SUBBART #7

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5 COMUNICAZIONI DAVVERO SINTETICHE 1) SUBBART E’ UNA RIVISTA GRATUITA CON BASE A NAPOLI. ESCE OGNI 40 GIORNI CIRCA (COME GESU’ NEL DESERTO). OGNI NUMERO HA UN SUO TEMA --2) C’E’ UNA REDAZIONE?SI,OVVIO.SE VUOI SAPERE CHI SONO LE PERSONE COINVOLTE DEVI LEGGERE I CREDITI NELLE ULTIME PAGINE --3) SUBBART CERCA SEMPRE NUOVA GENTE CON CUI COLLABORARE.NELLO SPECIFICO CI INTERESSANO PERSONE CHE SAPPIANO SCRIVERE E FOTOGRAFI POTENTI.METTERE IN FORMA SCRITTA SFOGHI ADOLESCENZIALI ALL’ETA’ DI 30 ANNI E USARE O AVER USATO DROGHE IN PASSATO NON VUOL DIRE ESSERE NECESSARIAMENTE BRAVI SCRITTORI --4) SUBBART NON E’ IL GIORNALE DEL RISING.ABBIAMO AVUTO UNA COLLABORAZIONE ECONOMICA PER UN PERIODO MA NON FACCIAMO PARTE DEL LORO GRUPPO --5) IL PROSSIMO NUMERO ESCE DIRETTAMENTE A SETTEMBRE,FORSE CON UN NUOVO FORMATO.

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SUBBART#7 The FREAKS ISSUE GIUGNO 2009,NAPOLI

ELAIROTIDE SUBBPOSTA FREAKS 50s // WEEGEE FREAKS 60s // DIANE ARBUS FREAKS 00s GG ALLIN HEIDI TRA INCESTO ED EROINA MUZAK MOLTHENI FAVOURITE TUNES FROM D TUBE LES MOTS EROTIQUES XXX

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ELAIRòTIDE Prima di dare inizio a questo straordinario spettacolo, sarà il caso di spendere due parole sullo stupefacente tema che esso tratta. Sin dai tempi più remoti, tutto ciò che esulava dalla norma era considerato come un segno di sventura o una raffigurazione del male. I simboli delle disgrazie e delle avversità erano invariabilmente rappresentati con figure mostruose e gli atti più crudeli e malvagi sono stati attribuiti ai molti tiranni mutilati e deformi dell’Europa e dell’Asia. Nella storia, nella religione, nel folklore e nella letteratura, abbondano figure fisicamente repellenti, sempre schierate dalla parte del male. Golia, Calibano, Frankenstein, Riccardo di Glaucester, Tom Thumb e il Kaiser Guglielmo, non sono che alcuni dei nomi famigerati in tutto il mondo. Una nascita anormale è considerata una disgrazia, e i neonati deformi, in passato, venivano abbandonati alle intemperie per farli morire. Se percaso uno di questi capricci della natura riusciva a sopravvivere, veniva considerato con sospetto per tutta la vita. La società stigmatizzava la sua deformità, e la famiglia in seno alla quale nasceva ne sentiva il peso e la maledizione. Di tanto in tanto, uno di questi sventurati veniva accolto a corte, ma solo per essere deriso e ridicolizzato dai nobili che si divertivano alle sue spalle. La stragrande maggioranza veniva abbandonata a un’esistenza di mendicità, di ruberie e di fame. L’amore per la belleza fisica ha radici profonde e risale agli albori della civiltà. La repulsione che proviamo di fronte agli abnormi e ai mutilati, è il risultato del lungo condizionamento inflittoci dai nostri antenati, ma in grande maggioranza gli abnormi sono capaci di pensieri e di emozioni normali, e ciò rende ancora più straziante la loro esistenza. Emarginati e respinti, essi hanno elaborato un tacito codice di comportamento per proteggersi dalla crudeltà delle persone normali. Le regole di questo codice sono rigorosamente osservate, tanto che il male subito da uno di essi è il male subito da tutti, così come la gioia di uno di essi rallegra tutti quanti. La storia che ci apprestiamo a raccontarvi, è imperniata sull’effetto che questo codice ha sulle loro esistenze. Una storia come questa non potrà mai più essere filmata, poiché la scienza moderna e la teratologia stanno rapidamente eliminando questi errori della natura. Con umiltà e incomprensione per le ingiustizie subite da questa gente incolpevole, vi presentiamo la storia più sconvolgente che sia mai stata raccontata sugli abnormi e i reietti.


SUBB POSTA LA CENSURA

_______________________________ Salve Subbartista, ho avuto per caso una copia della Sua rivista dall´amico di un amico e devo farle avere i miei complimenti, perchè sono stato colpito dal formato e dai momenti di lirica aulica che ho scovato all'interno dal magazine. Mi presento, sono Aristotele Sporos, un giovane ricercatore di origini greche ed esperto nella fisica quantistica (nonchè matematica ed astrofisica). Ultimamente mi stavo occupando di una ricerca riguardo la correlazione tra l´attrazione gravitazionale dei buchi neri e l'attrazione esercitata dalla vagina nei riguardi del pene. Nonostante io ed i miei colleghi fossimo ad un buon livello di conoscenza, ci sono stati tagliati i fondi dall'università, e quindi, ora ci siamo spostati su di una generica ricerca riguardo le fonti di energia non inquinanti. Si rende conto dell'assurdità? Una volta sintetizzata l'equazione della suddetta relazione, la si potrebbe applicare, per esempio, ad un elettromagnete per centuplicarne la forza attrativa. E tutto ciò senza emissioni nocive e\o inquinanti! In realtà, ci sarebbe da trattare il 8

piccolo particolare della formazione di un liquido pseudo-seminale che si forma appena conclusa l'azione attrattiva, ma comunque un pò di seme non ha mai fatto male e, come si dice in Grecia, "A' sfaccim' t'ha fatt omm ". [---CENSURA---] [...] Mi sono anche recato da un analista, il quale mi ha detto che il trauma pregresso sarebbe superabile se io accettassi la sua analisi, ossia di trovarmi in una posizione di stallo nella fase anale, e di ammettere a me stesso che a livello subcosciente la cosa mi sia piaciuta. L'unico problema è che non mi piaceva la voce suadente con cui diceva queste parole e il modo in cui si passava la penna tra le labbra. In sintesi , conosce qualche rimedio per farmi guarire? P.S. mentre scrivevo ho ricevuto una telefonota del mio analista, dice che scrivere su di una rubrica che si richiama alle supposte non fa altro che confermare la sua analisi. Ora ho paura... ARISTOTELE SPOROS


Non l’avrei mai detto. Io che mi son sempre dichiarato appartenente a quell’ala estremista della libertà d’espressione totale e amorale, ho dovuto censurare una lettera. Io che son passato dall’essere blasfemo all’essere censore. Il fatto è che mi ha dato davvero fastidio leggere di quella parte di penetrazioni anali, pugni, membri, sangue. Lei è riuscito a farmi provare quel senso di fastidio che solo la volgarità può arrecare. Al momento ci riuscivano soltanto quei ragazzi-scarafaggi con il motorino e la felpa “baci e abbracci” ed il coltello nella tasca...da adesso, anche le parole. Il suo senso dell’ironia e del sarcasmo è davvero scarso, baby. Sono indeciso se prenderla per il culo oppure no. Mah, direi di no. Approfitto però della sua lettera per stabilire una volta per tutte se farsi penetrare con un dito l’orifizio anale sia nell’individuo maschio comportamento ammissibile o meno. Partendo dal presupposto che la zona dell’anello muscolare anale è zona particolarmente dotata di innervazioni sensitive e per questo altamente sensibile ad ogni stimolazione esterna, si deduce che la stimolazione anale è nella maggioranza degli individui che la subiscono, una pratica piacevole. Il tabù scaturisce dalla posizione ideologica del comportamento sessuale dell’individuo maschio, che non può deviare da comportamenti “predefiniti ideologicamente” nei confronti del partner. In parole povere: farsi mettere un dito in culo è piacevole ma non tutti hanno il coraggio di chiederlo ed ammetterlo innanzi la propria fidanzata o moglie. Che figura ci farebbero? Allora il mio consiglio è questo: se avete l’opportunità di una one night session, e la vostra compagna occasionale vuole

viziarvi con questo trucchetto per ampliare il vostro piacere, prendetelo pure. In alternativa, recatevi in un posto esotico dove nessuno vi conosce e sperimentate. Atteggiamenti lascivi non possono che aiutarvi. Concludo con questo aneddoto di un mio amico che faceva lo speaker durante le serate più commercialoidi in una delle discoteche più commerciali della lombardia, che per prendere per il culo quella massa di ebeti che vi si recavano, dall’alto della consolle urlava: “L’importante è sentirlo dentro!” e la gente emetteva un boato distorto di gioia e approvazione...

ANDIAMO A BALLARE?

_______________________________ Se qualcuno fin ora non si è ancora sporcato le mani, mi sa che non lo farà più, almeno fino alla prossima guerra mondiale. E non parlo per la droga o per la camorra (davvero troppo difficile), ma per quelle intenzioni-azioni di cui ognuno dovrebbe essere autore e responsabile, contro gli accadimenti quotidiani che ti fanno girare i coglioni o ti fanno salire le capate, mandandoti in bestia e che ti portano a inveire non contro, ma per il zozzo mondo di merda in cui ci hanno abituati a vivere; darei una ginocchiata nella portiera di ogni auto parcheggiata davanti ai palazzi o ai bar, in divieto ecc...; porterei un bel po’ di merda davanti alle case delle persone che hanno i cani e li continuano a lasciar cacare liberamente per la strada; ma mi fermo perché volevo parlare di tutt’altra cosa; lascio i quartieri perché mi invitano per l’ennesima volta in discoteca ad asSUBBPOSTA

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coltare un dj internazionale; figo penso io, son ben cotto, la serata con la ragazza che non sembra convinta è andata come è andata, mo vado, ascolto, ballo, mi sfogo, se capita bevo e poi me torno a casa. Un cazzo! Va tutto come avevo programmato, compresa la decisione di scrivere contro il monopolio della gestione di questi cazzo di appuntamenti musicali, che si devono per forza ascoltare in discoteca, perché si sono presi 30 euro, per John Digweed (!), che alla fine si sarà pentito di aver suonato troppo seriamente. Alla fine ce ne sono a Napoli i posti dove ascoltare la musica, per tutti i gusti, per tutte le età e per tutti i capricci, chi sa perché sempre tutti contemporaneamente; ma la vogliamo smettere di farli pagare così cari i biglietti d’entrata, dove (a causa o con la scusa?) della metodologia di promozione e comunicazione napoletana, li fanno arrivare anche a 40 euro!! Oh ma stann fòr! Davvero! Gli stessi dj, con altre organizzazioni, che non cambiano nomi e indirizzi, in altre città, Milano, Roma, Bologna, in posti fighi e massicci, centri sociali storici o meno gestiti meglio, discoteche in vetro, club di periferia, ovunque la musica costa meno, le consumazioni pure, i servizi sono decisamente migliori...dalle file, ai cappotti, per arrivare alla security; persino le sostanze stupefacenti, se è il caso, sono migliori; Ugo domenica scorsa ha partecipato al Plastic di Bruxelles con 10 euro; Paola ha ascoltato Dave Clarke a Roma con 20 euro, e il biglietto era al massimo; e che cazzo!! Volete fare qualcosa? Dobbiamo fare qualcosa! Intanto più vicina è Roma, non male, poi spostarsi liberamente; alternare di più le 10

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uscite in alcuni club della provincia o Caserta, affollare e rinforzare i Festival indipendenti che tra la primavera e l’estate invadono le città o i paesi dell’intera Campania. Abbattiamo i costi dei biglietti per le discoteche; Che cazzo! Meno male che a fine serata ho trovato 40 euro e il giorno dopo la ragazza mi ha telefonato. Vedete voi, ascoltiamo noi. MOLLY SAYS Ho due sensazioni. La prima è che non ho capito niente. La seconda è che credo Ugo abbia sceso qualche “sostanza stupefacente” da Bruxelles e tu hai deciso di assumerla e scrivere questa lettera. Solo così mi spiego questa selvaggia orgia di punti esclamativi, virgole, punti e virgole. Tornando a noi, so che in questi momenti non bisogna dire cose brutte perché gli entactogeni amplificano tutte le sensazioni ma...a Napoli solo i peggiori vanno ai gig event. Ecco spiegato il perché delle file, dei prezzi elevati, delle sostanze velenose, delle risse, dei vetri rotti delle auto, del parcheggiatore, del rapporto 1 donna 10 uomini, del triplo senso di marcia a via Campana, dei buttafuori affiliati al sistema, dei coltelli in tasca e soprattutto della musica di MERDA. Fa tua questa regola d’oro: a Napoli si esce per ascoltare musica dal lunedì al giovedì. Il resto dei giorni si aprono le gabbiette dove sono rinchiuse le bestie. Tu con chi ti schieri?

TUA MAMMA TI ODIA?TI SENTI UN FALLITO?HAI TREMENDI SEGRETI DA CONFESSARE? SEND A MAIL TO subbposta@subbart.tk


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Una notte con Arthur Fellig, a New York, 1940

MURDER IS MY BUSINESS di Martin Errichiello

La tavola Ouija (spesso pronunciata wee-gee o chiamata scatola weegee in inglese) è una superficie piatta sulla quale sono disegnate tutte le lettere dell'alfabeto, i numeri dallo 0 al 9, spesso un "si" ed un "no" ed altri simboli, il cui utilizzo è abbinato ad una lancetta mobile. Lo scopo di tale tavoletta è porre delle domane alle anime dei defunti, che attraverso un medium, fanno si che la lancetta si muova sulla tavola ouija e componga, utilizzando le lettere, la risposta.

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rthur Fellig era un pazzo. Moderno sciacallo urbano, rivelatrice macchina da guerra nella giungla dell’anonimato subculturale newyorkese, operaio instancabile - occhio meccanico schiavo e cantore del grottesco - ...La città nuda... Conosciuto con lo pseudonimo di Weegee, Arthur nasce il 12 giugno 1899 a Zloczew, allora Austria, oggi territorio ucraino. All’età di 11 anni raggiunge con la famiglia il padre Bernard a New York, costretto nel 1906 ad emigrare a causa dei primi FREAKS 50s

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movimenti antisemiti. Dopo qualche anno Arthur abbandona gli studi per contribuire al magro bilancio familiare, fa il lavapiatti dell’Automat, il venditore ambulante, il fotografo di passaporti. Poi compra un pony e fotografa marmocchi a spasso sul Lower East Side nei fine settimana. Nel millenovecentodiciassette abbandona la casa paterna e le rigide regole di una povera famiglia ebraica preferendo la Pennsylvania Railroad Station o qualche parco pubblico. Stacca biglietti di autobus per 6 mesi, poi, nel 1921 lavora come assistente di camera oscura presso il New York Times. Dal '24 al '36 stampa per 20 dollari a settimana all'Acme Newspictures. Dal 1937 è un cane sciolto, un uomo libero, un fotografo free-lance. Alla fotografia, (nel pieno del dibattito se questa fosse o meno un arte), Weegee chiedeva solo la libertà di essere Weegee: "una discreta fama, abbastanza denaro e donne..." Arthur se ne sbatteva della disciplina, delle parallassi dritte, di teorie artistiche o cosa. Questa dimensione non gli interessava. C'era una giungla fuori, di orrori e incendi, incidenti mortali, allagamenti e annegamenti, sparatorie, arresti...Flash sui volti per illuminare la smorfia grottesca di una realtà ubriaca(ta). Risse, ubriaconi, nani, il pubblico dei teatri, il pubblico dei night club. Tutto viene registrato, e insieme "ridicolizzato"; ne viene fuori un vero e proprio archivio di freaks metropolitani, l'umore è surreale, il sangue no. “...Il crimine era la mia miniera d’oro (...) Talvolta, usavo persino la luce radente, come Rembrandt, per non fare vedere troppo sangue. E riuscivo così a rendere lo sguardo rigido di un cadavere più confortevole, come se il poveraccio stesse facendo un riposino...” 14


Charles Sodokoff e Arthur Webber si nascondono il viso con il proprio cappello mentre vengono portati alla Felony Court. I due sono stati arrestati per aver aggredito un poliziotto all’interno di un bar. Il poliziotto era stato chiamato perchÊ Charles e Arthur erano troppo ubriachi, tanto da salire sul bancone del bar e molestare il resto degli avventori. Era il 27 gennaio del 1942. FREAKS 50s

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Non era alla portata di tutti riuscire a vivere come fotografo freelance nel 1942. Anche quando le cose si mettevano male, Weegee cercava di affrontarle sempre con spirito positivo, cercando la felicitĂ in qualunque cosa facesse: 16


Amava la gente, amava scattare foto alla gente, amava stare con la gente. Anche se viene dato ampio risalto al lato “brutaleâ€? delle sue opere, Weegee si è confrontato pure con persone felici, feste per il dopoguerra, amanti. FREAKS 50s

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rganizza la sua attività in una piccola stanza all’interno dell’Ufficio Persone Smarrite di Spring Street; Quando però la luce cala, Arthur monta sulla sua Chevrolet, accende un sigaro cubano di dimensioni preoccupanti e aspetta la soffiata. Nel 1938 è il primo cittadino di New York a ricevere il permesso di installare il sistema radio della polizia nella sua macchina, dove peraltro monterà anche una piccola camera oscura: 5 dollari a stampa. L’uomo Arthur muore, lasciando il posto all’animale di città Weegee. Arriva prima della polizia sul luogo del misfatto: scatta e vola alla sede del New York Post, da cui comincia il giro dei giornali. Pubblica su Daily News, Herald Tribune, Sun. Il PM Daily gli commissiona reportage a sua scelta. Diventa un personaggio di fama. Nel quarantuno espone la sua prima personale al Photo League di New York che apre con il titolo Weegee: Murder is My Business. Nel quarantatre il Moma acquista cinque fotografie che verranno esposte nella sezione permanente “Action Photography”. Il 1948 è l’anno di “50 photographs by 50 photographers”, collettiva di mostri sacri quali Man Ray, Lewis Hine, Alfred Stieglitz - organizzata da Edward Steichen, l’allora direttore del dipartimento di fotografia. Sarà Steichen stesso a promuovere l’opera di Weegee includendo “The Critic”, fotografia-emblema del pensiero di Fellig sugli ambienti ricchi e mondani; scattata ad una prima del Metropolitan Opera Theater nel ‘43, ritrae due anziane smorfie umane impellicciate ricoperte d’oro e diamanti fulminate a vista con disgusto da una magra donna malvestita. 18

E’ insomma nella stessa America dove pochi anni dopo Steichen darà vita al progetto “The family of Men”, una raccolta che vuole essere veicolo normalizzatore di una serie di eventi (dalla guerra al boom), atta a mostrare un umanità “unica e unita”, la bellezza invece del disagio, equilibrio anzichè denuncia, che Arthur continua a raccontare di crimini e reietti, boxeur arrestati, stragi alla domenica, grottesche folle, vecchie ubriache da Sammy sulla Bowery

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e c’era un incendio Weegee non cercava il fuoco, ma i pompieri; non i banditi ma i loro cadaveri; non spettatori affascinati dalla catastrofe, ma vittime angosciate, scioccate. Immagini sensazionali(ste) di una sofferenza spudorata e dimessa, come un ubriaco che borbotta qualcosa da dietro la rete protettiva del gabbiotto degli sbirri, seduto, con le mani legate. Un bianco e nero accecante, capace di distorcere il capriccio hollywoodiano e di cui ne dipinge un’esasperata fisionomia: la massa (sur)reale di figure verso cui si spinge Weegee rappresenta un’affresco umano quanto mai contemporaneo, eternamente diviso in infernali gironi sociali dove, al piano terra, calate le luci dell’ufficiale, si agita losco un mondaccio balordo.


“Una donna stava piangendo...ma i bambini del vicinato parteciparono con entusiasmo allo show di questo criminale sparato ed ammazzato in strada”. E’ la didascalia che Weegee scrisse per questa foto apparsa nella sua pubblicazione del 1945 “Naked City”.Nella pagina accanto inserì una foto del sangue della vittima che ricopriva parte della strada. FREAKS 50s

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“La Fotografia è un segreto intorno ad un segreto: quanto più ti dice, tanto meno riesci a capire”

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Nella feroce New York degli anni ‘60 ha vissuto e lavorato una fotografa che ha cercato di cogliere - riuscendoci con successo l’anti-disagio esistenziale di quelle categorie di persone che la società ha autonomamente deciso e stabilito di mettere ai margini. Che si trattasse di nani, travestiti, prostitute, dementi, di tutte queste categorie Diane Arbus ha cercato di impressionare sulla pellicola l’esatto momento in cui tutta la loro personalissima e “diversa” bellezza venisse rivelata all’esterno nel pieno della propria espressione per poter poi sputarla in faccia alla società moralizzatrice e perbenista che ovviamente, ne decretò il successo soltanto in seguito al proprio suicidio

UN UOMO, QUALSIASI UOMO ROMPA IL SENTIERO STABILITO PER IL SENTIERO DESTINATO di Martin Errichiello & Fabrizio Marreno

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“Ho fotografato un sacco di Freaks, è stata una delle prime cose che ho fotografato e che possedevano un terrificante stato di eccitazione. Ho cominciato ad adorarli. E continuo ad adorare alcuni di loro. Non posso di certo affermare che si tratta dei miei migliori amici, ma mi hanno insegnato a trattenere un misto di vergogna e timore.[...] Molta gente passa la vita temendo di subire una esperienza traumatica. I freaks sono nati con il loro trauma. Hanno giĂ passato questo test della vita. Sono degli aristocratici.â€? 23


“Perché una donna passa la prima parte della sua vita a cercare un marito, a imparare ad essere una moglie e una madre, e a tentare di svolgere questi ruoli nel modo migliore. Non le resta il tempo di fare altro.” E’ stata la risposta di Diane a chi gli chiese perché si fosse dedicata alla fotografia soltanto dall’età di 38 anni.

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iane Nemerov nasce a New York il 14 marzo 1923, Diane Arbus muore suicida il 26 luglio 1971, New York.

Il Greenwich Village ancora puzzava di hipsters testadangelo, alla sera, oltre i vetri, echi-afflitti Thelonious Monk il santone pazzo risuonavano nel sapore di un antica prosodia (be)bop. Jack era morto da due anni ma sulla strada c’erano vivi i segni del vomito. Mai prima, una cirrosi epatica era stata tanto dolorosa. L’urlo di Allen attraversava gli Oceani seminando proseliti e incertezze al ritmo di A-hard-rain’s-a-gonna-fall mentre Neal, nel ruolo di se stesso, moriva sull’argentorotaia americana barcollando verso quell’orizzonte invisibile. Ebbene tren’anni prima, quando questo giovane manipolo di nobili omosessuali amanti degli inediti di William Blake si incontrava sotto il cielo di Christopher Street, Diane Nemerov sposava Allan Arbus, nonostante il parere dei genitori. Questi assicurano a Diane un’infanzia iperprotetta, inevitabilmente alienante: surreale.

Cresce

in un atmosfera straniante, da cui gradualmente si allontana trovando rifugio nel disegno artistico. Frequenta la Culture Ethical School, poi un’istituto pedagogico fino ai 14 anni quando, incoraggiata dal padre, inizia lezioni di disegno da Dorothy Thompson, illustratrice di Russek’s, celebre catena di pellicce di proprietà della famiglia. I suoi disegni sono piccoli affreschi sull’imperfezione umana - primo lascito - insolito e provocatorio, di una complessa, commovente, grottesca denuncia visiva. 25


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ll’età di 18 anni (contro il parere dei genitori) sposa Allan Arbus: conduce con lui uno studio fotografico di moda, lavorando per riviste come Vogue e Harper’s Bazaar. Conosce Lisette Model, da cui, tra il ‘50 e il ‘57 prenderà lezioni di fotografia; “...non scattare fotografie finchè l’esperienza non ti mette in imbarazzo. Tu sei il vero soggetto, il mondo è l’oggetto...”, le ripeteva spesso Lisette.

Era un mattino del 1958 e “un gruppo di bambini all’angolo della strada parla della fine del mondo”. Thoreau è il nuovo nemico, risuona beato nella coscienza autostop; nuove musiche eretiche, di uomini sinceramente impauriti dall’atomica

E’

il 1959, Diane lascia lo studio Arbus e la vita coniugale. L’odore delle pellicce Russek’s, l’ora di cena, una vita di agi. Famiglia, religiosità, finzione. Frequenta gli intimi sotterranei del giardino dei reietti, arrampicandosi quanto più in basso possibile nel ventre oscuro dell’inufficiale umano. Fa la travestita, cresce a dismisura e ingerisce spade, di notte è un nano di successo, di giorno una naturista con strane maschere sul volto. Tatua completamente il suo corpo e vorrebbe andare in guerra, ama la sua nazione, il suo popolo...di Puttane, emarginati.

D

iane volge ossessivamente il suo sguardo verso ciò che la degenerazione di certi meccanismi sociali ha reso antichi relitti di un timore moderno. La sua ricerca, eternamente in bilico fra voyeurismo morboso e desiderio di conoscenza, è rivelatrice nei

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termini in cui ci mostra senza riserve l’autentico volto della realtà in atto, dell’infelice rapporto tra l’uomo e se stesso, l’altro. Ecco allora, l’utopia secondo cui la paura del diverso viene domata: l’educazione dello sguardo come unico modo per reagire all’avaro codice del comunevedere.

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ppiattimento, insomma. A cui Diane reagì rendendo la fotografia un atto globale di relazione con il mondo, uno strumento di denuncia di verità; la reazione dell’oligarchia benpensante di ieri dinanzi al documento della Arbus


rappresenta ancora oggi, invece, la prevedibile e “sgradevole sensazione che qualcosa è seriamente sbagliato...”

Le sue opere, d’altro canto, sono

tuttora fraintese. I suoi mostri, del resto, tuttora strisciano ai margini. Le sue parole sono oggi solo curiosi aforismi. Diane consegna deliberatamente la sua vita, senza buonismo, alla causa dell’altro. Il filtro a cui è sottoposta l’opinione (dei più) riguardo la sua produzione risulta spesso deviante, estetizzando semplificando - il messaggio umano di Diane, naturale elogio della sostanza a discapito della forma, dell’apparenza. Le sue fotografie “dividono in quanto uniscono” tramite il sottile filo di una, si presume consapevolezza condivisa; provocano una shoccante normalizzazione della realtà, tutto emerge cosi come è rivelandosi nell’immediato della sua caducità, sensibilmente reale, nella mostruosità del banale. ... Tramontava la luce e insieme il battito

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freak la realtà è oggi un altra. il mondo freak non ha ormai più segreti.Sedotto e ingannato, teneramente popola il salotto televisivo -palestra di fenomeni-. Nessuno si stupisce... Anzi, la folla eccitata barbaramente lo invoca. Davanti a questa mera, triste spettacolarizzazione di un individuo, ovvero a un ulteriore appiattimento, ecco la nostra necessità di raccontare storie. La necessità di questi fotografi di rivelare piccole verità, con la sensibilità di un tempo. Interpretando il linguaggio, lo sguardo di uno per raccontare di tutti. Voce tratta dalla piccola enciclopedia psichedelica del libro Paura e delirio a Las Vegas


CARLO BEVILACQUA

Foto tratta dalla serie “INDIAN STILLS”. Il sito è www.carlobevilacqua.com


RAFFAELE GALLO/KAIROS

Cono sur rappresenta una delle più povere e popolose aree di Lima, Peru. Appare agli occhi come una distesa di luci e capanne, appoggiate l’una contro l’altra. La città è sovrappopolata, viene gente da tutto il paese incrementando così il livello di disoccupazione locale. La povertà è il principale motivo per cui la prostituzione a Lima è drammaticamente cresciuta. Questa storia racconta del gruppo di travestiti di “Villa El Salvador”, legati tra loro da un luogo particolare: “La Casa dei Talenti”. “La casa “ è un teatro creato da due fratelli, Alan e Bardo, nella falegnameria del padre. Ogni anno, dal 2005, mettono in scena uno spettacolo


teatrale; Alan insegna danza ai giovani provenienti dal distretto e da diversi college della città. Bardo è un attore e si esibisce in una discoteca nei weekend. La maggior parte dei travestiti che ho incontrato non hanno più di 25 anni, ne un lavoro stabile o una famiglia che li aiuti. Si prostituiscono per meno di dieci “soles”, nemmeno 4 euro. Oscillano su un doppio estremo, sessuale ed economico, ai limiti dello schema delle identità sociali.


L’ingresso dell’ostello Arco Iris

Bardo sulla terrazza di casa sua

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ANTONIO DI VICO

Foto tratte dalla serie “Circus in Italy”. Di Antonio abbiamo già pubblicato in passato alcune foto per il numero del corpo. Il suo sito è www.antoniodivico.com



INSERIRE IL TESTO PER FEDERICO


La velocissima vita dell’individuo più libero del pianeta terra.

G.G. ALLIN di Diego Astore

Circa cinquantatre anni fa, nasceva negli Stati Uniti un bambino assolutamente normale. Di anormale aveva solo il nome di battesimo e le aspettative che il padre ripose in lui: Jesus Christ Allin era un bambino sano, tranquillo e non il nuovo Messia. Forse la mancanza di elettricità e di acqua potabile in casa, forse le zecche con le quali ebbe forti diverbi, forse i continui abusi sessuali e psicologici subiti dal padre-padrone, trasformarono quel bambino comune nell’ultimo vero rocker della storia del rock. Ma è pur probabile che, forse, lo sarebbe diventato lo stesso. Secoli fa se un essere vivente appena sfornato cresceva “diverso” dagli altri era considerato un mostro, veniva abbandonato dalla società e lasciato al suo destino. Il frutto del desiderio diventava maledizione, sciagura che il cielo aveva scagliato per chissà quale peccato commesso. Questi “mostri” nel corso della storia dell’umanità hanno subito i trattamenti più disparati: da reietti della collettività a fenomeni da baraccone ad esseri stravaganti meritevoli quantomeno di una certa attenzione. Scavando tra chilometri di pellicole non possiamo non notare pezzi di memoria cinematografica che testimoniano il passaggio di questo “universo freak”: dal recente “The Big Fish” di un favoloso Burton o agli incubi psichici e deliranti di Lynch in “Eraserhead”. Universo composto della stessa materia del nostro ma 37

con un confine invalicabile. Una linea di demarcazione eretta nel corso dei secoli e costruita da mattoni e congetture, cemento, classificazioni e fango. Il maggiore limite del genere umano è quello di imporsi dei limiti. Jesus Christ Allin si ricostruisce un’infanzia cambiando nome in Kevin Micheal e facendosi chiamare JeJe (G.G.), ma è troppo tardi: i compagni di scuola lo emarginano e bollato come disadattato viene sballottato in una classe speciale. I New York Dolls, Iggy Pop e Steve Bators dei Dead Boys segnano la sua adolescenza. È il 1977 e Allin è leader dei Jabbers, gruppo punk hardcore che si fa notare non solo per il rumore, ma per la qualità dei testi delle canzoni che trattano di depravazione, stupri e disprezzo per tutto ciò che gli sta intorno. Negli anni ottanta si avvicina allo scum punk, dove gli elementi cardini sono in ordine: l’abuso di droghe pesanti, noncuranza per l’igiene e la mancanza di rispetto verso chiunque. In breve tempo ne diventa il principale esponente. Il suo motto è “vivi in fretta e muori in fretta”. I testi sono ancora più violenti, così come le apparizioni live. Accumulando rabbia e frustrazione, dolore e disgusto, i suoi show hanno una genuinità disarmante. È in questo momento che G.G. Allin non si pone più limiti. Ed ecco perché vogliamo ricordarlo. Sul palco


“Non sono qua fuori soltanto per provocare dello choc. Certo, puoi vederlo soltanto come choc - ma io la considero semplicemente realtà. E’ la mia vita. Non ne sono orgoglioso ma è il modo in cui vivo”. GG Allin ovviamente non si distinse per la musica, ma per i suoi comportamenti oltraggiosi verso tutto e tutti. Uno spunto per riflettere:una società in cui i teenagers anzichè i poster dei Tokio Hotel avessero al muro le foto di GG Allin, sarebbe migliore o peggiore di quella attuale?

GG ALLIN

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Ci si poteva aspettare di tutto durante lo show di Allin. “Il pubblico è il mio nemico”, diceva sempre. “Uso la mia mente come una mitragliatrice e il mio corpo come proiettili - e il pubblico è il bersaglio”. E mentre molti dei gruppi underground del periodo si pavoneggiavano delle loro “esistenze turbolente”, Allin metteva in pratica tutto ciò che cantava sul palco e soprattutto conduceva realmente una vita il cui confine tra follia pura e trasgressione era diventato pericolosamente labile.


DALLE NOTE DI COPERTINA:“Quest’ultimo muore per voi ogni volta che sale su un palco. GG Allin non è un artista, forse neppure un musicista ed è l’ultima persona che definireste ‘politicamente corretta’. I suoi spettacoli dal vivo sono ormai materia di leggenda: storie di degustazione (e lancio sul pubblico) dei propri escrementi, masturbazione, iniezioni di eroina, automutilazione, aste da microfono utilizzate per fracassare i crani delle prime file, eccetera...ed è tutto vero! Soprattutto, niente di ciò che GG Alllin fa è motivato dal desiderio di diventare famoso, ricco o rispettato.”


è un fenomeno (da baraccone, direbbero in tanti): si auto-mutila parti del corpo, si esibisce nudo, si destreggia in rapporti sessuali orali, era sua abitudine defecare dal vivo per mangiare e lanciare merda sul pubblico, picchiava i fan con l’asta del microfono e sistematicamente ogni suo concerto finiva in rissa. E l’asta del microfono chissà dove. G. G. Allin incarna il cattivo che tutti vorremmo essere, è un concentrato di trasgressione e di disagio che ognuno di noi vive dentro di sé e non ha il coraggio di manifestare. Perché la sua libertà di espressione ci spaventa. Perché la sua scorrettezza è in piena armonia e coerenza col suo pensiero deviato mentre ai più appare come qualcosa di socialmente inutile e depravato, da non prendere come esempio. È in continuo conflitto con la società, la stessa che l’ha etichettato e spedito ai margini dell’universo, e non ne fa nessun dramma. Tra un’esibizione e l’altra, tra guai con la legge e con la droga, G.G. vive in fretta e muore in fretta, all’età di trentasei anni. Probabilmente di overdose, e il suo funerale capovolge tutti i tabù occidentali sull’affrontare la morte: un party selvaggio dove si continuò a bere, a trasgredire e a drogarsi. Nella normalità dell’era tecnologica del terzo millennio costellata dal logorio quotidiano, dal suono sordo delle dita sulla tastiera, quest’ultime estensioni vitali del nostro corpo e dalla pigrizia degli analgesici virtuali, riuscire a distrarsi dalla distrazione 37

diventa ardua impresa. L’avvento dei palmari wi-fi ha tramutato gli uomini in rabdomanti di ultima generazione. Il concetto di stravaganza si scrolla di dosso il suo contenuto bizzarro per essere l’assoluto protagonista di una società “originale” preparata a pennello dall’industria dei media. È così che la normalità diventa una mina vagante. Addirittura lo schermo ha disinibito anche l’ultimo baluardo dei timidi. Ha aperto le percezioni dell’human being a qualsiasi tipo di emozione cybernetica. Questa svolta ha condannato gli internauti alla ricerca costante di oggetti nuotanti non identificati. La nostra finestra sul mondo affaccia su giardini di pixel, tutti curati nei minimi particolari e la sua vista, dopo un po’, ci stanca gli occhi. Dietro il nostro giardino di pixel si nasconde una porta segreta da decifrare attraverso la fitta rete dei codici Java. Se la nostra normalità quotidiana ci porta a percorrere questa strada, non riesco a cogliere differenza tra noi e i mostri.


GG Allin ritratto in una foto di famiglia insieme al fratello in un raro momento di felicità. Nella pagina precedente, Allin adagiato nella propria bara insieme alle inseparabili bottiglie di superalcolici, foto delle sue band e soprattutto, il microfono. “A mio parere, il benessere e il conformismo sono i due più grandi nemici”, disse. “Voglio morire in modo tragico. E un’idea che mi eccita seriamente. Ho vissuto un mucchio di anni in un breve periodo di tempo. Non ho intenzione di vivere una vita stupida e noiosa, senza sfide. Voglio andarmene giù tra le fiamme. Perché no?” Allin promise di suicidarsi sul palco durante la notte del 31 ottobre. Per motivi contrari alla sua volontà, il suicidio venne rimandato al 31 d’ottobre dell’anno seguente, ma Allin non arrivò mai a quella data. Morì in una squallida stanza dell’East Village in seguito ad un’iniezione di eroina, nel gran silenzio della solitudine e non su un palco rumoroso. La sera prima aveva tenuto il suo ultimo show. Durò pochi minuti, poi rissa con il pubblico e la solita fuga dalla porta di retro del club.

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Filippo Anniballi indigna, strabilia e sorprende alla stessa maniera in ogni sua frase, parola, punto e congiunzione. Questo è un estratto di un capitolo di “Milingo contro tutti”, romanzo delirante e angoscioso, frenetico e irreverente, uscito da poco per la giovane casa editrice partenopea Ad Est dell’Equatore

HEIDI,TRA INCESTO ED EROINA S

iamo tutti devoti al consumo, in sbellicarmi pensando al creativo che in una maniera o nell’altra, si tratti di maniera così poco subliminale, invece canali satellitari, minidisc, detersivi di agire sulla mia voglia di partire per miracolosi, coscette qualche destinazione di pollo, bamba, esotica, va a solleticare GLI STORPI, GLI elettrodomestici direttamente i miei intelligenti, abs o OBESI E I BRUTTI genitali. FALCIATI Baywatch allieta milioni ketamina. Provo a VENGONO immaginare quanti DAI CECCHINI DELLA di teledipendenti non uomini abbiano TROUPE PRIMA DEL con il crack, ma con il un’erezione davanti CIAK silicone, labbra tonanti alla reclame di una e culi perfettissimi che di vacanza sul Mar tanto in tanto trascinano Rosso che pone l’accento su un paio dei nuotatori in affanno a riva, mentre i di tette abbronzate. Da sempre siamo pettorali di David Hasselhoff diventano inconsciamente attratti da rotondità che inesorabilmente flaccidi, puntata dopo richiamano il confortevole utero materno, puntata. Non ci sono steroidi o cerone anche se quando vi soggiornavamo che tengano. Gli storpi, gli obesi e i eravamo ciechi. Forse, grazie al tatto, brutti vengono falciati dai cecchini della abbiamo conservato l’amore per le troupe prima che arrivi il ciak. Raffiche linee morbide e le circonferenze. Molti di calibro nove parabellum tingono di progettisti si dannano per dare alle rosso scuro il bagnasciuga, mentre la proprie creazioni curve ergonomiche, risacca trascina via frattaglie e brandelli mentre, negli uffici accanto, pubblicitari di cellulite. Gli attori, dopo una pera rampanti puntano direttamente su di collagene, fanno il loro trionfale un paio di mammelle. Mi viene da ingresso sul set, i macchinisti e gli 47


operatori si prendono a pisellate fra loro. Guardando i cartelloni, mi domando se Alan Shearer si fa davvero la barba con un Gillette elettrico e se l’ingrediente fondamentale del Jack Daniel’s sia davvero la pazienza. Noia e apatia vengono combattuti a colpi di shampoo schiarenti, telenovela e kundalini yoga. [...] Il risveglio è lento e brutale. Bocca impastata e gengivite, per fortuna niente aria nello stomaco. Mia madre a Trento, il frigo sempre più triste e la cucina che

delle grosse referenze, ma è abbastanza per illudermi di essere bravino. Ricky potrebbe avermelo detto perché stava fatto, mentre mia nonna poteva essere in balia dell’Alzheimer. Il caffé è pronto, lo sorseggio tastando le tasche dei bermuda stile colonnello Kilgore alla ricerca dell’accendino. Frullo la tazzina nel lavello e mi accendo una sigaretta sentendomi un po’ messicano. Me ne sto in piedi a riflettere su ciò che sarà di me da qui alle prossime ore,

sembra una risaia del Delta del Mekong. Metto il caffé sul fuoco. Dicono che sono bravo a fare il caffé, una delle poche cose che sono in grado di fare assieme agli speedball. Sono stati in due a farmi i complimenti: mia nonna e, ora che ci penso, Ricky Mannite. Non sono certo

minuti, secondi. Al terzo tiro, mi sale una cagata. Entro nel cesso con l’agilità di un ninja. Mentre constato l’assenza di carta igienica, squilla il telefono. Mi alzo tenendo le chiappe ben strette con lo scopo di limitare per quanto possibile i NARRATIVA

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danni. Afferro la cornetta al quinto squillo: «Pronto». «Sono Milingo». «Ah, Monsignore! Mi pesca in un momento abbastanza critico». «Bum bum?». «Che?». «Fucky fucky?». «Cosa?! Veramente stavo sulla tazza del cesso. Che fa, sfotte? Guardi che mi sono appena svegliato». «Ti richiamo?». «No, no… veniamo al sodo, vogliamo incontrarci oggi?». «Oggi va bene, fratello». «Perfetto, vogliamo fare nel pomeriggio? Ci metto un po’ a riprendermi», faccio rigido come un corazziere sull’attenti. «Alle sei?». «Alle sei va bene. Dove?». « Piazza Venezia, conosci Piazza Venezia?». «Certo che la conosco. Ci vediamo alle sei». (…) Alle cinque e mezza esco di casa. Dalla mia fresca casa a ciò che resta dell’afa pomeridiana che è sempre troppo per uno termosensibile come me. Dopo aver imboccato il corso, faccio uno slalom selvaggio tra turisti giapponesi, nordici, ispanici e coatti nostrani in pieno struscio. Arrivo con cinque minuti d’anticipo. Davanti a Palazzo Venezia metto il cavalletto e sfilo una sigaretta dalla tasca dei miei stupendi bermuda. Accendo una Diana mentre aspetto che l’esorcista africano si faccia vivo. Chiedo l’ora a un passante e, mentre mi libero della cicca, mi sembra di vedere il mio uomo all’interno di uno scassone bianco. È un’Alfasud in condizioni pietose, inutile dire che Milingo, al suo interno, è una presenza inquietante. 49

Il santone sorride e mi domanda: «Tu signor Failips?». «Sì eminenza, per voi semplicemente Failips». Lego il motorino e mi faccio strada tra due vecchie bagasce napoletane che devono averlo riconosciuto. Salgo in macchina, salutiamo le vecchie e ripartiamo. Milingo è molto più ridicolo di persona che sulle foto dei giornali. È un ometto di mezz’età avvolto in una tonaca bianca piuttosto malridotta. Assomiglia a un rospo, un rospo sul punto di esplodere. Una specie di afro brizzolato ne esalta l’aspetto da ciarlatano. Dopo un breve, ma sofferto tragitto, troviamo un parcheggio sul Lungotevere. Un pub in centro dovrebbe fare al caso nostro. Forse attireremmo meno attenzioni in un qualche buco sulla Casilina o a Centocelle, ma l’idea di imbattermi in persone che conosco mi disorienta. Sarebbe difficile fornire delle spiegazioni e mi sento ancora in dovere di salvaguardare la mia reputazione. Mi sono fatto prestare dei soldi da Wonderboy: sebbene l’esorcista non abbia parlato di compensi, ho l’impressione che un paio di birre non gli faranno schifo. Trascorro appena cinque minuti in sua compagnia e, per quanto in un’altra situazione mi sarei già pentito, stringo i denti visto che sono proprio deciso a non fargliela passare liscia al nano. Per quanto sia riluttante ad ammetterlo, Milingo è l’unico asso nella manica di cui dispongo.


CIRO MARINO (SCRITTORE PIGRO) CI DICE QUALCOSA IN PIU’ SUL LIBRO.

Pazzo,ironico,razzista, paranoico,violento, presuntuoso. Sono queste le principali caratteristiche che delineano il carattere di Filippo Sanzini, protagonista di Milingo contro Tutti, raccontate dallo stile pungente, sarcastico, graffiante, di Filippo Anniballi: uno stile che colpisce in pieno volto il lettore, come se le lettere di questo romanzo fossero cazzotti poderosi. Milingo contro Tutti è diviso in due parti, nella prima ci fa sfondo una Roma diversa da come siamo abituati a vederla, farcita da assurde e psichedeliche presenze. Ci accolgono personaggi onirici come il nano Juanito, l’infermiere Arturo e il Monsignor Milingo, arma e braccio reale o immaginario di Filippo e delle sue allucinanti ideazioni. Nella seconda parte Filippo è chiamato ad una missione: ritrovare, a Londra, la figlia scomparsa di una coppia di ricchi borghesi. A metà tra Burroughs e Céline, Anniballi ci trascina con sé in un iperuranio surreale e agghiacciante, tossico e sballoso di pura nullafacenza.

NARRATIVA

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ARTISTA Cursive TITOLO Mama, I’m Swollow LABEL Saddle creek Non confondete i Cursive con uno qualunque di quei gruppetti che vi vengono propinati attualmente, gente che non ha neanche la metà dell’ombra dello spessore dei Cursive. Quell’immensa pletora di gruppi annoiati (e noiosi), che producono dischi per gente noiosa, sonnecchiando tra le rassicuranti braccia della moda e del mercato, totalmente ottusi e indulgenti verso la loro pochezza d’idee e personalità. Continuano ad uscire dischi che non vogliono dire nulla e sono sulla falsariga di mille altri, riguardo ai quali la gente cerca di scervellarsi nella speranza di dargli un qualche spessore, quando basterebbe dire: “È proprio una merda, non ne voglio sapere, amico!”. Il pubblico è annoiato a tal punto da non rendersene più conto, dando ormai per scontato che dalla musica più di un certo livello di coinvolgimento non possa ricevere, ma soprattutto che non


si possa chiedere niente di più di quello sterco precotto che ci fotte il cervello. Pubblico e artisti sono protesi in uno scambio reciproco di masochistica accondiscendenza, comodi nel loro intorpidimento. Che l’indifferenza ci protegga dall’autocritica. Gruppi come i Cursive, t’impediscono di accettare un passaggio da James Dean, dopo che l’ennesimo disco che ascolti è un disco medio. Sono quei gruppi che hanno una ragione di esistere e sono frutto di una necessità che non è dribblabile. Giunto al sesto album, dopo gli esordi di emo ruvido e seminale risalenti al 1997, il quartetto del Nebraska procede sulla linea tracciata in passato, pur rinnovandosi ad ogni nuovo lavoro, proponendo una miscela difficilmente riconducibile ad un genere preciso. Il disco si svolge tra atmosfere languide e sospese, che si intersecano con repentini passaggi più incalzanti e rumorosi; la sensazione che emerge distintamente è che i brani tendano ad essere più scuri e vuoti, forse anche in relazione ai concetti espressi nelle liriche. Nonostante lo stampo fortemente chitarristico – a volte dissonante ed eclettico altre volte di matrice più tradizionale – l’utilizzo di altri strumenti come ad esempio violini, pianoforte e fiati, arricchisce determinati passaggi, contribuendo all’atmosfera generale. Per quanto riguarda i testi, è la condizione dell’uomo ad essere indagata, non in stretto riferimento alla politica o alla religione come avveniva nel precedente Happy Hollow, ma più che altro come essere vivente. Di come

l’evoluzione gli abbia imposto una serie di costruzioni, di ruoli da interpretare, e come la coscienza lo porti a vivere dei conflitti di ordine morale e sociale, relazionandosi con i misteri e le miserie della vita. Il tutto affrontato con la caratteristica ironia drammatica frutto di una prosa matura quanto tagliente. Il disco si apre con la ripetitiva, quanto aggressiva, In the now, nella quale viene ripetuta fino allo sfinimento la frase “Don’t wanna live in the now, Don’t wanna know what I know”, come se queste parole potessero liberare dall’essere coscienti di ciò che ci circonda; il concetto viene poi esplicitato nel successivo verso “While history repeats, The present won’t repent”. è un vero e proprio esorcismo ad essere compiuto in Mama I’m satan, partendo dalla confessione iniziale “You’re going to tell your lurid world The true intentions of these songs…Every record I’ve written has left me smitten”, fino a chiudersi con “All in all we’re pawns, The darkness of mankind stirs in us all”. In Donkeys, con un chiaro riferimento alla favola di Pinocchio, “The reverend says beware, he swears we’re going to hell, We may be donkeys but at least we have a tale to tell” dove la vicenda ruota attorno al lasciare la via che ci viene detta di percorrere, per seguire i nostri desideri. La nostra condizione di esseri evoluti non ci mette al riparo dal fare del male o dal senso di colpa, come nel verso “So what’s that something sinister inside, We act so civilized ,Devils in tuxedos” in We are going to hell. Anche l’amore è oggetto di un’estenuante analisi celebrale, in quello che è il pezzo più melodico dell’album I could not love you, dove sentenzia “Love MUZAK

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22222 is an affliction. No, it’s a cure, It’s a contradiction that harms and heals”. Storia analoga avviene nel singolo From the hips dove si dice “I hate this damn enlightenment, We were better off as animals, right?”. L’intero disco può essere, concettualmente parlando, ben riassunto dalla canzone Caveman “I want to unlearn what I’ve learned, Want to unearn what I’ve earned… Because I’m tired of standing upright, The taller we become the more dollars we can grab from that highest branch“. Nella parte conclusive in crescendo di what have I done?, il brano che chiude l’album, il cantante sbraita sgolandosi “You’re young and you’re going to be someone, Then you’re old and you’re ashamed of what you’ve become[…] what have I done?”. Beh, io una risposta ce l’avrei: un disco che vale.

ARTISTA Guns n’ Roses TITOLO Chinese Democracy L'album più atteso della storia, quindici anni di distanza dall'ultimo "The Spaghetti Incident" per quello che

rimane dei Guns (Axl e il fido Dizzy Reed alle tastiere). Dimenticatevi di Slash, Duff, degli alberghi sfasciati, di Use Your Illusion e di Appetite For Destruction, è solo così che potrete avvicinarvi e forse apprezzare questo disco. Onore al merito, saranno stati pure tanti i problemi: l'uscita, l'attesa, gli avvocati, i continui leak usciti su internet ma l'artefice di tutto questo nel bene e nel male, di questo carrozzone mediatico che ha scosso l'intero pianeta musicale è lui: Axl Rose, il 47enne di Lafayette, che torna a ruggire per i suoi deliranti fan. Tanto scalpore che si è risolto poi in riscontri di vendite non entusiasmanti (500.000 in Usa e disco di platino, e "solo" due milioni nel resto del mondo). Ma la musica?? Già in effetti c'è anche quella...Quando dai blocchi di partenza parte la title track, incendiaria e fascinosa, è come se i Guns non se ne fossero mai andati. Inutile girarci intorno singoloni come "Madagascar", "If The World" e la gia citata "Chinese Democracy" hanno tutto quello che un ascoltatore-medio cerca: ritornelli, chitarre che ammiccano sfacciatamente, il fascino da disco impegnato (ci sono parti di un discorso di M.L.King) e una mega produzione che solo loro possono permettersi (13 milioni di dollari non sono pochissimi). Libero dai fantasmi del passato Axl spinge sull'acceleratore e nel bel mezzo del disco si dimenticano di essere i Guns (che effettivamente non sono) e diventano i Sister of Mercy in “Shackler’s revenge”, una rock band priva del sacro fuoco in "There was a time", sino ad arrivare a "Ryad and the Bedouins", peggiore episodio dell'album insieme all'insulsa chiusura

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222222 affidata a "Prostitute". In mezzo però tante idee, tanto talento (in Better), e ottime canzoni interpretate brillantemente dalla voce arruginita del rosso cantante che piaceranno a tante persone. La voce di Axl è cambiata, ugualmente stupenda, le chitarre non sono di Slash ma di Bumblefoot e Robin Finck (Ex Nine inch Nails) e viaggiano ugualmente in interminabili assoli che ti lasciano incantati, i concerti non saranno più come quelli della "Live Era", ma d'altronde non siamo più nel ‘90 ma nel 2009. Tra le mani ci rimane un'ottimo disco e il coraggio di una persona che andando avanti, fregandosene di tutto e di tutti, è arrivata fino ad oggi, vent'anni dopo e un ottimo disco tra le mani. Bentornato AXL. Alessandro Paldo

ARTISTA No Strings Left TITOLO Street Sailors Romance Band interessante i No Strings Left. Nati da neanche un anno dalla congiunzione

di alcuni membri di altre band del napoletano (Joeblow-Blast’em) questi ragazzi ci consegnano un primo lavoro totalmente autoprodotto sia in fase di registrazione che di mixaggio. L’ Ep in questione è “Street sailors romance”, la prima carta d’identità che la band mette a disposizione per chi vorrà capirne di più della loro musica. Il lavoro infatti è in free download sul loro space (www.myspace.com/nostringsleft). Partiamo dall’ artwork che, devo dire, si integra con originalità e stile nei canoni delle autoproduzioni e si sposa perfettamente con il titolo del lavoro (molto azzeccato, colpisce fin da subito); un prodotto ben fatto insomma, proprio da conservare e procurarsi, aldilà dei brani che si possono scaricare da internet.. Dicevamo il titolo: i No Strings Left vogliono probabilmente (smentitemi se no è così) farci capire che le 5 tracce di questo ep vogliono sintetizzare un percorso..un romanzo appunto.. che stanno tracciando i 4 “marinai” e che, spero per loro, potrà portarli lontano.. in un momento che segna la crescita a Napoli di un genere, quello punk – garage che può anche godere di una certa riscossa “modaiola” tra i più giovani.. E il riferimento ad un personaggio come Pete Doherty (in particolare nella sua fase “The Libertines”) è d’obbligo…in particolare in brani come “The way they feel” e “Prettymess’dup”, in altri brani invece (penso a “What i say”) prevale una certa attitudine californiana, più vicina al punk rock. Sicuramente gli episodi più riusciti si rivelano apertura e chiusura (con piccola sorpresa) del lavoro. “Always ready for her” ha tutte le carte in regola per fungere da singolone

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22222 trainante. La sua versione demo, infatti, era stata già inclusa in varie compilation indipendenti e bisogna dire che in questa nuova versione il brano recupera più impatto: chitarre interessanti, graffianti e volutamente imprecise, ritmica sostenuta con rullante bene in evidenza, voce fancazzista al punto giusto.. un brano che sintetizza al massimo il suono e lo stile della band.. Anche Love/Lust si muove sulla stessa linea, punk’n roll senza troppi fronzoli, diretto e presuntuoso quanto basta... Un lavoro, per concludere, che lascia intravedere un buon futuro, con tutti i punti da migliorare ovviamente presenti in una band comunque molto giovane anche all’anagrafe...da tenere sicuramente d’occhio. Alessandro Panzeri

ARTISTA Starsailor TITOLO All the Plans Finalmente dopo quattro anni tornano gli Starsailor, i quattro "ex giovani" di Wigan. A dire il vero non tutti avranno sentito

la mancanza di questi quattro inglesi, visto che la carriera di Walsh e soci è stata sempre segnata da picchi di rara qualità alternati a vere e proprie carenze d'affetto da parte del grande pubblico. Il problema degli Starsailor è proprio questo...troppo di qualità per chi ascolta musica commerciale, troppo commerciali per chi ascolta musica di qualità...e allora loro si sono sempre ritrovati nel mezzo di una scena che non li ha mai accettati del tutto. Ci hanno provato loro, dopo Love is Here (il capolavoro d'esordio), scomodando prima Phil Spector (e i suoi celeberrimi Wall of sounds) per Silence is Easy, e Ron Wood e le sue chitarre per quest'album. Effettivamente la qualità di questo lavoro è notevole e l'attesa non tradisce i fan. La definizione "Brit Pop" è immediata, anche se ogni tanto perdono la mira precisa, vagando tra qualche bluesaccio da Highway americana (Stars and Stripes) e qualche scontata ballad di chiusura (Safe At Home). Il talento, quello effettivamente, c'è...e nonostante siano cresciuti ce lo mostrano ancora, come nell'apertura "Tell me it's not over", nell'eterea e Coldplayana "Neon sky", e nell'acustica "Boy in waiting" (anche se sembra presa direttamente dal disco di James Blunt, e immagino questo non piaccia troppo a Walsh). Un disco interessante e piacevole...ma il problema è sempre lo stesso: Ne' di qua, ne' di là...non è pop, non è rock, non è punk, non è soul. Così finisce che nessuno se lo sente addosso e gli Starsailor, purtroppo per noi, rimangono altri quattro anni a casa. Dalle parole di James Walsh: “Non siamo accettati dalle casalinghe, che hanno portato al successo Coldplay,

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222222 Travis, Keane e Snow Patrol, ma allo stesso modo, non siamo accettati dal pubblico cool di Arcade Fire, Elbow e Interpol. Sarebbe carino se uno di questi due mondi ci dicesse ‘Unitevi a noi, è carino qui!’” Lo ha capito anche da solo... Alessandro Paldo

MELKE E FUCKSIA SI SONO SCAMBIATI I DISCHI E L’UNO HA RECENSITO IL LAVORO DELL’ALTRO.

MELKE VS

FUCKSIA MELKE - POLAR TIME

FUCKSIA - PHOTOPHOBIE

…Algidi paesaggi asettici in cui sussurrare struggenti e mute verità dettate dall’anestesia forzata del nostro subconscio. Adulti sognanti che rincorrono le loro ossessioni fino allo stremo delle forze, alla ricerca di qualcosa contro cui combattere, per poter tornare a sognare. Digressioni mentali e allucinazioni uditive che trascinano in lande desolate e abbandonate dal tempo, immacolate nel loro candido splendore. Corro. Mi inginocchio, senza volto, senza identità statiche e prestabilite, piango e sorrido. Assaporo. Vivo. Una ragazza mi accarezza, mi stringe forte a sé sussurrandomi dolcemente : | Guarda, Il Sole. Torniamo indietro, è ora di gelare. Apro gli occhi e capisco di non conoscere Easton Ellis. E’ il momento di gelare… Play.

Osservare, pensare alla finestra mentre piove, abbracciare il suono che ti culla con malinconie e immagini a volte ballabili perchè no, anche tristi, glockespiel ridondanti e sempre presenti, ricordi di giostre, ritorni bambino, inventi giochi. Il nuovo lavoro di Fucksia “PhotoPhobie” si può descrivere così. Un ottimo esordio, stile assolutamente personale a volte troppo evidente, insomma un disco bello sopratutto al primo ascolto di That’s Christmas e Multnomah che personalmente riescono a entrarmi dentro e le fobie iniziano a farsi sentire, ma sono piacevoli:abbracciami e baciami.

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“L’altra notte mentre uscivo fuori dalla discoteca mi è passata a quattro metri la mia vita. Camminava col bicchiere e un vestito nero, mi ha guardato, ma non mi ha cagato. La conosco bene, è in collera con me. Mi rimprovera le cose che non ho potuto fare, mi rimprovera le parole che non ho voluto dire … ”

MOLTHENI Intervista di Andrea Saladino Pensieri, parole, emozioni, la “Vita Rubina” di Umberto Giardini, in arte Moltheni. Lo incontriamo in occasione della tappa del suo tour a Nola (prov. di Napoli), all’HanaBi, locale sinceramente non attrezzato per eventi di tale richiamo, con spazi angusti e discreta disorganizzazione. Lo strana “forma” del locale (con un muro che non rendeva agevole la vista del palco) e la sala molto piccola non hanno permesso l’esibizione agli annunciati opening act Onirica e Abulico, ma nonostante tali dubbi sul luogo del concerto, il “calore” della musica di Moltheni non è mancato. Un artista cangiante, che ha attraversato tanti generi e tante forme nella sua musica, per approdare alla dimensione “folk-intimista” nel suo “I segreti del Corallo”, disco uscito nel 2008 su etichetta La Tempesta/Venus. Moltheni, classe ’68, sei un figlio della rivoluzione. Giunto agli anni “maturi” per eccellenza, quei 40 che mettono spesso paura all’uomo, esci con questo disco, “I segreti del Corallo”, in cui la tua maturità, sia musicale che mentale, sembrano essere linea portante dell’intera opera. Un folk chiaramente inspirato alla grande scena americana, dal mito Nick Drake alla più recente scena “New Weird”. Sai, quando invecchi e maturi, quando passano gli anni, impari tante cose. Ed una delle cose che ho imparato a fare, col

tempo, è ascoltare. Maturando si “impara” ad ascoltare, cambia il tuo gusto verso alcuni strumenti. Ad esempio la chitarra: dici bene, sono nato in anni “rivoluzionari”. Il mito della chitarra elettrica alla Hendrix lo abbiamo avuto tutti, in gioventù ho fatto punk, ho suonato rock, poi scopri il piacere che può darti il suono di una chitarra acustica. Quella “freddezza” nel suono che dona calore, la bellezza di una singola nota, suonata bene e con la giusta intensità. Sono un grande e appassionato ascoltatore della scena folk americana, dai classicissimi come Cash, alla fredda intensità di Nick Drake, che nelle sue canzoni lasciava trasparire quel malessere che poi lo portò alla morte. Per non parlare del grande Jeff Buckley. “I segreti del Corallo” è un disco estremamente ispirato, scritto volutamente e con il desiderio di toccare con mano alcuni sensazioni umane come il ricordo, il domani,l’amore. E’ un disco “vibrato”, molto autobiografico. In che luoghi hai scritto i testi e le musiche de “I segreti del Corallo”? Amo la Svezia, i paesaggi e la tranquillità “nordica” di quei luoghi. Indubbiamente visitare un paese così diverso dall’Italia mi ha colpito, e mi ha aiutato a far “venire fuori da me” tutte quelle sensazioni e quei sentimenti che volevo mettere sul disco. Ma MOLTHENI

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in realtà avrei potuto scriverlo ovunque, nella casa al mare oppure in una stanza totalmente bianca. Avevo la mente libera, il disincanto necessario, ho provato ad eliminare tutte le barriere della mia mente, ho scritto, scritto e scritto. E sono usciti i segreti del corallo… Molti testi del tuo album sono a dir poco “visionari”, nel quale l’influsso di “menti”

come quella di Syd Barrett mi sembra un ottimo riferimento. In “Oh,Morte” immagini che “sarà tutto bianco, nella trasparenza vedo la mia origine”. Poi concludi con “ gatto del mio cuore, dormi dolcemente. Ogni cane oggi finalmente sciopererà”… Un vero e proprio flusso di coscienza, che ci porta a pensare alla tranquillità insita nella fine. Indubbiamente Barrett, Drake, fanno parte del mio background musicale. Io adoro Barrett, il suo modo di scrivere mi ha sempre affascinato. Nella scrittura dei testi cerco sempre delle visioni, in questo mi rifaccio molto alla psichedelia. Magari riuscissi a 57

scrivere come in un vero flusso di coscienza, è un metodo che porterebbe ad esprimere in pieno le emozioni dell’animo umano. Sei un cantautore “emozionale”, nei testi si sente bene la voglia di portare alla luce aspetti e sensazioni su cui l’uomo, spesso, si lascia trasportare dalla frenesia e dalla velocità del mondo attuale, non prestando la dovuta attenzione. Il mio obiettivo è donare una visione dei

sentimenti che appartengono alla società di oggi, ai nostri tempi. In “I segreti del Corallo”, lo dice anche il nome, provo a svelare i “segreti” che l’inconscio tende a non rivelare, ma che appartengono a tutti. Poiché siamo tutti uguali. Sei nato a Sant’Elpidio a Mare, sulla riviera marchigiana. E il “mare” è un argomento ricorrente ne “I segreti del corallo”. In tutti i tuoi dischi spesso inserisci tracce strumentali che, con la musica, tracciano una chiara immagine di ciò che vuoi dire. Non è un a caso che, in questa occasione, il titolo sia “Che il


destino possa riunire ciò che il mare ha separato”. Non è un caso, assolutamente. Ho vissuto sul mare gran parte della mia adolescenza. Il paesaggio marino fa parte di me, quella poeticità, quel carattere sognante che possiede. E’ una sensazione che va oltre la materia “acqua”, è tutto ciò che noi associamo al “mare”: l’infinito, la riflessione, la solitudine. Quale è il tuo metodo di lavoro? Come componi ? La produzione nasce tutta chitarra e voce. Ed è una dimensione che mi affascina, mi coinvolge sempre maggiormente. In questo momento mi sto spostando verso questa dimensione molto personale, e mi piacerebbe riuscire a ricreare, quando sono con il pubblico, quell’intimità che si crea quando scrivi da solo, nella tua stanza. Ora sono in tour con un grande gruppo, abbiamo un palco stracarico di strumenti, essendo io appassionato al “suono” e alle sue particolarità. Ma non nego che la sicuramente la versione “chitarra e voce”, in concerto, è quella che mi interessa attualmente di più, anche per far concentrare maggiormente gli spettatori sui significati e sulle emozioni che vorrei trasmettere. E’ come se, negli anni, mi avvicinassi sempre più su me stesso, e ce ne ho messo di tempo…

di far conoscere a più gente possibile la nostra musica. Si dovrebbe sempre avere voglia di imparare, di ascoltare cose nuove. La mia cultura musicale non nasce da ieri, ma da domani. Per questo dico che saprò sempre un po’ di più di chi mi sta intorno. Perché sento la “necessità” di scoprire. Cerco di essere sempre avanti con i tempi, di prevedere cosa accadrà domani. Ho tanti progetti in cantiere, proprio per questa mia volontà di stupire, e di anticipare i miei tempi. A breve comincerà il concerto. Come sarà Moltheni stasera? Sarà Moltheni! Tutte le sensazioni che trasmetto ad un mio concerto sono assolutamente volute. E quel famoso “flusso di coscienza” che si sviluppa nel live, parte lentamente, raggiunge picchi, poi si tranquillizza, e poi si riparte. Perché è così che sono, e così mi sento. E così mi sentirete voi…

So che sei un grande appassionato, e “ricercatore”, di musica. In Italia c’è rispetto e comprensione verso la dimensione “folk”? Sicuramente una certa disattenzione da parte dei grande media è ben visibile. Con la parola “folk”, in Italia, si pensa alla musica popolare. E in questo si nota “ignoranza”. In Italia il folk di scuola “americana” lo stiamo portando avanti io, Vinicio Capossela e pochi altri, tentando MOLTHENI

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favou rite tunes from d tube

Youtube non serve soltanto a far perdere denaro alla Google. Tantissima gente comincia ad usarlo come juke box digitale durante i party casalinghi: inserisci il titolo del pezzo, carichi, e la folla comincia ad agitarsi. La cosa più interessante è che finalmente cominciano a girare anche tracce di artisti più sotterranei. In questa nuova rubrica chiederemo all’ospite di turno di elencarci i suoi pezzi preferiti. Il primo a cui abbiamo chiesto la propria playlist è Totally Lost People, il tizio che scrive Panzarotto Automatico su questa rivista


ALAN BRAXE vs DAFT PUNK Running Harder Un mix esplosivo realizzato da tal alberkam. Lui non lo conosco, nè tantomeno il metodo che ha utilizzato per ottenere questo mix; so soltanto che è potente, che il mix è perfetto e che la traccia di Alan Braxe, Running ha uno dei bassi più intriganti della storia della musica house. Per non parlare del campione che è stato utilizzato, un crescendo di concentrato di coro femminile, che non dico si accompagna ma è fuso direttamente con quelle note di basso di cui ignoro un aggettivo idoneo per descriverle nel modo appropriato. In tutto questo, aggiungete pure harder faster better strongerdei Daft Punk ed ottenete un’esplosione.

nella scatola cranica di moltissima gente di una certa scena underground partenopea che nemmeno i cartoni animati giapponesi più estremi. Solo uno stupro penso possa reggere il confronto emotivo. Io personalmento ho conosciuto questi suoni ultraterreni in una cassetta (le oramai preistoriche cassette che si usavano in auto o nello stereo) il cui titolo riportava “Richie Hawtin@ DUNE ‘96”. Quella cassetta rappresenta il colore del suono dell’entusiasmo. Quando scoprimmo quella cassetta, era già oggetto di culto e già vecchia di ben 4 anni. Conoscevamo pochissime persone che avessero partecipato a quella serata, l’invidia era alle stelle. Eravamo talmente fusi con quei suoni che - quando la cumana smetteva di circolare - ci intrufolavamo nella stazione con lo stereo per poterla suonare al massimo volume. Solo noi, il deserto suburbano della stazione, qualche grammo di hashish, e le psicopatiche note elettroniche della techno di Richie Hawtin del 1996 alle Dune. E soprattutto, la preziosa compagnia di una cosa che si presenterà sempre più raramente: l’entusiasmo.

THE ADVENT - Bad Boy (Planetary Assault System remix) SPACE DJZ - Side On Space DJZ sono Steve Stoll e Ben Long. Questa loro traccia ha lasciato più segni

L’entusiasmo, parte seconda. Se Side On è la versione psichica di quella sensazione, questo favoloso remix di Luke Slater è fisicità assoluta. La colonna sonora perfetta per tutti i tipi di trasformazione. Potente come una mandria di bufali incazzati, con quella FAVOURITE TUNES FROM D TUBE

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marcetta inesorabile e quelle scudisciate violente e soprattutto per quel lamento cyborg che si conclude con una specie di risucchio spaziale. Richie Hawtin ebbe la brillante idea di mixare questa traccia con Side On, una simbiosi ineccepibile.

MARK BROOM - Twenty Nine Sarà che son sempre stato affascinato dal lato “storto” delle capate, che altro non sono che espressione ad intensità massima del nostro lato oscuro e che più temiamo, e questo pezzone di Mark Broom lo vedo adattissimo in una sala piena di cazzoni strafatti di Mdma che su queste sirene prolungatissime e cupissime si girano intorno per capire o far finta di non sentire tutta l’energia negativa che piano piano sale su su su...almeno fin quando non riattaccano i beat possenti e rassicuranti che mettono a tacere tutti i pensieri cattivi (o consapevolezza).

APHEX TWIN - Heroes remix Gloria. Potenza. Estasi. Cosa altro aggiungere pur di evitare il rischio di sminuire la portata di questo brano? Non bastavano i suoni malati di Eno e la voce/personaggio David Bowie, un testo semplicemente bello e l’associazione con il famoso film di Cristine F. E’ impresa ardua riuscire a fare un remix decente di un pezzo stupendo ma stiamo pur sempre parlando di Richard James, il signor Aphex Twin. Che poi se proprio vogliamo dirla tutta, non è che abbia fatto chissà quali virtuosismi, difatti tutto il pezzo è basato solo (!) sulla voce di Bowie e gli archi di Philipp Glass. Ma a nessuno era venuto in mente di associare questi due mondi lontanissimi. Nessuno tranne lui, il genio degli anni ‘90.

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PREFUSE 73 - Half of What Dopo tanta roba diciamo danzereccia, un pò di suoni downtempo. E’ il disco perfetto se siete sulla statale 162 ed alla vostra destra sovrastano imponenti gli enormi edifici di vetro e acciaio del centro direzionale. Con un pò di schizofrenia potete anche pensare di non essere nella Napoli provinciale ma di trovarvi a NYC, diretti per chissà quale avventura underground a bordo della vostra cadillac. Invece no, siete sempre a Napoli e su una scassatissima Skoda state andando a Villaricca a cenare a casa dei vostri amici scoppiati. Ma questa stupenda musica di Prefuse73, con quel piano così terribilmente romantico vi aiuterà a sognare, e se nemmeno la musica può aiutarvi ad evadere al meno per un piccolissimo momento, allora siete seriamente, terribilmente, fottuti.


LES MOTS EROTIQUES XXX Il punto è questo. La Taschen si alza i milioni vendendo libri fotografici che ritraggono boxer pieni di ca**o, Terry Richardson si è basato sull’estetica della pornografia degli anni ‘70 per costruire la sua fama mondiale, su internet è stato fatto un calcolo che rivela che ogni due siti uno tratta di materiale pornografico, e il termine “sex” è una delle parole più inserite su google. A questo punto ci siamo chiesti: se la massa vuole sesso, perchè non buttarsi anche noi in questo business e aprire una sezione di narrativa erotica? E così per darci un tono abbiamo dato il titolo in francese e valutato tutta una serie di racconti deliziosi e stimolanti.


Il primo racconto di questa nuova sezione è stato affidato al talento narrativo di Eliselle.

LA TELECAMERA “Non capisco questa tua ostinazione, era così necessario comprare una videocamera?” Se ripenso a questa frase, detta sull’onda di un’emozione due mesi fa a Brian, sorrido e mi ricordo che ero davvero una stupida. Ora non potrei farne a meno, almeno credo. E’ diventata una dipendenza, una fissazione forse, una sorta di malattia, ma poi mi ripeto che non faccio del male a nessuno, non facciamo male a nessuno noi due, con quella videocamera. Ci divertiamo, semplicemente. E non è un male divertirsi, no? Tutto è cominciato il giorno prima del mio venticinquesimo compleanno: Brian arriva da me, esultante, esclamando “Ho trovato finalmente il regalo da farti... sarà una bella sorpresa, vedrai”. Lui non è stato certo l’unico uomo della mia vita, ma è sicuramente stato l’unico che mi ha compresa fino in fondo. Completamente. Non l’avevo capito nell’immediato, ma ora sì, l’ho ben chiaro. Il giorno dopo si presenta con un bellissimo pacco rosso scarlatto, avvolto da un nastro di raso bianco, dicendomi “Aprilo, e vedrai”. “Una videocamera?” lì per lì ero rimasta a dir poco stupita, un po’ delusa: nel mio cuore pensavo di trovare un completino

sexy o qualcosa di più intimo, di cui potessimo godere in due. Forse si aspettava che lo ricambiassi con un sorriso raggiante, ma il mio viso aveva sicuramente tradito i miei pensieri più nascosti, perchè Brian si era messo subito a descrivermi con trasporto il suo funzionamento, lo zoom, la luce, la registrazione, gli effetti... quasi a cercare di convincermi che era un ottimo acquisto e un onore per me riceverlo in dono. Nulla da fare. “Ma che ci faccio io con questa? Abbi pazienza, non sono nemmeno capace di tenere in mano una macchina fotografica, figurati se mi metto a usare una videocamera!” “Puoi sempre imparare, amore...” Ho imparato. Mi considero anche brava, come regista, più come protagonista a dire il vero. Mi diverto a farmi filmare, lo trovo eccitante da morire. Brian ha sempre saputo della mia intrinseca natura esibizionistica: l’ha omaggiata in questo modo, ora lo so. Quello che amo di lui è che non la soffoca, ma la cura e la coltiva come qualcosa di veramente prezioso. Era questo che non avevo capito, due mesi fa, quando si era presentato a me con quel dono. E’ per questo che sono ormai così sicura che è lui l’uomo della mia vita. Ha saputo vedere e leggere dentro di me una potenzialità, un’attitudine che anche a me era rimasta celata per lungo,


LES MOTS EROTIQUES XXX

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lunghissimo tempo. Questo è amore? La prima volta che è accaduto non ho sentito imbarazzo, ho sentito altro: Brian, innocentemente, “per provare” aveva detto lui, mi aveva chiesto di fare uno spogliarello. Io non ero convinta, ma su sua insistente dolcezza avevo cercato di lasciarmi andare, tentando di non pensare a quella videocamera. Ma più mi sforzavo, più il pensiero che tra me e lui ci fosse un corpo estraneo che prima non esisteva mi infastidiva: quell’oggetto piccolo e lucente, quel terzo incomodo, quell’obiettivo che si avvicinava invadente e poi si allontanava intimorito, mi rendeva nervosa. A tempo di musica scivolavano via i miei indumenti uno dopo l’altro, ma quell’occhio rimaneva lì, tra me e lui, a farla da padrone. Lo trovavo artificioso, inutile. Mi accarezzavo la pelle liscia delle cosce abbronzate per togliermi le calze autoreggenti, girandomi a guardare le reazioni di Brian, aspettandomi di vederlo con lo sguardo pieno di desiderio, ma mi ritrovavo sempre davanti questa protuberanza molesta che mi impediva di riflettermi nei suoi occhi, e mi celava la vista che più mi interessava. Era oltremodo irritante. Che cosa poteva trovarci di così eccitante in quell’arnese... non capivo. Mi sentivo ridotta, filtrata, come se quello che veniva immortalato nella memoria di quell’aggeggio fosse un surrogato di me stessa, della mia sensualità e questo, forse, inconsciamente mi umiliava. “Che succede?” la sua domanda a bruciapelo mi aveva bloccato: se n’era accorto. La cosa mi aveva sollevato. “Non mi sento adatta sai?” “Ma amore, ma se sei bellissima...” Mi ero avvicinata a lui appoggiando il ginocchio destro tra le sue gambe e spostando la videocamera dal suo viso, per poterlo baciare: mentre assaggiavo le sue

labbra potevo sentire bene il rigonfiamento che mi sfiorava la pelle, potevo toccare il risultato della mia danza. “Tieni le scarpe, voglio possederti così... ora” “Spegnila, però...” avevo risposto indicando l’estranea. “E perchè? Togliersi il gusto proprio ora?” poi aveva aggiunto... “La cosa più eccitante è quando dopo ti riguardi...” La frase di Brian aveva rimbombato nel mio cervello senza preavviso, avevo capito che finalmente si era acceso qualcosa in me. L’impaccio in un solo attimo si era trasformato in curiosità. Una curiosità bruciante. Che cosa voleva dire? Quella curiosità aveva abbassato ogni mia resistenza, la nemica si era trasformata all’improvviso in un’alleata. Dovevo sapere, e solo lei poteva darmi le risposte che cercavo. La videocamera accesa, appoggiata al letto e puntata su di noi, aveva filmato ogni cosa: le sue mani sui miei piedi, ad accarezzare con le dita i tacchi vertiginosi, la sua lingua sul mio seno, sui miei capezzoli turgidi, le mie cosce chiuse attorno al suo collo mentre con le sue labbra mi succhiava il clitoride, avidamente. E poi il suo sesso fremente e rigido che premeva sul mio ventre, che mi penetrava prima con dolcezza e poi sempre più con foga. Infine il mio orgasmo liberatorio, la mia bocca rosso fuoco schiusa in un grido di piacere, e lui, che mi inondava di liquido caldo il collo. Un amplesso intenso, avido, consumato in fretta. La tengo tra le mie mani ora, la riconosco, è proprio in questa cassetta la nostra “prima volta”: catalogata insieme alle altre, “g.a.m.e. #1”, la prima di una lunga serie. Eravamo esausti dopo quei minuti di sesso, ma era bastato uno sguardo d’intesa,


e Brian mi aveva fatto la fatidica domanda: “Vuoi rivederti subito? Non vuoi nemmeno aspettare?” Aspettare che cosa? Credevo di morire dalla voglia di rivedermi. “No, adesso...” Avevo atteso che collegasse la videocamera alla televisione in camera da letto: lo guardavo mentre svolgeva nudo il suo compito, tra i cavi e le prese, sdraiata sul letto. Dentro di me qualcosa premeva, una sensazione che conoscevo bene. L’avevo provata le prime volte che Brian mi possedeva. Era la sensazione della novità, era come se attendessi di conoscerlo nuovamente. Seduto accanto a me, mi accarezzava la schiena mentre i miei occhi erano immersi nelle immagini di noi due che come mossi da una Furia ci amavamo, si perdevano nei gesti che solo pochi minuti prima avevamo compiuto lì, sul bordo di questo letto: era come assistere all’amplificazione di me stessa, di noi. Io, che fino a poco fa mi ero sentita ridotta, depredata della mia sensualità, attraverso gli occhi di quella stessa videocamera mi rivedevo più grande, più forte, più sexy che mai. Il mio respiro davanti a quelle immagini di sesso, dove io ero la protagonista assieme al mio uomo, si era fatto più affannoso, avevo allungato la mano all’inguine di Brian e avevo sentito la sua virilità tradire l’eccitazione. Mi ero chinata su di lui, accarezzandogli con la lingua il membro e prendendolo tra le labbra, e lo sentivo pulsare sempre di più grazie al mio sapiente lavoro, mentre lui si godeva un’altra me stessa muoversi sullo schermo e mi accarezzava i capelli sciolti. Lo confesso, in quel momento mi sono sentita una vincitrice. In quel momento ho capito che cosa intendeva, con quella frase... “La cosa più eccitante è quando dopo ti riguardi...”


In quello stesso momento abbiamo rifatto l’amore, guardandoci e riguardandoci. E abbiamo continuato, una volta finito il filmato, mentre lo schermo della televisione si colorava di nero. Quando esausti ci siamo buttati l’uno tra le braccia dell’altra, nulla era più come prima, non poteva esserlo. E’ diventata indispensabile: non ce ne separiamo mai. Quando usciamo, quando rincasiamo dal lavoro, quando passiamo le domeniche a casa, la videocamera è sempre con noi. Io e Brian ci divertiamo a filmarci, soprattutto io. Ma a volte non siamo soli. In questa cassetta, “g.a.m.e. #5”, ho diviso la scena con Mary, la mia migliore amica: è stato un caso, lei si trovava nella mia città per lavoro, ho preparato in suo onore una cena a base di pesce in cui sono stati versati fiumi di vino bianco, e ci siamo ritrovati a raccontarci di questa nostra nuova passione per i mini filmati. L’idea le è piaciuta e quando Brian le ha proposto per scherzo di apparire al mio fianco non ha saputo dire di no. So che non era propriamente uno scherzo, ma lui l’ha voluto far apparire tale. Mary è stata naturale, sin da subito, d’altro canto tra le due la più disinibita è sempre stata lei. Quando io e il mio uomo abbiamo rivisto questo filmato non ci siamo fermati sino al mattino: Brian adora vedermi con le altre donne, gli provoca un’eccitazione grandissima, e ho scoperto che anche a me piace. A volte mi chiedo se sarebbe stato lo stesso, se sarebbe mai accaduto qualcosa tra me e Mary se non ci fosse stata questa videocamera a spianare la strada. Regala opportunità imprevedibili. Intanto, meticolosa, tengo in ordine l’archivio in previsione di altri arrivi: a volte mi chiedo che cosa accadrebbe se dovessi scoprire una cassetta sconosciuta, o se al contrario fosse proprio Brian a trovare un filmato che io sola ho girato. Chissà, probabilmente verrebbe considerato alla

stregua di un tradimento. Non c’è accordo, non c’è mai stato, ma sono convinta che mi farebbe male vedere che il nostro gioco possa trasformarsi in un gioco individuale, e credo che deluderebbe anche lui se iniziassi singolarmente e senza chiederglielo. Preferisco non farlo. Rovinare tutto per essere regista e protagonista insieme? Non sono egocentrica fino a questo punto.

Eliselle è nata a Modena e lavora come copywriter. Ha al suo attivo i romanzi Laureande sull’orlo di una crisi di nervi, Nel paese delle ragazze suicide e Ecstasy love. Ha scritto il romanzo storico Francigena – Novellario a.D. 1107 con Sorrentino e Covili, firmandolo col suo nome e cognome. Il suo ultimo romanzo è uscito per la Newton Compton col titolo Fidanzato in affitto. Alcuni suoi testi vengono rappresentati in teatri off milanesi per lo spettacolo Strettamente Riservato. Collabora con diverse riviste online e cartacee di attualità, erotismo e cultura e per la rubrica L’insano testo di Blue. I suoi siti personali sono eliselle.com ed il portale di attualità delirio.net


10 | RISING.REPUBLIC MAGAZINE / SUBBART #11


SUBBART MAGAZINE ANNO 1 N°7

WWW.SUBBART.TK MYSPACE.COM/SUBBARTMAGAZINE

subbart è FABRIZIO MARRENO / MARTIN ERRICHIELLO / DIEGO ASTORE / ALESSANDRO PANZERI hanno collaborato in questo numero CARLO BEVILACQUA / ELISELLE / ANDREA PALADINO / ANTONIO DI VICO / FEDERICO GALLI / RAFFAELE GALLO / ALESSANDRO PALDO il prossimo numero sarà fuori a settembre. a tutti voi auguriamo un’estate piena di danni e di amore.

saluti dalla SUBBA family RT



SUBBART#7,THE FREAKS ISSUE


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