla comparsa di cavità tubulari che si estendono lungo numerosi segmenti midollari. Viene più frequentemente interessato il tratto cervico-­‐toracico. A livello del segmento colpito il midollo è RIGONFIO e la parete è formata da cellule gliali e nervose degenerate (inizialmente) e da glia fibrosa (nelle fasi avanzate). Quando il processo è localizzato alle CORNA POSTERIORI del M.S. si ha la “dissociazione di tipo siringomielico”, con abolizione della sensibilità termo dolorifica e mantenimento di quelle tattile e profonde. Si pensa che la siringo mielina tragga origine da una malformazione del ROMBENCEFALO che favorirebbe il passaggio del liquor dal IV ventricolo direttemanete nel canale midollare, con conseguente IDROMIELIA e dilatazione del canale stesso e trasudazione del liquido nel tessuto nervoso circostante. • Malformazione di Arnold – Chiari  condizione conseguente alla malformazione della teca cranica, caratterizzata dallo spostamento verso il basso (a livello del tratto cervicale) di midollo allungato, porzione di stale del ponte, parte inferiore del cervelletto. Alla sezione queste formazioni appaiono assottigliate e allungate. Si pensa che questa sindrome sia dovuta alla mancata formazione della flessura o curva pontina. • Arresti di sviluppo e displasie eminentemente cerebrali  ciclopia, arinencefalia, microcefalia (cervello max 900 g), megalencefalia (cervello > 1600 g per uomo e 1450 g per donna – secondo Marchand), porencefalia (difetto della corteccia dell’ependima),

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idranencefalia, agenesia del corpo calloso totale o parziale, pachigiria (riduzione del numero dei solchi secondari con circonvoluzioni ampie e ipertrofia della sostanza grigia), micropoligiria (circonvoluzioni raggrinzite per la presenza di solcatre poco profonde). SCLEROSI TUBEROSA (o malattia di Bourneville)  malattia autosomico dominante. I geni sono localizzati nei cromosomi 9 e16. È caratterizzata da 3 CARATTERI CLINICI (secondo il termine “EPILOIA” proposto da Sherlock: epilessia + deficit mentale + nodulo di fibrosi nel derma. Arresti di sviluppo del mesencefalo Arresti di sviluppo e displasie del cervelletto Sinrome di Down

AFFEZIONI METABOLICHE TASEURISMATICHE E NON Si tratta di un gruppo di affezioni ad impronta dismetabolica che si caratterizzao per la comparsa di sostanze di diversa natura e loro accumulo nei neuroni. Tra le malattie di questo gruppo ci sono: leucodistrofie e lipidosi neuronali, fenilchetonuria (accumulo di fenilalanina), turbe metaboliche dei glicidi (galattosemia), turbe metaboliche degli aminoacidi. ENCEFALOPATIA IPERTENSIVA Si ha ogni qualvolta c’e’ una crisi ipertensiva con sistolica e diastolica aumentate (sistolica > 240 mmHg e diastolica > 120 mmHg). Lesioni: edema cerebrale (dolore, stupore, coma). Emorragia capillare tipo petecchiale (intraparenchimale). La lesione e’ acuta e non c’e’ sintomatologia focale, e’ rapidamente reversibile non appena si elimina la causa dell’evento. E’ importante ricordare che l’ipertensione puo’ favorire l’infarto cerebrale in 2 modi: -­‐ Quando c’e’ una crisi ipertensiva ci puo’ essere un vasospasmo (il cervello tende a mantenere la pressione costante) -­‐ Favorendo l’aterosclerosi e provoca alterazione arteriolari (restringimento del lume e microinfarti in sedi caratteristiche: infarti lacunari nei nuclei della base) Terapia: somministrare subito sostanze riducenti l’edema cerebrale onde favorire una diminuzione della pressione intracranica ed una rivascolarizzazione. IDROCEFALO Si intende l’incremento abnorme di liquor nei ventricoli cerebrali (idrocefalo INTERNO) oppure negli spazi subarcnoidei (idrocefalo ESTERNO) oppure in entrambe le sedi. Il liquor è un liquido trasparente secreto dai plessi corioidei dei ventricoli laterali. Da qui attraverso i forami di Monro passa nel III ventricolo dove si arrichisce si un’ulteriore quota prodotta dalla teca corioidea. Da qui passa nell’acquedotto del Silvio per raggiungere il IV ventricolo dove si aggiunge un’altra parte prodotta dalla teca corioidea locale. Da qui la maggior parte passa attraverso i forami di Luschka e Magendie e si raccoglie nella CISTERNA MAGNA OCCIPITALE. A questo livello la circolazione liquorale procede verso due vie: una quota è diretta alle leptomeningi spinale, mentre la parte più cospicua si dirige verso le leptomeningi mesencefaliche. Dalla base del cervello il liquor scorre verso la volta e viene riassorbito entro il seno longitudinale superiore superiore attraverso il villi aracnoidei e le granulazioni del Pacchioni. Normalmente la pressione del liquor nell’adulto è di a 16-­‐20 mm Hg. Esistono numerose cause di idrocefalo: • Riduzione volumetrica dell’encefalo con conseguente aumento relativo della capienza del sistema ventricolare e degli spazi subaracnoidei (cioè, se si riduce solo l’encefalo ma non la capienza delle strutture contenenti liquor, di conseguenza queste strutture, che prima erano normali per un encefalo normali, rislteranno più grandi rispetto all’encefalo ridotto). Riduzione dell’encefalo si può avere per agenesie oppure in seguito a processi distruttivi ed involutivi (atrofia senile, malattie cerebrovascolari,ecc.). In questo caso la pressione liquirale NON AUMENTA e si parla di IDROCEFALO EX VACUO o NORMOTENSIVO. • Iperproduzione a livello dei plessi coriodiei, detto idrocefalo da IPERSECREZIONE. Esso può essere dovuto a rari casi di papilloma funzionante dei plessi corioidei, oppure a fenomeni flogistici come i meningismi.

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Ostacolo al deflusso verso le sedi di riassorbimento, viene detto idrocefalo da OSTACOLO ALLA CIRCOLAZIONE DEL LIQUOR e può essere: 1. Congenito  causa principale sono le malformazioni dell’acquedotto del Silvio (es. stenosi e ramificazioni), mentre più raramente si può avere stenosi o atresia dei forami di Luschka e Magendie. Questo tipo di idrocefalo è detto anche TERATOLOGICO e ha dei segni morfologici caratteristici: il neurocranio è notevolmente aumentato di volume e sovrasta la faccia come “un turbante”; di conseguenza la faccia, anche se di dimensioni normali, appare rimpicciolita. Le ossa della volta sono assottigliate e separate da una membrana connettivale fibrosa. L’encefalo acnche se aumentato di volume esternamente risulta ATROFICO per pressione esercitata dal liquor raccolto nei ventricoli. Sono presenti DILATAZIONI interna che variano in base al grado di resistenza delle pareti, con formazione di cavità che possono contenere anche 1 litro di liquor. 2. Acquisito  provocato soprattutto da tumori cerebrali e da tutte le lesioni che occupano spazio (ascessi, tubercolosi, cisti da echinococco, ecc) oppure in seguito a esiti aderenziali di flogosi che obliterano gli spazi subaracnoidei. Se il tumore oblitera il forame di Monro si avrà idrocefali MONOVENTRICOLARE, se oblitera il III ventricolo sarà BIVENTRICOLARE, se oblitera l’acquedoto del Silvio sarà TRIVENTRICOLARE. Se una aderenza oblitera i forami di Luschka e Magendia si sarà TETRAVENTRICOLARE. In alcuni casi si può avere un idrocefalo non ostruttivo detto COMUNICANTE causato da una riduzione del riassorbimento del liquido cefalo-­‐rachidiano a livello delle villosità aracnoidee in seguito ad esiti cicatriziali di meningite o emorragia sub-­‐aracnoidea. Se l’idrocefalo acquisito avviene DOPO la chiusura delle teche craniche non ci sono grosse variazioni di dimensione della teca ossea, mentre è evidente un assottigliamento irregolare della teca. Si sviluppa ipertensione endocranica con alterazioni della papilla ottica.

TRAUMI DEL NEVRASSE Tutti i traumi, sia encefalici che midollari, possono essere APERTI e CHIUSI. Traumi dell’encefalo  si possono avere due tipi di traumi principali: 1. Traumi NON complicati da frattura: in questo caso è possibile che ci siano lesioni molto gravi o fatali. Questo perché mentre una frattura comporta una soluzione di continuo ossea che assorbe energia generata dal trauma, proteggendo il nevrasse, se l’incolucro è integro l’energia non può uscire e si ripercuote tutta sule strutture nervose! L’encefalo può avere dei movimenti passivi nella scatola cranica, che in alcuni casi possono essere anche violenti (brusca variazione della velocità della testa con arresto improvviso del movimento); in questi casi si ha una forte COMPRESSIONE del cervello sulle pareti craniche con possibili lacerazioni di strutture vascolari e periva scolari. 2. Traumi ACCOMPAGNATI a frattura  in questo caso i danni possono essere più lievi, sia per il discorso dell’energia assorbita, sia perché spesso sono dovuti a piccole schegge osee che si infiltrano nella sostanza nervosa. -­‐ Commozione cerebrale  è uno stato morboso transitorio che fa seguito ad un trauma cranico e si caratterizza per l’esordio improvviso e per espressioni sintomatologiche di ordine paralitico (perdita coscienza, ipo-­‐areflessia, perdita sensibilità e motilità, ipotonia muscolare, pallore, iposfigmia). La lesione è l’effetto di un’alterazione meccanica che può mettere primitivamente a repentaglio l’integrità delle strutture nervose encefaliche. È stata dimostrata perdita della sostanza TIGROIDE (la sostanza tigroide o corpo di Nissl é una sostanza formata da piccole masserelle di reticolo endoplasmatico granulare all'interno del citoplasma del neurone, simili a sfere). Non ci sono lesioni MACROSCOPICHE. -­‐ Contusione cerebrale  esistono due tipi a seconda della superficie d’impatto: • Superficie ampia: si ha la contusione GENERALIZZATA. Macroscopiacemnte l’encefalo è rigofio, edematoso e disseminato di emorragie puntiformi che interessano sia lo sostanza bianca che quella grigia. Microscopicamente le emorragie puntiformi risulatano una disposizione periva sale, formando degli stravasi ad anulari attorni alle arteriole (EMORRAGIE AD ANELLO). A volte si possono rinvenire piccoli e superficiali STRAVASI EMORRAGICI nel tratto più prominente delle circonvoluzioni cerebrali interessate dal trauma.

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Superficie limitata: si stabilisce una lesione nella sede del trauma che viene definita COLPO. La sostanza nervosa colpita (solitamente la corteccia) è rigonfia, emorragica, molle e friabile per la presenza di aree di necrosi. Il focolaio ha estensione prevalentemente SUPERFICIALE e si riduce andando in profondità, per cui a taglio si mostra con una conformazione IRREGOLARMENTE TRIANGOLARE. Di particolare interesse sono le LESIONI DA CONTRACCOLPO, cioè le alterazioni che si verificano nel tratto di superficie encefalica situato sul versante DIAMETRALMENTE OPPOSTO al punto di azione diretta del trauma. La spiegazione di questa lesione è che nelle azioni contsive in cui il cranio è sottoposto ad una VIOLENTA ACCELERAZIONE che CESSA IMPROVVISAMENTE, il cervello mentre da un lato si comprime sulla superficie dove è avveuto l’impatto dall’altro si allontana bruscamente dalla superficie opposta venendo STRAPPATO dai proprio involucri a cui è fissato tramite i vasi. Le lesioni da copo e da contraccolpo sono seguite da infiltrazione linfocitaria e di microglia che hanno lo scopo di allontanare materiale necrotico; successivamente avvengono fenomeni cicatriziali con partecipazione di glia astrocitaria fibrosa. Macroscopicamente lo stadio finale si manifesta come una zona più o meno depressa e irregolare. -­ Lacerazione e spappolamento  avvengono in occasione di traumi aperti con ampie ferite penetranti (es. schegge ossee). Possono causare spandimenti emorragici per lacerazione di vasi e formazione di grossi ematomi intracerebrali. -­‐ Ematoma extra-­durale  è la conseguenza di una azione traumatica sulla regione TEMPORALE, perché la squama del temporale è particolarmente sottile. Può avvenire ad esempio durante un incontro di pugilato oppure per il lancio di un sasso o altro oggetto contundente. La frattura ossea causa rottura avviene a livello della “zona scollabile di Marchant-­‐Ferré”: zona temporo-­‐parietale, in cui la dura madre non è tenacemente adesa all'osso, perchè questo si forma con un meccanismo cartilagineo. Qui passa l'arteria meningea media. Per un trauma diretto in questa regione una frattura produce margini taglienti che recidono l’arteria meningea media o le vene omonime e il sangue stravasato si raccoglie tra meninge e vitrea formando un EMATOMA. L’ematoma comprime il cervello adiacente provocando prima una sintomatologia a focolaio e poi una sintomatologia da ipertensione endocranica. Questa sintomatologia è preceduta da un periodo LUCIDO CARATTERISTICO, nel quale il sangue si raccoglie progressivamente. -­ Ematoma SUBDURALE  è una raccolta ematica che si estrinseca AL DI SOTTO della dura madre, cioè tra la faccia interna della dura madre e la faccia esterna dell’aracnoide. Si distinguono: • ACUTO: accompagna la grande maggioranza di traumi cranici; porta a morte in 2 o 3 giorni. Si riscontra uno strato di sangue coagulato che copre un tratto più o meno esteso di corteccia; la raccolta ematica può essere di diverso spessore: da un coagulo di pochi mm a un versamento imponente con ipertensione endocranica successiva. • SUBACUTO: avviene a distanza di qualche giorno da un trauma cranico di moderata o lieve entità. Il sangue coagulato è di notevole spessore ed è organizzato e aderente sul versante esterno durale. • CRONICO: si manifesta dopo molto tempo da un trauma (da poche settimane a diversi anni!) di lieve entità ed indiretto: caduta da una altezza elevata sui talloni natiche, forte scossone provocato da un incidente senza interessamento primitivo del cranio. Un fattore predisponente è stato identificato nell’alcolismo cronico, ma è solo una ipotesi. Accade in persone adulte o anziane, perchè l'età avanczata porta una riduzione della massa cerebrale e degli emisferi cerebrali; quello che si rompe non è un'arteria, ma una o più piccole vene, perciò l'intervallo lucido è lungo. Le vene interessate sono quelle che collegano la circolazione piale con i seni venosi: "vene a ponte"; quando il cervello si riduce queste vene si stirano e si rompono più facilmente per traumi indiretti (dai talloni la colonna trasmette il movimento al cervello). L'ematoma si forma tra la dura madre ed una membrana di contenzione neoformata attraverso il meccanismo della coagulazione. Nel tempo l'ematoma si imbibisce di liquor, stira la membranella, che nel frattempo si è vascolarizzata, e la fa sanguinare. Nei soggetti anziani questi ematomi causano atrofia da compressione, perchè possono stare lì da anni (come possono uccidere in 5 giorni). Questo tipo di ematoma si localizza soprattutto a livello del TENTORIO DEL CERVELLETTO ed occupa la REGIONE PARIETALE. Le sue dimensioni possono variare da forme limitate a forme diffuse. In casi gravi la compressione dell’encefalo porta alla formazione di DEPRESSIONI CONCAVE sulla superficie encefalica. Accanto ai coaguli •

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228 freschi se ne rinvengono altri di colorito rosso bruno e aspett gelatinoso commisti ad un liquame caffeano. Il versamento è avviluppato da una membrana fibrosa che aderisce tenacemente alla dura madre, mentre è molto esile e discontinua sul versante aracnoidale.

DISTURBI DI CIRCOLO -­ Edema  La più semplice lesione è l’edema; può essere diffuso o focale. L'edema diffuso si ha, ad esempio, per una crisi ipertensiva acuta; quello focale invece si può avere per un ictus, processi flogistici e suppurativi, emorragie, ecc. L'edema cerebrale è l'unico, oltre a quello alveolare, che non avviene in un tessuto connettivo. La maggior parte degli edemi sono focali e si manifesta come una LESIONE OCCUPANTE SPAZIO. Le circonvoluzioni cerebrali sono APPIATTITE e i solchi SPIANATI e il profilo dei ventricoli è DEFORMATO con riduzione anche imponente del lume. L’edema può essere così massivo da causare compressione dell’emisfero controlaterale. La sostanza nervosa è di consistenza RIDOTTA. Alla sezione si nota che l’edema si esprime soprattutto a livello della sostnza BIANCA che appare LUCENTE e mostra caratteri di DISINTEGRAZIONE e RAMMOLLIMENTO. I limiti della zona colpita sono poco chiari e NON corrispondono ad un preciso distretto vascolare (D.D. con infarto cerebrale). Istologicamente si capisce che le lesioni sono dovute a all’IPOSSIA conseguente all’accumulo idrico. Caratteristicamente le fibre mieliniche mostrano una RIDUZIONE DELLA COMPATTEZZA e una configurazione più LASSA; le guaine sono RIGONFIE, a CORONA DI ROSARIO e DISFATTE in diversi punti. Non ci sono alterazioni importanti della microglia. Gli astrociti risultano RIGONFI con vacuolizzazione citoplasmatica. Nel SNC il solo tessuto connettivo è rappresentato dall'avventizia dei piccoli vasi intraparenchimali, perciò non si possono formare cicatrici.; c'è la possibilità di un succedaneo che si chiama "gliosi rigenerativa", formata da cellule della glia e da prolungamenti degli astrociti (al posto delle fibre proteiche). Il SNC è contenuto in una scatola inestensibile. Si identificano lesioni occupanti spazio che incrementano la pressione intracranica. Non importa se siano maligne, benigne, solide, liquide, neoplastiche, ischemiche o cistiche, sono comunque potenzialmente letali perchè aumentano il volume del contenuto intracranico. Qualunque lesionie occupante spazio può indurre DISLOCAZIONI SECONDARIE DEL NEVRASSE. La dislocazione di una massa vicina alla lesione prende il nome di CONO DI PRESSIONE e rappresenta la causa di ERNIE CEREBRALI. Le porte erniarie sono 3: • Spazio sottofalcico (giro del cingolo) • Forame di Pachioni (uncus dell’ippocampo) • Forame occipitale (amigdale cerebellari) L’ernia cerebellare può verificarsi anche per una lesione cerebrale; è l’evento critico terminale di tutte le lesioni occupanti spazio, perchè comprime in centi bulbari cardiaci e respiratori; la conseguenza è la morte cerebrale con arresto cardiocircolatorio immediato (senza edema polmonare). -­ Infarto (o rammollimento cerebrale)  il tipo più comune di infarto cerebrale è quello ISCHEMICO, come conseguenza dell’arresto totale dell’afflusso sanguigno in un determinato territorio vascolare arterioso. L’OCCLUSIONE del vaso, che è alla base delle lesioni, può essere conseguenza di ATEROSCLEROSI, EMBOLIE per distacco da un trombo sviluppatosi nelle cavità sinistre del cuore, ARTERITI. Meno frequentemente può essere dovuta a panartrite nodosa, arterite temporale, endoarterite obliterante di Winiwarter-­‐Burger. L’obliterazione del vaso da sola NON BASTA perché l’infarto si instauri poiché le arterie cerebrali sono dotate di ampie reti anastomotiche collaterali. Perciò il secondo evento fondamentale perché si produca un infarto è rappresentato dalla necessità che l’obliterazione si verifichi BRUSCAMENTE, per impedire la formazione di circoli collaterali. Inoltre un fattore favorevole è la presenza di una anastomosi tra arterie carotide interna e vertebrale tramite le arterie comunicanti posteriori. Detto questo è logico capire che qualsiasi malformazione a livello del poligono di Willis può essere un fattore favorente la formazione di infarto. Un ultimo fattore che entra in gioco è l’ATTIVITA’ CARDIACA: finchè il cuore mantiene una pressione elevata a livello delle arterie cerebrali, anche se sono presenti lesioni aterosclerotiche non ci sono difetti della circolazione; se la contrazione miocardica si riduce compaiono improvvisamente fenomeni ischemici. L’aterosclerosi cerebrale colpisce per lo più la arteria cerebrale MEDIA.

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Macroscopicamente le lesioni dell’infarto variano in base al tempo trascorso dall’esordio alla sua osservazione. • Se sono passate 5-­‐6 ore è difficile riconoscere le lesioni • Successivamente la sostanza nervosa si SCOLORA e i limiti tra sostanza bianca e grigia si fanno più incerti. • Verso il 2° -­‐ 3° giorno le lesione è totalmente visibile e mostra uno stato di RIGONFIAMENTO, EDEMA e DISINTEGRAZIONE del tessuto (all’autopsia tagliando questa parte di tessuto rimangono numerosi detriti sulla lama). Successivamente si ha una consistenza FRIABILE che procede progressivamente verso la LIQUEFAZIONE della sostanza nervosa dove si scavano delle pseudo cisti (per questo viene detto RAMMOLLIMENTO). A livello della sostanza bianca permane un colore PALLIDO e si parla di RAMMOLLIMENTO BIANCO, mentre a livello della sostanza grigia la lesione assume carattere più emorragico e si parla di RAMMOLLIMENTO ROSSO (nella sostanza grigia c’è maggior sviluppo della rete capillare). Microscopicamente la prima lesione osservabile è a carico dei pirenofori, che mostrano una lesione detta ISCHEMICA: raggrinzimento e assunzione di profilo angoloso; scomparsa della sostanza tigroide; citoplasma diventa eosinofilo; nucleo picnotico; il corpo cellulare mostra in periferia piccoli granuli basofili triangolari o ovoidali (distorsioni dovute ai limitrofi astrociti rigonfi). La lesione ischemica evolve in maniera inarrestabile verso la DEGENERAZIONE CELLULARE. Anche l’oligodendroglia cade in NECROSI, mentre astrociti sono poco colpiti e microglia è indenne. Nella sostanza bianca le lesioni sono per lo più a carico degli assoni e della loro guaina mielinica, i cui lipidi si degradano liberando lipidi colorabili con Sudan III. I capillari superstiti risultano abnormemente permeabili e fanno fuoriuscire plasma con emazie che conferiscono alla lesione l’aspetto emorragico. Sono presenti fagociti mononucleati che provvedono a rimuovere il materiale necrotico. Nei rammollimenti bianchi i fagociti inglobano anche i lipidi diventano schiumosi: questa è una reazione VITALE ASSAI PRECOCE, utile per differenziare un rammollimento infartuale da uno spappolamento autolitico post-­‐mortem. Gli astrociti provvedono a riparare il danno e vanno incontro a iperplasia e ipertrofia, producendo abbondante sostanza gliale. Se il danno NON è molto esteso si ha ricostruzione pressoché totale e il focolaio si presenta retratto, raggrinzito, grigio e ocraceo. Se il danno è troppo esteso gli astrociti non riescono a sostituire tutti gli elementi perduti e viene a formarsi una sede in cui si raccolglie liquido limpido detta PSEUDOCISTI DA RAMMOLLIMENTO. -­ Infarti incompleti  si tratta di una sofferenza dei tessuti più suscettibili all’ischemia (neuroni e fibre) dovuta ad un transitorio arresto della circolazione dovuto a spasmo arterioso o a incompleta occlusione vasale. In questo caso non avviene rammollimento, ma si forma una cicatrice sottoforma di GLIOSI FIBROSA. -­ Emorragie del nevrasse  mostrano caratteristiche diverse in base all’agente eziologico che le ha causate. Si va da stravasi puntiformi e per lo più multipli a vasti ematomi estesamente distruttivi. Emoraggie diverse da quelle traumatiche si possono avere per rottura di aneurismi, per rottura di angiomi o secondariamente a neoplasia. Una forma frequente e importante è l’EMORRAGIA CEREBRALE APOPLETTICA, e rappresenta la complicanza acuta più grave dell’encefalopatia ipertensiva. Questa emorragia predilige sedi BEN PRECISE: si dice in “sede tipica” quando riguarda i nuclei della base che sono il caudato, il lenticolare e il talamo ottico, e la capsula interna, che è quella parte del centro semiovale che incorpora la via motoria principale (le arterie lenticolo-­‐ottiche vascolarizzano il talamo; le arterie lenticolo-­‐striate il lenticolare e il caudato). La capsula interna su una sezione di Charcot separa il talamo dal nucleo lenticolare, in una sezione di Flexig appare come un complesso con un braccio anteriore, uno posteriore e un ginocchio (il fascio genicolato è quella parte della via motoria che emana da una circonvoluzione frontale e coordina i movimenti cranio-­‐faciali). La capsula interna è la sede tipica dell'emorragia cerebrale apoplettica. Se non ha sede tipica la causa è diversa dall'ipertensione. All’ispezione esterna un cervello colpito da questa emorragia a carico dei nuclei della base mostra dal lato del versamento un INCREMENTO DI VOLUME, con circonvoluzioni APPIATTITE e solchi SPIANATI. Alla superficie di taglio il cervello configura un EMATOMA, cioè una zona più o meno ampia in cui la compagine della sostanza nervosa è interrotta ed accoglie sangue per di più coagulato. Rimosso l’ematoma si osserva una CAVITA’ a pareti anfrattuose e le zone limitrofe sono interessate da emorragie puntiformi. Istologicamente c’è l’infiltazione da parte di macrofagi che rimuovono pigmenti ematici e necrosi. Infine avviene la sostituzione del tessuto perso da parte degli astrociti.

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Le emorragie apoplettiche molto grandi possono ROMPERSI e il sangue può versarsi nei ventricoli (INONDAMENTO VENTRICOLARE) oppure direttamente negli spazi sub aracnoidei (EMOCEFALO INTERNO). La patogenesi di questa emorragia non è nota, ma ci sono fattori considerati influenti per la rottura della parete del vaso: 1. Regime pressorio del vaso 2. Alterazioni della parete arteriosa (aterosclerosi) 3. Modificazioni del tessuto periva sale: alterazioni regressive dei tessuti periva scolari causerebbero una mancanza di CONTROPRESSIONE sulla parete vasale. -­ Demenza multinfarto  i pazienti che ne corso di mesi e anni soffrono di infarti multipli e bilaterali della sostanza grigia e bianca possono sviluppare una sindrome clinica caratterizzata da alterazioni del movimento e sintomi pseudo bulbari, spesso con sovrapposizione di deficit neurologici focali. Questa sindorma è detta DEMENZA VASCOLARE (o multinfartuale) ed è causata da una patologia vascolare MULTIFOCALE che consiste in: 1. Aterosclerosi cerebrale 2. Trombosi vasale o embolizzazione a partenza dai vasi carotidei o dalle cavità cardiache 3. Sclerosi cerebrale arteriolare da IPERTENSIONE CRONICA. -­ ANEURISMI INTRACRANICI ed EMORAGGIA SUBARACNOIDEA  gli aneurimi intracranici possono essere dovuti a numerose cause: • Di natura mal formativa • Provocati da aterosclerosi o arteriti • CONGENITI: sono i più frequenti. Sono il risultato di una IPOPLASIA congenita della parete vasale, nella maggior parte dei casi. Il difetto interessa solitamente a tonaca media. Si manifesta in età tardiva (circa nel V decennio!). Macroscopicamente si tratta di un aneurisma sacciforme le cui dimensioni variano da una testa di spillo fino a 30 mm e si presenta a forma di BACCA. Le localizzazioni più comuni sono lungo la arteria cerebrale media a livello della sua prima o seconda biforcazione e il punto di confluenza della comunicante anteriore con una arteria cerebrala anteriore. L'arteria di Charcot (cerebrale media) o dell'emorragia cerebrale è dove si formano i microaneurismi di Charcot-­‐Bouchard, grandi come un quarto di una capocchia di spillo, la rottura dei quali causa lo "sfacelo" dell'emisfero cerebrale. Istologicamente la parete dell’anuerisma è costituita da un sottile strato di connettivo fibroso sul cui versante interno ci sono trombi laminari in via di organizzazione. La limitante elastica risulta sfibrillata e degenerata. La maggior parte di questi aneurismi va incontro a rottura e il paziente può morire. Lo spandimento emorragico avviene solitamente negli spazi SUBARACNOIDEI e distrugge e invade gli emisferi cerebrali. La rottura avviene in seguito a traumi e sforzi di entità limitata (come un colpo di testa o una caduta), mentre in altri casi è dovuta a esercizi e sforzi fisici violenti. In caso di spandimento sub aracnoideo il sangue rimane confinato al di sotto dell’aracnoide e la superficie cerebrale si presenta di aspetto CRUOROSO (termine che indica il sangue intero o il coagulo), ma il lavaggio non permette la rimozione dello stravaso. Il versamento sub aracnoideo causa una condizione irritativa delle leptomeningi, che si manifesta con rigidità nucale che poi diventa rachidea. Se il paziente non muore il sague stravasato viene rimosso da macrofagi pigmenti fero e il liquor si fa xantocromico. Clinicamente i sintomi sono dovuti ad un improvviso aumento della pressione intracranica. IPERTENSIONE ENDOCRANICA: complesso costante dei sintomi di interesse neurologico che compaiono tutte le volte che la pressione aumenta all'interno della scatola cranica. Ciò accade per un tumore, per un edema cerebrale, per la chiusura dei fori che mettono in comunicazione i ventricoli cerebrali con la zona posta tra il sistema nervoso e la teca ossea (fori attraverso i quali defluisce il liquido cefalorachidiano), per una difficoltà all'uscita del sangue venoso (dovuta a stasi circolatoria) dal cranio e per un aumento nella secrezione del liquido cefalorachidiano. I sintomi dell'ipertensione endocranica sono: la cefalea, accentuata dalla stazione eretta e dalla tosse (dovuta a compressione e stiramento delle arterie e delle fibre sensitive dei nervi cranici); il vomito (talora senza nausea, a getto, presente la mattina, facilitato dalle oscillazioni del capo); la papilla da stasi, cioè la papilla ottica che all'oftalmoscopio appare sollevata sul fondo dell'occhio, con margini sfumati e qualche emorragia; le vertigini; i cambiamenti di carattere; le convulsioni epilettiche; la paralisi del muscolo oculomotore resto esterno. Naturalmente non tutti i sintomi sono presenti contemporaneamente.

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EMORRAGIA SUBARACNOIDEA (dagli appunti di Bianco) = Tutto ciò che è evolutivamente recente è instabile: il poligono di Willis può avere malformazioni a livello della tonaca media; i suoi vasi sono molto sottili, trasparenti con tonaca media imperfetta, soprattutto nelle zone sottoposte a rimodellamento. Una qualunque lesione della media predispone alla formazione di aneurismi; gli aneurismi del poligono di Willis si trovano di solito agli angoli e sono di tipo sacciforme: si chiamano "a bacca" e si trovano alla base del cranio nello spazio subaracnoideo. Quando si rompono danno un'emorragia subaracnoidea, una cosa estremamente comune,a volte mortale, che necessita di immediato riconoscimento diagnostico, spesso suscettibile di intervento chirurgico. Esistono aspetti della storia clinica che quando ci sono possono aiutare la diagnosi, cioè l'esecuzione di uno sforzo. La sintomatologia è una cefalea terrificante, comiuciata da minuti/ore che si associa a sintomi di irritazione meningea:segno di Lasegue, rigidità nucale, segni di ipertensione endocranica, senza segni di infezione. MALATTIE DEGENERATIVE Con in progredire dell’età il SNS, e in particolare l’encefalo, va incontro a riduzione di volume e peso. Il liquor aumenta nei ventricoli e negli spazi sub aracnoidei causando idrocefalo ex vacuo. Le circonvoluzioni sono assottigliate e i solchi sono ampi. L’atrofia corticale si esplica soprattutto a carico dei lobi frontale e parietale. È dominante una riduzione della massa bianca e il colore della massa grigia diventa più scuro. Istologicamente si riscontrano alterazioni delle cellule nervose (riduzione del volume, citoplasma pallido, riduzione della sostanza tigroide, accentuazione della basofilia del nucleo, scomparsa di una quota cellule, accumulo citoplasmatico di granuli di lipofuscina giallo-­‐oro) e gliali (trasformazione di astrociti citoplasmatici in astrociti fibrillari e comparsa di granuli di lipofuscina. Microglia e oligodendroglia non sono colpiti). Incostantemente è riscontrabile, soprattutto a livello della corteccia frontale e dell’ippocampo, la presenza di PLACCHE SENILI o GEODI, individuate da Blocq e Marinesco in un epilettico, che si mettono in evidenza con la colorazione argentica. Sono costituite da cellule argirofile e granulari disposte a corona, con una parte centrale contenente materiale PAS-­‐positivo e una sostasta positiva per le reazioni della sostanza amiloide. I neuriti abbondano nelle placche di recente formazione perciò vengono anche dette placche neuritiche. In associazione ai geodi è stata riscontrata anche una sostanza amorfa che si accumula nella parete dei piccoli vasi e che forma le placche perivascolari. Infine a livello dei neuroni dell’ippocampo si ha la degenerazione granulo-­‐ vacuolare caratterizzata dalla presenza di vacuoli citoplasmatici contenenti un corpo argirofilo granulare; ad essa si associano i corpi di Hirano (costituiscono le inclusioni intracitoplasmiche eosinofile, vedute tipicamente nel sistema nervoso centrale). Psicosi presenili: malattia di Alzheimer e malattia di Pick  sono alterazioni degenerative dell’encefalo associate ad un quadro clinico dominato da un grave stato psicotico. • M. di Alzheimer: è una patologia degenerativa che colpisce F/M = 2/1 in età compresa tra 50-­‐60 aa. È caratterizzata da un progressivo deterioramento mentale consistente in perdita della memoria recente, disorientamento, confusione, fino alla demenza conclamata nel giro di 5 anni. L’ipotesi patogenetica più accreditata si basa sul concetto che un

peptide detto proteina ß, aggregato in forma di amiloide, sia responsabile della degenerazione neuronale e sinaptica dei neuroni. La proteina ß-APP è neurotossica in misura proporzionale alla sua aggregazione in filamenti di amiloide, e mutazioni puntiformi del gene per la proteina precursore (APP) si riscontrano in sindromi di Alzheimer familiari. I neuroni sani I neuroni sani hanno uno scheletro interno di supporto formato in parte da strutture chiamate microtubuli, che sono costituiti di subunità stabilizzate da una proteina detta tau. Nell'Alzheimer la proteina tau è modificata chimicamente (iperfosforilata), e ciò ne causa l'appaiamento con altre unità di tau che finiscono poi per creare i grovigli neurofibrillari. Tale contesto provoca un collasso della struttura microtubulare, con conseguenti problemi di comunicazione fra i neuroni e poi portandoli alla morte. La proteina tau sembra coinvolta anche in altre patologie neurodegenerative. Nell’Alzheimer si accumula, per vari motivi, come difetto di maturazione, di escrezione, difetto nei segnali di riconoscimento della proteina e causa quindi la formazione di benderelle argentofile. Questa teoria è rinforzata dal riscontro nei pazienti Down dopo i 35 anni, dello sviluppo costante di un quadro di

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232 Alzheimer. In questi soggetti si ha accumulo di amiloide già dai 10 anni di età.

Macroscopicamente il cervello è RIDOTTO di volume per atrofia dell’intera corteccia o focale. Nelle sezioni di rende evidente una dilatazione ex vacuo dei ventricoli laterali. Microscopicamente si notano atrofia, scomparsa dei neuroni e due lesioni caratteristiche: DEGENERAZIONE NEUROFIBRILLARE di ALZHEIMER e un enorme numero di PLACCHE SENILI. La degenerazione neurofibrillare di Alzheimer è una lesione che si evidenzia inizialmente come una BENDERELLA ARGENTOFILA che circonda la cellula; in stadi avanzati compaiono molte più benderelle e l’elemento cellulare sembra circondato da un “cestello fitto”. A volte la disposizione delle benderelle è a “vortice” o a “spirale” e conferisce alla cellula un aspetto a “torcia stilizzata”. A carico del citoplasma si ha la scomparsa di sostanza tigroide, mentre il nucleo va incontro a lisi. Le benderelle sono dovute alla deposizione prima all’esterno e poi all’interno del citoplasma, di materiale simile alla sostanza amiloide. Colorate con il ROSSO CONGO assumono caratteristica tonalità rosea e diventano birifrangenti. Al ME risultano costituite da micro fibrille a loro volta composte da microtubuli ritorti. Alla degenerazione dei neuroni segue la regressione degli assoni e delle loro guaine, gli astrociti diventano fibrillari. • M. di Pick: è una malattia rara che insorge tra i 50-­‐60 anni e predilige lievemente il sesso femminile. Clinicamente si manifesta come un processo d deterioramento mentale ad inizio insidioso, con difficoltà di concentrazione e perdita della memoria recente, per poi portare ad uno stato di totale disorientamento nel tempo e nello spazio. I carattere clinico è spesso a FOCOLAIO, cioè interessa le corteccie pre frontale e poi la frontale e la temporale. La malattia ha un decorso inesorabilmente progressivo e si conclude solitamente con una malattia intercorrente (broncopolmonite) in un arco di tempo tra 2-­‐ 10 anni. Macroscopicamente l’encefalo mostra una atrofia circoscritta o lobare della corteccia per lo più a livello dei lobi frontali e temporali. Le leptomeningi sono lievemente ispessite. In stadi avanzati le circonvoluzioni sono molto assottigliate tanto da sembrare “lame di coltello” e i solchi sono ovviamente più ampi. È costante l’atrofia della sostanza bianca sub-­‐ corticale. Microscopicamente sono presenti atrofia (caratterizzata da scomparsa dei neuroni dei primi tre stadi esterni) e da un intensa gliosi astrocitaria fibrillare. Le cellule nervose sono rigonfie e contengono inclusioni argirofile. Nel citoplasma c’è la comparsa di un materiale proteico inizialmente acidofilo che si accumula progressivamente e causa lo spostamento del nucleo contro la membrana cellulare; colorando con IMPREGNAZIONE ARGENTICA il materiale citoplasmatico risulta formato da masse globulari, omogenee e a limiti netti, che costituiscono i CORPI DI PICK (simili agli accumuli dell’Alzheimer). Sclerosi laterale amiotrofica (SLA)  è una patologia che colpisce soggetti adulti in età media e di entrambi i sessi. L’affezione si trasmette come carattere autosomico dominante. Clinicamente si manifesta con una grave atrofia muscolare secondaria degli arti superiori per interessamento del neurone periferico, associata a una paralisi spastica degli arti inferiori per lesione del neurone centrale. A livello del rigonfiamento cervicale del midollo si osserva atrofia delle redici anteriori, perciò i neuroni motori delle corna anteriori appaiono numericamente ridotti e quelli superstiti sono in degenerazione. I settori cordonali del fascio piramidale mostrano alterazioni gravissime in alcuni punti e altre molto lievi in altri, che interessano le fibre destinate alla motilità degli arti inferiori. È presente noltre degenerazione e scomparsa delle cellule gigantocellulari di Betz del terzo superiore della circonvoluzione frontale ascendente. Negli stasi avanzati la lesioni si estende a colpire i nuclei motori dei nervi cranici del ponte e del bulbo. Esistono due varianti di SLA: 1. PARALISI BULBARE PROGRESSIVA: atrofia progressiva dei nuclei dei nervi motori del bulbo e del ponte, con morte del paziente soprattutto per polmonite ab ingestis. 2. ATROFIA MUSCOLARE PROGRESSIVA NEUROGENA: si ha sofferenza dei muscoli somatici secondaria a compromissione dei neuroni motori Malattia di Parkinson (o paralysis agitans) si tratta di una affezione a spiccata incidenza familiare che compare solitamente tra il 60-­‐70 aa. I sintomi insorgono in maniera estremamente lenta, ma quando si arriva allo stadio di massima espressione la malattia è caratterizzata da una triade precisa: TREMORE + RIGIDITA’ + ATTITUDINE IN FLESSIONE. Il tremore è presente a riposo e scompare

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con i movimenti e con il sonno ed ha una frequenza di 2 – 3 scosse al secondo; prima è localizzato alla testa e poi ad un arto superiore per poi estendersi simmetricamente al resto del corpo. Alla mano il tremore ha la caratteristica speciale di mimare movimenti volontari coordinanti, come arrotoloare una pallina fra il pollice e l’indice. Nel frattempo si sviluppa una rigidità progressiva che inizia a livello del capo e poi si estende a tronco e arti: la testa è piegata in avanti, il dorso è curvato, le braccia sono semiflesse nell’articolazione del gomito e le dita sono flesse leggermente in tutte le articolazioni, gli arti inferiori flessi all’anca e al ginocchio. La rigidità muscolare conferisce al viso un atteggiamento AMIMICO, detto “facies parkinsoniana”, con fissità dello sguardo, rarità dell’ammiccamento e bocca semiaperta. I movimenti attivi sono resi lenti e di difficile esecuzione per via della rigidità muscolare. Macroscopicamente si riscontra una progressiva scomparsa della SUBSTANTIA NIGRA del Sommering a livello mesencefalico, dove i neuroni perdono granuli di neuromelanina e vanno incontro a degenerazione con accumulo di lipofuscina. Come conseguenza della perdita della sostanza nera si ha una grave carenza di dopamina nello striato. A questo si unisce uno squilibrio generalizzato in molti neurotrasmettitori di questa regione tale da portare alla fine ad una diminuzione dello stimolo facilitante alla corteccia (diminuzione della via diretta dei nuclei della base). Nel citoplasma di queste cellule si riscontrano i caratteristici CORPI IALINI DI LEWY, cioè corpi sferici argirofili tingibili con coloranti basici, che contengono determinanti antigenici dei neurofilamenti e ubiquitina. Corea di Hungtinton  è una rara malattia autosomico dominante che insorge nel corso del IV decennio e si caratterizza clinicamente per la presenza di sintomatologia ipercinetica ipotonica di tipo extrapiramidale a cui fa seguito uno stato demenziale. È un malattia ereditaria con penetranza incompleta di un gene localizzato sul cromosoma 4 che presenta una ripetizione di una tripletta (persone sane da 11 a 31, persone malate oltre 38). Il numero di copie della tripletta è inversamente proporzionale all’età di esordio della malattia (fenomeno dell’anticipazione): oltre 55 ripetizioni si associa ad insorgenza giovanile, fra 38 e 43 ad insorgenza tardiva. Nel progredire generazionale i nuovi nati ereditano sempre più triplette dai genitori portatori e/o malati, anticipando sempre l’età di insorgenza. Il prodotto del gene non è noto. Il danno si estrinseca probabilmente con un meccanismo di accentuazione del danno neurotossico del glutammato, con degenerazione neuronale principalmente dello striato (molto ricco di NMDA). Macroscopicamente si manifesta come una atrofia corticale che interessa soprattutto i lobi prefrontali. I ventricoli laterali sono dilatati ed è presente atrofia del putamen. Microscopicamente è presente degenerazione e scomparsa dei neuroni del nucleo caudato, soprattutto delle piccole cellule. Nella corteccia frontale sono rarefatti i neuroni degli strati 3,5,6. Atassia di Friedreich  Autosomica recessiva, forma familiare che rappresenta da sola il 50% dei casi di eredoatassia. Ha una prevalenza di 1-­‐2/105, quindi si tratta comunque di una malattia rara. Il gene interessato è sul cromosoma 9 e codifica per una proteina transmembrana dei neuroni attualmente a funzione ignota. Dal punto di vista neuropatologico si ha una degenerazione evidente soprattutto nel midollo spinale, e qui nei cordoni posteriori. Le radici dorsali presentano anche atrofia, come i fasci spinocerebellari. Sono invece risparmiati i fasci piramidali. C’è gliosi reattiva, ma questo non impedisce la perdita di funzione, e una diminuzione volumetrica del midollo. Fenomeni degenerativi meno marcati si hanno praticamente in tutto l’encefalo, e anche nelle fibre muscolari del miocardio. Dal punto di vista clinico l’esordio è fra 8 e 15 anni (rari casi sopra a 25 anni) con atassia della marcia (sintomo tipico) e statica. Derivano da una complessa associazione di deficit cerebellare e deficit sensitivo. Il risultato è che il soggetto non riesce più a mantenersi in piedi senza sostegno, per oscillazioni in tutte le direzioni aggravate dalla chiusura degli occhi. La marcia avviene con i quattro arti abdotti, e le gambe spesso vengono slanciate in avanti e fatte ricadere pesantemente al suolo. C’è anche assenza di riflessi profondi (prima nelle gambe e poi nelle braccia) e quindi Babinsky positivo. Associazione con diabete mellito, disfunzioni sfinteriche e demenza. Il decorso della malattia è lentamente progressivo, e usualmente il malato perde la capacità di camminare entro 15 anni dall’esordio: la cardiopatia o la grave cifoscoliosi possono anticipare l’età del decesso rispetto alla popolazione normale. MENINGITI Sono infiammazioni delle meningi. Tipicamente sono di origine infettiva, e vengono divise generalmente in purulente e linfocitarie (da piogeni o no, più spesso virali). La maggior parte di quelle purulente riguardano la volta e causano l'accumulo di notevoli quantità di pus tra aracnoide e pia. Alcune specifiche sono della base e appartengono ad una terza categoria (quando

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si parala di meningite specifica si intendono quelle di origine tubercolare o luetica). Ci sono diversi tipi di meningiti purulente e sono divise in base all'eziologia e all'epidemiologia (sporadiche o epidemiche). Le flogosi della dura madre si verificano spesso sul versante esterno o su quello interno: • Epiduriti: nel cranio si manifestano come formazioni ascessuali appiattite tra meninge e teca ossea. Perché questo si manifesti è necessario che le meninge sia facilmente scollabile dalla vitrea (cosa non possibile alla base dove essa è tenacemente adesa). • Infezioni subdurali: si ha la formazione di tasche di pus delimitate da tessuto di granulazione. È possibile la propagazione dell’infezione a distanza. Le flogosi delle leptomeningi sono provocate da germi di natura diversa. I microrganismi possono colonizzare la meninge attraverso diverse vie: • Ematogena • Impianto diretto per penetrazione di materiale inquinato attraverso ferite • Diffusione per contiguità da infezione subdurale • Propagazione per via venosa da sinusite o otomastodite • Diffusione per contiguità da un focolaio infettivo adiacente Se la leptomeningite si instaura primitivamente si parla di forma PRIMARIA, mentre se insorge come complicanza di un processo già presente è detta forma SECONDARIA. -­ Meningite da meningococco  Il meningococco alberga nelle narici e dà meningite epidemica (mesi invernali, comunità chiuse); si diffonde attraverso le GOCCIOLINE DI FLUGGE ed è una forma dei giovani adulti. L’infezione da meningococco consiste in una sepsi di gravità diversa, di cui la sepsi è solo una delle localizzazioni NON obbligate, anche se tra le più frequenti. Si possono avere due modalità evolutive diverse: 1. SEPSI MENINGOCOCCICA ACUTISSIMA: si osserva per di più nell’infanzia. Sono presenti gravi lesioni emorragiche distruttive dei surreni. 2. SEPSI A DECORSO PROTRATTO: colpisce soprattutto i lattanti. La localizzazione è preferenzialmente meningea. Morfologicamente una volta rimossa la calotta cranica le dura madre appare TESA. Gli spazi sub aracnoidei della volta mostrano la presenza di essudato cremoso di tonalità giallo-­‐verdastra. Esso se è molto abbondante si dispone a mò di cuffia (“cuffia verde”) e si accumula anche a livello della base. Le leptomeningi sono SVOLGIBILI e la pia madre appare IPEREMICA. Alla sezione dell’encefalo i ventricoli appaiono dilatati e contengono liquor TORBIDO o decisamente PURULENTO. Microscopicamente l’essudato è costituito da polimorfo nucleati neutrofili che contengono meningococchi fagocitati (visibili dopo colorazione con BLU DI METILENE). Si rinvengono modeste quantità di linfociti e cellule giganti istiocitarie. Dalle leptomeningi gli infiltrati si dirigono verso la sostanza nervosa attraverso gli spazi linfatici di Virchow-­‐Robin e vanno a interessare gli strati esterni della corteccia. Se non si interviene tempestivamente con la terapia si ha evoluzione dell’essudato verso la formazione di tessuto fibroso che oblitera gli spazi subaracnoidei. -­ Meningite da pneumococco  Quella da pneumococco è l'unica da gram+ e deriva da una sepsi pneumococcica, ma può presentarsi in assenza di polmonite e formare un ascesso. Una meningite pneumoccocica associata ad una polmonite ad esito ritardato e ad una endocardite di stessa natura realizza la TRIADE DI MARCHIAFAVA. L’essudato si raccoglie per di più nella volta, ha carattere purulento ed è di colorito giallo-­‐ verdastro. I granulociti presenti nell’essudato contengono pneumococchi fagocitati. -­ Meningite tubercolare  La meningite tubercolare è una meningite della base e non è purulenta, nè linfocitaria, ma c'è un alto contenuto di fibrina. Colpisce prevalentemente i giovani, soprattutto nei primi 10 anni di vita. Nella maggior parte dei casi avviene in corso di una TBC miliare disseminata o come lesione isolata dopo la lesione primaria. Oggi si fa distinzione fra TBC MENINGEA (reazione circoscritta, clinicamente attenuata o latente, delle meningi al bacillo di Koch) e MENINGITE TUBERCOLARE (espressione flogistica acuta più o meno estesa). Esistono quadri clinici e anatompatologici diversi: 1. Leptomeningite tubercolare acuta: dura madre TESA, circonvoluzioni APPIATTITE e disegno di solchi e scissure ATTENUATO. La superficie dell’aracnoide è meno lucente della norma e può apparire opacata. Alla BASE le strutture presenti sono ricoperte di essudato grigio a contenuto variabile di liquido di aspetto gelatinoso. L’essudato è contenuto nel contesto dell’aracnoide e spinge il chiasma verso la scissura interemisferica, mentre posteriormente avvolge i due peduncoli cerebrali. I tubercoli

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sono PICCOLI, di colorito BIANCO-­‐GRIGIASTRO e sono disseminati vicino ai vasi. L’encefalo è edematoso e al taglio fuoriesce dai ventricoli una grande quantità di liquor LIMPIDO o lievemente torbido. Le pareti ventricolari sono molli e friabili e i plessi coriodiei sono iperemici. Lesioni particolari si notano a carico dei vasi che si manifestano come arteriti tubercolari nei vasi di maggior calibro e arterite aspecifca con necrosi fibrinoide in quelli di minor calibro. Microscopicamente l’essudato è composto da FIBRINA disposta a reticolo. Le cellule presenti sono linfociti e cellile globose di origine istiocitaria. La configurazione istologica dei tubercoli può variare da quella del tubercolo “classico” poiché solo raramente sono presenti le cellule giganti di Langhans. I bacilli di Kock si rendono evidenti nelle sezioni istologiche dopo colorazione con il metodo di Ziehl-­‐Neelsen. 2. Leptomeningite tubercolare a decorso protratto: in alcuni pazienti dopo trattamento antibiotico è possibile che la flogosi delle meningi non guarisca né in senso batteriologico, né in senso anatomico e, superata la fase acuta, essa assuma un andamento prolungato (secondo Sotti) interrotto da periodi di più intensa attività e di riaccensione, nel corso di uno dei quali può sopravvenire l’exitus. In questo caso si ha una condizione ipertensiva molto più intensa di quella che avviene nella meningite tubercolare non trattata. La teca cranica mostra impronte digitate profonde generalizzate fronto-­‐parieto-­‐occipitali. Alla base è presente lo svasamento dell’aditus ad sellam. L’ipofisi è APPIATTITA diffusamente. La dura madre è FORTEMENTE TESA e vi si associa un incremente volumetrico e ponderale del cervello a causa della presenza di un forte idrocefalo da ostacolo alla circolazione del liquor dovuto all’orgranizzazione dell’essudato alla base e attorno ai peduncoli cerebrali (idrocefalo comunicante). I plessi corioidei sono congesti e disseminati di tubercoli miliarici grigi o submiliarici caseosi (detti focolai o noduli di Rich, che sono granulomi caseosi.). L’essudato ha carattere fibroplastico e forma PLACCHE IRREGOLARI sulle formazioni della base. In relazione all’alto contenuto di fibrina nell’essudato, il liquor dopo rachicentesi lasciato a riposo forma il reticolo di Mya, una sorta di “tela di ragno” dovuta ad un sottile coagulo di fibrina che si forma nel liquor. -­ Meningite da H. Influenzae (bacillo di Pfeiffer)  La meningite da H. influenzae è una meningite batterica che colpisce sia bambini che adulati; è detta "a liquor torbido" (o purulenta, piogenica): si ha ipertensione del liquor, che appare inizialmente grigiastro o giallo-­‐verdognolo, per diventare opalescente nei casi ad evoluzione favorevole, ricco di proteine e cellule (granulociti neutrofili); il quadro clinico è grave, si verifica sempre flogosi della superficie cerebrale che appare avvolta da essudato purulento, sono possibili emorragie, infiltrati e ascessi. La diagnosi differenziale è con la meningite virale, che, al contrario, è detta "a liquor limpido" (asettica, non purulenta): in questa il liquor è trasparente e incolore, con una pressione superiore alla norma, in genere povero di cellule e si nota un aumento delle proteine; il quadro clinico, caratterizzato da febbre e sindrome meningea, risulta meno grave di quello della meningite a liquor torbido. L'accertamento diagnostico si ottiene mediante esame microscopico diretto e colturale del liquor (nelle forme ad eziologia batterica, protozoaria o fungina), isolamento dell'agente dal liquor e riscontro del titolo anticorpale nel siero (per le forme virali). La terapia nelle meningiti batteriche viene fatta con antibiotici, per via endovenosa o intratecale (benzilpenicillina, ampicillina, cloramfenicolo, cefalosporine, aminoglicosidi). -­ Meningite da E. Coli  è una meningite del neonato di tipo purulento e causata da E. Coli K1. ENCEFALITI Processo infiammatorio del parenchima cerebrale sostenuto da una causa infettiva. Sono primarie se il patogeno è presente nel cervello, secondarie se innescate con meccanismo immunitario. Le classificazioni sono quella eziologica (virale, batterica, parassitaria, micotica), decorso (acuta, subacuta, cronica). Si distinguono poi in base alla localizzazione e al quadro neuropatologico. LOCALIZZAZIONE QUADRO PATOLOGICO • Polioencefalite: solo sostanza grigia • Demielinizzanti • Leucoencefalite: solo sostanza bianca • Emorragiche • Panencefalite: tutto il cervello • Purulente • Necrosanti

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Praticamente tutti i tipi di patogeni possono dare una encefalite, ma la maggior parte sono di origine virale, in risposta alla quale si verifica una risposta immunitaria cellulomediata con attivazione dei T da parte delle cellule della glia che funzionano da APC. Nelle forme primarie, l’invasione del SNC può avvenire per: • Contiguità: molto rara la diffusione da parte di un processo infettivo vicino come una otite. Invece è molto frequente la diffusione lungo le vie nervose (rabbia) od ematiche (polio, morbillo), dopo una replicazione nei tessuti di origine. • Via ematica: i virus entrano in circolo dopo l’invasione, senza fermarsi in altri tessuti, e provocano una iniziale viremia. A questo fa seguito la localizzazione nel SRE e da qui ai bersagli finale • Via neurale: direttamente da parte dei prolungamenti del SNC in senso centripeto (herpes) Le forme secondarie invece sono dovute alla reazione autoimmune da cross-­‐reattività, e coinvolgono in genere la sostanza bianca. Istologicamente nel cervello si possono avere vari di questi aspetti: • Infiltrazione cellulare di monociti e PMN • Iperplasia e proliferazione della glia • Degenerazioni ed inclusi nel pirenoforo dei neuroni • Necrosi • Sofferenza della sostanza bianca con demielinizzazione Clinicamente si distinguoo: • Sintomi generali 1. Febbre: più o meno elevata ma sempre presente 2. Astenia e dolori muscolari diffusi 3. Malessere generale • Laboratorio: 1. VES elevata 2. Leucocitosi • Sintomi neurologici Sono distinguibili in sofferenza cerebrale diffusa o localizzata SOFFERENZA DIFFUSA SOFFERENZA LOCALIZZATA • Alterazioni della coscienza (coma e Sono frequenti ma non obbligatoriamente confusione mentale) presenti • Crisi epilettiche generalizzate • Crisi epilettiche parziali (sintomo irritativo) • Sindrome da ipertensione endocranica • Deficit neurologici focali • Sindrome meningea (quasi sempre • Deficit psichici e cognitivi specifici interessate le meningi in corso di encefalite) • Sintomi di sofferenza di altri organi: Questi sono in rapporto al patogeno, ad esempio nell’encefalite da rosolia ci sarà il rash caratteristico, in quella herpetica le vescicole e così via. Nelle forme croniche invece il quadro clinico non ha i segni sistemici della malattia acuta, ma presenta i segni di interessamento neurologico. Encefaliti VIRALI  Le encefaliti virali sono infezioni del parenchima cerebrale che si associano costantemente a infiammazione delle meningi e a volte ad un simultaneo interessamento del midollo spinale. Gli aspetti istologici caratteristici dell’encefalite virale sono gli infiltrati di cellule mononucleate (linfociti, plasmacellule e macrofagi) in sede periva scolare e parenchimale, la reazione gliale (con formazione di noduli microgliali) e la neuronofagia. L’evidenza virale è data dalla presenza di corpi virali inclusi e dalla determinazione ultrastrutturale degli agenti virali stessi. Un fenomeno particolarmente caratteristico di alcune infezioni virali è il TROPISMO nei confronti del SNC. -­ Herpes Virus Simplex tipo 1 e 2 (HSV-­1 e 2)  è più frequente nei bambini e negli adolescenti. Si manifesta come un’encefalite erpetica caratterizzata da alterazioni del tono dell’umore, deficit della memoria e turbe del comportamento. La diagnosi si raggiunge

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agevolmente con la ricerca del virus nel liquor mediante PCR. Questa encefalite inizia colpendo le regioni inferiori e madiali dei lobi temporali e il giro orbitale dei lobi frontali. L’infezione provoca NECROSI e spesso EMORRAGIE nelle aree più colpite. Sono presenti infiltrati infiammatori periva scolari e possono essere riscontrate inclusioni citoplasmatiche di tipo COWDRY A. HSV tipo 2 invece si manifesta più negli adulti e si manifesta solitamente come una meningite -­ HIV – Encefalite subacuta  circa il 60% dei malati di AIDS sviluppa un deficit neuologico durante la malattia. L’encefalite subacuta è un grave disturbo neurologico che può colpire i pazienti affetti da AIDS. Può esordire clinicamente con una demenza definita AIDS-­‐DEMENTIA COMPLEX caratterizzata da rallentamento mentale, perdita della memoria, disturbi dell’umore (apatia e depressione). Macroscopicamente le meningi appaiono trasparenti ed è presente dilatazione ventricolare con ampliamento dei solchi, ma con normale spessore corticale. Microscopicamente è presente una reazione infiammatoria cronica con infiltrati di NODULI MICROGLIALI, ampiamente distribuiti, associati a volte con necrosi tissutale e gliosi reattiva (proliferazione delle cellule gliali per compensare un danno). I piccoli vasi presentano cellule endoteliali voluminose e macrofagi periva scolari e carichi di pigmento. Il nodulo microgliali contiene CELLULE GIGANTI MULTINUCLEATE originanti dalla linea macrofagica. L’HIV si può rinvenire nei macrofadi CD4-­‐positivi e in mono e polinucleati e in sede microgliale. Altre manifestazione dell’AIDS possono essere: • Meningoencefalite asettica acuta: sindrome meningea con associati segni di paralisi periferica del VII, sofferenza piramidale e vie sensitive, con prognosi buona. Fase molto iniziale dovuta alla diffusione nel liquor dell’HIV, prima della sieroconversione. • Mielopatie: la forma più frequente è la mielopatia vacuolare con lesioni della sostanza bianca che provocano una mielopatia combinata sensitivo-­‐motoria • Neuropatie periferiche: molto frequenti. Forme immunomediate compaiono nelle prime fasi dell’infezione, mentre tardivamente si hanno per lo più forme di natura distruttiva. Possono essere: 1. Sensitiva distale simmetrica 2. Poliradiculopatia infiammatoria demielinizzante cronica 3. Sindrome di GB 4. Poliradiculopatia progressiva della cauda equina 5. Neuriti multiple • Miopatie: si possono avere polimiositi probabilmente di natura autoimmune, e una miopatia da farmaci (AZT). -­ Rabbia  È una malattia infettiva acuta sostenuta dal Rhabdovirus che colpisce gli animali a sangue caldo e accidentalmente l’uomo causando una encefalite di regola mortale. Il Rhabdovirus è un virus ad RNA. Si riconoscono 2 tipi di rabbia: • Rabbia urbana legata ad animali domestici in particolare i cani (ma anche gatti, bovini, equini). • Rabbia silvestre legata ad animali selvatici in particolare la volpe (in Europa) ma anche lupi, sciacalli, ratti, scoiattoli, cervi e pipistrelli (in USA). Il virus viene trasmesso dalla saliva degli animali tramite morsi o graffiamento o lambimento di zone cutanee lese. Nel cane la saliva infetta da 3 giorni prima delle manifestazioni cliniche quindi nel dubbio è importante tenere l’animale in osservazione. La malattia si osserva nel 50% dei casi esposti e dipende la quantità di virus inoculato, innervazione della zona di introduzione (massimo contagio in capo, collo e polpastrelli) e dal fatto che la cute sia esposta o ricoperta da indumenti. Il virus si replica a livello dei fusi muscolari che si trovano nella giunzione neuromuscolare, quindi diffonde in via retrograda alle radici dorsali del midollo e quindi va ad interessare i neuroni midollari sensitivi, infine ha diffonde per via transinaptica ascendente al SNC. Nel SNC avviene la seconda replicazione del virus all’interno dei neuroni (non interessa le cellule della glia) e quindi il virus diffonde in modo centrifugo lungo i nervi autonomici fino a raggiungere altri tessuti tra cui le ghiandole salivari per cui viene eliminato con la saliva. Il meccanismo di azione del virus è oscuro. Il cervello appare friabile, edematoso e congesto. La necrosi neuronale è minima, mentre si ha interferenza con la neurotrasmissione. Sono presenti caratteristiche inclusioni citoplasmatiche nelle cellule piramidali, ganglionari e nelle cellule cerebellari del Purkinje dette CORPI DEL NEGRI che appaiono come formazioni rotonde o ovalare di 1-­‐15 mm acidofile in sede

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paranucleare. La microglia da origine attraverso fenomeni di fagocitosi a formazioni nodulari in rapporto con i neuorni necrosati, dette NODULI DI BABÈS. Si può avere interferenza con la neurotrasmissione. I corpi di negri possono essere presenti anche a livello miocardico dove è presente miocardite. MALATTIE DA PRIONI (o encefalopatie spongiformi) I prioni rispetto ai virus normali hanno come UNICO COSTITUENTE MOLECOLARE una glicoprotienia esente da DNA o RNA. Il termine viene dall'inglese prion (acronimo di "PRoteinaceus Infective ONly particle"=particella infettiva solamente proteica) ed è stato attribuito da S.B. Prusiner ad un ipotetico "agente infettivo non convenzionale" di natura proteica, privo di acidi nucleici in quanto resistente a trattamenti in grado di degradarli ma sensibile alle proteasi. Le malattie da prioni sono patologie legate alla presenza di una alterazione in una proteina detta prionica normalmente presente nel cervello sottoforma di una catena alfa. Questa proteina, sintetizzata dal cromosoma 20, può per una mutazione assumere invece una struttura beta planare, e prende allora il nome di PrP alterata. Questa proteina diventa quindi resistente al calore e alle proteasi, e si accumula nel cervello portando a degenerazione neuronale. Inoltre, la presenza di una proteina prionica alterata induce la mutazione dopo la sintesi delle proteine normali vicine. Questo permette quindi la possibilità di trasmettere la malattia attraverso l’ingestione e l’assorbimento delle proteine (resistenti alla digestione gastroenterica) presenti nel SNC di animali infatti. Si ha quindi una serie di patologie che possiedono una epidemiologia da malattia genetica e da malattia infettiva contemporaneamente. -­ Kuru  Patologia originalmente sconosciuta, ma endemica nelle isole orientali della Nuova Guinea fra le popolazioni Fore che praticavano il cannibalismo (alimentazione rituale con cervello dei familiari defunti). Questa pratica era il mezzo di propagazione della malattia. Si pensa ad un caso di CJ sporadico propagatosi nei secoli con il cannibalismo. Alterazioni tipiche neuropatiche sono le placche di amiloide (dette placche di kuru) nello strato delle cellule del Purkinje nella corteccia. Il cervelletto risulta ATROFICO (con conseguenti gravi turbe della deambulazione e della postura). Nel cervelletto risultano più colpiti i GRANULI e i neuroni sono colpiti da una piccola ma diffusa vacuolizzazione che realizza la DEGENERAZIONE SPONGIFORME. A livello dello strato dei granuli e della cellule di Purkinje inoltre si riscontrano numerose PLACCHE costituite da materiale PAS-­‐positivo e birifrangente, simile all’amiloide. Alla degenerazione scomparsa delle cellule nervose segue una sostituzione con cellule dell’astroglia. -­ Malattia di Creutzfeldt-­Jakob  Rispetto al kuru ha una distribuzione ubiquitaria. 1/1.000.000 anno, 5% familiari, il resto sporadici per mutazione acquisita o contaminazione. Fonti di rischio infettivo sono il trapianto di cornea, strumenti contaminati, innesto di dura madre, estratto di ormone della crescita umano da cadavere. Tempo di incubazione 1-­‐7 anni. La proteina prionica che causa questa malattia è la PrP27-­‐30 codificata da un gene sul cromosoma 20. Il nevrasse può essere interessato a vari livelli, ma tipicamente si riscontra uno stato spongioso della corteccia dei nuclei della base e la corteccia cerebellare, associato ad astrocitosi, gliosi e rarefazione neuronale. Istologicamente si riscontrano lesioni simili al kuru (degenerazione spongiforme, placche e reazione astrogliale) Dal punto di vista sintomatologico si ha una triade: • Demenza a rapida evoluzione • Mioclonie spontanee o provocate • Caratteristiche alterazioni EEG (onde trifasiche, bilaterlai e sincrone, ad andamento ritmico con progressiva scomparsa del ritmo di fondo). Non sono specifiche. La demenza è rapidamente progressiva nel giro di pochi mesi; prima si hanno alterazioni della memoria, delle capacità cognitive e del linguaggio (soprattutto), poi intervengono mioclonie (non specifiche ma molto indicative di questo tipo di demenza) ed alterazioni dell’EEG. NEUROSIFILIDE La sifilide interessa il SNC all’ultimo dei suoi tre stadi clinici, che sono: • Sifilide primaria: ulcera indolente (sifiloma) nel luogo di ingresso a regressione spontanea • Sifilide secondaria: sindrome simil-­‐influenzale con linfoadenopatia generalizzata e macchie cutanee diffuse (roseola) a regressione spontanea • Sifilide terziaria: interessamento neurologico in 5-­‐30 anni dal contagio, e manifestazioni granulomatose (gomme luetiche) in tutto il sottocute e negli organi interni. Solo nel 30% dei pazienti non trattati

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L’alterazione del SNC si verifica fin dalla prima fase, ma diventa sintomatica solo alla fine. Quindi se in fase precoce (entro i primi 2 anni da contagio) non c’è interessamento liquorale (pleiocitosi e aumento delle proteine totali) la neurosifilide si sviluppa molto raramente. L’interessamento del SNC può avvenire secondo diverse modalità e quadri clinici, ma si deve tenere presente che le forme atipiche sono la regola, e le varie forme tipiche non si presentano quasi mai isolate. Possono esistere diversi quadri clinici: Clinica delle forme precoci  Queste forme sono l’espressione dell’interessamento del SNC prima della terza fase, o neurosifilide conclamata. Meningite precoce: Fasi precoci (6-­‐12 mesi dall’infezione), in genere asintomatica, con alterazioni liquorali (pleiocitosi, proteinorrachia aumentata e ipoglicorrachia). Però possono anche aversi interessamenti dei nervi cranici (VII, VIII, VI, II) con sequele a distanza di tipo deficitario, o addirittura occlusione vascolare con necrosi ischemica cerebrale e spinale. Neurosifilide asintomatica: Alterazioni del liquor in assenza di altri segni, in fase precoce della malattia. La presenza di queste alterazioni è predittiva di uno sviluppo, in seguito, di forme più gravi. Si ricerca quindi sempre la pleiocitosi, la proteinorrachia e gli antigeni del treponema nel liquor in tutti i soggetti con sifilide in fase iniziale. Meningite sifilitica acuta: Circa 2 anni dopo il contagio, nello stesso periodo del rash cutaneo. Si caratterizza con una sintomatologia meningea tipica associata a deficit dei nervi cranici (VIII, VII, II). Dal punto di vista istologico la dura madre è sempre risparmiata, mentre la pia e l’aracnoide sono congeste, soprattutto alla base del cranio. La sintomatologia meningea e la paresi dei nervi cranici tendono a regredire rapidamente sotto terapia antibiotica, senza sequele neurologiche che altrimenti, nei non trattati, sono piuttosto comuni. Sifilide meningo-­vascolare: Segni di sofferenza focale nell’encefalo o nel midollo, spesso transitorio, circa 5-­‐15 anni dopo il contagio. L’esordio è improvviso, talora con prodromi aspecifici (cefalea, vertigini, irritabilità, disturbi della memoria). Clinicamente si hanno, in ordine di frequenza: • Emiparesi • Afasia • Crisi epilettiche • Alterazione ischemica del territorio basilare • Infarti spinali con grave sindrome da sezione trasversa Dal punto di vista neuropatologico si ha un processo di infiltrazione meningea e di arterite segmentaria dei vasi di medio e piccolo calibro, particolarmente intensa nel poligono del Willis. La diagnosi è abbastanza facile per la sintomatologia tipica e la positività del liquor ai test sierologici. Clinica della neurosifilide tardiva (o parenchimatosa)  Le forme qui di seguito trattate sono invece quelle legate alla neurosifilide conclamata. Gomme luetiche: Le classiche gomme granulomatose (oggi di interesse storico) si possono trovare sulle meningi, sulla superficie di cervello e cervelletto, raramente all’interno del parenchima. In rapporto alla localizzazione della gomma si può avere una sintomatologia focale o da compressione midollare. Paralisi progressiva: Detta anche demenza paralitica o neurosifilide paretica, è una meningoencefalite diffusa con decadimento mentale e disforia, lentamente progressiva, che senza un trattamento molto precoce giunge alla demenza. Si osserva da 10 a 25 anni dopo l’infezione in casi mal trattati. Si hanno lesioni di due tipi, da infiltrato perivascolare di cellule linfocitarie (in queste lesioni si ritrova il treponema), da rarefazione neuronale e gliosi reattiva. Clinicamente si ha un esordio variabile, che può essere: • Deterioramento mentale (attenzione, giudizio, critica, comportamento) molto subdolo • Depressione • Eccitazione ed euforia, alterazioni positive del comportamento • Sintomi neurologici focali (spesso III nc) • Sintomi aspecifici (cefalea, tremore, astenia e dimagrimento) Successivamente si instaura un periodo di stato, anche qui piuttosto vario, caratterizzato da: • Sindrome demenziale (aspetto prevalente) • Deliri megalomani, depressivi, allucinatori (mistici ed erotici) • Segni neurologici focali: o Segno di Argyll-­‐Robertson (con dissociazione del riflesso pupillare alla luce e all’accomodazione)

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o Disartria o Crisi accessuali generali o focali o TIA con emiparesi (30%) Tabe dorsale Meningo-­‐radicolite, a prevalente localizzazione lombosacrale, che si manifesta 10-­‐25 anni dopo il contagio, con: • Alterazione dei riflessi pupillari • Anestesia e atassia • Areflessia profonda • Dolori viscerali Si evidenzia una atrofia delle radici e i cordoni posteriori dovuta ad un infiltrato infiammatorio delle meningi attorno alle radici. L’infiammazione del nervo radicolare provoca la successiva perdita di neuroni nei cordoni posteriori. Dal punto di vista clinico si ha: • Perdita della sensibilità profonda: con il progredire della malattia, e soprattutto agli arti inferiori. Si manifesta atassia sia statica che dinamica. La sensibilità superficiale è in genere conservata o poco danneggiata. • Areflessia osteotendinea: tipicamente agli arti inferiori • Ipotonia: globale, associata a lassità legamentosa. • Anomalie pupillari: possono essere l’unico aspetto della malattia. Più frequente è il segno di AR, ma anche altre, in un quadro identico alla paralisi progressiva prima descritta • Dolori folgoranti: caratteristicamente molto brevi, in qualsiasi regione (specie addome e arti inferiori) e sono molto precoci. • Atrofia ottica: infiammazione della pia che circonda il nervo ottico, e degenerazione delle fibre periferia al centro. Quindi si ha la progressiva restrizione del campo visivo. • Ritenzione e incontinenza urinaria: in relazione all’ipotonia dei detrusori e degli sfinteri. Sono precoci. • Turbe trofiche: artropatie, fratture spontanee e ulcere plantari • Atrofia muscolare: anche rilevante, si manifesta a muscoli isolati specie negli arti inferiori. Sclerosi combinata luetica. E’ una forma in cui si combinano segni di disturbi della sensibilità profonda con modesti segni piramidali (ipereflessia profonda e Babinski). Nel 10% il liquor è normale Forma connatale Infezione avviene al 4° mese, specie se la madre è nelle prime fasi della malattia. La diagnosi si fa alla nascita con forme cliniche simili a quelle dell’adulto, che si manifestano dopo il terzo mese di vita. In particolare aiuta la triade di Hutchinson: • Cheratite interstiziale • Deformazioni dentarie • Sordità L’esame del liquor è alterato, con positività alle reazioni sierologiche. La diagnosi si basa su aspetto clinico delle sindromi, liquor e test sierologici. MALATTIE DEMIELINIZZANTI Ci si riferisce non a tutte le malattie in cui c’è distruzione della mielina, ma a quelle in cui tale processo avviene con conservazione dell’assone. Queste malattie sono divisibili in due gruppi, quelle primitive, in cui la demielinizzazione rappresenta il solo reperto clinico e patogenetico, e quelle associate a malattia sistemica. Dei due gruppi il primo è quantitativamente e qualitativamente molto più importante del secondo, e la SM è la principale. Primitive Sclerosi multipla Encefalomielite acuta disseminata post vaccinica Encefalomielite acuta disseminata post infettiva Encefalomielite acuta emorragica

Secondarie Mielinosi pontina centrale Malattia di marchiafava-Bignami Leucoencefalite multifocale progressiva

L’eziologia delle malattie del primo gruppo è sconosciuta. Encefalomielite acuta perivenosa disseminata Sindrome a decorso monofasico, secondaria ad una vaccinazione o ad una infezione, con

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diffusione ad aree vicino alle vene di infiammazione, edema e demielinizzazione. In rari casi è stata descritta una forma iperacuta. Talora non viene riportato nessun riferimento a vaccinazioni o infezioni (forma idiopatica). È anche definita: • EAD post vaccinica: descritta con la vaccinazione per la rabbia e per il vaiolo (soprattutto), estratto da cervello di coniglio. Non è legata ad una risposta citopatica del virus, ma ad una crossreazione contro le guaine mieliniche. L’introduzione di vaccini preparati senza estratti cerebrali ha reso questa malattia di interesse soltanto storico, anche se ancora alcuni sporadici casi si verificano. • Forma post infettiva: si associa a volte ai comuni esantemi infantili di origine virale. Si verifica 1:4000-­‐10000 con la varicella, più raramente con rosolia, parotite, influenza, mononucleosi o coxsackie. E’ una malattia autoimmune con risposta verso antigeni della mielina, in particolare verso la proteina basica. Alla base c’è o una crossreattività con proteine virali oppure uno smascheramento-­‐antigene dovuto al danno del SNC. Macroscopicamente il nevrasse può apparire congesto ed edematoso. I piccoli vasi sono circondati da un alone grigiastro che costituisce il reperto essenziale dell’affezione: si tratta di focolai di DEMIELINIZZAZIONE che interessano la sostanza bianca e, marginalmente, anche quella grigia. Microscopicamente la demielinizzazione si apprezza nei preparati con il metodo Weigert per la mielina dove appaiono PALLIDI SU FONDO NERO. Sono presenti infiltrati perivenosi di linfociti. A livello dei focolai di demielizzazione si trovano cellule che hanno il compito di spazzare via il materiale in disfacimento. Le cellule nervose presenti possono andare incontro a cromato lisi. Negli stadi tardivi si ha iperplasia e ipertrofia della glia atrocitaria. Clinicamente è caratterizzata da esordio improvviso ed evoluzione rapida, con prognosi variabile. Il quadro clinico è dominato da segni di sofferenza focale del SNC che si manifestano e raggiungono l’apice in poche ore-­‐giorni. I sintomi sono da sofferenza corticale, sottocorticale, troncale o cerebellare, dei gangli, del midollo. Le crisi epilettiche sono comuni. Terapia: metilprednisone endovena ad alto dosaggio come nella SM acuta. Leucoencefalite acuta emorragica di Wenston-­Hurst Rara, preceduta spesso da una forma di infiammazione delle vie aeree superiori. E’ più comune nei maschi rispetto alle femmine. Macroscopicamente è resente edema e emorragie disseminate nella sostanza bianca sottoforma di PETECCHIE. Microscopicamente è presente necrosi delle aretriole e delle venule, con emorragie ad anello o a palla cui si accompagna la demielinizzazione periva sale con infiltrato neutrofilo, macrofagico e linfocitario. Clinicamente si ha un esordio brusco e tumultuoso, con febbre convulsioni e coma. Ci sono anche segni focali che a volte sfuggono per via della frequente presenza di disturbi della coscienza: l’evoluzione è spesso fatale. L’esame del liquor rivela aumento della pressione liquorale, proteinorrachia, pleiocitosi con cellule mononucleate e PMN. Leucoencefalopatia multifocale progressiva è un’encefalita causata da POLIOMA VIRUS JC. L’infezione colpisce soprattutto gli oligodendrociti perciò il suo effetto principale è la demielinizzazione. La malattia si presenta costantemente negli immunodepressi e probabilmente il virus interagisce con l’HIV all’interno delle cellule. Si pensa che la malattia insorga per una RIATTIVAZIONE DEL VIRUS in caso di immunosoppressione. Le lesioni consistono in aree irregolari di distruzione della sostanza bianca che vanno da pochi mm fino ad interessare un intero lobo cerebrale. Microscopicamente la lesione è caratterizzata da una zona di demielinizzazione al centro del quale sono disseminati macrofagi ricchi di lipidi e un ridotto numero di assoni. Ai margini della lesioni si rinvengono cellule di oligodendroglia ingrandite, la cui cromatina è sostituita da inclusioni virali AMFOFILE di aspetto vitreo. Clinicamente si hanno sintomi neurologici focali inesorabilmente progressivi. Sclerosi a placche (o sclerosi multipla) Questa importante e frequente malattia occupa quasi tutto il capitolo. Dopo i traumi cranici essa è la causa più frequente di disabilità neurologica nell’età giovanile-­‐adulta. E’ una malattia complessa, a decorso variabile e imprevedibile, caratterizzata dalla presenza di estese aree di demielinizzazione sparse nel SNC, specie nelle vie lunghe e nella sostanza bianca vicino ai ventricoli. Dopo diversi anni assume quasi sempre un aspetto progressivo. Colpisce F/M 2,5:1. L’esordio è in genere fra 20 e 45 anni, picco attorno a 30. È una malattia ubiquitaria, con punte di diffusione nel nordeuropa e negli USA. Quasi assente in Asia. Studi di popolazione evidenziano

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che i pazienti acquisiscono il rischio della zona dove vivono i primi 15 anni di vita. La vera causa è ignota, ma tutto sembra indicare un fattore ambientale che scatena nei soggetti predisposti una risposta autoimmune contro la mielina del SNC. Tale fattore ambientale è con buona probabilità un virus (indagati HSV6, HTLV1, SimianV5), che colpisce nell’infanzia ed ha diffusione ubiquitaria con un gradiente legato alla latitudine. Sono però necessari fattori individuali che scatenino una risposta autoimmune (complessi HLA messi in relazione sono il DR2-­‐DQW1 e il DR4-­‐DQW3). Altre teorie puntano invece verso una genesi del tutto autoimmune; nella SM esiste una diminuzione dell’attività dei T soppressori che potrebbe essere alla base di meccanismi di autoreattività. Macroscopicamente il reperto non da molte indicazioni. Gli emisferi cerebrali possono essere atrofici, ma si rilevano solo lievi aree di depressione a limiti netti. Le lesioni rilevano il loro carattere A PLACCHE quando esaminate sulla superficie di SEZIONE. Esse possono variare per numero e dimensione, sono localizzate nella sostanza bianca ed hanno una conformazione “capricciosa” (possono essere tonde, ovali o policicliche) e limiti netti. Le lesioni INIZIALI hanno colorito ROSEO, mentre quelle EVOLUTE hanno colorito GRIGIO e si mostrano DEPRESSE. Microscopicamente le lesioni INIZIALI mostrano iperemia dei capillari (da cui proviene il colore roseo macroscopico) e dissociazione della trama tessutale attribuita all’edema; sono presenti infilitati di macrofagi, linfociti e plasmacellule; la demielinizzazione degli assoni si manifesta prima con rigonfiamento delle guaine, che possono assumere aspetto a “corona di rosario”, e poi con la perdita delle loro proprietà tintoriali e la comparsa di piccole gocciole lipidiche colorabili con Sudan III. A questo punto le pacche si mostrano IPERCELLULERI per accumulo di elementi della microglia che provvedono alla spazzamento dei lipidi sudanofili. Man mano che si completa la demielinizzazione inizia la proliferazione delle cellule dell’astroglia, che iniziano un processo di GLIOSI FIBROSA che si manifesta con la SCLEROSI. In questo momento la placca ha raggiunto la massima espressività ed è visibile anche a occhio nudo su sezioni colorate con il metodo di Weigert, dove appare come aree incolore sul fondo nero-­‐violaceo del tessuto normale. I neuroni colorati con il metodo di Bielschowsky appaiono CONSERVATI anche se possono mostrare alterazioni come rigonfiamento o assottigliamento. Per quanto rigurda la fisiopatologia bisogna ricordare che la mielina avvolge l’assone dappertutto tranne che attorno ai nodi di Ranvier, permettendo una conduzione saltatoria (in cui il PDA si propaga soltanto da un punto non isolato all’altro) molto veloce, alla base dei processi rapidi di moto. Il danno di demielinizzazione provoca due condizioni: • Rallentamento della velocità di conduzione • Cortocircuito del segnale fra zone demielinizzate dell’assone con impossibilità di conduzione. Dal punto di vista clinico questo si traduce rispettivamente in fatica al movimento da una parte, e nella perdita di conduzione dall’altra. Inoltre il cortocircuito può provocare la stimolazione degli assoni vicini con fenomeni motori e sensitivi paradossi, come la nevralgia del trigemino, le parestesie, contrazioni muscolari toniche prolungate. Inizialmente i deficit motori possono essere recuperati parzialmente perché il processo infiammatorio precoce è molto esteso, e l’edema comprime le fibre anche oltre il territorio che viene danneggiato. Oppure si possono attivare fenomeni di innervazione collaterale stimolati anche dalla fisioterapia: infine sono possibili parziali remielinizzazioni. Quando invece la malattia è avanzata il recupero non avviene. Clinicamente l’esordio è variabile, anche se ci sono alcune aree di insorgenza preferenziali, in genere non preceduto da prodromi; i sintomi raggiungono l’acme in poche ore o giorni. Nella maggior parte dei casi si ha ipostenia marcata di uno o più arti, oppure uina neurite ottica, parestesia, diplopia e vertigine o disturbi della minzione. I sintomi compaiono da soli o in associazione, e in genere regrediscono dopo un periodo variabile. Successivamente si ripresentano gli stessi sintomi dell’esordio o altri segni focali. Per ogni caso il sintomo d’esordio, la frequenza di ricadute, l’evoluzione e le modalità di presentazione sono estremamente variabili. In ogni caso il quadro finale è sempre molto simile, con: • Disturbi motori • Spasticità: abnorme aumento del tono muscolare che può originare da una lesione del cervello o del midollo spinale. Una caratteristica della spasticita è che l'aumento del tono muscolare dipende dalla velocità del movimento, ovvero aumenta con l'aumentare della velocità del movimento. Essa provoca il cosiddetto effetto a "serramanico" nei movimenti passivi degli arti e coinvolge sia i muscoli agonisti che antagonisti,

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243 interferendo così sia con la flessione che con la estensione di un segmento corporeo • Atassia: è un disturbo consistente nella progressiva perdita della coordinazione muscolare che quindi rende difficoltoso eseguire i movimenti volontari. • Turbe della sensibilità • Deficit visivi • Turbe sfinteriche

TUMORI DEL NEVRASSE E DELLE MENINGI Incidenza 10-­‐17/100000 individui. I tumori del SNC rappresentano circa il 20% di tutte le neoplasie pediatriche. Le neoplasie de SNC hanno caratteristiche che li differenziano da tumori di altre sedi. • Innanzitutto nell’ambito del SNC è meno evidente la distinzione tra BENIGNI e MALIGNI • La resezione chirurgica di questi tumori, oltre a essere estremamente difficile e pericolosa porta spesso a compromissione di alcune funzioni neurologiche. • La localizzazione anatomica della neoplasie può avere conseguenze LETALI a dispetto della classificazione istologica. • I tumori del SNC metastatizzano raramente al di fuori del SNC, mentre più frequentemente la diffusione avviene tramite gli spazi subaracnoidei. Una classificazione precisa è molto difficile da creare, ma in generale si possono classificare i tumori del SNC secondo questa tabella:

Verrano descritti i tumori più importanti. MENINGIOMI Sono tumori che originano dalle meningi o dalle strutture che da esse derivano (plessi corioidei e tela corioidea). I più frequenti sono i meningiomi che contraggono rapporti con la dura madre (non significa che originano dalla duar madre!). I meningiomi si sviluppano in sedi diverse, ma nella maggior parte dei casi prediligono la cavità cranica. Colpiscono più il sesso femminile e in generale si manifestano in età medio-­‐adulta. Sono state riscontrate anomali genetiche ritenute possibilmente responsabili dei meningiomi:

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• Perdita del braccio lungo del cromosoma 22 che ospita il gene NF2. • Frequente associazione con la neurofibromatosi di tipo 2. In base alla sede si possono distinguere: 1. Meningiomi intracranici: localizzati alla volta o ai lati della grande falce 2. Meningiomi spinali: prediligono il tratto dorsale 3. Meningiomi intraventricolari 4. Meningiomi orbitali: originano dalla guaina del nervo ottico 5. Meningiomi ectopici: nella regione della glabella Macrcoscopicamente i meningiomi possono essere emisferici o francamente sferici, allungati o peduncolati. La superficie esterna può essere liscia o lobulata. Sono inseriti nella dura madre (spesso) e si spingono a comprimere e atrofizzare il parenchima cerebrale, senza però infiorarlo. A volte i meningiomi assumono sviluppo superficiale realizzando il quadro del MENINGIOMA A PLACCA. I meningiomi che si accrescono in prossimità della teca cranica possono causare modificazioni della stessa (iperostosi). In superficie di sezione i meningiomi mostrano un comportamento variabile in base alla loro struttura istologica. La maggior parte ha aspetto FIBROSO con manifesta fascicolazione. I meningiomi sono solitamente lesioni UNICHE. Microscopicamente esistono molteplici tipi di meningiomi in base alla loro struttura. Secondo la classificazione di COURVILLE esistono: • TIPO SINCIZIALE  le cellule poligonali che lo costituiscono formano un ampio sincizio. Il citoplasma è filamentoso e omogeneo. Il nucleo è grande e centrale. Il tessuto è attraversato da travate percorse da vasi e formate da fibre reticolari, collagene ed elastiche. • TIPO TRANSIZIONALE  è costituito da elementi allungati, fusiformi, distribuiti in modo da originare figure a VORTICE attorno a piccoli vasi. Su queste strutture precipitano SALI DI CALCIO e si formano delle concrezioni concentriche dette PSAMMOMATOSE. Al taglio il tumore stride, è duro e finemente granuloso. • TIPO FIBROSO  è costituito da elementi allungati, fusiformi con nucleo a biscotto. È presente una elevata quota di FIBRE ARGENTOFILE e COLLAGENE tra le cellule. La consistenza è elevata. • TIPO ANGIOBLASTICO  risulta di cavità vascolari con aspetto di sinusoidi, rivestite da cellule rigonfie che si espandono nel lume obliterandolo parzialmente. Gli spazi tra le cavità sono colmi di cellule dello stesso tipo. È una forma che tende a dare rapide recidive e a metastatizzare a distanza. Queste 4 forme principali sono seguite da diverse varianti: • Variante XANTOMATOSA  quando le cellule assumono aspetto schiumoso per accumulo di lipidi sudanofili. Macroscopicamente hanno tonalità gialla e alla sezione hanno aspetto butirroso. • Variente MELANICA  presenza di pigmento melanico nei macrofagi. • Variante OSSEA e CARTILAGINEA  in seno al tumore si forma osso a fibre intrecciate e a fibre lamellari. • Variante MIXOMATOSA  deposizione di abbondante sostanza intercellulare metacromatica. • Variante a CELLULE GIGANTI • Variante PAPILLARE I meningiomi, qualunque sia il loro tipo e variante, sono BENIGNI nella stragrande maggioranza dei casi. In rari casi però po’ andare incontro a trasformazione maligna, descrivendo il quadro del SARCOMA PRIMITIVO DELLE MENINGI oppure dei MENINGIOMI A SECONDARIA EVOLUZIONE SARCOMATOSA. Si tratta di neoplasie carnose e a carattere infiltrante, che sono sede di focolai necrotici ed emorragici. Microscopicamente mostrano una struttura fibrosa, fusocellulare e polimorfocellulare. Clinicamente la sintomatologia è compressiva con segni deficitari o comiziali, in rapporto alla localizzazione. L’edema perilesionale è frequente, ma l’ipertensione endocranica no. L’asportazione chirurgica risolutiva è spesso possibile, anche se alcune localizzazioni la rendono difficile. Le recidive non sono rare, e anche se si tratta di tumori benigni in caso di residuo postoperatorio è autorizzato l’uso della terapia radiante (di regola nelle forme anaplastiche). L’evento più frequente dopo il trattamento è la guarigione definitiva; le recidive complessivamente si hanno nel 15% delle asportazioni totali.

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TUMORI DI PERTINENZA DELLA GLIA ECTODERMICA Sono denominati GLIOMI, sono neoformazioni che originano dalle cellule gliali e sono i più frequenti tumori cerebrali. A seconda dei tipi cellulari si possono distinguere varietà diverse: astrocitomi, oligodendrogliomi, glioblastomi multiformi, ependimomi. Astrocitomi Gli astrociti sono cellule di supporto diffuse sia nella sostanza bianca che nella grigia, che hanno essenzialmente due funzioni: • Attorno ai neuroni tamponi metabolici, fornitori di substrati, detossificanti, isolanti elettrici • Attorno ai vasi BBB, controllando il flusso di molecole e substrati fra sangue, liquor ed encefalo Di queste neoplasie esistono diversi sottotipi, di cui i principali sono discussi qui di seguito. L’astrocitoma è un tumore classificato secondo BAILEY e CUSHING in due tipi: 1. CITOPLASMATICO: risulta dagli astrociti citoplasmatici della sostanza grigia. Colpisce bambini o giovani adulti. La sede è corticale con adesione alle leptomeningi. Macroscopicamente appare gelatinoso o cistico, con limiti netti. Microscopicamente gli astrociti sono distribuiti in forma rada e separati da una sostanza gelatinosa in cui sono presenti cavità cistiche. 2. FIBRILLARE: è il più frequente e si distribuisce in maniera ubiquitaria in tutto il nevrasse. Le sedi maggiormente interessate sono gli emisferi cerebrali, la regione ipotalamica, il tronco dell’encefalo ed il cervelletto. Macroscopicamente è di colorito BIANCASTRO e consistenza SODA. I limiti sono INDISTINTI, perché questo tumore tende ad INFILTRARE il tessuto sano. Microscopicamente gli atsrociti appaiono piccoli, rotondi, quasi ridotto al solo nucleo. Sono distribuiti in forma rada tra una FITTA RETE DI FIBRILLE, ben evidenziabili con colorazioni che usano metodi di impregnazione con l’oro. Gli astrociti fibrillari si mostrano positivi alla reazione immunoistochimica per la GFAP (Glial Fibrillary Acidic Protein). Nonostante l’apparente benignita l’astrocitoma fibrillare ha quasi sempre pognosi infausta. Astrocitoma anaplastico  è una lesione intermedia tra l’astrocitoma fibrillare ed il glioblastoma multiforme. Macroscopicamente appare di consistenza ridotta. Microscopicamente le cellule sono aumentate di numero, polimorfe e polimetriche. Possono essere presenti aree di necrosi e proliferazioni capillari amò di ciuffi. È un tumore ad elevato grado di malignità. Glioblastoma multiforme  è una neoplasia ESTREMAMENTE MALIGNA. Si sviluppa soprattutto nei maschi intorno ai 60 anni. Sono interessati gli emisferi cerebrali a livello della sostanza bianca dei lobi frontali e temporali. Spesso il tumore passa da un emisfero all’altro tramite le strutture mediane, dando alla sezione un aspetto a FARFALLA. Macroscopicamente se il tumore è di dimensioni LIMITATE, esso appare rotondeggiante, mentre se è di GROSSE dimensioni e INFILTRANTE, esso appare irregolare. Alla sezione mostra un aspetto VARIEGATO per la presenza di aree giallastre di NECROSI che si alternano a TRATTI EMORRAGICI e tessuto ben conservato grigio-­‐roseo. I vasi sono NUMEROSI e a livello delle zone di necrosi appaiono trombizzati. Microscopicamente sono presenti molti caratteri diversi. Si tratta di un aggregato di cellule poligonali, rotondeggianti, polimorfe, multinucleate e fusate. Gli elementi fusati sono SPONGIOBLASTI e circondano le aree di necrosi disponendosi a PALIZZATA. A carico dei vasi è confermata la trombosi e si notano proliferazioni capillari con aspetti di glomeruli con rivestimento formato da più strati (cellule endoteliali + fibrocellule muscolari lisce). Il glioblastoma è un tumore ad accrescimento rapido. Esso infiltra le leptomeningi ed il versante profondo della dura madre, diffondendosi nei seni durali e nella teca. Regolarmente la diffusione avviene attraverso il LIQUOR e c’è un reimpianto a distanza. Può associarsi una componente sarcomatosa (GLIOSARCOMA). Clinicamente da sintomi focali in genere deficitari e rapidamente peggiorativi. Può dare crisi comiziali ma più raramente delle forme a basso grado, in quanto tende alla distruzione e non all’irritazione. Alle neuroimmagini spicca la necrosi (densità variabile) e le caratteristiche di malignità dei margini. Atrocitoma pilocitico  è un tumore che colpisce elettivamente i bambini e i giovani adulti. La distribuzione è ubiquitaria. Deve il suo nome alla presenza di un involucro a tipo di “feltro” che avvolge le cellule. Macroscopicamente si tratta di un tumore omogeneo o cistico dotato di minore tendenza infiltrante rispetto all’astrocitoma fibrillare. Microscopicamente si evidenziano i tre attributi diagnostici: 1. Abbondante trama lassa o compatta dei prolungamenti fibrosi degli astrociti 2. Fibre di Rosenthal: sono formazioni allungate che occupano i prolungameni degli astrociti.

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Hanno la forma a “salsiccia” e aspetto ialino per spiccata eosinofilia. Si colorano in rosso con la metodics di MASSON. 3. Accumuli intracellulari di granuli proteici. La sintomatologia è spesso quella cerebellare con aggiunta dell’ipertensione endocranica da ostruzione del IV ventricolo. Meno frequentemente si localizza al chiasma o agli emisferi, dando rispettivamente deficit visivi e accessi epilettici. Asportazione e guarigione completa. Astroblastoma  si può verificare in tutte le età e colpsce soprattutto gli emisferi cerebrali. Macroscopicamente si presenta come una formazione a limiti ben definiti, molle, di colorito grigio-­‐rossastro per l’abbondante componente vascolare. Microscopicamente le cellule si dispongono intorno ai componenti di una ABBONDANTE RETE VASCOLARE, originando in sezione trasversale figure simili a rosette (PSEUDOROSETTE) e in sezione longitudinale a file continue di cellule allineate lungo i due versanti di uno stesso vaso. Oligodendrogliomi Gli oligodendrociti sono le cellule che formano una guaina mielinica attorno agli assoni nella sostanza bianca e grigia nel SNC, e che vengono sostituite delle cellule di Shwann nel SNP. L’oligodendroglioma si sviluppa per lo più in soggetti di 40 anni e colpisce entrambi i sessi in egual misura. La sede più colpita è rappresentata dagli emisferi cerebrali e precisamente dai LOBI FRONTALI. Macroscopicamente mostra dei limiti MAL definiti perché ha carattere infiltrante; è di colorito grigio-­‐rossastro ed è di consistenza MOLLE. Può avere aspetto GELATINOSO se è presente abbondante materiale mucoso. Caratteristica peculiare è la presenza di calcificazioni che possono essere viste all’esame radiologico. Microscopicamente vi sono oligodendrociti più grandi del normale e più rotondi. Queste cellule sono addossate le une sulle altre e formano strutture compatte a “nido d’ape”. Ci sono SCARSISSIME mitosi. La rete vascolare è ABBONDANTE e risulta in capillari sottili e angolosi. Tra le cellule tumorali disposte in maniera compatta si interpone una sostanza MUCOIDE EMATOSSILINOFILA PAS-­‐positiva. Le calcificazioni originano dalle pareti vasali dove si depositano concrezioni calcaree che confluiscono tra loro. Questo tumore ha una possibie evoluzione maligna, contrassegnata dalla presenza di incremento di cellule con atipie citoplasmatiche e nucleari. La sintomatologia è dominata da convulsioni, che come detto sono anche il sintomo d’esordio. La prognosi è decisamente migliore degli astrocitomi, con una sopravvivenza media di 5-­‐10 anni, che è maggiore di quella delle forme più benigne di astrocitoma. Una prognosi peggiore ce l’hanno quelle forme con ampie aree necrotiche. TUMORI DI PERTINENZA DELLA SERIE NEURONICA Ganglioneuroma Molti tumori di origine neuronale contengono cellule di aspetto maturo: queste cellule possono essere la sola componente del tumore (gangliocitomi) e il tumore è benigno e a lenta crescita, oppure possono essere presenti anche commisture di cellule gliali (gangliogliomi). In questo caso la crescita è più rapida e la neoplasia più aggressiva, per via della tendenza della componente gliale a diventare francamente anaplastica. Il ganglioneuroma è detto anche gangliocitoma ed è un raro tumore che colpisce bambini e giovani adulti. Per essere considerato tale nel ganglio neuroma è necessario dimostrare 3 caratteristiche: 1. che le cellule presenti sono NEURONI: si basa sull’evidenziazione di sostanza tigroide e neurofibrille e sulla negatività al GFAP e la positività alla SINAPTOFISINA ed all’ENOLASI NEURO-­‐SPECIFICA. 2. che i neuroni presenti partecipano al processo neoplastico e non ne sono solo interessati: questa può essere dimostrata riconoscendo la presenza di neuroni in aree in cui normalmente non ci sono, come la sostanza bianca (ci sono gli assoni non i neuroni interi!) e le leptomeningi. 3. ci sono anche cellule PRECORRITRICI di neuroni (neuroblasti). Si tratta di un tumore ubiquitario che però si manifesta spesso a livello del lobo temporale. Macroscopicamente è di piccole dimensioni, consistente, con superficie di sezione grigia e finemente granulosa. Microscopicamente i neuroni mostrano pleomorfismo (caratteristica di alcune cellule, che possono assumere diversità di forme con il mutare delle condizioni ambientali) e possono essere anche giganti e multi nucleati. Ad essi si associano elementi gliali e neuroblastici. Come già detto,

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se gli elementi gliali sono abbondanti si parla di GANGLIOGLIOMA. Neuroblastoma periferico È il tumore maligno più frequente in età infantile. Si sviluppa a carico del surrene e dei gangli simpatici lobari. Macroscopicamente appare come una formazione uni o bilaterale, molle e friabile. La superficie esterna è lobulata e può contenere una capsula. Al taglio appare di colorito grigiastro che spesso risulta interrotto da emorragie e focolai di necrosi. Sono presenti anche pseudocisri a contenuto ematico e focolai di calcificazione visibili all’esame radiologico. Microscopicamente è presente un tessuto ricco di cellule poco più grandi di un linfocita, con citoplasma scarso, limiti incerti e nucleo compatto rotondeggiante o ovalare. Spesso si rinvengono margini a mò di ROSETTE, che constano di uno spazio centrale occupato da un sottile feltro fibrillare intorno al quale sono disposti a raggiera i neuroblasti. Le metastasi seguono la via ematica e linfatica e i primi a essere colpiti sono frequentemente fegato, scheletro e linfonodi. In alcuni casi si può associare a feicromocitoma: questa evidenza è supportata dal fatto che entrambi i tumori sono NEUROLOFOMI, cioè tumori originanti dalle creste neurali che producono adrenalina e noradrenalina causandi ipertensione arteriosa. In un limitato numero di casi anche il neuroblastoma periferico è risulato produrre adrenalina. TUMORI A CARATTERE INDIFFERENZIATO O EMBRIONALE Medulloblastoma Tumore infantile ad insorgenza esclusivamente cerebellare. Altamente indifferenziato, si localizza nella linea mediana del cervelletto, mentre a volte negli adulti è possibile una localizzazione laterale. Crescendo, può ostruire il deflusso del liquor dal quarto ventricolo e provocare idrocefalo. Deriva da tessuto neuroectodermico primitivo del cervello fetale, e insorge soprattutto nella 1°-­‐2° decade di vita. E’ nettamente infiltrante e invade spesso il tronco dell’encefalo: inoltre tende a disseminarsi lungo le vie liquorali. Macroscopicamente appare molle e leggermente friabile e a limiti incerti. Se le dimensioni sono cospicue si possono ritrovare aree di necrosi. Microscopicamente è una neoplasia caratterizzata da una elevata quota di cellule. Gli elementi hanno attributi PRIMORDIALI, sono polimetriche e strettamente addossate. È possibile trovare formazioni a rosetta come quelle del neuroblastoma. Alcuni elementi mostrano una leggera differenziazione verso i neuroni, mentre altri verso la serie gliale (spongioblasti). Si riconoscono 4 tipi di medulloblastoma in base al grado e al livello di differenziazione: 1. Tipo classico o indifferenziato 2. Tipo a differenzizione verso la serie neuronale 3. Tipo a differenziazione verso la serie gliale 4. Tipo misto Da una intensa reazione desmoplastica e molto rapidamente provoca idrocefalo ostruttivo. Nel bambino inoltre sono comuni cefalea, rigidità nucale e atassia troncale. Non sempre è possibile l’asportazione chirurgica, e la recidiva è la regola, specie per via della disseminazione liquorale. Tuttavia la sopravvivenza è buona perché il tumore è piuttosto radiosensibile (panirradiazione del nevrasse). La chemio aggiunge poco. TUMORI DI PERTINENZA DELL’EPENDIMA Ependimoma Gli ependimociti sono cellule che rivestono i plessi ventricolari, mentre le cellule dei plessi coroidei sono cellule cubiche, strettamente correlate alle prime, che rivestono le aree dove viene prodotto il liquor: queste sono estroflessioni di capillari glomerulari molto fenestrati, che protrudono sul livello dell’ependima circostante, aggettando nel lume ventricolare, rivestite da un epitelio appunto cubico. Dai plessi coroidei viene filtrato il liquor. Si può dire che l’epitelio dei plessi coroidei sia una forma specializzata di cellule ependimali. Può derivare anche dalle cellule ependimali del canale midollare spinale, anche se è obliterato (specie negli adulti). L’ependimoma assume aspetti anaplastici nel 10% delle forme primarie e nel 20% delle recidive, insorgendo nel giovane adulto o nell’adolescente. Nelle forme più comuni la malignità non è elevata. Macroscopicamente se il tumore si sviluppa nel contesto della sostanza nervosa può apparire omogeneo o cistico; se il tumore si sviluppa entro una cavità ventricolare appare come una massa a CAVOLFIORE.

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Microscopicamente il reperto fondamentale è il riscontro delle FIGURE A ROSETTA, che derivano dalla tendenza delle cellule ependimali a delimitare cavità. Queste cellule si dispongono con una distribuzione radiale, periferica ai vasi o a strutture non vascolari. Esiste anche il subependimoma, una variante più rara che è quasi esclusivamente intraventricolare e quindi provoca facilmente ipertensione endocranica occupando il IV ventricolo (dopo un lungo periodo di asintomaticità). In genere tutti i tipi di ependimoma provoca occlusione degli spazi liquorali e idrocefalo ostruttivo, e di regola danno pochi altri sintomi prima. Dopo l’asportazione le recidive sono piuttosto frequenti, e non correlate al grado del tumore. E’ anche possibile la disseminazione del tumore lungo le vie liquorali e per questo motivo un trattamento radiante post chirurgico è la regola. TUMORI DI PERTINENZA DEI PLESSI CORIOIDEI Papilloma Insorgono in tutte le aree dove sono presenti i plessi. La variante maligna (carcinoma dei plessi coroidei) è tipica dell’infanzia, e se si trova nell’adulto è frutto di una metastasi. La massima frequenza si ha nei bambini (nei ventricoli laterali), mentre negli adulti sono frequenti nel quarto ventricolo. Macroscopicamente è una formazione rossa o rosso-­‐grigia con superficie irregolare, simile a quella di un CAVOLFIORE. La consistenza può variare da soda a fragile a aumentata. Microscopicamente si tratta di rilievi papillari ben strutturati, rivestiti da uno strato semplice di cellule cilindriche o cubiche, che riposano su uno stello connetivo-­‐vascolare. La clinica è idrocefalo, possibile sia per ostruzione al deflusso che per aumento della secrezione del liquor. Forse i virus papova hanno un ruolo eziologico. L’asportazione chirurgica radicale è possibile e spesso con buona prognosi, se l’escissione non è radicale si associa radioterapia. E’ utile spesso un drenaggio liquorale interno. TUMORI METASTATICI La localizzazione cerebrale delle metastasi può avvenire per contiguità (tumore dell’ipofisi, del rinofaringe) o per via ematogena. Nel secondo caso la disseminazione può avvenire: • Indirettamente  quando un tumore da metastasi ematogene allo scheletro cranico e da qui si diffonde alle meningi e al tessuto nervoso limitrofo. • Direttamente  assolutamente più frequente. Le metastasi arrivano in ordina di frequenza da tumore del polmone, carcinomi del rene, dello stomaco, della prostata, della tiroide ed il corio carcinoma. Macroscopicamente i tumori metastatici sono caratterizzati da un molteplicità di focolai. Se le metastasi sono di grandi dimensioni appaiono rotonde, a limiti netti, circondate da un’ampia zona di edema. In superficie il loro colore è grigio-­‐roseo e l’aspetto è granuloso. Possono esserci necrosi, focolai emorragici e colliquativi. TUMORI DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO Comprendono due forme principali, il neurinoma e il neuro fibroma. Il primo tumore origina dalle cellule di Schwann (di derivazione neuroectodermica), mentre il secondo origina dagli elementi connettivali dell’endonevrio e del perinevrio (di derivazione mesenchimale). Neurinoma La definizione più corretta sarebbe NEURILEMMOMA oppure SCHWANNOMA. Sono colpiti i nervi di senso cranici e spinali, specie in corrispondenza del tratto radicolare. Tra i nervi cranici il più interessato è l’ACUSTICO (infatti si parla in quel caso di NEURINOMA DELL’ACUSTICO) in prossimità della sua origine apparente a livello dell’angolo ponto-­‐cerebellare. Agli arti sono interessati più i nervi decorrenti lungo il versante flessorio. I neurinomi si manifestano soprattutto tra i 20 e i 50 anni. Il neurinoma dell’acustico ha predilezione per il sesso femminile. Macroscopicamente sono di forma SFERICA se di piccole dimensioni; se sono di grandi dimensioni appaiono LOBULATI. Sono neoplasie circoscritte, ben incapsulate, di consistenza soda. La superficie esterne e di sezione sono di colorito BIANCO LATTEO e spesso hanno aspetto traslucido. Al taglio è visibile un caratteristico andamento fascicolato spesso vorticoso. Nei neurinomi di vecchia data sono presenti fenomeni regressivi come pseudo cisti, zone calcifiche e aree di ialinizzazione. Inoltre in base alle loro dimensioni e alla loro localizzazione possono provocare deformazione delle strutture circostanti.

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Il neurinoma dell'acustico è un tumore benigno che origina dalle guaine di rivestimento dell'ottavo nervo cranico. L'ottavo nervo è formato da due distinti nervi: il nervo cocleare deputato alla percezione uditiva e il nervo vestibolare responsabile dello stato dell'equilibrio.Questi nervi nascono rispettivamente dalla coclea e dall'organo dell'equilibrio (canali semicircolari, utriculo e sacculo) quindi percorrono un piccolo canale osseo (condotto uditivo interno, C.U.I.) per circa un centimetro prima di gettarsi nell'angolo ponto-­‐cerebellare per arrivare al tronco dell'encefalo. Anche il settimo nervo cranico o nervo facciale deputato ai movimenti dell'emifaccia passa in questo canale insieme a importanti vasi sanguigni.Il neurinoma nasce dal rivestimento dell'ottavo nervo cranico generalmente all'interno di questo canale osseo. I tumori del nervo acustico generalmente hanno una crescita lenta (circa 2 mm). Essi rimangono avvolti da una capsula e tendono a erodere l'osso e a spostare i tessuti neurovascolari normali. Per la crescita lenta esiste un adattamento graduale dell'organismo alternato a periodi di sintomi più o meno evidenti dovuti alla compressione del nervo uditivo e/o del nervo facciale, quindi il tumore esce dal canale osseo ed invade lo spazio dell'angolo ponto-­‐cerebellare. A questo stadio, alla risonanza magnetica cerebrale, il tumore assume l'aspetto di una massa globosa peduncolata sul C.U.I.. Nella sua ulteriore crescita, il tumore comprime il nervo trigemino ed il tronco cerebrale rendendo il trattamento chirurgico non dilazionabile. Il neurinoma dell’acustico, se molto sviluppato, produce deformazioni del ponte, del bulbo e del cervelletto, inducendo un incavo da atrofia. Il canale acustico che viene impegnato dal tumore appare SLARGATO (visibile all’esame radiologico, utilissimo per la diagnosi!). Le radici dei nervi limitrofi sono stirate SULLA superficie del tumore, mentre le fibre acustine sono contenute NELLA capsula tumorale. Microscopicamente può essere di Tipo A o B (vedi avanti). Raramente un neurinoma dell'acustico è asintomatico. Più del 90% dei pazienti con neurinoma dell'acustico accusano una ipoacusia neurosensoriale di grado variabile e progressivamente peggiorativa dovuta alla compressione e, quindi, alla sofferenza del nervo cocleare. L'ipoacusia è generalmente associata ad un ronzio o rumore monolaterale nonchè a disturbi dell'equilibrio con instabilità o, raramente, vere crisi vertiginose. Non è raro che un neurinoma dell'acustico possa presentarsi con i sintomi di una Malattia di Meniere (vertigini violente accompagnate da perdita di udito e acufeni). Alcune volte il sintomo rilevatore di un neurinoma dell'acustico può essere una sordità improvvisa, talvolta con recupero uditivo dopo trattamento medico, oppure il paziente può sperimentare una ipoacusia fluttuante o senso di orecchio pieno. Se il neurinoma raggiunge dimensione superiore a 25 mm nell'angolo ponto-­‐cerebellare tende a comprimere il trigemino e quindi possono comparire, in associazione ai sintomi uditivi, disturbi della sensibilità facciale con ipoestesia o iposensibilità della faccia. Nei casi di tumori ancora più grandi possono manifestarsi un lieve deficit del nervo facciale (lieve paresi), disturbi del gusto, ma raramente si ha una paralisi completa del nervo. Diplopia (visione doppia) o ipertensione endocranica (cefalea con nausea e vomito) con papilla da stasi e incontinenza urinaria, sono i sintomi di grossi grandi o giganti (diametro nell'angolo ponto-­‐cerebellare > 4cm.). La chirurgia di tumori che hanno raggiunto queste dimensioni presenta rischi maggiori soprattutto in presenza di ipertensione endocranica e potrebbe essere necessario eseguire uno shunt ventricolare per risolvere questa urgenza prima di rimuovere il tumore. Al giorno d'oggi le metodiche radiologiche non invasive (Tomografia Computerizzata (TC) con mezzo di contrasto e Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) con gadolinio, eseguite con tecniche sofisticate ed a sezioni sottili, sono in grado di visualizzare tumori di piccola dimensione (intorno ai 3-­‐4 mm. di diametro). Pertanto, ogni disturbo che interessi un unico orecchio (diminuzione di udito, acufeni) oppure disturbi dell’equilibrio dovrebbero essere valutati con una indagine otoneurologica completa per escludere la presenza di un neurinoma. I neurinomi delle radici spinali hanno forma a clessidra e si fanno strada attraverso i forami di coniugazione che appaiono slargati. Microscopicamente si distinguono due tipi di neurinomi secondo la classificazione di ANTONI, che risultano variamente presenti anche nell’ambito dello stesso tumore: • TIPO A: composto da fasci compatti, diversamente orientati e intrecciati, di elementi FUSATI con nucleo ovoidale. Il citoplasma è in rapporto con una rete di fibrille argenofile. Questi fasci assumono andamento a VORTICE che ricorda le “foglie di cipolla”, e costituiscono i NODULI DI VEROCAY. Nell’ambito di uno stesso fascio le cellule si dispongono in modo che i nuclei siano tutti alla medesima ALTEZZA, formando le cosiddette FIGURE A PALIZZATA, caratteristiche del neurinoma.

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• TIPO B: struttura più LASSA formata da cellule di forma irregolare e a limiti imprecisi, distribuite dentro una sostanza fondamentale. Sono presenti vasi sanguigni ECTASICI, dove si riscontrano spesso fenomeni di trombosi. Questo tipo va facilmente incontro alla formazione di PSEUDOCISTI. I neurinomi sono BENIGNI e solo raramente diventano maligni. Quando ciò accade, essi invadono la capsula e se asportati tendono a recidivare. Neurofibroma È raro nella forma solitaria, mentre nelle forma multipla realizza la neurofibromatosi di VON RECKLINGHAUSEN. La forma più comune è a insorgenza cutanea, mentre la seconda forma è il neurofibroma periferico. Il neurofibroma cutaneo è caratterizzato da masse ben delimitate, NON capsulate, costituite da cellule fusate, localizzate nel derma e nel grasso sottocutaneo. Hanno un abbondante stroma collageno. Nel neurofibroma periferico macroscopicamente i tronchi nervosi interessati mostrano delle espansioni fusate sferiche lungo il decorso oppure il tumore può mostrarsi come un ispessimento irregolarmente cilindrico che caratterizza la configurazione PLESSIFORME. Se insorge su una radice spinale cerca di farsi strada attraverso i forami di coniugazione, assumendo un aspetto a CLESSIDRA. Questo tumore NON possiede una capsula e la tumefazione fa parte integrante del tronco nervoso. La consistenza è soffice e elastica. La superficie è biancastra. Microscopicamente sono presenti POCHE cellule di Schwann distribuite tra fasci di fibre collagene. I fasci sono aggregati tra loro grazie ad una sostanza basofila che conferisce al tumore un aspetto mixomatoso (le cellule del mixoma somigliano alle cellule endoteliali; sono allungate e fusiformi, con nuclei rotondi od ovali e nucleoli evidenti. Le cellule e i vasi del mixoma sono immersi in una matrice amorfa ricca di mucopolisaccaridi acidi.). A volte ci possono essere dei aree di fasci di collagene che mostrano un aspetto a “carota tagliuzzata”. I nuclei delle cellule sono normalmente allungati. Si possono trovare cellule schiumose. Caratteristica importante è che nel contesto del tumore si rinvengono gli ASSONI, che invece non sono presenti nei neurinomi. I neurofibromi sono generalmente benigni. Essi fanno parte della neurofibromatosi di von Recklinghausen, una malattia autosomico dominante caratterizzata da: • Comparsa di neurofibromi a carico di diversi nervi periferici • Lesioni cutanee costitite da neurofibromi sessili e da macchie pigmentate “a caffè e latte” • Gliomi o meningiomi • Gliomi del nervo ottico o della retina • Alterazioni scheletriche di tipo osteolitico e deformante. FACOMATOSI Sono disordini ereditari, chiamati anche sindromi neurocutanee, caratterizzate dallo sviluppo di amartomi e neoplasie, possibili in tutti i tessuti, ma soprattutto a carico del SNC e della cute. Sono quasi tutte delle sindromi tumorali familiari con trasmissione autosomico-­‐dominante. Neurofibromatosi di tipo 1 La NF1 è caratterizzata dalla presenza di: • Neurofibromi • Gliomi del nervo ottico • Meningiomi • Noduli di pigmento nell’iride (noduli di Lisch) • Macchie cutanee iperpigmentate (macchie caffelatte) Una delle più comuni malattie genetiche, associata alla mutazione di un gene localizzato in 17q11.2, che produce una proteina chiamata neurofibromina. I tumori propri della NF1 sono identici a quelli sporadici, ma insorgono tutti insieme nei pazienti portatori della malattia, e hanno una notevole tendenza alla trasformazione maligna. La proteina anomala ha un ruolo nel regolare la trasduzione dei segnali, agendo come oncosoppressore. Esistono molte mutazioni di questo gene, ma non sembrano essere in relazione a particolari fenotipi clinici. Neurofibromatosi di tipo 2 Malattia autosomica dominante in cui i pazienti sviluppano: • Schwannomi acustici bilaterali • Meningiomi multipli

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• Gliomi • Ependimomi del midollo spinale Ci possono essere anche parecchie lesioni non neoplastiche, come l’iperplasia delle cellule di Schwann nel midollo spinale, amartia gliale, (raccolte microscopiche di ammassi gliali in localizzazioni atipiche), ed altre anomalie iperplastiche di componenti cellulari del SNC. Molto rara (1:40-­‐50,000), deriva da una mutazione sul 22q12. Esistono, a differenza della NF1, alcune correlazione fra il tipo di mutazione e i fenotipi clinici. La proteina interessata si chiama merlina. Sclerosi tuberosa Sindrome autosomica dominante con sviluppo di amartomi e neoplasie benigne del SNC. Sono gli amartomi del SNC che presentano caratteristiche di rilievo, essendo principalmente identificabili come tuberosità corticali. Possono essere presenti anche molte lesioni parenchimali (cisti e angiomiolipomi a carico di rene e pancreas, amartomi retinici, miomi polmonari e cardiaci) e cutanee (angiofibromi, ipopigmentazioni “a foglia di frassino”, ispessimenti duri localizzati) e fibromi subungueali. La patogenesi genetica è incerta. Malattia di Von Hippel-­Lindau Autosomica dominante, da tendenza allo sviluppo di tumori caratteristici negli emisferi cerebellari e nella retina, meno comunemente nel tronco e nel midollo. Inoltre ci possono essere cisti pancratiche, epatiche e renali. Nel rene si associa molto allo sviluppo di carcinoma a cellule renali. Frequenza variabile fra 1:30 – 1:40,000 a seconda delle popolazioni. Mutazione di un oncosoppressore (3p25-­‐26) Associazione anche con feocromocitomi surrenali. I tumori tipici del SNC presenti in questa malattia sono gli emangioblastomi capillari cerebrali. Essi sono neoplasie altamente vascolarizzate, costituite da noduli nel contesto della parete di grosse cisti a contenuto liquido. A volte, l’associazione con la cisti non si verifica. La popolazione cellulare, varia e non caratterizzata, è dispersa in una fitta rete di delicati capillari a parete sottile.

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-­‐ SINDROME: regolare concorrere di diversi fenomeni non necessariamente dipendenti da una causa specifica. -­‐ MALATTIA: c’è sempre una causa specifica -­‐ TIPI DI NECROSI: La necrosi a differenza dell'apoptosi provoca una reazione infiammatoria.

-­‐ Necrosi Ischemica -­‐ Morte e dissoluzione del tessuto conseguente alla mancanza di vascolarizzazione, che priva i tessuti delle sostanze necessarie per il loro metabolismo. -­‐ Cromatina: La cromatina rappresenta la forma in cui gli acidi nucleici si trovano nel nucleo di una cellula eucariote. La cromatina è formata da acido desossiribonucleico, DNA, avvolto su gruppi di proteine dette istoni (proteine basiche), formando un nucleosoma, e da proteine non-­‐ istoniche (proteine neutre o acide); essa è poi ripiegata in vario modo. -­‐ Nucleolo: Il nucleolo è l'organulo responsabile della sintesi dell'RNA ribosomiale (rRNA). Si tratta di una struttura fibrosa e granulata presente in una o più copie nel nucleo della maggior parte delle cellule eucariotiche superiori, specialmente quelle che presentano una attiva sintesi proteica. Al microscopio ottico appare come un granulo rotondeggiante, non delimitato da membrana e circondato da uno strato di cromatina condensata. È costituito da tratti di DNA che codificano per l'RNA ribosomiale, da filamenti di rRNA nascenti e da proteine.

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