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MIRテ的LLUSTRATORE

Edizioni ETS



MIRテ的LLUSTRATORE a cura di Michele Tavola

Edizioni ETS


www.edizioniets.com

© Succession Miró, by SIAE 2009 L’Editore resta a disposizione degli eventuali aventi diritto non potuti reperire

© Copyright 2009 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze] ISBN 978-884672339-0


MIRÓILLUSTRATORE 15 marzo 2009 – 14 giugno 2009 Biblioteca multimediale “Arturo Loria” via Rodolfo Pio, 1 Carpi

Città di Carpi Assessorato alle Politiche culturali Biblioteca multimediale “Arturo Loria”

Sindaco

Catalogo e mostra a cura di

Enrico Campedelli

Michele Tavola

Assessore alle Politiche culturali

Testi in catalogo di

Alberto Bellelli

Valerio Adami Chiara Gatti Michele Tavola

Dirigente settore cultura

Marco Rovatti Progetto grafico Direzione Biblioteca multimediale

Susanna Cerri

Anna Prandi Fotografie Ufficio stampa e comunicazione

Angelo Giovannini Giovanni Medici

Raffaele Bonuomo Benoit Greller Allestimento

Emiliano Stentarelli Coordinamento e organizzazione

Stefano Artioli Paola Carletti Alessandro Flisi Massimo Grillenzoni Odoardo Semellini Con il contributo di: Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi Banca Mediolanum Ufficio promotori finanziari di Carpi Si ringraziano in modo particolare per il prestito delle opere: Anne-Gaëlle Lebouc e la Librairie les Arcades di Parigi Corrado Mingardi Enrico Sesana Luigi Tavola Un sentito ringraziamento anche a Valerio Adami per la disponibilità e l’affetto dimostrato nei confronti di questo lavoro

Attività didattiche e laboratori

MateriaViva



Mi appresto con piacere a scrivere queste righe per il catalogo “Miró illustratore”, che documenta la mostra omonima curata da Michele Tavola e ospitata all’interno della Biblioteca multimediale “Arturo Loria”. Il volume, accompagnato dai brillanti saggi del curatore e di Chiara Gatti e dalla preziosa testimonianza dell’artista bolognese Valerio Adami, che conobbe e lavorò con il maestro catalano, è una di quelle pubblicazioni che faranno testo negli anni a venire: l’opportunità di prenderne parte – sia pur piccola - è un onore non da poco. È però ancora più gratificante poter confermare, con l’allestimento della mostra “Miró illustratore”, una linea di politica culturale che vuole portare a Carpi i grandi maestri dell’arte contemporanea, attraverso progetti inediti che valorizzino il contenitore in cui sono ospitati. Come per l’esposizione “Matisse illustratore”, tenutasi tra il 2007 e il 2008, anche in questo caso sono proposte al pubblico opere originali di un grande artista; si è scelto di presentare una mostra che sia una prima assoluta per l’Italia, dedicata esclusivamente al lavoro d’illustratore di Joan Miró per libri e riviste d’arte; ed infine è stata individuata come sede espositiva, ancora una volta, la Biblioteca multimediale “Arturo Loria”, la collocazione più idonea per libri in cui le illustrazioni accompagnano i versi di poeti e letterati come Prévert, Tzara, Queneau. Reputo che la valorizzazione delle eccellenze carpigiane – tra le quali, appunto, la Biblioteca – acquisisca ancora più forza se abbinata ad operazioni di alto rilievo artistico e culturale: “Miró illustratore” è l’esempio di un connubio ben riuscito. Per questo motivo voglio chiudere con un ringraziamento a Michele Tavola e alla direttrice della Biblioteca Anna Prandi, per la professionalità e la passione che hanno profuso in questo lavoro, e all’Ufficio dei promotori finanziari di Carpi del gruppo Mediolanum, che sostiene la progettualità di un Istituto culturale vivace e vicino ai cittadini.

Alberto Bellelli Assessore alle Politiche culturali

MirÓIllustratore

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Sommario

11 La forma della poesia di Michele Tavola

19 Le più belle riviste del mondo

Ruolo e volto dei perodici d’arte francesi nel panorama internazionale

di Chiara Gatti

25 Un angelo sulla spalla di Miró Conversazione con Valerio Adami

a cura di Michele Tavola

31 Opere 113 Joan Miró

Percorso biografico

123 Bibliografia essenziale

MirÓIllustratore

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La forma della poesia

affetto e dedizione i libri illustrati, opere raffinate e preziose

di Michele Tavola

corrispondenza d’amorosi sensi con i suoi poeti.

che rappresentavano per lui l’opportunità di intrattenere una Questa mostra presenta una selezione di opere grafiche – incisioni, litografie e pochoir – che Miró ha espressamente creato perché comparissero in edizioni a tiratura limitata: soprattutto raccolte poetiche, ma anche riviste d’arte. Per quanto concerne le riviste si rimanda all’esauriente saggio di Chiara Gatti, tra i pochissimi in lingua italiana dedicati all’argomento, mentre nelle pagine che seguono si cercherà di ricostruire e analizzare nel dettaglio la produzione di libri d’artista. Vale la pena di ricordare che non si tratta di semplici volumi illustrati, intesi in senso classico, in cui le immagini hanno funzione di commento al testo, ma di veri e propri libri di dialogo, nei quali l’artista reinterpreta e reinventa secondo la sua

Miró mentre lavora all’incisione

Endecasillabi, esametri o versi liberi; sonetti, poemi epici o

personale sensibilità le parole dello scrittore. Le illustrazioni

ballate. Da Omero a Prévert, dai lirici greci ai cantautori, i po-

di Miró, infatti, attingono al suo tipico immaginario figurati-

eti di ogni epoca si sono espressi adottando ed escogitando

vo e non illustrano proprio nulla come, del resto, la poesia non

qualsiasi formula ritenessero utile a comunicare le proprie vi-

descrive. Le illustrazioni di Miró, di fatto, riscrivono i versi di

sioni e i propri sentimenti: purché sia poesia, vale tutto. An-

Prévert, di Eluard, di Tzara e degli altri suoi poeti, utilizzando

che Miró ha creato poesie, con il rosso, con il blu, con il giallo

un alfabeto non verbale fatto di segno e colore, e hanno il po-

e con tutti i colori della sua tavolozza. Poesie fatte di colore e

tere di raddoppiarne il contenuto poetico.

segno, senza parole, ma indubbiamente poesie pure. E non è

L’amore per la poesia sboccia nel secondo decennio del se-

certo un caso che abbia spesso accostato le sue composizioni

colo, a Barcellona, grazie a Francesc Galí, uno dei suoi primi

alle parole dei poeti, in un connubio lirico unico e irripetibile.

maestri, e all’ambiente internazionale della galleria di Josep

Insieme a Picasso e Matisse, Miró è stato un protagonista as-

Dalmau. In questo periodo inizia a leggere assiduamente ri-

soluto della storia del libro d’artista, uno tra i più grandi in-

viste d’avanguardia, quali la “Revista Nova”, “Sic” e “391”, fon-

terpreti di questa singolare e fertile tradizione nata in Fran-

data da Picabia e Man Ray, attraverso le quali segue le novi-

cia nell’Ottocento e diffusa in tutto il mondo nel secolo scor-

tà dell’arte moderna francese. Ma soprattutto si affeziona a

so. È sufficiente sfogliare il catalogo ragionato dei suoi libri il-

“Nord-Sud”, il periodico di Pierre Reverdy, poeta francese di

lustrati, firmato da Patrick Cramer, per capire che non siamo

prima grandezza benché ancora oggi poco noto in Italia, che

di fronte a un passatempo buono per i momenti d’ozio o a un

fu amico intimo di Picasso e dei principali protagonisti delle

aspetto minore della sua produzione: sono più di duecento-

avanguardie storiche. Per il giovane Miró, Reverdy fu un faro.

cinquanta le pubblicazioni schedate da Cramer che contengo-

A lui e alla sua rivista dedicò il quadro significativamente in-

no opere grafiche originali di Miró e, molte, sono straordina-

titolato Nord-Sud.

ri capolavori. Per alcuni periodi smise addirittura di dipingere

Le cose cambiano radicalmente negli anni Venti, quando sco-

per dedicarsi anima e corpo alla creazione degli amatissimi li-

pre Parigi. Nella Ville Lumière visita il Louvre, incontra Picas-

vres d’artiste. Miró è stato un artista a tutto tondo, per lui la

so, entra a far parte della cerchia dei surrealisti e incontra i

tecnica, che fosse pittura o incisione, scultura o ceramica, era

mercanti che, di lì a pochi anni, avrebbero fatto la sua fortu-

soltanto un mezzo: l’unico fine è sempre stato, semplicemen-

na. Ma la vera emozione, per Miró, consiste nel conoscere di

te, fare arte. Sarebbe quindi scorretto distinguere tra aspet-

persona gli autori dei versi che avevano nutrito la sua anima e

ti maggiori o minori della sua attività, ma è altrettanto vero

la sua fantasia negli anni giovanili e che avrebbero continua-

che nel corso della sua lunga vita coltivò alcune grandi passio-

to a farlo per tutta la vita. Pierre Reverdy e Tristan Tzara, Paul

ni. Ad esempio la poesia, che lo ha spinto a curare con tanto

Eluard e Jacques Prévert, André Breton e Raymond Queneau,

MirÓIllustratore

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sopra Pochoir da Il était une petite pie di Lise Hirtz Deharme, Parigi 1928

sotto Joan Miró e Louis Marcoussis, Ritratto di Miró, acquaforte, 1938

giovani poeti, quali Max Jacob e Apollinaire. Col senno di poi è facile dire che Kahnweiler sarebbe stato un editore perfetto per Miró, ma i loro destini non si incrociarono mai e la storia prese tutt’altro corso. Miró comincia a dedicarsi alla stampa d’arte relativamente tardi, tra la fine del terzo e l’inizio del quarto decennio del secolo, quando ormai si sta avvicinando ai quarant’anni, e le sue prime prove nascono contestualmente ai suoi primi libri d’artista. L’esordio si colloca nel 1928, quando illustra Il était une petite pie, una raccolta di poemi scritti da Lise Hirtz Deharme per il figlio Hyacinthe. La Deharme, in seguito a un incontro casuale con Breton, che ne rimase profondamente affascinato, divenne la musa ispiratrice dei surrealisti. Scrisse romanzi, raccolte poetiche e dal 1933 divenne la direttrice della rivista surrealista “Phare de Neuilly”, che pubblicava testi letterari e articoli di carattere socio-politico. Se la sua figura feGuillaume Apollinaire e Louis Aragon, Antonin Artaud e René

ce colpo su Breton, le sue doti intellettuali la fecero diventa-

Char. Più tardi avrebbe confessato che, a quell’epoca, gli inte-

re animatrice di un prestigioso cenacolo al quale partecipava-

ressavano molto di più i poeti dei pittori, affascinato dal lo-

no Picasso, Dalí, Max Ernst e i principali esponenti dell’intelli-

ro modo di guardare il mondo e dalle loro infinite discussio-

ghenzia francese. Il libro della Deharme illustrato da Miró, pe-

ni notturne. Ci si può chiedere cosa sarebbe successo se Miró

rò, più che un debutto deve essere ritenuto un prologo o una

fosse arrivato a Parigi dieci anni prima, quando Daniel Hen-

prova generale. A questa data l’artista non ha ancora impu-

ry Kahnweiler pubblicava coraggiosi e rivoluzionari libri d’ar-

gnato una matita litografica e non ha mai affrontato una la-

tista, accostando le stampe degli artisti più radicali del mo-

stra di rame o di zinco. E ancora non osa farlo. Per l’occasione

mento, come Picasso, Derain e Braque, alle opere inedite di

preferisce adottare il pochoir, tecnica dall’effetto fortemente pittorico adottata anche da Matisse per eseguire Jazz, acclamato dalla critica come il più bel libro d’artista del Novecento. Le prime litografie appaiono nel 1930, nel volume L’arbre des voyageurs e segnano l’inizio del forte e duraturo sodalizio con Tristan Tzara. I quattro fogli, in bianco e nero, non sono propriamente dei capolavori e, a dirla tutta, presentano una struttura compositiva piuttosto traballante. Probabilmente poco convinto dal risultato, Miró abbandona temporaneamente la litografia, per riprenderla nel 1939. Solo dopo la guerra ne approfondirà le molteplici potenzialità espressive, divenendo uno tra i più grandi interpreti di questa tecnica. Ciò che più interessa, per ora, è registrare l’avvio della collaborazione con Tzara, insieme al quale realizzerà alcuni dei libri più intriganti di cui si parlerà più avanti. Tzara ha anche il merito di avere presentato a Miró il pittore cubista Louis Marcoussis che lo iniziò all’incisione, insegnandogli i segreti della puntasecca, del bulino e dell’acquaforte. Se si confrontano le studiatissime composizioni di Marcoussis, di rigoroso equilibrio formale e purezza geometrica, con i violenti e liberi accosta-

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MicheleTavola


Acquaforte da L’Antitête di Tristan Tzara, Parigi 1949

menti cromatici di Miró, non si crederebbe che i due abbiano lavorato insieme per anni e che, addirittura, in un’occasione, abbiano inciso a più mani la stessa lastra, creando la splendida acquaforte raffigurante il Ritratto di Miró, del 1938. Ma è opportuno ripartire dalle prime incisioni dell’artista catalano, eseguite nello studio dell’amico in rue Hégésippe Moreau, a Montmartre. Nel 1933 Miró realizza una puntasecca, di notevole qualità per essere un’opera prima, in sostegno della neonata rivista “Minotaure”, fondata da Tériade e Albert Skira, che si accingevano a diventare i più importanti e celebri editori di libri d’artista. Il bel foglio, intitolato Daphnis et Chloé, è eseguito alla maniera dei “paesaggi immaginari” risalenti alla metà degli anni Venti. Nello stesso anno incide tre acqueforti, oniriche e allucinate, comparse in Enfances di Georges Hugnet, edito dai “Cahiers d’art” di Christian Zervos. Hugnet, grande poeta, drammaturgo e cineasta francese, come Reverdy e la Deharme, oggi non gode della fama che meriterebbe. Durante l’occupazione nazista, oltre a sfruttare le sue doti di grafico per fabbricare passaporti falsi per i ricercati dalla Gestapo, fondò una casa editrice clandestina che dopo la guerra sarebbe divenuta Les Editions de Minuit. Nel 1935 Miró crea un’acquaforte per il libro 24 essais di Anatole Jakovski, al quale partecipano anche Arp, Calder, de Chirico, Max Ernst, Giacometti, Kandinsky, Léger, Magnelli, Torrès-Garcia, Picasso e altri artisti. Ma è tra il 1938 e il 1939 che, in un’esplosione di creatività, lavora una ventina di matrici, stampate nel laboratorio di Roger Lacourière, forse il più grande maestro calcografo del ventesimo secolo, che ebbe l’onore di insegnare la tecnica dell’acquatinta a Picasso. Tra queste, si devono ricordare le opere eseguite per i libri Sablier

rie di cinquanta litografie (eseguita nel 1939 ma stampata so-

couché di Alice Paalen e Au paradis des fantômes di Benjamin

lo nel 1944 per iniziativa dell’amico Joan Prats) dedicata a Bar-

Péret. Nello stesso periodo si collocano due fogli destinati ad

cellona, la sua città, caduta sotto i colpi delle milizie di Fran-

altrettanti album collettivi, Solidarité di Paul Eluard e Frater-

co. I due libri in questione rivestono anche un’importanza sto-

nity di Stephen Spender, in cui un folto gruppo di artisti e in-

rica perché sono la ragione dell’incontro con Stanley William

tellettuali dichiaravano la loro netta condanna ai regimi fasci-

Hayter, incisore di estrema audacia sperimentale e fondato-

sti. Già nel 1937 Miró aveva espresso il suo impegno politico

re del mitico Atelier 17, che è stato di fondamentale importan-

con il pochoir intitolato Aidez l’Espagne e con il grande dipinto

za per Miró.

murale esposto all’Esposizione Universale di Parigi, purtrop-

Negli anni bui della guerra l’artista si ritira a Palma di Maior-

po andato distrutto, in cui manifestava apertamente il suo

ca, costretto a un penoso isolamento, ma immediatamen-

antifranchismo e il sostegno alla Repubblica Spagnola. Nel-

te dopo il conflitto torna con rinnovato vigore e nuove ispira-

le incisioni per Solidarité e Fraternity, però, l’artista rinuncia a

zioni alla litografia e all’incisione. Nel 1947 intraprende il pri-

immagini esplicite e dirette in favore di una figurazione stra-

mo viaggio negli Stati Uniti, dove è già famoso, per eseguire

volta che dà sfogo alla sua angoscia interiore. Lo stesso lin-

un grande dipinto murale a Cincinnati. Soggiorna nove mesi

guaggio intimo e dolente viene adottato per la notevole se-

a New York, dove conosce Pollock e ritrova Hayter, insieme al

MirÓIllustratore

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Litografia da Parler Seul di Tristan Tzara, Parigi 1950

seguire questo percorso, è indispensabile aprire una parentesi sulla carismatica personalità di Maeght. Un libro, per vedere la luce, ha bisogno di un padre, il suo autore, ma anche di una madre, la casa editrice, senza la quale non potrebbe venire al mondo. È per questo che, nella storia del livre d’artiste, editori geniali come Ambroise Vollard, Kahnweiler, Albert Skira, Tériade e, naturalmente, Maeght, sono importanti almeno quanto Picasso, Matisse, Chagall, Miró e gli altri grandi artisti che hanno affrontato questo tipo di produzione. Aimé Maeght (1906-1981) fa la sua comparsa nel mondo dell’arte contemporanea parigina nell’immediato dopoguerra, come un fulmine a ciel sereno. Apre la sua galleria al 13 di rue de Téhéran nell’ottobre del 1945 con una mostra personale di Matisse e, nel 1946, esce il primo numero della rivista “Derrière le Miroir” (con l’evocativo titolo Le Noir est une couleur), che oltre a presentare interventi critici è arricchita da testi letterari e opere grafiche originali. Quasi vent’anni più tardi, nel 1964, nasce la Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence, poco lontano da Nizza, la prima fondazione privata francese consacrata all’arte contemporanea, che fin da subito si segnala per la sua eccellente attività espositiva. Tuttavia, non sono di minore importanza i numerosi libri d’artista pubblicati già dalla fine degli anni Quaranta: per la loro maestosità e per la loro eleganza Maeght è stato spesso paragonato a Vollard, ma la sensibilità e il coraggio che lo hanno portato ad affiancare le illustrazioni dei suoi pittori alle opere di poeti contemporanei, ricordano le scelte spregiudicate e decisamente più avanguardiste di Kahnweiler. Non solo, ma

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quale lavora quasi quotidianamente, arricchendo e affinan-

per facilitare il lavoro dei suoi artisti, nel 1959 Maeght apre

do la tecnica incisoria. Dà avvio anche all’impresa decorativa

una stamperia, per garantire loro assoluta libertà al di fuori di

per L’Antitête, una raccolta di tre volumi che raccolgono scrit-

limitanti logiche commerciali, come ha spiegato egli stesso:

ti di Tristan Tzara, pubblicati da Bordas nel 1949, ai quali con-

“Gli artisti, lì, potranno svolgere ricerche disinteressate e rea-

tribuiscono anche Max Ernst e Yves Tanguy. Ciascun artista è

lizzarvi libri e stampe, con mezzi d’espressione di loro scelta,

chiamato a creare otto incisioni a colori. A Ernst spetta il volu-

litografia, incisione su rame, intaglio su legno, e sarà loro as-

me intitolato Monsieur Aa, l’antiphilosophe, a Tanguy Minuits

sicurata la collaborazione dei migliori tecnici”.

pour géants e a Miró Le désésperanto, per il quale arriva a ta-

Impossibile ripercorrere integralmente il suo scintillante ca-

gliare e sagomare le lastre in forme inconsuete.

talogo, ma sarà sufficiente ricordare qualche titolo per dare

Il 1948 è un anno cruciale: Miró conosce Aimé Maeght, che

l’idea della sua primaria grandezza. Agli esordi, tra il 1947 e il

cambierà la sua vita. Maeght, oltre che il suo principale mer-

1948, si collocano due libri ruvidamente sperimentali e di as-

cante, diventa anche il suo editore di riferimento. Da questo

soluta originalità, entrambi scritti da Paul Eluard. Elle se fit

momento i libri d’artista si moltiplicano e diventa impossibile

élever un palais, tirato in soli sedici esemplari, è illustrato dalle

seguirne in maniera capillare la produzione. Pertanto, d’ora in

xilografie di sapore violentemente primitivo di Serge Rezvani,

poi, per necessità di sintesi si toccheranno solamente le tap-

personaggio eclettico che, tra le altre cose, ha recitato in Ju-

pe salienti della sua attività di illustratore ma, prima di pro-

les e Jim di Truffaut e ha scritto la celebre canzone Le Tourbil-

MicheleTavola


sopra Acquaforte da Adonides di Jacques Prévert, Parigi 1975

sotto Miró e Maeght

lon, interpretata da Jeanne Moreau. Le Bestiaire, il bestiario di Eluard, è arricchito da quarantacinque incisioni, costate tre anni di lavoro a Roger Chastel, che più che incidere si può dire che erose i rami con una metodologia personalissima e quasi alchemica. Tra i rari testi classici pubblicati da Maeght figura la Teogonia di Esiodo che, però, non fu scelta da lui. Si tratta, infatti, di un progetto iniziato da Vollard e rimasto incompiuto alla sua morte. Le venti acqueforti che accompagnano la raffinata edizione, apparsa nel 1955 con il testo in greco antico, sono di Braque, che eseguì anche le litografie per La liberté des mers di Pierre Reverdy e le incisioni per Milarepa. Meritano una menzione anche libri di assoluta qualità come Sang di Jacques Dupin e Valerio Adami, Air di André du Bouchet e Epsilon di Jean Davie, entrambi illustrati da Antoni Tàpies, e Sur le pas, un’altra raccolta poetica di du Bouchet, questa volta accompagnata dalle acquetinte a colori di Pierre Tal-Coat. L’artista con il quale Maeght editore lavorò con maggiore continuità e insieme al quale pubblicò i suoi capolavori più alti, è senza dubbio Miró. Il primo libro d’artista nato dalla loro collaborazione è destinato, per qualità formale e intensità emotiva, a rimanere un’opera insuperata. Siamo nel 1950 quando compare Parler seul, con settantaquattro litografie che fanno da contrappunto al flusso di coscienza poetico generato da Tristan Tzara nel 1945, quando si trovava in un manicomio. Il testo, privo di lettere maiuscole e di segni di interpunzione, trova nelle forme primordiali e negli ideogrammi fantastici di

pubblicato nel 1958 da Gérald Cramer di Ginevra. È un altro eccelso capitolo della sua parabola di illustratore, nato, ancora una volta, dalla comunione di intenti tra l’artista, un poeta di assoluto valore, un editore capace ed eccellenti stampatori quali Lacourière, di cui si è già parlato, e Jacques Frélaut, che è stato un imprescindibile punto di riferimento per Miró incisore. Le poesie erano già state pubblicate nel 1930, ma Eluard progettò l’impresa insieme all’amico pittore. Quando Cramer regala a Miró una copia della raccolta di poesie è il 1947 e, nel giro di un paio di anni, l’artista prepara le maquettes per le ottanta incisioni su legno: A toute épreuve viene concepito contemporaneamente a Parler seul e, quindi, si spiega una così forte prossimità, benché sia uscito otto anni più tardi. Ma alla

Miró un suo ideale completamento. L’artista inserisce le illustrazioni, se questa parola ha ancora un senso, nelle pagine scritte e tra i versi del poeta: ogni foglio ha un impianto architettonico preciso e il ritmo del volume è perfetto. Nasce così uno dei libri di dialogo – dialogo intimo e profondo tra immagini e parole – più riusciti del Novecento. Parler seul evidenzia in maniera inequivocabile come il libro d’artista sia un’opera corale: oltre ai nomi dell’artista, dello scrittore e dell’editore bisogna ricordare anche quello di Fernand Mourlot, stampatore litografo, che ha contribuito in maniera decisiva alla creazione del capolavoro. Mourlot, nel suo campo, è stato il più abile di tutti e già Picasso, a partire dal 1945, aveva deciso di stampare le sue litografie solo ed esclusivamente con lui e, quando possibile, di lavorare direttamente nel suo laboratorio. Anche Miró, fin dagli anni Quaranta, si affidò costantemente ai suoi torchi. Le ricerche intraprese con Parler seul vengono idealmente continuate e sviluppate in A toute épreuve di Paul Eluard,

MirÓIllustratore

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A toute épreuve di Paul Eluard, xilografia, Ginevra 1958 frontespizio del libro

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Ubu aux Baléares, litografia, Parigi 1971 frontespizio del libro

morte di Eluard, nel 1952, solo un terzo delle xilografie è pron-

quali Miró esegue una serie di incisioni a colori. Ma ci si deve

to e i problemi di ordine tecnico non sono tutti risolti. L’inta-

soffermare sull’Album 19, datato 1961, una raccolta di interes-

glio su legno è una pratica inconsueta per l’artista catalano

santi litografie di grande formato precedute da un testo criti-

(che probabilmente ha potuto vedere dal vero le xilografie

co di Raymond Queneau. Formalmente non si tratta di un li-

di Gauguin conservate nella collezione di Cramer, per le qua-

bro d’artista ma di un album di stampe, come l’Album 13 del

li prova grande ammirazione) e, non senza lunghe e reiterate

1948 o il Journal d’un graveur del 1975, ma il testo di Queneau

sperimentazioni, viene sfruttata in tutte le sue potenzialità.

ha un valore aggiunto squisitamente letterario, fatto di im-

Miró gioca con le venature del legno e riesce a stendere vela-

magini surreali e pirotecnici giochi di parole che gli permetto-

ture di colore che presentano delicate trasparenze. Ma, anche

no di sorvolare ad alta quota la palude della critica d’arte en-

in questo frangente, è la fusione tra segno e testo, la totale

trando nella sfera – o, meglio, nella stratosfera – della lettera-

compenetrazione dei due linguaggi espressivi, a sorprendere

tura. Inoltre, i caratteri a stampa sono sostituiti dalla calligra-

e incantare lo spettatore.

fia dello scrittore e ogni foglio è vergato da macchie e sgoccio-

Tra l’uscita dei due libri ai quali si è appena fatto riferimento,

lature di colore, sempre in litografia, stese in maniera appa-

se ne collocano altri che, pur non raggiungendo queste vet-

rentemente casuale. Le dieci pagine che introducono il port-

te, sono di un certo interesse, come A la santé du serpent di

folio costituiscono, di per sé, uno straordinario esempio di li-

René Char, edito nel 1954 da Guy Lévis Mano, e La bague d’au-

bro di dialogo, tra i più belli e originali di Miró. Queneau è stato

rore di René Crevel, pubblicato da Louis Broder nel 1957, per il

uno dei suoi amici più cari e tra il 1948 e il 1975, scrisse una de-

quale dà vita a una serie di piccole e deliziose incisioni a colo-

cina di interventi critici in sostegno alla sua opera.

ri. Inoltre, nel 1953 per “Derrière le Miroir”, Miró realizza la sua

Negli anni Sessanta si devono ricordare anche libri come Flux

litografia più grande, larga circa un metro e mezzo, intitolata

de l’aimant di René Char, del 1964, con sedici puntesecche che

Nocturne e ovviamente stampata da Mourlot.

anticipano gli esiti stilistici di quelle eseguite dieci anni più

All’inizio degli anni Sessanta, dietro impulso del solito

tardi per L’issue dérobée di Jacques Dupin, i frammenti di Era-

Maeght, compaiono l’Album 19 e un cofanetto di tre volumi

clito d’Efeso (1965) con nove piccole acquetinte a colori, una

scritti da Yves Bonnefoy, André de Bouchet e Jacques Dupin

raccolta di Haï-Ku giapponesi (1967) con otto litografie e Fis-

(Anti-Platon, La lumière de lame e Saccades), per ciascuno dei

sures di Michel Leiris (1969), con quindici incisioni nelle qua-

MicheleTavola


sopra Affiche per l’esposizione del libro Le lézard aux plumes d’or alla Galerie Berggruen di Parigi, litografia, 1971

li Miró dà sfoggio di virtuosismo tecnico, proponendo una se-

Nel 1981, due anni pri-

rie di variazioni su un tema: tutte queste opere sono edite da

ma della sua morte, dà

Maeght. Nel 1966 esce il primo di tre volumi pubblicati insie-

alle stampe altri due li-

me a Tériade, editore di origine greca che ha fatto la storia del

bri di qualità impres-

libro d’artista nella seconda metà del Novecento. A lui si de-

sionante, molto diver-

vono libri come Jazz di Matisse, Le chant des morts di Rever-

si l’uno dall’altro seb-

dy e Picasso, Cirque di Léger, Paris sans fin di Giacometti e ca-

bene entrambi dedica-

polavori di Chagall, tra i quali ci sarebbe solo l’imbarazzo della

ti alla poesia, alla lette-

scelta. Con Miró dà vita a una trilogia dedicata a Ubu, perso-

ratura e alle tradizioni

naggio feticcio per i surrealisti e in generale per gli esponen-

della Catalogna. Il Llibre

ti delle avanguardie, creato da Alfred Jarry alla fine dell’Otto-

dels sis sentits, ovvero

cento. Dopo il classico Ubu roi, pubblicato da Jarry nel 1896,

il “Libro dei sei sensi”, è

Miró stesso scrive due improbabili nuove avventure dell’an-

di formato monumen-

tieroe per antonomasia, Ubu aux Baléares, del 1971, e L’enfan-

tale e presenta sei inci-

ce d’Ubu, del 1975. Nelle sue litografie i personaggi di Padre

sioni che accompagna-

Ubu e Madre Ubu, sono completamente trasfigurati e per-

no altrettante poesie di

dono quasi del tutto le sembianze umane, diventando esseri

Miquel Martí i Pol. La-

mostruosi e grotteschi.

pidari, stampato a Bar-

Negli ultimi anni il grande peintre-graveur non perde l’ispi-

cellona da Maeght, può

sotto Affiche per un’esposizione di libri illustrati e litografie alla Galerie Cramer di Ginevra, litografia, 1973

razione, anzi, intensifica la sua attività di incisore e litogra-

essere a ragione rite-

fo e continua a creare libri straordinari. Le quindici acquefor-

nuto l’ultimo capola-

ti a colori per Le courtisan grotesque (1974) di Adrian de Mon-

voro. I testi, scritti da

luc detto il Conte di Cramail, sono accostabili alle illustrazioni

anonimi autori catala-

per gli ultimi due Ubu, benché la tecnica conduca a un segno

ni del XV secolo, descri-

alquanto diverso da quello litografico. L’editore, questa volta,

vono le proprietà ma-

è Iliadz, meno conosciuto di altri colleghi già citati ma degno

giche e soprannatura-

di nota per la sua vena fortemente sperimentale che lo por-

li delle pietre preziose.

tò a ribaltare le regole tipografiche, mettendo la parola stam-

Nel confrontarsi con un

pata a servizio delle immagini. Con Louis Broder realizza una

testo per lui così ano-

delle opere più belle della sua maturità, Le lézard aux plumes

malo, Miró alterna trac-

d’or, in cui Miró si scopre poeta e si fa illustratore di se stesso.

ce nere, larghe e profon-

Le quindici litografie, che richiesero a Mourlot un lavoro me-

de, che sembrano gero-

ticoloso e tecnicamente complesso, affiancano pagine in cui

glifici indecifrabili, a pa-

le parole manoscritte si muovono libere e assumono un valo-

gine colorate vergate

re marcatamente grafico. Il lavoro, apparso nel 1971 dopo qua-

da segni duri e nervosi.

si dieci anni di gestazione, è un vero gioiello di eleganza ed

L’artista, pur rimanen-

equilibrio. Adonides di Jacques Prévert è, al contrario, il trionfo

do fedele a se stesso e

dell’istinto e della spontaneità: le quarantacinque coloratissi-

immediatamente rico-

me acqueforti riempiono i fogli e si sovrappongono alle poe-

noscibile, mette alla prova il proprio stile cercando soluzioni

sie riproponendo, venticinque anni dopo, le soluzioni compo-

sempre nuove.

sitive adottate per Parler seul, senza lo stesso rigore ma con

Maeght morì il 5 settembre di quell’anno, poche settimane

maggiore freschezza: Miró, che ormai ha ampiamente supe-

prima dell’uscita dei Lapidari, mentre Miró se ne sarebbe an-

rato gli ottanta anni, sembra giocare come un bambino e, in

dato poco più tardi, nel giorno di Natale del 1983, all’età di no-

Aimé Maeght, trova un degno complice.

vant’anni.

MirÓIllustratore

17



Le più belle riviste del mondo

con dieci franchi si comprava un biglietto per un concerto di Edith Piaf; che una baguette costava mezzo franco, che se ne

Ruolo e volto dei periodici d’arte contemporanea francesi nel panorama internazionale

spendevano due per l’ingresso a una mo-

di Chiara Gatti

della collana Mon Journal, edita dalla stori-

stra o per comprare, in edicola, i cosiddetti petit formats, come i fumetti più in voga ca casa editrice Éditions Aventures et Voyages, stampati su carte di bassa qualità, in bianco e nero e in formato pocket. Il confronto è paradossale ma rende bene l’idea di quanto l’editoria dell’epoca, specificatamente in ambito estetico, fosse ispirata da ragioni culturali e di quanto gli editori illuminati, come Aimé Maeght, affrontando le

pagina a fronte Miró nello studio

sopra Copertina del numero monografico di “Derrière le Miroir” dedicato a Chagall, uscito nell’estate del 1954

sotto Un esemplare di “Pan” del 1895 con in copertina una litografia a colori di Joseph Sattler

All’inizio degli anni Sessanta, a Parigi, regalarsi un bel taglio

mille difficoltà in cui poteva incappare l’in-

di capelli alla moda e una messa in piega da uno dei miglio-

dustria libraria nel primissimo dopoguerra

ri parrucchieri del centro costava, grosso modo, come un paio

(il numero d’esordio di “Derrière le Miroir”

di buone bottiglie di Champagne e un trentatre giri di Charles

uscì giusto alla fine del 1946), fossero disposti a mettersi in

Trenet. Stiamo parlando di una cifra, in media, pari a trenta

gioco per dare un contributo al rilancio economico e intellet-

franchi francesi del nuovo corso1, che accomuna fra loro pro-

tuale del paese.

dotti diversi e che, con le dovute rivalutazioni, mantiene il suo

È, infatti, nel cuore dei famosi anni gloriosi, Les trente glorieu-

rapporto di valore anche ai giorni nostri. Quello che stupisce, e

ses, dal 1946 al 1973, che si colloca l’avventura di un periodico

che non trova appunto un corrispettivo odierno, è il fatto che,

come “Derrière le Miroir”, nato proprio dalla passione del mer-

per la stessa cifra, ci si poteva assicurare anche un numero

cante ed editore Aimé Maeght per la stampa, l’arte e la poesia

dell’edizione di lusso, tirata su carta speciale e limitato a po-

che, forte del successo della sua prima rivista letteraria “Pier-

chi esemplari, di una delle più belle riviste d’arte mai uscite in

re à Feu” – fondata nel 1944 e diretta da Jacques Kober – con-

Francia in quegli anni, come “Derrière le Miroir”, fra le cui pagi-

cepì un prodotto destinato a portare avanti e allo stesso tem-

ne si trovavano litografie originali, tirate da matrici disegna-

po rinnovare, con un occhio rivolto al contemporaneo, la tra-

te direttamente e firmate dai maestri della pittura del tem-

dizione di testate ormai celebri, come i “Cahiers d’art” di Chri-

po, come Léger, Calder, Chillida, Braque, Matisse, Giacomet-

stian Zervos, “Minotaure” di Albert Skira, “Verve” di Tériade e

ti, Chagall o Miró, accompagnati niente di meno che da testi,

“XXéme siècle” di Gualtieri di San Lazzaro.

spesso inediti, di autori contemporanei del calibro di Valery,

Per la verità Maeght, personaggio di cultura ma anche uomo

Beckett, Breton, Char, Seghers, Emmanuel, Queneau, Eluard

d’affari, immaginò sin da subito un prodotto con caratteri-

o Prévert. Una sorta di repertorio, insomma, di capolavori ta-

stiche innovative e una formula di distribuzione che tornas-

scabili proposti a un prezzo indubbiamente conveniente, vi-

se comoda anche per la sua attività di mercante. La rivista fu

sto che uscite straordinarie, come il numero triplo dell’esta-

progettata al fine di accompagnare a mo’ di catalogo le rasse-

te del 1954, costellato di ben undici litografie originali a colori

gne organizzate dalla galleria, cosa che di fatto fece per tren-

di Chagall, e un altro numero triplo dell’estate del 1956 – di cui

tasei anni, dal 1946 al 1982, per un totale di 253 numeri, ac-

in mostra è presentato un raro esemplare – con nove poemi

costando a brani critici firmati dagli scrittori più noti del mo-

inediti di Jacques Prévert e sette litografie originali a colori di

mento una scelta di litografie originali utili a documentare, da

Miró, venivano a costare circa venti franchi… come un cappel-

un lato, la presenza di un determinato artista in esposizione

lo di marca comprato in Rue du Faubourg Saint-Honoré2.

e, dall’altro, di arricchirne la mostra con una pubblicazione che

Incongruenza che risulta ancora più stridente se si pensa che

avvicinasse il pubblico all’opera del maestro, coccolandolo con

MirÓIllustratore

19


Una litografia di John Sloan per la copertina di “The Masses”, giugno 1914

La litografia di Toulouse-Lautrec, Mademoiselle Marcelle Lender en buste, del 1895, pubblicata per la prima volta fra le pagine di “Pan”

periodici inglesi, d’ambito vittoriano, come “The Graphic”, apparso nel dicembre del 1869, famoso per le incisioni originali di Millais, o “The Illustrated London News”, fondato a Londra nel 1842, si qualificavano per i loro corredi piuttosto lussuosi. E si può dire lo stesso per l’americano “The Art for the Masses”, in edicola dal 1911 al 1917, che sbandierava

contributi

dei mattatori della “ashcan school”, da George Bellows a John Sloan a Stuart Davis, incaricati di creare per le sue pagine

20

un omaggio di lusso che desse la sensazione di tornarsene a

litografie nel più puro stile alla Daumier, ovvero illustrazioni

casa con un ricordo concreto e prezioso della visita.

di commento ai servizi di cronaca e spesso animate da carat-

La formula sperimentata da Maeght risultava in questo senso

teri di forte denunzia sociale. È forse proprio su questo punto

inedita, caso memorabile nella rosa delle riviste francesi d’ar-

che emerge la differenza fra la linea editoriale imboccata al-

te contemporanea cui “Derrière le Miroir” si affiancò nel per-

la svolta del secolo dalle testate d’arte francesi, concentrate

corso, contribuendo a mantenere altissimo il livello di questo

sempre di più su assunti puramente estetici, e i periodici che

settore dell’editoria che in Francia, più che altrove, vantava da

parallelamente cominciarono a sbocciare in ogni angolo d’Eu-

tempo antenati illustri. A partire cioè da testate storiche, co-

ropa, votati più all’azione che alla ricerca.

me la celebre rivista annuale “L’Art”, che nel corso dell’Otto-

Molte riviste che hanno fatto la storia, come “Der Sturm”,

cento sfoggiava fra le sue pagine incisioni originali di Corot

“Blast” o “Lacerba”, si distinguevano infatti per un intento

e degli esponenti della Scuola di Barbizon. Ma, soprattutto,

programmatico, di diffusione delle idee, di teorizzazione del-

della “Gazette des Beaux-Arts”, fondata nel 1859 dall’impren-

le poetiche, sede privilegiata per la pubblicazione dei manife-

ditore, pittore e collezionista Maurice Cottier e diretta dal cri-

sti artistici, contrassegnate per un atteggiamento di rottura,

tico d’arte Charles Blanc, che accostava articoli eruditi con ta-

una posizione di militanza, dove arte, politica e società spes-

vole originali, fra acqueforti e litografie, dello stesso Corot, di

so agivano in direzione di un intento comune. Legate ai mo-

Daubigny, Rousseau, Millet, fino a Rodin, Renoir e Pissaro.

vimenti d’avanguardia e fortemente motivate nel farsi veico-

Certo il panorama internazionale non era sprovvisto di esem-

lo di questioni di attualità, riviste quali “Art Moderne” diretta

pi illustri, di edizioni altrettanto ricche di opere e di contenu-

da Octave Maus e pubblicata a Bruxelles dal 1881 al 1914 (fu la

ti. “L’arte in Italia”, per esempio, uscita a Torino fra il 1869 e il

prima a parlare dei fauves!) e “The Yellow Book”, nata nel 1894

1873, fu una pubblicazione periodica contraddistinta da bel-

e celebre per le sue copertine di Aubrey Beardsley, rivestirono

le legature, frontespizi incisi in cromolitografia, capilettera

un ruolo propulsivo delle idee moderne e delle tendenze più

xilografici e decine di incisioni calcografiche siglate da nomi

aggiornate, e in un certo senso provocatorie. La stessa “Ju-

della statura di Fontanesi, Mosè Bianchi o Signorini, avvici-

gend”, fondata a Monaco nel 1896, ricca di tavole fuori testo

nati a testi di Boito, Giacosa, Camerana o Settembrini. Anche

e stampe originali in omaggio ai lettori, invogliati all’acqui-

ChiaraGatti


sopra Frontespizio della “Gazette des Beaux-Arts”, fondata a Parigi nel 1859

sotto La copertina del quarto numero di “Ver Sacrum”, uscito nell’aprile del 1899, con una immagine di Kolo Moser

sto dal prezzo modico, mantenne sempre un interesse spic-

sequenza di saggi e illustrazioni distribui-

cato per le problematiche contingenti; esattamente come la

ti senza soluzione di continuità in un’armo-

storica “Pan”, legata all’omonima “cooperativa Pan” fonda-

nia di elementi dove però la mano dell’artista

ta a Berlino da un gruppo di artisti e letterati, fra cui Strin-

sottostava alle regole del giornale. Nel perio-

dberg e Munch, e propugnatrice di ogni forma di possibile rin-

do della sua breve esistenza (fu distribuita

novamento. Stampati su carte di alta qualità i testi di Verlain,

dal 1898 al 1903), “Ver Sacrum” vide coope-

Nietzsche, Huysmans e Kipling si presentavano qui correda-

rare in questi termini artisti come Klimt, List,

ti di illustrazioni pregiate, vere litografie e xilografie di Klin-

Hoffmann, Moser, Mucha e tanti altri autori

ger, Böcklin, Valloton, fra cui anche la chiacchierata litografia

di raffinatezze grafiche indimenticabili, con

di Toulouse-Lautrec, Mademoiselle Marcelle Lender en buste,

intellettuali del calibro di Rilke, Bahr, Holz,

che per le sue caratteristiche provocanti fu ritenuta oscena e

Huch, Holzamer, tutti votati a quell’idea

fece saltare per aria la direzione artistica del giornale.

d’opera d’arte totale che, in un certo senso,

Bene, di fronte alle caratteristiche tipiche di tali pubblicazio-

ritornerà nelle edizioni periodiche comparse

ni si comprende come esse restituissero un quadro verosimile

in Francia a partire dagli anni Venti del No-

del gusto artistico dell’epoca, ma rappresentassero anche una

vecento: nel parigino “L’Esprit Nouveau” (1920-1925) e nelle

presa di posizione oltre che un’affermazione del ruolo attivo

testate legate ai moti del surrealismo, veicolati prima da “La

nella società assunto da parte dell’artista. In questo senso gli

Révolution Surréaliste”, attiva dal 1924 al 1929, che lascerà poi

esempi migliori sono offerti, ancora, da “Der Bildermann”, pe-

il passo a “Le Surréalisme au service de la Révolution”, edita

riodico tedesco, attivo a metà degli anni Dieci, costellato di li-

dal 1930 al 1933 e diretta da André Breton.

tografie originali degli espressionisti più impegnati, da Bar-

Ma bisognerà arrivare alla lussuosa rivista “Minotaure”, fon-

lach a Heckel, da Kokoschka a Käthe Kollwitz, e da “Il Selvag-

data nel 1933 dal giovane editore svizzero trapiantato a Parigi

gio”, testata ideata in Toscana da un ex ufficiale con velleità

Albert Skira – anch’essa nata sotto la buona stella di Breton e

culturali, che chiamò Mino Maccari quale collaboratore nella

baciata dalla direzione artistica di un astro nascente dell’edi-

sua avventura editoriale, affidandogli prima il compito di re-

toria francese quale fu Tériade – per veder ricomparire in fa-

dattore poi l’incarico di direttore. Nata nel 1924 con lo scopo di

se di stampa opere originali firmate da grandi nomi dell’arte

documentare fatti politici, di cronaca e attualità, si riconver-

contemporanea, di cui le precedenti edizioni surrealiste risul-

tì, nel giro di un paio d’anni all’arte e alla satira, cominciando

tavano invece carenti.

ad avvalersi di contributi illustri, di Morandi, Bartolini, Soffici, Rosai, Lega, Carrà, le cui xilografie e linoleografie si alternavano alle vignette umoristiche di Maccari, stampate su carta azzurrina e che, per la qualità degli interventi, garantirono al quindicinale un successo crescente, diventato presto uno dei più importanti periodici d’Italia. Anche in questo caso, tuttavia, è utile sottolineare come la presenza di opere originali all’interno della pubblicazione rivestisse un ruolo esclusivamente accessorio. Le illustrazioni agivano da commento ai testi e raramente possedevano una propria autonomia nel complesso dell’impaginazione. Non a caso l’opera degli artisti al servizio di molte edizioni di cui s’è detto era generalmente limitata nelle dimensioni e le immagini si distinguevano per un formato ridotto. Persino “Ver Sacrum”, organo della Secessione viennese guidata da Gustav Klimt, che nel concetto grafico e tematico meglio si accosta alle soluzioni messe in atto poi dai francesi, contemplava una

MirÓIllustratore

21


Il collage di Picasso per il primo numero di “Minotaure”, uscito nel giugno del 1933

22

“Minotaure”, che nei

che abbracciando tuttavia una politica di diffusione che toc-

sogni di Skira doveva

casse non solo gli addetti ai lavori ma anche gli appassionati.

diventare “la più bel-

“Cahiers d’art” fondata da Christian Zervos, greco di Kefallo-

la rivista del mondo”,

nia, nel 1926 (rimasta attiva fino al 1960) per quanto fosse più

fu un prodotto super-

agile di “Minotaure” fu ugualmente un prodotto d’avanguar-

bo, la testata di mag-

dia e di ricerca, lontano dai canoni dell’editoria di consumo e

gior pregio e diffusio-

di massa. Nel panorama internazionale, riviste come “Mino-

ne del suo tempo, nel

taure” e “Cahiers d’art” o, come vedremo fra poco, “Verve”,

cui comitato scientifi-

“XXéme siècle” e “Derrière le Miroir” si segnalarono per le ele-

co spiccavano, accan-

vate qualità estetiche, i corredi importanti di opere origina-

to a Breton, anche per-

li e per una certa impostazione esclusiva che riservava il pro-

sonaggi

Duc-

dotto a un pubblico di cultori, interessati più a contenuti colti

hamp ed Eluard. Il no-

e letterari che non a incursioni nel mondo dell’attualità. Tali ri-

me fu suggerito da

viste non furono insomma riviste militanti. Ma luoghi, piutto-

André Masson e dal-

sto, di sperimentazione di nuovi linguaggi, di complicità ine-

lo scrittore George Ba-

dite fra i testi dei poeti e le immagini degli artisti e, soprattut-

taille, che guardaro-

to, di valorizzazione delle potenzialità della grafica originale,

no alla misteriosa cre-

con cui gli autori erano chiamati a confrontarsi in ogni edizio-

atura mitologica co-

ne di lusso.

come

me a un’icona dal for-

“Cahiers d’art”, nella fattispecie, non prevedeva l’inserimento

te potere magnetico. Potere che messo nelle mani di Picas-

di opere originali rilegate nei singoli fascicoli, ma commissio-

so, incaricato di realizzate la prima copertina della serie, usci-

nava di prassi ad artisti scelti una tiratura di esemplari di te-

ta nel giugno del 1933, ebbe un esito di forte impatto, conden-

sta, limitata generalmente a un centinaio di prove destinate

sato in un collage dal sapore quasi caotico, spiazzante, recan-

agli abbonati sostenitori. Il successo della rivista, che si pre-

te al centro il disegno di un Minotauro armato di pugnale (og-

sentava con una cadenza variabile e su cui si fece le ossa lo

gi al Moma di New York), soggetto anticipatore del suo futu-

stesso Tériade, chiamato da Zervos a ricoprire il ruolo di diret-

ro ciclo della Tauromachia. Il successo fu clamoroso e la rivi-

tore artistico fra il 1926 e il 1931, prima cioè del suo successivo

sta prese piede. Nei numeri seguenti si esibirono in copertina

ingaggio nella redazione di “Minotaure”, fu dovuto sia all’am-

(con disegni riprodotti meccanicamente) Roux, Derain, Borés,

piezza degli argomenti trattati – che spaziavano dal cinema

Duchamp, arrivando al settimo numero, datato al 1935, di cui

all’architettura, dall’arte greca alle più moderne tendenze –

fu Miró il protagonista, autore per l’occasione di un’immagi-

sia all’impiego innovatore delle riproduzioni fotografiche, sia

ne a tre colori, blu, rosso e bianco, in cui la testa della creatu-

all’alto livello delle collaborazioni di artisti e letterati. Picas-

ra galleggiava nel vuoto insieme a stelle, comete e segni ma-

so, per esempio, fu protagonista, anche nei panni di scrittore,

gici. Oltre al pregio degli interventi successivi di Dalì, Matisse,

di un numero del 1937 dedicato integralmente a Guernica, con

Magritte, Ernst, Rivera, Giacometti, Braque, che si sussegui-

fotografie delle diverse fasi dell’opera. Jacques Dupin pubbli-

rono nell’arco di sette anni di vita, ovvero fino all’ultimo nu-

cò fra le sue pagine la sua prima poesia nel 1949. Miró, invece,

mero del 1939, alternati agli scritti teorici e poetici degli espo-

partecipò firmando una coppia di pochoir, allegati ai numeri

nenti del Surrealismo, “Minotaure” si distinse anche per il suo

1-4 del 1934, con un’edizione limitata a quarantotto esempla-

occhio di riguardo nei confronti della fotografia, rappresenta-

ri e coronata da testi di Zervos, Desnos e Hemingway; e ai nu-

ta al meglio fra le sue pagine dagli scatti straordinari di Man

meri 4-5 del 1937, dove comparve la celebre Aidez l’Espagne,

Ray. Mentre “Minotaure” spopolava nei circoli intellettuali,

opera manifesto concepita a sostegno delle brigate repubbli-

graditissima all’elite culturale parigina sensibile al verbo sur-

cane a un anno dall’inizio della sanguinosa guerra civile spa-

realista, un’altra rivista attiva già da tempo, dal 1926, conti-

gnola.

nuava nel suo intento di studio delle ultime ricerche esteti-

Alla stessa data risale anche un’altra storica collaborazione

ChiaraGatti


di Miró col mondo dell’editoria periodica. Nel dicembre del

fu pubblicata inoltre la celebre intervista Je travaille comme

1937, infatti, il maestro catalano siglò una litografia originale

un jardinier, rilasciata al grande critico d’arte Yvonne Taillan-

per il primo numero di “Verve”, rivista principesca che il buon

dier e diventata un manifesto della sua poetica. Al 1972 risale,

Tériade, passato da Zervos a Skira, riuscì finalmente a fonda-

invece, l’edizione di lusso Homage to Joan Miró, ottantaquat-

re autonomamente e che per più di trent’anni (fino al 1960),

tro pagine di testi e immagini, oltre a una litografia originale,

in un totale di trentotto numeri usciti con frequenza irrego-

dedicata alla vita e all’arte del maestro catalano.

lare, mantenne un livello qualitativo eccezionale, segnalan-

Fu tuttavia con “Derrière le Miroir” di Aimé Maeght che Miró

dosi forse come la più bella rivista d’arte francese del Nove-

intrattenne i rapporti di collaborazione più stretti. A partire

cento. In una media di centocinquanta pagine, si dipanava-

dal 1948 quando comparve, in occasione della sua prima mo-

no ogni volta interventi critici alternati a tavole originali e a un

stra in galleria un numero monografico ricco di otto litografie,

ricchissimo repertorio di immagini riprodotte. Valéry, Camus,

di cui una per la copertina, le altre stampate sullo sfondo dei

Rilke, Bataille, Muchaux e Sartre furono le sue penne di pun-

saggi in una concezione nuova (poi divenuta una costante) di

ta. Braque, Matisse, Giacometti, Chagall, Léger o Miró i suoi

impaginato, dove testi e immagini si sovrapponevano gli uni

artisti privilegiati. Mirò, dunque, fu presente sin dagli esor-

alle altre. La felicità del risultato consolidò il rapporto profes-

di con un’opera accompagnata ad altre prove originali di Lé-

sionale e d’amicizia fra l’artista e l’editore destinati a siglare

ger, Rattner e Borés, oltre alla copertina siglata da Henri Ma-

insieme altri quattordici numeri del periodico, usciti nell’arco

tisse. Ma la sua collaborazione con “Verve” si rinnovò anche in

di trent’anni esatti, dal 1948 al 1978, con cadenza quasi bien-

occasione del doppio numero 27-28 del 1953, quando l’artista

nale. Non sempre, però, in coincidenza di esposizioni perso-

creò per la testata una grande litografia a colori su doppia pa-

nali in galleria. A differenza di altri maestri della scuderia di

gina Il cane che abbaia alla luna, di cui è esposto un esempla-

Maeght, cui veniva riservato un numero della rivista solo in

re in mostra.

occasione delle mostre, Miró ebbe il privilegio – come accadde

La partecipazione attiva di Miró al mondo dei periodici d’arte

per esempio nei tre numeri consecutivi del febbraio, aprile e

è testimoniata ancora dai suoi interventi su “XXéme siècle” la

giugno del 1961 – di godere di edizioni monografiche indipen-

rivista fondata dall’editore e critico Gualtieri di San Lazzaro (al

denti dalla sua presenza negli spazi espositivi di Maeght e do-

secolo Giuseppe Papa) nel 1938, rimasta in vita fino al 1980,

vute alla passione che lo stesso Maeght nutriva nei confron-

che accostò alla serie delle sue monografie di lusso, delle edi-

ti della sua poetica, oltre al suo interesse per i risultati con-

zioni omonime, una testata ispirata alle riviste concorrenti di

seguiti dal maestro nell’ambito della grafica dove, sulla ba-

Zervos, Skira e Tériade e che infatti configurava ogni numero

se dell’esperienza maturata nell’atelier di Fernand Mourlot il

come un vero e proprio volume con litografie originali. L’esor-

maggiore maestro litografo del Novecento, acquisì una spon-

dio fu col botto. Gualtieri di San Lazzaro inaugurò la sua cre-

taneità creativa e una naturalezza nell’esecuzione che rispec-

atura commissionando sei xilografie a Kandinsky e negli an-

chiava il desiderio dell’editore di lasciare i suoi artisti liberi

ni seguenti mantenne sempre alto il livello rivolgendosi ora

di agire e confrontarsi coi mezzi che sentivano più affini al-

a Chagall, ora a Ernst, a Giacometti, Arp, Matisse, Vasarély,

la propria sensibilità. Artefice straordinario di forme e fanta-

Braque, Moore, Hartung, Lam, Lepique, Man Ray, Matta, Cal-

sie, Miró abbracciò l’idea di Maeght e trasformò con i suoi se-

der, con un’apertura anche alle voci delle neoavanguardie co-

gni incantevoli ogni pagina di “Derrière le Miroir” in un capo-

me Robert Indiana, che firmarono per lui litografie affianca-

lavoro di invenzione, contribuendo a farne un gioiello dell’edi-

te a testi di Lascault, Dupin, Hayter, Chaboud, Sartre. Mirò,

toria nel panorama delle pubblicazioni periodiche del Nove-

in questo caso, comparve a partire dal primo numero, per poi

cento, rappresentante di una tendenza tutta francese consa-

tornare a intervalli regolari, protagonista fra gli altri di usci-

crata al prodotto di lusso, dall’alto profilo culturale e artistico,

te speciali come il numero 28 del giugno del 1967, dove due

consegnato nelle mani del pubblico al prezzo di una cena in un

litografie su tre pagine ripiegate convivevano con una tavo-

buon ristorante di Saint-Germain-des Près.

la fuori testo di Marino e con saggi di Mandiargues, Frénaud, Taillandier, oltre a Fagiolo e Apollonio (a testimoniare il carattere internazionale dell’edizione). Nel primo numero del 1959

NOTE Nel 1960 fu sancita una rivalutazione del franco francese tale che, nel nuovo corso, a 100 vecchi franchi corrispondesse 1 franco nuovo. 2 Il prezzo riportato in quarta di copertina era in realtà di 2000 franchi del vecchio corso, corrispondenti a 20 franchi del nuovo. 1

MirÓIllustratore

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Valerio

fotografo Valerio Ad

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Adami con Aimé Maeght. Foto Clovis Prevost di scena del film girato da dami, Vacanze nel deserto, nel 1971

Un angelo sulla spalla di Miró

re, voleva significare che in fondo gli artisti, come gli dèi di un

Conversazione con Valerio Adami

dentemente contraccambiai con un grande quadro che ades-

a cura di Michele Tavola

so è nella collezione della Fondazione Miró di Barcellona.

tempo, si riconoscevano tra di loro. Ebbene è stato un segno: un segno di amicizia, di complicità, di incoraggiamento. Evi-

Ci fu allora una prima conoscenza, ma non posso dire di avere veramente conosciuto Miró subito. Sì, ci abbracciavamo in segno di affetto, ma Miró era un uomo molto chiuso in se stesso, di pochissime parole, era un uomo assai schivo, dal quale trasparivano però quegli stati d’animo poetici che si depositavano poi nei suoi quadri e nel suo lavoro. M.T.: Chi è stato per lei Miró, come potrebbe definirlo? V.A.: Non lo so, potrei dire che era come quello che accende i ceri in chiesa. M.T.: Credo che questa immagine meriti una spiegazione. Michele Tavola: Tanti sono gli artisti che lei ha conosciuto nel-

V.A.: Ebbene, Miró era un uomo taciturno e impenetrabile,

la sua vita, con i quali ha condiviso affetti e lavoro. Tra que-

ma aveva uno sguardo così angelico… Io ho sempre pensa-

sti anche Joan Miró. Vorrei che raccontasse la storia della vo-

to che un angelo abitasse sulla sua spalla. L’ho visto lavora-

stra amicizia, cominciando dall’inizio. Quando ha conosciuto

re nello studio di Maiorca ed era sorprendente il mistero delle

Miró?

gocce che cadevano dal suo pennello: lui lavorava in orizzon-

Valerio Adami: Il poeta Paul Celan diceva che nella data si in-

tale, su una tela o su un foglio di carta posato sul pavimento,

scrive il segreto dell’incontro, ma se devo dire la verità non mi

e ogni goccia cadeva lì, nel posto giusto, nell’unico punto do-

è facile stabilire la data del mio primo incontro con Miró, av-

ve aveva da posarsi. E tutto accadeva con tanta naturale per-

venuto in quella che era la famiglia Maeght, di cui io ero il più

fezione che da allora cominciai a credere che Miró avesse sul-

giovane rampollo. Ho conosciuto Miró quando sono entrato a

la sua spalla un angelo, un nume che guidava la sua mano in

lavorare con Maeght nel ’69-70, grazie alla mia grande amici-

quel rituale fatto di poesia e colore.

zia con Jacques Dupin che, all’epoca, non solo era la coscienza

Lavorava in una specie di trance, era sicuramente un uomo

assoluta di Miró, ma anche colui che dava i titoli a gran par-

abitato dalla poesia. Ne ebbi la prova quel giorno che andam-

te dei suoi quadri. Miró ne chiedeva i titoli a questo profondo

mo insieme in uno di quei piccoli circhi di provincia che soli-

e assoluto conoscitore della sua poetica, e Jacques Dupin glie-

tamente si installano nelle vicinanze dei piccoli paesi, mon-

li offriva.

tano un piccolo tendone e spargono la sabbia per quei pochi

Dunque, ho conosciuto Miró nel ‘69-‘70. Quando ho comincia-

animali che mostrano. Frequentare quei luoghi poveri, intimi

to a lavorare con Maeght ero il più giovane artista della gal-

e straordinariamente poetici era la grande passione di Miró.

leria e Miró mi ha scritto una lunga lettera molto affettuosa,

Quella sera eravamo io, lui, mia moglie Camilla e sua moglie

dicendomi quanto fosse contento che facessi parte della fa-

Pilar. Ricordo che lui, solitamente molto taciturno, non ha mai

miglia. Mi ha perfino mandato un suo olio su carta, un qua-

smesso di descrivermi quel che vedeva, trasfigurando tutto in

dro straordinario. Ma straordinario non era tanto il gesto del

termini poetici. Era come se cercasse di spiegarmi non tanto

dono o la bellezza di quel dipinto, così materico; di veramen-

la sua immaginazione quanto il vero e proprio tracciato della

te straordinario c’era che tra la fine degli anni Sessanta e l’ini-

sua mano sulle tele. Era emozionante, ascoltarlo. Ecco, Miró

zio degli anni Settanta esisteva ancora un rapporto simile tra

era proprio questo, era poesia.

gli artisti: un grande, vecchio pittore, qual era Miró, faceva un

Poi si può anche dire che la sua opera fosse la costruzione di

gesto che segnava l’inizio di qualcosa... qualcosa di affine, di

un linguaggio, o di un’icona. Sì, perché in fondo è stato l’arti-

sentimentale e di rispettoso nei confronti di un giovane ar-

sta più vicino alle icone bizantine; certo, la sua è un’icona blu,

tista. Quel gesto nascondeva un messaggio, come posso di-

non più del colore dell’oro. Il colore blu era infatti il colore che

MirÓIllustratore

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Valerio Adami in compagnia di Joan Miró alla fondazione Maeght foto Camilla Adami

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meglio rappresentava il nuovo stato d’animo dell’uomo: nel

va. Dipingeva in uno stato di estasi, era come se la sua vita in-

blu, e non più nell’oro, abitava ormai il divino . E nel colore blu

teriore si trasformasse depositandosi sulla tela. E fu lì che vi-

di Miró c’è una presenza divina. Forse la sua rappresentazione

di il suo angelo appollaiato sulla spalla, perché altrimenti non

non era che questo, ovvero il tentativo di depositare sulla te-

era possibile che tutto quello che usciva dalla sua mano fosse

la una ricerca del divino. O i segni del divino, più che la ricerca.

così pregno del divino, davvero come un’icona bizantina.

Questo secondo me è stato il grande, l’infinito valore poetico

M.T.: Una volta lei ha raccontato di uno dei suoi viaggi in India,

di Miró, un artista per il quale tutto era una sorta di rivelazio-

durante il quale fece la carta con le sue mani apposta per Miró.

ne. Non si può dire che cercasse di rivoluzionare la forma. No,

V.A.: Erano gli anni Settanta. I miei amici indiani mi introdus-

Miró era abitato da un daimon, il demone della poesia. Se è

sero nell’ashram di Gandhi, ad Ahmedabad, nel Gujarat, dove

possibile fare poesia in un’immagine, Miró lo ha fatto.

Gandhi iniziò la marcia del sale. Nell’ashram, che dà sul fiume

Non era un uomo di carisma, assolutamente, era come quello

Sabarmati, c’era la fabbrica della carta, un laboratorio ispira-

che accende le candele in chiesa, proprio così. Con una vita ri-

to all’idea che Gandhi aveva dell’artigianato, in contrapposi-

gorosissima, una disciplina assoluta: entrava in studio alle ot-

zione con la rivoluzione industriale. Da europeo mi sono re-

to e mezza del mattino e ne usciva la sera alle nove, lavoran-

so conto che fare la carta, non solo era bellissimo, ma anche

do costantemente ogni giorno, salvo la domenica. La domeni-

molto facile: si prendono dei tessuti macinati e si mettono a

ca la consacrava alla moglie e alla figlia, era il giorno sacro del

bagno nell’acqua fino a farli macerare; poi, con l’aiuto di se-

riposo. Ha vissuto tutta la sua vita chiuso in studio. Soltanto

tacci, si fa depositare la poltiglia di cotone che, quando sec-

una volta l’ho visto dipingere: il suo studio aveva una grande

ca, diventa carta. Evidentemente non è quella che l’industria

balconata e, da sopra, mi ha permesso di vedere come lavora-

ci propone oggi, senza una macchia, senza un grano di polve-

MicheleTavola


Valerio Adami , Miró e Georges Raillard (in ombra e seduto accanto a Miró) foto Camilla Adami

re, senza la presenza di un filo o di un pelo. La carta che prepa-

dell’ospedale, i malati sputavano: lui guardava le macchie sul

rai quel pomeriggio per Miró era piena di piccole imperfezioni.

muro e la sua immaginazione si metteva in moto. Spedii dun-

E io sapevo che lui l’avrebbe apprezzata. Ricordavo una con-

que a Miró un bel pacchettone di fogli di carta, cosa di cui lui

versazione con lui, durante la quale mi aveva detto di quan-

mi è stato poi riconoscente in maniera addirittura eccessiva.

to fosse importante per lui l’inaspettato. Lo diceva anche Max

Perché quella carta era vera materia viva, con la quale il suo

Ernst, quando disegni con una matita su un foglio di carta e

colore poteva dialogare.

c’è un granello di polvere o ci sono due piccole assi del tavo-

Per me il luogo ideale per disegnare è sempre stato una stan-

lo sconnesse, ecco che il segno della tua matita probabilmen-

za d’hotel, dove potevo aprire un cassetto del comodino e ma-

te si trova di fronte a un piccolo incidente del “sotto la carta”,

gari trovare una spilla da balia. E questa spilla diventava l’ini-

del granello di sabbia, e in qualche modo cambia. Quel segno,

zio di qualche cosa che metteva in moto la mia immaginazio-

quella linea sono qualcosa che è nato unicamente dal caso.

ne. Quindi capisco perfettamente come una piccola macchia o

Questo, per Miró, era un regalo divino.

un filo che si è attorcigliato sopra la carta, potesse essere per

Io ho sempre disegnato, disegnato e disegnato, ma tutta la

Miró una fonte di ispirazione. Credo che lui abbia continuato a

carta che avevo fatto in India non era adatta al mio lavoro.

ordinare la carta in India.

Ho sempre usato lo stesso supporto, una bella carta tede-

M.T.: Prima ha accennato alla grande famiglia di Aimé Ma-

sca, liscia, di una grammatura importante, già tagliata sulle

eght, di cui sia lei che Miró avete fatto parte. Perché Maeght

dimensioni che desidero. Mentre ero sicuro che Miró avreb-

per voi è stato così importante? Cosa aveva di speciale rispetto

be amato la mia carta dall’India, con tutti i suoi incidenti e ac-

a un normale mercante?

cidenti. Proprio come il muro di Leonardo, sul quale, all’uscita

V.A.: Innanzi tutto, all’origine, era una questione di geogra-

MirÓIllustratore

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Valerio Adami in compagnia di Joan Miró e Ralph Nash foto Camilla Adami

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fie. La pittura spagnola è stata estremamente ricca e impor-

tacca ai congressi… ne disegnai quattrocento con il nome di

tante, però ha avuto comunque bisogno di quel centro che era

Miró scritto in modi sempre diversi, dove la ‘o’ diventava un

Parigi. Dopo si è avuto bisogno di un altro centro, molto più

cuore, la ‘m’ un’altra cosa, oppure la parola ‘Miró’ nasceva dal

confuso, come New York e forse, in un futuro vicino, questo

profilo di una montagna. Abbiamo fatto una grande festa a

ruolo toccherà alla Cina. Per la Spagna, soprattutto nel perio-

Montmartre, ne ho un bellissimo ricordo. Abbiamo distribuito

do della guerra civile e del franchismo, Parigi è stata un punto

ai quattrocento invitati i miei cartellini, peccato che siano an-

di riferimento importante. Anche per gli italiani, che avevano

dati perduti. Calder aveva disegnato le tovaglie, Chillida aveva

bisogno di quella capitale a cui attribuivano un grande potere

fatto qualcos’altro che ora mi sfugge, insomma tutti gli arti-

materiale, ma anche intellettuale. L’altro polo era quello del-

sti avevano in qualche modo contribuito. Dico che tutti gli ar-

la Germania, che però era stata distrutta del nazismo. Insom-

tisti avevano contribuito a questa festa per Miró , perché è ve-

ma, l’arte ha sempre avuto bisogno di capitali: per la Spagna

ro che Aimé Maeght aveva costituito, insieme alla dozzina di

era Parigi e, naturalmente, anche per Miró.

pittori con i quali lavorava, una vera e propria famiglia, con i ri-

Il primo studio parigino di Miró fu a Montmartre, in rue Tourla-

tuali di una famiglia. Per esempio passavamo tutti, da Cha-

que. Una volta, per il suo compleanno, ho cercato di rubare la

gall a Miró, a Chillida, a Tàpies, a Palazuelo, a Tal-Coat... in-

targa di quella strada per donargliela. Ma proprio quando, con

somma tutti quanti passavamo la settimana di Pasqua ospi-

Daniel Lelong, abbiamo cercato di mettere a segno il furto, è

ti suoi nella proprietà dove oggi sorge la Fondation Maeght, a

passata una macchina della polizia che ci ha immediatamen-

Saint-Paul de Vence. Era qualcosa di unico, una meravigliosa

te dissuasi. Allora mi venne in mente la sorpresa dei piccoli

esperienza di scambio, si avevano lunghe conversazioni, dia-

badge, sa, quei cartellini con nome e cognome che uno si at-

loghi indimenticabili. Erano momenti incredibili e solo la per-

MicheleTavola


Joan Miró foto Camilla Adami

sonalità carismatica di Maeght aveva la capacità di tenere in-

na, io e Camilla, e immediatamente lui raccontava all’invita-

sieme artisti così diversi fra loro. Tutte le barriere di genera-

to di turno che era rientrato il giorno precedente dall’India e

zione, di lavoro, di astrazione o figurazione erano superate da

che aveva fatto questo e quest’altro, insomma tutto quel-

un sentimento di amicizia profonda. Maeght era un mercan-

lo che avevo fatto io. Non per raccontare menzogne, ma per-

te straordinario, si occupava veramente di ogni cosa; lavora-

ché avrebbe voluto essere artista e quindi vivere esattamen-

re con lui significava potersi dedicare completamente al pro-

te quello che un suo artista poteva avere vissuto in un viag-

prio lavoro, a tutto il resto, diciamo alla materialità della tua

gio. Era un processo di identificazione assoluta. C’era una per-

vita, pensava lui.

fetta onestà in quello che diceva, anche se si attribuiva la vita

M.T.: Che tipo di uomo era Aimé Maeght? Com’era vivere al suo

degli altri. Evidentemente nessuno lo contraddiceva, non per

fianco?

non contraddirlo, si poteva fare benissimo, ma proprio perché

V.A.: Il problema di Maeght è che avrebbe voluto essere un

si capiva che quel racconto diventava parte della sua esisten-

artista, allora si era inventato un passato da pseudo-artista.

za. Si immedesimava, era un uomo straordinario.

Raccontava di aver dipinto le affiche per Diaghilev a Monte-

Maeght credeva nel suo destino, era sicuro che tutto quello

carlo: era vero e non era vero, ma lui aveva questa capacità

che il suo destino lo portava a vedere, a toccare e a scegliere

di inventarsi una vita. Per esempio, ogni volta che rientravo

fosse buono. Lui non ha scelto uno solo dei suoi artisti.

dall’India, voleva che passassi la prima sera da lui. Gli raccon-

M.T.: Ma come è possibile?

tavo il mio viaggio, quello che era successo, cosa avevo visto

V.A.: Credeva soltanto nel suo destino. Se chiedeva a uno

e fatto. Il giorno dopo mi invitava a casa perché c’era uno sto-

dei suoi collaboratori di indicargli un artista, era certo che il

rico dell’arte o un uomo politico ospite suo, andavamo a ce-

suo destino gli avrebbe fatto scegliere il più grande artista

MirÓIllustratore

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Valerio Adami, foto Michel Nguyen

dell’epoca. In questo mo-

V.A.: Sono sempre stato un grande lettore, da ragazzo consu-

do ha incontrato Miró, me

mavo quasi un libro al giorno. Spiego subito come fosse pos-

e tutti gli altri. Se gli artisti

sibile: quando frequentavo il liceo a Milano, nel dopoguerra,

capitavano da lui era per-

c’era solo qualche millesei o qualche millecento che circolava

ché erano dei geni. Sa chi

e potevo arrivare da casa mia al liceo (che era il Leone xiii e di-

ha iniziato Maeght al suo

stava parecchi chilometri) con un libro aperto in mano, senza

mestiere di mercante? È

mai guardare la strada. Non c’erano pericoli e potevo andare

stato Bonnard.

fino all’ingresso della mia scuola continuando a leggere. Oggi

M.T.: In che senso?

non è più possibile. Ho amato alcuni libri illustrati, ma non cre-

V.A.: Durante la guerra, a

do che questi abbiano fatto parte della mia vita. A quell’epo-

Nizza. Marguerite, la mo-

ca, durante la guerra e subito dopo, non ce n’erano molti. Non

glie di Maeght, proveniva

ho quasi mai aperto un fumetto; soltanto a New York, ne-

da una famiglia che lavo-

gli anni Sessanta, quando stavo all’Hotel Chelsea, sfogliavo

rava nel mercato del pesce,

“Mad”, un fumetto allora assai famoso in America, e quello fu

quindi per loro era facile

un incontro proficuo. È stato solo in un certo momento della

trovare generi alimentari. A

mia vita che ho riscoperto i codici miniati, ma questo seguen-

quel tempo non c’era mol-

do percorsi diversi, ed è un altro discorso.

to da mangiare e Margueri-

Però mi sono trovato anche, quando ero presidente del Centro

te portava a Bonnard cibo e

Nazionale delle Lettere in Francia, a incoraggiare gli investi-

primizie. Aimé aveva una piccola galleria e fu Bonnard a chie-

menti dello Stato nella produzione di libri d’artista, che erano

dergli di diventare il suo mercante. Così gli affidò tutto il suo

edizioni firmate e in tiratura limitatissima. Mi sembrava che lì

lavoro, facendogli conoscere i suoi primi artisti e anche Matis-

ci fosse l’oggetto che meglio corrisponde all’impronta digita-

se, per il quale Marguerite posò poi come modella. Un gior-

le dell’artista, diverso da quella tipologia di libro ormai diven-

no lo prese per un orecchio e gli disse: “Devi aprire una galle-

tato industriale. Mi sembrava una difesa del libro inteso come

ria a Parigi”. Lo portò in rue de Téhéran e gli ordinò: “Questo è

oggetto che si può tenere nelle mani con rispetto. Sì, il libro

lo spazio che devi prendere”. Poi gli presentò Léger, che alla fi-

d’artista era qualcosa che dovevo incoraggiare. Però anche le

ne della guerra aveva tutti i suoi quadri grandi, quelli bellissi-

edizioni d’arte spesso sono state delle operazioni commercia-

mi del circo. Maeght gli chiese, “Quanto vuoi per tutti questi

li, in cui solo l’illustrazione era importante e contava poco che

quadri grandi?”. Il mercato in quel momento era fatto di qua-

si leggesse o meno il testo. In queste opere non c’era una re-

dretti di piccolo formato, lui comprò i quadri grandi di Lèger e

lazione profonda tra testo e immagine. Poco alla volta il libro

lì è cominciata la sua fortuna. Ma la sua vera fortuna è venuta

d’artista è diventato un incontro tra due mondi separati, l’illu-

solo dall’avere fiducia assoluta nel suo destino.

strazione non nasceva più dal testo. Questa è stata una dege-

M.T.: Lei come ha iniziato a lavorare con Maeght?

nerazione del libro d’artista.

V.A.: Tra i suoi collaboratori c’erano Daniel Lelong e Jacques

Quelli di Matisse, invece, erano straordinari. Come quelli di

Dupin. Io entrai in galleria grazie a Dupin che vide una mia mo-

Miró, che aveva un modo poetico di illustrare; non si trattava

stra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, si innamorò

di mettere immagini accanto a un testo. Lui aveva una profon-

del mio lavoro e mi chiese di lavorare con Maeght. Portò il mio

da affinità con la poesia: un libro di poesie illustrato da Miró

lavoro a Maeght e credo che lui non lo abbia mai guardato. Se

diventava qualcosa che raddoppiava il contenuto poetico.

noi ci eravamo incontrati, voleva dire che io ero parte del suo

Personalmente, se volessi fare un libro illustrato nascerebbe

destino.

solo dopo un’attenta lettura e un attento esame del testo.

M.T.: Maeght, oltre che mercante, è stato un grande editore e

Altrimenti per quale altra ragione dovrei affiancare i miei di-

Miró è stato uno dei più importanti autori di libri d’artista del

segni a un testo?

Novecento. Come interpreta il rapporto tra testo e immagine nella produzione artistica contemporanea?

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MicheleTavola

Meina, 20 dicembre 2008


OPERE


1. Christian Zervos e altri autori Cahiers d’Art Editions “Cahiers d’Art”, n. 4-5, Paris 1937 mm 320x250 con 1 pochoir a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. IV

Il pochoir è, per sua natura, una tecnica che consente esiti molto pittorici. Simili a quelli del guazzo o dell’acquerello. Merito di un sistema di mascherine (in francese pochoir, appunto), generalmente fatte di sottili lastre di zinco, ritagliate con varie forme in corrispondenza delle zone che si desidera colorare. Si tratta dell’antenato, per intenderci, della tecnica grafica che, diffusasi dalla Francia all’Inghilterra alla fine del XIX secolo, ha poi assunto il nome più noto di “stencil”. Tale procedimento, a ben vedere, pur richiedendo una certa attenzione da parte dell’artista nel diluire e stendere il colore – “picchiettato” con pennelli a pelo corto – ed evitando al momento di asportare la mascherina sbavature indesiderate delle tinte, non richiede tuttavia una particolare conoscenza del mestiere. Cosa che invece è necessaria nel caso di processi più complessi, come quelli della litografia o delle tecniche calcografiche. È per questo motivo che verosimilmente Miró, prima di misurarsi con la stampa litografica nel 1930, quando esordì con un’immagine originale sui “Cahiers d’Art”, e tre anni dopo con l’incisione, preferì avvicinarsi al mondo della grafica optando, alla fine degli anni Venti, per un medium di passaggio, firmando già nel 1928 otto pochoir a colori, tirati in trecento esemplari e fatti di macchie e poche linee sintetiche per il suo primo libro illustrato Il était une petite pie siglato insieme a Lise Hirtz Deharme per i tipi di Jeanne Bucher. Un esito certamente degno di attenzione; ma bisognerà attendere quasi dieci anni per vedere il maestro catalano ottenere da una tecnica tanto elementare le sue massime possibilità espressive. L’occasione di fatto lo esigeva. Quando nell’estate del 1936 le truppe guidate dal generale Franco attaccarono le forze del Fronte Popolare, proclamando il colpo di Stato militare e dando inizio alla sanguinosa guerra civile spagnola, Miró – che non era solito esprimersi attraverso immagini dirette – impugnò infatti la tecnica del pochoir per creare un manifesto di sostegno alle brigate repubblicane, che venne inserito anche nei “Cahiers d’Art”, come prova l’esemplare qui presente, oltre a essere venduto per finanziare le azioni del-

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MicheleTavola

la resistenza. Mai, come allora, il suo messaggio risultò chiaro. Inquadrato dalla scritta Aidez l’Espagne (Aiutate la Spagna), un contadino catalano dai lineamenti gagliardi leva verso il cielo un pugno chiuso in segno di rabbia e offensiva. La deformazione del braccio, ingigantito dal gesto di rivolta è resa graficamente dall’utilizzo sapiente di una mascherina costruita per esaltare i volumi della figura e, insieme, i contrasti cromatici fra il giallo del bicipite e lo sfondo blu notte. Un’immagine, insomma, di straordinaria intensità che tradisce esplicitamente – caso raro nella sua produzione – l’impegno politico dell’artista, proclamato anche dalla scritta in calce al foglio: “Dans la lutte actuelle, je vois du côté fasciste les forces périmées, de l’autre côté le peuple dont les immenses ressources créatrices donneront à l’Espagne un élan qui étonnera le monde” (“Nel conflitto attuale, io vedo dalla parte fascista le forze decadute della storia, dall’altra il popolo le cui immense risorse creative daranno alla Spagna una vitalità che lascerà il mondo attonito”). Il linguaggio dell’immagine, più vicino ai modi tradizionali che non alla sua consueta pittura fatta di segni e colori, sarà ripreso da Miró tempo pochi mesi anche nel grande affresco per il Padiglione spagnolo all’Esposizione universale di Parigi, dominato da un soggetto analogo, il Mietitore o Contadino catalano in rivolta, esposto insieme a Guernica di Picasso e poi purtroppo andato perduto. Una seconda e forte dichiarazione di impegno politico-sociale. Dopo di essa Miró tornerà a manifestare la propria denuncia nelle sue forme meno dirette e più visionarie. Ma in nessun caso frutto di una ricerca estetica fine a se stessa. “Le scoperte plastiche non hanno in sé importanza alcuna” dirà in una dichiarazione del 1939. “Non bisogna confondere l’impegno proposto all’artista dai politicanti di professione, e da altri specialisti dell’agitazione, con l’urgenza profonda che lo rende partecipe dei sussulti sociali, che lega lui e la sua opera alla carne e al cuore del prossimo e che trasforma il bisogno di liberazione di tutti nel suo stesso bisogno”. (c.g.)


MatisseIllustratore

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2. Stephen Spender Fraternity New York 1939 mm 231x163 con 1 acquaforte in bianco e nero Bibliografia: Cramer 1989, n. 8

Tra il 1938 e il 1939 apparvero due album di incisioni, Solidarité a Parigi e Fraternity a New York, pubblicati a spese degli autori in favore della lotta antifascista. Il crescere dei regimi totalitari in Europa e i foschi venti di guerra che spiravano all’orizzonte e, in particolare, la guerra civile spagnola i cui esiti nefasti angosciavano Miró, spinsero artisti e intellettuali a una forte presa di posizione. Già due anni prima, nel 1937, il pittore aveva realizzato un pochoir dal titolo Aidez l’Espagne (si veda la scheda n.1), venduto per finanziare la resistenza della Repubblica spagnola. La donna urlante, circondata da profondi e violenti segni neri, fa riferimento a un immaginario tipicamente surrealista. Miró non affronta la tematica politica in maniera esplicita e ideologica, ma la trasfigura attraverso un’inquietudine tutta interiore. Il lirismo ricorrente in tanta parte della sua produzione, in questo frangente scompare per fare spazio al segno aggressivo che si ritrova anche nelle cinquanta litografie in nero intitolare Série Barcelone, dedicate allo stesso tema. Siamo di fronte a una delle prime acqueforti dell’artista, che si era avvicinato alla tecnica tra il 1932 e il 1933, sollecitato dal pittore cubista Louis Marcoussis, e che fino a questo momento aveva inciso solo una trentina di lastre. Miró era solito incidere nell’atelier di Marcoussis e stampare nel laboratorio di Roger Lacourière, il più grande maestro calcografo francese. Ma i due fogli creati per Solidarité e Fraternity segnano l’incontro con Hayter, l’incisore più sperimentale e innovativo del ventesimo secolo nonché principale animatore del mitico Atelier 17, con il quale Miró avrebbe lavorato assiduamente anche dopo la seconda guerra mondiale, nel suo studio di New York. Solidarité apparve con una poesia di Paul Eluard e incisioni, oltre che di Miró, di Pablo Picasso, Yves Tanguy, André Masson, Stanley William Hayter, John Buckland Wright e Dalla Husband. Fraternity uscì con un testo poetico di Stephen Spender, tradotto in francese da Louis Aragon, e incisioni di Wassily Kandinsky, Louis Vargas, Roderick Mead, Dolf Reiser, Josef Hecht, Hayter, Buckland Wright e Husband. (m.t.)

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MicheleTavola


Mirテ的llustratore

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3. Tristan Tzara e altri autori Derrière le Miroir Editions Pierre à Feu – Galerie Maeght, n. 14-15, Paris 1948 mm 380x280 con 8 litografie a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 16

Il 1948 rappresentò per Miró una data importante. Dopo otto anni trascorsi fra Barcellona e la fattoria di famiglia a Montroig in Terragona, con qualche puntata rapida a Palma di Maiorca durante gli inverni e una fugace escursione, a cavallo fra il 1940 e il 1941, a Varengeville-sur-Mer in Normandia, riparo per gli intellettuali negli anni del conflitto, l’artista tornò finalmente a Parigi. Era il mese di febbraio e prima che arrivasse la primavera aveva già riallacciato i suoi contatti con l’ambiente culturale della città. Al punto che grazie all’intercessione di Pierre Matisse, il suo gallerista newyorchese conosciuto sin dai tempi della trasferta americana del 1930, entrò in contatto con il mercante ed editore d’arte Aimé Maeght, che sin da subito si propose come suo rappresentante in Francia e nel novembre dello stesso anno gli allestì prontamente una esposizione personale in galleria, ricca di oli, opere su carta e ceramiche datate dal 1941 al 1946, utili a fare il punto, dopo un così lungo periodo di assenza dal panorama francese, sulla produzione recente del maestro. Bene, Maeght, oltre ad avere un fiuto straordinario per gli autori di talento, vantava un’abilità unica nel coniugare il buon gusto con gli affari e la ricerca estetica con la diffusione commerciale. A testimoniarlo sono proprio gli esemplari della sua edizione di punta. Quella della rivista “Derrière le Miroir” che accompagnò per trentasei anni, dal 1946 al 1982, per un totale di 253 numeri, ogni rassegna organizzata dalla galleria. Concepito a mo’ di catalogo, con brani critici firmati dalle migliori penne del momento e una scelta di litografie originali a corredo dei testi, oppure isolate, stampate a doppia pagina, come tavole indipendenti, ciascun numero della rivista aveva il doppio scopo di documentare, da un lato, l’evento espositivo, attraverso il regesto delle opere, dall’altro di impreziosire la mostra con una pubblicazione che fosse un omaggio all’artista, alla sua poetica e, allo stesso tempo, un’opera d’arte extra destinata al pubblico e in cui l’autore, sperimentando le possibilità offerte dal linguaggio litografico, poteva conferire un valore aggiunto all’oggetto-periodico e ai saggi in esso contenuti. Il caso esemplare, e forse il più raffinato, di questa coesistenza perfetta fra immagini e testi risale proprio alla prima collaborazione fra Miró e Maeght, in occasione della personale del 1948, quando l’artista, fresco di una esperienza nell’atelier di Fernand

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MicheleTavola

Mourlot – dove eseguì le prime litografie a colori – siglò per l’edizione a corredo della mostra otto litografie, di cui una per la copertina, le altre stampate sullo sfondo dei saggi in un rapporto di straordinaria armonia fra la grafica e i caratteri tipografici. La felicità del risultato fu di buon auspicio per la neonata collaborazione fra l’artista e l’editore che, negli anni, firmarono insieme altri quattordici numeri di “Derrière le Miroir”. Questo, in particolare, di cui sono presentate nel percorso espositivo le pagine d’apertura, di chiusura e una doppia pagina centrale, si distingue dai numeri successivi proprio per la concezione inedita (e più replicata) dell’impostazione, che vede le testimonianze di autori del calibro di Jean Cassou, Joan Prats, Raymond Queneau, Paul Eluard, Christian Zervos autore di un intervento commosso, oltre alla introduzione di Tristan Tzara dal titolo Joan Miró et l’interrogation naissante – elogio sofistico alla poetica del maestro – aureolate di motivi leggeri, personaggi smaterializzati che occupano lo spazio intero della pagina e che ricordano gli amati ideogrammi orientali, sintetici nella forma e nel contenuto, cui Miró ispirò opere celebri e coeve alla rivista come Il Sole rosso mangiucchia il ragno. Orchestrando una manciata di colori brillanti profilò sulla carta silhouette fatte di poche linee tracciate con gesto veloce da un pennello largo e piatto. Sagome di stelle, lune, soli e figure misteriose galleggianti nello spazio bianco e sopra cui i testi scritti scorrevano come titoli di coda sugli ultimi fotogrammi di una pellicola. Fatta esclusione per il paginone doppio centrale, dove si trovano elencate le opere presentate in mostra affiancate da una selezione di immagini, e la rubrica finale delle Chroniques con il consueto apparato di recensioni agli eventi in corso, il numero in questione snocciola dunque, all’interno di questa impaginazione rara, una carrellata di contributi, brani inediti, estratti e citazioni, fra i quali alcuni, come quelli di Queneau e Tzara, riediti poi nel libro illustrato Miró nel 1968 (si veda la scheda n. 10), e altri usciti invece da pubblicazioni passate, come nel caso del commento di Robert Desnos già comparso sui “Cahiers d’Art” (nn. 1-4) del 1934, o della poesia Joan Miró di Georges Hugnet uscita sempre sui “Cahiers d’Art” (nn. 3-4) del 1940; o, ancora, lo stralcio firmato da Ernest Hemingway, anch’esso visto sui “Cahiers d’Art” (nn. 1-4) del 1934, in cui lo scrittore paragona argutamente per complessità e visionarietà l’opera di Miró all’Ulisse di Joyce. Fluttuando fra i numerosi testi, raccolti sotto il titolo Le Retour de Miró – che evidentemente rendeva omaggio al ritorno dell’artista a Parigi dopo una lunga assenza – si incontrano quindi le firme di Renè Gaffè, Pierre Loeb, Georges Duthuit, Georges Limbour, Joaquim Gomis, Daniel-Henry Kahnweiler, Lise Hirtz Deharme, Maurice Raynal, e Michel Leiris – con un testo estrapolato dal volume The Prints of Joan Miró, edito a New York nel 1947, anno della prima permanenza del maestro nella città statunitense – per giungere, in quarta di copertina, alla poesia di Jacques Kober e, soprattutto, al racconto Ma collaboration avec Miró di Llorens Artigas, vecchio compagno della scuola d’arte di Galí che lo introdusse ai segreti della ceramica; tale testo sarà ripreso e ampliato nel 1956, nel numero monografico di “Derrière le Miroir” (si veda la scheda n. 6) edito in occasione della mostra alla galleria di Maeght, dedicata proprio alle ceramiche realizzate in comunione da Miró e Artigas. (c.g.)


MatisseIllustratore

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4. Tristan Tzara Parler seul Maeght Editeur, Paris 1950 mm 382x289 con 72 litografie in nero e a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 17

Si tratta indubbiamente di uno dei più importanti libri d’artista del Novecento nonché di uno tra i più alti capolavori di Miró nel campo dell’illustrazione libraria. Il testo poetico (da un punto di vista squisitamente formale sarebbe riduttivo parlare di poesie) è stato scritto da Tristan Tzara nel 1945, nei due mesi trascorsi nel manicomio di Saint-Alban, a stretto contatto con i malati di mente. Il titolo, “Parlare da soli”, è quanto di più appropriato si possa immaginare per un’opera composta in un ospedale psichiatrico. Le parole scorrono a flusso continuo, senza maiuscole e senza punteggiatura, con uno stile che, pur denunciando un certo debito con le decostruzioni linguistiche di epoca dadaista, trova qui una matura rielaborazione. Tzara, forse ancora più che Eluard, Prévert e Breton, è il poeta che più intimamente riesce a tradurre verbalmente i segni visionari di Miró. Non è un caso che il primo volume apparso con quattro litografie dell’artista sia L’arbre des voyageurs di Tristan Tzara, del 1930. Fin dai primi anni Trenta erano comparse pubblicazioni accompagnate da opere grafiche originali di Miró, ma Parler seul può essere considerato, per impegno e per impostazione concettuale, il suo primo libro d’artista. Siamo di fronte a un vero e proprio libro di dialogo, in cui il peintre-graveur ha interpretato e riscritto graficamente, con i propri mezzi espressivi, l’opera del poeta. Nella pagina i segni di Miró e le parole di Tzara si mescolano liberamente, dando vita a un perfetto equilibrio compositivo. A questo proposito è illuminante l’analisi fatta da Rosa Maria Malet nell’introduzione al catalogo generale dei suoi libri illustrati, redatto da Patrick Cramer: “Dall’inizio Miró non ha mai accettato che il suo intervento nelle edizioni dei libri per bibliofili dovesse limitarsi a una semplice illustrazione e, al principio degli anni Cinquanta, la sua partecipazione è definitivamente quella di un vero autore che si esprime dopo avere interiorizzato il contenuto del testo. Le caratteristiche di questo libro reclamano un ritmo e un ordine interno ottenuto grazie all’alternanza di pagine di illustrazione pura e di pagine di illustrazione inserita nel

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testo, e grazie alla dinamica creata dalla sequenza delle immagini” (Cramer 1989, p. 9). Miró si preoccupa di curare ogni aspetto del libro, costruito come una complessa architettura in cui ogni parte ha la sua funzione, il suo ruolo e la sua importanza. La custodia rigida che contiene il volume è decorata con elementi grafici tipici del suo repertorio figurativo, eseguiti in litografia originale. La copertina, di notevole fattura, presenta un collage realizzato con un frammento di giornale. Le settantadue litografie che ornano quasi ogni pagina, sono state eseguite tra il 1948 e il 1950 e stampate nel laboratorio di Fernand Mourlot. Parler seul rappresenta un perfetto connubio tra ardita sperimentazione artistica e altissima perizia artigianale, come sottolinea ancora la Malet: “Uno dei fattori decisivi in un libro di questo tipo è la tipografia, perché il corpo delle lettere, la distribuzione del testo e l’intensità dell’illustrazione possono far fallire, tanto quanto riuscire, ciò che si pretende di ottenere dall’immagine. Questo aspetto è particolarmente curato in Parler seul, come lo sarà nelle edizioni seguenti, in ragione del rigore con il quale Miró ha sempre curato i suoi progetti” (Cramer 1989, p. 9). Questo libro, proprio per il rapporto tra testo e immagini e per il particolare uso dei colori (giallo, verde, rosso, blu e nero, utilizzati puri e alternati secondo quella che potremmo definire la grammatica di Miró) costituisce un imprescindibile precedente stilistico per un altro grande capolavoro, A toute épreuve di Paul Eluard, pubblicato nel 1958 con ottanta incisioni su legno. Come ha correttamente sottolineato Corrado Mingardi, fine bibliofilo e raffinato collezionista (in Allo Paris! 2008, p. 318), Miró nella sua vasta produzione di libri illustrati e, in modo particolare, in questo, riesce sapientemente a coniugare l’eleganza e la grandiosità delle edizioni di Vollard con la sensibilità poetica di Kahnweiler, che sapeva accostare testi e immagini di autori contemporanei tra loro culturalmente affini. Inoltre, si deve aggiungere che Parler seul non solo fa tesoro della tradizione editoriale della prima metà del ventesimo secolo, ma anticipa molte delle soluzioni formali più estrose e sperimentali che si vedranno nella seconda parte del Novecento. (m.t.)


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5. Pierre Reverdy e altri autori Verve Editions de la Revue “Verve”, n. 27-28, Paris 1953 mm 362x272 con 1 litografia a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 25

Giunta al suo sedicesimo anno di vita, la rivista “Verve” aveva toccato un livello di pregio tale che la vide superare per bellezza tutte le altre pubblicazioni periodiche d’arte coeve. Prima di tutto per la ricchezza dei contenuti, affidati alle penne della migliore intellighenzia dell’epoca, con nomi del calibro di Valéry, Camus, Rilke, Bataille, Muchaux o Sartre. E poi per il corredo di immagini, divise fra riproduzioni a colori, frutto di un processo di stampa d’alta qualità, commissionato al noto tipografo Draeger, in aggiunta a d’après di opere disegnate dai maestri più in vista del tempo, e soprattutto a una scelta di litografie originali anch’esse esito della collaborazione fra la storica testata di Tériade e autori come Braque, Matisse, Giacometti, Chagall, Léger o Miró. Nel caso del numero qui presentato, Joan Miró realizzò, per esempio, una grande litografia a colori, su doppia pagina, complessa nell’iconografia animata su un fondo densamente dipinto da una coppia di figure iconiche, un cane e un gallo, protagonisti del titolo-poema “Le chien aboyant à la lune réveille le coq, le chant du coq picote le crane du fermier catalan posé sur la table à coté du pourron”; creature reali e fantastiche allo stesso tempo, poste attorno a una natura morta centrale in una scena dai caratteri quasi teatrali che, per i modi plastici e le ampie campiture di colore, precorre i dipinti della sua tarda maturità. Un intervento importante, dunque, incastonato nella struttura articolata di una rivista impreziosita da altre litografie originali, fra cui Visions de Paris di Chagall e Le torrent di Masson, oltre a due immagini di Giacometti, La rue e L’arbre, che, seppur non documentate, potrebbero verosimilmente risultare anch’esse originali, a giudicare dalla freschezza del segno e della composizione nel suo complesso. Da classificare, invece, fra i d’après, le tavole di Braque, per il frontespizio, di Matisse per il poema La tristesse du roi, e di Léger per la doppia pagina con La partie de campagne. Trentaquattro litografie in tutto alternate ai saggi critici di Reverdy, Camus, Sartre, Cassou o Calot, distribuiti in oltre centocinquanta pagine di testo e illustrazioni; un repertorio tipico di ogni numero di “Verve”, più che una rivista un vero e proprio libro d’arte illustrato. (c.g.)

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6. René Char A la santé du serpent GLM (Guy Lévis Mano), Paris 1954 mm 292x195 con 1 litografia a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 31

Gli anni Cinquanta per Miró litografo sono un periodo d’oro, ma forse sarebbe più corretto dire che continuano a essere un periodo d’oro. La litografia, tirata in soli cinquanta esemplari sui torchi del sapiente maestro litografo Fernand Mourlot, è una tra le più fresche e brillanti di questi anni, insieme a quelle eseguite per La clé des champs di André Breton, alla serie di nove fogli del 1955 e a quelle per i numeri di “Derrière le Miroir” del 1956 (si veda la scheda n. 7) e del 1953, tra cui spicca il grande pezzo intitolato Nocturne, largo quasi un metro e mezzo. L’opera, oltre ai classici colori di Miró (rosso, blu, giallo e verde usati in purezza), è illuminata da una squillante macchia rosa shocking, tonalità che l’artista utilizza con una certa parsimonia e raramente con questa centralità nella struttura compositiva. Il foglio faceva parte degli esemplari di testa di A la santé du serpent, poema di René Char pubblicato dal poeta Guy Lévis Mano, che per passione divenne anche tipografo, stampatore ed editore di libri di poesia, usciti tra il 1923 e il 1974 sotto la sigla GLM. Char fu uno dei più grandi poeti francesi del Novecento e uno straordinario personaggio: da giovane fu appassionato giocatore di rugby e durante la seconda guerra mondiale partecipò attivamente alla resistenza con il nome di battaglia di Capitaine Alexandre. Insieme a Picasso e a Braque, Miró fu uno tra i pittori che più assiduamente illustrò le sue opere. Sono ben sedici i libri d’artista nati dalla collaborazione tra Char e Miró, il primo dei quali apparso nel 1948 (Fête des arbres et du chasseur) e l’ultimo, un omaggio a Georges Duthuit, nel 1976. Gli editori che più assiduamente accompagnarono questo fertile dialogo furono GLM e, soprattutto, Pierre André Benoit (PAB). Meritano di essere citati Flux de l’aimant (Maeght Editeur, 1964), illustrato da diciassette puntesecche, e Le marteau sans maître (Le Vent d’Arles, 1976) con ben ventisei acquetinte a colori di grande formato. Per A la santé du serpent, che è un estratto di Le poème pulverisé del 1947, Miró realizzò ventisei disegni riprodotti con la tecnica del cliché-trait. I neri segni geroglifici dell’artista separano i diversi frammenti del poema, dando vita a un libro di notevole coerenza stilistica e insolitamente sobrio. Questa scelta venne forse dettata dal fatto che Wifredo Lam, tra il 1951 e il 1952, aveva creato una serie di disegni coloratissimi per lo stesso libro. (m.t.)

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7. Jacques Prévert e Joseph Llorens Artigas Derrière le Miroir Maeght Editeur, n. 87-88-89, Paris 1956 mm 380x280 con 7 litografie a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 34

Antefatto: Joan Miró e Joseph Llorens Artigas (1892-1980) sono amici di vecchia data. Grosso modo dal 1914. Da quando, ventenni, frequentano a Barcellona la Scuola d’Arte di Francesc Galì. Usciti di lì seguono strade diverse, ma senza perdersi mai di vista, tanto che nel 1944 Miró chiede all’amico di svelargli i segreti del mestiere di ceramista, arte di cui Artigas è nel frattempo diventato in patria una specie di nume tutelare. Inizialmente l’amico tentenna all’idea di iniziarlo alla tecnica del modellato. Non è adatta ai semplici amatori, sostiene. Ci vuole dedizione. Ma Miró insiste. È determinato a dimostrare il suo coinvolgimento. Alla fine Artigas cede all’insistenza. E di questo non si pentirà mai, ammutolito dai risultati di altissimo livello usciti dalle mani dell’amico pittore, “dalla sua fantasia illimitata – dirà – e senza alcun pregiudizio nei confronti del mestiere”. Il fatto di doversi confrontare con procedimenti per lui così poco familiari, è per Miró infatti uno stimolo a forzare la carica espressiva e a escogitare ogni volta modi impensati di relazionarsi col mezzo. Artigas lo capisce all’istante e per tre anni lo asseconda nella sua ricerca inesausta. Si tratta di una feconda collaborazione destinata a dare esiti importanti, fra cui la decorazione a quat-

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tro mani delle pareti esterne della nuova sede dell’Unesco a Parigi, realizzata fra il 1956 e il 1958. O i murali di ceramica per l’aeroporto di Barcellona e per l’Esposizione Universale di Osaka, entrambi del 1970. Detto questo si capisce perchè il numero di “Derrière le Miroir”, presentato in questa sede, può essere considerato un vero e proprio inno al legame fra i due maestri, visti e considerati i brani che tendono a ricostruire la storia di un sodalizio. Da essi emerge inoltre come la collaborazione che sancì in quell’epoca il rapporto fra Miró e Artigas fosse quella finalizzata alla mostra Miró-Artigas. Terres de grand feu, in calendario alla Galerie Maeght di Parigi per l’estate del 1956 e traslocata poi a dicembre a New York, da Pierre Matisse. Sono le stesse parole di Artigas (autore qui anche della prefazione alla rivista), al centro del racconto Route ensemble, a svelare l’affiatamento fra loro e, in un certo senso, gli episodi bizzarri dell’intera vicenda. A partire dalla comunicazione perentoria di Miró che, all’alba del 1950, annunciava all’amico la sua ferma intenzione di organizzare una grande mostra sulla ceramica. La decisione aveva tutta l’aria di un’urgenza impellente. E Artigas rispose pertanto con una solerzia invidiabile, salvo poi quietarsi quando Miró lo informò serafico che l’esposizione si sarebbe tenuta di lì a dieci anni. “Non ne parlammo più” si legge nel racconto. Ma poi la mostra fu allestita davvero. Rintanati a Gallifa, nello studio di Artigas, a lavorare in perfetta comunione, fra il 1954 e il 1956, Miró e l’amico ceramista toccarono un picco di 232 opere, “pronte per essere imballate in casse per Parigi”. E a Parigi arrivarono infatti nel giugno del 1956 attese da Maeght, presto disposte in galleria e, come di consueto documentate in parte – attraverso le fotografie scattate da Sabine Weiss e Ernst Scheidegger – fra le pagine di “Derrière le Miroir” nella sua veste di catalogo dell’esposizione. Un catalogo che vantava per l’occasione, accanto alla testimonianza di Artigas, anche un corredo di testi firmati da Jacques Prévert, autore di nove poesie, e Georges RibemontDessaignes, autore di una poesia e un testo in prosa. Prévert, in particolare siglò le due liriche d’apertura Oasis Miró e Miroir Miró, quest’ultima riedita poi nel volume del 1968 Miró di Jacques Dupin e altri autori (si veda la scheda n. 9). Scorrendo i versi di Prévert la sensazione è quella che essi interpretino a meraviglia i sogni dell’artista, i suoi colori sgargianti ritagliati sul fondo bianco, i gialli intensi, i rossi indimenticabili stesi a evocare scenari rupestri, come quello in copertina, e che ricordano i dipinti “selvaggi” della fine degli anni Trenta e insieme si nutrono di un nuovo gusto per la linea ondeggiante e libera, che prende al lazo macchie di colore, disegna bocche storte e occhi spalancati di creature immaginarie e scrive, con gesto sciolto, titoli e nomi che diventano, a loro volta, parte integrante del paesaggio. Unitamente a ciò Miró si diverte a inventare per questo numero di “Derrière le Miroir” soluzioni bizzarre. Come l’impronta nera della mano (o del piede), figlia di una allegria compositiva che contraddistingue tutta la pubblicazione: dalle grandi litografie originali a doppia pagina, alle piccole illustrazioni in nero distribuite a corredo dei testi. (c.g.)


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8. Raymond Queneau Album 19 Maeght Editeur, Paris 1961 mm 660x510 con 17 litografie a colori, 2 litografie in nero e 10 pagine di testo con litografie a colori Courtesy Librairie les Arcades, Paris Bibliografia: Cramer 1989, n. 70

Miró, per tutta la sua vita, intrattenne un proficuo scambio biunivoco con poeti e letterati, illustrando i loro componimenti e ricevendo in dono versi a lui dedicati. Ma Raymond Queneau è senza dubbio lo scrittore che più spesso mise la sua penna a disposizione dell’amico pittore, per sostenere e spiegare a suo modo l’opera di Miró. Dominique Charnay, che ha puntualmente ricostruito il rapporto tra Queneau e Miró, ha scritto: “Si deve dire che tra l’autore degli Esercizi di stile e quello di Constellations, la simbiosi è perfetta. Di passaggio a Parigi, Miró non dimentica mai di fare visita al suo amico. Dopo una giornata di lavoro per il tale o il tal altro libro di incisioni, si incontrano, con Pilar e Janine, in un ristorante catalano vicino alle Folies Bergères, oppure cenano in famiglia a Neuilly presso i Queneau” (in Queneau 2006, pp. 7-24). Queneau non mancò di comporre versi, al pari di Tzara, Eluard, Breton e molti altri, per celebrare l’artista catalano, dando vita, come sua consuetudine, a pirotecnici giochi di parole come “adMIROns MIRO” o “L’éMIR aux MIROirs”. Ma è nei testi critici che l’autore di Zazie nel metrò e I fiori blu profuse maggiore impegno, parlando di pittura alla sua maniera, senza cedere al gergo della critica d’arte, con un linguaggio vivo e trasognato. A questo proposito vale la pe-

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na di riportare la sua definizione di pittura: “Si scopre ora che la pittura è un pennello (o un altro strumento) con un signore a un’estremità e una tela all’altra; di più, è un pennello (o un altro strumento) che viene agitato intriso di colore. Non c’è nessun dubbio che questa è una delle cose che Miró ha sempre voluto far intendere con la sua opera” (Queneau 1960). Dal 1948 al 1975 scrisse una decina di interventi, tra cui devono essere ricordati Joan Miró ou le poète préhistorique, introduzione alla monografia edita nel 1949 da Skira nella celebre collana Les trésors de la peinture, e il testo pubblicato nel catalogo della Biennale di Venezia del 1954. Ben due scritti importanti sono dedicati alla litografia: quello per il secondo volume del catalogo ragionato delle litografie di Miró, edito da Maeght, e quello per l’Album 19. Quest’opera, benché rappresenti una delle vette della produzione litografica di Miró, non può essere considerata alla stregua di un libro d’artista che, per essere tale, deve presentare uno stretto dialogo tra un testo letterario, in prosa o in versi, e le immagini che esso ispira al peintre-graveur. L’Album 19 non contiene un’opera letteraria, ma un testo critico, e le stampe hanno una genesi e una vita autonoma, indipendenti da qualsivoglia suggestione poetica. Si tratta, piuttosto, di una serie omogenea e coerente di litografie, splendide e di grande formato, popolate da immagini vagamente figurative, macchie di colore puro e segni visionari appartenenti alla grammatica pittorica dell’artista. Eppure, il particolare modo in cui è concepito quest’album gli conferisce un’aura unica, che lo distingue da una semplice cartella di stampe. Il testo introduttivo di Queneau, pur non essendo né un romanzo, né un racconto, né un poema, ha un suo intrinseco afflato poetico e uno stile visionario. Inoltre è manoscritto, come Jazz di Matisse e come Le chant des morts di Reverdy e Picasso. Non solo, ma alle parole si sovrappongono le gocce di colore e i segni tracciati da Miró, in litografia, che decorano e illuminano ogni pagina. Molto bella e originale anche la custodia del libro, fatta di vecchi cartoni da imballaggio, ondulati irregolarmente dall’esposizione alla pioggia e al sole, incrostati di chiodi e successivamente marchiati a fuoco con ferri solitamente utilizzati per marchiare i tori. (m.t.)


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9. André Pierye de Mandiargues Derrière le Miroir Maeght Editeur, n. 139-140, Paris 1963 mm 380x280 con 8 litografie a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 83

Introdotto da un testo di André Pierye de Mandiargues, scrittore francese portavoce nelle sue opere di motivi surreali, questo numero di “Derrière le Miroir” uscì in concomitanza con la mostra allestita, fra i mesi di giugno e luglio, nella galleria di Maeght a Parigi e trasferita poi, come ormai di prassi, da Pierre Matisse a New York. Trascorsi sette anni dalla doppia personale del 1956 di Miró e Artigas, i due artisti tornarono in questa circostanza protagonisti di un’altra rassegna dedicata a quella sfera della loro ricerca condotta all’unisono e, precisamente, legata al mondo della ceramica. Da un anno, infatti, a partire dagli inizi del 1962, la coppia era impegnata nella realizzazione di un murale e di un nucleo di sculture progettati per la sede, in via di costruzione, della Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence. Per questo motivo Maeght decise di documentare, un’altra volta, in linea ideale con la mostra del 1956, l’opera a quattro mani dei due autori catalani, testimoniando, anche a livello di catalogo (con una nutrita serie di fotografie delle sculture all’aperto da poco disposte nel giardino della Fondazione) i risultati emersi da tale proficua collaborazione. Mentre in mostra fu presentata una selezione di ceramiche, la rivista venne arricchita con il consueto apparato di litografie originali (di cui una addirittura su tre pagine) create da Miró e alternate al racconto dell’amicizia fra lui e il maestro ceramista. Inframmezzate ai testi e alle immagini dei lavori in ceramica – volti di donne, uomini, maternità e piccoli vasi – ecco allora otto litografie a colori in cui i motivi risentono chiaramente dei modi dell’espressionismo astratto americano che stavano influenzando già da tempo la sua pittura, a partire dall’esperienza del suo terzo soggiorno negli Stati Uniti nel 1959. Dimenticate le campiture di colore, le tinte nette spalmate ad ampie macchie e volte a evocare personaggi e panorami nello spazio, Miró vira qui verso un nuovo territorio di indagine, fatto di una maggior pulizia, di leggerezze e giochi istintivi di linee e puntini. In una sorta di dripping grafico, si susseguono schizzi di stelle e tracce libere nel vuoto, dove l’uni-

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co rimando alla poetica passata è la presenza dei suoi ideogrammi dal segno nero e spesso. La delicatezza di queste composizioni fa ripensare al Miró delle Costellazioni, ma la loro levità e il respiro più ampio (orientale!) sembrano anticipare capolavori come L’Oro dell’azzurro del 1967 oggi alla Fundació Joan Miró di Barcellona di cui le litografie di questo periodo, tirate nell’atelier di Maeght, potrebbero rappresentare una ricerca preliminare. (c.g.)


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10. Jacques Dupin e altri autori Miró Fondation Maeght, Saint Paul 1968 mm 226x195 con 3 litografie a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 121

Nel 1968 ebbe luogo una sontuosa retrospettiva dedicata a Miró presso la Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence, la prima fondazione privata francese consacrata all’arte contemporanea, nata nel 1964. La mostra, organizzata per celebrare il settantacinquesimo compleanno dell’artista, presentava ben centosettanta tele (eseguite tra il 1914 e il 1968) che illustravano ogni periodo della sua produzione, quattordici sculture monumentali, dodici ceramiche e ventisette acqueforti. Aimé Maeght, mercante ed editore di Miró oltre che direttore della fondazione che ancora oggi porta il suo nome, e Jacques Dupin, poeta, scrittore e direttore delle edizioni della Galerie Maeght dal 1956, non seppero resistere alla tentazione di trasformare il catalogo in un vero e proprio libro d’artista, con testi di sapore letterario e opere grafiche originali. Dupin (1927) che nel 1952 era divenuto segretario della celebre rivista “Cahiers d’Art” di Christian Zervos e dal 1981 codirettore della Galerie Lelong di Parigi, collaborò a lungo con alcuni artisti tra cui Alberto Giaco-

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metti, Antoni Tàpies, Valerio Adami e soprattutto Miró. Per il grande catalano scrisse numerosi e significativi scritti, tra cui devono essere ricordati almeno la fondamentale monografia del 1961 (una nuova edizione aggiornata è uscita nel 1991) e i testi di libri d’artista quali Les brisants (Guy Lévy Mano 1958, con un’incisione più cinque prove colore), Saccades (Maeght Editeur 1962, con otto acqueforti e acquetinte a colori), e L’issue dérobée (Maeght Editeur 1974, con quindici puntesecche a colori). L’introduzione al catalogo della mostra di Saint-Paul de Vence, per il quale Miró esegue tre litografie a colori (di cui una utilizzata per la copertina), è firmata da Dupin, che sceglie un taglio decisamente più poetico che storico-critico. È un vero e proprio omaggio alla carriera e, nelle prime righe, si legge: “Anacronistico compleanno. [...] Miró sta per compiere mille anni. Miró è nato stamattina. Familiare, sconosciuto”. Segue una serie di poesie e prose dedicate all’artista da alcuni dei più grandi scrittori dell’epoca. I due componimenti di Paul Eluard, Naissance de Miró e Joan Miró, erano già apparsi per l’editore Gallimard. Fissures di Michel Leiris è un estratto dall’omonimo libro d’artista che sarebbe stato pubblicato da Maeght l’anno seguente. Le réveil au petit jour di André Breton è tratto da Constellations, pubblicato da Pierre Matisse (figlio di Henri) nel 1959, con stampe originali di Miró stesso. I testi di Tristan Tzara, Raymond Queneau, René Char, André Frénaud e Shuzo Takiguchi (intitolati rispettivamente Sur une corde raide...; Pour; Dansez, montaignes; Deux oiseaux fabuleux à Altomiro e Itinéraire) erano già usciti sulla rivista “Derrière le Miroir” (quelli di Tzara e Queneau nel numero 14-15 del 1948, per il quale si rimanda alla scheda n. 3). Essendo il volume rilegato, è stato possibile inserire nel percorso espositivo una sola litografia, accanto alla quale si legge la poesia di Jacques Prévert (tratta dal volume dedicato all’artista nel 1956, edito da Maeght, con dieci litografie a colori, scritto insieme a Georges Ribemont-Dessaignes, e pubblicata anche in “Derrière le Miroir” nello stesso anno; si veda la scheda n. 7), dal curioso titolo Miroir Miró: “Il y a un miroir dans le nom de Miró / parfois dans ce miroir un univers de vignes de raisins et de vin / Tache solaire / jaune d’oeuf précolombien / l’oiseau tonnerre roucoule dans le lointain / Ivre déjà depuis midi / entraînant avec lui la nappe du matin / le soleil noir s’écroule dans la cave du soir / Pénombre grise et ombre déportée / rouge fracas du vert brisé / La blanchisseuse veuve qu’on appelle la nuit / surgit sans bruit / et dans le bleu de sa lessive / l’astre à Miró / l’étoile tardive / luit... ” (“C’è uno specchio nel nome di Miró / talvolta in questo specchio un universo di vigne d’uva e di vino / Macchia solare / giallo d’uovo precolombiano / l’uccello del tuono tuba in lontananza / Ebbro già da mezzogiorno / trascinando con sé la coltre del mattino / il sole nero frana nel sotterraneo della notte / Penombra grigia e ombra deportata / rosso fragore di verde spezzato / La lavandaia vedova, come chiamano la notte, / sorge senza rumore / e nel blu del suo bucato / l’astro di Miró / la stella tardiva / splende”). Lo spirito di tutto il catalogo è ben sintetizzato dall’intraducibile gioco di parole di Queneau: “nous l’adMIROns”. (m.t.)


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11. Pierre Alechinsky e Jacques Dupin Derrière le Miroir Maeght Editeur, n. 193-194 Paris 1971 mm 380x280 con 3 litografie a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 145

Nell’anno di pubblicazione del suo celebre manoscritto, Le lézard aux plumes d’or, corredato di illustrazioni litografiche, Miró sigla la terzultima collaborazione con “Derrière le Miroir”. Il doppio numero di ottobre e novembre della rivista esce questa volta a corredo di due esposizioni personali dell’artista allestite da Maeght e dedicate alle sue opere su carta. Utilizzato ormai tradizionalmente come veicolo delle rassegne in corso, il periodico, introdotto dal saggio Ad Miró di Pierre Alechinsky, riporta infatti il solito catalogo delle opere in galleria; centodue pezzi in tutto, fra gouache, acquerelli e inchiostri su carta (numerati dal n. 51 al n. 102). Opere datate agli anni Sessanta e Settanta, documentate in parte da una scelta di fotografie in calce al volume. Le litografie originali prodotte dal maestro per tale edizione furono invece solo tre, di cui una per la copertina, fronte e retro, una doppia pagina centrale e una pagina singola. Realizzate nel puro stile anni Settanta, quello tipico della tarda maturità del maestro catalano, le immagini si distinguono per i grandi campi cromatici arginati da profondi segni neri, da linee grasse che congiungendosi fra loro danno vita a personaggi fantastici galleggianti in un formicolio di punti e tracce sottili nello spazio e dotati di occhi enormi e sgranati, come quello che campeggia nel bianco della quarta di copertina e che sembra prefigurare la feroce Testa del 1974, capolavoro della Fundació di Barcellona. Ciò che tuttavia rende prezioso questo numero monografico di “Derrière le Miroir” è il progetto globale dell’impaginato che, accanto alle litografie originali di Miró tirate da Maeght, vede scorrere una sequenza di illustrazioni litografiche disegnate dall’autore, avvicendate alle poesie di Jacques Dupin riunite sotto il titolo Couleurs à L’improviste, a loro volta ispirate alle composizioni dell’artista e consacrate ai suoi colori vitali. A cominciare naturalmente dal bianco. A fronte di una pagina totalmente bianca, percorsa da un solo minuscolo segno nero, sottile come una goccia di pioggia, Dupin esordiva: “Un trait seul et l’espace blanc / quand les couleurs du spectre ont tournoyé si vite / il ne reste dans le rectangle de la fenêtre / que le trait solitaire, le signe nu / contre un ciel de neige, /

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l’inscription verticale / qui retentit sous la mer et nous lance / l’avertissement que la fête, invisible, a commencé… / Le couteau du sacrificateur / dans le tremblant espace vide / appelle une multitude d’oiseaux. / Pour Miró toute ombre est blanche” (Un’unica linea e lo spazio bianco / quando i colori dello spettro solare girano vorticosamente / resta sul rettangolo della finestra / una traccia solitaria, un segno nudo contro un cielo di neve / il segno verticale / che risuona sotto il mare e ci annuncia che la festa, invisibile, è cominciata… / La lama del sacrificatore / nel tremore dello spazio vuoto / chiama una moltitudine di uccelli. / Per Miró tutte le ombre sono bianche”. Parole cui fanno seguito, oltre a una doppia pagina spettacolare – ancora bianca ma percorsa questa volta da una gran quantità di tratti neri stillati come in un acquazzone o come, per citare Dupin, “una moltitudine di uccelli” – altri versi ora dedicati al colore nero (a latere di una pagina scurissima attraversata dalla scritta “… une / blanche / constellation / disparate”), ora al rosso (con una pagina integralmente rossa segnata da un solo punto nero), e ancora al verde, al blu, al giallo. Stiamo parlando di sperimentazioni altamente raffinate, poetiche e, in un certo senso intellettualistiche, che fra le righe svelano il volto di un epoca in cui l’editoria d’arte viveva momenti particolarmente felici, animata com’era da editori appassionati che si potevano permettere di dare alle stampe pubblicazioni di lusso con pagine apparentemente vuote, percorse da segni impercettibili, che nel caso di Miró rappresentavano il nocciolo della sua ricerca estetica come aveva lui stesso, a suo tempo, chiarito. “Nei miei quadri, del resto – scrisse nello storico saggio Lavoro come un giardiniere del 1959 – vi sono minuscole forme in grandi spazi vuoti. Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto quello che è spoglio mi ha sempre profondamente impressionato”. Ragionando proprio su tale senso del vuoto così presente nella poetica di Miró, il critico francese Michel Tapié annotò “Lo spazio e il segno (o il vuoto come assenza di segno) determinano l’opera di Miró, ma poiché in lui il segno è, esteticamente, elemento di spazio in quanto “insieme”, l’intera sua creazione è invenzione di spazi”. (c.g.)


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12. Joan Miró Le lézard aux plumes d’or Louis Broder, Paris 1971 mm 360x500 con 15 litografie a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 148

Nel 1971 escono Le lézard aux plumes d’or, ovvero “La lucertola con le piume d’oro”, edito da Louis Broder, e Ubu aux Baléares, pubblicato da Tériade, improbabile seguito dell’Ubu roi, il capolavoro di Afred Jarry. Entrambi i volumi sono interamente realizzati, testo e immagini, da Miró, che dopo avere illu-

strato opere di Tristan Tzara, Paul Eluard, Jacques Prévert e di altri grandi poeti suoi contemporanei, diventa autore dei testi dei propri libri d’artista. In Le lézard aux plumes d’or l’unità tra testo e immagini si fa totale, in quello che può essere definito un perfetto esempio di libro di dialogo. Scompaiono i caratteri tipografici e le po-

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esie di Miró, di gusto esplicitamente surrealista, sono scritte a mano, stampate con la tecnica della litografia, come le immagini e la copertina. Anche le pagine scritte hanno un fortissimo sapore grafico, le parole si dispongono liberamente nella pagina, seguono percorsi imprevedibili. La calligrafia di Miró si colloca a metà strada tra la scrittura automatica di invenzione surrealista e quella di un bambino. I suoi componimenti sono inaspettate associazioni verbali come: “La scollatura socchiusa di una giovane ragazza fa fiorire i papaveri sull’oceano”, “Un garofano rosso risplende sulla sommità di un ombrello portato da un nasello con la coda di pappagallo coricato sulla neve rosa” oppure “Marciapiede. Una ballerina nuda dalla chioma rossa scaccia dei pesci viola nell’azzurro del dolore. Questa è la vita, vecchio mio”. Nelle ultime pagine del libro, accanto alle illustrazioni, Miró arriva a inventare una finta e incomprensibile scrittura che si fa a sua volta disegno. Il volume ha avuto una gestazione molto lunga, durata circa un decennio, e le quindici litografie, stampate dall’abile Fernand Mourlot, hanno richiesto un lavoro lungo e tecnicamente complesso. Le tavole del libro vennero esposte nel 1971 nella galleria di Heinz Berggruen, al numero 70 di rue de l’Université, nel settimo arrondissement di Parigi. Era la terza mostra, dopo quelle di Klee e Picasso, nei nuovi locali della sua galleria. Il catalogo, il cinquantesimo pubblicato da Berggruen, presenta come copertina una litografia originale di Miró. Per pubblicizzare l’esposizione l’artista realizzò anche un’affiche. Vale la pena riportare una parte dell’introduzione scritta dallo stesso Berggruen: “È l’occasione di accogliere tre amici di lunga data: Miró l’artista, Louis Broder l’editore, Fernand Mourlot lo stampatore. Dopo A tout Epreuve del 1958 e Constellations del 1959, ecco il terzo libro importante di Miró che presentiamo per la prima volta al pubblico. È un libro che Miró ha concepito una quindicina di anni fa e di cui ha cominciato la realizzazione, nel 1963, nell’atelier di Mourlot. Le litografie a colori hanno richiesto dai dodici ai quattordici passaggi. Non direi che è un libro di lusso, termine che giustamente Broder detesta, ma un grande libro, di una perfezione tecnica assoluta e nel quale scopriamo la scrittura di Miró poeta”. (m.t.)


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13. Jean Marcenac Pour Paul Eluard Editions Cercle d’Art, Paris 1973 mm 670x510 con 1 acquaforte e acquatinta a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 171

In un omaggio a Paul Eluard non poteva mancare un intervento di Miró, amico di sempre. I due si conobbero nel 1924, quando l’artista venne introdotto da André Masson nella cerchia dei surrealisti. Eluard, che nella sua collezione arrivò ad avere una decina di quadri di Miró, tra cui Le cri (1923), Tête de fumeur (1925), Figure (1935) e Hommage à Nusch, nel 1926 gli dedicò la poesia Joan Miró, pubblicata in Capitale de la douleur, e nel 1937 scrisse il testo Naissance de Miró, apparso nella rivista “Cahiers d’art”. Miró, dal canto suo, donò una piccola acquaforte per Solidarité, scritto da Eluard nel 1938, e un’acquatinta a colori per Un poème dans chaque livre, del 1956, impreziosito anche da opere di Picasso, Braque, Chagall, Léger, Giacometti, Arp, Ernst e altri. Dalla collaborazione tra Miró ed Eluard, ma sarebbe meglio dire dal loro comune sentire poetico, nacque uno dei libri d’artista più belli del Novecento, A toute épreuve, che, insieme a Parler Seul (si veda la scheda n. 4), è il capolavoro dell’artista catalano nel campo dell’illustrazione. Demiurgo di questa operazione fu l’editore svizzero Gérald Cramer, che nel 1947 regalò a Miró una copia della prima edizione dei poemi lirici che Eluard aveva scritto ispirandosi alla Catalogna e alla visita fatta a Dalí nel 1930. Nessun’altra raccolta poetica poteva essere più vicina alle corde dell’artista, che accettò con entusiasmo e scelse la tecnica della xilografia a colori, per lui inconsueta. Come in Parler Seul, i segni larghi, caldi e coloratissimi di Miró entrano nella pagina scritta e si sovrappongono al testo, dando vita a un vero e proprio libro di dialogo. Il volume ebbe una gestazione lenta, durata circa dieci anni, e uscì solo nel 1958. Miró si prese tutto il tempo necessario poiché, come scrisse a Cramer: “Un libro deve essere fatto con l’esattezza e la precisione di uno strumento d’orologeria” (lettera del 2 ottobre 1949, pubblicata in Eluard et ses amis peintres, catalogo della mostra al Centre Pompidou di Parigi a cura di Annick Lionel-Maria, Parigi 1982, p. 154).

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Il grande foglio a colori dedicato alla memoria dell’amico poeta, molto complesso dal punto di vista della tecnica d’esecuzione, è stato inciso all’acquaforte e all’acquatinta ed è stato stampato con matrici di differenti dimensioni. Oltre alla notevole incisione di Miró, il volume, di dimensioni imponenti, contiene litografie di André Beaudin, Hans Erni, Edouard Pignon, Marc Saint-Saëns e Gérard Vulliamy. (m.t.)


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14. Autori anonimi catalani Lapidari Maeght Editeur, Barcelona 1981 mm 360x500 con 12 acqueforti e acquetinte in nero e 12 acquetinte in nero Courtesy Librairie les Arcades, Paris Bibliografia: Cramer 1989, n. 251

I lapidari sono testi che illustrano le proprietà magiche, taumaturgiche e soprannaturali delle pietre preziose. I primi esempi risalgono alla tarda epoca ellenistica e si incontrano fino al Rinascimento. Conobbero una particolare fortuna nel Medioevo ma, a differenza degli erbari e dei bestiari, raramente erano illustrati con miniature. L’argomento non veniva ritenuto idoneo a essere raffigurato e le poche immagini che esistono non descrivono le pietre ma, di solito, i procedimenti di lavorazione. Miró, invece, raccolse la sfida e scelse di confrontarsi con una tradizione antica, rinnovandola in maniera originale e assolutamente personale. È nato così un raffinato libro d’artista, tirato in centoquarantacinque esemplari, con caratteri tipografici e incisioni eseguite all’acquaforte e all’acquatinta. Il volume è stato concepito dall’artista in stretta collaborazione con il poeta catalano Pere Gimferrer, autore nel 1978 di una grande monografia, Miró, colpir sense nafrar, pubblicata a Barcellona dalle Ediciones Polígrafa e a Parigi dalle Editions Hier et Demain con il significativo titolo Miró, catalan universel. Gimferrer si occupò di scegliere, ordinare e montare i frammenti tratti da anonimi lapidari catalani del XV secolo. La raccolta da cui sono tratti gli antichi scritti è The Dolphin Book, a cura di Joan Gil (Oxford 1977). Miró, oltre a eseguire le incisioni originali nel suo atelier di Palma di Maiorca, curò la costruzione plastica del volume scegliendo il formato e il carattere delle lettere, la sequenza delle opere e i testi ai quali dovevano essere abbinate. Lapidari è una creazione tutta catalana, stampata a Barcellona benché pubblicata dalle edizioni Maeght. Proprio il 5 settembre del 1981, poche settimane prima dell’uscita del libro, Aimé Maeght, amico, mercante ed editore di sempre, scomparve. Il libro, che porta come sottotitolo Llibre de les proprietats de les pedres, è introdotto da una poesia di Gimferrer, scritta per l’occasione e dedicata alla rabdomantica sensibilità di Miró, capace di conferire, attraverso la sua arte, nuovi significati alle pietre preziose descritte nel testo. Ad ogni capitolo corrisponde una doppia pagina di illustrazioni, che si susseguono

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con straordinaria coerenza stilistica. La pagina di sinistra presenta sempre un’acquatinta in nero, con segni profondi e larghi che paiono misteriosi e indecifrabili geroglifici, forse simboli appartenenti a una lingua perduta o mai esistita, oppure, più semplicemente, elementi tipici del vocabolario figurativo di Miró. La pagina di destra, invece, presenta un’incisione a colori, con segni neri più sottili, fortemente grafici e lineari, fatti all’acquaforte, sui quali si dispongono macchie colorate (realizzate all’acquatinta) morbide e delicate, che variano dal giallo al viola, dal rosso al marrone, dal fuxia all’azzurro. Lo stile dell’artista, come sempre, è inconfondibile e immediatamente riconoscibile, eppure si discosta sensibilmente dal resto della sua produzione degli ultimi anni, di cui sono tipici esempi le litografie per l’Album 21 (1978) e per La mélodie acide (1980) o le incisioni per Passage de l’Egyptienne (uscito postumo nel 1985). Dopo il 1981 è apparsa qualche altra pubblicazione accompagnata da opere grafiche, ma Lapidari può essere considerata l’ultima grande architettura in forma di libro ideata da Miró e, di fatto, il testamento spirituale in questo singolare ambito del suo lavoro. (m.t.)


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15. Miquel Martí i Pol Llibre dels sis sentits Sala Gaspar, Barcelona 1981 mm 920x730 con 6 acqueforti e acquetinte a colori Bibliografia: Cramer 1989, n. 252

Insieme ai Lapidari, pubblicato nello stesso anno, il Llibre dels sis sentits, ovvero il “libro dei sei sensi”, completa il “canto catalano” di Miró, che dedica alla sua terra d’origine le ultime opere. L’editore è Sala Gaspar, storica galleria di Barcellona che si è sempre occupata dell’opera grafica dell’artista, e l’autore Miquel Martí i Pol, uno tra i più grandi poeti in lingua catalana del ventesimo secolo. Se con Lapidari Miró recuperava l’antica tradizione letteraria della Catalogna, con questo libro torna a illustrare la poesia contemporanea, consuetudine seguita per tutta la vita, che lo ha portato a creare alcuni dei suoi più grandi capolavori. Ai sei poemi di Martí i Pol corrispondono sei incisioni di notevole qualità, in cui l’artista mostra tutta la sua perizia. Il formato è monumentale per un libro d’artista, quasi un metro di altezza per oltre settanta centimetri di lato, e conferisce maestosità all’opera. Ogni incisione presenta differenti tonalità cromatiche, che sembrano corrispondere a diversi stati d’animo. Per ciascun foglio, inciso all’acquaforte e all’acquatinta, vengono utilizzate lastre di diverse dimensioni che modulano plasticamente la carta e conferiscono impressioni profonde. A quasi novant’anni Miró continua a dedicarsi alla grafica con impressionante energia e straordinaria potenza espressiva. (m.t.)

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Joan Miró Percorso biografico a cura di Michele Tavola

1893 Joan Miró i Ferrá nasce il 20 aprile a Barcellona in Passatge del Crèdit, poco lontano dalla Plaza Real, da Miquel Miró i Adzerias, orafo e orologiaio proprietario del laboratorio El Acuarium, e da Dolores Ferrá i Oromi. Entrambi i nonni sono artigiani: quello paterno, da cui l’artista ha ereditato il nome, è fabbro a Cornudella, nella provincia di Tarragona, mentre quello materno, che Miró non ha mai conosciuto, è ebanista a Palma di Maiorca. 1897 Nasce Dolores, sua unica sorella 1900 Viene iscritto alla scuola elementare di Carrer del Regomir, a Barcellona, ma ai corsi normali preferisce le lezioni facoltative di disegno, tenute dal professor Civil. 1901 Esegue i primi disegni, raffiguranti fiori e animali, conservati alla Fundació Joan Miró di Barcellona. 1906 Realizza il suo primo album di disegni, anch’esso conservato alla Fundació Joan Miró di Barcellona. Si tratta, per lo più, di paesaggi eseguiti dal vero a Cornudella e a Maiorca, durante le vacanze trascorse presso i nonni. 1907-1909 Costretto dal padre, si iscrive alla scuola commerciale di Barcellona. Contemporaneamente frequenta l’Escuela de La Llotja, l’Accademia di Belle Arti dove, per un breve periodo, aveva studiato anche Pablo Picasso. Tra i suoi primi maestri ricoprono un ruolo di rilievo Modest Urgell i Inglada, pittore paesaggista, e Josep Pascó Merisa, insegnante di arti decorative, che gli fa conoscere l’arte moderna e l’artigianato popolare.

1910 I contrasti con il padre si acuiscono: terminati gli studi, inizia controvoglia a lavorare come contabile presso la ditta Dalmau i Oliveres di Barcellona, specializzata in prodotti di drogheria. Per un breve periodo continua a frequentare le lezioni di Josep Pascó, finché è costretto a lasciarle perché incompatibili con gli orari di lavoro. Partecipa, per la prima volta, a una mostra di opere antiche e moderne patrocinata dalla municipalità di Barcellona. La famiglia Miró acquista una casa di campagna a Montroig. 1911 Cade in una forte depressione, dovuta al fatto che non può dedicarsi all’arte, e successivamente contrae la febbre tifoidea. Lascia definitivamente il lavoro di contabile e si ritira nella casa di Montroig per la convalescenza. Il padre si rassegna al fatto che Joan non sarà mai un uomo d’affari. Un suo paesaggio viene esposto alla VI Esposizione Internazionale d’Arte di Barcellona. 1912 Si iscrive alla scuola d’arte diretta da Francesc Galí, che frequenterà fino al 1915. Galí gli insegna a dipingere con gli occhi bendati, toccando gli oggetti che deve disegnare, lo fa avvicinare alla poesia e alla musica e gli fa scoprire l’opera di Van Gogh, Cézanne, Gauguin, Matisse e Picasso. Visita la prima mostra di pittura cubista allestita in Spagna, presso la galleria Dalmau di Barcellona, dove vede quadri di Léger, Gris, Metzinger, Gleizes e il Nudo che scende le scale di Duchamp. Conosce il ceramista Josep Llorens Artigas, con il quale collaborerà assiduamente, i pittori Enric Cristòfol Ricart e Francesc Ràfols, e Joan Prats che diventerà un industriale di successo e suo fedele collezionista, al quale rimarrà legato per tutta la vita. 1913 Inizia a seguire i corsi del Circolo Artistico San Lluc, che frequenterà fino al 1918. Qui si esercita a dipingere i modelli dal vero e stringe amicizia con Antoni Gaudí. Frequenta il circo, che sarà sempre una sua grande passione, e i caffé concerto insieme al critico d’arte Sebastià Gasch. 1914 Insieme a Enric Cristòfol Ricart affitta uno studio nei pressi della cattedrale. A questo periodo risalgono i primi dipinti a olio, tra cui Il contadino. Le sue opere risentono dell’influenza dei fauves. 1915 Fino al 1917, per tre mesi all’anno, presta il servizio militare. 1916 Trasferisce lo studio in calle Sant Pere Més Baix. Continuerà a condividere l’atelier con Ricart fino al 1918. Conosce il mercan-

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te Josep Dalmau e inizia a frequentare la sua galleria che, durante la guerra, diventa luogo di ritrovo per gli artisti. 1917 Probabilmente grazie a Dalmau stringe amicizia con Francis Picabia, Albert Gleizes, Max Jacob e Maurice Raynal. Rimane profondamente colpito dalla mostra di arte francese organizzata da Ambroise Vollard a Barcellona. Dipinge il suo primo autoritratto. Inizia a leggere con affezione “Nord-Sud”, la rivista di Pierre Reverdy, alla quale renderà omaggio utilizzando il nome come titolo di un suo dipinto. 1918 Nella galleria Dalmau, dal 16 febbraio al 3 marzo, si tiene la sua prima personale, dove vengono esposti dipinti e disegni eseguiti tra il 1914 e il 1917. La mostra si rivela un totale fallimento sia dal punto di vista delle vendite che da quello della critica, che stronca unanimemente il lavoro di Miró. Fonda l’Agrupació Courbet (Gruppo Courbet) insieme a Ricart, Ràfols, Artigas e altri allievi della scuola di Galí. Tra luglio e dicembre si ritira a Montroig a dipingere. 1919 Dopo qualche mostra collettiva l’Agrupació Courbet si scioglie. 1920 Primo viaggio a Parigi dove conosce Picasso che gli dà il suo appoggio e con il quale instaura un duraturo rapporto di amicizia. Viene sconvolto dall’impatto con la città, al punto di non riuscire più a dipingere per alcuni mesi. Conosce i poeti Tristan Tzara e Pierre Reverdy. Presenta due dipinti al Salon d’Automne di Parigi e tre alla mostra organizzata dalla galleria Dalmau di Barcellona, con opere di Picasso, Severini e Signac. 1921 Torna a Parigi e si installa nello studio del pittore catalano Pablo Gargallo, al 45 di rue Blomet, a Montmartre. Il suo atelier si trova proprio accanto a quello di André Masson, che gli viene presentato da Max Jacob. Dalmau organizza la sua prima personale parigina alla Galerie La Licorne, con catalogo firmato da Raynal. Anche questa volta non viene venduto nemmeno un quadro, ma la critica si accorge del suo lavoro e ne parla positivamente. 1922 Porta a termine il dipinto La fattoria, iniziato nel 1921, che conclude la serie di paesaggi di gusto “dettaglista”, eseguiti negli anni precedenti durante i soggiorni a Montroig, e contiene già in nuce gli elementi fondamentali della sua poetica. Il mercante Léonce Rosenberg, in visita nel suo studio, vede il quadro e lo prende con sé, esponendolo prima nella sua galleria e poi al Salon d’Automne. Lo studio di rue Blomet diventa luogo di ritrovo di artisti e intellettuali, tra cui Antonin Artaud, Michel Leiris e Roland Tual.

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1923 Ernest Hemingway compra La fattoria per regalarlo alla moglie che, successivamente, lo donerà alla National Gallery di Washington. In estate, a Montroig, inizia a dipingere Terra arata, Paesaggio catalano (il cacciatore) e Pastorale (portati a termine l’anno seguente) che segnano un’evoluzione decisiva nel suo stile, in chiave apertamente surrealista. 1924 Grazie a Masson viene introdotto nel gruppo surrealista: conosce Paul Eluard, Louis Aragon e André Breton, che in questo anno pubblica il Manifesto del Surrealismo. Aderisce al movimento e inizia a frequentarne le riunioni. 1925 Porta a termine Il carnevale di Arlecchino, iniziato l’anno precedente, che verrà accolto dal gruppo di Breton come un capolavoro surrealista. A giugno espone alla Galerie Pierre, al 13 di rue Bonaparte, dopo avere firmato un contratto con Jacques Viot. La sua seconda mostra parigina è un successo di pubblico e, questa volta, una parte dei dipinti viene venduta. Breton acquista due quadri, tra cui Paesaggio catalano (il cacciatore). La prefazione del catalogo è firmata dal grande poeta surrealista Benjamin Péret. In autunno partecipa alla mostra La peinture surréaliste, anche questa tenutasi alla Galerie Pierre, presentando Il carnevale di Arlecchino e Dialogo di insetti. All’esposizione prendono parte anche Giorgio de Chirico, Jean Arp, Max Ernst, Paul Klee, Man Ray, André Masson e Picasso. Il catalogo viene scritto da Breton e Robert Desnos. Visita una personale di Klee alla Galerie Vavin-Raspail, che lo impressiona profondamente. È il periodo dei Dipinti onirici. 1926 Miró e Max Ernst, grazie a Picasso, vengono incaricati da Sergej Diaghilev di realizzare la scenografia del Romeo e Giulietta messo in scena dalla compagnia dei Balletti Russi. La coreografia viene curata da Bronislava Nijinska su musiche di Constant Lambert, mentre un giovane George Balanchine crea l’entr’acte: in questa versione surreale l’aviatore Romeo e la ballerina Giulietta, alla fine della recita, fuggono in aeroplano. Il 4 maggio Miró e Ernst si recano a Montecarlo per assistere alla prima, che riscuote un grande successo. A Parigi, in occasione dell’inaugurazione del Théâtre Sarah Bernhardt, gli altri surrealisti, guidati da Breton, inscenano una manifestazione di protesta per accusare i due artisti di avere partecipato a uno spettacolo borghese e capitalista. Sarà Paul Eluard a difenderli. In giugno Jacques Viot scompare nel nulla, lasciando numerosi debiti e i suoi artisti, tra cui Miró, in difficoltà economiche. Da questo momento Pierre Loeb diventa il suo mercante. Il 9 luglio muore suo padre Miquel. Espone per la prima volta a New York, al Brooklyn Museum, partecipando a una collettiva curata da Marcel Duchamp e Katherine Dreier. È il periodo dei Paesaggi immaginari.


1927 Si trasferisce al 22 di rue Tourlaque, nella Cité des Fusains, sempre a Montmartre, dove vivono anche Ernst, Arp, Eluard e altri illustri esponenti del mondo dell’arte. Si reca a Figueras a visitare Dalí. Prima che Miró inizi la sua prolifica produzione di libri d’artista, lo scrittore catalano Josep Vincenç Foix gli chiede dei disegni per illustrare il suo libro Gertrudis. 1928 Esegue le prime peintures-objets, serie di collage intitolata Danzatrici spagnole. In seguito al viaggio in Olanda e in Belgio inizia a dipingere gli Interni olandesi. Conosce Alexander Calder e Alberto Giacometti, con i quali stringe un’affettuosa amicizia destinata a durare. Si reca per la prima volta a Madrid, dove visita il Museo del Prado. Il suo mercante Pierre Loeb gli organizza una personale presso la galleria di Georges Bernheim, a Parigi. Viene pubblicato Il était une petite pie, il suo primo libro d’artista, illustrato con otto pochoir. 1929 Il 12 ottobre, a Palma di Maiorca, sposa Pilar Juncosa, con la quale si trasferisce al 3 di rue François Mouthon, a Parigi. Inizia la serie dei Ritratti immaginari. Introduce nel gruppo dei surrealisti Salvador Dalí, giunto nella capitale francese. Partecipa a una collettiva allestita al giardino botanico di Madrid, dedicata agli artisti spagnoli che vivono a Parigi. 1930 Il 19 luglio, a Barcellona, nasce Maria Dolors, sua unica figlia. Esegue le prime sculture, assemblando materiali di diverso tipo. A Parigi la Galerie Pierre, nel corso dell’anno, gli dedica due mostre, una delle quali interamente riservata ai collages. In autunno tiene la prima personale a New York, alla Valentine Gallery. Conosce Pierre Matisse, con il quale collaborerà assiduamente. Le sue prime quattro litografie vengono pubblicate in L’arbre des voyageurs di Tristan Tzara. Allo Studio 28 di Parigi viene proiettato L’age d’or di Dalí e Buñuel, dai contenuti apertamente anticlericali: alcuni esponenti della Lega Antiebraica e della Lega dei Patrioti irrompono nel cinema e danneggiano le opere che Miró, Dalí, Arp, Ernst, Man Ray e Tanguy avevano esposto in occasione della prima.

Georges Bizet, prodotto dai Balletti Russi. Nella galleria di Pierre Matisse a New York, dove d’ora in poi esporrà regolarmente, si tiene una sua personale in cui vengono presentate opere su carta. Joan Prats, amico di antica data, gli presenta l’architetto Josep Lluís Sert. 1933 Lavora a diciotto collage, dai quali deriva la serie dei Dipinti da un collage; alcuni di questi quadri vengono esposti alla Galerie Bernheim di Parigi. Espone anche a Londra, New York e a due collettive parigine insieme al gruppo dei surrealisti. Per Enfances di Georges Hugnet, edito dai “Cahiers d’Art”, esegue tre acqueforti che si annoverano tra le sue prime opere calcografiche. 1934 In questo periodo conosce Kandinsky, di cui diventa amico. Inizia l’epoca dei Dipinti selvaggi che risponde a una forte angoscia interiore. Firma un contratto con Pierre Matisse, che diventa il suo mercante negli Stati Uniti. I “Cahiers d’Art” gli dedicano un numero monografico. Alcune sue opere sono presenti alla mostra dedicata alla scultura surrealista dalla Kunsthaus di Zurigo e all’esposizione allestita per celebrare il quinto anniversario del M.O.M.A. di New York. Un suo pochoir viene utilizzato come copertina della rivista “D’Ací d’allà”, edita a Barcellona. 1935 Sperimenta la pittura su cellotex, materiale industriale che nella seconda metà del secolo diventerà uno dei supporti preferiti di Alberto Burri. Negli Stati Uniti, oltre che da Pierre Matisse, vengono organizzate sue personali al Museum of Art di San Francisco, alla Stendhal Gallery di Los Angeles e a Hollywood. Con i surrealisti espone a Copenaghen, a Berna e a Tenerife.

1931 All’inizio dell’anno alcune opere vengono presentate all’Arts Club di Chicago. La Galerie Pierre di Parigi dedica un’esposizione ai suoi dipinti-oggetto. In occasione della mostra conosce il ballerino e coreografo Léonide Massine.

1936 Esegue una serie di ventisette dipinti su masonite. Le sue opere sono esposte in mostre personali e collettive allestite in tutto il mondo. Si devono ricordare Cubism and Abstract Art e Fantastic Art, Dada, Surrealism, entrambe curate da Alfred Barr Jr. al M.O.M.A. di New York, e l’International Surrealist Exhibition di Londra. In luglio scoppia la guerra civile spagnola e la famiglia Miró si trasferisce nuovamente a Parigi, dove rimarrà fino al 1940. Nei primi tempi, essendo sprovvisto di uno studio dove lavorare, si dedica a comporre poesie di stampo surrealista.

1932 Si trasferisce a Barcellona, nella casa di famiglia in Passatge del Crèdit, dove rimarrà fino al 1936, pur recandosi con una certa regolarità a Parigi. Massine gli commissiona le scenografie e i costumi per il balletto Jeux d’enfants, su musica di

1937 Si installa al 98 di boulevard Auguste Blanqui, nei pressi di place d’Italie. Dipinge la celebre Natura morta con scarpa vecchia. Realizza il grande dipinto murale per il padiglione della Repubblica Spagnola, progettato da Sert, all’Esposizione

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Universale di Parigi. Al termine dell’esposizione l’opera, raffigurante Il falciatore (contadino catalano in rivolta), viene purtroppo smantellata. Contestualmente esegue il pochoir intitolato Aidez l’Espagne, in favore della resistenza antifranchista. Partecipa alla mostra surrealista tenutasi al Salon Nippon di Tokyo e all’esposizione dedicata all’arte indipendente del Jeu de Paume di Parigi. Balthus esegue un doppio ritratto di Miró con sua figlia Dolors. 1938 Sviluppa il tema dell’autoritratto. Lavora all’incisione nell’Atelier 17 di Stanley William Hayter, con il quale collaborerà assiduamente. Partecipa all’Exposition Internationale du Surréalisme, curata da Breton e Eluard alla Galerie Beaux-Arts di Parigi. Trascorre le vacanze estive in Normandia, nella casa dell’architetto Paul Nelson, suo vicino di casa a Parigi: per sdebitarsi esegue un dipinto murale nella sala da pranzo. 1939 La situazione in Spagna si fa drammatica, le milizie di Franco occupano Barcellona e il suo amico Joan Prats viene incarcerato. D’estate torna in Normandia dove, in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale, si trattiene fino al maggio 1940. Conosce Georges Braque, che ha trovato rifugio nella zona come altri artisti. 1940 In seguito ai bombardamenti tedeschi in Normandia decide di lasciare la Francia e si stabilisce a Palma di Maiorca, nonostante la dittatura franchista che gli dà forti preoccupazioni. Esegue la serie di ventitré dipinti intitolata Costellazioni, iniziata in Francia e terminata in Spagna. Sue opere sono presenti all’esposizione internazionale surrealista organizzata da Breton a Città del Messico. Viene pubblicata la sua prima monografia in lingua giapponese. 1941 Si tiene la prima grande retrospettiva al M.O.M.A. di New York, che presenta tutte le tecniche adottate e le diverse tipologie di opere create. La mostra e il catalogo sono curati da James Johnson Sweeney, storico dell’arte americano che Miró aveva conosciuto nel 1927 a Parigi. È il momento della sua consacrazione negli Stati Uniti: la sua opera eserciterà una profonda influenza sui principali esponenti dell’espressionismo astratto quali Pollock, Gorky, Motherwell, Rothko e Barnett Newman. 1942 Torna a Bercellona, nella sua casa natale. Esegue principalmente opere su carta, per lo più ispirate al tema Donne, uccelli, stelle. Si tengono mostre all’Avana e a New York, presso Pierre Matisse.

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1943 Espone all’Arts Club di Chicago e alla galleria Jeanne Boucher di Parigi. Continua a lavorare quasi esclusivamente su carta. 1944 Il 27 maggio muore la madre. Riprende a dipingere, affrontando gli stessi soggetti realizzati su carta negli anni precedenti. Inizia a eseguire opere in ceramica insieme al suo vecchio amico Josep Llorens Artigas, con il quale continuerà a lavorare anche negli anni seguenti. Joan Prats si occupa di far pubblicare la serie di cinquanta litografie intitolate Barcelona. Partecipa all’esposizione Art in progress, allestita al M.O.M.A. di New York. 1945 All’inizio dell’anno Pierre Matisse organizza una sua mostra con la serie delle Costellazioni, importate di nascosto negli Stati Uniti, rompendo di fatto l’isolamento nel quale Miró era rimasto durante la guerra. Il testo in catalogo viene scritto da Breton. I nuovi lavori impressionano un’intera generazione di astrattisti americani. Si tengono due personali a Parigi. Dipinge una serie di tele di grande formato. 1946 Realizza le prime sculture in bronzo, presso la fonderia Gimeno di Barcellona. Espone all’Institute of Contemporary Art di Boston insieme a Picasso, Gris e Dalí. 1947 Si reca per la prima volta negli Stati Uniti, dove rimane per ben nove mesi. A New York ritrova Hayter, insieme al quale si dedica alle tecniche dell’incisione. Grazie a Hayter conosce Pollock. Esegue un dipinto murale per la Gourmet Room del Terrace Plaza Hotel di Cincinnati. A New York ritrova vecchi amici quali Ernst, Calder, Sert e Tanguy. Partecipa alla mostra Le Surréalisme en 1947: Exposition Internationale du surréalisme, organizzata presso la Galerie Maeght da Breton e Duchamp. 1948 Conosce Aimé Maeght, che diventa il suo nuovo mercante a Parigi e sarà l’editore di buona parte delle opere grafiche e dei libri d’artista. Maeght, nella sua galleria, gli dedica una grande retrospettiva. In catalogo testi di Tzara, Eluard e Prats. Conosce Antoni Tàpies, che allora aveva solo venticinque anni. Il dipinto murale eseguito per il Terrace Plaza Hotel di Cincinnati viene presentato al M.O.M.A. di New York. Conosce Fernand Mourlot, che da questo momento diventa lo stampatore delle sue litografie, mentre per le incisioni su rame si affida prevalentemente ai torchi di Roger Lacourière, che aveva già conosciuto prima della guerra. Maeght pubblica l’Album 13, contenente tredici litografie. 1949 Mostra alla galleria Layetanas di Barcellona, dove Miró non


esponeva dal 1918. Retrospettiva alla Kunsthalle di Berna e Pierre Matisse, a New York, nel corso dell’anno gli dedica ben due esposizioni. Bordas pubblica L’Antitête di Tristan Tzara, con otto sue incisioni a colori e otto pochoir. Oltre che sulla grafica, concentra la sua attenzione sulla scultura e sulla ceramica. In pittura si alternano due maniere: una più lenta ed elaborata e un’altra, che negli anni a venire avrà il sopravvento, più veloce, istintiva e gestuale. 1950 Walter Gropius gli commissiona un dipinto murale per la sala da pranzo dell’Harkness Commons, edificio progettato dallo stesso Gropius nell’Università di Harvard, negli Stati Uniti. Espone da Maeght a Parigi e alla galleria Blanche di Stoccolma. Appare Parler seul di Tristan Tzara edito da Maeght, con settantaquattro litografie a colori, forse il suo capolavoro nell’ambito del libro d’artista. 1951 Il dipinto murale viene installato a Harvard, dopo essere stato esposto a Parigi da Maeght. Mostra al Contemporary Arts Museum di Houston insieme a Calder. Espone in Italia: in settembre presso la Galleria del Cavallino di Venezia e in dicembre alla Galleria del Naviglio di Milano. Esegue una serie di sculture che intitola Progetto per un monumento. 1952 Dopo avere visitato una mostra di Pollock, che lo colpisce profondamente, allo Studio Facchetti di Parigi, compie il secondo viaggio negli Stati Uniti. Due mostre a New York: presso la Kootz Gallery e, come di consueto, da Pierre Matisse. 1953 Espone a Parigi da Maeght e a New York da Pierre Matisse. 1954 Alla XXVII Biennale di Venezia gli viene conferito il Gran Premio Internazionale per la Grafica. Grande retrospettiva in Germania, al Kaiser Wilhelm Museum di Krefeld. A Gallifa, nella provincia di Barcellona, riprende la collaborazione con Artigas, che si protrarrà fino al 1956: in questi anni eseguiranno oltre duecento opere in ceramica. 1955 Partecipa alla prima edizione di Documenta a Kassel, dove vengono presentate cinque opere. Importante mostra di grafica alla Sala Gaspar di Barcellona. Esegue una serie di dipinti su cartone. Nasce il suo primo nipote, David Fernández. 1956 Si trasferisce definitivamente a Son Abrines, nei pressi di Palma di Maiorca, dove Sert ha progettato per lui una grande casa-atelier. Abbandona la pittura, che riprenderà solo nel 1959, per dedicarsi prevalentemente alla grafica e alla ceramica. Di-

strugge parte dei dipinti realizzati a Parigi. Grande retrospettiva itinerante che tocca il Palasi des Beaux-Arts di Bruxelles, lo Stedelijk Museum di Amsterdam e la Kunsthalle di Basilea. Da Maeght a Parigi e da Pierre Matisse a New York vengono esposte le ceramiche create con Artigas. 1957 Insieme ad Artigas visita le pitture rupestri delle grotte di Altamira al fine di trarre ispirazione per le decorazioni murali che gli sono state commissionate dall’Unesco. Esegue le incisioni per La bague d’aurore di René Crevel, libro edito da Louis Broder. Una grande mostra itinerante di opere grafiche viene organizzata in Germania e tocca le città di Krefeld, Berlino, Monaco, Colonia, Hannover e Amburgo. Un’esposizione di litografie viene allestita anche da Sala Gaspar a Barcellona. 1958 Vengono inaugurate le due grandi decorazioni murali in ceramica per il palazzo dell’Unesco, La parete del sole e La parete della luna. Gérald Cramer pubblica un’edizione di A toute épreuve, scritto nel 1930 da Eluard, con ottanta incisioni su legno di Miró: l’opera viene esposta alla Galerie Berggruen di

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Parigi e alla Galerie Cramer di Ginevra. Nasce il secondo nipote, Emil Fernández. 1959 Si reca negli Stati Uniti per ricevere dalle mani del presidente Eisenhower il Guggenheim International Award, premio assegnato per le decorazioni murali del palazzo dell’Unesco. Contestualmente viene organizzata un’altra retrospettiva al M.O.M.A. di New York, successivamente trasferita al County Museum of Art di Los Angeles. Partecipa alla seconda edizione di Documenta a Kassel. Ricomincia a dipingere. 1960 Sostituisce il dipinto murale dell’Università di Harvard, già in cattive condizioni di conservazione, con una decorazione in ceramica eseguita in collaborazione con Artigas, come consuetudine per questo tipo di opere. Partecipa alla mostra allestita alla Galerie Maeght, dedicata a Poètes, peintres et sculpteurs. In questo periodo la sua pittura è influenzata dall’arte informale americana che, alle origini, aveva tratto ispirazione proprio dall’opera di Miró. 1961 Viene pubblicata la fondamentale monografia scritta da Jacques Dupin. Dipinge le tre tele monumentali intitolate Blu I, Blu II, Blu III. Appare l’Album 19, edito da Maeght con una prefazione di Raymond Queneau, costituito da diciannove grandi litografie a colori. 1962 Al Musée National d’Art Moderne di Parigi si tiene una storica retrospettiva: è la prima volta che un importante museo francese gli dedica un simile omaggio. La Sala Gaspar di Barcellona, ancora una volta, presenta un’interessante selezione della sua opera grafica. Esegue una serie di incisioni per tre volumi editi da Maeght: l’Anti-Platon di Yves Bonnefoy, La lumière de la lame di André du Bouchet e Saccades di Jacques Dupin. 1963 Sert, che ha progettato la sede della Fondazione Maeght a Saint-Paul de Vence, gli commissiona tredici sculture monumentali, che andranno a costituire il Labirinto Miró, e una grande decorazione murale in ceramica. Oltre agli appuntamenti fissi da Maeght a Parigi, da Pierre Matisse a New York e alla Sala Gaspar di Barcellona, anche la Galleria del Naviglio di Milano, dopo la mostra del 1954, gli dedica un’altra personale. Il testo autobiografico Je travaille comme un jardinier (“Lavoro come un giardiniere”), scritto nel 1959, viene pubblicato dalla rivista “XXe Siècle”: il volume è corredato da nove litografie originali e una prefazione di Yvon Taillandier. 1964 Il 28 luglio viene inaugurata la Fondazione Maeght: per le scul-

ture Miró ha utilizzato le tecniche più varie (cemento armato, ferro, bronzo e assemblaggio di materiali diversi, dai sassi agli objets trouvés), mentre per il murale ha collaborato con Josep Llorens Artigas e suo figlio, anch’egli ceramista. Sempre insieme agli Artigas realizza una decorazione murale per la facoltà di Economia a San Gallo, in Svizzera. Importante retrospettiva alla Tate Gallery di Londra, successivamente trasferita alla Kunsthaus di Zurigo. Maeght pubblica Flux de l’aimant di René Chair, con diciassette incisioni a colori di Miró. 1965 Si reca nuovamente negli Stati Uniti, a Chicago e a New York, dove Pierre Matisse espone le sue opere su cartone. Anche la Donald Morris Gallery di Detroit gli dedica una personale, con opere su carta. Maeght pubblica Héraclite d’Ephèse, con una serie di incisioni a colori. “Derrière le miroir”, la rivista di Maeght, dedica un numero monografico ai dipinti su cartone di Miró, con testo di Jacques Dupin e tutte le pagine illustrate con litografie originali. 1966 Si reca per la prima volta in Giappone dove, al National Museum of Modern Art, gli viene dedicata una retrospettiva. Conosce Shuzo Takiguchi, che nel 1940 aveva scritto la sua prima monografia in giapponese. Viene profondamente affascinato e influenzato dalla calligrafia giapponese, i cui echi si troveranno nei dipinti degli anni seguenti. Si dedica soprattutto alla scultura in bronzo, con la tecnica della cera perduta, partendo da calchi di objets trouvés. Lavora con fonderie catalane e francesi, ma anche con la Bonvicini di Verona. Il Museum of Art di Philadelphia organizza una grande mostra di opere grafiche. Tériade, uno dei più grandi editori di libri d’artista del Novecento, pubblica l’Ubu Roi di Alfred Jarry, illustrato da tredici litografie a colori di Miró. 1967 Si reca a New York dove, al Solomon R. Gugghenheim Museum viene installato Alice, un grande murale in ceramica. Gli viene assegnato il Carnegie International Prize per la pittura. Le monumentali sculture in bronzo intitolate L’Oiseau solaire e L’Oiseau lunaire, realizzate l’anno prima nella fonderia Susse di Arcueil, vengono esposte da Maeght a Parigi e da Pierre Matisse a New York. 1968 È il suo settantacinquesimo compleanno e le celebrazioni si moltiplicano in tutto il mondo. Una grande cena viene servita in suo onore alla Fondazione Maeght, dove viene allestita anche una retrospettiva. In occasione del suo ultimo viaggio negli Stati Uniti l’Università di Harvard gli conferisce una laurea ad honorem. A Barcellona si tengono un’importante retrospettiva nell’antico Hospital de Santa Creu e una mostra alla Sala Gaspar. Viene pubblicato un omaggio al grande stampa-

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Universale di Osaka. In collaborazione con Josep Royo si dedica ai materiali tessili e dona un arazzo alla Croce Rossa di Tarragona. A Barcellona partecipa alla manifestazione antifranchista in favore di alcuni militanti dell’ETA condannati a morte. Esposizioni in tutto il mondo, tra cui una a Milano, alla Galleria Arte Borgogna, e una mostra di grafica al M.O.M.A. di New York. Maeght e Pierre Matisse espongono i bronzi e le ceramiche. 1971 Vengono pubblicati due tra i più importanti libri d’artista di Miró, per i quali esegue sia le litografie a colori che i componimenti poetici: si tratta di Ubu aux Baléares, edito da Tériade, e di Le lézard aux plumes d’or, edito da Louis Broder. Appare anche un omaggio a Joan Prats con quindici litografie, che vengono esposte a Barcellona, alla Sala Gaspar. Le stampe per Le lézard aux plumes d’or vengono presentate da Berggruen a Parigi. Mostre anche a Minneapolis, Cleveland e Chicago. 1972 Il 27 giugno viene legalmente costituita la Fundació Joan Miró di Barcellona, alla quale Joan Prats, amico di antica data, dà tutto il suo appoggio. Il progetto dell’edificio è affidato a Sert. Miró pretende che, per statuto, la fondazione non si occupi solo di conservare la sua opera ma di incentivare l’arte contemporanea e il lavoro di giovani artisti. La Sala Gaspar di Barcellona presenta la serie Sobreteixims, opere in materiale tessile che Miró ha creato insieme a Josep Royo. La rivista “XXe Siècle” gli dedica un numero monografico, Hommage à Miró. Fernand Mourlot pubblica la cartella Joan Miró Lithographe I, con quattordici stampe a colori e un testo introduttivo di Michel Leiris. Tra le svariate mostre in Europa e negli Stati Uniti deve essere ricordata Joan Miró – Magnetic Fields al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.

1969 Secondo viaggio in Giappone. A Barcellona presso la Scuola di Architettura viene allestita la mostra Miró otro: l’artista dà vita a una performance e dipinge le vetrate dell’edificio, creando un’opera di settanta metri quadrati, distrutta alla fine dell’esposizione. Retrospettiva all’Art Museum di Pasadena e mostre di grafica all’Haus de Kunst di Monaco e alla Galerie Cramer di Ginevra. Maeght pubblica Fissures di Michel Leiris, illustrato da una serie di incisioni a colori di Miró.

1973 Celebrazioni per l’ottantesimo compleanno: mostre al M.O.M.A. di New York, che presenta le opere di Miró conservate nella propria collezione, alla Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence, dove vengono esposte le ceramiche e le sculture, alla Galerie Maeght di Parigi e da Pierre Matisse a New York, con i Sobreteixims, alla Galerie Cramer di Ginevra, che propone Livres illustrés et lithographies, ad Amburgo, dove si possono vedere le opere grafiche. A Palma di Maiorca, nella sede dell’Ordine degli Architetti, viene allestita una rassegna con una selezione di opere giovanili mentre alla Sala Pelaires vengono presentate nove acqueforti fresche di stampa, edite nella Série Mallorca.

1970 In questo periodo si dedica prevalentemente alle opere pubbliche di dimensioni monumentali e ai libri d’artista. Insieme ad Artigas esegue un’enorme decorazione murale in ceramica per l’aeroporto di Barcellona e due pannelli per l’Esposizione

1974 A Parigi, contemporaneamente, al Grand Palais si tiene una vasta retrospettiva e al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris una mostra di grafica. In questo anno vengono pubblicati svariati libri d’artista, tra cui devono essere ricordati Le

tore Roger Lacourière, per il quale vengono donate alcune incisioni da Miró, Picasso, Ernst, Masson, Magnelli e altri.

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courtisan grotesque, di Adrian de Monluc, edito da Iliadz con quindici acqueforti a colori, L’issue dérobée di Jacques Dupin, edito da Maeght con altrettante incisioni a colori, e Les penalités de l’enfer ou les nouvelles-hébrides di Robert Desnos, anche questo edito da Maeght con una ricca serie di coloratissime litografie di grande formato. 1975 Muore Francisco Franco e ha termine la dittatura spagnola, alla quale Miró si era sempre apertamente opposto. La Fundació Miró, che ha sede nel parco del Montjuïc, apre al pubblico con una selezione di opere donate dall’artista. Grazie alle donazioni che Miró continuerà a fare fino alla sua morte la fondazione arriverà a possedere oltre diecimila pezzi. Dipinge il soffitto dell’auditorium. Continua la serie dei libri d’artista: escono il Cantico dei Cantici di San Francesco, edito da Gustau Gili, con trentatré incisioni a colori, Adonides di Jacques Prévert, edito da Maeght, con quarantaquattro acquetinte a colori e L’enfance d’Ubu, scritto da Miró stesso e pubblicato da Tériade, con venti litografie a colori. Appaiono anche le cartelle Journal d’un graveur, con quindici puntesecche in bianco e nero e testo di presentazione di Jacques Dupin, e Joan Miró Lithographe II, con 14 litografie a colori e testo di presentazione di Raymond Queneau. 1976 Il 18 giugno ha luogo l’inaugurazione ufficiale della Fundació Miró, con una grande mostra. L’artista realizza il pavimento della Pla de l’Os, sulla Rambla di Barcellona, e una decorazione murale in ceramica per il palazzo dell’IBM. Pierre Matisse a New York e Maeght a Parigi espongono opere grafiche di grande formato. Viene pubblicato Le marteau sans maître di René Char, con ventitré incisioni a colori. 1977 Insieme a Josep Royo realizza un grande arazzo commissionato dalla National Gallery di Washington. Viene pubblicata la cartella Joan Miró Lithographe III, con otto litografie a colori e testo di presentazione di Joan Teixidor. 1978 Il 7 marzo, a Palma di Maiorca, debutta lo spettacolo Morí el Merma, che prende ispirazione dalle illustrazioni che Miró ha realizzato per la saga di Ubu. L’artista realizza i pupazzi di scena, le maschere e le scenografie, aiutato dagli attori della compagnia La Claca. Lo spettacolo viene rappresentato in tutta Europa e, tra le altre tappe, tocca Parigi (al Centre Pompidou), Barcellona e Roma. Nel quartiere della Défense, nei pressi di Parigi, viene inaugurata la scultura monumentale intitolata Coppia di innamorati dagli occhi di fiori di mandorlo. Grande retrospettiva a Madrid.

1979 Realizza le vetrate della Fondazione Maeght, in collaborazione con Charles Marq, presso l’atelier Simon di Reims. In seguito, avvalendosi degli stessi collaboratori crea quelle per la cappella reale di Saint Frambourg de Senlis. L’Università di Barcellona gli conferisce una laurea ad honorem. La Galerie Cramer organizza l’esposizione Joan Miró: 60 livres illustrés. Mostre itineranti in Giappone e in Toscana (a Firenze, Prato e Siena). 1980 Il re Juan Carlos gli consegna la Medaglia d’Oro per le Belle Arti. Grande decorazione murale in ceramica per il Palazzo dei Congressi di Madrid. Mostre in tutto il mondo, da Helsinki a Washington, da Città del Messico a Caracas. 1981 Nasce la Fundació Miró di Palma di Maiorca, alla quale l’artista dona il proprio atelier. A Chicago viene inaugurata la grande scultura Miss Chicago. Al Teatro La Fenice di Venezia viene messo in scena il balletto Miró, l’uccello luce, su soggetto di Jacques Dupin, con scene e costumi dell’artista stesso. Milano gli dedica una grande manifestazione con sette mostre allestite contemporaneamente: al Castello Sforzesco, alla Rotonda della Besana, al Palazzo del Senato, a Palazzo Dugnani, alla Galleria Il Milione, alla Galleria del Naviglio e allo Studio Marconi. Miró, per l’occasione, dona alla città una scultura monumentale in bronzo, collocata in via Senato 10. Vengono pubblicati i suoi ultimi libri d’artista, illustrati da incisioni a colori: i Lapidari di anonimi catalani del XV secolo, edito da Maeght, e il Llibre dels sis sentits di Miquel Martí i Pol, edito da Sala Gaspar. 1982 Vengono inaugurate le sculture giganti Donna e uccello a Barcellona e Figura e uccelli a Houston. 1983 Il 20 aprile Miró compie novant’anni. Al Solomon R. Guggenheim Museum di New York si apre la mostra Homage to Joan Miró at ninety. Si svolgono celebrazioni nei luoghi che hanno segnato la sua storia, come la Galerie Maeght di Parigi, la Pierre Matisse Gallery di New York, la Fondazione Maeght di Saint Paul de Vence, la Sala Gaspar e la Fundació Joan Miró di Barcellona. Il 25 dicembre muore a Palma di Maiorca. Viene sepolto nel cimitero del Montjuïc a Barcellona.

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Bibliografia essenziale

Relativa all’opera grafica e ai libri d’artista di Joan Miró

Catalogo generale dei libri illustrati: Patrick Cramer, Catalogue raisonné des livres illustrés, con una prefazione di Rosa Maria Malet, Genève 1989. Cataloghi generali delle litografie: Miró lithographe I 1930-1952, a cura di Fernand Mourlot, prefazione di Michel Leiris, Paris 1972. Miró lithographe II 1953-1963, prefazione di Raymond Queneau, Paris 1975. Miró lithographe III 1964-1969, prefazione di Joan Teixidor, Paris 1976. Miró lithographe IV 1969-1972, prefazione di Nicolas e Elena Calas, Paris 1981. Miró lithographe V 1972-1975, a cura di Patrick Cramer, Paris 1992. Miró lithographe VI 1976-1981, a cura di Patrick Cramer, Paris 1992. Joan Miró. Les affiches originales, a cura di José Corredor Matheos e Gloria Picazo. Cataloghi generali delle incisioni: Miró graveur I 1928-1960, a cura di Jacques Dupin, Paris 1984. Miró graveur II 1961-1973, a cura di Jacques Dupin, Paris 1989. Miró graveur III 1973-1975, a cura di Jacques Dupin, Paris 1991. Miró graveur IV 1976-1983, a cura di Jacques Dupin e Ariane Lelong-Minaud, Paris 2001. Esposizioni e saggi critici: Michel Leiris, The prints of Joan Miró, New York 1947. Paul Wember, Joan Miró. Das Graphische Werk / The Graphic Work / L’Oeuvre Graphique, catalogo della mostra al Kaiser Wilhelm Museum di Krefeld, Krefeld 1957. Joan Miró. Prints and books, catalogo della mostra al Philadelphia Museum of Art, Philadelphia 1966.

Joan Miró. Le lézard aux plumes d’or, catalogo della mostra alla Galerie Berggruen di Parigi, Paris 1971. Yvon Taillandier, Miró al torchio, Parigi 1972. Miró. Livres illustrés, catalogo della mostra alla Galerie Cramer di Ginevra, Genève 1973. Miró. L’oeuvre graphique, catalogo della mostra al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Paris 1974. Joan Miró. Obra gráfica, catalogo della mostra al Ministerio de Cultura di Madrid, Madrid 1978. Joan Miró. Grafica 1930-1978, catalogo della mostra al Palazzo Pubblico di Siena, Firenze 1979. Joan Miró. 60 livres illustrés, catalogo della mostra alla Galerie Patrick Cramer di Ginevra, Genève 1979. Joan Miró. L’atelier de gravure, con un testo di Jacques Dupin, Paris 1990. Miró. Oeuvre gravé, con testi di René Char, Paul Eluard, Alberto Giacometti, Michel Leiris, Gérard-Georges Lemaire, Claude Liebermann, Joan Miró, Jacques Prévert, Raymond Queneau, Maurice Raynal, James Johnson Sweeney, Tristan Tzara, Paris 1990. William Jeffett, ‘L’Antitête’: The Book as Object in the Collaboration of Tristan Tzara and Joan Miró (1946-47), in “The Burlington Magazine”, vol. 135, n. 1079, febbraio 1993, pp. 81-93. Joan Miró. Dalla figurazione al gesto, opera grafica, a cura di Sandro Parmiggiani, catalogo della mostra al Teatro Valli di Reggio Emilia, Milano-Firenze 1993. Miró grabador en los fondos del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, con un testo di Antonio Gallego, Madrid 1995. Joan Miró. Opera grafica e libri illustrati, catalogo della mostra alla Galleria Bordas di Venezia, Venezia 2005. Nel giardino di Miró. Opere grafiche, a cura di Italo Tommasoni, catalogo della mostra al Museo della Civiltà dell’Ulivo di Trevi (Pg), Trevi 2005.

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE RELATIVA ALLA STORIA DEL LIBRO D’ARTISTA Hommage à Tériade, catalogo della mostra al Grand Palais di Parigi, Paris 1974. L’univers d’Aimé et Marguerite Maeght, catalogo della mostra alla Fondation Maeght, Saint-Paul de Vence, 1982 From Manet to Hockney. Modern artists’ illustrated books, a cura di Carol Hogben e Rowan Watson, catalogo della mostra al Victoria and Albert Museum di Londra, London 1985. A proximité des poètes et des peintres. Quarante ans d’édition Maeght, catalogo della mostra al Centre de Création Contemporaine di Tours, Paris 1986. Peintres-illustrateurs du XXe siècle. Aimé Maeght bibliophile, 200 éditions originales, catalogo della mostra alla Fondation Maeght, Saint-Paul de Vence 1986. François Chapon, Le peintre et le livre. L’age d’or du livre illustré en France 1870-1970, Paris 1987. 50 livres illustrés depuis 1947, a cura di Antoine Coron, catalogo della mostra alla Bibliothèque Nationale et Centre Nationale des Lettres di Parigi, Paris 1988. A century of artists’ books, a cura di Riva Castleman, catalogo della mostra al Museum of Modern Art di New York, New York 1994. Artists’ books in the modern era 1870-2000. The Reva and David Logan collection of illustrated books, a cura di Robert Flynn Johnson e Donna Stein, catalogo della mostra al Fine Arts Museum of San Francisco, London 2001. Yves Peyré, Peinture et poésie. Le dialogue par le livre 18742000, Paris 2001. De l’écriture à la peinture, catalogo della mostra alla Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence, Saint Paul de Vence, 2004. Parole disegnate, parole dipinte. La collezione Mingardi di libri d’artista, a cura di Corrado Mingardi e Sandro Parmiggiani, ca-

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talogo della mostra a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, Milano 2005. Allo Paris! Il libro d’artista da Manet a Picasso nella collezione Mingardi, con testi di Gloria Bianchino, Sandro Parmiggiani e Michele Tavola, catalogo della mostra a Palazzo Bossi Bocchi di Parma, Milano 2008. Behind the Mirror. Aimé Maeght and his artists: Bonnard, Matisse, Miró, Calder, Giacometti, Braque, a cura di Ann Dumas, catalogo della mostra alla Royal Accademy di Londra, London 2008. BIBLIOGRAFIA COMPLETA DEGLI SCRITTI DI RAYMOND QUENEAU SU JOAN MIRÓ Pour Miró, in Joan Miró, in “Derrière le Miroir”, n. 14-15, Paris 1948. Devant l’art de Miró, in Lettres Françaises, Paris 1949. Joan Miró ou le poète préhistorique, in Les trésors de la peinture française, Genève 1949. La courge magique, in “ Derrière le Miroir ”, n. 29-30, Paris 1950. Que le peintre qui va sur le motif..., in Catalogo della Biennale di Venezia, n. 19-20, Venezia 1954. Miró, Catalogo della mostra al Musée des Beaux-Arts di Bruxelles, Bruxelles 1956. L’astre patagon, in “ Derrière le Miroir ”, n. 119, Paris 1960. Les deux bout du pinceau, in “Derrière le Miroir”, n. 121-122, Paris 1960. Album 19, Paris 1962, (testo riprodotto in Joan Miró lithographe II, 1975). Miró parle, in L’émerveillé merveilleux, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Miró, Paris 1973. Miró et ses pièges, in Joan Miró lithographe II, Paris 1975. Joan Miró, antologia di scritti a cura di Dominique Charnay, Besançon 2006.


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