Synaxis 1993 XI

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Nuova serie - Xl - 1993

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO & ISTITUTO PER LA DOCUMENTAZIONE ELA RICERCA S. PAOLO CATANIA


ProprietĂ letteraria riservata

.fotoco1nposizione SSG - studio sislemi grilfici Acireale.

sta1npa Tipolitografia Galatea di Gaetano Maugeri & C. s.a.s. Via Pie1nonte 34 - Acireale


SYNAXIS NUOVA SERIE

Synaxis nei dieci anni di intensa attività che ha finora svolto ha «messo insieme», come il suo nome indica, studiosi di provenienza ed interessi vari, suscitando l'attenzione del inondo scientifico, in particolare nel campo della cultura filosofico-teologica e della ricerca storica. I risultati conseguiti imponevano a Synaxis, pertanto, un ulteriore impegno di qualificazione. Al contempo, il nuovo assetto giuridico dello Studio Teologico S. Paolo, conseguente alla aggregazione alla Facoltà Teologica di Sicilia, 14 settembre 1990, comportava che il S. Paolo avesse una pnbblicazione periodica. Considerato che Synaxis di fatto è sempre stata vicina al S. Paolo e, dopo l'aggregazione, ha riservato una sezione a tematiche etiche, si è deciso di assumerla ufficialmente come pubblicazione periodica dello Studio Teologico, iniziando però una Nuova serie. Per il futuro sarà quindi edita in cogestione: Studio Teologico S. Paolo e Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo. Il Comitato scientifico del periodico è costituito dai Professori stabili dello Studio, mentre il Comitato di redazione è formato dai Professori stabili e iucaricati. A partire dal 1994 la rivista avrà periodicità semestrale, e la nuova struttura sarà la seguente: * sezione teologico-morale: tematiche programmate dal Comitato scientifico all'interno di una prospettiva ermeneutica


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Presentazione

pastorale, intesa nel senso dell'allocuzione conciliare Gaudet Mater Ecclesia, per cui la dottrina deve essere indagata ed esposta «ea ratione [ ... ] quam tempora postulant nostra»; * sezione miscellanea con_ docu1nenti e studi; * note e com1nenti; * recensioni. La rivista, quindi, si caratterizzerà maggiormente a partire dalla specializzazione in teologia morale assegnata al S. Paolo. Tale opzione non equivale ad una esclusiva assunzione delle tematiche etiche, bensì alla definizione di una identità più precisa, senza tuttavia rinunciare al confronto con altre prospettive e tematiche. Assistiamo, in questi anni, ad una crescente scommessa della teologia morale su problemi nuovi, legati allo sviluppo delle scienze e ai mescolamenti di popoli e culture: Synaxis intende offrire il proprio contributo a questa fatica collettiva.

Synaxis non rinuncia, inoltre, ad incrementare il riferimento alla cultura e all'ambiente siciliano, sia in connessione con le questioni etiche di attualità relative all'isola, sia per la ricerca e la pubblicazione di fonti su momenti e personalità che hanno caratterizzato la storia della Sicilia, in particolare la storia della sua Chiesa e della sua religiosità. Catania, Natale dcl Signore 1993

LA REDAZIONE


LA SPERIMENTAZIONE SULL'EMBRIONE UMANO: CONSIDERAZIONI ETICO-GIURIDICHE

MARIA LUISA DI PIE1RO'

Introduzione Per una ricostruzione storica delle tappe che hanno portato alla messa a punto della tecnica di fecondazione in vitro (FIV), il che ha reso poi possibile la disponibilità di embrioni su cui sperimentare, è necessario partire dal 1969, anno in cui il gruppo di ricercatori del Laboratorio di Fisiologia della Riproduzione dell'Università di Cambridge ha pubblicato i primi risultati di tentativi di fecondazione di oociti umani in vitro': su 56 oociti, inseminati con una sospensione di spermatozoi, in terreno di coltura, 18 sono stati fecondati. Nel 1970, lo stesso gruppo è riuscito a far procedere lo sviluppo degli zigoti'

* Docente invitata nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. 1 R.G. EDWARDS, D. BAVISTER, P.C. STEPTOE, Early stages offertilization in vitro of luanan oocytes 111atured in vitro, in Nature 221 (1969) 632-635. Per quanto concerne gli aspetti biomedici dell'argomento in esame, vedi: A. SERRA , la sperimentazione sull'enibrione un1ano: una nuova esigenza della scienza e della niedicina, in Medicina e Morale 1 (1993) 97-116. 2 Con il termine zigote si indica la cellula uovo fecondata contenente il patri1nonio genetico completo dell'individuo e risultante dalla fusione dei gan1eti maschili e femminili.


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Maria Luisa Di Pietro

ottenuti fino allo stadio di 4, 8, 16 cellule\ e nel 1971 ha ottenuto la formazione di due blastocisti apparentemente normali 4 • Nel 1978, è nata -ad opera di Edwards e Steptoe 5 - la prima "figlia della provetta": la scoperta di questa nuova tecnica di fecondazione artificiale apriva la strada non solo alla possibilità di dare un bimbo a tutte quelle coppie che lo rivendicano come un diritto', ma anche - come già detto - di utilizzare gli embrioni ottenuti in vitro come "materiale biologico" di sperimentazione. Gli embrioni fecondati in vitro possono essere impiegati in numerosi studi morfologici, citogenetici e biochimici, per migliorare le conoscenze sulla fecondabilità dei gameti, sui meccanismi di differenziazione cellulare e sul ruolo di specifici componenti molecolari nella fase dell'impianto, sui fattori coinvolti negli stadi iniziali della formazione e sui meccanismi di differenziazione degli organi (sistema nervoso, etc.), sugli effett•i delle alterazioni cromosomiche e degli agenti teratogeni ed abortivi sulla crescita e lo sviluppo embrionale. Sulla possibilità di proseguire la ricerca su entrambi i fronti (sterilità e sperimentazione) - e con una mentalità alquanto pragmatica tenendo conto del "materiale" sul quale si sperimenta - così scrive il Presidente del Jones Institute for Reproductive Medicine: «Per migliorare i risultati terapeutici è necessario integrare i talenti di scienziati di base e clinici» 7 • Ed ancora, così si pronuncia Edwards:

3 R.G. EDWARDS, P.C. STEPTOE, J.M. PURDY, Ferti/ization and c/eavage in vi-

tro of preovulation luonan oocytes, in Nature 227 (1970) 1307-1309. 4 R.G. EDWARDS, P.C. STEPTOE, J.M. PURDY, Hu111a11 b/astocysts grown in culture, in Nature 229 (1971) 133. Con il tern1ine blastociste si indica quello stadio di segmentazione della cellula uovo fecondata corrispondente alla fase di blastula e caratterizzata dalla formazione di un nodo embrionale e di una vasta cavità eccentrica. 5 R.G. EDWARDS, La vita prùna deffa nascita, Frassinelli, Varese 1990. 6 E' da precisare che vi è differenza tra l'espressione "diritto al figlio", che non ha tra l'altro alcun riconoscimento in sede giuridica non essendo il figlio una proprietà, l'espressione "diritto del figlio". Nel secondo caso si vuole ribadire il diritto del bambino - fin dal conccpi1nento - alla tutela della vita e della salute e a crescere all'interno di una famiglia (L. EUSEBT, Diritto alla vita o diritti sulla vita? La soggettività u111ana dell'en1brione in una sentenza paradign1atica del Tennessee, in// diritto di Fan1iglia e delle Persone 3 [1990] 863-870). 7 H.W. JONES, Jr., Preface, in H.W. JONES, C. SCHRADER, In vitro fertilization and other assist ed reproduction, in Annals of the New York Acade111y of Sciences 13 (1988) 541.


La sperùnentazione sull'e111brione uniano___ _

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«Presto la stimolazione ovarica permetterà di avere tre, quattro o più embrioni: due saranno trasferiti nella madre e gli altri due potranno essere studiati in vitro»"; mentre il Medicai Research Council dichiara: «Una ricerca scientificamente valida, implicante esperimenti sui processi e sui prodotti della fertilizzazione in vitro tra gameti umani, è eticamente accettabile e dovrebbe esserne ammesso il proseguimento, con la condizione che non si abbia l'intenzione di trasferire in utero un embrione che risultasse da, o fosse stato usato in, tali esperimenti» 9 •

l. La sperùnentazione sull'enibrione uniano

L'utilizzazione di embrioni o feti umani nella sperimentazione può perseguire diverse finalità, che dipendono, oltre che dal disegno sperimentale, anche dalle modalità della fecondazione (in vivo o in vitro) e dalla fase di sviluppo del prodotto del concepimento. Esponiamo qui di seguito - in modo schematico - i vari filoni di ricerca avviati in questi ultimi anni. Miglioramento delle condizioni di coltura in vitro degli embrioni umani. La constatazione che la percentuale di bambini nati dopo fecondazione in vitro fosse molto bassaw, ha stimolato i ricercatori ad approfondire le ricerche sulle prime fasi di sviluppo dell'embrione umano allo scopo di individuare le cause di arresto dello stesso. Si è, infatti, notato che la causa della perdita della maggior parte degli embrioni già allo stadio di 2-4 cellule è la presenza di aberrazioni cromosomiche dovute ad una piccola modificazione di

8 R.G. EDWARDS, The case of studyng en1b1yos and their costituent tissues in vitro, in R.G. EDWARDS, J.M. PURDY (a cura di), Hu111a11 conception in vitro, Acadcmic Press, London 1982, 371-388. 9 MEDICAL REASEARCH COUNCIL, Research related to luanan fertilization and en1brio!ogy, in British Medica{ lournal 285 (1982) 1480. JO Con1e è noto la percentuale di bambini nati (i c.d. "bambini in braccio") dopo ricorso alla fecondazione in vitro è solamente del 5%, cioè su 100 uova fecondate (c1nbrioni) solo 5 riescono a "nascere" (M. SEPPALA, The tvorl collaborative report 011 in vitro fertilization and e111bryo rep!ace111ent: current state of art in JanuaJ)' 1984, in Nelv Anna!s of New Acade111y of Sciences 442 [1985] 1-22).


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temperatura". Questa constatazione ha stimolato lo studio sul metabolismo dell'embrione umano in via di sviluppo allo scopo sia di ottimizzare i mezzi di coltura al fine di protrarre il più a lungo possibile, almeno fino al 14° giorno, la vitalità dell'embrione in vitro, sia di trovare dei criteri per identificare tra 6 o più embrioni in apparenza normali i due o tre che sono di fatto i più sani e, quindi, con maggiore probabilità di sopravvivenza 12 • Selezione di embrioni con tecniche di diagnosi preimplantatoria. Un'altra linea di ricerca è lo studio della possibilità e fattibilità della diagnosi pre-implantatoria di malattie genetiche 13 , allo scopo - si dice - di trasferire in utero soltanto embrioni geneticamente sani, evitando così «la necessità di abortire per cause genetiche, offrendo alle coppie a rischio di iniziare la gravidanza sapendo che l'embrione non è affetto» 14 • Miglioramento delle condizioni di crioconservazione degli embrioni. Come è noto i processi di congelamento e scongelamento dell'embrione possono comportare alterazioni del patrimonio genetico: l'individuazione di adeguate tecniche di crioconservazione degli stessi consentirebbe di facilitarne la donazione ad altre coppie o di

11 P.R. BRA UDE, M. JOHNSON, S. PICKERING, C. VINCENT, Mecha11isn1s of early

en1b1yo {oss in vivo and in vitro, in M. CHAPMAN, G. GRUNDZINSKAS, T. CHARD (a cura di), The en1bryo. Nonna! and abnonnal developn1ent and groi,vth, Springer-Verlag, London 1991, 1-10. 12 K. HARDY, M.A.K. HOOPER, A.I-I. HANDYSTDE, A.J. RUTHERFORD, R.M.L. WINSTON, H.J. LEESE, Non. invasive 111easure111ent of g!ucose and pyruvate uptake by individuai hun1a11 oocytes and preùnplantalion e111bryos, in Hu1na11 Reproduction 4

(1989) 188-191; A. MCLAREN, Research on the !n1111an conceptus and its regulation in Britain today, in Journa! (~{ the Royal Society of Medicine 83 (1990) 209-213. 13 Sull'argomento cfr.: Io., Prenata/ diagnosis be/ore ùnplantation: opportunities and problenis, in Prenata! Diagnosis 5 (1985) 85-90; J.M. GORDON, Micron1a11ipulatio11 of enibryos and genn cells: an approach to gene Therapy?, in Anierican Journal of Medica! Genetics 35 (1990) 206-214. Vedi anche il recente documento del COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Diagnosi Prenatali, Presidenza del Consiglio dei Ministri~ Diparti1nento per l'Informazione e per l'Editoria, Roma 1992. 14 A. MCLAREN, Reasearch ... , cit. Vorrcm1no precisare che l'eliminazione di un embrione, pur se ancora non impiantato nell'utero della madre, è comunque un aborto e co1nc tale andrebbe vissuto sia dalla madre che dal medico.


La sperùnentazione sull'enibrione uniano

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procrastinare il trasferimento nell'utero della madre in un secondo momento, in presenza di migliori condizioni per l'impianto". Individuazione di tecniche contraccettive e abortive. Gli embrioni umani possono essere utilizzati per valutare l'efficacia di nuove tecniche contraccettive o abortive 16 • Ad esempio, per quanto concerne la sperimentazione di tecniche contraccettive, ricordiamo gli esperimenti finalizzati allo studio e analisi degli effetti dei vaccini anti-zona pellucida: gli effetti dei vaccini vengono poi valutati con tentativi di fecondazione in vitro 17 • Uso di cellule o tessuti embrionali/fetali a scopo di trapianto. Tessuti ed organi di embrioni e feti u1nani possono essere, ancora, utilizzati - a seconda dell'epoca di sviluppo - per essere trapiantati in soggetti già nati. Si tratterebbe di interventi sicuri da un punto di vista medico in quanto non vi sarebbero problemi né di rivascolarizzazione chirurgica come si verifica per i trapianti degli organi ùi toto né di rigetto. Sospensioni di timo fetale sono state utilizzate per correggere immuno - deficienze, mentre innesti di midollo osseo fetale hanno potuto ripristinare l'immunocompetenza e la funzione emopoietica in soggetti compromessi 18 • Sono stati realizzati anche innesti di substantia nigra, tessuto produttore di dopamina, proveniente da feti umani, in soggetti affetti da morbo di Parkinson, malattia causata appunto dalla carenza di dopamina e dei suoi procursori a seguito della perdita

15 M. PLACTOT,

Medicai assis!ed procreation: ho1v far can the bio!ogists go?, in Hu111an Reproduclion 4 (1990) 206~217; P.R. BRAUDE, M.J-1. JOHNSON, En1bryo research: yes or no?, in British Medicai Journa! 299 (1989) 1348-1350. 16 A. DYSON, J. I-IARRIS, Experùnenls on e111bryos, Routledge, London 1990. 17 G.J. HENDERSON, R.J. AITKEN, Contraceptive potential o.f anlibodies to zona pellucida, in Journal of Reproduction and Ferti!ity 83 (1988) 325-343. 18 Y.H. THONG et al., Succes~ful restoration of in11nunity in the Di George syndro111e lvith feta! thyntic epithe!ia! transplant, in Arch. Dis. Child. 53 (1978) 580584; E.D. THOMAS, Marrow transp!antation for non 111a!igna11t disorders, in NEJM 3 l l (1984) 1629-1630.


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di cellule nervose in alcune zone ben precise dell'encefalo ( substantia nigra, locus coeruleus, gangli della base)". Ma i tessuti embrionali e fetali possono essere utilizzati anche per l'isolamento di virus e la preparazione di vaccini; per l'estrazione di ormoni; per la preparazione di RNA messaggero; per l'isolamento di antigeni oncofetali; per lo studio dei meccanismi di differenziazione sessuale20 . E' da precisare che, nel caso in cui si utilizzano feti umani, questi provengono non da fecondazione in vitro ma da aborti per lo più provocati con tecniche differenti a seconda dello stato in cui si vogliono ottenere i tessuti 21 • Infatti, mentre con l'isterotomia, usata fino agli anni '70, i tessuti si mantenevano in buone condizioni sì da essere idonei per l'attività clinica e di ricerca, con l'induzione farmacologica dell'aborto, mediante prostaglandine, i tessuti fetali sono meno utilizzabili. La tecnica dell'isterosuzione manterrebbe invece gli embrioni in "buono stato di conservazione". E per facilitare l'uso di questi tessuti sono state istituite, già dal 1957, le c.d. banche di tessuti fetali che conservano, selezionano e smistano quanto rimane dei feti abortiti.

2. Il problema etico Il più grande limite delle scienze sperimentali, come hanno avuto modo di precisare e argomentare illustri epistemologi come

19 A.G. SPAGNOLO, E. SGRECCTA, Prelievo di organi e tessuti fetali a scopo di trapianto. Aspelli conoscitivi e istanze etiche, in A. BOMPIANI, E. SGRECCIA, Trapianti d'organo, Vita e Pensiero, Milano 1989, 47-84. 20 M.J. SELLER, E. PHILIPP, Reasons far wishing to perfonn research on hun1a11 en1byos, in G. DUNSTAN, M.J. SELLER (eds.), The status of hu1nan e1nb1yos, I<ing's Fund, London 1988, 22-32. 21 B. MARKOWSKI, S.D. LAWLER, Use of early fetal tissues obtained fro1n suction lennination of pregnancy, in The lancet I (1977) 186-188.


_______La_~'p~e_r_ùnentazione_~!!_ll'enibrione uniano

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Popper e Jaspers 22 , è il non interrogarsi sulla dimensione ontologica della realtà su cui si sta sperimentando. In altre parole, anche se da un punto di vista fenomenologico l'embrione umano ai primi stadi di sviluppo può apparire solamente come un grappolo di cellule in via di differenziazione e di organizzazione - il che non lo farebbe distinguere dalle altre specie animali - bisogna domandarsi cosa esso sia realmente da un punto di vista ontologico e se l'inizio del suo essere individuo-persona umana è da porsi al momento del concepimento o in un secondo momento dello sviluppo. Le risposte a questi interrogativi possono venire da un'attenta analisi dello statuto dell'embrione umano, analisi che deve essere necessariamente multidisciplinare, richiedendo una valutazione non solo biologica (lo statuto biologico) ma anche filosofica (lo statuto antropologico) e etica (lo statuto assiologico). Ed allora, se si dimostrasse che l'embrione ha già dal momento della fecondazione - quando ci appare solamente come un grappolo di cellule - la dignità di un individuo umano e di una persona umana, lo scienziato, che pur sostenesse l'impossibilità di condurre queste indagini su altro "materiale", dovrebbe rimettere in discussione il proprio operato, interrogandosi su quale sia - e qui ci rifacciamo alla nota distinzione kantiana - al di là del fenomeno il noumeno dell'entità sulla quale sta intervenendo. Lo statuto biologico dell'embrione umano. La storia di ogni essere umano ha inizio dalla fecondazione cioè dalla penetrazione dello spermatozoo nella cellula uovo: da questo momento in poi la nuova entità ha una propria individualità e autonomia. Come è stato, infatti, dimostrato dai recenti studi della genetica molecolare'', il centro che programma e decodifica le informazioni per una graduale realizzazione del progetto è il genoma umano, il

22 Sul teina della giustificazione epislen1ologica in bioetica, vedi: E. SGRECCIA, Manuale di Bioelica. I fònda111e11ti ed etica bion1edica, Vita e Pensiero, Milano, in corso di pubblicazione, cap. Il. 23 J.L. MARX, Genes !hai conlrol deve!op111enl, in Science 213 (1981) 14851488; Io., Prob!ing gene action during deve!op111e11t, in Science 236 (1987) 29-31.


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quale identifica la cellula uovo fecondata (embrione unicellulare) come biologicamente umana e ne specifica l'individualità. E' questo genoma che conferisce all'embrione umano enormi potenzialità morfogenetiche, che l'embrione attuerà gradualmente durante tutto il suo sviluppo attraverso una continua interazione con il proprio ambiente sia cellulare che extracellulare da cui riceve segnali e materiali 24 . Abbiamo detto che l'embrione è autonomo nel sno sviluppo: è da precisare che tale autonomia non è, però, totale, in quanto è necessario l'impianto in utero femminile per poter continuare la crescita, anche se questa dipendenza non è dissimile dalla necessità costante che un individuo umano adulto ha di acqua, di aria e di cibo per sopravvivere. Una volta iniziato, lo sviluppo embrionale si svolge in modo graduale ma continuo: questo comporta che le strutture embrionali prima di arrivare a forme più complesse devono passare attraverso forme più semplici, senza però perdere la propria identità individualizzata. E' uno sviluppo che si svolge - tranne nel caso in cui non vi siano i1npedimenti intrinseci o estrinseci - senza interruzioni, e in cui ogni fase successiva necessita della presenza della precedente in un concatenarsi inestricabile di eventi: in qualsiasi punto la catena si rompe, si ha la morte dell'individuo. Sull'inizio della vita individuale umana al momento della fecondazione non vi è però accordo tanto che si tenta, in modo arbitrario, di posticiparlo a fasi successive della gravidanza in cui si riterrebbe essere più manifesta la "umanità" dell'embrione: la quattordicesima giornata dalla fecondazione, momento della formazione della stria primitiva o del completamento dell'impianto o dell'eventualità di una gemellazione omozigote; la quarantesima giornata dalla fecondazione in cui si può registrare l'inizio dell'attività del sistema nervoso centrale;

24 A questo proposito è tnolto interessante - anche se datata - la teoria di alcuni autori francesi, che riconoscono all'embrione anche un ruolo atlivo nella fase di iinpianto in utero: C. THIBAULT, M.C. LEVASSEUR, L'ù11p/a11tatio11. le raie de /'e111bryon, in A. NETTER, A. GORJNS (cJs), Actuafites Gynecofogiques, Masson, Paris

1986, 121-134.


La sperùnentazione sull'enibrione iunano

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il sesto mese di gestazione quando l'embrione assume una morfologia "umana".

Prima di questo momento - secondo queste teorie - l'embrione sarebbe solo un insieme di cellule che potrebbero divenire un individuo umano ma che attualmente non lo sono: e nell'incertezza si preferisce chiamare questo indefinito "quid" pre-embrione. E' quanto è stato proposto per la prima volta dalla genetista inglese Mc Laren, durante i lavori del noto Comitato Warnock25 • Secondo la Mc Laren, la cellula uovo fecondata già in fase di segmentazione è da considerare preembrione fino al 14 ° giorno dal concepimento, momento in cui si renderebbe evidente la linea primitiva con la differenziazione delle cellule destinate a divenire l'embrione vero e proprio dalle cellule destinate a formare i tessuti placentari 26 • Già nel 1975 il fatidico termine dei 14 giorni, come momento in cui inizia l'esistenza dell'individuo umano, è comparso in una Sentenza sull'aborto della Corte Federale Tedesca27 , laddove si considera il problema dell'accertamento della gravidanza: non si voleva parlare della possibilità per la donna di accertare la gravidanza se non a partire dal momento in cui si manifestano i sintomi soggettivi o obiettivi (rilevabili cioè mediante indagini ormonali). Successivamente anche l'Ethics Advis01y Board degli Stati Uniti nel 197928 e la Commissione Walter dello Stato del Victoria (Australia)

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M. WARNOCK, A question of l(fe. The Warnock Report on luunan fertilization and entbriotransfer, Basi! Blackwel!, Oxford 1985. 26 A. Mc LAREN, Prelude to e111bryogenesis, in AA. Vv ., Ciba Foundation. Htanan e111bryo research: yes or no?, Tavostock, London 1986, 5-23; Io., !VF. Reg11latio11 or prohibition?, in Nature 341 (1989) 469-470. 27 BUNDESVERFASSUNGSGERJCHT (DEUTSCHE BUNDESREPUBLIK), Leitsatze Zlllll Urteil des E'rsten Senats vani 25. Februar 1975, in L'aborto nelle Sentenze delle Corti Costituzionali, Quaderni della Giurisprudenza Costituzionale, Giuffrè, Milano 1976, 179ss. Con1e è noto la considerazione dello status dell'embrione umano ha subito delle n1odifiche nel panora1na giuridico tedesco, venendo riconosciuto che l'esistenza di un individuo u1nano inizia al motnento della fecondazione (vedi a questo proposito la legge sulla fecondazione artificiale, E111bryonenschutzgesetz - ESchG, 13.12.1990, e la Sentenza dcl 28 1naggio 1993 della Corte Costituzionale tedesca in materia di aborto). 28 ETHICS ADVISORY BOARO (DHEW), HEW suppor! o.f research invo/ving hunian in vitro ferti!ization and e111hl)'Otransfer, U.S. Governmenl Printing Office, Wa-

shington D.C. 1979.


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nel 1984 29 indicarono il 14° giorno come termine ultimo per sperimentare sull'embrione. Questa teoria viene ripresa anche da altri autori come Grobstein («Il preembrione umano ha un insieme speciale di caratteristiche che lo distinguono biologicamente dall'uovo che lo precede e dall'embrione che lo segue. Esso è individuo geneticamente, ma non morfologicamente») e da Ford («La comparsa della stria primi ti va è il segnale che si è formato ed ha incominciato ad esistere un solo embrione propriamente detto e individuo umano. Prima di questo stadio non avrebbe significato parlare di presenza di un vero essere u1nano in senso ontologico»}w. E, contemporaneamente, vennero formulate nuove teorie per giustificare questo termine; il 14° giorno dalla fecondazione sarebbe il momento in cui si completa l'impianto nella parete uterina (e l'embrione comincia ad esistere in quanto in relazione con la madre) oppure sarebbe il limite oltre il quale, essendo ormai completati i processi di differenziazione cellulare, non è più possibile la divisione gemellare dello zigote 31 • Trattandosi di criteri molto arbitrari altri autori hanno - come già detto - proposto date diverse dalla 14' giornata dal concepimento come inizio dell'esistenza dell'individuo umano.

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GOVERNMENT COMMITTEE To CONSIDER THE SOCIAL, ETHICAL ANO LEGAL

lSSEUES ARISING FROM IN VITRO FERTILIZATION (Chairman: Louise Waller), Report 011 the dhposition of the en1bryos produced by in vitro fertilization, Victorian Governn1ent Printing Office, Melbourne 1984. 3 C. GROBSTEJN, Biologica{ characreristics o.f the pree111!Jlyo, in A1111als of the New York Acade111y of Sciences 541 (1988) 346-348; N.M. FORD, When did I begin? Conceplion qf the luonan individuai in history, phylosophy and science, Cambridge Unìversity Press, Ca1nbridge 1988. La stessa posizione è stata presa dal gruppo Politeia che in una Dichiarazione sul/'e111brin11e definisce pree1nbrio11e il prodotto del conccpi1nento fino al 14° giorno e, confondendo i termini individuo della specie u111a11a e persona 11111a11a, esclude che l'e1nbrione pri1na del 14° giorno sia una persona (l\1. MoRr fa cura diJ, Quale statuto per l'e111brio11e 111Ju1110. Problen1i e prospetlive, Bibliotechne, Milano 1992). 31 M. ZATTI, La prospettiva del biologo (Statuto biologico dell'e111brione), in AA. Vv., Procreazione artificiale ed interventi nella genetica urnana, Libri dell'Istituto Giuridico Italiano, CEDAM, Padova 1987, 185-186; W. RUFF, !ndividualitat und Personalitat in E111b1)'01utfe Werden Die Frage nach de111 Zeitpunkt der Geistbeseelung, in Theologie und Philosophie 145 (1970) 25-49.

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La sperùnentazione sull'en1brione u1nan_q_ ______________1_7

Per Malherbe, per esempio, l'embrione comincia ad esistere come individuo umano solo dal 6° -7° giorno dal concepimento, momento i.n cui inizia l'annidamento in utero e la blastocisti passerebbe dallo stadio di totipotenza a quello di unipotenza: da questo momento in poi sarebbe da intendere lo sviluppo come essere umano e solo di quell'essere umano 32 . Oppure viene proposta la 40" giornata dal concepimento, momento in cui si verifica la formazione e l'inizio dell'attività del sistema nervoso centrale; l'inizio delle funzioni cerebrali sarebbe indice della presenza di un individuo umano così come la loro cessazione ne decreterebbe la fine (morte cerebrale)". «La vita umana può essere vista come uno spettro continuo tra l'inizio della vita cerebrale in utero (ottava settimana di gestazione) e la morte cerebrale. Ad ogni modo, possono essere presenti tessuti e sistemi di organi, ma senza la presenza di un cervello umano funzionale essi non possono costituire un essere utnano, almeno in senso 1nedico» 34 . Ed ancora Donceel afferma: «lo non so quando l'anima umana è infusa nel corpo, ma sono certo che non c'è persona u1nana nelle prime settimane di gravidanza [ ... ]. Il minimo che si possa richiedere prima di ammettere la presenza dell'anima è la disponibilità di questi organi: i sensi, il sistema nervoso, il cervello e specialmente la corteccia cerebrale. Poiché questi organi non sono pronti durante i primi giorni del la gravidanza, sono certo che non c'è persona umana se non dopo parecchie settin1ane» 35 . Rimandando ad altri testi" per quanto concerne la confutazione delle teorie su esposte, ci limitiamo in questa sede a fare solamente alcune osservazioni.

32 J.F. MALHERBE,

L'e111bryo11 est-il 1111e personne lu1111aine?, in L11111iere et Vie

34 ( 1985) 19-33. 33

C. MANNI, R. PROIETTI, La 111orte e i para1netri clinici, in Medicina e Morale

2 (1988) 231-250. 14

The brain-lf/e theory: towards a consistent biologica/ delnananeness, in Journal of Medicai Ethics l l (1985) 198-204. " 5 J.F. DONCEEL, /111111ediate ani111atio11 and delayed ho111i11izatio11, in Theofogical studies 31 ( 1970) 76-1 06. 36 A. SERRA, Per un'analisi integrata dello "status" de/!'e111brione tonano. Alcuni dati della genetica e de!l'e111briologia, in S. BIOLO (a cura di), Nascita e 111or1e

fi11itio11

J.M. GOLDENING,

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Innanzitntto, bisogna precisare che se il termine pre-embrione venisse usato come innocua e semplice distinzione denominativa tra due stadi dello sviluppo embrionale, come ad esempio l'uso del termine zigote o blastociste, non vi sarebbe alcun problema: invece, si vuole consentire attraverso un giuoco verbale un uso non ammissibile. L'embrione è embrione sempre, fin dal momento del concepimento e prima esistono solo due cellule separate, la cellula uovo e lo spermatozoo che potrebbe divenire un individuo umano ma che non lo sono finché non si uniscono. Troviamo conferma a quanto detto nelle parole del genetista Angelo Serra: «Sono contrarie ai dati della scienza oggi noti e correttamente interpretati secondo i principi della logica biologica, le opinioni di coloro che ritengono che un dato individuo umano incomincia ad esistere al momento dell'impianto, o al termine dello stadio di impianto [ ... ]. Al contrario, tutti i dati della scienza oggi disponibili, interpretati senza preconcetti, dimostrano che già nello zigote, appena avvenuta la fusione dei due gameti inizia un nuovo soggetto umano il quale sotto il controllo del programma inscritto nel proprio genoma, esegue autonomamente e teleologicamente in una rigorosa unità funzionale il proprio piano di sviluppo in modo coordinato, continuo e, per legge generale, graduale» n Lo statuto antropologico dell'embrione umano. E' da chiedersi a questo punto se l'embrione umano oicre ad essere individuo umano è anche persona umana. I dati della biologia confermano che l'embrione umano è individuo della specie umana dalla fecondazione non consentendo, però,

del/'Uo1110, Atti del 46° Convegno dcl Centro Studi Filosofici di Gallan1te, Maricttì, Genova 1993, 55-106; ID., E111briopoiesi tanana, in A. SERRA, E. SGRECCIA, M.L. DI PIETRO, Nuova Genetica ed En1briopoiesi U111a11a, Vita e Pensiero, Milano 1990, 6786; ID., En1brione u111a110, scienza e n1edicina. In 111argine al recente docun1ento vati-

cano, in Civiltà Ca!tofica 2 (1987) 247-261; UNIVERSITÀ CATrOLICA DEL SACRO CUORE, Identità e statuto dell 1e111brio11e tonano, in Medicina e Morale 4 (1989), supplemento; P. CASPAR, Individualisation génétique et gén1effité: !'objection des jurnenaux n1onozygotes, in Ethique 4 (1992) 81-90. 37 A. SERRA, La sperùnentazione s11/l 1e111brione u111a110 ... , cit., 111-112.


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La sperùnentazione sull'enibrione tonano

di definirne il suo status di persona umana: questo è compito della riflessione filosofica. Ma sarebbe, allora, necessario definire prima cosa si intende con il termine persona umana per poi stabilire se l'embrione lo è. Pur essendo difficile dare una compiuta definizione e descrizione della persona, sia perché diversi sono i punti di vista (psicologico, filosofico, giuridico) sia perché probabilmente è una realtà più grande del nome e dei concetti stessi, bisogna sottolineare come non possa essere contestabile che la realtà ipostasi, come la denominavano i greci, o persona come l'hanno denominata i pensatori latini, vuole designare l'assoluta novità che il singolo essere umano rappresenta, fin dal suo apparire, nei confronti dell'universo. Questo vuol dire che, al di là delle considerazioni psicologiche e sociali sulla fenomenologia della persona umana, da un punto di vista ontologico l'individuo umano possiede ciò che consente il suo realizzarsi come personalità fin dall'inizio della vita embrionale. Non tutti riconoscono, però, in quel piccolo embrione una esistenza personale, considerandolo solo una realtà potenzialmente umana (personalità potenziale) o addirittura una pura possibilità di umanità, comunque non dotata di dispiegata coscienza. Di conseguenza ciò che potrebbe essere umano, ma non ancora lo è, non lo si considera alla pari di ciò che attualmente è un essere umano e non gli si riconosce neanche il diritto all'esistenza. A questo proposito così si legge nel parere della American Socie!)• of Fertili!)•: «Al preembrione si deve un rispetto più grande che ad ogni altro tessuto umano a causa della sua potenzialità a divenire una persona e per il significato simbolico che ha per molte persone. In ogni caso non dovrebbe essere trattato co1ne una persona, in guanto non ha ancora sviluppato le fattezze di una persona, non si è ancora costituito dal punto di vista dello sviluppo come individuo e potrebbe non realizzare mai il suo potenziale biologico»". Per altri autori l'essere persona si identifica con l'essere autocoscienti, capaci di attività libera ed intenzionale e l'esistenza della per-

:rn

AMERICAN SOCIETY OF FERTILITY,

AFS Publicatio11s, vol.

46,

n.

3,

p. 29ss.


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Maria Luisa Di Pietro

sana nmana verrebbe così subordinata alle sue capacità di esprimere il pensiero attraverso il linguaggio: «Qualcosa che non ha coscienza autocosciente - si dice - non può accorgersi del suo divenire soppresso e non può perciò neppure soffrire se viene eliminato; per soffrirne bisognerebbe che tale qualcosa tematizzasse il valore della vita, confrontando quest'ultimo con la non vita. Ma questa capacità di riflettere su di sé, di confronto con l'antitesi, di posizione dialettica del valore della vita attraverso la negazione del suo opposto, non può appartenere all'embrione ed al feto: il primo non ha coscienza, il secondo ha coscienza ma non autocoscienza: perché preoccuparsi se li si soppri1ne 7»·19 . Uno dei maggiori sostenitori di questa teoria è T. Engelhardt il quale, non evidenziando nell'embrione e nel feto quelle caratteristiche, a suo parere, proprie della persona umana, cioè l'autocoscienza, la razionalità e il senso morale, sostiene che: «non tutti gli esseri un1ani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono ese1npi di non persone umane. Tali entità sono membri della specie umana. Non hanno status, in sé e per sé, nella comunità morale. Non sono partecipanti primari all'impresa morale. Solo le persone umane hanno questo status»4o.

Queste teorie si accostano alla obiezione proveniente dai positivisti ed in particolar modo dai behavioristi: secondo questa corrente di pensiero il criterio di riconoscimento della personalità o individualità umana deriva dall'esame del comportamento". E poiché nel caso dell'embrione non sarebbe possibile cogliere delle manifestazioni che indichino un comportan1ento un1ano, l'unico comportamento a cui fare riferimento è quello materno: se la madre è accogliente nei con-

:w Vedi quanto riportalo da A. della ... cit., 45-49.

BAUSOLA, Pre111essa,

in E.

SGRECCIA,

li dono

40 T. ENGELHARDr, Jr., Manuale di Bioetica, Il saggiatore, Milano 1991, 126ss. Ritroviaino la stessa posizione in: P. SINGER, Etica Pratica, Liguori, Napoli 1989, 102. 41 E. SGRECCIA, Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano 1989, 255-256; B. RIBES, Pour une refon11e de la legafisation française relative a l'avort111ent, in Etudes I (1973) 66-69.


21 La sperùnentazione sull'en1brione u111ano -------

fronti nella gravidanza e riconosce il proprio bambino (riconoscilnento costitutivo), l'e1nbrione umano può essere considerato una persona. Secondo la teoria della relazione costitutiva, invece, l'embrione diviene persona solo nel momento in cui entra in relazione con la madre: cioè la umanizzazione dell'embrione dipenderebbe dalla capacità della madre di avvertirne la presenza". Vi è infine chi subordina l'umanità dell'embrione all'intenzione procreatrice dei genitori al momento in cui sono stati posti i presupposti per il concepimento": di conseguenza un embrione non desiderato o frutto di una violenza carnale non sarebbe da considerare un essere umano. Ma l'embrione umano, pur trovandosi in una particolare fase della propria esistenza in cui la forma umana esteriore, così come siamo portati con1unemente a pensarla, non è ancora espressa, non è comunque una pura potenzialità bensì sostanza vivente ed individualizzata: fin dal momento della fecondazione esso è in grado di guidare a maturazione una corporeità che possa servire ad esprimere, come in una epifania storica e terrena, le grandezze incommensurabili dello spirito umano 44 • Infatti l'embrione umano è un essere in cui il principio dello sviluppo e del mutamento è, come in tutte le sostanze viventi, interno alla sostanza stessa. E allora, equivoca e fuorviante I1espressione secondo cui rembrione è un uomo in potenza; ren1brione è in potenza un bambino, o 1

,

42 Riportato da: R. DI MENNA, Un1anizzazione ed anin1azio11e del concepito 11111a110, in AA. Vv., Scienza ed origine della vita, Orizzonte Medico, Roina 1980, 67. 43 B. QUELQUEJEU, La volonte de procreer. Re.f!exion philosophique, in Lu111iere et Vie 64 (1982). 44 Tra gli autori che sostengono una presenza personale fin dal concepin1ento, citia1no: J.F. CROSBY, Are son1e ln1111a11 beings not persons?, in Anthropos (ora Anthropotes), 2 (1986) 215-232; E. SGRECCJA, Manuale di Bioetica ... , cit., cap IX; ID., Scienza e origine de/la vita: fa dignità u111a11a sin dal concepùnento della vita un1ana, Università Cattolica del Sacro Cuore, Rotna 1990, 151ss.; D. TETTAMANZI, La co111unità cristiana e l'aborto, Paoline, Alba 1975; Io., Ba111bù1i fabbricati, Picn1me, Cusale Monferrato 1985; J. CARRACO DE PAULA, Personalità defl'en1brione ed aborto, in AA. Vv., Persona verità e 111orale, in Atti del Congresso Internazionale di Teologia Morale (Ro1na 7-12 uprilc 1986), Città Nuova, Roma 1987, 277-290.


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un adulto, o un vecchio, ma non è in potenza un individuo umano: questo lo è già in atto.

L'unità sostanziale insita nella cellula uovo fecondata rivela nel suo sviluppo una continuità sostanziale, proprio perché il principio dello sviluppo e del mutamento è, come abbiamo detto, interno alla sostanza stessa. Non si possono pertanto concepire esistenze diverse e successive del medesiino embrione vivente e questo è pienamente conforme al dato esperienziale ed embriologico: il medesimo soggetto sviluppandosi mantiene in ogni fase successiva l'unità ontologica con la fase precedente senza soluzioni di continuità. Se questo è vero si deve concludere sotto il profilo logico e razionale che ontologicamente c'è identità in tutto il percorso dello sviluppo di quella unica individualità che una volta nata viene da tutti riconosciuta in possesso delle qualità e della dignità di persona umana. Ed anche se da un punto di vista psicologico e sociale, la persona si realizza co1ne personalità in un lungo cammino di interscan1bi relazionali e culturali con l'ambiente, la sua esistenza personale è da porsi fin dal momento in cui viene posta in essere la sua individualità biologica. Inoltre, anche se nell'embrione umano non si ravvisano tutte quelle caratteristiche che consideriamo proprie di una persona sviluppata, bisogna tenere però presente che l'embrione è in sé finalizzato a divenire quella persona. E poiché il fine non è soltanto la conclusione di un percorso o, come in questo caso, di uno sviluppo, ma è ciò che lo orienta e lo determina, se ne deduce che quello zigote umano che è destinato a divenire quella persona lo sia già fin dall'inizio del suo apparire. Una prova dell'esistenza della persona umana potrebbe essere data dalla possibilità di dimostrare la presenza di un'anima spirituale nell'individuo in fase embrionale, ma lo stesso Magistero cattolico ha preferito non pronunciarsi - come viene precisato nella Istruzione Donwn Vitae del 1987 45 - su questo punto per almeno due motivi.

45

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione SII il rispelto della vita u111a11a nascente e la dignità della procreazione (22 febbraio 1987), Libreria Ed. Vaticana, Città dcl Vaticano 1987, I.I.


La s11erùnentazione sull'enibrione uniano

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Il primo motivo è che nessuna prova sperimentale può consentire di stabilire il momento in cui l'anima spirituale viene infusa, anche se le conclusioni della scienza sull'embrione umano sono - secondo il Magistero cattolico - sufficienti per discernere razionalmente una presenza personale fin dal primo comparire della vita umana; in secondo luogo lo stesso Magistero, a prescindere dalle riflessioni di indole filosofica, ha sempre ribadito in modo costante la condanna morale di qualsiasi aborto procurato e «questo insegnamento non è mutato ed è immutabile[ ... ]. L'essere umano va rispettato e trattato come persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento, gli si devono riconoscere i diritti della persona tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita»'°. Anche lo stesso S. Tommaso, che a causa delle imperfette conoscenze in tema di embriologia fu portato ad ammettere due fasi della formazione dell'uomo in ntero (una precedente ed una successiva all'infusione dell'anima per una presupposta discontinuità recettiva della forma umana), si dichiarava decisamente contrario all'aborto in qualsiasi fase dello sviluppo embrionale47 • Bisogna, però, precisare che per la persona di Cristo, lo stesso S. Tommaso affermava la simultaneità dell'Incarnazione del Verbo con il momento del concepimento. Lo statuto etico dell'embrione umano. Se la riflessione biologica e filosofica ci porta a riconoscere l'embrione umano come individuo della specie umana e da un punto di vista ontologico come persona umana, si deve di conseguenza riconoscere che esso è detentore di diritti fondamentali come i soggetti già nati. Ma anche qualora non vi fosse completa certezza sull'identità personale dell'embrione umano, il comportamento nei suoi confronti non può essere modificato. Il solo dubbio circa l'identità personale del neoconcepito obbliga moralmente a far in modo che si eviti qualsiasi

46

Jbid., 1.1.

47 A. COCCIO,

Il problen1a dell'i1111nortalità del!'anùna nella Sununa Theologiae di S. Tonunaso d'Aquino, in Rivista di Filosofia Neoscolastica 38 (1946) 98-306; M. PANGALLO, Actus essendi to111istico e spiritualità de/L'anùna, in Medicina e Morale 2

(1986) 407-414.


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pericolo nei suoi riguardi in quanto si potrebbe incorrere nel rischio di sopprimere un essere un1ano e questo è un atto 1noraln1ente

inaccettabile. Per questo motivo il Magistero cattolico, mentre ha lasciato e lascia tuttora discutere, come si è già detto, sulla questione teorica dell'animazione, ha sempre chiaramente e fortemente sostenuto l'obbligo morale di comportarsi nei confronti dell'embrione umano fin dal concepimento co1ne nei riguardi di una persona umana. Dunque, se si riconosce ren1brione co1ne individuo umano, con

le caratteristiche ontologiche della persona umana, o se solo si avessero dubbi sul suo statuto assiologico, si deve conseguentemente riconoscere l'obbligo della sua protezione giuridica ed assicurargli in primo luogo il diritto alla vita e all'integrità fisica e genetica. Non si tratta, quindi, di configurare un diritto speciale quanto di adeguare quello già esistente ai casi particolari e, pertanto, per l'embrione umano dovranno essere sanciti e rispettati il diritto alla vita e alla salute e il divieto di ogni intervento che non sia compiuto a suo beneficio complessivo. La vita dell'embrione umano deve essere riconosciuta inviolabile e non strumentalizzabile ad alcun fine esterno neppure alla ricerca sperimentale, o alla fornitura di cellule e tessuti per scopi farmacologici o di trapianto, o alla volontà procreatrice o non procreatrice dei genitori. Le considerazioni sullo statuto dell'embrione umano possono essere sviluppate oltre che alla luce della ragione umana anche alla luce della rivelazione divina: «All'origine di ogni persona umana vi è un atto creativo di Dio; nessun uomo viene all'esistenza per caso; egli è sempre il ter1nine dell'amore creativo di Dio» 48 . Di conseguenza alla domanda "Quando Dio mi ha creato?", l'uomo non può non rispondere che Dio lo ha creato all'origine del suo essere, ossia al n1on1ento stesso del concepimento, poiché non è

18

GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti ad un se111inario di studio sulla procreazione responsabile (17.9.1983), in lnseg11a111enti di Giovanni Paolo 11, Libreria Ed. Vuticana, Città dcl Vaticano 1983, VI (2): 562. '


25 La sperùnentazione sull'e111brione t11nano - - - - - -

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possibile alcun attimo del suo esistere che non sia il termine dell'atto creativo di Dio. Considerazioni etiche sulla sperimentazione sugli embrioni umani. Quanto fin qui detto ci dà la possibilità di esprimere un giudizio etico sugli interventi sperimentali sull'embrione umano. Prima, però, dobbiamo fare alcuni distinguo fra sperimentazione terapeutica (clinica! research) e sperimentazione non terapeutica (non clinica! biomedica! research)) secondo quanto precisato dalla Dichiarazione di Helsinky: «In the trealment of the sick person, the physician must be free to use a new diagnostic and therapeutic measure, if in his or her judgement it offers hope of saving !ife, reestablishing health or alleviating suffering (clinical research)» 49 ; «In the purely scientific (non clinical biomedica! research) application of medicai research carried out on a hurnan being, it si the duty of the physician to remain the protector of the life and health of that person on whon1 biomedica! research is beign carried out» 50 . Perché una sperimentazione - come qualsiasi altro atto medico - possa essere moralmente lecita e giuridicamente giustificata è necessario chiedere il consenso del soggetto su chi si fa la sperimentazione, consenso che può essere anche rappresentato nel caso di una speri1nentazione terapeutica n1a necessaria1nente personale nella speri1nentazione non terapeutica51 •

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«Nel tratta1nento della persona 1nalata, il 1nedico è libero di usare una nuova tecnica diagnostica o una nuova terapia, se a suo giudizio offre speranza di salvare la vita, ristabilendo la salute o alleviando la sofferenza (speri1nentazione clinica) (WORLD MED!CAL AssOCJATJON, Declaration of Iielsinki. Reco111111endatio11 guiding physicians in bùHnedical research involving hu111a11 subjec!, Helsinki 1964 e cmcndan1enti di Tokyo 1975, Venezia 1983, Hong Kong 1989. Il testo in lingua originale è riportato in Medicina e Morale 1 [1991] 149ss.). 50 «Nell'utilizzo 1ncraincnte scientifico della ricerca 1ncdica (spcri1ncntazionc non-clinica) su soggetti un1ani, è dovere del n1edico garantire per la vita e per la salute dcl soggetto di sperimentazione» (ibid.). 51 A.G. SPAGNOLO, ((Nonne di buona prat;ca clinica». Il doc1011ento della Co11111nità europea sulla sperùnentazione dei nuovi prodotli fannaceutici, in Medicina e Morale I (1991) 201-227. '


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Ed allora se si può dare un giudizio di piena eticità - sempre fatta salva la previa e attenta valutazione del rapporto rischi/benefici sulla sperimentazione terapeutica, nel corso della quale si ricorresse a farmaci o a procedure non ancora convalidate allo scopo <ji salvare in un tentativo estremo la vita dell'embrione stesso, in assenza di qualsiasi altra terapia valida, non altrettanto dicesi per una sperimentazione non terapeutica sia che essa venga condotta su feti viabili o su feti non viabili 52 • «Co1ne per ogni intervento inedico sui pazienti, si devono ritenere leciti gli interventi sull'e1nbrione u1nano a pauo che rispettino la vita e l'integrità dell'cn1brionc, non comportino per lui rischi sproporzionati, n1a siano finalizzati alla sua guarigione, al 1niglioran1cnto delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale. Qualunque sia il genere di terapia medica, chirurgica o di altro tipo, è richiesto il consenso libero e infonnato dei genitori, secondo le regole deontologiche previste nel caso dci barnbini. L'applicazione di questo principio n1orale può richiedere delicate e particolari cautele trattandosi di vita embrionale o di feti [ ... ]. Nel caso della speri1nentszionc chiara1ncnte terapeutica, qualora si trattasse cioè di terapie speriincntali impiegate a beneficio dell'embrione stesso allo scopo di salvsrc in un tentativo estren10 !a sua vita, e in 1nancanza di altre terapie valide, può essere lecito il ricorso a fannaci o a procedure non ancora del tutto convalidate» 53 ,

Ed allora, anche qualora si intervenisse sull'embrione umano a scopi terapeutici, bisogna valutare sempre se tale intervento è finalizzato alla cura ed alla guarigione e, prima ancora, alla sopravvivenza individuale dell'embrione· stesso. Tale liceità morale è condizionata non solo dalla finalità terapeutica ma anche dalla modalità concreta con cui l'intervento viene effettuato: da una parte l'intervento deve rispettare la vita e l'integrità dell'embrione e non deve comportare per lui rischi sproporzionati, dall'altra, l'intervento deve ottenere il con-

52

Per viabilità si intende la capscità di vita autono1na del feto anche con aiuto rnedico, al di fuori dell'utero (cfr.: L.R. KASS, Detenni11i11g death and viability in fetuses and abortuses, in Bioethics Reporter, University Publication of America Inc., Prederick 1984 [II]: 521-541 ). 53 CONGREGAZIONE PER LA DOTIRTNA DELLA FEDE, Istruzione ... , cit., 4.


La sperùnentazione sulfle1!~brione u1na1~q_ _ _ __

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senso libero ed informato dei genitori, secondo le regole previste nel caso dei bambini 54 • Per quanto concerne la sperimentazione su embrioni/feti morti, della cui morte bisogna essere assolutamente certi, ed il loro utilizzo come donatori di tessuti e organi occorre fare una distinzione tra feti provenienti da aborto spontaneo e feti provenienti da aborto procurato. Nel primo caso (aborto spontaneo) l'eticità della sperimentazione è subordinata al rispetto delle spoglie dei cadaveri di embrioni o feti così come le spoglie degli altri esseri umani, da cui ne conseguono la necessità dell'accertamento della morte, del consenso dei genitori, del ragionevole e prevedibile vantaggio di una tale ricerca sul piano u1nano.

Nel caso di embrioni o feti provenienti da aborti volontari deve essere sempre fatta salva - il che è a nostro parere più un'utopia che una situazione reale - l'esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con la fase dell'interruzione della gravidanza". 3. La sperùnentazione sull'en1brione iunano nelle Racco1nandazioni

del Consiglio d'Europa e nelle Risoluzioni del Parlamento Europeo Il problema dell'utilizzo di embrioni e feti nella sperimentazione terapeutica e non terapeutica è stato affrontato in sede europea a livello di Consiglio d'Europa e di Parlamento Europeo. Tra i documenti del Consiglio d'Europa basti ricordare la Raccomandazione 11. I 100 del 2 febbraio 1989 sull'utilizzazione di embrioni e feti umani nell'ambito della ricerca scientifica", che, riprendendo i contenuti della raccomandazione 934/1982 e della Racco-

54 Vedi: G. IADECOLA, Consenso del paziente e tra!lan1e11to 111edico-chirurgico, Collana di Medicina Legale, Liviana, Padova 1989. 55 A.G. SPAGNOLO, E. SGRECCIA, Prelievo di organi e tessuti fetali ... , cit. 56 ASSEMBLEE PARLAMENTAIRE OU CONSEIL DE L'EUROPE, Reconunandation I 100 ( 1989) sur !'11tilisation des en1bryos et foetuses !1111nans dans la recherche scien!~fique, Strasbourg l 989, in offset; ID., Reco111111a11datio11 934 ( 1982) relative a l'ingenerie genetique, Strasbourg 1982, in off set; ID., Recon1111a11datio11 1046 ( 1986) relative a /'utilisafion d'e111bryos et foetus luonains a des jins diagnostiques, therapeutiques, scientljì'ques, industrielle et co111111erciales, Strasbourg 1986, in offset.


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mandazione 104611986, riafferma l'identità e l'individualità dell'embrione umano fin dal momento della fecondazione. «L'Assc1nblea [ .. ] considerando che è opportuno derinirc la protezione giuridica dell'embrione u1nano sin dalla fecondazione dell'ovulo co1ne è previslo dalla Racco1nandazione 1046; considerando che l'embrione u1nano, pur sviluppandosi in fasi successive indicate con definizioni differenti (zigote, 1norula, blastula, embrione prei1nplantatorio o prec1nbrionc, embrione, feto), 1nanifcsta co1nunque una differenziazione progressiva del suo organis1no, e tuttavia 1nantiene continuamente la propria identità biologica e genetica [ ... ]», stabilisce che «Conformen1cntc alla Racc. 934 e 1046 le ricerche in vitro su e1nbrioni vivi non possono essere autorizzate tranne nel caso in cui si tratti di ricerche applicale di carattere diagnostico effettuate ai fini di prevenzione o terapia (nell'interesse dcl feto, n.d.r.); non si intervenga sul loro patrin1onio genetico non patologico».

Uguale divieto viene fatto alla sperimentazione, a meno che non direttan1cnte terapeutica, su feti i1npiantati e viventi in utero e su en1brioni postimplantalori o su feti viventi al di fuori dell'utero. Ciò che risulta forse poco chiaro nel testo della Raccomandazione I 10011989 è se su embrioni preimplantatori vivi non viabili è concessa, oltre alla ricerca in alcuni casi, anche Ia sperin1entazione. E', infatti, noto che mentre la ricerca può essere fatta in modo da rispettare l'integrità e la dignità dell'embrione, la sperimentazione implica interventi che possono danneggiarlo. Ma alla luce di quanto in precedenza precisato dalla Raccomandazione 104611986 si può dedurre che la Raccomandazione I 1001I989 consenta la ricerca ma non la sperimentazione anche se tale interpretazione viene messa in dubbio dall'art. 14 ove - relativamente, però, agli embrioni vivi postimplantatori o ai feti al di fuori dell'utero - si manifesta una cerla tolleranza nei confronti di quegli Stati che consentono la sperimentazione: «Devono essere proibiti gli esperi1nenti su c1nbrioni o feti viventi, vitali o non (posti1nplantatori o al di fuori dell'utero). Tuttavin, nel caso in cui uno Stato autorizzi talune esperienze su feti o e1nbrioni non viabili csclusiva1nente, queste espe~ rienzc possono essere praticate, solo nel caso in cui siano conformi alle disposizioni della presente raccomandazione e abbiano avuto il consenso preventivo delle autorità


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La sperùnentazione sull'enzbrione uniano

sanitarie o scientifiche, interdisci plinarc».

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··---.

o,

se

del

caso,

della

co1nmissione

nazionale

Disposizioni simili vengono date anche dalle due Risoluzioni del Parlamento Europeo, la Risoluzione A2-327/88 su problemi etici e giuridici della manipolazione genetica e la Risoluàone A2-372!88 sulla .feconllazione artifi'ciale in vivo e in vitro 57 • La Risoluzione A2-327!88 così si pronuncia: «Il Parlamento europeo [ .. ] in inerito alla ricerca su embrioni ricorda che anche lo zigote deve essere protetto e che pertanto non lo si può utilizzare in 1nodo indiscrin1inato per la spcrin1entazione; è dcl parere che non sia sufficiente una regolamentazione del proble1na rnediante direttive specifiche a livello 1nedico; chiede di definire in 1nodo giuridicarncnte vincolante i possibili settori di applicazione della ricerca, della diagnostica e delle terapie particolannente anche prenatali, in modo che gli interventi sugli etnbrioni uinani vivi ovvero sui feti o esperimenti su di essi siano giustificati solo se presentano un'utilità diretta, non altrimenti realizzabile, per il benessere dcl brnnbino in questione e della n1adre e rispettano l'integrità fisica e psichica della donna in queslione [ .. ] ritiene consentito l'impiego a scopi diagnostici di e1nbrioni ovvero feti 1norli solo qualora esista una giustificazione riconosciuta; chiede di vietare, prevedendo sanzioni penali, il 111anteni1nento in vita degli en1brioni umani in rnodo artificiale al fine di poter prelevare tessuti ed organi al 1no1ncnto opportuno; chiede che gli e111brioni u1nani n1orti vengano utilizzati a scopi terapeutici o scientifici solo negli stessi casi in cui si farebbe ricorso ad un cadavere un1ano».

Ed ancora la stessa Risoluzione fa divieto di impiegare embrioni a fini com1nerciali e industriali e di congelare gli embrioni a n1eno che non sia finalizzato a gravidanze differite nella stessa donna. Più brevemente nella Risoluzione A2372!88 leggiamo che: «li Parlaincnto Europeo [ .. ] riconosce il valore della vita e pii:1 in particolare il dirillo alla protezione della persona u1nana e perciò espri1ne preoccupazione per lo

57 PARLAMENTO EUROPEO,

Riso/11zio11e doc. A 2-327188) sui prob/e111i etici e giuridici della 111anipolazio11e genetica, Strasburgo 16 marzo 1989; ID., Risoluzione (doc. A 2-372188) concernente la fecondazio11e artificiale in vivo ed in vitro, Strasburgo 16 rnarzo 1989. Le due risoluzioni sono riportate in Medicina e Morale 3 (I 989) 579-590.


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spreco di cn1brioni che la fecondazione in vitro può comportare e auspica l'uso di tecniche e di metodologie che eliminano tale rischio; chiede conseguente1nentc che nella fecondazione in \!Ùro venga fecondato lo stesso numero di ovuli che può essere i1npiantato [ ... ]».

4. La sperùnentazione sull'e1nbrione tunano nel diritto condito

Le indicazioni del Consiglio d'Europa e del Parlamento Europeo sulla sperimentazione su embrioni/feti umani sono state scarsamente recepite anche dagli stessi Paesi membri, il cui diritto condito raramente si esprime in difesa della vita e dell'integrità degli individui umani prima della nascita, essendo questo lo spartiacque che li definisce come titolari di diritti. Passiamo brevemente in rassegna le nor1native esistenti in materia in Europa, negli Stati Uniti e in Australia. La sperin1entazionc sugli embrioni è consentita in alcuni Stati europei (Spagna, Svezia, Gran Bretagna) entro i 14 giorni dalla fecondazione e su embrioni preimplantatori: dal novero dei giorni sono esclusi i periodi di crioconservazionc 58 .

58 I testi delle leggi da noi citate sono riportati - tranne diversa indicazione nella traduzione in italiano in: COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, La legislazione straniera sulla procreazione assistita, Presidenza del Consiglio dei Ministri Diparli1ncnto per l'lnforn1azionc e l'Editoria - Diparliinento per gli Affari Sociali, Roma 1992. «La investigaci6n o experin1enlaci6n en preernbriones vivos s61o se autirizanl si se atiene a los sieguientes requisitos [ ... ] que no se desarollen in vitro tnàs allà de catorce dias dcspués dc la fccundacion dcl ovulo, dcscontando e! tie1npo en que pudieron habcr estado crioconservados» (SPAGNA, Ley 3511988 de 22 novien1bre sobre tecnicas de reproduccion asistida, art. 15, cornn1a l/b); «Gli cspcri111cnti a scopo di ricerca o di tratlan1cnto su ovuli fecondati possono essere eseguiti non oltre il 14° giorno dopo la fecondazione» (SVEZIA, Legge 11511991 concernente prov11edi111enti a scopo di ricerca oppure di trattan1ento degli ovuli u111a11i fecondali, art. 2 con1ma 1); «A licence cannot authorise [ ... ] keeping or using an c1nbryo aftcr the appareance of the primitive strcak [ ... J thc pri1nitivc streak is Lo be taken to bave appeared in an ernbryo not latcr than thc end of thc pcriod of the 14 days beginning with thc day when the gainctcs are 1nixcd, not counting any tin1e during which the embryo is storcd>> (GREAT BRITAIN, flr1111a11 Fertilisation and E111briology Aci, lst Nove1nber 1990, art. 3).


La sperùnentazione sull'enibrione uniano

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La legge svedese del 1991, riprendendo le normative precedenti del 1984 e del 198859 , autorizza l'uso di embrioni umani a scopo di ricerca o sperimentazione a condizione che gli embrioni utilizzati vengano distrntti e non trasferiti nell'utero della madre genetica o gestazionale: «L'ovulo fecondato - si legge all'art. 2, comma 2 - che è stato oggetto di esperimento deve, dopo il termine indicato nel primo comma (cioè 14 giorni), essere distrntto senza indugi». La legge spagnola, approvata il 22 novembre 1988, a giustificazione del consenso alla sperimentazione fino al 14° giorno precisa che l'embrione umano è da considerare fino a tale epoca soltanto un pre-emhrione: questo «gruppo di cellule risultante dalla progressiva divisione della cellula uovo fecondata fino al 14° giorno»"' diverrebbe embrione con il completamento dell'impianto in utero o con la formazione della stria primitiva. La ricerca sugli embrioni può essere effettuata sia per scopi diagnostici che terapeutici; se eseguita per scopi diversi dai suddetti essa non può essere effettuata oltre il 14° giorno dal concepimento. Per la legge della Gran Bretagna, approvata il I 0 novembre 1990, legge che accoglie integralmente l'opzione della libertà di ricerca sull en1brione umano avanzata dalla Connnissione Warnock 61 , il prodotto del concepi1nento viene considerato enibrione uniano solo dopo la «fecondazione completa di due gameti umani» cioè - secondo la legge suddetta - solo quando appare lo zigote a due cellule e la donna non è considerata gravida fino a quando non è avvenuto l'impianto dell'embrione in utero, senza che venga però precisato a quale giorno si fa riferimento, cioè se al 6° giorno quando inizia l'impianto o al 14° quando l'impianto è già completato. Si consente come già detto - l'uso dell'embrione umano a scopi di ricerca fino al 1

59 Legge 114011984 sull'inse111i11az;one; The S1Fedish in Vitro Ferti!ization Act - 1988. 60 «Generahnente se viene aceptando el térn1ino pree111brion [ ... ]para designar

al grupo del células rcsultantcs dc la division progressiva dcl Ovulo desde que es fecundado hasta aproxi1nadamcnle catorce dias mlls tarde, cuando anida establemente en el interior dcl utero[ ... ] y aparece en él la linea prirnitiva» (SPAGNA, Ley 3511988 ... , Introduzione, par. 2). 61 M. WARNOCK, A question (~r !{/è ... , cit


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Maria Luisa Di Pietro

14° giorno dal concepimento, momento in cui compare la stria primitiva. Gli embrioni possono essere fecondati ùz vitro anche a solo scopo di ricerca purché si tratti di ricerche sulla terapia della sterilità, sulle malattie genetiche e sulla diagnosi genetica sugli embrioni: «A licence under this paragraph - si legge all'art. 3 dell'allegato 2 - may authorise any the following using embryos, far the purposes of a project of research specified in the licence». Molto più limitati sono i tempi concessi dalla legge tedesca e dalla legge dello Stato del Victoria (Australia) per sperimentare sugli embrioni umani. Infatti, la legge tedesca, approvata nel 1990, tutela in modo molto rigoroso i diritti dell'embrione umano"', vietando a tale scopo: l'uso dell'embrione fecondato ùr vivo o in vitro a scopi diversi da quelli diretti a garantire la sua sopravvivenza; la ricerca scientifica su e1nbrioni tranne che su uova fecondate fino alla singamia6:i e cioè

fino a 21 ore dopo la fecondazione; la fecondazione di più cellule uovo cli quante ne verranno trasferite allo scopo di evitare il surplus di embrioni; la manipolazione di cellule della linea germinale, la clonazione, la selezione del sesso, la fecondazione interspecie. Allo stesso modo lo Stato dcl Victoria nella legge ciel 1987 64 , riprendendo e modificando i contenuti della legge del 1984 65 , che proibiva (art. 6, comma V) di creare in vitro embrioni destinati alla sperimentazione, pur consentendola (art. 6, comma III e IV) su embrioni soprannun1erari previa approvazione dello Standing Revierv

and Advisory Commi/tee on lnfertility, consente, invece, all'art. 4 - che sostituisce il comma V dell'art. 6 - il prelievo di cellule uovo anche a scopo di ricerca li1nitatan1ente, però, ai processi di fecondazione.

Qualsiasi sperimentazione va, però, interrotta - come si diceva - prima della singamia e deve essere sempre autorizzata dallo Standing Review and Advisory Committee on /nfertility che valuta l'utilità in relazione al

62 E111b11'011e11sch11tzgesetz

- ESchG, 13. 12.1990. Con il tenninc singa111ia si indica «la fusione delle due rispettive strutture (presenti nello spcrrnatozoo e nella cellula uovo) contenenti cromoso1ni alle quali si dà il non1e di pronuclei» (A. SERRA, En1brione u111a110, scienza e ... , cit.). 6 " Legge di e111e11da111e11tn sulle procedure n1ediche per fa sterilità 1987. fi.'i Legge 1016311984 sulla sterilità (procedure 1nediche). 63


La sperùnentazione sull'en1brione u1n°:~~?

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beneficio che potrebbe derivarne per la stessa donna sottopostasi a queste procedure. La sperimeutazione su embrioni umani fecondati in vitro è proibita dalla legge norvegese" è dalla legge austriaca" che, all'art. 9, comma 1, così recita: «Gli embrioni non possono essere utilizzati per nessun altro scopo che per la procreazione medicalmente assistita. Essi devono essere esaminati e trattati a tal riguardo secondo le necessità dettate dalle conoscenze scientifiche e dall'esperienza medica allo scopo di procurare una gravidanza». Molto variegato è il panorama legislativo relativamente alla sperimentazione su embrioni umani negli Stati Uniti, ove è disciplinata solo in sette Stati della Federazione". Questa assenza di normativa è dovuta - tra l'altro - alle grandi difficoltà incontrate per dare una definizione dello statuto giuridico dell'embrione umano: una posizione in tal senso è stata presa in modo evidente solo dallo Stato della Louisiana, mentre in altri Stati il problema è stato affrontato prevalentemente a livello di tribunali. Prenderemo come esempio quanto avvenuto in tre Stati, Illinois, Tennessee, Louisiana. Secondo una Sentenza dello Stato dell'Illinois una donna deve essere considerata madre già dalla fecondazione anche se il procedimento avviene in vitro: a prova di tale fatto è da notare che per ogni intervento bisogna chiedere il consenso alla madre e che la clinica ove si fa la Fivet non può rivendicare alcun diritto di proprietà. Le vicende di sette e1nbrioni crioconservati sono state al centro dell'attenzione pubblica che ha assistito ad un incredibile alternarsi di decisioni dei tribunali dello Stato del Tennessee"- Come è noto, il 21

66 loi 11. 68du12juin 1987 relative à /afécondation ar!{ficie!/e (Norsk Lovtidend 26 juin 1987!13J: 502-503); il testo è riportato nella traduzione in francese da Rec11ei/ l11ter11atio11al de législarion Sanitaire 3811 (1987) 835-838. 67 legge sulla procreazione 111edica!111ente assistita 41611992. 68 Vedi: M.L. DI PIETRO, Analisi co111parata delle leggi e degli orienta1nenti nonnativi i11 1nateria di fecondazione arl(ficiale, in Medicina e Morale l ( 1993) 231-

282. 69 Vedi: Sentenza de! 21 seffe111bre 1989; il testo è riportato nella traduzione italiana da Medicina e Morale 2 (J 990) 384-402; M.L. DI PIETRO, Quale statuto per !'e111brione u1na110? in n1argi11e ad una sentenza della Corte del!o Stato del Tennessee,


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Maria Luisa Di Pietro

settembre 1989, la Circuii Court di Maryville nello Stato del Tennessee, nel corso della causa di divorzio della coppia Davis, ha affidato con una sentenza che potremmo definire storica - sette embrioni, ottenuti con la fecondazione in vitro e successivamente congelati, alla signora Mary Sue Davis. La decisione della Circuii Courl era motivata dalla volontà di difendere il diritto alla sopravvivenza di questi embrioni, cosa possibile, anche se non certa, a seguito del loro trasferimento nell'utero della madre. Respingendo le opinioni contrarie al riconoscimento dell'inizio della vita dell'essere umano dalla fecondazione, la Circuii Court ne ha riaffermato l'identità e l'individualità, argomentando in modo preciso e documentato tale parere. La Sentenza ha suscitato 1nolto scalpore nel mondo scientifico e soprattutto giuridico poiché per la prima volta un tribunale degli Stati Uniti si pronunciava a favore dell'embrione umano e in difesa dei suoi diritti, anche se flebili segnali di questo cambiamento di tendenza si erano registrati in precedenti decisioni di altri tribunali in merito all'intenuzione di gravidanza. Non soddisfatto dalla Sentenza della Circuii Court il signor Davis è ricorso alla Corte di Appello del Tennessee rivendicando il diritto di proprietà dei sette embrioni poiché temeva che essi venissero fatti nascere e lui fosse costretto a divenire padre contro la propria volontà. La Corte di Appello, tacciando di anticostituzionalità le decisioni della Circuii Court ha chiesto, con una sentenza del 13 settembre 1990, al tribunale di prima istanza di rivedere la propria decisione e di emettere una sentenza in cui entrambi i genitori venissero abilitati al controllo dei sette embrioni crioconservati rimettendo, tra l'altro, in discussione la posizione della Circuii Courl sulla identità dell'embrione umano al dichiarato scopo di dimostrare che l'embrione umano nelle prime fasi di sviluppo non è che un insieme di cellule, non degne di alcuna tutela. La Corte di Appello ha messo, inoltre, in discussione resistenza o n1eno di un diritto a JJrocreare o a non procreare: affidando alla signora Davis i sette embrioni crioconservati la Circuit in li diritto di fa111iglia e delle persone 3 (1990) 851-863; M.L. Dr P!ETHO, Sefte e111brioni in cerca di 1111a 111adre: l11tova Sentenza dello Stato del Tennessee, in Il diritto di fa111iglia e delle persone 1-2 (1991) 102-109; J. LEJEUNE, L'ernbrione segno di contraddizione, Orizzonte Medico, Ro1na l 992.


35 La sperùnentazione sull'enibrione tunano- - - - - - Court esponeva - secondo la Corte di Appello - il signor Davis alla possibilità di divenire padre contro la propria volontà e tale decisione veniva considerata non solo anticostituzionale ma addirittura coercitiva. A sostegno di quauto detto la Corte di Appello richiamava una sentenza della Corte Suprema dello Stato di Oklahoma con cui si riconosceva che il diritto di procreare o di non procreare è fondamentale e di conseguenza nessuno può essere costretto a divenire madre o padre contro la propria volontà. La signora Davis si è opposta a sua volta alla Sentenza della Corte d'Appello chiedendo che i sette embrioni venissero almeno donati ad un'altra donna in modo da metterli nelle condizioni di poter "nascere". La Corte Suprema del Tennessee ha adesso deciso che i sette e1nbrioni non sono da considerare né persone né cose ma una sorta di specie i11ter111.ellia a cui si deve con1unquc un po' di rispetto perché si tratta di individui un1ani in JJOfenza. Per quanto riguarda specificamente l'utilizzo di questi embrioni, la Corte di Appello ha stabilito che il signor Davis dovrà essere informato delle eventuali richieste della ex-moglie e che per nessun 111otivo si potrà intervenire contro la sua volontà per far nascere questi bambini. Infatti, sostiene la Corte Suprema, il signor Davis subirebbe in tal caso un duplice danno: divenire padre contro la sua volontà e dover successivan1ente assun1ere gli obblighi propri dello status di genitore. L'unico Staio della Federazione che ha definito e disciplinato lo status dell'embrione umano è lo Stato della Louisiana con la legge del 1988 70 , la quale stabilisce che l'uovo u1nano fecondato in vitro assu1ne una piena soggettività giuridica destinata a permanere fino al momento dell'impianto, dopo di che l'embrione in utero sarebbe titolare solo dei diritti espressamente riconosciuti dalla legislazione vigente sull'interruzione volontaria di gravidanza. Da qui il divieto di distruggere o sperin1entare su embrioni fecondati h1 vitro e la precisazione che il surplus di embrioni venga adottato dietro consenso dei genitori

° Codice

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Civile. Disposizioni supp/e111e111ari. cap. III.


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genetici, senza però che vengano accordati i diritti di successione, riconosciuti solo dopo la nascita. La legge dello Stato della Louisiana appare in netto contrasto con quanto sancito dalla Corte Suprema dello stesso Stato nel caso Rue vs Wade del 1973, in cui si stabiliva che gli esseri non nati non sono "persone".


L'ETICA DELLA FAMIGLIA SICILIANA TRA PASSATO E PRESENTE. LINEAMENTI DI CULTURA, FEDE E SPJRJTUALITA'

DOMENICO PISANA'

Introduzione Il tema oggetto della nostra ricerca gravita attorno ad una schematicità razionale che pone in relazione critica alcuni dati fondamentali del vissuto spirituale, etico e religioso della famiglia siciliana. Ci muoviamo pertanto in un ambito religioso e morale allo scopo di mettere a fuoco la ricchezza di valori di cui è portatrice la famiglia dell'isola. La strutturazione contenutistica prende le mosse da un mo1nento ermeneutico di testi eucologici analizzati in un orizzonte etico e di spiritualità, quindi si addentra nel vissuto religioso della famiglia siciliana, colto nella sua positiva dimensione della fede ed anche nelle varie valenze 1nagico-superstiziose. Ne viene così fuori una sintesi panoramica della fede e della religiosità della famiglia siciliana nella sua tipologia specifica, e nelle più rilevanti peculiarità formali, liturgiche e simboliche proprie delle principali feste religiose maggiormente incidenti nel vissuto familiare. L'itinerario elaborato confluisce, infine, nell'universo strettamente morale della famiglia siciliana; il discorso si snoda infatti in una disamina delle sue virtù e dei suoi vizi, evidenziati

* Licenziato in Teologia Morale. Questo studio è un estratto della tesi di Licenza in Teologia Morale difesa presso lo Studio Teologico S. Paolo di Catania.


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Donienico Pisana

mediante la forza del linguaggio proverbiale, opera altresì agganci e raffronti con l'ethos biblico, per tratteggiare in ultimo i vettori principali del dinamismo teologale tipico della realtà familiare siciliana. Anche in questa seconda parte il tessuto scrittorio si sviluppa relazionandosi sempre con le linee di cambiamento della famiglia nella società secolarizzata; ciò per aver chiari, mediante rapidi passaggi, i lineamenti religiosi ed etici sia nella loro staticità, sia negli arretramenti che nelle valenze evolutive. Il tutto si avvale di un procedimento euristico legato anche a trasmissioni orali, oltreché a fonti di spiritualità siciliana e di sapienza proverbiale.

l. Vita spirituale e preghiera

La spiritualità della famiglia siciliana non era disincarnata dal vissuto quotidiano, ma entrava nelle pieghe della sua vicenda storica scandendone i vari mo1nenti. Sì trattava dì una spiritualità sen1plice e caratterizzata da alcuni aspetti:

a) il timore di Dio: «le famiglie timorate recitano giornalmente le ordinarie divozioni» 1; b) l'attenzione verso gli altri, parenti o amici, per i quali s'invocava ogni benedizione e prosperità: «pregano il Signore pei genitori, pei fratelli vicini o lontani, che Egli dia loro la salute o la provvidenza»2;

c) la recita del rosario: era una prassi quotidiana che riuniva la famiglia in preghiera al termine della giornata. Da dove nasceva questa istanza di spiritualità? Da una visione sacrale della vila tipica di una società rurale con una cultura forte-

mente unitaria. L'uomo della famiglia siciliana non era chiuso in un atteggiamento di autosufficienza e di razionalizzazione dell'esistenza per cui confidava solo sulle proprie forze e capacità, ma si affidava ad una forza religiosa superiore che lo proteggesse dal male, lo assistesse

1 G. P!TRL~, La fa111iglia, fa casa, la vila del popolo siciliano, a cura di Aurelio Rigoli, Ediz. "Il Vespro", Palern10 1978, 36. 2 lbid., 36-37.


L'etica della famiglia siciliana tra passato e presente

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nella coltivazione dei campi, nel lavoro quotidiano, e che facesse affluire ricchezza di beni secondo le stagioni, le piogge e i venti. A riguardo esistono diversi proverbi siciliani che sono segno di questa spiritualità legata ai beni della terra, al tempo e alle stagioni: «Ppi Santa Chiara

«Ppi San Franciscu nesci

ogni stizza 'na qumtara»

lu càudu e trasi lu friscu»·

«Ppi San Micheli la racina è comu lu 1ncli»

e giugnu ti lu rcnni» 3 .

«Diccn1bri piglia

Un'altra conferma circa l'eziologia di questa spiritualità siciliana ci viene anche dal tipo di preghiere che in seno alla famiglia venivano recitate, specie in certi mo1nenti dell anno e in occasione di sen1ine e di maltempo. A tal riguardo esistono fonti siciliane che hanno raccolto alcune preghiere che si recitavano per allontanare lampi, tuoni e fulmini: 1

Alluntanàti lainpu e Lronu, I Gesl1 Cristo si fici ornu: I di lu celu 'n terra vinni, I d'ogni n1alu nni difinni, I ccu la Yirgini Maria, I San Nicola e Santa Lucia 4 ; San Giuvanni Battista, I tinitin1i a vista: I San Giovanni Vuccadoru, I guardatimi di lan1pi e di tronu 5; Santa Barbllra n1ia, I autu quanto la cruna di Maria I facili ca-

diri lu tronu. I luntanu di la casa n1ia6 .

Il tenore di queste preghiere è molto semplice ed evidenzia un intreccio tra Gesù, Maria e i Santi, ai quali veniva riconosciuta la potenza e la forza di dominare gli elementi della natura. V'è, in esse,

3 R. FRATTALLONE, Proverbi siciliani. Una visione sapienziale della vita, Edi Ofes, Messina 1991, 197-198. Traduzione italiana: Per Santa Chiara/ogni goccia (è così grossa che riempie) una brocca. - Per San Michele (29 settembre) l'uva è dolce come il 1niclc. - Per San Francesco d'Assisi (4 ottobre) I esce il caldo cd entra il fresco. - Dicen1bre prende (le se1ncnti) I e giugno te le restituisce (col frumento 1naturo) . .i lbid., 225. Traduzione italiana: Allontanati lainpo e tuono, I Gesù Cristo si fece uomo: I dal cielo in terra venne, I da ogni male ci difende, I con la Vergine fv1aria, I San Nicola e Santa Lucia. 5 L. VJGO, Raccolta an1plissùna di canti popolari siciliani, li, Galatola, Catania 1870-74, 547. Trad. it.: San Giovanni Battista, I guardate1ni a vista: I San Giovanni Boccadoro I difendimi dai Jarnpi e dai tuoni. 6 !bid., 574. Trad. it.: Santa Barbara mia, I alto quanto (è in cielo) la corona di Maria I fate cadere il tuono I lontano dalla casa mia.


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Donzenico Pisana

l'atteggiamento spiritnale di colui che intercede e che si essenzializza nella richiesta di salvaguardia della propria casa dai fulmini, dai tuoni e dai lampi. I momenti della semina e della siccità, poi, erano per la famiglia siciliana occasioni in cui si intensificava la preghiera. Ci si rivolgeva con insistenza a Dio, si facevano anche processioni e voti affinché il Signore facesse piovere: «Signuruzzu, chiuvìti, chiuvìti,

ca cci avcinu tanta siti; e facìtinni una bona senza lan1pi e senza trona>> 7.

La fiducia, dunque, era riposta in Dio e nel suo intervento e veniva altresì trasmessa ai figli nello stile dell'antica famiglia israelitica: «Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio ·con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6,4-7). La spiritualità non si esauriva comunque solo in preghiere di richiesta, ma conteneva anche elementi di lode, di ringraziamento, di adorazione, di benedizione e di impegno morale.

Ermeneutica ed orizzonti etici di testi eucologici I caratteri della spiritualità della famiglia siciliana risultano contrassegnati da un inteso e profondo dinamismo etico. Questa nostra affern1azione cerchere1no ora di dimostrarla attraverso una disamina di alcune delle numerose preghiere che il popolo siciliano conosceva e recitava.

7

R. FRATTALLONE, op. cit., 226. Trad. it.: O Signore, fate piovere, I perché abbiamo tanta selc; I e mandate una pioggia buona I senza la1npi e senza tuoni.


L'etica della famiglia siciliana tra passato e presente__

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Per la selezione dei testi eucologici ci è sembrato opportuno fare riferimento alla silloge Preghiere siciliane di Salvatore Turnino, ove si trovano stagliate le coordinate principali di una testimonianza umana e spirituale della famiglia siciliana, nonché le espressioni più significative di un attaccamento ai valori morali della fede cristiana. Dalla esegesi di alcuni testi eucologici emerge, in modo irriflesso, un patrimonio teologico, biblico ed etico; la prospettiva etica, in particolare, viene colta nelle sue implicanze esistenziali e nelle incidenze sul tessuto familiare.

*

a - Preghiera a Dio Preghiera di adorazione e di ringraziamento Patri eternu onniputenti iu canusciu lu 1niu nenti,

iu v'aduru cu umiltà, o divina Maiestà.

Vi ringraziu tutti !'uri, Figghiu eterno, Diu d'amuri; v'offcrisciu Diu 'ncarnatu, lu rne cori, lu 1ne sciatu. Santu Spirito, a stu pettu

dati fuocu, amuri, affcttu: a Vui cerca lume cori mentri cainpa e quannu mori 8•

In questa preghiera la spiritualità dell'uomo della famiglia siciliana risulta sostanziata negli atteggiamenti della "adorazione" e del "ringrazian1ento". Il dato etico è invece contenuto in quel v'o,f/erisciu ... lu n1e cori, in quanto fa supporre la comprensione di una vita morale intesa non

8 Cfr. S. TUMINO, Preghiere siciliane, Edizioni dcl Comitato per le chiese di Ibla, Ragusa 1986. Dio Padre Onnipotente, I riconosco di esser niente, I e v'adoro con urniltà, I o altissi1na Maestà. I Vi ringrazio tutte l'orc, I Figlio santo, Dio d'amore; I ed a voi, Dio incarnato, I offro cuore, niente, fiato. I Santo Spirito, al mio petto I date grande amor, affetto: I cerca voi questo 1nio cuore I rnentre vive, quando muore.


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Do111.enico Pisana

come soddisfazione di pratiche esteriori e di sacrifici, ma come donazione di se stessi a Dio e, quindi, al prossimo. Vi si riscontra insomma un'etica dell'interiorità e l'accoglimento del nucleo centrale della morale neotestan1entaria; si notino infatti i due verbi "cercare" e "offrire''. Il primo, rivolto alla terza persona della Trinità, mette in relazione lo Spirito e il cuore, mentre il secondo Gesù e l'offerta: siamo pienamente all'interno della rivelazione. Nell'Antico Testamento, infatti, il cuore è la sede della vita morale e il testimone dell'eticità degli atti umani: - in I Sam 24,6 e in 2 Sam 24, I O si afferma riguardo a Davide che «il cuore gli fece sentire il rimprovero»; - in I Re 2,44 Salomone contro Semei dice: «Sai - il tuo cuore dà testimonianza di ciò · tutto il male che facesti a mio padre». Anche nel libro dei proverbi ci sono continui riferimenti alla nozione di cuore (2,1-5; 3,1-3; 7,1-3), mentre Geremia ed Ezechiele annunciano che una nuova legge sarà scolpita nel cuore per rinnovare la vita. E' la legge dello spirito che guiderà l'uomo dall'interno nella sequela di Cristo e renderà possibile la vita morale cristiana. Il rapporto Gesù-offerta, presente nella preghiera, richiama Rm 12, I. In quel «v'offerisciu, Diu 'ncarnatu, lu me cori .. .>> c'è l'etica del dono, che Gesù realizza sulla croce e rinnova nell'eucarestia. L'uomo della famiglia siciliana vive in queste parole l'etica del dono facendo propria, indirettamente, l'esortazione di Paolo: «Vi esorto pertanto, o fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire il vostro corpo come ostia vivente, santa, gradita a Dio, in culto spirituale quale s'addice a voi». Interessante notare come tutta l'azione della Trinità permea la preghiera, la quale è una sintesi di spiritualità incarnata che abbraccia le coordinate fondamentali dell'ethos biblico. Da sottolineare infine una chiara differenziazione: da una parte la finitezza, la nullità, la pochezza di colui che prega e che si accosta a Dio con umiltà riconoscendosi peccatore ( «iu canusciu lu miu nenti» ), dall'altra la grandezza e maestà di Dio.


L'etica della-famiglia siciliana tra passato e-presente 43 --------------b - Preghiera a Gesù Cristo *Rosario del cuore eucaristico di Gesù Caratteristica tipica della famiglia siciliana era la recita del rosario del cuore eucaristico di Gesù, alternato al rosario della Beata Vergine Maria, la sera. Il padre chiamava a raccolta i figli e, così, si pregava con semplicità, con fede e trasporto interiore. Certo, il gesto era un fatto abituale all'interno del nucleo familiare, ma si trattava di una sana abitudine che oggi, purtroppo, è quasi scomparsa perché soppiantata dai mass-media. Ma entriamo adesso nel testo della preghiera del rosario'

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Primo mistero

O divinu Sacrmncntu,

O divino Sacra1ncnto

fonti siti chi lavati

siete fonte che lavate in ogni ora e n101nenlo tutte l'ahnc che amate, se con vero pcnti1nento le vedete u1niliatc. Grida, cuor, n1cntre hai fiato: Viva Dio Sacra1nentato.

in ogn'ura, ogni 1nun1entu, lulli l'al1ni chi Vui ainaLi, si cu veru pcnti1nentu

li viditi un1iliati. Grida, cori, n1cntr'hai sciatu: viva Dio Sacramentatu.

Secondo

mistero

An1un1su, bon Pasturi,

Ainoroso, bL1on Pastore,

tutlu a nui v'aviti dalu. Qual affcltu, qual amuri! Stari se1npri carceratu

Lutto a noi vi siete daro. Qual affetto, qual ainore, stare sempre carcerato

pri nui vili piccaturi chi v'avin1u disprizzatu!

per il vile peccatore che v'ha tanto disprezzalo.

Grida, cori, 1ncntr'hai scialu: viva Diu Sacra1nintatu.

Grida, cuor, 1nentre hai fiato: viva Dio Sacra1ncntato.

Terzo

mistero

Patri siti troppu ainanli, chi li figghi vui cibati cu li carni sacrosanti chi a rnangiari a tutti dati; e lu sangu ch'è fuinanti dati a tutti l 'assitati. Grida, cori, 1nentr'hai sciatu:

Padre siete tant'a1nante che i rigli voi cibate con le carni sacrosante che a tutti voi donate, cd il sangue ch'è fu1nante bevon ! 'alme assetate. Grida, cuor, mentre hai fiato:


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La struttura compositiva di questa preghiera eucaristica ruota attorno a cinque tematiche, distribuite in cinque misteri e precisamente: 1) Gesù nell'Eucarestia; 2) Cristo pastore; 3) la paternità di Dio; 4) Cristo Re e Giudice; S) Cristo fuoco d'amore. I cinque temi sono legati da un continuum etico racchiuso nei due versi finali: «Grida, cori, mentr'hai sciatu: viva Diu Sacramintatm>. Si tratta di un impegno a gridare, a proclamare la lieta notizia di Dio fattosi uon10 e cibo per noi; l'uso dei termini "cori" e "sciatu" è indice che tutta la persona, ex tota mente, ex toto corde, ex totis viribus, era coinvolta nell'assolvimento di detto impegno. Nel primo mistero il nucleo familiare, riunito in preghiera, meditava sulla presenza di Gesù nell'Eucaristia, ripetendo una parola, "fonti", che ritroviamo al n° 10 della Sacrosantum Concilium del Vaticano II, dove si definisce la liturgia culmen et fans. Il testo della preghiera evidenziava poi due atteggiamenti etici con i quali accostarsi alla "fonti", vale a dire il pentimentu e l'umiltà.

viva Diu Sacnunintatu.

viva Dio Sacrarnento.

Quarto n1istero Siti Re d'amuri dignu Siete Re degno d'amore 'nta ssu tronu di clcrncnza, su quel Trono di cle1nenza; siete Giudice di cuore, siti ludici benignu, ora date la sentenza ora duti la sintenza ad un figghiu vostru 'ndignu, ad un figlio senz'onore, chi pru1netti penitenza. che promette penitenza. Grida, cori, 1ncntr'hai sciatu: Grida, cuor, 1nentre hai fiato: vi va Diu Sacra1nintatu. viva Dio Sacramentato.

Quinto 1nistero Siti focu troppu ardenti, chi J'annuzzi vui bruciati, cu li fiammi onnipotenti di la vostra caritati; e li cori cciù languenti di cciù an1uri 'nfervorati. Grida, cori, 1nentr'hai sciatu: viva Diu Sacramintatu.

Siete fuoco tant'ardcntc, che le ani1nc bruciate con la fimn1na sì potente della vostra caritate, cd il cuore più languente voi d'ainorc infervorate. Grida, cuor, mentre hai fiato: viva Dio Sacrainentato.


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Nel secondo mistero si contemplava Cristo buon Pastore che dà la vita per le pecore, mentre nel terzo veniva sviluppato il tema della paternità di Dio in un contesto di convito che richiama la cena eucaristica, nella quale "carni" e "sangu" costituiscono il cibo spirituale che disseta le anime. Due titoli cristologici, "Kyrios" e "Dixaios", "Re e ludici", risaltavano nel quarto mistero, con la recita del quale la famiglia in preghiera riconosceva Gesù come Signore e Re che siede sul trono e che usa clemenza nel giudicare coloro che si accostano a lui coscienti del loro peccato e con l'intenzione di troncare con il male e di convertirsi. Nel quinto mistero, infine, si metteva in evidenza il contrasto tra l'Agape «troppu ardenti» di Cristo e la languida risposta d'amore del cuore umano che, accogliendo il fuoco della carità divina, lo Spirito Santo, acquistava nuova vitalità ed entusiasmo. Come si può evincere dall'analisi del testo, questa preghiera della famiglia siciliana presentava delle valenze bibliche, la cui assimilazione e meditazione si poneva come fondamento di una spiritualità e di un ethos familiare giuocato su un intreccio di sentimenti ed atteggiamenti di fede vivi e palpitanti.

2. Fede, religiosità e superstizioni

Con l'inizio dell'anno la famiglia siciliana si auspicava prosperità e letizia e credeva, pertanto, che la presenza di qualche contrarietà o malattia sarebbe stata di cattivo augurio e si sarebbe protratta per tutto l'anno: «Cù è malatu a Capudannu, è malatu tuttu rannu», dice un proverbio siciliano. Il 17 gennaio era dedicato a S. Antonio, sotto la cui tutela il popolo metteva il maiale, tant'è che a Palermo si vendevano dolci a forma di maiale mentre in altre parti dell'isola vi erano altre tradizioni: ad Acireale coloro che avevano covoni di lino, fieno e paglia promettevano ed offrivano a S. Antonio delle elemosine per essere protetti e guardati dal fuoco; a Modica c'era l'uso che le ragazze (il gesto veniva ripetuto per la festa di S. Valentino, il 14 febbraio) si affacciassero alla finestra per vedere il primo che passava e dalla sua


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età dedurre gli anni del futuro marito: se non passava nessuno, addio matrimonio! Particolarmente sentita era la festa di S. Sebastiano, in occasione della quale «da tutti i punti della Sicilia i pellegrini di S. Sebastiano si mettevano in moto a piccole carovane di sei, otto, dodici persone. La notte dormivano in un'osteria o all'aperto e, riprendendo la dimane il cammino, ripeteano ad ogni svoltata, ad ogni incrociatura di strada, ad ogni incontro di nuovi pellegrini il grido di viva S. Sebastiano»rn Il 2 di febbraio veniva celebrata dalle famiglie siciliane la festa della Candelora. Per la circostanza, stante fra l'altro alle indicazioni del sinodo della diocesi di Siracusa del 165 I, i parroci avevano l'obbligo di comprare a loro spese delle candele, benedirle e poi distribuirle ai fedeli della parrocchia". In questo giorno erano parecchie le credenze religiose diffuse in diverse parti della Sicilia 12 • Il mese di febbraio, oltre alla festa della Candelora, erano onorati S. Biagio, S. Agata e S. Corrado. Durante la festa di San Biagio si raccontavano, specie nelle famiglie di Comiso, le azioni miracolose: fermata della peste alle porte della città, difesa dai terremoti, guarigioni da storpiature, lussazioni ed altri mali violenti. A Sant'Agata veniva riservato un culto eccezionale sia a Palerino che a Catania. «Ogni anno a 1 5 febbraio avea luogo una solenne processione, che partendo dalla chiesa e percorrendo mezza città avea termine nella chiesa delli scorrugi, oggi quasi abbandonata. Gli agiografi ci han serbata memoria di quella processione, cui prendea parte tutto il clero, il Senato di Palermo ecc. Era festa comandata: nessuno potea lavorare, nessun aprir fondachi e botteghe, sotto pena di onza una (lire 12,75) di multa. I popolani che abitavano i pianterreni per i quali la Santa avea a passare, erano invitati a spazzare il di-

10 G. P!TRÈ, SìJef/ncoli e feste popolari siciliane, a cura di Aurelio Rigoli, Edizioni "Il Vespro", Pa!cnno 1978, 175. l I ARCHIVIO STORICO DIOCESI DI SIRACUSA, Aui Sinodo diocesano o!fobre 1651, apuJ. V. Pctroniu1n Catanae 1651, parte III, in G. PITRÈ, Spettacoli e feste popolari sh:i/iane, cii. 12 A Chiara1nonte Gulfi le contadine «dopo aver recitato la lauda, s'inginocchiavano e, dignnzzando le n1ani per entro all'crbc stillanti di rugiada, snocciolavano un'A ve, e si segnavano in fronte con il dito un1ido; poi un'altra A vcn1aria, e un segno di croce sul petto, e finaltncntc una terza A ve, e una croce sul labbro» (S.A. GuASTELLA, l'antico Carnevale, s.c., Ragusa s.d., 22).


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nanzi della porta, a parar questa di fiori e festoni. Ma quel che rendea caratteristica la processione era l'andarvi persone ignude per ragioni di penitenza,, n. Il giorno della festa, poi, si faceva memoria dei fatti prodigiosi compiuti dalla Santa, e nelle famiglie che facevano il pane in casa si era soliti «tralasciare qualche pezzo che, col nome di minnuzzi di Sant'Aàti, rappresenta(va) le mammelle della Santa» 14 • La festa di S. Corrado (19 febbraio) veniva celebrata con molta solennità ad Avola e a Noto. Essa era nota per il fatto che «la mattina del 19 si adunavano in chiesa i cosidetti Poeti a cantare l'un dopo l'altro, saliti sopra un piccolo pulpito, le lodi di S. Corrado in ottave siciliane con le solite rime alterne. Questi poeti che gettavano giù dei versi con la più disinvolta franchezza e non di rado con frizzi e concetti veramente originali, sono tre o quattro appartenenti alla classe dei contadini, analfabeti del tutto e senza alcuna cultura; e sempre, per uno che ne muoia, ne sorge un altro a prenderne il posto. Il terna di queste loro canzoni, oltre una succinta biografia del Santo, era d'invocare il patrocinio per il cattivo andamento delle stagioni e per le miserie di cui il popolo si trovasse travagliato. E poiché non ne venivano risparmiate le autorità locali per loro mal governo e pe' loro abusi, questa cantata mattutina è stata da qualche anno, con sommo dispiacere del popolo minuto, interdetta. Più tardi dai poeti stessi, a richiesta di chi ha ottenuto qualche buona guarigione per voto fatto al Santo, si espongono, anche in ottave, le circostanze di ciascuna malattia e le offerte votate, che contemporaneamente si depongono nelle mani de' procuratori della chiesa» 15 • Il periodo quaresimale Il periodo quaresimale era per la famiglia siciliana una tappa di intensa spiritualità e rei igiosità. Digiuni, penitenze e tutte le pratiche racco1nandate dalla Chiesa venivano osservate scrupolosamente, inen-

u G. PITRÈ, Spet!aco!i e feste popolari siciliane, cit., 185. 14 15

1872, 85

Jbid .. 195. !bid., 200-201. Cfr. pure G. PITRÈ, Studi di poesia popolare, s.c., Palermo


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tre gli esercizi spirituali erano un momento centrale al quale partecipavano, a turni, uomini, donne, ragazzi, fanciulli, per lo più la sera. In questo periodo, inoltre, in Sicilia si facevano rappresentazioni e giochi con un valore mitologico e simbolico" fino a quando non si arrivava alla Settimana Santa, caratterizzata da riti, consuetudini, superstizioni ed usi speciali. Uno dei principali riti che stava a cuore alle famiglie devote era quello del sepulcru (sepolcro) il Giovedì Santo, al quale non si sottraevano neanche viceré, luogotenenti, arcivescovi, pretori e senatori, i quali giravano le chiese per adorarvi l'eucarestia chiusa nei sepolcri. Il Venerdì Santo si osservava il digiuno, si svolgeva la Via Crucis in quasi tutti i centri dell'isola, mentre in casa si preparavano vivande e cibi rituali e tipici da consumare il giorno di pasqua («cassatedda, cassata»; <<pupu cu Jlovu», cioè la colombina con l'uovo, etc.), giorno in

cui l'evento della resurrezione veniva rappresentato con manifestazioni raffiguranti l'incontro di Gesù risorto con sua Madre. Alla pasqua, poi, la famiglia siciliana attribuiva un forte effetto liberatorio, effetto che risulta emergente dal vissuto del popolo siciliano. Diversi testi evidenziano come a questa festa cristiana fosse legata la liberazione da influssi negativi e 1nalattie e, in particolare, la caduta del cosidetto «U vermi masttu», il vern1e n1aestro 17 • 1. Luni e santu/rnarti e santu 1nicrcuri e santu/iovi e santu

Lunedì santo/martedì santo incrcolcdì santo/giovedì santo

16 «La Sirrata di la vecchia! ... ] è storica di Palermo e di valore mitologico. A rnezza Quaresima una vecchia veniva trasportata in Palern10 sopra un carrozzone tirato da buoi e accompagnata e assistita a ben 1norire da due lazzari vestili alla n1aniera de' soci della co1npagnia de' Bianchi, il cui istituto è, co1ne si sa, di assistere i condannati a 1norle, 1na coperto il capo di grandi e certo non odorosi baccalari. Nella piazza di Ba\huò era alzato un palco, e la vecchia tra la con1l1ne e lieta aspettazione vi saliva rassegnata a subire l'cstrc1no supplizio. Ed ecco due finti carnefici in 1nczzo ad una tempesta di batti1nani e di evviva segarle con vera i1nperturbabilità il collo o ineglio una vescica ripiena di sangue precedentc1ncnte acconciatale, donde fluivano in larga copia il sangue stesso, in tanto che la vecchia così segata fingea venir meno per in~ sfinirnento n1orcndo in lei la ingrata Quaresin1a di penitenza» (G. PITRÈ, SìJeltacoli e feste popolari siciliane, cit., 207-208). 17 G. BoNOMO, Scongiuri del popolo siciliano, Palun1bo, Palenno 1953.


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vcnniri e sanlu/sabbatu e santu

e pi lu nomu di Pasqua stu malannu 'n terra casca. 2. Luni santu,/marti santu,

n1iercuri santu,/iovi sanlu, venniri santu,/sabbatu santu,

ruininica ri Pasqua sla 'nfinnitati 'n terra casca. 3. Lu luni a ssantu cchiù lu matti a ssantu cchil1, lu rniercuri a ssantu cchiù, lu iovi a ssantu cchiù, lu vennirì a ssantu cchiù, lu sabbatu a ssantu cchiù, lu jornu di Pasca,

lu vennu ti casca.

venerdì santo/sabato santo e il nome di Pasqua questo malanno a terra casca. Lunedì santo,/Jnartedì santo, 1ncrcoledì santo,/giovedì santo, venerdì santo,/sabato santo, domenica di Pasqua questa infennità a terra casca. il lunedì santo, il nuutedì santo, il 1ncrcoledì santo, il giovedì santo, il venerdì santo, il sabato santo, il giorno di Pasqua, il venne ti casca.

Acicatena (Catania)

4. Tagghiu unu e tagghiu rui,/lagghiu 'u venni c'avili vui; tagghiu tri e tagghiu quattru,/tagghiu 'u venni 'nta stu nasu; tagghiu quattru e tagghiu cinqu,/tagghiu 'u venni 'nta stu cintu; tagghiu cinqu e tagghiu sii,/tagghiu 'u venni pi tutti li vii; tagghiu sii c tagghiu setti,/tagghiu 'u venni 'nta sti vesti; tagghiu setti e tagghiu ottu,/tagghiu 'u vermi 'nta stu corpu; tagghiu ottu e tagghiu novi,/tagghiu 'u venni 'nta stu cori; tagghiu novi e tagghiu rcci,/tagghiu 'u vermi a stu poviru 'nfelici. Luni santu,/Jnarli santu,/iuovi santu,/venniri santu, sabbatu santu,/ru1ninica ri Pasqua vern1i lintu 'n terra n1i casca. Taglio uno e taglio due,/taglio il verme che avete voi; taglio tre e taglio quattro,/taglio il verme in questo naso; taglio quattro e taglio cinque,/taglio il venne di questa cintura; taglio cinque e taglio sei,/taglio il verme per tutte le vie; taglio sci e taglio sette,/taglio il venne di questi vestiti; taglio sette e taglio otto,/taglio il verme in questo corpo; taglio otto e taglio nove,/taglio il venne di questo cuore; taglio nove e taglio dieci,/laglio il venne a questo povero infelice. Lunedì santo,/Jnartcdì santo,/giovedì santo,/venerdì santo, sabato santo,/ domenica di Pasqua il vcrn1e callivo a lerra mi casca.

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Natale ed epifania L'evento dell'incarnazione aveva all'interno della famiglia siciliana un'incidenza notevole e sul piano del vissuto morale e religioso e sul piano delle tradizioni. La festa del natale era sempre concepita come momento di koinonia familiare tesa a rinsaldare i vincoli parentali ed affettivi. Basterebbe ascoltare racconti di anziani per verificare la sensibilità morale della famiglia, che proprio nell'occasione del Natale trovava i motivi per opzioni di pace, eliminando litigi e divisioni dovuti ad incomprensioni. Non mancavano poi elementi superstiziosi. Il periodo del natale era infatti caratterizzato da una serie di scongiuri che si infiltravano dentro il vissuto religioso dei nuclei familiari. La recita del Paternoster, ad esempio, aveva un valore di scongiuro, nel senso che doveva preservare, come afferma anche il Pitrè, dalle azioni occulte o palesi dei nemici. La valenza magica e superstiziosa che la famiglia dava al Paternoster viene anche confermata dalla Naselli 18 , la quale afferma che tutto un cerin1oniale superstizioso caratterizzava l'apprendimento e l'insegnamento del Paternoster. Il primo doveva avvenire all'interno di persone dello stesso sesso, mentre l'insegnamento la notte di natale. La notte Santa, inoltre, era avvertita come un evento liberatorio per chi era sotto l'influsso di una fattura («[ ... ] fattura, lijatura/non fari mali a sta pirsuna! I Pri la notti di Natali I l'aviti a Jibirari», - fattura maledetta I non fare male a questa persona! I Nella notte di Natale I ti prego Gesù di liberarla. - Calatabiano - Catania), come notte propizia per imparare pratiche magiche, tipo incantare i vermi. Anche la festa dell'epifania toccava il senso religioso del popolo siciliano, il quale la collegava pure ad una serie di credenze superstiziose. Per salvaguardarsi dalle malìe si portava addosso, per esempio, un sacchettino contenente cera e sale benedetti nel giorno dell'epifania, mentre per liberarsi dal vomito si faceva uno scongiuro rivolgendosi ai Re Magi:

JR Cfr. C. NASELLl, Diffusione e interpretazio11e del Pater Noster di San Giuliano in Sicilia, in Atti del terzo congresso di Arti e Tradizioni popolari, Roma 1936, 264-268.


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'Aspànu, Minzioni e Matsssàru, I unu liava, 'n autru putava, 'n autru 'a striscia a riversa cci liava. Non1u di lu Patri, di lu Figliu, di !u Spiri tu Santu 19 .

In provincia di Paler1no, a Prizzi, l'epifania era motivo di scongiuro contro forze maligne che potessero ostacolare le attività umane. Scrive il Bonomo: «nello scongiuro di Prizzi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre attendono, a quanto pare, a lavori di giardinaggio: uno lega, l'altro pota e il terzo lega 'alla rovescia una striscia'. Si direbbe che stiano praticando un'innesto. Il fatto in sé non ha nulla di eccezionale; senonché l'operazione del legare, alla quale due di essi sono intenti, ha un particolare significato. Legare vuol dire fare un nodo, e si sa quanto sia antica e diffusa la credenza nel potere magico dei nodi - quali essi siano - creduti capaci di impedire o intralciare le attività u1nane» 20 .

Religiosità e famiglie guaritrici Il miscuglio tra fede, religiosità e superstizione esistente all'interno della famiglia siciliana, risulta confermato da tradizioni secondo le quali alcune famiglie si dice fossero in possesso di mirabili facoltà di guarire certe malattie. Il Pitrè attesta che in Sicilia erano molto celebri e venerate due famiglie: la famiglia di Potenzano, «ciascun membro della quale avea la potenza, con un'orazione, di guarire ferite, dolori e malallie d'altro genere»"; e la famiglia Grassellini, la quale aveva il potere di guarire facendo ricorso all'uso della saliva, pratica,

19 Tesi di laurea di Giuseppina Orofino, 1950, Musco Pitrè, Palerrr10. G. BONOMO, op. cit., 147. 21 G. PITRÈ, Curiosità di usi popolari, Reprint, Editoriale Insubria, Catania 20

1902, J 14. L'attestazione dcl PiLrè viene anche confermata da uno scrittore del XVII secolo, il quale racconta che «D. Giovanni Agliata, giostrandosi nel piano del palagio (in Palern10) con D. Carlo D'Aragona Duca di Terranova, gli ruppe l'a111ese e lo ferì ne! lato sinistro; per la qual ferita fu il duca per lasciarvi la vita; rna finahncntc guarì per n1ano d'un de' Potenzani, che facca professione di rncdicarc con l'orazione, e lana e olio, essendo stato (il D'Aragona) disperato dai rncdici» (D. V. DI GIOVANNI, Ge11ti!1101110 pa/ennitano, Biblioteca storica e letteraria cli Sicilia, Palcnno MDCCLXXII, 7).


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questa, che esigeva come condizione che il curante fosse a digiuno e avesse attraversato lo stretto di Messina. In tutta la Sicilia erano anche presenti famiglie con il potere di guarire dai morsi di animali velenosi, potere ereditato dai cosiddetti «cirauli» 22 • Famiglie con queste virtù vivevano oltreché a Militello, anche a Palermo, a Siracusa e Noto ed erano considerate persino dai parroci come detentori di una "grazia di Dio": «Tanto in Palermo come in Siracusa, in Noto ritrovansi queste persone, o famiglie che hanno ottenuta da Dio a riflesso dei meriti di San Paolo questa grazia, e non aver contro serpenti dell'orrore ch'hanno gli altri. Li 1naneggiano senza ti1norc, e li trattano senza offesa» 23 .

Quest'attribuzione di poteri di guarigione a determinate famiglie si può spiegare, a nostro avviso, non solo come credenza nella superstizione ma anche con il fatto che a quel tempo non c'era accesso alla medicina ufficiale, sicché la gente si affidava ad una sorta di medicina naturale commistionata con il dato religioso eretto, in modo però deviante, a funzione taumaturgica.

La dimensione religiosa oggi Quanto abbiamo evidenziato a proposito di religiosità della famiglia del passato, oggi risulta ampiamente mutato a causa del secolarismo e del consumismo, che hanno degradato le feste religiose fino a far perdere la loro specificità.

22 «Vivono fino al dì d'oggi in Militcllo di Sicilia, terra posta nella valle di Noto, alcuni d'una farniglia detta de' Cirauli, né maschi e fe1n1ninc della quale per molti secoli s'è andata trasfondendo una meravigliosa virll1 di guarire, non solo col tatto, con lo sputo e con le parole, ma ancora con l'immaginazione, tutti i morsi velenosi d'ogni sorte, e di far 1norire ogni spezie di velenati, quanto si voglia lontani» (SERPETRO, Mercato defle Meraviglie della Natura, Parte I, in Venetia, per il To1n1nasini MDCLIII, 57). 23 ATTARDI, Bilancia della Verità, Mongitore, Della Sicilia ricercata, I, Palermo MDCCXLII, 88.


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La famiglia di oggi non fa più quasi distinzione tra festa religiosa e festa profana, tra festa cristiana e festa pagana, abituata com'è a cogliere della festa il puro dato consumistico e ad assuefarsi a quella cultura dell'effimero che sempre di più si va diffondendo in molti strati del popolo siciliano. C'è un'adesione alla dimensione religiosa della vita solo in termini teoretici, ma di fatto sono scarse le implicanze nel tessuto familiare. Tutte le tappe della sacramentalizzazione vengono dai genitori osservate fedelmente, ma in questi casi si vede come la religione sia interpretata in modo funzionale. Il problema di oggi è quello di educare la religiosità popolare, di far sì che crei impegno morale, altrimenti rimane solo un fatto edonistico e di soddisfazione di bisogni associativi. La religiosità popolare, se ben ordinata, soprattutto mediante una costante e graduale evangelizzazione, è ricca di valori e genera atteggiamenti interiori che in questa epoca di consumisn10 e di secolarizzazione sono piuttosto rari: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, fiducia nella Provvidenza, senso del sacro. La famiglia di oggi deve fare un salto di qualità: da una religiosità formale e priva di contenuti morali, deve passare ad una comprensione di quei valori umani, etici, sociali presenti nella religiosità. Ciò sarà possibile nella misura in cui essa prenderà coscienza di due urgenze: a) agganciare la religiosità popolare alla Parola di Dio per coglierne tutta la valenza positiva, e liberandola, così dalle infiltrazioni magiche, superstiziose e consumistiche; facendola vivere come momento di incontro con il risorto e orientandola ad assumere le strutture delle celebrazioni della parola e della preghiera; b) recuperare la dimensione dell'ecclesialità: le feste religiose vanno sganciate dalle esagerate istanze folcloristiche e materialistiche per divenire, nella mentalità familiare, esperienza di popolo di Dio che fa festa per ringraziare il Signore e vivere nella carità e nella gioia. La famiglia di oggi, infatti, a causa dei mutamenti già evidenziati sta rischiando di far disperdere tutti quei valori innegabili che la religiosità popolare presenta, sostituendoli con manifestazioni di semplice folclore e di gratificazione sentimentalista del momento. In tale ambito, quindi, urge un intervento pastorale della Chiesa.


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3. Vizi e virtù

La riflessione sul vissuto etico della famiglia siciliana ha certamente un elemento chiave nelle categorie di vizio e virtù. A riguardo non c'è una siste1natizzazione organica che possa essere assunta co1ne punto di riferimento ed essere quindi sottoposta a valutazione critica, per cui il nostro discorso si organizzerà principalmente sulla base di una interpretazione di testi sapienziali, dai quali cercheremo di far emergere le connotazioni morali più cariche di significatività di contenuto. Trattando già la dimensione spirituale e religiosa della famiglia del passato, si è potuto cogliere, specie nei testi eucologici, il dinamis1no etico esistente nel tessuto fan1iliare isolano; ora cercheren10 di ampliarlo puntando sulle categorie di vizio e virtù presenti all'interno della visione sapienziale della vita del popolo siciliano. Nell'epoca patriarcale l'ethos fa!niliare siciliano affondava le radici nella cultura dell'isola e si muoveva entro un orizzonte antropologico. Da Frattallone apprendiamo che l'ethos vissuto si articola «in un insieme organico dinamico costituito da valori morali, da principi di esistenza e da chiare norme di comportamento: a) i valori morali, come la giustizia, l'onestà, la prudenza, l'attaccamento alla famiglia e alla "robba'', costituiscono i pilastri portanti dell'ethos siciliano; b) i principi etici, che ispirano e guidano l'agire morale dall'intimo della persona, vengono assorbiti incosciamente dall'ambiente, dagli interventi educativi espliciti della famiglia, della scuola e degli altri educatori, oppure [ ... ] vengono enucleati, conservati e tramandati mediante le formule lapidarie dei proverbi; e) infine, le norme concrete di comportamento estendono ampiamente il loro ambito fino ad abbracciare ogni aspetto dell'esistenza; esse, pertanto, copriranno un orizzonte che va dagli articoli del codice civile e penale, alle regole per un fruttuoso lavoro dei campi, alle istruzioni sulla vita familiare e sociale alle esortazioni concernenti la vita religiosa e le pratiche della fede cristiana, ccc.» 24 . Riteniamo che i

N R. FRATTALLONE, op. cit., 35-36. Cfr. pure E. ALAIMO, Proverbi siciliani, Martello-Giunti, Palermo 1974.


55 L'etica della famiglia siciliana tra passato e presente ---numerosi proverbi circolanti in seno alle famiglie e negli ambiti della cultura ci consentano di tracciare un quadro dei vizi e delle virtù che stavano alla base del comportamento dei siciliani e che delineavano il tipo di percezione dei valori. Il concetto di vizio e virtù nell'ethos familiare indicava l'inclinazione verso le cattive o buone azioni, l'atteggiamento positivo o negativo nei confronti della vita, delle persone, della società, della religione, della natura e dell'ambiente, dei figli e dei parenti, del tempo, del destino, della casa, del lavoro, etc.,, Tra i vizi più noti ne indichiamo alcuni, espressi attraverso la forza del linguaggio proverbiale 25 :

* O è curtu 'u brazzu,

* Pcddi

o è funnu 'u puzzu.

a tò ca 'a inia.

* Si vò cmnpari l'anni di la cucca, sfarda stivali assai, linzoli picca.

* Cu davanti ti pinci, darreri ti tinci.

* Cu

picca parrau,

* Nun

ppi peddi, I mcgghiu

t'ainmiscari,

1nai si nni pintìu.

nun t'intricari,

* Cu

catnpa cent'anni 'n paci.

nun fari bene ca inali ti nni veni.

* Cosi cuntati/crìdini 1nitati; se menu nni cri di, 1negghiu fai.

* Fidarsi è bene, nun fidarsi è megghiu.

* Unni

* Vesti 'u zuccunu ca pari baruni.

* Si

nun vidi, nun senti e taci,

cci chiavi cci sciddica.

vasanu li inani

a cu si li merila tagghiati.

*La pinna di l'avaru

è fatta ad amu.

25 Traci. it.: - O è corto il braccio I o è profondo il pozzo. - Se vuoi vivere quanto una civetta, I consun1a rnolti stivali e poche lenzuola. - Chi parlò poco, I non si pentì rnai. - Chi non vede, non sente e tace, I carnpa cent'anni in pace. - Cose raccontate, I credine 1netà; I se ne credi meno, I fai 1neglio. - Dove ci piove, scivola via. - Pelle per pelle, I 1neglio la tua che la mia. - Si baciano le mani I a chi merita di averle tagliate. - Chi davanti ti loda, I dietro ti tradisce. - Non ti intro1nettcre, non ti i1n1nischiare, I non fare bene I perché 1nale te ne viene. - Rivesti un ceppo d'albero I e se1nbrcrà un barone. - La penna dell'avaro è fatta a fonna di aino (cfr. R. FRATTALLONE,

op. cit. e G. PITRÈ, Proverbi, niotti e scongiuri del popolo siciliano raccolti ed illustrati da G. Pitrè, voi. unico, C. Clausen, TORINO 1910, XXIII, della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane).


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La consistenza etica di questi proverbi esprime una prassi familiare che evidenzia cattive abitudini tradotte in norme comportamentali. Di quali cattive abitudini parliamo? Si tratta della pigrizia, per giustificare la quale si ricorreva ad ogni mezzo evitando così il lavoro nei campi; dell'omertà, tipica della famiglia siciliana e riguardo alla quale si è sviluppata tutta una cultura che ancora oggi influisce negativamente in certi processi di sviluppo della socializzazione e della convivenza interpersonale. Fra gli atteggiamenti negativi troviamo ancora la diffidenza, l'indifferenza per le gioie e i dispiaceri degli altri, il servilismo funzionale all'ottenimento di qualche favore, la menzogna come copertura di determinate azioni, l'avarizia che spingeva ad accumulare ingannando ed arraffando i beni degli altri. A questo quadro di inclinazioni negative si contrapponeva un orizzonte positivo sfociante in una vita virtuosa. La cultura siciliana infatti ci dà sempre con il ricorso all'efficacia dei proverbi, il quadro di diverse connotazioni virtuose del popolo siciliano, che maturavano all'interno dell'ethos familiare, si trasmettevano ai figli e si incarnavano nel tessuto sociale. Possono certamente annoverarsi come virtù tipiche dell'uomo siciliano l'onestà, l'onore, la laboriosità, la prudenza, la solidarietà, l'amicizia, il senso della giustizia, l'attaccamento alla casa e al lavoro, la fortezza, la pazienza. Su questa gamma di atteggiamenti sui quali si fondava l'esercizio della virtù e si concretizzava il vissuto morale, vogliamo un po' soffermarci. La virtù dell'onestà era un dato coscienziale che impegnava con gli altri quasi alla stessa stregua di un contratto finnato davanti a un notaio"; l'onore era un valore che toccava la dignità stessa della persona e a cui veniva dato un posto primaziale rispetto ad altri beni e perfino rispetto alla ricchezza, tant'è che si arrivava addirittura a giustificare il delitto d'onore.

26 Cfr. R. FRA'ITALLONE op. c;t., 76-77. Si veda pure C. ASSENZA, Modi di dire e voci di paragone negli ib/ei, Regione siciliana - Assessorato ai beni culturali, Distretto scolastico 54, Modica 1987.


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La laboriosità era una virtù che si metteva in esercizio soprattutto nel campo del lavoro, essendo questo ritenuto un elemento che arrecava dignità, potere e rispetto da parte degli altri («la vanga nun è santu I e fa miraculi», la vanga non è un santo, ma fa miracoli), mentre la prudenza aveva un ruolo importante nell'educazione dei figli: a questi infatti, i genitori dicevano: «Stenni i piedi I quantu 'u linzuoli teni», cioè allunga i piedi I quanto è lungo il lenzuolo; e ancora «lu sonnu porta cunsigghiu», cioè il sonno porta consiglio. Particolarmente sentite erano la solidarietà e l'amicizia, considerato che i rapporti intrafamiliari erano continui, solleciti e percepiti in modo intenso. Il vissuto amicale si caratterizzava per un'impronta a nostro avviso di sapore biblico, come è possibile vedere dal raffronto di alcuni proverbi con versetti del libro del Siracide 27 . Questo raffronto dice chiaramente come certa prassi etica della vita familiare siciliana poggiasse su una sapienza di afflato biblico e come i vincoli dell'amicizia fossero concepiti in termini di condivisione delle gioie e dei dolori, e di assunzione delle difficoltà nei momenti difficili della vita, tanto da ritenere negativa l'amicizia di pura facciata. Anche la fortezza e la pazienza costituivano virtù tipiche dell'uomo siciliano. Questi insegnava ai propri figli, con l'esempio, a non scoraggiarsi e ad avere pazienza di

27

Cfr. R. FRATTALLONE, op. cii., 152-155. 1. Vali cchil1 assai 'n' <Hnicu 'nta chiazza ca cent'unzi 'nta cascia. Val 1nollo di più un a1nico in piazza che cento onzc dentro il haule.

2. Amici di salutu cci nn'è assai Amici di saluto ve ne sono tanti.

3. Carciri, rnalattia e necessità si canusci u cori di l'ainicu. (In situazioni di) carcere, malattia e necessità si conosce il cuore dell 'amìco. 4. Nun diri a lù tò arnicu quantu sai; pensa s'un jornu ppi nnimicu l'hai. Non dire al tuo arnica quanto sai pensa se un giorno diventasse nen1ico.


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fronte alle avversità della vita, come si evince da questi due proverbi: «Pacenzia ci voli a Ii burraschi I ca lu meli nun si mancia senza muschi» (ci vuol pazienza durante le burrasche, I perché il miele non si mangia senza mosche); «Si sciugghèru li cataratti, I sciusciàu lu ventu, I ma nuddu ntaccàu I stu munumentu» (Si aprirono le cataratte, I soffiò il vento, I ma nessuno poté intaccare I questo monumento)w Giustizia e verità erano altri valori morali cui veniva improntato l'ethos familiare. La loro implicanza nella prassi comportamentale aveva però duplice valenza: a) una positiva, in quanto si condannava la menzogna in favore della verità intesa come atteggiamento di tutta la persona verso il bene morale: «La vera lodi t'adorna, I e la buggia ti svirogna»; «A Medicu, cunfissuri ed avvucatu I nenti tèniri cilatu» 29 , e l'ingiustizia di colui il quale approfitta delle necessità altrui per darsi ad un vile sfruttamento: «nun pirchì lu bisognu m'amminazza, I m'ha mittiri li pedi 'a cannarozza»Jl'; b) l'altra negativa, sia perché il volto della verità in un ambiente condizionato dalla mafia non poteva essere facilmente rivelato: «Cu dici la virità I mori am1nazzatu» 31 ; sia perché il ricorso alla giustizia veniva affidato alla propria coscienza individuale e familiare anziché agli organi preposti a tal scopo. Un canto popolare siciliano ci dà l'idea di quest'auto-giustizia, che viene addirittura giustificata religiosamente mettendo in bocca a Gesù crocifisso una sentenza

28 !bù!., 78-79. Il proverbio richiama Mt 7,27, dove l'uomo che ha il coraggio di costruire la casa sulla roccia, Gesù, resisterà ad ogni inte1nperia. 1. Per un amico fedele, non c'è prezzo, non c'è peso per ìl suo valore (Sir 6,15).

2. Ogni mnico dice; «Anch'io ti sono arnico», ina esiste l'ainico che lo è solo di nome (Sir 37,1).

3. Non n1i vergognerò di proteggere un a1nico, non 1ni nasconderò davai1ti a lui (Sir 22,25).

4. C'è anche l'arnica che si ca1nbia in nen1ico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi (Sir 6,9). 29

Trad. it.: La vera lode ti onorn, I e la bugia ti svergogna. - Al medico, al confessore e all'avvocato I non nascondere nulla. :rn Trad. il.: Non perché il bisogno rni strapazza, I deve 1nettermi i piedi sopra la gola. 31 Traù. it.: Chi dice la verità I muore ammazzato.


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che invoglia un servo maltrattato dal proprio padrone a farsi giustizia con le sue mani: Un scrvu tc1npu fa, di chista piazza cussi prijava a un Crislu, e cci dicìa: - Sìgnuri, u n1c' palruni 1ni strapazza,

1ni tratta co1nu un cani di la via: tuttu si pigghia ccu la so 1nanazza, se jò 1ni lagnu, cchiù peju am1ninazza, ccu ferri ini castia a prigionia; undi jò vi prcju, chi sta inala razza distruggitila 'vui, Cristo, pri inia. - E tu farsi chi hai cionchi li vrazza, o puru l'hai 'nchiuvati coinu a mia? Cui voli la giustizia si la tazza, né speri ch'àutru la fazza pri Lia. Si tu sì 01nu e non si' testa pazza, rnetti a prufittu sta sintenza rnia: jò non sarìa supra sta cruciazza,

si avissi fattu quanto dicu a tia32 .

Il quadro di v1z1 e virtù testé disegnato è chiaramente solo un abbozzo che ci fornisce i lineamenti essenziali dell'etica familiare del passato; esso, in ogni caso, evidenzia un mondo dove il problema etico è fortemente avvertilo e nel quale le norme compmiamenlali scaturiscono anche da una scrupolosità di atteggiamenti etico-culturali tipici della società siciliana. Andando ora al presente, come le categorie.di vizio e virtù si collocano e vengono percepite dalla famiglia secolariz-

32

'frad. it.: «Un servo, tcrnpo fa da questa piazza, I così pregava Cristo, e gli I Signore, il inio padrone n1i strapazza, I e co1ne un cane randagio mi tratta; I prende con la sua manaccia, I la vila, dice, non è neanche mia; I se 1ni la~ più forte rninaccia, I con ferri n1i castiga e n1i i1nprigiona; I perciò vi prego, genìa I distruggetel<l voi per inc. Risposta del Crocifisso: diceva: tutto si 1ncnto, cadcsta

E tu forse hai cionche le braccia, I oppure le hai inchiodate co1nc n1e? Chi vuole giustizia se la faccia, I né speri che altri la faccia per te. I Se tu sci uo1no e non sci testa pazza, I metti a profitto questa n1ia sentenza: I io non sarei su questa crociaccia, I se avessi fatto quanto dico a le» (L. TRO!Sl, I! Sud fra cronaca e storia, Loffredo Editore, Napoli 1979, I 06).


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zata? Riteniamo che nel linguaggio della famiglia di oggi le parole "vizio", "virtù" tendano a scomparire per far posto ad una fraseologia con una «cmmotazione prevalentemente psicologica quasi che il fine dell'agire umano fosse il raggiungimento di un equilibrio psichico e non l'adesione al bene, inteso non coine sinonimo di dovere astratto ma come mondo di persone con le quali restare in rapporto, in fedeltà alla propria vocazione umana»''. Mentre nella famiglia antica l i1npegno morale passava attraverso l assunzione di valori, si concretizzava in un agire virtuoso pur se inteso, a volte, in forma superstiziosa, nella famiglia contemporanea valori e virtù hanno subìto una trasformazione, hanno cambiato volto in sintonia con i fondamenti ideologici predominanti nella società post-moderna. La famiglia, in sostanza, ha subìto l'influsso dell'eclissi della virtù nell'etica moderna, ha relegato ai margini del suo vissuto umano e delle sue discussioni morali le categorie di virtù e vizio, puntando su altri argomenti come il dovere e l'obbligo o su atteggiamenti legati a principi razionali, intuizioni ed emozioni più che ad un discorso etico. L'ethos familiare ha assunto oggi le caratteristiche della società pluralista e segmentata, per cui non appare più unitario nelle sue realizzazioni. In questa prospettiva la moralità non è più espressa in termini di virtù ma di principi razionali astratti cui corrispondono doveri mutevoli a seconda del ruolo di cittadini, di padri, di lavoratori dell'industria, di operatori culturali e politici, di credenti, etc ... E difatti, «i due sistemi principali di morale del nostro tempo sono le forme kantiane d'obbligo - cioè il calcolo utilitaristico per ottenere il maggior bene con l'esercizio delle facoltà razionali - e l'emotivismo, cioè la pura asserzione espressiva. [ ... ] L'emotivismo fa parte ormai della nostra cultura moderna ed è alla base del liberalismo borghese del nostro tempo»". Da questo individualismo utilitaristico e dall'emotivismo scaturisce che ogni famiglia si definisce in base alle sue preferenze, si costruisce un suo universo morale, considera quasi 1

1

33 Cfr. F. GARELLI, Una 111ora/e senza virtù, in AA. Vv., Educazione 111orale oggi, Las, Roma 1983, 23-37. 34 J. COLEMAN, Valori e virtù nelle società n1oderne avanzate, in Conciliu111 3 (1987) 22.


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ridicole le convinzioni degli anziani sul significato di una vita corretta, ritiene incomprensibili gli ideali morali delle generazioni passate. Non bisogna tuttavia disconoscere come da questo processo di trasformazioni dei valori e delle virtù sia scaturito anche un dato positivo per l'etica coniugale e familiare. Mentre secondo il modello della famiglia patriarcale la virtù doveva comportare il controllo della passione da parte della ragione e la subordinazione dei valori terreni a quelli sovrannaturali per cui si finiva per giustificare anche situazioni di dominio, di sottomissione parentale, di discriminazione sessuale, di assolutizzazione della virtù della castità rispetto alla carità e alla giustizia, per il modello egualitario di famiglia, invece, l'agire virtuoso si n1uove in una prospettiva che «considera gli an1ici e le donne con1e partners pienamente eguali nella comunità umana. Invece del controllo, è la nozione di rispetto per tutta la realtà creata che è fondamentale in questo paradigma, che tiene in considerazione i I corpo e l'umanità delle donne e promuove ideali dal carattere rispettoso dell'integrazione sessuale. Invece di concepire il potere come controllo dall'alto, questo paradigma si affida ad una concezione del potere come energia della relazione corretta. Gli ideali dell'amore e della giustizia non sono segregati in sfere separate dell'etica personale e sociale, con una discriminazione in base al sesso, della responsabilità per realizzarli; al contrario l'amore e la giustizia sono concepiti come nor1ne che si rafforzano viccndevohnente e che dovrebbero governare in modo egualitario entrambi i sessi» 35 . Per contro, va peraltro evidenziato come questo processo di trasformazione abbia anche operato oggi una sorta di interscambiabilità tra vizio e virtù: se nella famiglia del passato l'onestà e la parola data, ad ese1npio, assu1nevano quasi un tono sacrale, oggi invece si osanna

come qualità l'atteggiamento della furbizia e l'arte del gabbare, contravvenendo facilmente ai patti e ricorrendo anche alle ruberie; se la verginità era un dato cui si dava valore nell'itinerario di preparazione

35

I 05-106.

A.

PATRICK,

Narrativa e di11a111iche sociali defla virtù, in Co11ciliu111 3 (1987)


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al matrimonio, oggi parlare di verginità è considerato un fatto di arretratezza di cui c'è quasi da vergognarsi.

4. La vita teologale Il cristianesimo ha trovato accoglienza in Sicilia sin dal suo sorgere, tant'è che in Atti 28, 12-13 Luca ricorda che Paolo prima di arrivare a Reggio Calabria fece una sosta di tre giorni a Siracusa. La presenza del cristianesimo nell'isola, man mano che esso si andava diffondendo a macchia d'olio nelle campagne, informava di sé la vita, le azioni, il pensiero delle famiglie siciliane, le quali aderivano alla fede cristiana rispondendo così al loro bisogno religioso. Nella cultura siciliana, quindi, si è operata «una certa identificazione di fatto tra la religione e il cristianesimo, tra i comportamenti religiosi e la pratica della fede» 36 , sicché in seno alle famiglie si sono fatti coincidere gli atteggiamenti religiosi con la vita teologale del vangelo: la fede, la speranza e la carità. Su queste tre virtù, che costituivano il fondamento dell'agire etico, vogliamo soffermarci per cogliere la dinamica teologale della famiglia. La fede della famiglia aveva la sua massima espressione nella fedeltà alle pratiche religiose del suo ambiente; in questo senso tutti gli elementi focalizzati a proposito della spiritualità e religiosità nei paragrafi precedenti, sono sufficientemente indicatori del tipo di fede che caratterizzava il vissuto familiare siciliano. Qui ci preme solo sottolineare un aspetto, già messo in luce nell'esegesi della preghiera a Gesù, cioè che la fede dell'uomo siciliano aveva la sua centralità nell1eucarcstia: (<Dieci1nila e ccntu I E Judainu 'u Sacran1enlu E sen1pri sia ludatu I Nuostru Ddiu Sacrarnintatu. O Santissi1nu Sacratncntu I Spusu 1niu di tutlu lu te1npu Iu vi viegnu a visitari, I Ch'è di spini 'ncurunata Chi di juncu fallu scsla I La facci uzza 'nsanguinata Vi purtaru o rno\un1cntu I O Santissin1u Sacran1entu» 37 .

16 ·

R. FRATTALLONE, op. cit., 57. op. cit., 64.

:. 7 G. BUSCEMI\,


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Queste parole costituivano il nucleo di un'antica preghiera che si recitava nelle famiglie e che faceva riferimento all'eucarestia, esprimendo un tipo di fede centrata attorno al mistero eucaristico interpretato come realtà da "lodare " e da "visitare''. La preghiera contiene inoltre al suo interno qualche dato teologico: c'è infatti la teologia dell'alleanza, insita nella visione sponsale Cristo-Chiesa, e il dolore della passione colto secondo la descrizione di Isaia: «Vi purtaru o molumentm>; «era come agnello condotto al macello» (is 53,7). Questa testimonianza di fede radicata nell'eucarestia che ci proviene dall'antica famiglia siciliana, dice come ci fosse una circolarità ermeneutica tra famiglia, fede ed eucarestia. Ci è utile per la comprensione di questa dinamica il grafico qui riportato (fig. 1).

La ruota rappresenta la vita familiare. L'asse della ruota è la fede in Cristo Gesù, Pane eucaristico. L'asse di una ruota è la sorgente della forza e della direzione della ruota intera; la fede cristiana era la sorgente della forza e della direzione della vita familiare.

l/VÉUO L>t /HPEt;tfO ETICO

(fig. 1)


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Dalla fede derivavano alcune implicanze per il vissuto della famiglia, e nella fede inoltre le dinamiche familiari trovavano il loro senso e la loro comprensione a quattro livelli. Livello dell'identità La fede cristiana non è un fatto puramente individuale ma una realtà che crea ecclesialità e comunione; elementi, questi, che nell'eucarestia diventarono esperienza di vita per i cristiani. Su questa realtà la famiglia faceva poggiare la propria identità; dalla fede celebrata nell'eucarestia la famiglia capiva, pur se indirettamente, che: - la sua natura e identità era quella di essere luogo di comunione, e che la sua vocazione doveva consistere nel far maturare e crescere la comunione. Ciò spiega l'assolutizzazione dei rapporti intrafamiliari, la stima per l'amicizia e la solidarietà con gli altri: «la bona palora I assai vali e pocu costa», la buona parola I vale molto e costa poco; - essa doveva proiettare al suo interno il mistero celebrato nell'eucarestia: «Jiri 'n chiesa è cosa morta, I quannu 11 casa nun si porta», andare in chiesa a nulla vale, I se in casa non ci si comporta bene. 1

Li vello della crescita La fede provoca un'adesione personale all'evento Cristo; quest'adesione cresce e rnatura nell'eucarestia, dove avviene un processo di assimilazione a Cristo e di trasforn1azione del cristiano grazie al nutrimento spirituale che viene dal mangiare il corpo e il sangue di Cristo. Sostentamento e trasformazione ricevevano dalla fede e dalla visita del SS. Sacramento i membri della famiglia, i quali davanti a Gesù eucarestia invocavano il perdono dei peccati e la salvezza della propria anima al fine di poter camminare raggianti nella sequela di Gesù: Sensiu 1niu inali pinsati I iu ti lassu cca davanti; I fan11ni jiri ccu sirena 1ncmoria I quann'aduru 'u Re di la gloria. Cruci santa biniditta, I quanlu voti v'haiu offisu,


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pigghiu l'acqua biniditta I e 1ni lavu lu 1nc vi su. Trasu 'Ila casa di Gesù e Maria, Sìgnuri, sarvati st'armuzza mia 18 .

Livello della missione La concretizzazione della fede sta nella testimonianza di ciò che si crede. Questa convinzione era radicata nella famiglia siciliana, la quale diceva: «Palori e pinni lu ventu li leva», cioè parole e piume il vento le porta via. Era dunque con i fatti che bisognava dimostrare la fede, che occorreva parlare di Dio e di Gesù agli altri, pena l'affievolirsi della stessa fede fino a perderla: «Cu perdi l'onuri, perdi assai; I ma cu perdi la fidi, I perdi tuttu», chi perde l'onore perde molto; I ma chi perde la fede, I perde tutto; «L'amuri e la fidi I all'opira si vidi», l'amore e la fede I si vedono con i fatti. Livello d'impegno etico Senza le opere la fede è morta. Questa espressione di San Giacomo era avvertita in modo chiaro dalla famiglia, tant'è che essa non mancava di essere ricordata ai figli attraverso il ricorso ai proverbi:

* <(Mcntri sì in gioventù I acquistati * Cu fa clcn1osina nun fallisci.

virtù.

* Fà beni ca l'arma ti luci. * La vinnitta di l'o1nu ranni I è lu pirdunu>>.w, C'è chiaramente in questi proverbi una dimensione etica che nasce da una concezione di fede non intimistica, ma incarnata nella storia e radicata nelle vicende umane. La vita morale della famiglia siciliana faceva leva anche sulla virtù della speranza, che si esprimeva con due atteggiamenti:

38

R. FRATTALLONE, op. cit., 224-225. Trad. it.: Mentre sei giovane, I acquista virtl1. - Chi fa elemosina non fallisce. - Fai il bene: l'ani1na ti risplende. - La vendetta dell'uon10 grande I è il perdono. 39

(R FRATTALLONE, op. cit., 216-219).


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- atteggiamento fiducia/e nella paternità di Dio che non abbandona mai i suoi figli: «Ogni beni I di Diu veni»; «Diu affliggi, I ma nun abbannuna»; «Tuttu arriva e tuttu passa, I sulu l'Amuri di Diu nun passa 1nai» 40 . - atteggiamento di certezza nell'esistenza del paradiso, dove l'uomo vivrà felice e riceverà il premio eterno: «Cu ama Diu di cori, I filici campa e fili ci mori»; "Oggi cci pensu iu I dumani ci pensa Diu» 41 •

Questa espressione di speranza si affievoliva però nei confronti delle persone, specie se estranee; in tal caso subentrava la diffidenza e la sfiducia e si assumeva un atteggiamento di difesa nei riguardi degli altri. La virtù della carità permeava la vita familiare e veniva alimentata con la catechesi popolare. I due poli di questa virtù, ossia l'amore a Dio e l'a1nore al prossimo, orientavano la vita morale e assumevano connotazioni varie dalle quali si deducevano gli elementi caratteristici della carità. Essa doveva concretizzarsi nel rispetto ( «Nun cci pò essiri vem an1uri, I unni ognunu vol'essiri patruni», Non ci può essere vero a1nore, I dove ognuno vuol essere padrone) per cui ogni forma di sopraffazione veniva condannata; doveva anche accettare la sofferenza e rifiutare il tornacontismo («Partutu ch'è l'amuri, I resta lu pintimentu e lu duluri», Finito l'amore, I rimane il pentimento e il dolore: «Unni c'è 'nteressi nun c'è a1nuri», Dove c'è interesse non c'è an1ore). L'amore verso il prossimo, pilastro dell'etica cristiana, nell'ethos familiare affondava poi le radici nella morale evangelica, secondo la quale l'espressione più alta della vita cristiana è fare il bene e amare fino a dare la vita. In diversi proverbi siciliani troviamo proprio questa dimensione dell'agape familiare: «Ama e a1na sernpri cu cori ranni; I nun chiùriri lu cori sennò 1unn 1havi nenti», Ama e an1a se1npre con cuore grande; I non chiudere il cuore, altrimenti non avrai niente; «Fà

40 Traci. it.: Ogni bene I viene eia Dio. - Dio sffligge, nla non abbandona. Tutto arriva e tutto passa, I solo l'An1orc di Dio non passa 1nai (ibid., 205-207). 11 ' Trad. it.: Chi an1a Dio cli cuore, I felice vive e felice 1nuore. - Per l'oggi ci penso io, per il do1nani ci pensa Dio (ibid., 205-206).


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beni e scordatillu, I fa mali e pensacci», Fa il bene e dimenticalo, I fa il male e pensaci; «si nun aiuti J'autri I a tò vita è persa», Se non aiuti gli altri la tua vita è sprecata42 . 1

5. Conclusioni Le connotazioni essenziali della spiritualità, della vita morale e religiosa della famiglia siciliana,, hanno risentito del passaggio dalla civiltà sacrale alla società secolare. La visione sacrale della vita, tipica

di una società rurale, costituiva l'humus da cui la famiglia del passato traeva le sue istanze di spiritualità e in cui costruiva la sua religiosità.

Questa era fondata, come abbiamo dimostrato attraverso l'ermeneutica di alcuni testi eucologici, su un patrimonio biblico-teologico e su un dinamismo di natura etica; la qualcosa smentisce quell'idea sbrigativa che tende ad equiparare la religiosità del popolo siciliano soltanto al folclore, agli usi, ai costumi e alla tradizione. Pur in presenza di questi elementi e di altri con valenze magicosuperstiziose, si è potuto notare come la fede della famiglia siciliana avesse una sua autenticità e centralità soprattutto nel11eucarestia e come

da tale 1nistero facesse scaturire un i1npegno etico che orientava la sua quotidianità. Abbiamo visto inoltre, pur se con uno sguardo panoramico, come il vissuto religioso ed etico della famiglia patriarcale avesse nelle feste religiose una sua preponderante espressività; l'esserci soffermati su alcune festività dell'anno - quali il natale, l'epifania, la pasqua, l'ascensione, la con1n1en1orazione dei defunti, la festa di San Giuseppe, le feste di San Giovanni e di San Pietro - ha permesso dì mettere in evidenza gli atteggiamenti e i comportamenti tipici del popolo siciliano, dai quali è emersa una visione di fede non avulsa dai contesti storici, culturali e politici dell'isola, ma incarnata nelle pieghe della sua vicenda u1nana. L'attenzione rivolta ai vizi e alle virtù nonché alla vita teologale della famiglia siciliana del passato, è servita a giusti-

42

!bid., 60.


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ficare la tipologia della sua prassi etica e a sottoporla ad una disamina critica per coglierne le valenze positive e negative. A un ethos caratterizzato da atteggiamenti negativi come l'omertà, la diffidenza, l'indifferenza, il servilismo, l'avarizia, abbiamo infatti contrapposta la dimensione etica positiva della famiglia, contrassegnata da onestà, onore, laboriosità, prudenza, solidarietà, senso della giustizia, pazienza, speranza, carità verso il prossimo. Attraverso, infine, il processo di comparazione effettuato, lungo l'itinerario percorso, con la famiglia nucleare della società secolarizzata, si è potuto constatare come ai valori della spiritualità, della fede, dell'impegno etico siano subentrate prospettive diverse che, pur se con qualche apporto di positività, hanno messo in discussione i valori del passato. Abbiamo evidenziato infatti come nella famiglia di oggi manchino le ragioni della spiritualità e della preghiera; come essa aderisca alla fede solo in termini teoretici interpretando la religione in modo funzionale; come la cultura dell'effimero e del consumo sia divenuta preponderante nell'interpretazione delle festività religiose; come nel suo linguaggio e nel suo vissuto le categorie vizio e virtù stiano scomparendo per cedere il posto ad argomentazioni più di tipo giuridico che etico, quali il dovere e l'obbligo; come il calcolo e l'emotivismo siano diventati i criteri di ogni agire morale fino al punto di ammettere ed accettare una interscambiabilità tra vizio e virtù. Ne è scaturito un quadro che ha disegnato uno scenario variegato e che deve far riflettere su quale tipo di pastorale oggi la Chiesa deve puntare per rievangelizzare la famiglia ed orientare il suo agire morale.

Conclusione generale

La famiglia siciliana, sottolineavamo all'inizio, presenta una sua tipologia culturale nonché un patrimonio spirituale ed etico piuttosto variegato. AI termine del nostro lavoro ci sembra di poter dire che la consistenza di tale patrimonio sia stata delineata nelle sue valenze più significative ed essenziali, sottoposta a vaglio critico nelle varie articolazioni superstiziose, messa a confronto in alcuni aspetti con l'etica


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biblica e recuperata in quelle dimensioni spirituali ed etiche più ricche di vita e di riflessione. Per quanto concerne l'elemento per noi di maggior interesse, ossia l'elica familiare siciliana, riteniamo che dall'indagine siano emerse, insieme ad alcune ombre, anche alcune concezioni etiche positive: I) un'etica sapienziale: il popolo siciliano ha incarnato una realtà valoriale evangelica in modo semplice e spontaneo, non in virtù di un'assimilazione di elaborazioni teoretiche dottrinali inglobate in un orizzonte di coerenza, ma sulla base di una catechesi popolare spicciola, di una saggezza umana e di una visione sapienziale della vita che lo impegnava nel suo vissuto morale e religioso quotidiano; 2) un 'etica del dovere e della solidarietà: l'ethos familiare ha assorbito la forza pratica che il cristianesimo ha avuto nella storia, caratterizzandosi per spinte di solidarietà, di impegno nel lavoro e nella cura parentale, di amore verso il prossimo e di atteggiamenti virtuosi; 3) un'etica dell'interiorità: gli usi, le tradizioni religiose, il folclore e i costumi tipici dell'isola hanno per lungo tempo fatto prevalere l'idea di un popolo siciliano più proteso verso l'apparenza che verso la sostanza; in realtà si è visto, scavando nei testi eucologici, nelle stesse tradizioni ed usanze, con1e una forte interiorità ed una intensa

spiritualità facessero da fondamento alla prassi etica, ai comportamenti nelle diverse situazioni esistenziali e alle credenze più svariate. Meno evidenti risultano queste piste etiche dal processo di comparazione con la realtà familiare odierna, la quale appare più protesa verso un'etica utilitaristica che preferisce la ricerca dell'utile a quella del dovere; verso un'etica dell'auto-affermazione che esalta l'individualismo ed esaspera l'autonomia; verso un 'etica della situazione che privilegia il privato e il relativismo.



L'ETICA DELL'ECONOMIA IN LUIGI STURZO

ALFIO SPAMPINATO'

Introduzione In questi ultimi anni il dibattito sui rapporti tra etica ed econo1nia è diventato particolarmente vivace 1 e ciò si evince, oltre che da un manifesto interesse degli imprenditori' - i quali, sotto lo stimolo sempre pm pressante della competizione internazionale, (con la conseguente necessità di una continua innovazione di prodotto e di processo) di un mercato interno caratterizzato da insufficienti servizi alle imprese e dalla presenza di quei fenomeni che si definiscono di capitalismo selvaggio, soprattutto in campo finanziario, sono alla ricerca di nuove regole per raggiungere una maggiore efficienza anche dall'azione della Chiesa cattolica 3 che, nel campo dell'etica

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Docente invitato nello Studio Teologico S. Paolo di Catania. Cfr. M. SIMONE, A proposito di etica ed econon1ia, in La Civiltà Cattolica, 1991, li, 262-266. 2 Crr. AA. Vv., Nuove .fJ·o11fiere dell'etica eco1101nica, Confindustria, Napoli 1989; A. COLETTI, Ritorno a!!'etica, in Progetto Manager (Mensile della Federazione Nazionale Dirigenti Aziende Industriali), 7-8 (1990) 41-43; E. MARRO, Ma sani prù1c1j1i 1nig!iorano anche il 111ercato, intervista al premio Nobel J. Buchna1n, in Corriere della Sera, 27 ottobre 1991, 19. 3 Oltre alle grandi encicliche sociali, sull'argomento, cfr. R. PAPINJ, Etica ed eco110111ia nei doc11111enti dei vescovi dei paesi industrializzati, in Coscienza 1 (1988) 24-26. Per un elenco dci 1naggiori docurnenti vedasi: S. Mosso, Etica ed econonlia 11e!l'insegna111e11!0 degli episcopati ca!tolici dei paesi industrializzati, in La Civiltà Cattolica, 1988, III, 53 ss. E' in corso di pubblicazione, a cura dell'Istituto Maritain e dell'Università Cattolica di Friburgo, un testo contenente gli Atti del recente convegno mondiale sull'argo1ncnto con una docun1entazione vastissi1na di docu1ncnti episcopali su Etica ed Economia.


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sociale, è pervenuta ad una grande maturità nel settore dei rapporti sociali, grazie all'ormai secolare magistero pontificio in materia ed alla propria recente riflessione sulle incidenze etiche in campo economico, principalmente per ciò che riguarda il complesso ambito dell'impresa. Se prescindiamo dall'opera degli scrittori ispirati, dei padri dei primi secoli, dei teologi e canonisti medievali e dei moralisti, restringendo il nostro campo d'indagine al periodo che va dalla Rerum Novarum di papa Leone XIII alla Centesùnus Annus di papa Giovanni Paolo II e oltre, sino ai nostri giorni, rileviamo che in quest'ultimo decennio si è avuta, sulrargomento in questione, una produzione di pubblicazioni (considerando solo quelle aventi carattere autenticamente scientifico) veramente notevole. E' pure da rilevare il fatto che si assiste ad un ritorno a casa della scienza economica che, com'è noto, nasce in gran parte quale derivato dell'etica. Sembra, infatti, che ci si renda finalmente conto, anche da parte dei più, come il successivo grave distacco dell'economia dall'etica è stato causa di una delle principali carenze della teoria economica contemporanea così che, non solo la natura dell'economia moderna ha subìto un sostanziale impoverimento, ma appare evidente come tale distacco è stato controproducente anche per l'etica. Dato per assodato il rapporto Etica-Economia, intendendo quest'ultima in un'accezione ampia che copra sia la politica, la regola1nentazione e la pianificazione economica, sia i fatti econo1nici che interessano più direttamente le famiglie e le imprese, così nell'ambito nazionale che in quello delle relazioni internazionali, vogliamo mostrare come questo venga sviluppato da don Luigi Sturzo; egli, che è attuale per il nostro tempo ed esemplare per i cattolici impegnati nel sociale, visto che ha saputo magistralmente coniugare anche in campo economico, pensiero teoretico e prassi pastorale, sociale, politica.


L'etica delflecononiia in Luigi Sturzo

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Esaminando la vasta produzione di saggi' su di lui e sul suo pensiero ci siamo infatti resi conto che manca proprio uno studio specifico sull'argomento e, quindi, pur senza nutrire la pretesa di colmare esaustivamente col nostro scritto tale lacuna, abbiamo voluto offrire un, pur se modesto, contributo alla riscoperta di un aspetto del peusiero di questo nostro grande conterraneo che in Italia è noto solo a pochi specialisti ed è, nonostante i recenti revivals sturziani, m un certo senso, presso i più ancora in esilio. Per evitare di scadere - anche involontariamente 111 quell'enfasi panegiristica che, purtroppo, caratterizza non pochi scnttJ sul Nostro, che lo presentano a volte quasi come un profeta ispirato (facendo un cattivo servizio a lui ed al suo pensiero), abbiamo posto l'accento su Sturzo scienziato sociale, il quale vede-giudica la realtà che lo circonda, e agisce, in essa e per essa, sapendovi cogliere ciò che la trascende senza cadere in alcun ideologismo'. Ci siamo perciò affidati principalmente a ciò che lui stesso ha scritto, e ad alcuni giudizi critici che su di lui sono stati espressi da uo1nini di scienza universalmente riconosciuti come tali 6 , cercando anche di operare un discernimento di ciò che è vivo e di ciò che non lo è nella concezione sturziana, avendo co1ne punto di riferi1nento il dato di fatto che, pur a più di trent'anni dalla morte il pensiero di

4 Rassegne bibliografiche su Luigi Sturzo: G. DE ROSA - F. MALGERI, Fonti e bibliografia, in G. DE ROSA, Luigi Sturzo, UTET, Torino 1977, 483-505; F. MAtGERI,

Bibliogrc(fia, in Profilo biogrqflco di luigi Sturzo, Roma 1975, 145-157; M. RESTIVO, Sturzo nel pensiero dello critica, in Nuovi quaderni del Meridione 39-40

(J 972) 525-562. 5 «(Chi scrive) alla visione irenica di una società perfetta, sia tipico ideale, sia finalistica, [ ... J oppone un processo dinamico che si dualizza nel conflitto, si diarchizza nella organizzazione pratica verso un tcrn1ine di unificazione che 1nai si raggiunge al co1nplcto e che, per naturale contrasto, porta alla disgregazione dci nuclei sociali. Questi ritornano a ricon1porsi nella dualità operativa, a orientarsi verso nuove unificazioni anche se inattuabili e pur tanto efficaci agli effetti sociali»: L. STURZO, Teorie politiche dei cafto!ici, saggio introduttivo al libro (a cura di E. On1odci) Orie11ta111e11ti politici dei cattolici italiani dell'Ottocento, Garzanti, Milano 1948. Ora in Opera 011111ia, serie III, val. V, 223-239: 237. 6 Su Sturzo cconon1ista si sono pronunciati, fra gli altri, Pareto, Erhard cd Einaudi.


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questo straordinario protagonista del nostro secolo, si rivela di una particolarissima attualità.

1. L'econonzia seconclo Sturzo

Espressa in varia 1nisura un po' in tutta la sua vastissin1a produzione7, tuttavia, la concezione economica di Sturzo si ricava principalmente dalle ponderose opere' scritte durante il suo ultraventennale esilio, periodo veramente importante riguardo allo sviluppo ed alla sistematicità del suo pensiero. Allo stato attuale, gli studi su Sturzo filosofo della politica, del diritto e dell'economia hanno evidenziato tre concetti-guida attorno ai quali egli sviluppa tutto il suo pensiero in merito ai problemi fondamentali della convivenza umana: I) la società; 2) lo Stato; 3) la deniocrazia. La società9 viene da lui concepita organicamente (quindi non individualisticamente, né collettivisticamente); deriva dalla persona 10

7 Cfr. Piano dell'Opera 0111nia di Luigi Sturzo, pubblicata a cura dell'Istituto Luigi Slurzo; Indici del Carteggio Luigi Sturzo-Mario Sturzo (1924-1940) (a cura di G. De Rosa), Ed. di Storia e Letteratura - Istituto Luigi Sturzo, Roma 1985; F. D'AMBROSIO, Bibliografia sturziana, Ed. Politica Popolure, Napoli 1961; M. PENNISJ, Bibliografia, in Fede e ùnpegno politico in Luigi Sturzo, Città Nuova, Roma 1982,

471-493. 8 Cfr. F. D'AMBROSIO, Bibliografia sturziana, cit., 45~59 (periodo inglese); 63-67 (periodo a1nericano). 9 Cfr. L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, in Opera 0111nia, serie I, vol. Ili, 3-12. w Ciò che la caratterizza è la libertà e la razionalità «l'esigenza del suo proprio essere e la esigenza di soddisfare ai bisogni singoli e collettivi, in base agli istinti della conservazione dell'individuo e della specie»: L. STURZO, La Sociologia conte scienza, in Il nietodo sociologico, Opera 0111nia, serie J, vol. XII, 266-282: 277. Vd. anche Io., La personalità u11u111a fonda111ento della vita sociale, in Res Publica, Bruxelles, (1932); Archivio Sturzo, arch. cart. articoli autografi 1929-1934; ora in Opera 011111ia, serie II, voL Vl/2, 310-320.


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che ne è il suo principio etico-organico 11 ed il suo fine 12 , prin1u111 teorico e telos pratico ed è in funzione di questa'3, mezzo affinché essa raggiunga la propria realizzazione qua talis 14 • Lo Stato" è, quindi, per la società e nou viceversa; di essa deve garantire l'ordine e la difesa, senza sopprimere la organicità delle sue forme sociali, ma deve coordinarne le attività (con funzione regolatrice e integratrice) per il bene comune".

11 Sulla persona co111e prùno-etico, c[r. A. Dl GIOVANNI, Il contributo teoretico di Luigi Sturzo al problen1a dei diritti dell'uo1110, in Sociologia 2-3 (1979) 53-67; ed anche R. CARMAGNANI, Il regno delta persona in Sturzo e Maritai11, in R. CARMAGNANl - A. PALAZZO, Mediazione culturale ed i111peg110 politico in Sturzo e Maritain, Massi1no, Milano 1985, 24-41. 12 «Il fine effettivo di ogni società (Stato co1npreso) è la persona u1nana; in concreto, ciascun individuo»: L. STURZO, Politica e 111oralirà, in Civiltà Italica, 1 settctnbrc 1950; ora in Opera On111ia, serie I, val. IV, 373-378: 377. u Il valore della persona, infaLLi, è «fondaincnlale e irrisolvibile in altro valore della vi La sociale»: L. STURZO, La personalità ll!nana fo11da111ento della vita sociale, cit., 311. 14 «Quando si dice persona e personalità con questo si intende Lutto ciò che esse rappresentano: spiritualità e sensibilità, vita individuale e sociale, cultura e religione, interessi materiali e vila superiore»: L. STURZO, Morale e politica in COl(flitto, in Opera 011111ia, serie I, vol. IV, 58-75: 55. 15 Concepirlo co1ne prilno-etico, è per Sturzo una aberrazione, sia da un punto di vista sociale, che razionale, che 1norale «Lo Stato è un mezzo necessario; ed è creazione dcll'uon10 nella concretezza storica di ciascuno stato e nei tentativi di sintesi fra autorità-libertà nella quale si sostanzia il potere pubblico»: L. STURZO, li panteis1110 di stato, in AA. Vv., Eresie del secolo, Pro Civitate Cristiana, Assisi 1952 2 , 107-122: 122. Sullo Stato, cfr. L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit.: Lo stato 111oder110 e la i11te1ferenza jì·a le diverse fonne di socialità, cap. III.15, 68-71; La tendenza verso {'unificazione e lo stato 111oder110, cap. Xl.46, 47, 48, 247-269. Riguardo il teina dcl presente lavoro, cfr. L. STURZO, Funzione eco110111ica dello Stato secondo il "popolaris1110", Londra 1933 'non risulta pubblicato); in Archivio Sturzo, arch. 14A, 11. Ora in Opera 011111ia, serie I, val. Xli, l 18-137. 16 Esso è, secondo Sturzo, il bene delle persone facenti parte di corpi sociali con vita e fini specifici propri (come la .famiglia, la professione, il coniune) cd è il bene della singola persona un1ana, «Oltre l'individualisn10 che considera le persone coinc nu1neri, al di là dello staLis1no (sic) che congloba tutti»: L. STURZO, La crisi della de111ocrazia, in Opera 011111ia, serie I, voi. IV, 37-57: 54. Cfr. F. TEREST, La concezione del «bene co111u11e» in Sturzo e nel pensiero cristiano, in AA.VV., Luigi Sturzo e fa Renon Novan1111, cit., 129-133.


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La democrazia 17 , governo di tutto il popolo e per tutto il popolo, non di una parte contro un'altra parte, è anch'essa organica, quindi armonica ed interclassista. Chiaramente c'è una concezione antropologica" che sta alla base di tutto il pensiero di Sturzo, una complessiva immagine dell'uomo che permea tutta la sua visione; ad essa 19 , espressa in modo sintetico ma sufficientemente definito nella sua Introduzione a La Società, sua natura e leggi, occorre fare riferimento, perché è lì che affondano le radici della concezione organica politica, economica ed etica sturziana. Da quanto detto sopra, necessariamente per Sturzo anche l'economia è organica, vale a dire libera e coordinata allo stesso tempo. Non lasciata sola a se stessa (secondo l'individualismo disorganico del capitalismo), né gestita direttamente dallo Stato (secondo la centralizzazione monistica inorganica dei vari statalismi) ma, appunto, organica ovvero: rispettosa sia della individualità che

17 «Per noi la dcinocrazia è un sistema politico e sociale che con1prcnde l'intero popolo, organizzato su una base di libertà per il bene co1nune»: L. STURZO, Lo spirito della de111ocrazia, in The Prese111atio11 ofthe Faith, London 1939; ora in Opera 011111ia, serie I, val. IV, 326-339. Cfr. Io., La crisi della de111ocrazia, cit.; Io., f)e111ocrazia, autorità, libertà, in Opera On111ia, serie I, voi. IV, 340-356; Io., f)e111ocrazia, in Opera 011111ia, serie I, val. X, 306-313. Cfr. anche R. LA VALLE, Il co11cetto di de111ocrazia nel pensiero di luigi Sturzo, in Civitas 5 (1956); R. GATTI, Luigi Sturzo teOrico della de111ocrazia, in Studiu1n I (1984) 34-56. 18 «L'oggetto generico delle scienze 1norali, sociologia compresa, è l'uomo e la sua natura razionale e sensitiva, la sua esistenza temporale individuale e collettiva, la sua origine, i suoi limiti, il suo destino. Il 1noralista, il religiografo, il giurista, il sociologo, lo storico, e perfino l'etnologo, il filologo, il geografo, l'cconornista, lo statista, che aderiscono ad una concezione materialista, costruiscono la loro scienza orientata verso il materialismo; così sarà anche per l'agnostico, il razionalista, il naturalista, l'idealista, lo spiritualista, il tradizionalista e per ogni altro che, anche senza essere filosofo di professione, segue un cornplesso di idee filosofiche riguardanti il soggetto del suo studio che è l'uomo»: L. STURZO, Del 111etodo sociologico, in Opera 011111ia, serie I, voi. XII, 88-89. 19 «L'uo1no è insien1e individuale e sociale; la sua potenzialità individuale e quella sociale hanno unica radice nella sua natura sensitivo razionale. Egli è tahnente individuale da non partecipare a nessun altra vita che la sua si da essere personalità inco1nunicabile; cd è talmente sociale che non potrebbe esistere né svolgere qualsiasi t~1coltà né la sua stessa vita al di fuori delle forme associative»: L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, ciL, 5.


L'etica dell'econon1ia in Luigi Sturzo

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della socialità, come della persona così della proprietà e dell'attività economica dei singoli e dei gruppi. Così come i padri, i dottori della scuola degli economisti canonisti e, ultimo, il Toniolo, egli concepisce l'oggetto della scienza economica come un complesso ben definito di rapporti economici e di relazioni sociali, vale a dire di rapporti tra uomini e risorse scarse e di relazioni tra gli uomini in presenza delle stesse risorse scarse. Ne deriva che l'economia è, nel suo pensiero, il crocevia a cui perviene necessariamente nel corso dello studio della realtà storicosperimentale da cui ricava le forme fondamentali del vivere sociale; di esse, ossia dei 111odi in cui la società si concretizza e di cui tratta nell'opera in cui espone con forma sistematica la sua teoria sociologica20 . Per Sturzo, infatti, vi sono tante forme sociali, e non più, quanti sono i fini naturali dell'attività umana; e poiché l'uomo ha tre esigenze fondamentali: 1) l'affettività e perpetuità; 2) la garanzia di ordine e difesa; 3) la finalità etica e religiosa; tre, dunque, sono le forme sociali primarie": I) famiglia 2) politica (Stato) 3) religione (Chiesa); che traggono la loro ragione di essere dal fine naturale di ciascuna di esse, di cui gli individui che le compongono hanno coscienza". Oltre queste, vi sono delle forme sociali secondarie'\ più limitate e particolari, che possono essere forme intermedie fra la totalità di una società e il nucleo elementare, ovvero stare ai margini delle varie forme o raggruppare gli uomini per categorie; esse perché possano essere considerate co1ne forme secondarie, e non come associazioni occasionali, occorre che abbiano raggiunta una tal quale autonomia. Sturzo ne enumera molte, e l'elenco potrebbe accrescersi, dato che la società è dinamica e il proliferare di esse non esclude che possano ricondursi tutte alle tre forme primarie, in guanto, «quali esse siano, [ ... ] servono come nesso strutturale della società, sviluppano la

20

L.c.

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1/Jid., 48-102. Il Lerminc è preso nella accezione di «conosccnza di sé e rispondente volontà di attuarsi»: L. STURZO, La sociologia co111e scienza, cit., 277. 22

21

Cfr. L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit., 103-156.


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contiguità tra le forme principali e creano stati particolari di coscienza, on/'. complementari, ora contrastanti, che nel complesso esercitano una mediazione fra l'una e l'altra forma principale sviluppandone meglio il dinamismo» 24 . Tra queste forme secondarie egli si ferma in maniera particolare su tre: 1) 1'eco1101nia 25 ; 2) la coniunità internazionale 26 ; 3) la nazione 27 . Fra di esse, reputa le prime due come le più importanti e generali perché così connesse con le altre forme fondamentali da partecipare alla struttura di esse quali elementi indispensabili. L'economia viene particolarmente considerata perché non gli sfugge il grande valore di essa quale base su cui poggia uno dei filoni più profondi del pensiero moderno; essa uon solo è forma propria di socialità, ina è anche condiziona1nento del vivere in società, visto che due aspetti non si escludono perché corrispondono a piani differenti. Con1e condizio11an1ento 28 è vista nella sua materialità di mezzo di sussistenza, mezzo onde gli uomini abbiano a mangiare e a vestirsi,

24

lbid., 155.

25

Jbid., I 03-130, /bid., 131-152,

26

27 Vi

dedica un'intera n1onografia L. STURZO, Nazio11alisn10 e i11ternazionalisn10, in ()pera 011111ia, serie I, voi. X. 28 Il co11dizio11a111e11to, «sul quale insistono i sociologi positivisti» e al quale «forse senza accorgersene, danno [ ... ] un valore extra-un1ano esistente per sé e detern1inante lo stesso uo1no», è visto da Sturzo in maniera assai diversa; esso può essere distinto in Jlsico, storico, sociale e «il dato costante che si può ricavare dallo studio sociologico ldi esso] è che l'uon10 individuo o vi si adatta o ne evade; o lo subisce ovvero ne ha la spinta a superarlo. Mn in qualsiasi 1nodo l'uomo reagisca al condizionainenlo, di esso non può frlre a nieno per la sua allivit8; solo può sostituire l'uno all'altro, sia volontaria1nente sia ìnvolontariainente per quella serie di casi che can1biano in nieglio o in peggio la vita Lllnana. In sostanza l'uomo non può agire senza essere condizionalo, nla egli trova in sé la spinta a superare una data condizione che gli i1npedisce di agire, e crearsi quel condizionamento che 1neglio risponde alla spinta verso il benessere». E' uno dei «due principi che regolano l'attività u1nana: quello interiore della "razionalità" [ ... ] spinge U'uo1no] verso il bene - in qualsiasi 111odo appreso e voluto - e gli dà la facoltà di detenninarsi da sé»; questo, esterno, «gli clà la 1nateria, il li1nite e la spinta per agire». A1nbedue «Obbligano l'individuo ad agire in unione con gli altri, non potendo egli raggiungere altri1ncnti gli scopi della vita presente»: L. STURZO, /)e/ n1etodo sociologico, cit., 13-14. Inoltre, come condizionan1ento «vi è anche quello delle deficienze 1norali individuali e collettive, che la società cerca di correggere ma non può cli1ninare: i delinquenti, i fuori legge, i rivoltosi, i propagatori di teorie false e così di seguito»: L. STURZO, Politica e Morale


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dove abitare e co1ne muoversi, mentre come .fOrn1a di socialità, si appoggia alle forme fondamentali divenendo elemento necessario per la struttura sociale e uno dei fini immediati di ogni attività, anche la religiosa. A tale proposito, per il realismo che lo caratterizza, mostra come sia fondata questa sua ultin1a specificazione 29 , con precisi riferimenti alla S. Scrittura"' ed alla storia della Chiesa", mettendo in rilievo il pericolo che i beni si trasformino da mezzo in fine; pericolo esistente anche per lo Stato, e tanto grave nei suoi effetti che, in materia economica, questa inversione arriva ad intaccare l'essenza stessa delle forme fondamentali di socialità.

(da A1achiave//i a Croce), in L'Italia, 2 luglio 1949; ora in Opera Ornnia, serie II, vol. X, 262-267: 265. 29 «Parrà strano affermare che l'economia divenga da se1nplice condiziona1nento, uno dci fini iinrnediati dell'attività religiosa. Ma è così. Anche le chiese debbono avere una loro struttura eeonon1ics, debbono affennarla, svilupparla, difenderla se occorre. Dal punto di vista sociologico ciò è perfctta1nente esatto. La struttura di qualsiasi fonna sociale esige come elemento necessario i mezzi materiali per la vita dei propri n1e1nbri; n1ezzi 1natcriali la cui ricerca, conservazione ed au1nento esigono un lavoro non indifferente. I n1ezzi nutteriali si possono ridurre al 1nini1no necessario, 1na non possono n1ancare del tutto»: L. STURZO, La Sociefà, sua na!ura e leggi, cit., 106. :io Cfr. rifcriincnto a: peculio [=Gv 12,6; 13,29]; assistenza [=Le 8,13]; 111ercede f=Lc 10,7J; ojferte-efen1osi11e [=Rm 12,13; 1 Cor 16,2; 2 Cor 8,2.l 1; At 24,17]; lavoro 111anua!e r=At 20,34; 2 Tess 3,7-12]; co111unio11e dei beni [=At 2,44; 4,321. Ibid., 107. 11 «Nei primi secoli i cristiani fonnano associazioni, hanno oratorii, 1ncttono fondi in co1nune. Quando la chiesa arriva ad essere tollerata, può ottenere a suo vantaggio l'applicazione della legislazione sui heni dei templi e dei delubri pagani e co1ninciare a forn1arsi una propria slruttura. [ ... ] A questo proposito può essere interessante ricordare la controversia sulla povertà francescana che per lungo ten1po 1nisc in urto con i papi una non piccola frazione dell'ordine. [ ... ] I papi affern1avano che !'ordine dovesse possedere, sia pure per il trainite e sotto il non1e della Santa Sede, le chiese, le case e i beni indispensabili per la sua stabilità, il suo regolsre sviluppo, la disciplina dei suoi 1nen1bri, i quali ciò non ostante potevano vivere nella più perfetta povertà cli distacco spirituale e di privazioni fisiche. La controversia passò sul terreno dogn1atico e politico, 1na pose in luce un dato di esperienza 11101!0 interessante [ ... ]. Dal punto di vista ccono1nico sociologico, il pri1no francescanesi1no fu insic1ne un prodotto diretto e un elemento parassitico (sit venia verbo) della parte popolare del comune nledievale. [ ... ] Superata la crisi e accettato un 1ninilno cli beni 1natcriali, le varie branche dell'ordine francescano presero la figura degli altri ordini ciel loro ten1po»: ibid., 106-107.


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Alfio Spampinato L'aspetto materiale in economia riveste una sua importanza,

perché senza non sarebbe concepibile la esistenza di esseri quali noi siamo, con imprescindibili esigenze bio-fisiche. Ricollegandosi alla origine familiare di essa ed al fatto che la ricerca di mezzi per la vita materiale è, ab initio, il bisogno più immediato da soddisfare, Sturzo rileva che sono due gli elementi importanti che trasformano il fatto bruto di tale ricerca in valore sociale: I) la solidarietà; 2) la partecipazione. Essi la elevano immediatamente, ed intrinsecamente, da un piano di mera materialità ad un piano più eminente, sociale e umano. Tuttavia, l'aiuto a chi non può lavorare (solidarietà) e la tendenza a mettere in comune i frutti del lavoro (partecipazione), originando il peculio domestico e la proprietà familiare, non fanno ancora dell'economia una forn1a

sociale autonoma, ma solo un campo dell'attività domestica a fini particolari e nell'ambito familiare. Il salto di qualità avviene tramite il condizionan1ento della vita 1nateriale di ciascun uo1no che, quando

diviene uno degli scopi dell'attività domestica nei due aspetti sopracitati, trascende il proprio carattere e diviene fattore morale di vita comune. Col moltiplicarsi e intrecciarsi dei rapporti fra famiglie ecco il progressivo allargarsi dell'economia ai vari piani (gruppo, tribù, villaggio, città, Stato e, oggi, comunità internazionale); per cui, c'è un tessuto connettivo economico della struttura sociale, qualunque sia il suo carattere o ambito territoriale, che possiamo guardare co1ne condizionan1ento di esistenza e che i gruppi u1nani3 2 sono costretti a realizzare e adattare sempre meglio a livello di struttura, così che va formandosi un'economia di gruppo che diviene uno degli scopi imprescindibili di ogni attività in comune. Ogni forma di socialità può avere un'economia con aspetti e caratteri differenti, tuttavia sono comuni la solidarietà nella formazione dell'economia del gruppo e la tendenza etico-sociale

32 «Sturzo attribuisce n1olla i1nportanza a quei gruppi econo1nici espri111ono gli interessi precostituiti delle classi possidenti e non possidenti. sono in continuo conflitto a causa della i1npermeabilità delle loro strutture, o in parole, per le difficol!à e la lentezza negli spostainenti in direzione verticale»: TIMASHEFF, La Sociologia di Luigi S111rzo, La Nuova Cultura, Napoli 1962, 151.

che Esse altre N.S.


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dell'economia stessa; quindi, secondo Sturzo, uno dei caratteri dell'economia è che essa non è autonoma e non ha un proprio finalismo, ma partecipa alla natura e al finalismo delle forme fondamentali di socialità. Di fatto, non esiste nel concreto storico una forma economicosociale pura, cioè che non sia al tempo stesso familiare, politica o religiosa. Contrariamente a quanti sono stati ingannati dall'importanza che il fenomeno dell'economia indubbiamente riveste, e, sopravvalutandola, ne hanno fatto un determinismo fondamentale'', la legge unica della storia, da cui dipendono tutte le manifestazioni etico-sociali, l'economia per Sturzo benché importante, non può pretendere di essere il più potente fattore sociale né di rappresentare tutti gli altri, ha valore non in sé e per sé bensì in quanto attività umana, cioè per il suo essenziale aspetto antropologico. Egli non mette in dubbio che, fondandosi sugli elementi e sulle forze fisiche, sia anch'essa sottoposta alle leggi del mondo materiale, però, quello che definisce «il fattore uomo»'", con ciò che lo

33 «L'errore non consiste nell'analisi dell'influsso che le cause rnateriali possono esercitare sull'individuo o sulla società, bensì nel fare delle cause materiali un principio unico fondainentale, cioè nella risoluzione inonistica di tutti gli altri fattori nel fallare materiale, e quindi - logica conseguenza - nel dare a questo il carallere di necessità. Non si nega l'influsso econoinico sulla società, si nega che sia esso l'unica causalità storica e che sia una causalità deterministica»: L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit., 108. 34 «il positivismo, in tutti i ran1i delle scienze pratiche, ha cercato di abolire il fattore-uo1110, sia trascurandolo, sia considerandolo come valore n1ateriale o riducendolo a un nu1nero di slatistica. Così ha abolito la categoria morale che è strettamente collegata alla nozione uon10. Ma la realtà si vendica del positivismo, rin1e1Lendo l'uorno nella sua posizione di creatore della società negli aspetti sociologici, econo1nici e politici. Il fattore rnateriale, quale che esso sia, non è che un condiziona1nento dell'attività u1nana, sia condiziona1nento positivo che negativo. Ma anche il condiziona1nento negativo serve a creare nuove energie dirette a superarlo. f_ ••• ] La volontà uinana supera le leggi del condizionainenlo materiale anche in ccono1nia. Questo valore è morale nel senso che dipende dalla libera scelta dcll'uon10, e può pertanto essere un bene o un male, o parte bene o parle male, perché la 1norale incide sulla econo1nia in tutti i suoi aspetti collettivi [varii esempi]. Così l'auo econoinico è li1nitato dalla rnorale perfino nella intenzionalità dei suoi autori, prima ancora di essere posto in essere [ ... ]»: L. STURZO, Econo111ia e 111orale, in// Popolo, 14 1narzo 1947. Ora in Opera 01111lia, serie II, vol. IX, 186-190: 188-189.


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contraddistingue, ossia l'intelligenza e la volontà, è ciò che prende parte alla causalità economica come agente principale, riesce con il suo sforzo a regolarla e, secondo i casi, anche a dominarla e quindi a far sì che essa serva ai suoi bisogni. Ogni economicismo, quindi, equivale a un riduttivismo ideologico dell'uomo, di ogni uomo che è, invece, un assoluto relativo solo all'Assoluto che è Dio - chiamato a realizzare ontologicamente se stesso per intima vocazione 15 • La conclusione a cui addiviene è che l'economia è econo1nia umana, risultante dalla sintesi dei due fattori, uomo e natura, perciò né

35 «L'idea di vocazione è intrinseca alla nostra personalità. Ognuno di noi ha una finalità inerente a sé stesso: il proprio sviluppo, il benessere, la pienezza del proprio io e delle sue espansioni, sono un'interiore finalità. Poiché ciascuno ha un n1odo parlicolare di conoscersi, arnarsi, tendere alla pienezza del proprio essere, può hen dirsi che egli ha una sua vocazione, quella che una voce interiore lo spinge ad avere pur in n1czzo alle difficoltà in cui si trova, all'ambiente che lo circonda, nella posizione raggiunta. Il fine particolare di ciascun uorno non può esistere fuori dell'orbita dci fini connaturali dell'uon10, che si assommano nella ricerca del bene. Qunnto più il fine particolare è conforme a natura, tanto pili conferisce al bene di ciascuno. Sollo questo punto dì vista, la vocazione personale sarebbe il modo di realizzare il bene secondo le proprie inclinazioni, qualità e possibilità. Nella 1niriade di n1odi particolari, ciascuno trova quelli a sé adatti, e ne fa la scelta, più o n1eno condizionata dalle circostanze. [ ... ]La vocazione naturale è un appello di vita, da non potersi trascurare; appello che ci spinge al lavoro e alla conquista di noi e del mondo che ci circonda. La nostra personalità si fonna e si caratterizza per la vocazione (voce interiore) che diviene finalità (bene da raggiungere). Essa è una premessa necessaria alla realizzazione in noi della vita soprannaturale a cui siamo elevati. [ ... ] L'universalità della Redenzione estesa a tutto il genere u1nano è il titolo della vocazione universale di tutti gli uon1ini a parteciparvi. [ ... ] Qualsiasi vocazione storica di gruppi sociali non può concepirsi se non co1ne destinata a condizionare, agevolare, sviluppare, perfezionare la vocazione di ciascun individuo. Anche per la vita soprannaturale la società è rnczzo e non fine; il fine è l'uo1no. [ .. .] S'intrecciano le vocazioni: la naturale serve alla soprannaturale e vi si subordina; la soprannaturale valorizza e consolida la naturale. L'individuo influisce sulla società, crea l'an1bienle sociale, vi dà la sua i1npronta; lo può viziare con i suoi difetti, lo può ingrandire con le sue virtù. La società riversa sull'individuo i valori complessi fonnatisi in essa per l'attivith associala e collettiva. [ ... l Tutti, individui e società, in reciproca azione e reazione, sul piano naturale e su quello soprannaturale , rispondono e cooperano, diretlan1cntc e indirettamente, alla vocazione universale, da realizzarsi per 1nezzo delle fonnc sociali e ciascuno di noi [ .. ]»: L. STURZO, La pera vita. Sociologia del soprannaturale, in Opera Ornnia, serie I, voi. VII, 38-51.


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tutta libera né tutta deterministica; quindi in essa i valori umani 36 , etici, psicologici e politici hanno la parte più importante; e poiché, come abbia1no visto sopra, non può esistere una econo1nia pura, così, per Sturzo, seppure lo studio della economia pura giova per trovarne le leggi fondamentali e per l'analisi delle causalità, tuttavia, la sintesi del reale non è mai quella di un'economia pura e per questo mette in guardia dal facile errore che porta a confondere l'astratto teorico con il concreto reale e, giungendo a prescindere da ogni efficace intervento u1nano, induce a credere che l'economia abbia una struttura autono1na e deter1ninistica 37 . Inoltre, l economia non può essere veran1entc umana che nella sua duplice funzione individuale e sociale, ecco perché in 1nateria econo1nica ogni sana iniziativa in vista di un bene comune dovrà svilupparsi sempre su due piani: quello etico e quello sociale; il primo che trasforma lo spirito e il cuore degli uomini, il secondo che modifica la struttura sociale in un senso se1npre più u1nano e se1npre più cristiano 38 • 1

36 Materialisrno in genere, econon1icis1no, scientis1no e sessualisrno hanno forte1nente ottenebrato l'uo1no occidentale contemporaneo, per questo, per Sturzo è irnportante ricordargli che «è vero che nel senso rigoroso vita è per noi l'esistere, co1ne individui bio-psichici; 1na chi potrebbe dirla vita un1ana quella di chi non cornprcndc o di chi co1nprcnde 1na è privo di volontà?»; la riduzione delle facoltà spirituali e ipcr-funzioni della sfera biologica e psichica, e delle attività intcllcttuali1norali e affettive a fenon1eni sovrastrutturali o a sublin1azione di pulsioni istintuali ha progressivan1ente disu1nanizzalo il vivere conternporaneo, n1entrc per Sturzo, «!a sintesi delle facoltà inferiori nelle superiori fonna la nostra vita e la chian1iamo vita naturale; come tale la curia1no nei suoi bisogni materiali e in quelli culturali, e morali e sociali»: L. STURZO, La vera vita, cit., 23 . .1 7 «Si suole classificare l'economia nella categoria dell'utilità e darvi, sotto questo aspetto, un'autono1nia non solo 1nelafisica ma anche sociale. La struttura econo1nica sarebbe un fallo per sé stante, con leggi, sviluppo e finalità proprie a carattere detenninistico, partecipante dcl inondo fisico, al quale l'uo1no si accosta per farlo suo senza però alterarne la natura. Il preteso. passaggio [ ... ] dal condiziona1ncnto alla socialità e dall'utilità all'eticità non sarebbe che illusione di teorie che an11nettono la trascendenza. La concezione 1noderna di un'econon1ia autono1na e scientifica ha la sua origine in questa teoria»: L. STUl~ZO, La Società, sua natura e leggi, cii., 105 . .1R Nel senso che, poiché la religione cristiana si occupa della n1orale oggettiva (a parte la soggettiva nei rapporti di coscienza), Sturzo conclude che, analogarnente alla politica, ogni econon1ia n1orale è i1nplicitamente cristiana anche se falla da non cristiani; ogni eco1101nia im1norale (prescindendo dal fatto che la considera 11011eco110111ia) è ùnplicita111e11te 11011-cristiana o anti-cristiana, secondo i casi, anche se


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Secondo lui, ciò che l'economia condiziona sono solamente le forme di socialità, così da divenire uno degli elementi di struttura e presentarsi come uno dei fini immediati dell'attività associata;vero è che spesso, la struttura economica agisce sul tipo sociale, ne altera le linee e ne confonde le sembianze, ma ciò non è né a senso unico né un fatto deterministico, in quanto, anche il tipo sociale agisce a sua volta sull'economia e la trasforma, Questo aspetto sociologico è importantissimo a1 fini del collegamento della economia con l'etica, perché, non solo lo scambiare condizionanienti con deterniinisnii già nega l'uomo come tale, caratterizzato dalla libertà 39 , ma toglie ad esso e ad ogni sua azione ogni responsabilità40 , e quindi, ogni 111oralità-i1111noralità 41 • fatta da cattolici. Cfr. L. STURZO, Politica e Morale, in Il travaglio def!a /).C., cit., 124-136. Sturzo afferma, riguardo a cristiano il principio che «tale aggettivo vuole significare l'orientamento, la tendenza, l'ispirazione etica, la valorizzazione del pensiero, dei precetti e dci presupposti religiosi nel campo politico, sindacale, economico; e non certo per dare alla politica, alla economia e ad altre attività consin1ilì una dipendenza e connessione diretta con le fanne strutturali dcl cristianesi1no cattolico la cui unica e vera espressione realtà è la Chiesa»: ibid., 126. 39 Per Sturzo «la libertà è essenziale alla società: senza di essa una società ne1n1neno può essere pensata»; però, non può «essere concepita carne incondiziona1nento o con1e un processo verso l'incondizionamento» ina al contrario, va rirenuta come una partecipazione cosciente dell'individuo alla vita sociale, per cui «quanto più l'individuo [vi] partecipa coscientemente, [ ... l tanto più egli è sociahncntc libero; e d'altra parte quanto più l'organismo di una data società in concreto offre ai suoi membri la possibilità di partecipare ad essa, tanto più vi si sviluppa la libertà sociale»: L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit., 190-192. La libertà deriva «dalla personalità un1ana in quanto è sociale» (ibid., 199) e il suo liinite va trovato anzitutto nella natura razionale dell'uomo, esso è un fatto di coscienza, di educszione etico-politica, di tradizione sull'uso della libertà, di rnoralità (ibid., 216-226), è un auto-/ùnite, per cui l'esatta applicazione della libertà - per Sturzo - va dunque cercata nella coscienza umana, nella sua spiritualità, anche prima che in determinate garanzie di ordine giuridico-costituzionale (ibid., 217). Cfr. L. STUHZO, Libertà e organicità nella società cristiana, in L'Italia, 5 gennaio 1951; ora in Opera 011111ia, serie Il, voi. IX, 318-322. ·11l Riferendosi ai propugnatori di certe teorie economiche Sturzo afferma che «cercando di eliminare dalla vita economica tutti i rischi e tutti i dislivelli, essi lendono incoscia1nente a soppritncre quella responsabilità personale, che è il presupposto dei diritti e dci doveri dei cornponenti di una vera comunità civile e cristiana»: L. STURZO, Il valore della "Renon Novanun ", cit., 30. Riguardo alla funzione che attribuisce al rischio cfr. lo., Il rischio che educa, in Il Giornale d'Italia, 21 agosto 1958. 11 ' L'eli1ninazione dell'opzione 1norale e la conseguente caduta di responsabilità sono due Lratti caratterizzanti la 1nentalilà del nostro te1npo. Da questo


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Infine, l'economia non è etichettabile, cioè non esiste una economia che sia sostanzialmente differente da un'altra. Sturzo rileva che «non è di oggi la denominazione, alla quale certi economisti indulgono, di "economia sociale" invece di "economia politica", credendo essere questa basata sulle libertà di mercato, mentre la sociale sarebbe basata sull'interventismo statale» e chiarisce che, invece, il nome di politica al trattato di economia fu dato perché la materia dei rapporti economici fra i cittadini è basata sopra strutture e garanzie di carattere pubblicistico, cioè politico, concludendo che l'economia è semplicemente economia e la diversità di denominazione riguarda piuttosto l'ambito dell'agire economico: «quella domestica riguarda i conti della serva o della padrona; quella di uno Stato riguarda i bilanci statali e relative entrate e uscite proposte dai governi, approvate dal parlamento, pagate dai contribuenti e riscosse dai fornitori; quella tra gli Stati riguarda cambi e scambi, prestiti e commerci, monete stabili e monete oscillanti. Fra tante economie pubbliche e private, vi sono quelle solide e quelle fallimentari. L'economia nazionale o internazionale, secondo restensione e i punti di riferiinento» .. 2 , ma è sempre economia politica qnando è diretta al bene comune. E, infatti, l'economia non può classificarsi neppure come individuale per distinguerla da quella collettiva, perché ciascun singolo individuo in tanto può fissare le punto di vista, «la peggiore avventura che sta subendo il mondo detto civile è quella di concepire l'etica co1ne un complesso di norme utili per vivere in comune, norme che ciascun popolo può modificare secondo le proprie vedute pratiche, can1biandole nell'evolversi degli alteggia1nenti e delle utilità. In questo caso la coscienza è defonnata in partenza in quanto accetta il codice del buon costume come si accetta la moda del vestire, la etichetta del n1angiare o dcl conversare, le regole del giocatore: fatti esterni, abitudini sociali, nonne di acco1nodamento, usanze superficiali, nei quali la vita si effonde e si stc1npcra perdendo di significato e di valore»: L. STURZO, Coscienza e Politica, in Opera 011111ia, serie I, val. IV, 199-242: 231-232 . .i 2 L. STURZO, "Sociale" parola 111agica, in Moralizzare la vita pubblica, Ed. Politica Popolare, Napoli 1958, 98-99. Su quest'argomento Sturzo ebbe delle critiche anche in ambito cattolico, a cui, i1nn1ancabihnentc, rispose. «[ ... ] anche un giovane gesuita, che ha scritto in difesa dello statalismo r... ) non mi comprende, perché egli non arriva a vedere con1c sia iinpossibilc considerare il cosiddetto "sociale" a sé stante; nello stesso errore cadrebbe chi volesse trattare l'economico come a sé stante»; L. STURZO, Statalisn10 e confusione di idee, in la D.C. al bivio, Politica Popolare, Napoli 1958, 67-73: 68. Si riferisce a M. REINA, A proposito dello "statalis1110 eco110111ico", in Aggior11a111enti Sociali 3 (1958) 147-162.


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propne norme nel regolare i suoi interessi personali, in quanto egli stesso regola l'uso dei beni che arrivano alla sua portata; ma nel fare ciò egli, anche se involontariamente, agisce come membro della società. Sturzo cita degli esempi, fra cui quello dell'avaro che sottrae l'oro alla circolazione per melterlo nella sua cassa e che così facendo danneggia la società alla quale impedisce di trasformare un oggetto utile qual è l'oro in un bene fruibile quale la casa, il cibo, il vestiario, il divertimento, etc. e conclude perciò che «ogni atto individuale in materia economica è in funzione sociale; altrimenti non può classificarsi co1ne atto cconomico» 43 .

2. L'eticità delle leggi economiche Come detto in precedenza, è importante, per comprendere il pensiero etico-economico di Sturzo, avere presente il suo essere radicato in una concezione antropologica che è antropocentrica, per ciò che riguarda tutte le realtà storiche, terrestri e finanche celesti".

43 L. STURZO, Eco1101nia e Morale, in li Popolo, 14 marzo 1947, 186-187. 44 Al tern1ine Storia Sturzo assegna lre significali: «Corso di eventi, narrazione sisternatica, coscienza storica» (La Società, sua natura e leggi, cit., 17) ovvero «Concatenazione di cause cd effetti [ ... J ricerca dei presupposti che animano lo svolgersi del processo storico [ ... ] capacità di entrare in dialogo con la storia come realtà in cui ha luogo ogni autentica comunicazione di valori»; questi tre significati «presuppongono un ele1nento comune: il pensiero (che) in quanto attivo è processo, in quanto siste1natico è razionalità, e in quanto coscienza è vita individuale e sociale» (Del n1etodo sociologico, cit., 155); di conseguenza, essi «Si unificano, sia nel pensiero, che è la razionalità nell'azione, sia nell'azione, che è la realizzazione del pensiero, sia nella coscienza, presa con1e presenza a se stessa della razionalità e dell'attività» (ibid., 155). La Storia, vista perciò co1ne processo u1nano si realizza attraverso fatti contingenti e forze immanenti che trovano unificazione nella razionalità; si ha pertanto una rilevanza della dimensione 111ora!e che assegna al pensiero e alla coscienza il co1npito di condurre responsabilrnentc il processo storico in un confronto dialettico costante tra la libertà dello spirito e il condizionamento della 1nateria (La Società, sua natura e leggi, cit., 18, 21, 229). Storia è in definitiva, per Sturzo, tutto ciò che si 111nanizza, ovvero, diventa u1nano acquisendo la capacità di entrare in rapporto, di relazionarsi con la persona un1ana, con le esigenze, i bisogni, le aspirazioni di questa, con il suo essere. E poiché tutto ciò che è umano è autono1no, le realtà non u1nane devono storicizzarsi per entrare nell'uomo; ciò vale anche per la stessa attività soprannaturale divina: nel 1no1nento in cui si realizza entra nella storia per n1ezzo di attività umane. Cfr. L. STURZO, Prob!enii Jpiritua!i del nostro ten1po, in


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Per Sturzo, a somiglianza della politica, con cui è strettamente connessa45 , anche l'economia essendo fatta da uomini liberi può essere niorale o invnorale, con1e sono tutti gli atti umani; tuttavia, una vera economia o è morale o, per quanto detto sopra, non è neppure economia'16 • Facendo riferimento al noto economista tedesco Wilhelm Roepke 47 , afferma che questi non poteva meglio evidenziare il problema dell'economia moderna se non richiamandosi al canone

Opera 011111ia, serie I, voi. IX, 6. Anche ID., La Società, sua natura e leggi, cit., 19-20. Sulla concezione della Storia in Sturzo cfr. G. DE ROSA, Storia e "soprastoria" nella corrispondenza tra Luigi e Mario Sturzo, in Sociologia, cit., 293; V. FILIPPONE, Razionalità e storia nella sociologia sturziana, in Civitas (1960) 1167-198; E. MANGANARO, La storicità nella sociologia sturziana, in Nuovi Quaderni del Meridione (1972) 264-302; R.C. POLLOCK, L'uo1110 nella società e nella storia secondo il pensiero di L. Sturzo, (lezioni tenute nella New School di New York, 1945), ora in L. STURZO, /Je! 111etodo sociologico, Atlas, Bcrgarno 1949, 169-286. 45 «[ ... ] la politica non è accorgi1nento di pochi che guidano la società, o funzionalità di organi che si sovrappongono agli individui: è un feno1neno di rifrazione di altre cause, sopra uno schenno visibile, che sintetizza una ragione sociale; e insien1e un'azione che ripete !e sue ragioni dalle condizioni psicologiche ed econon1iche, 111orali cd organiche della società. E siccome l'ccono1nia è il tern1ine utile di un'enorme serie di attività un1ane, perché ne condiziona l'esistenza e ne agevola lo sviluppo, non solo rnateriale rna anche 1norale, co1ne mezzo al fine, così le crisi cconon1iche sono più profondamente sentite nell'a1nbito della vita politica»: L. STURZO, Crisi eco1101nica e crisi politica, in Opera 011111ia, serie TI, voi. III, 132-161: 144. 46 «[ ... ] l'alto econon1ico non sarà più tale, se nella sua attuazione sarà inficiato da azioni di natura immorale, quali lo sfrutta1nento della 1nano d'opera, la cattiva esecuzione dell'opera, l'abuso delle risorse 1nateriali e del denaro preso a prestito e così di seguito. Passo passo che l'uo1no agisce, sia esso il ministro della econo1nia di uno stato, sia l'i1nprenditore, sia l'operaio, sia il proprietario, nel violare la n1orale viola anche le leggi economiche, pur facendo atti singoli che presentino carattere di utilità. f... ] li furto - p.es, - di sua natura è utilitario; il ladro vuole arrivare al godimento di un bene per la vita pili corta; se l'econo1nia fosse individualistica, egli avrebbe risolto la quadratura del circolo, vivere i1npunementc alle spalle altrui. Ma egli deve subire le li1nitazioni poste dalla legge naturale, dalla legge religiosa, dal codice penale e dagli agenti di pubblica sicurezza. La sua econon1ia è fallita perché è fallita la base rnorale su cui poggiava. Lo stesso per il frodatore, il rapinatore, il borsaro nero e tutta la garnma dei profittatori del prossi1no. Il loro vantaggio personale, n1ancando la base 1noralc, 1nanca di base ccono1nica; è allo stesso tempo "non-econon1ia" e "in11noralità"»: L. STURZO, Econornia e Morale, cil., 188.189. ~ 7 Autore di una lettera al direttore di Via aperta, da cui Sturzo prende lo spunto per l'articolo Un "colossale" ùifàrto, ivi pubblicato il 20 dice1nbrc 1958; ora in L. STURZO, Speranze ed Auguri, Politica Popolare, Napoli 1959, 74-78.


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fondamentale della moralità, perché senza di essa non può reggere economia né pubblica né privata. 48 • Poiché, a suo avviso, le premesse di ogni seria economia sono sempre di ordine filosofico 49 , come altre scuole hanno i loro punti di riferimento"', così la scuola economica etico-cristiana presuppone la scolastica, personificata in S. Tommaso", ed anch'egli vi si rifà nel suo argomentare per trovare il fondamento dell'eticità della economia. Infatti, secondo San Tommaso, ai due grandi settori della realtà corrispondono anche due modalità distinte della ragione: il settore dell'essere è oggetto della ragione speculativa, che si esprime attraverso la scienza (studia la fisica) e la sapienza (studia la metafisica); mentre il settore dell'agire è oggetto della ragion pratica. L'ambito di quest'ultima viene ulteriormente suddiviso in due grandi aree: quello della produzione di cose o strumenti e quello della formazione di se stessi: la prima è l'area dei factibilia e appartiene all'arte; la seconda è l'area degli agibilia e appartiene alla morale. San Tommaso chiarisce questi concetti in un testo esemplare del Commentario alle Sentenze (III Sent., d. 35, q. 1, a. 3, sol. 2). Per la vita attiva non si esige qualsiasi forma di conoscenza pratica, ma solamente quella che nelle cose agibili (in agibilibus) dirige le opere proprie della virtù morale. La ragion pratica, quindi, guida l'uomo in tutti i campi dell'agire, ma in modo particolare in quello della morale, la quale ha per fine non la conoscenza ma l'azione: «In scientiis moralibus finis non est cognitio sed opus» 52 •

48 Cfr. L. STURZO, Eco110111ia e Moralità, in Via Aperta, Milano, I O agosto 1959; ora in Tre n1a!e bestie, Politica Popolare, Napoli 1959, 116-118. 49 Cfr. L. STURZO, Giuseppe Toniolo, in Opera Oninia, serie III, vol. V, 250-

257: 255. 50 «Gli individualisti e liberisti presuppongono Kant; i sociologhi o Hcgcl o Co1ntc; i biologisti evoluzionisti Darwin e Spencer»: I.e. 51 «Fu lavoro famoso al suo tcn1po il tentativo dcll'Abbé Potticr di tirare (sic) da San Tom1naso i principi etici e sociali de!l'econo1nia. In questo e altri tentativi sin1ili ci fu forse pili la necessità di un'autorità indiscussa, che la visione strettamente scicntificata (sic) dell'economia moderna. Ma la rivendicazione dei valori etici, perenni in qualsiasi ccono1nia, riusciva con1plctaincntc»: le. 52 Cfr. B. MDNDJN, Dizionario enciclopedico del pensiero di San To111111aso d'Aquino, Studio Do1ncnicano, Bologna 1991, 512-514: 5 I 3-514, s. v. Ragione.


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Per questo, Sturzo asserisce che «qualsiasi forma di pensiero originando dal suo soggetto razionale (l'uomo) è implicitamente tutto l'uomo; passando dal campo speculativo (ragione) a quello pratico (volontà) porta in sé tutto il complesso delle regole della razionalità che traduce in eticità: razionalità ed eticità sono due aspetti del nostro essere che, noi chiamiamo anche intelletto e coscienza, e che si trovano in tutte le forme del nostro pensiero e del nostro agire»; ne consegue che così come si può parlare della moralità interiore dell'arte (benché l'arte non sia la morale); della politica (benché la politica non sia la morale) e questo perché «la morale non è eteronoma né all'arte, né alla politica, né all'economia (come non vi è eteronoma la razionalità) sì bene che l'arte, la politica e l'economia siano anch esse razionali, cioè umane, e quindi 1norali ciascuna nella loro specificità»". La conclusione è che, poiché è connaturale all'uo1no l'aspirazione ad una morale comune e rispettata 54 , la necessità di concepire una morale dell'economia deriva sia dal rispetto" della 1

5-'

L. STURZO, Polilica e Morale (da Machiavelli a Croce), cit., 264-265. 54 «Esiste qualcosa nella vita dei popoli che dà il primato alla 1noralc. Ed è quella stessa legge interiore di razionalità che vivifica la politica e che non è altro che legge di verità. Si chian1i giustizia, si chiarni libertà, si chiaini equità, si chian1i rispetto ai patti, si chiami con1e si vuole, sarebbe impossibile la convivenza urnana senza una legge morale (cioè senza la verità) che penetra in tutte le appartenenze sociali e che vivifica tutte le realizzazioni colleltive. Ed è questa forza i1n1nanente nella razionalità un1ana, che noi cristiani chia1niamo legge di Dio segnata nei nostri cuori, e vivificata dalla infusione dello Spirito Santo. Naturalmente i politici puri rideranno di ciò, co1ne ridono gli econo1nisti puri e i seguaci dell'arte per l'arte. [ ... ] Ma essi sono legati alla catena più dura c crudele: la catena dell'immoralità»: ibid.,

267' 55

«[ ... j che cos'è la nioralità in econo1nia se non il rispetto del diritto altrui, cioè un atto economico preli1ninare, un ele1nento di ordine perché l'economia possa svilupparsi? [ ... ] Se l'econon1ia è sociale di propria natura, è di propria natura etica, cioè razionale; non si darà 1nai un'econo1nia irrazionale; essa non sarebbe vera ccono1nia. Non esiste la pretesa economia dei ricercatori d'oro, dei nuclei ex-lcge, delle associazioni a delinquere, anche se organizzati secondo proprie leggi; il loro ordina1nento non sarà n1ai qualificabile con1e razionale e tale da produrre rapporti di diritti e di doveri; e, quindi, neppure come ordinrnnento ccono1nico: si tratta di sfruttainento di malfattori a danno della società, e anche a danno dei fuorilegge, non essendo ain1nesso l'abbandono della associazione delittuosa pena la vita»: L. STURZO, /)ella 111oralità, in Opera 011111ia, serie I, val. IV, 211-216:212.


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personalità umana, sia anche dalla interiore moralità delle leggi economiche, se bene concepite e rispettate. Il problema delle leggi economiche, secondo il Nostro, va quindi affrontato sotto il duplice aspetto di leggi interne all'economia e leggi sociali che regolano la stessa, ambedue innestate sull'identico fondamento. Quelle sociali sono quelle attraverso cui l'economia esprime secondo il diritto" in formule etico-giuridiche i rapporti che si creano nell'ambito di ciascuna società, così da impedire gli eccessi dell'egoismo sia individuale sia collettivo, dato che non potrebbe esistere una con1unità politica o una società senza avere una 1noneta, una finanza, un sistema credilizio, un con1mercio interno ed estero che non fossero regolati da leggi giuridico-pratiche basate su rapporti economici, nonché da leggi nazionali in connessione a trattati o leggi internazionali. Queste, tuttavia, hanno il medesimo fondamento di quelle interne e il nesso è sia nell'evidente intrinseca politicità ed economicità dell'agire morale, sia nell'intrinseca moralità di economia e politica57 .

56 Il diriffo, secondo Sturzo, non è che la espressione organico-sociale della 1noralc, in quanto coesistenza dci diritti naturali nella reciprocità dei doveri; mentre la 111orafe non è che l'alluazionc della razionalìtà nella vita pratica. Cfr. AA.VV., Politica e Sociologia in Luigi Sturzo, ciL., 7. Su qucst'argoincnto cfr. L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit., 206. Per quanto detto sopra, Sturzo non può <Hn1nettere la riduzione crociana dcl diritto all'econon1ia, né vedere in esso una se1nplice convenzione, con1c vorrebbero le scuole sociologiche utilitaristiche e positivistiche: ibid., 221-222. L'opera a cui si fa riferi1nento è: B. CROCE, Riduzione def!a .filosofia del diritto alfa filosofia def!'econon1ia, n1emoria per l'Accade1nia Pontiniana, Napoli 1907, poi rifusa in Filosofia della pratica. t:co110111ia ed etica, Laterza, Bari 1909. 57 «! ... ] tanto nella progettazione e rinalità di qualsiasi attività ccono1nica, che nella sua attuazione e infine nell'uso individuale di essa, la 1norale vi interferisce, sia subicttivan1ente perché l'uon10 operante è allo stesso te1npo termine dell'utile e del bene; sia oggcttivarnentc, in quanto l'econo1nia, quale norn1a dell'utile, contiene in sé la ragione inorale dell'utile stesso nella contemperata ragione sociale della sua produzione e del suo uso. Allo opposto, quante volle si abusa della materia riducibile e ridotta a bene utile per una comunità [ ... ] la lesione alla rnorale reca insito il danno alla stessa econo1nia. E' questo uno dci proble1ni più interessanti della sociologia, che dovrebbe essere studiato a fondo, essendo ad esso legate, sul piano internazionale, le crisi dell'econo1nia tnondiale e le guerre ricorrenti»: L. STURZO, Econon1ia e Morale, cit., 189-190.


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Sturzo, infatti, nei suoi scritti di sociologia riprende e approfondisce il concetto di leggi economiche, ritornandovi su per un quarantennio; leggi che, sulla scia di Weber, sono considerate leggi storiche, di verse dalle leggi naturali, ma che pure hanno peso e stabilità, e da cui non ci si può sottrarre senza sforzo rivoluzionario. Leggi ipotetiche nel senso che sono strumentali ad un certo fine, e che quindi, poiché in qualche modo riflettono la razionalità umana, sono obbliganti 58 . Per lui le leggi economiche hanno un valore normativo, in quanto desunte dall'ordine naturale, che è ordine creato e per questo morale, per cui guasti, crisi e disturbi economici di ogni genere sono effetti di un ordine naturale che mai si lascia violare impunemente 59 . Questo non vuol dire che esse siano leggi divine, come vorrebbe affermare un autore che Sturzo cita in un suo articolo"'· Certo, per Sturzo, le leggi di natura, avendo Dio per autore, possono dirsi in senso lato leggi divine. Però, al fine di evitare equivoci, si usa chiamarle leggi naturali e sono quelle che formano il complesso delle leggi fisiche; e a questo ambito appartengono appunto le leggi economiche. E tante di tali leggi sono state affermate e poi negate, messe in trono e poi detronizzate, fatte passare per leggi assolute e poi ritrovate come leggi relative, sicché la conclusione è che riguardo alle leggi economiche incontriamo il fattore-uomo che vi interferisce con la sua scienza, la sua arte, il suo lavoro e la sua libera volontà di non

58 Ctì·. N. ANDREATTA, Potere pubblico e 111ercato: la natura eco110111ica dei partiti di ispirazione cristiana, in AA.VV., Luigi Sturzo e la de111ocrazia europea, (a cura di G. Dc Rosa), Laterza, Bari 1990,298-299. 59 Nel senso che «quello che si dice legge econo1nica è nient'altro che il condizionan1ento dei dati economici sui quali bene o inalc lavora l'uoino singolo e collcllivan1ente. Se i1nbocca una strada, avrà le conseguenze che da quella strada derivano, se ne i1nbocca un'altra ne avriL altre e così di seguito: (p.cs.) le leggi di quantità di rapporto, in qualsiasi sistema, si voglia o non si voglia, sono sc1npre operanti. Ma c'è una legge ancora pili forte: la legge del lirnite. L'uon10 può fare 1nolto per trasfonnarc il condizionamento naturale, fisico, storico e sociale alle .sue attività 1na non può vincere i li1niti insuperabili ciel te1npo e dello spazio (vari esempi). Per il sociologo si tratta cli condizionaincnto dell'attività u1nana, per l'economia cli leggi di quantità e cli rapporto»: ibid., 299. 60 E' il dott. Angelo Costa che scrive all'On. Giulio Pastore, sull'/llustraz.ione Italiana dcl nlarzo 195 l.


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attenersi alle regole e di volerle alterare secondo istinti e prepotenze, per cui le leggi economiche, sotto il duplice aspetto dell'attività umana e del condizionamento della materia, sono leggi umano-fisiche, relative a dati sistemi, date condizioni e dati risultati; certo, esse in un certo modo derivano dall'ordinamento creativo divino, ma sono lasciate alla concretizzazione degli uomini secondo date condizioni e dati sistemi 6 '. Sono quelle - definite inte me - che gli economisti sogliono appunto chiamare leggi economiche, intendendo per esse quelle costanti astratte dalla realtà di determinati sistemi che si ritengono applicabili sempre e in tutti i casi 62 • Esse riguardano solo rapporti di quantità e come tali non entrano nella realtà concreta altrimenti che come condizionamento dell'attività umana; sono perciò soggette alla valutazione razionale solo attraverso la utilizzazione econo1nica o antieconomica che se ne può derivare. Da ciò proviene la difficoltà di trovare quelle leggi economiche fondamentali, che non soffrano ulteriori risoluzioni in altre leggi e la cui violazione possa creare disturbi alla stabilità dell'ordine; infatti, se dette leggi economiche fossero deterministiche, nel senso che potessero prescindere dall'agire dell'uomo avrebbero le caratteristiche di quelle astronon1iche e, invece, siamo noi a creare il nostro mondo economico, ovvero è l'uomo individuo facente parte della comunità umana e ciò perché l'economia è un fatto individuale e collettivo nello stesso tempo; è un fatto sociale che va dall'organizzazione più semplice alla più complessa, dal nucleo elementare al più specializzato. E allora, quali sono le leggi dell'economia che non siano leggi delirassociazione? E' qui che esse si innestano nel loro fondamento interno: esistono, infatti, valori associativi che non siano basati sul rapporto di

61 Cfr. L. STURZO, le leggi eco11on1iche, in l'Italia, 18 Inarzo 1951. Ora in Opera 0111nia, serie II, voi. XI, 363-367: 363-364. 62 «Si suole chimnare "legge" una ipotesi di co1nportamento generalizzata. Ovvia1nentc le cosiddette "leggi econo1nichc" sono carenti di qualsiasi normativa etica o legale; nulla si può esigere in loro no1ne. Sono solo ipotesi generalizzate del con1porta1nento econo1nico delle persone, dei loro gruppi e istituzioni))-: M. ZANARTU, Note sul/'altività e la scienza eco110111ica, in la Civiltà Cattolica, 1992, Ili, 31-42:36.


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giustizia? I rapporti di giustizia fra gli uomini sono leggi morali prima che economiche, ma sono anche leggi economiche dato che tutta rattività umana, compresa quella economica, in quanto razionale è pervasa di eticità; è in sé e per sé morale perché la moralità non è altro che la razionalità dell'azione". Sturzo cita diversi mezzi illeciti di arricchimento come esempi per affermare che essi non sono proibiti solo per una legge positiva, ma è la legge morale del rispetto dell'individualità e proprietà altrui che li condanna, e quindi li condanna anche la legge economica perché l'insicurezza del diritto e l'abuso non represso della forza rendono sempre più difficile l'attività economica di qualsiasi comunità visto che l'utilità, sotto il punto di vista associato, postula sicurezza e ordine e questi si fondano sopra elementi etici fondamentali quali il rispetto della libertà, della vita e della proprietà altrui. E' nel carattere stesso di utilità che è contenuta l'esigenza etica della sicurezza e dell'ordine; altrimenti cessa di essere utilità del nucleo associativo. Tanto è vero che non si attribuisce né si può attribuire alcun diritto, positivo o naturale, all'associazione a clelinquere, Ja quale può raggiungere, rubando, ammazzando, deportando, ricattando, il massin10 di utilità, ovvero il n1assimo profitto quasi a costo zero, ma non ha nessun elemento etico-giuridico di società; essa ha per fine un utile individuale illegittimo perché con danno degli altri e non è, pertanto, qualificabile come società umana, cioè razionale, e quindi l'utile degli associati a delinquere non è qualificabile come bene comune. La logica conclusione del discorso sturziano è che la posizione dell'individuo nel ciclo economico è sempre sociale dal primo all'ultimo atto, fin quando cioè l'oggetto utile, per l'uso che se ne fa, viene trasformato in bene individuale. Questo è il punto nel quale la morale incide nella economia, quando l'individuo viene a domandarsi le ragioni e i limiti dell'uso dei beni; cioè quando si pone il problema dell'appropriazione"'.

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Cfr. L. STURZO, Hticitrì delle leggi eco110111iche, cit., 247. Cfr. Io., Eco110111ia e A1ora!e, cit., 187.


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In tale visione risulta chiaramente la eticità dell'unicuique suum, di ciò che spetta a ciascuno, quel nzinùnuni dell'utilità econo1nica che possa stabilirsi in ogni compartimento economico; perciò, quanti asseriscono che l'economia, avendo per oggetto l'utile, non è né morale né immorale, fanno un'affermazione equivoca, in quanto il tern1ine econonJ.ia è preso in due sensi diversi: in quello più restrittivo, si intende quale scienza astratta delle leggi economiche - che si usa anche presentare in formule matematiche quasi a mostrarla al di fuori dell'influsso umano - e si applica al complesso materiale delle ricchezze cd energie materiali intese come aventi un proprio ritmo assoluto. Questa speculazione tende a trovare le leggi dell'economia da utilizzarsi poi nelle applicazioni pratiche, ma non esaurisce la scienza delrecono1nia, anzi può falsarla, se non tiene conto del fattoreuomo, il quale può correggere, modificare e alterare le leggi materiali della ricchezza, per dirigerle tanto a fini individuali ed egoistici quanto a fini collettivi e politici 65 • Nel senso largo, completo, le leggi economiche sono leggi morali in se stesse, anzitutto, quelle ricavate dal Genesi; di cui Sturzo cita alcuni esempi 66 per poi affermare, realisticamente, che la difficoltà consiste nell'individuarle e nello stabilirne l'equo rapporto entro l'apprezzamento relativo del sistema"'· Ponendo una serie di interrogativi'', constata come la eticità delle leggi economiche, mentre esiste ed è riconosciuta, non venga di fatto rispettata anche al di fuori delle volontà dirette degli uomini per

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Cfr. ibid., 188. Cfr.: guadagnarsi il pane :::::Gn 3, 191; prestare denaro [=Dt 23,20 s.]; pagare l'operaio [Dt 24,15; Lv 19,13]: ibid. Per un quadro più an1pio cfr. R. DE VAUX, Le istituzioni dell'antico testa111e11to, Marietti, Torino 1964, 171-182. 67 Crr. L. STURZO, Le leggi eco110111iche, cit., 365. 68 «Fra le leggi elico-econo1niche della Sacra Scrittura si trova l'obbligo di prestare denaro senza interesse; ogni usura è proibita: si può applicare questa legge alle banche? E quale la n1isura dell'inleresse che possa dìrsi tollerabile e non usurario? [ ... ]. C'è (la legge) evangelica di non far passare la caduta del sole prirna di dare la paga all'operaio. Cosa dire di uno Stato che fa passare rnesi e tncsi pritna di pagare i mandati agli appahatori, i quali poi si trovano a corto di denaro e non hanno modo di pagare i loro operai?»: I.e. Sul problen1a dell'interesse bancario, cfr. L. STURZO, Usura della banche, in La Sra111pa, 27 rnarzo l 952; ID., Riorganizzare il credito, in La Sta111pa, 5 giugno 1952; ID., Banche, bancari, banchieri, in La Sra111pa, 27 rnarzo 1952. 66


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l'ingranaggio sociale cui sono soggetti; non che sia impossibile 69 , ma per la condizione umana 70 né Jleconomicità né l'eticità dei rapporti umani è stata mai raggiunta al completo, né crede che possa mai essere raggiunta proprio perché la perfezione non è di questo mondo. Quel che a suo avviso occorre precisare è che mai il diritto arriva ad essere perfettamente equo; né la morale arriva ad evitare le sottili insidie dell'egoismo; né le leggi economiche potranno realizzare nella prova quel la razionalità che esse contengono, perché la società in concreto, ogni società, è relativa a determinate strutture demografiche e politiche e a determinati fattori, tradizionali e storici, e a determinati stati psicologici dei nuclei umani. La sua conclusione, pertanto, è che non esiste sistema economico che non abbia sia i lati buoni sia le deficienze che ogni realtà concreta comporta. E se è vero, quindi, che in ogni stadio della vita umana, certe leggi economiche operano automaticamente sulla base del condizionamento più o meno transitorio, pure è vero che ogni automatismo si riferisce esclusivamente a problemi di quantità - sia di beni di consumo sia di uon1ini ridotti a elen1enti nun1crici -, ma ciò non impedisce la valutazione etica basata sulla insita libertà individuale, né la possibilità di correggere e guidare i fattori produttivi a determinati scopi di carattere superiore. II valore etico di ogni atto, resta intatto e giunge più lontano che il semplice fattore positivo di un'econo1nia concepita astrattamente come esistente al di fuori di ogni concreta realtà sociologica71 .

69 Un certo con1porlan1ento «SÌ esige nel can1po rnoralc dal professionista privato, 1nedico, avvocato, ingegnere, uoino d'affari, con1n1erciante, banchiere; non ricordo più il non1c di quel direttore di banca tedesco vissuto alla fine dcl secolo scorso, del quale si è parlato come di un santo; pare ci sia in corso un processo inronnativo delle sue n1ollcplici virtù»: L. STURZO, Crisi politica e ripresa 111orale, Politica Popolare, Napoli 1957, 36. 70 «In ogni attività L11nana di qualsiasi natura, nnchc la più delicata quale la religione, interferiscono ele1nenti pseudo-razionali e addiritlura irrazionali a turbarne il corpo ordinato e lo slancio perfctlo. Perché in ogni individuo, e quindi nella stessa società, contrastano sc1nprc gli elcn1enti di stabilizzazione con quelli di rifonna; gli ele1nenti di 1naterialità con quelli di spiritualità; gli ele1nenti di rivolta con quelli di ordine»: L. STURZO, Eticità delle leggi eco1101niche, cit., 249. 71

Ibid., 260.


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3. La proprietà e il lavoro

Conseguentemente alla sua visione dell'economia nei suoi fondamenti e nelle sue valenze, per Sturzo, il problema più interessante riguardo alla struttura economico-sociale è quello della proprietà, perché l'uso personale di cibi, di vesti, di abitazioni, richiede un possesso individuale e indisturbato e, quindi, la possibilità di pervenire a tale possesso e la imprescindibilità di esso dà a tutti gli uomini il diritto fondamentale di partecipare ai beni materiali. Sebbene, l'origine della proprietà, dal punto di vista storico, non possa esattamente precisarsi, tuttavia non si può negare il fatto che tutti gli clementi storici in nostro possesso ci presentano uno stadio sociale economico progredito e in via di assestamento, basato su tipi di proprietà stabile, resa sicura da leggi e da sanzioni anche religiose e, quindi, connessa con lo svolgimento delle tre forme fondamentali della socialità e immedesimata con la loro struttura. Questo dato di fatto permette di cogliere la natura della proprietà, che per Sturzo è doppia essendo allo stesso tempo e sotto diversi aspetti individua/e e socialen Essa, nel senso tradizionale della parola non è altro che l'appartenenza in un modo esclusivo, definitivo, completo, di un bene stabile ad un soggetto" capace di possedere"-

72 «La proprietà è quasi una estensione dell'individualità urnana alle cose; le cose prendono un non1e ed assu1nono per l'uon10 una realtà relativa a lui nel momento in cui egli le conosce, le fa proprie, se ne serve. Il concetto di appartenenza è intiino, è personale, arriva allo ststo di affezione, può divenire atLaccan1ento anche morboso. Attraverso l'uso quotidiano noi leghiarno le cose con i nostri ricordi, con le fasi della nostra vita. Estendia1no questo senso di appartenenza alle cose che non ci appartengono in proprio, con1e la strada, il giardino, la villa, la chiesa, il villaggio, la ci11à, la contrada»: L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit., 112. 73 «Che questo soggetto sia prevalenle1ncnle l'inJividuo o il gruppo, ovvero sia llJHl classe di élite o anche parecchie classi, o sia il capo solainente, patriarca o re, ovvero !a cornunitù, tribù o regno, ciò dipende Ja condizioni di fatto giuridiche, economiche e 1norali»: I.e. A tale proposito è interessante quanto scri!lo a Sturzo da Toniolo, il quale, prernesso che «la filosofin e il diritto cristiano non considera "persone" capaci del diritto di proprietà soltanto gli "individui fisici", 1na anche gli "enti 1norali" aventi un fine con1une e perenne», elogia «quei "contratti di fitto collettivo" che Ella pri1no e poi i siciliani con lei, diffusero largamente cotne saggio


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Considerate dal punto di vista storico, la proprietà individuale e la proprietà comune, secondo Sturzo, sono sempre esistite simultaneamente benché in proporzione diversa e ciò perché sia l'esigenza individuale che quella sociale, non sono mai scomparse del tutto nei sistemi economici nei guaii si sia formata la proprietà stabile. La proprietà comune, inoltre, per essere vera proprietà deve essere individuata e nella cosa e nel soggetto; altrimenti non è vera proprietà, ma è tale solo potenzialmente. Per Sturzo non c'è una evoluzione storica dal tipo di proprietà in comune al tipo di proprietà individuale; si ha, invece, lo sviluppo vario e simultaneo dei due tipi di proprietà secondo le esigenze dell'economia, i progressi tecnici e gli avvenimento storici; quello che si trova come originario, è, invece, il concetto di appartenenza personale che egli considera fondamentale. Esiste perciò un processo" sociologico dcl contenuto di proprietà che parte dai concetti più materiali e legati all'esercizio del dominio e della forza per giungere a concetti che man mano assumono differenziazione e specificazione in forme etico-giuridiche. Nell'analisi di tale processo Sturzo evidenzia il perenne contrasto tra la concezione della proprietà come derivante dal lavoro e quella della proprietà come espressione di dominio e di forza 76, per cui anche la organizzazione del lavoro distingue, classifica

di "esercizio sociale di agricoltura" - saggio che un dì sarebbe apparso un non-senso, un'utopia, che oggi è una soluzione felice e reale, che ha con sé un grande avvenire nelle regioni del latifondo o delle grandi imprese agrarie di speculazione»: G. TONIOLO, Una lettera del prqf. G. Tonio/o al sac. Luigi Sturzo, in La Croce di Costantino, 23 agosto 1903, 1. 74 L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, cit., 112. 75 «Questo processo non è puramente progressivo», afferma Sturzo, bensì è «moto verso la razionalità o pseudo-razionalità, con ritorni e involuzioni»: /.c. Egli dà nl tenni ne processo una valenza superiore rispetto a evoluzione o progresso: «non evoluzione, con1e se da un genne si sia svolta una vita per leggi fisse; non progresso, nel senso di un 1noto a tennine e di una acquisizione necessaria al moto stesso [ ... ], (1na) processo, (ovvero) attività in continuazione, successione fenomenica e rivelazione interiore, dove si possono notare progressi 1na parziali, evoluzioni 1na relative: libertà che si muove, idea che si attua, invenzione che crea»: L. STURZO, La vera Fifa, cit., 161. Cfr. anche Io., Introduzione a La Società, sua natura e leggi, cit., 13-18. 7(, L. STURZO, La Società, sua natura e leggi, ci!., 115.


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e crea contrasti 77 , sicché la degenerazione78 del concetto di proprietà ha portato ad alcuni effetti permanenti e tristi quali l'avvilimento del lavoro manuale, il distacco del lavoratore dal proprietario, l'eliminazione giuridica del lavoro come titolo o mezzo diretto con l'acquisto della proprietà. Questo stato di cose originò sotto l'influsso del cristianesimo79 il problema morale e sociale della proprietà che, passando per S. Tommaso"' che aveva dato di essa la classifica definizione di «potestas procurandi ed dispensandi» 81 attraverso i pronunciamenti del Magistero, particolarmente le encicliche Rerum Novarwn e Quadragesùno Anno, giungendo sino a Sturzo, viene considerata quale strumento essenziale per garantire alla persona la sua libertà.

77 «Gli eccessi di queste classificazioni dipendono non dalla natura dcl!'cconoinia, che si presterebbe a una equa benché differente partecipazione di lutti ai beni della terra, ma dalla volontà di do1nìnio, dall'uso della forza, dalla paura che gli

assoggettati si ribellino, dalla cli1ninazionc dei concorrenti, dall'egois1no assetato di ricchezze, dalla disparità di cultura, educazione, n1entalilà, abitudini fra proprietari e lavoratori»: ibid., 116. 78 «La proprietà stabile fu concepita come il diritto di quelle classi che potevano arrivarvi o con la conquista violenta ovvero in via nonna.le con l'ereditb, l'acquisto, la donazione e di altri siinili mezzi. Così sorse presso tutti i popoli una costruzione giuridica dcll'cconon1ia proprietaria limitata a gruppi privilegiati, fissati per tradizioni e leggi, che posero la proprietà al riparo dagli assalti delle classi povere con legare lo stato politico alla classe proprietaria e col rendere solidali l'ordine religioso, quello civile e quello ccono1nico in un permanente sistc1na di oligarchie»: /.c. ~ 79 Predicando l'uguaglianza di tutti gli uo1nini davanti a Dio e l'amore dcl prossi1no «gli effetti nell'a1nbito della cconon1ia non potevano 1nancarc, per quanto il crislianesi1no non fosse venuto a predicare un'econo1nia speciale né avesse co1ne suo compilo diretto quello di rifonnarc la slrultura della società [ ... ]. I Padri e gli scrittori cristiani, se da un lato non si preoccupavano della possibilità di riforme econo1nicopolitichc dcl rcgirnc di proprietà [ . . ] al te1npo stesso insistevano sul concetto di giustizia con11nulativa e sull'obbligo dell'osservanza delle leggi divine ed u1nanc in 1nnteria econo1nica, lottando special!ncnte contro l'usura e contro ogni altra 1naniera di sfruttainento dell'operaio e del povero, e favorendo la liberazione degli schinvi, o insistendo per un tratta1nento umano e n1orale sollo l'idea della fraternità»: ibid, 117. 80 Vd. S11111111a Th., I-II, qq. 100,105; II-Il, qq. 66, 118, 119. 81 'T'oMMASO D'AQUINO, Sununa th., II-II, q. 66, a. II, in ID., Su1111na Theologiae, Ediliones Paulinae, Milano 1988 2, 137 ! . Cfr. anche C. SPICQ, Potestas procurandi et dispensandi, in Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques 23

(1934) 82-93.


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E infatti, per quest'ultimo, la libertà economica è molto importante, perché condiziona e agevola l'esistenza e lo sviluppo anche delle libertà politiche e morali"; poiché, essendo la libertà unica e indivisibile, se essa viene violata nel campo econon1ico, di conseguenza lo è anche in tutti gli altri: in quello culturale, in quello politico e sociale e viceversa 83 . Una delle più gravi lesioni alla libertà economica è appunto l'attentato alla proprietà individuale84 che Sturzo difenderà, pur non facendone un assoluto". Egli collega il diritto alla proprietà con il diritto al lavoro, avendo ambedue la funzione di garantire la libertà della persona, e per questo precisa la connessione fra possesso e 11otere 86 •

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L. STURZO, Paura della fibertà, in Battaglie per la libertà, cit., I 04. ID., Statalisrno e conji1sione di idee, in La JJ.C. al bivio, Politica Popolare, Napoli 1958,67-73. H.J Il ciuadino «perdendo la libertà di possedere beni stabili, di potere trasfonnare i rispanni in in1pianti produttivi; di essere libero di tenere la "sua" casa, il "suo" podere, la "sua" bottega, il "suo" ì1npianto, e poterlo cedere o lasciarlo ad eredi di sua propria scelta; egli non sarà pili libero politica1nentc [ ... J»: L. STURZO, Socializzazione e libertà, in L'Italia, 15 novcn1bre 1956; ora in Den1ocrazia libera o socialis1110 classisra ?, Politica Popolare, Napoli 1956, 31-35: 35. 85 Nelle lolle sociali d'inizio secolo sostenute dai cattolici in Sicilia «l'acquisizione più significativa fu quella concernente la possibilità di un intervento legislativo che 1nodificasse coattivan1ente il sistc1na latifondistico sia i1nponendo obblighi di colonizzazione [ ... ] sia disponendo l'esproprio generalizzato dai latifondi al fine di favorire la fonnazione della piccola proprietà coltivatrice. In campo cauolico, la discussione di questo problcn1a ebbe risvolti dollrinari non indifferenti. In linea di principio, i cattolici den1ocratici cristiani fecero valere la tesi fondatncnta!e che il diritto di proprietà non era da intendersi in termini quiritari, con1e pretendevano i liberali e con1e sostenevano anche taluni cattolici conservatori. Niente quindi "jus utcndi et abutendi". Fin dal 1900, Sturzo difese il principio della funzione sociale della proprietà privata, modificando conseguentcn1ente anche la definizione che S. To1n1naso aveva dato della proprietà privata come "potestas procurandi et dispensandi". La eccezione comune ai den1ocratìci cristiani di Sicilia fu che la proprietà privata non era né sacra né inviolabile, e si giustificava e andava difesa in quanto assolveva ad una funzione sociale indispensabile»: F. RENDA, Sturzo e il 111ovilne11to co111adi110 in Sicilia, in AA.VV., Luigi Sturzo nella storia d'Italia, Atti del Convegno internazionale di studi pro1nosso dall'A.R.S., Il, Storia e Letteratura, Roina 1973, 455-497: 494. Cfr. anche L. STURZO, Sintesi Sociali, cit., 204-206. 86 Cfr. L. STURZO, Possesso e potere, in Politica e Morale, Opera 011111ia, serie I, voi. IV, cap. I, 3-16. l!J


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Come suo solito, parte dall'origine storica del problema e anche per questo si rifà ai primi secoli del cristianesimo 87 , per giungere, dopo un lungo excursus, ad affermare che, pur cristianizzatasi, la società, presa nel suo complesso, non poteva abolire le varie forme di possesso e di uso dei beni terreni, né le varie strutture del potere sociale, senza cessare di essere una società umana, per cui restava fondamentale il problema di non eliminare bensì di moralizzare il possesso dei beni e il potere sugli altri uomini, passando dal piano dell'ascetica personale al piano sociologico, del come cioè togliere al possesso e al potere il carattere di causa di mali e di turbamenti sociali e di colpe individuali; di come renderli strumenti di bene, ovvero di come renderli morali. Atteso che possesso e potere sono connaturali alla struttura della società, il primo aspetto del problema sociologico della moralizzazione di tali istituti è quello della loro limitazione, avvenuta, come si può storicamente constatare, nello sviluppo del diritto possessorio, delle sue garanzie e dei suoi limiti, che ha riconosciuto a lutti il diritto potenziale di possedere, ha abolito i privilegi politici della proprietà, ha aumentato il numero dei piccoli proprietari, ha nobilitato il lavoro e, garantendolo da certi soprusi, angherie e ingiustizie, ha limitato l'accesso delle ricchezze con la partecipazione dello Stato, ha aumentato i contributi alla comunità per ripartire a tutti il benessere culturale, morale, igienico e sociale. Tuttavia, nonostante ciò sia avvenuto in linea di principio, Sturzo rileva che, tuttora, al diritto generale potenziale di possedere non corrisponde per tutti l'effettiva possibilità, perché all'abolizione dei privilegi politici della ricchezza è susseguito l'aumento d'influenza dell'alta banca e dei grandi trusts della politica; l'aumento del numero dei piccoli

87 «Nei pri1ni secoli del cristiancsi1no s'insinuò la teoria che tanto il possesso dci beni terrestri quanto il potere coercitivo dell'autorità politica fossero conseguenza del peccato di origine, e benché non fossero in se stessi un 1nalc (nel senso di peccato), venivano ora riguardati come una pena della pri1na colpa, ora co1ne unn causa più o 1ncno ren1ota di peccato. [ ... ] Questi due istituti si presentavano originariamente legati insie1ne così da ridursi il potere ad una conseguenza del possesso, o viceversa; il potere a sua volta diveniva sorgente di ricchezza e titolo di proprielà. Lo sforzo cristiano, quando non arrivava alla completa rinunzia delle ricchezze e dcl dominio, n1irava a renderne morale l'uso»: L. STURZO, Possesso e potere, cit., 3.


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proprietari coincide con la svalutazione della proprietà oberata di debiti e di tasse; la partecipazione dello Stato al capitale e ai redditi dei cittadini, ne ha aumentato il potere fino al più eccessivo statalismo; la nobiltà del lavoro e la garanzia dai soprusi non toglie che la condizione del proletariato sia precaria, gravi e lunghe le disoccupazioni, spesso insufficienti le paghe per il mantenimento delle famiglie. Nonostante, quindi, i limiti imposti dal diritto alla proprietà, caratterizzati dalla funzione di utilità generale e non più per vantaggi particolari dei ceti ricchi, tre fattori concorrono ad alterare la portata etica di simile concezione: 1) la proprietà individualizzata; 2) la sovranità popolare concepita individualisticamente; 3) la elùninazione della Chiesa conze organisn10 partecipante ai lùniti del potere 88 • Tralasciando di entrare nei particolari dell'analisi sturziana dei suddetti fattori, rileviamo invece come per Sturzo i limiti posti dal possesso al potere, e viceversa, quando funzionano moralmente si traducono in limiti organici della struttura statale e tendono a conseguire tre risultati: 1) non legare il potere alle ricchezze; 2) dare maggiore uniformità ed efficacia alla legge sopra l'arbitrio delle persone investite di potere; 3) ottenere un a1Jprezzan1ento etico della politica; per cui, poiché nel campo dell'economia, troviamo i medesimi fattori sociologici questo spiega perché la scuola cristianosociale insiste sulla denunzia del capitalismo come causa di un sistema economico di sfruttamento e sulla partecipazione operaia al capitale delle imprese, e ciò non tanto per demogogia ma, nel quadro generale di una visione etica dell'economia, al fine di creare un migliore sistema di limiti all'impresa della ricchezza, ponendovi a base la responsabilità personale. Sturzo si occupa perciò del problema del lavoro, della ragione della sua organicità, della trasformazione dei suoi rapporti col capitale, del valore della sua produttività e della forza della sua rappresentanza sindacale e politica, non per rendere «Omaggio alla divinità che sorge»", ma per fedeltà alla tradizione cristiana del lavoro liberato

154.

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Ibid., 5-6.

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dalla schiavitù ed elevato alla nobiltà spirituale e civile, senza ridurre tale problema complesso e organico ad una linea semplicistica e negativa, né considerandolo come avulso dalle condizioni di fatto che premono sulla vita economica e politica, ma rapportandolo a quello che nel suo pensiero è il termine finale della nuova economia, vale a dire avvicinare il lavoratore ai mezzi di produzione e renderlo partecipe del valore produttivo, senza sopprimere né attenuare la individualità libera e operante al fine di giungere all'attuazione di quello che è un antico proposito della scuola sociale cristiana, del Magistero9l', suo personale" e per suo mezzo del partito da lui fondato, vale a dire la trasformazione del salariato in collaboratore cointeressato allo sviluppo dell'azienda, e la trasformazione della

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9 Cfr. AA.VV., Proprietà e partecipazione alla gestione delle aziende nel pensiero dei So111111i Po11tefici. Passi scelti daf!e encicliclte sociali di Leone Xlii e Pio Xl e dai discorsi e 111essaggi di Pio Xli, Jandi Sapi, Ro1na 1952. Vd., in particolare, PIO Xl, (QA, 72): partecipazione degli operai alla proprietà, alla gestione, ai profitti della irnpresa. 91 A Milano, il I 0 ottobre 1920, parlando sulla trasfonnazione dei rapporti di lavoro e per l'efùninazione del salariato, così si esprime: «Il salariato, assente dalla produzione, n1crcc cd clcrnento di" contrattazione, lasciato al gioco delle sorti prospere od avverse della grande industria, ha portato la società venuta dalla concezione classica liberale alla sua crisi 1norale cd economica; e il movi1nento di grandi 1nasse associate si ripercuote nella compagine politica. Le provvidenze assicurative e tutelatrici che hanno basato la politica di oltre trent'anni, fatte a spizzico e non 1nai cotnplctatc, non sono valse a normalizzare il niovi1nento. Il bivio oggi è segnato su questo punto: il socialis1no sotto qualsiasi denominazione non può rinunciare alla lotta di classe, che è resa seria e fondaincntale nel carnpo dcl salariato; e quindi tende ad acutizzarne i rapporti coi capitale per arrivare alla dittatura di classe. Il P.P.I. tende alla trasfonnazione dei rapporti di lavoro e all'eliminazione de grande salariato, e ciò sia pure con1c contingenza, anche attraverso le lotte di classe, per arrivare per approssimazioni pratiche alla collaborazione delle classi co1ne suo tennine finalistico. e poiché ogni forma econo1nica, anche in quella associata co1ne la n1ezzadria nell'agricoltura, vi sono oggi elementi di deficienza organica che turbano i rapporti fra i diversi fattori della produzione, si tende efficacemente verso il termine del n1aggiorc cointeresse del lavoro alla sua realizzazione produtLiva, fino a poter trasfonnare il lavoratore in proprietario parziale o totale dei mezzi di produzione, coinpresa la terra e l'officina»: L. STURZO, Crisi eco110111ica e crisi politica, cit., 154155. Questa ten1atica risale però più indietro: vedasi articoli apparsi su la Croce di Costantino. Inoltre, già G. De Rosa ha rivelato come fin dalle prin1e esperienze a1n1ninistrative a Caltagirone Sturzo ha cercato di rendere realtà concreta le sue convinzioni in tenia di partecipazione.


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grande industria centrai izzata, capitalistica, monopolitica in industrie a largo cointeresse sociaJen La cosiddetta property in job 93, come oggi si suole chiamarla, che è diritto alla proprietà del posto di lavoro, si trova nel pensiero etico-economico di Sturzo, nella sua azione pastorale, politico-sociale, sia quale diritto alla stabilità del posto di lavoro, sia quale diritto alla partecipazione della proprietà dei beni produttivi, corollari del più fondamentale diritto pubblico di libertà che è diritto alla partecipazione. Rifacendosi ad Enrico Lorin, Sturzo è convinto che l'uomo deve trovare nel suo lavoro il mezzo di vivere umanamente; perciò bisogna che arrivi a provvedere allo sviluppo d'una sua triplice attività: corJJOrale, intellettuale, 1norale. Da ciò risultano per i proprietari e i capitalisti obbligazioni strette, per i lavoratori crediti effettivi'·'.

92 Cfr. L. STURZO, Il Partilo Popolore Italiano, cit., 154. Vedasi anche il disegno di legge presentato dal P.P.T. al!a camera dci deputati 1'8 febbraio 1921 e ripresentalo nel giugno dello stesso anno. Nel congresso del P.P.T. di Torino dell'aprile 1923, tale proposta, sorta già nel '20 in antitesi al consiliaris1no rivoluzionario grainsciano, verrà ripresa; essa resterà punto rilevante, anche se forse mai sufficientc1nente approfondito, del prograrnn1a sociale sturziano. 93 Il tema «non ha ancora definizioni che consentano una sistematica di carattere generale. A tutt'oggi, il dibattito in 1nateria è se1npre aperto e le soluzioni parziali finora applicate in alcuni Paesi sono criticate e avversate in altri e anche dagli stessi sindacati, con rnotivazioni che possono apparire altrettanto valide, così è per la cogestione che innova nell'assetto societario, per l'azionariato operato, per la partecipazione agli utili o per il coinvolgi1nento dei lavoratori in alcune forme di organizzazione o di gestione delle aziende. Le soluzioni finora sperimentate riguardano più la razionalità dcl sistema (funzione anticiclica per le imprese e per la occupazione con l'applicazione di un salario variabile e sti1no!i individuali o di gruppo per la produttività) che la ricerca di rapporti più equilibrati tra capitale e lavoro, co1nc è auspicato dalle Encicliche)>: M. DE GIROLAMO, I caffofici, i processi sociali e i processi eco110111ici, in Studi Sociali 10 (1990) 19-37: 24. Sulle tesi in teina di partecipazione, cfr. J.E. MEADE, Alternative Syste111 of Business Organiz.ation and workers' re11uu1eration, Allen & Unwin, London 1986; M.L. WEITZAMANN, The share econo1ny, co11queri11g stagflation, 1-Iarward University Press, Ca1nbridgeMassnchusscts-London 1984; AA.VV., Cogestione, f)ocu1ne11tazioni politiche e sociali nella Repubblica Federale di Ger111a11ia, Saarbrucker Druckerei und Vcrlag, Saarbrucken 1983; AA.VV., Proposta di legge per l'istituzione de//'ùnpresa partecipativa, in Rivista di Studi Co17Jorativi 1 (1991) 149-168. 94 Cfr. L. STURZO, Il lat{lòndo, in la Croce di Costantino, 19-26 febbraio 1905; riprodotto su l'Unione, 5 1narzo 1905.


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Di conseguenza Sturzo non riconosce al lavoro la collocazione nella classificazione - riduttiva - generalmente accettata, dei cosiddetti fattori della produzione, che lo accomuna alla natura (o te1rn) ed al capitale, in quanto il lavoro non è una res come gli altri due fattori, ma ha la dignità di un fattore non solo di indole economica nella produzione dei beni atti a soddisfare i bisogni umani, ma di indole morale e giuridica e di carattere organico, che diviene elemento di vita pubblica e ragione di progresso morale dei popoli, e acquista dignità di elemento fondamentale dell'organizzazione della società95 • Questo, naturalmente, perché collegato all'uomo, dato che il fattore manodopera è il fattore principale umano di ogni attività produttiva; e in questa concezione egli ha in tal modo presente il lavoro soprattutto perché ha presente il lavoratore, vale a dire l'uomo che lavora, ovvero ciascun uomo e tutti gli uornini 96 tranne quanti, svolgendo sì attività finalizzate all'utile ma non eticamente fondate, non svolgono un'attività economtca e quindi sociale e quindi lavorativa, che solo come tale avrebbe diritto di cittadinanza nella società civile97 • Per questo Sturzo si batterà per tutta la vita contro tutto quello che mortifica l'uomo e, particolarmente nel campo economico, l uon10-lavoratore, con tutto ciò che a questa definizione è 1

95

Cfr. L. STURZO, La legge sul riposo festivo, in La Croce di Costantino, 1314 marzo 1904, 1. 96 «Rilevo che il vocabolo "lavoratore" è usato ad indicare la classe lavoratrice manuale: operai e contadini [ ... ]. Sono o no lavoratori i pensionati e i piccoli e medi rispanniatori che vivono del lavoro fatto? e gli altri, insegnanti, professionisti, burocrati, irnprenditori, giornalisti, scrittori che vivono del lavoro di ogni giorno? Credo di sì; e così anche gli am1ninistratori di enti pubblici e privati. Chi può negare che frati e suore e preti, parroci, canonici vivano di lavoro spesso mal riinunerato? Le aulorilà civili, politiche, religiose non stanno senza far nulla; e anche gli uomini politici per quanto il loro 1ncsticre sia quello più di parlare che di agire. Chi saranno in Italia gli esclusi dal lavoro? gli azionisti di società anonime? i titolari (anoni1ni questi) dci titoli di stato? gli agricoltori, gli industriali, i cornn1crcianti? [ ... ]»: L. STURZO, Lo Stato e il lavoratore, in Rianno n1orale, Politica Popolare, Napoli 1957, 134-138: 134-135. 97 «[ ... ] tutti debbono lavorare; nessun fannullone, nessun profittatore, dovrebbe essere tollerato»: ibid., 135.


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conseguente in termini di realizzazione spirituale, etica, culturale, politica, sociale, economica.

4. Il sindacato

In tale visione della economia, della sua eticità, della proprietà e del lavoro, assume una notevole importanza il sindacato. Non ci soffermeremo sulla morfologia di esso secondo Sturzo98 , bensì sul suo ruolo'' ovvero sulla sua funzione strumentale di mezzo relativo al fine che, come si è visto, è la realizzazione della persona anche sotto l'aspetto economico, con la piena partecipazione -in quanto lavoratore - alla proprietà degli strumenti di produzione ed agli utili dell'impresa, ovvero ai frutti del proprio lavoro. In questa concezione i sindacati hanno perciò come funzione primaria quella di preparare ciascun membro alla gestione dell'economia del paese, per cui primo obiettivo della rappresentanza sindacale sui luoghi di lavoro e della organizzazione cooperativa deve essere l'approfondimento dei problemi aziendali, al fine di trovare già alla base una prima individuazione dei termini dei diversi problemi macroeconomici, da guardare e risolvere poi a livello aziendale o da trasmettere ai livelli superiori, onde definirli con l'ulteriore e maggiore consistenza dell'organizzazione. Quella attualmente prevalente è la concezione del sindacato come organo per la attività rivendicativa, mentre invece per Sturzo il movimento operaio e contadino non va organizzato per altri fini diversi dalla preparazione e dal raggiungimento della partecipazione politica; le organizzazioni sindacali invece di sviluppare da una parte la lotta di classe e dall'altra fare proseliti monetizzando le richieste dei lavoratori dovrebbero prepararli politicamente ed economicamente a indirizzare l'azione sindacale verso la eliminazione dello statalismo economico per

98 Cfr. G. ACOCELLA, Sturzo 99 Cfr. A. PALAZZO, Il ruolo

e il sindacato, Lavoro, Ron1a 1980. de/l'organizzazione sindacale nello stato-coniunità secondo Sturzo, in AA. Yv., Mediazione culturale ed ùnpegno politico in Sturzo e Maritain, cit., 145-150.


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approdare alla attuazione di quelle norme costituzionali che vanno dall'art. 41 all'art. 47, sicché l'eliminazione di quella che egli chiama la sindacatocrazia 100 possa avvenire non mortificando l'azione sindacale, bensì amplificandola e vieppzu dignificandola, innalzandola qualitativamente attraverso la partecipazione del sindacato al corpo politico dello Stato. Un ruolo tutto da scoprire, così differente da quella conflittualità permanente che Sturzo aborrisce e stigmatizza'"', pur

wo «l ... J in 1naleria di de1nagogia economica il sindacalismo italiano è tutto infettato, tanto da non vedere pili il punto di discrin1inazione fra il vero interesse operaio (sia degli occupati sia dei disoccupati) e l'interesse dell'apparato sindacale, che è quello che fa il bello e il cattivo te1npo per garantirsi l'in1picgo; per aun1entare la possibilità di ottenere posti, incarichi e uffici, sernpre ben retribuiti, per dominare l'organizzazione e irnporsi nei partiti»: L. STURZO, Banche e fonti l/; energia, in Il travaglio della D.C., cit., 54-59: 58. 101 «I sindacati [ ... ] difendendo i propri iscritti al di là delle possibilità economiche private e statali, alterano i rnargini necessari per provvedere alla disoccupazione senza essere costretti ad incidere nello sviluppo economico del Paese»: L. STURZO, De111ocrazia libera o socialis1110 classista, cit., 32-33. «I protetti dei Patti agrari saranno i contadini infingardi, quelli che non sanno il n1estiere, i turbolenti e faziosi, quelli che non avrebbero altra prospettiva che restare ad ogni costo sul fondo, trovando modo di essere favoriti dai sindacati o dai partiti»: ID., Patti agrari e 111ercato co1nune europeo, in L'Europeo, 17 marzo 1957; ora in Crisi politica e ripresa 111orale, Politica popolare, Napoli 1957, 70-77: 75.


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ammettendo la conflittualità"" e, anzi, mettendone in rilievo gli aspetti positivi ai fini sociaJiHn. Un ruolo che abbia coscienza degli strumenti adoperati, fra cui quello dello sciopero, anch'esso da usarsi moralmente, ovvero solamente quale mezzo rivolto al fine di indurre la controparte a riflettere sulla proposta politica diretta al raggiungimento del bene co1nune e non altrimentiHM.

102 Riguardo tale conflittualità vd. lo scritto di Sturzo, Lo!ta di classe co1ne legge di progresso, conferenza letta al circolo universitario di Napoli il 13 giugno 1902, al salone clell'arcivcscovado dì Milano il 12 1naggio 1903 ed al circolo universitario di Torino il 19 1naggio 1903. Successivamente Sturzo titolerà questo scritto La lotta sociale legge di progresso; così è ora in Opera 0111nia, serie II, vol. I, 24-56. Quanto alla nozione di progresso, così come vi è intesa, la n1odificherà in quella di processo: «Questo processo non è pura1nentc progressivo»·, afferma Sturzo, bensì è «!noto verso la razionalità o psucdo-razionalità, con ritorni e involuzioni». Egli dà al tennine processo una valenza superiore rispctlo a evofuz.io11e o progresso: «non evoluzione, come se da un gcnne si sia svolta una vita per leggi fisse; non progresso, nel senso di un n1oto a tern1ine e di una acquisizione necessaria al moto stesso [ ... ], (ina) processo, (ovvero) attività in continuazione, successione fenomenica e rivelazione interiore, dove si possono notare progressi n1a parziali, evoluzioni 1na relative: libertà che si muove, idea che si attua, invenzione che crea»: L. STURZO, La vera vita, cit., 161. Cfr. anche lo., Introduzione a La Società, sua natura e leggi, cit., 13~ 18. 10 1 · «Certo si è che la società sc1npre si è trovata e si troverà in due diversi 1non1cnti conte1nporanei e cozzanti, uno di co1npimento e resistenza, l'altro di svolgimento e di progresso; il pri1no è detcnninato da uon1ini o classi o istituzioni che sono, l'altro è detenninato da uomini o classi o istituzioni che divengono; l'uno e l'altro 1non1ento possono riguardare sia fatti accidentali che essenziali, sia se1nplici che co1nplessi. [ ... ]Ora in questa condizione di cose, vi può essere equilibrio di forze, di idee, di rapporti, o invece disquilibrio; nel priino caso il progressivo sviluppo è lento, uguale, annonico; nel secondo caso è invece duro, contrastato e prelude rivolgi1nenti. l ... ] Nell'epoca presente di disquilibrio sociale non solo esiste, 1na è congenito e si estende ai rapporti essenziali della società; e l'elemento del divenire è il popolo, che perciò è causa del progresso u1nano. [ ... ] Però, nel vero concetto della società e della sua storia, la lotta e il progresso non sono che il fenomeno; e il noun1eno, che ne è la base, sono i principii universali di etica e di sociologia naturale informati ai principii religiosi; per cui tanto l'essere che il divenire dci fatti sociali devono infonnarsi a questi principii, che fecondano a bene tutri gli svolgimenti e le evoluzioni»: L. STURZO, Sintesi sociali, cit., 168-169. 104 «Vorrei sapere per quale passo dcl Vangelo, di santi padri o di encicliche papali, si possono proclatnare scioperi politici generali e di protesta e occupare fabbriche. Pur am1nettendo gli scioperi di difesa professionale e sindacale, con1e cstre1no n1ezzo di rivendicazione di un diritLo, pur se1npre dentro i tennini di una legge o di una convenzione sindacale rcgolannentc stipulata, sono da escludere atti di violenza politica o nutteriale che sia, come pure la sospensione di pubblici servizi di


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Sturzo anticipa così di mezzo secolo l'idea dello sciopero, inteso quale strumento di partecipazione politica, recepita dalla Costituzione italiana 1115 e puntualizzata ora anche in termini giuridici dalla Corte Costituzionale"", che opera il collegamento fra il principio di uguaglianza sostanziale e quello di partecipazione. Ma il pensiero di Sturzo e la sua analisi vanno ancora più in là. Egli, infatti, si preoccupa di vedere, una volta avvenuta la partecipazione, in quale modo la classe dei lavoratori possa poi mantenere il suo ruolo morale senza deviare verso la dittatura del proletariato, o verso il corporativismo, o verso la disarmonia sociale. interesse della generalità [ .. ]. Sono proprio io a difendere gli operai anche se nego loro il diritto di occupare le fabbriche[ ... ]. Credono gli ordo-novisti che affarnare una città o un villaggio sia lecito, e che non sia più conducente allo scopo un'agitazione ordinata, un arbitrato, un cornpron1esso, un accordo temporaneo per un migliore esan1c progredendo per gradi, accettando i n1iglioraincnti di oggi in attesa di quelli di do1nani con gradualità e comprensione?»: L. STURZO, Ordine cristiano o nuovo ordine?, in li travaglio de/fa D.C., Politica Popolare, Napoli 1959, 75-80: 75-77. «Lo sciopero è una lotta; co1ne tale può essere rivoltosa o civile; subitanea o prc1nediLata; a scopo tattico o definitivo [ ... -i, Escludia1no dal novero degli scioperi legitlimi quelli che riguardano servizi pubblici e rapporti con enti di diritlo pubblico. Noi sian10 fra coloro che negano la legillimità di tali scioperi, sia per la rena interpretazione della Costituzione sia per la 1natcria propria del contendere. Il cittadino con1e tale, co1ne membro di una comunità regolata da leggi, non può essere privato dell'esercizio dci suoi diritti a causa di una vertenza fra ente pubblico e propri dipendenti [ ... ]. Per le vertenze econo1niche fra datori di lavoro e lavoratori, a qualsiasi titolo esse siano, dovrebbe trovarsi la via per civilizzare gli scioperi, come si sono civilizzate le lolle fra cittadini in 1nateria di interessi con la istituzione della 1nagistratura [ ... ]. Gli scioperi economici hanno un solo sbocco: le trattative e le intese;; se uno sciopero finisce con un vincitore e un vinto, le situazioni che si creano sono già scontate e, 1nancando un accordo finale, resta il rancore che impedisce la possibilità di pace. Da ci6 si vede quale delicato strumento sia lo sciopero e quale complesso di clen1enti contrastanti si nlettono in azione con lo sciopero; per cui si dovrebbe arrivare a renderlo una extrcina ratio civilizzata; e non 1nai uno strumento usuale di lotta, (per cui si deve) mettere il diritto di sciopero sotto la regola della legge per essere mantenuto nei limiti 1norali e giuridici di vertenza di interessi privati, colpendone le violenze e denunziandone gli scopi politici [ ... }»; L. STURZO, Le due anùne dello sciopero, in Il rianno 111orale, Politica Popolare, Napoli

1957, 58-62: 58-59. 105 Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, Parte I, Titolo III, art. 40. Ed anche: L. 12.6.1990, n. 146 (Regola111e11taz.ione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali); artt. l 5 e 28; L. 20.5.1970, Il. 300 (Statuto dei lavoratori). 106 Corte Costituzionale, 17.12.1974, n. 290; opera un collegamento fonda1nentalc fra l'art. 3 (pari dignità sociale e uguaglianza di ji·onte alfa legge dei cittadini) e l'art. 40 (esercizio del dirillo di sciopero nel/'a1nbito delle leggi che lo regolano) della Costituzione.


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E' il traguardo della democrazia economica, che Sturzo vede insidiata da quei nemici che combatte teoricamente e praticamente: il totalitarismo, (nelle sue forme di statalismo, comunismo, fascismocor1Jorativisnio) e il ca1Jitalis1no, in una lotta tesa sempre a salvaguardare il valore e il primato della persona umana e quindi l'eticità del suo agire, anche in campo economico.

Conclusione

Sarebbe interessante, alla luce dei recenti rivolgimenti soc10politici e dell'attuale situazione economica mondiale, andare ai particolari per vedere come Sturzo ha veramente colto nel segno, nella sua analisi dei succitati sistemi, e come n1olte sue intuizioni in campo economico siano state sviluppate nei recenti docu1nenti pontifici riguardanti la dottrina sociale della Chiesa; ma sarebbe anche lungo. Dalle tematiche sin qui affrontate crediamo tuttavia che emerga abbastanza la validità e l'attualità di molte delle intuizioni sturziane, tematizzate a livello di scritti, in parte attuate da lui, in parte ancora in attesa di attuazione. I propri principi etico-economici Sturzo li applicò sia ai grandi sistemi, sia agli aspetti economici categoriali del vivere quotidiano. Diamo qui di seguito un elenco, naturalmente non esaustivo, dei problemi da lui affrontati e per la cui risoluzione ha fornito indicazioni preziose, in gran parte valide anche ai nostri giorni: Banche (e Casse Rurali), Burocrazia, Cooperazione, Cumulo delle cariche pubbliche, Debito pubblico, Disoccupazione, Economia llel jJubblico ÌlnJJiego, Entigrazione, Evasione fiscale, Finanza locale,

Finanza tributaria, Fisco, Gestioni fuori bilancio, Gioco d'azzardo (statale), Libera concorrenza, Libertà di commercio, "Manomorta" statale, M.t:.c., Mobilità del lavoro, Monopoli, Monti di pietà, Nominatività dei titoli azionari, Prestito (Credito), Privatizzazioni, Proble111a 1nonetario, Protezionis1no, Questione agraria, Risparniio,

Stipendi, Svalutazione, Tangenti, Tariffe doganali, Usura. Chi volesse approfondirle si renderebbe conto che veramente, «molte sue pagine hanno superato l'usura del tempo e restano come


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testimonianza di una fede politica e di una dottrina tra le più ricche e nutrile del nostro tempo» 101,

Dottrina e fede concretizzatesi in un impegno concreto. Di fatto, la battaglia per moralizzare la vita pubblica, particolarmente nel settore economico, dove più tangibilmente si scontrano gli interessi concreti fu la più aspra e quella che gli procurò il maggior cumulo di inimicizie e risentimenti, ma che appunto per questo, fu da lui sentita come la più impegnativa per la sua coscienza. Nel volere che i precetti della vita cristiana fossero sempre la guida e la norma dell'azione in ogni ramo della vita pubblica egli fu inflessibile, dandone continui esemp1. Questo costruttore dei nostri tempi (come lo definì Konrad Adcnauer) non si creava illusioni e non ne creava 10H; tuttavia, ritenendo che il mondo si evolve verso nuove forme di econotnia e nuove speranze di benessere, nelle quali deve inserirsi la verità umana e

cristiana della giustizia e dell'amore e l'appello dinamico della libertà, grande dono di Dio per il bene dell'individuo e della società, rarn1naricandosi che «nell'agitarsi di tendenze verso estremi non

consentibili, e nella difficile sistematica di idee e vocabolario riferentesi al mondo degli affari politici ed economici, pur cercando di conformarsi agli insegnamenti etici della tradizione cristiana, i cattolici non si trovano concordi, né orientati verso punti pratici di convergenza, né animati da reciproca fiducia» 109 si augurava che

questo potesse essere superato per arrivare a dare il proprio contributo per un sano orientamento delle attività economiche, capace di soddisfare le esigenze della libera iniziativa, della tecnicità dell'impresa, della equità nei rapporti umani tra i fattori della produzione e degli scambi.

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G. DE Ro.sA, luigi Sturzo nella Storia d'Italia, ciL., 44. «Nessuno pensa che il futuro ci serberà un paradiso terrestre e il regno della giustizia u1nana sulla terra. Ogni epoca ha avuto il suo bene e il suo n1ale»: L. STURZO, Indagine sociologica sulfe classi inedie, eit., 18. 9 J0 L. STURZO, Un 111essaggio di Sturzo al Congresso dell'U.C.!.D., 8 maggio 1959; ora in Tre 111ale bestie, cit., 20. 1118


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La validità del suo pensiero sociale ed economico consiste anche, qnindi, nella modernità della sintesi che egli offre per la comprensione dei complessi problemi della società industriale, da lui esaminati sotto la lente del realismo della storia umana, nella prospettiva di un processo lento, lungo e faticoso, che non offre scorciatoie e che ha sempre presente l'eventualità di un calo di razionalità relativa del sistema, sia esso sociale, politico o economico, quindi di una involuzione. «Non mancheranno - egli scriveva - crisi presso tutti gli stati moderni; non mancheranno contrasti di interesse e di classi; non finiranno le difficoltà della disoccupazione e della emigrazione; vi saranno sempre fannulloni e parassiti. Il valore di un popolo e di un governo sarà quello di provvedersi in tempo e di formare quelle zone di solidarietà umana e cristiana dove si sentirà meglio il calore di una moralità animata dalla carità»""· In questa ottica, Sturzo, oggi, non si sarebbe certo fatto incantare dalle statistiche che da più parti si esibiscono in fatto di progresso economico e saprebbe indicarci i vuoti morali che urgentemente vanno riempiti perché al di là degli incrementi di reddito, che pure registriamo, si verifichi anche quel miglioramento della qualità della vita, che non è stato certo proporzionale al pur rilevante intervento effettuato sulle strutture fisiche. Giovanni Paolo Il, nel discorso pronunciato all'Università di Palermo, ha voluto certamente segnalare a docenti e studenti proprio questo Luigi Sturzo, genuino e geniale interprete di valori morali e culturali, «infaticabile promotore del messaggio sociale cristiano e appassionato difensore delle libertà civili»'" che, nell'ambito della scienza econo1nica, ha affermato il principio che essa non può e non

I IO L. STURZO, citato da G. SACERDOTE, Il testa111e11to di Luigi Sturzo, econo111ia e 1nora!e in una politica cristiana, in Gaz.z.eua Econo111ica, 22 agosto 1959, 3. 111 Cfr. GIOVANNI PAOLO Il, Giovanni Paolo Il in Sicilia. Tutti i discorsi,

Mondo Cattolico, Carini 1982, 60.


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Alfio Spampinato

deve dissociarsi dall'eticità pur evitando scientemente ogni pericolo di comn1istione confessionalista 112 • A queste indicazioni si può e si deve fare riferimento per una azione pratica che dia buoni frutti e che onori Sturzo con 1 fatti più che con le parole, con le realizzazioni più che con le commemoraz1on1.

112 Sturzo ha idee ben chiare su ciò che bisogna intendere per ordine sociale, politico ed cconornico ispirato ai principi cristiani; nfferma, infatti che (([ ... ] "cristiano": tale aggettivo non si adatta all'econo1nia come scienza, perché non c'è di fatto un'economia cristiana o una politica cristiana, co1nc non c'è una storia cristiana o una sociologia cristiana. Il Cristiancsi1no è essenzialmente una religione, che come tale infonna l'etica e influisce nella vita storica, sociale, econoinica e culturale dei popoli, 111a non può assun1crc il carattere di scienza con1e tale. [ ... ] L'econornia dci paesi cristiani, storicainente guidata, è influenzata dal pensiero cristiano. Tale influenza non può essere che etica, cioè basantesi sui valori morali dell'uomo cristiano»: L. STURZO, Opera ()n1nia, serie III, voi. V, 254. E ancora: «E' da escludere che ci sia o ci sia stata attraverso i secoli una teoria politica cui possa darsi la qualifica di cattolica; così carne non ci sono vere teorie econo1nichc o teorie sociali che possano dirsi cattoliche. Il punto di incidenza nonnale dell'influsso del cristianesin10 nell'attività ten1poralc è di carattere etico o etico-religioso»: ID., Teorie politiche dei cattolici, cit., 223-224.


LA SVOLTA "RELIGIOSA" DELL'ULTIMO FICHTE

ENRICO PISCIONE'

Introduzione Nell'ultima produzione filosofica di Fichte (noi analizzeremo in questo lavoro soprattutto gli scritti degli anni cruciali della svolta, ossia il 1800 e il 1801)' si ha, in un certo senso, un 'estensione del problema di fondo del criticismo kantiano. Il nostro filosofo si chiede cioè se la "dottrina della scienza", oltre a provare la legittimità del sistema oggettivo dei concetti (operazione già presente in Kant con la "deduzione trascendentale"), sia capace di divenire un sapere sulla concreta esperienza umana. In altre parole, il problema è questo: può il rigore filosofico dare una risposta alla richiesta di felicità che v'è nell'uomo? La pura teoresi - si chiede ancora l'ultimo Fichte - è abilitata, per dirla con le sue stesse parole, a rispondere al "bisogno della salvezza" che anima la più autentica ricerca speculativa?

~

Docente di Filosofia nei Licei. La nostra attenzione sarà rivolta soprattutto alle due opere fichtiane che segnano la cosiddetta svolta religiosa dell'autore e cioè alla Besti1111111111g des Me11sche11 dcl 1800 e alla Wissenschr(ftslehre dcl 1801. Avvcrtian10 che per cntrainbi gli scritti utilizzere1no le seguenti traduzioni italiane: J.F. FICHTE, La 111issione del/'uo1110, a cura di R. Cantoni, Laterza, Bari 1970. J.G. FICHTE, La seconda dottrina della scienza (1801), con testo a fronte, a cura di A. Tilgher, Ccdam, Padova 1939. Per citare, sia nel testo che nelle note, queste opere ci serviremo d'ora in avanti delle sigle MU e DS (1801). 1


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Sono domande queste, quale che sia la risposta, di un grande interesse teoretico e storiografico. Noi cercheremo, con una preoccupazione che è innanzitutto storiografica, di seguire l'arduo cammino del nostro Autore su una tale decisiva problematica. Il taglio dato alla nostra ricerca non può non affrontare la vexata quaestio delle cosiddette due fasi della filosofia fichtiana, ma per il momento preferiamo non pronunciarci sul problema. Vorremmo quasi che un nostro giudizio su questo punto nodale della storiografia fichtiana nascesse dal puntuale esame dei testi, piuttosto che da un'aprioristica presa di posizione.

I. La perdita del senso: il dubbio

La Missione dell'uomo' segna l'inizio della fase religiosa del pensiero fichtiano. Operetta popolare, non «destinata ai filosofi di professione», ma d'innegabile fascino teoretico, si divide in tre parti: il "dubbio", il "sapere" e la "fede" quasi a testimoniare, con1e ben scrive Remo Cantoni, «il ritmo fenomenologico che la coscienza percorre» 3

.

Più che una compiuta sistemazione dottrinale, la MU è quasi un diario filosofico. Non può non colpire il coinvolgimento nella ricerca dell'autore che, esprimendosi in prima persona, si decide, angosciato com'è dal dubbio sul determinismo, ad affrontare l'indagine filosofica e i rischi che essa comporta. «Voglio mettermi all'opera con severità e scrupolo. Voglio confessare a me stesso ogni cosa sinceramente. Quello che io trovo con verità, sia quel che sia, deve essere per me il benvenuto. Voglio sapere»' .

2 «L'elaborazione della n1ia opera attuale - scriveva Fichte alla 1noglie, 1ncntrc ern intento alla con1posizione della MU - mi ha permesso cli gettare sulla religione uno sguardo più profondo di quanto non sia 1nai avvenuto pri1na in me». (Riportato in MU, cit., 7-8). J lbid., 8.

4

L.c.


La svolta "religiosa" dell'ultimo Fichte ----

115

Sono questi modi espressivi ricorrenti nell'apertura della MU, anzi si potrebbe dire che è questo il programma teoretico-esistenziale che l'inquieto investigatore, protagonista dell'opera, si propone con l'ardore di un neofita. La coscienza del filosofo, in un primo momento, si appaga nella scoperta del determinismo, cioè nel cogliersi come un anello della «catena della rigida necessità naturale»'. Una tale scoperta dà una profonda sicurezza, sicurezza dovuta al fatto che si sono lasciati definitivamente alle spalle il dubbio, l'incertezza, l'imprevisto e si possiede, invece, una conoscenza chiara e logicamente fon-

data. «Che gran soddisfazione procura al mio intelletto questo edificio dottrinario! Che ordine, che rigida connessione, che agevole colpo d'occhio ne conseguono nella totalità delle mie conoscenze!»'. Queste parole che si lascia sfuggire l'inorgoglito filosofo, sicuro di sé e dei propri poteri, ci testimoniano il livello di certezza teoretica che viene attinto da un sapere onnicomprensivo. Ma la certezza «che acco1npa-

gna il sapere deterministico - è stato giustamente osservato - non è necessaria1nente connessa ad un senso di serenità» 7. Anche il nostro

indagatore, infatti, non è sereno, non rimane appagato dei risultati raggiunti, anzi è dilaniato dal contrasto tra il cuore e l'intelletto. Non per nulla, quando intravede «con1e doveva finire la ricerca» 8, è assalito da «tristezza, orrore, paura» 9 .

L'angoscioso contrasto che il filosofo vive dentro di sé si puntualizza in questa domanda: «perché il mio cuore deve piangere e venir lacerato da ciò che placa così perfettamente la mia ragione?»'"· Il cuore umano si ribella contro un sistema «inesauribile nello spiegare» 11 , ma che tuttavia non fa presa sulla realtà, in quanto pretende di

possedere teoreticamente la vita e, proprio per questo, la svuota della sua infinita ricchezza e, in ultima analisi, non la ama. La vita invece, osserva Fichte con accenti da vitalista ro1nantico, si fa conoscere sol-

s lbid., 31. 6

Ibid., 37.

7 A. RlGOBELLO, 8

MU, ciL., 43. 9 L.c. IO fbid., 44. ll lbid., 51.

Str111t11ra e significato, La Garangola, Padova 1971, 30.


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tanto da chi la ama. «Nell'amore soltanto sta la vita, senza di esso tutto è morte e distruzione» 12 •

2. Il contrasto fra intelletto e cuore: il sapere La MU ha molto di platonico sia nel suo impianto strntturale, sia, forse, anche nei contenuti, ma è soprattutto platonica nello spirito. Proseguendo nell'analisi puntuale dell'opera, ci tocca di esaminare ora il secondo libro, dedicato al "sapere". Invano noi cercheremo in queste pagine, come farà più tardi Fichte nelle due esposizioni della DS del 180 I e del 1804, una compiuta definizione del sapere; su di esso si può dire, col classico procedimento per viam negationis, ciò che non è. Ma seguiamo l'esposizione del libro. L'inquieto investigatore, sempre più dilacerato dal contrasto fra "inte1letto" e "cuore", fra esigenze del sisten1a e bisogno di a1narc la vita, cerca «ansiosamente uno sprazzo di luce» 13 , ma con le sue sole forze non riesce a venire a capo della situazione in cui versa. Soltanto una "meravigliosa figura", uno spirito riesce, a poco a poco, a liberare dal dubbio il nostro filosofo. Questo spirito non ha nulla di portentoso, né svela «alcuna nuova rivelazione» 14 , ma si propone soltanto di insegnare al Nostro cosa sia veramente la saggezza. «Abbi il coraggio di diventare veramente saggio - gli suggerisce con persuasiva autorevolezza. - Io non ti porto alcuna nuova rivelazione. Ciò che io ti insegno lo sai da gran tempo e devi soltanto ricordartene ora. Non ti posso ingannare; poiché tu stesso mi darai ragione in tutto, e se tu fossi deluso, lo saresti per colpa tua. Fatti coraggio; ascoltami, e rispondi alle mie domande» 15 • La "meravigliosa figura" che non sapremo ben dire che cosa rappresenti, né del resto lo stesso Fichte la caratterizza ulteriormente, ha senza dubbio qualcosa di socratico, sia per la funzione che si as-

12

L1

Ibid., 50. lbid., 33.

14 L.c. is L.c.


_ _ _L_c_1 svolta

"religiosa" dell'ultimo Fichte

117

sume: insegnare ciò che si conosce già «da gran tempo» e che si deve «soltanto ricordare», sia per il metodo dialogico che segue nella ricerca della verità, «ascoltami, e rispondi alle mie domande», sia infine perché non è preoccupata soltanto di demolire le false presunzioni del sapere, ma anche di restaurare, a poco a poco, l'organo adeguato alla vera presa sul reale, ossia la fede. Non staremo qui a seguire tutta la ricchezza di queste pagine, ci preme piuttosto capire a quale conclusione esse pervengano. La «meravigliosa figura», nell'ultima battuta del dialogo, chiarisce al suo interlocutore qual era il compito che s'era proposto: «io ti volli liberare dal tuo falso sapere; non pretendevo affatto di insegnarti il vero» 16 ,

Il compito di questa figura socratica, prima che maieutico, è stato ironico, ossia liberare l'interlocutore dal falso sapere. Sarà poi la fede, cui si aderisce per un atto spontaneo della volontà, a dare la certezza della verità. Bisognava innanzitutto cogliere i limiti del sapere. «Un sistema del sapere è necessaria1nente un sisten1a di pure immagini senza alcuna realtà, significato o scopo» 17 • Il limite più grande del sapere, di questo particolare sapere di cui si discute nella MU, è il suo astratto formalismo. «li sapere non è la realtà, proprio perché è sapere [ ... ]. Esso non può dare la verità; poiché è in sé assoluta1nente vuoto» 18 . La «meravigliosa figura» ha raggiunto il suo scopo, ha condotto socraticamente il suo interlocutore alle soglie della fede, l'ha messo nelle condizioni di giungere «alla più perfetta quiete» 19 . Ora lo può anche lasciare solo con se stesso.

16 11 18 19

/bid., 103. L.c. Ibid., 104. L.c.


I I8

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3. L'esigenza del cuore wnano: la fede

La parte più originale della MU è indubbiamente la terza, dedicata alla "fede". Va osservato innanzitutto che la problematica del Glaube è stata fortemente presente nell'ambiente culturale tedesco fra la fine del Settecento e gli inizi del nuovo secolo. Basterebbe qui ricordare i nomi di Lessing, Jacobi, Kant e del giovane Hegel, per convincersi della centralità di questo terna nel dibattito filosofico tedesco a cavallo dei due secoli. Ciò che accomuna, pur nella varietà delle posizioni, questi pensatori è l'avere contribuito, in vario modo, a quel processo di irnrnanentizzazione della fede, che è proprio della filosofia moderna, quel processo che si apre col Reiner Vernuftglaube kantiano e si conclude, ai nostri giorni, col Philosophische Glaube di Jaspers. 11 Glaube, tematizzato da Fichte nella MU, oscilla fra la posizione di Jacobi e quella di Kant. Ma, seguendo da vicino il testo, ci accorgiamo innanzitutto che il nostro filosofo, lasciato a se stesso, avverte ormai l'esigenza di «qualcosa che sia al di là della mera rappresentazione, che esista, sia esistito ed esisterà, anche se non ci fosse la

rappresentazione» 21 '. Il Glaube fichtiano appunto perché interessato innanzitutto all'esistenza, fa tutt'uno con una sorta di indignatio eticospirituale contro un sistema al quale I' «intelletto non può muovere la più piccola obiezione» 21 • La fede è dunque un'esigenza vitale; senza di essa la vita non avrebbe significato e precipiterebbe nel nulla. Ma più profondamente il Glaube è l'organo della conoscenza del reale che smaschera la falsa presunzione del sapere. «Nessun sapere può fondare e provare se stesso, ogni sapere presuppone qualcosa di ancora più elevato come sua causa, e questo risalire non ha terrnine. E' la fede» 22 . La validità ultima del sapere «non è affatto un sapere, ma una decisione della volontà» 21 • Qui il filosofo trascendentale, l'autore della

20 21

22 2-'

Ibid., 105. L.c. lbid., 111. l.c.


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119

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DS, s1 confessa, Fichte dichiara apertamente "l'orizzonte ermeneutico" nuovo dentro il quale si n1uove. E da notare ancora come il cambiamento di prospettiva con cui si guarda l'uomo, non più il vuoto "sapere", ma la "fede", renda il filosofo, facendogli superare la tentazione del dogmatismo, veramente "critico" 24 • E il primo segno di una filosofia non "dogmatica" è appunto quello di dichiarare i limiti della stessa criticità. Potremmo, forse, parlare, a proposito della MU, di un primato del rigore sulla critica25 . Il Glaube fichtiano non è, tuttavia, la fede dei mistici, né propriamente il Gefiihl di Jacobi 26 , benché in un certo senso vi si avvicini, n1a rimane pur sempre un organo conoscitivo, anche se si tratta di una conoscenza non intellettualistica e, diremmo, situata nel contesto storicoesistenziale. «li nostro pensiero - afferma Fichte - tutto quanto è fondato nel nostro stesso istinto; e quali sono le inclinazioni del singolo, tale è anche la sua conoscenza» 27 • Un pensiero così concepito non può essere più «abilità di aln1anaccare e sottilizzare nel vuoto» 28 , ma è innanzitutto disponìbilità ad ascoltare una voce, «più intima a me che a me stesso» potremmo dire con le parole di Agostino, la quale indica all'uomo «lo scopo totale della sua esistenza» 29 e libera dal «giuoco vuoto senza verità e significato» 30 • L'ubbidire a questa voce che comanda all'uomo di agire, è fonte di certezza. Abbiamo così la nuova formula che, pur ribadendo il principio di un primato della ragion pratica, rovescia, sotto la prospettiva della garanzia di certezza, la posizione della DS e del metodo genetico-deduttivo, tipico dell'idealismo trascendentale del primo Fichte. «Noi non operiamo 1

24

A proposito di una filosofia non "dog1natica", ricordia1no la contrapposizione fra "dognullis1no" ed "idealismo'', sottolineata da Fichte nella Prùna Introduzione alla f)offrina della Scienza del 1797. 25 Su questa tematica cfr. A. RIGOOELLO, op. cii., 22-23. 26 E' opportuno ricordare qui con1c tutla l'opera di Jacobi nasca, in un certo senso, co1ne reazione pole1nica alla filosofia spinoziana, negatrice delle esigenze dcl "cuore". 27 MU, cit., 113. 28 Ibid., 112. 29 Ibid., 116. Jo

L.c.


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perché conosciamo, 1na noi conoscia1no perché siamo destinati ad operare: la ragione pratica è la radice di ogni facoltà razionale» 31 •

4. La fede e l'utopismo politico

Ci chiediamo, a questo punto, dopo aver chiarito la struttura formale del Glaube fichtiano, quale sia il contenuto oggettivo di questa fede. Il credere si preciserà come affidarsi ad una volontà infinita, ovvero come una fede in «un altro mondo, il quale è certamente un mondo [ ... ] diverso e migliore di quello che esiste» 32 , il mondo della perfezione, il mondo intellegibile di puri spiriti, il "regno degli spiriti" (das Reich der Geister). Fichte, nemmeno nella chiusa stupendamente lirica della MU, ci descrive in maniera approfondita il Reich der Geister, ma è piuttosto preoccupato di dimostrare da quali esigenze storico-esistenziali nasca questa "volontà di credere". Le pagine più affascinanti del terzo libro dell'opera che stiamo esaminando non sono, a parere nostro, tanto quelle in cui il filosofo fa un'enfatica descrizione della «pienezza della vita, dell'ordine e della prosperità»" di questa sorta di Eden senza Dio, ma quelle in cui si sofferma ad indagare la connessione fra mondo sensibile e mondo intellegibile. Su queste pagine anche noi riteniamo opportuno fissare la nostra attenzione. La fede nel Reich der Geister nasce anche dall'osservazione del inondo «com 1è» 3 4, a prescindere dal comando della voce interiore. Se il filosofo si limitasse a gettare uno sguardo ai «rapporti attuali degli uomini» 35 , vi troverebbe soltanto <da debolezza della loro forza e la violenza delle loro brame e passioni» 36 . Fichte, forse anche per «il riflesso dell'amarezza derivatagli dalle avversità delle lotte della pale-

1 -' 32

L.c. lbid., 123. '' !bid., 182. 14 - L.c. 35 lbid., 124. 36 L.c.


La svolta "religiosa" dell'ultimo Fichte

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mica per l'ateismo» 37 , fa una disamina piuttosto pessimistica della realtà del mondo. La vita presente gli appare come «Un circolo incessante che ritorna su se stesso»:\\ co1ne una realtà in cui «il bene è sempre più debole, perché è semplice e può essere amato solo per se stesso; il male attira ogni singolo con le promesse più seducenti»". Dunque è la constatazione amara della realtà di disunione che domina il mondo a far scattare in Fichte la costruzione di un mondo utopico perfetto. Il Nostro, che pur aveva conosciuto di «che lacrime grondi e di che sangue» la concreta realtà storica, (basterebbe qui ricordare la sua adesione entusiastica alla rivoluzione francese), diventa profeta, rifacendosi ad alcune tematiche che sono proprie del filone utopico del pensiero occidentale, di uno Stato ideale in cui «verrà completamente escluso in generale ogni tentativo di fare del male» 40 e in cui «le 1nire egoiste non sono più in grado di dividere gli uomini» 41 • Addirittura il nostro filosofo, alla maniera del Platone della Repubblica, proprio perché come Platone della Repubblica dispera della realtà del mondo così con1'è, si dà ad elaborare una "costituzione civile" che però non ha trovato fino a quel momento attuata «in nessun luogo» 42 . La fede nel «Reich der Geister» 41 non riesce tuttavia minimamente a trasformare questo mondo. Il mondo sensibile ha le sue leggi, la storia ha una sua logica immanente, la logica ferrea del meccanicismo, di un "gigantesco ingranaggio" rispetto al quale la fede rimane del tutto inoperosa. «Nel mondo sensibile - scrive Fichte - non ha mai nessuna importanza co1ne, con quali intenzioni e sentin1enti un'azione viene intrapresa, ma soltanto, quale è questa azione» 44 . In altre parole, dal punto di vista della MU non è più rilevante la portata assiologica

37 38

A.

MASULLO, La con1unità co111e fiJndarnento, LSE, Napoli 1965, 198. MU, cit., 134.

"' Ibid., 128. 40 41

L.c.

Ibid., 135. l.c. 'Lì Su questo teina ci permettiamo ùi rinviare al nostro saggio E. PISCIONE, Il "regno degli spiriti" nei Sogni di 1111 visionario di Kant e nella Missione def!'uo1110 di Fichte, in AA.Yv., Ricerche sul "regno dei fini" Kantiano, Bulzoni, Roma 1974, 409420. ~' 1 MU, ciL., 141. 42


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dell'agire umano, ma solamente la sua efficacia nella realtà corpulenta della storia effettiva. Fichte ha rotto il nesso, ancora saldo nel 1798, fra purezza dell'intenzione e concreto risultato dell'agire. Giustamente osserva Masullo che «mentre la intenzione risulta così alienata in una mitica purezza, il movimento si aliena nell'insignificanza dell'intenzionalità e del meccanismo» 45 . L'uomo presentatoci dalla MU è dilacerato fra due mondi opposti fra di loro «uno visibile, nel quale decide l'azione, uno invisibile e assolutamente incomprensibile, nel quale decide la volontà»'". L'inquieto ricercatore, protagonista di questa affascinante opera fichtiana, che ha ormai raggiunto la certezza di essere «come un singolo suono nel canto dell'armonia degli spiriti» 47 , svaluta il mondo nella sua densa concretezza e lo considera soltanto come una «mera apparizione» 48 . «Il senso ultimo della Missione dell'uomo è uno straordinario paradosso: concepita ormai la realizzazione della comunità umana come una concreta possibilità storica, anzi come un evento futuro sì ma immancabile del mondo sensibile, la realizzazione morale diventa, al tempo stesso, impossibile storicamente e tuttavia sempre già in atto» 49 . Un contrasto non in via di diritto, ma di fatto, fra il mondo sensibile e il mondo ideale spacca in due l'uomo concreto. Il Glaube in un mondo spirituale perfetto non riesce minimamente a cambiare questo mondo. Nonostante la mistica fichtiana dell'agire, la sua "fede" è condannata a rimanere inoperante.

5. L'apparato categoriale della "Dottrina della scienza" del 1801

Se la MV del 1800 è incentrata tutta sul problema dei limiti del Wissen e sulla chiarificazione del Glaube come organo conoscitivo, la DS (l 80 I) è, invece, tutta protesa alla individuazione del valore e dei compiti del sapere. La stessa sottile distinzione fra assoluto (das

45 46 47 48 49

A. MASULLO, op. cit., 202. MU, cit., 142.

lbid., 161. Le. A. MASULLO, op. cit., 201.


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Absolute) e sapere assoluto (das abosolute Wissen) che costituisce, in un certo senso, il leitmotiv di questa seconda esposizione de La seconda Dottrina della scienza, si può considerare la chiave di lettura dell'intera opera. II sapere è definito da Fichte come «il comprendere nella sua totalità assolutamente con un colpo d'occhio (mit einem Blicke) un certo rappresentare»S<'. L'oggetto della DS (1801 ), che già di per sé ha come contenuto il sapere, è proprio questo Absolute Wissen. La dottrina della scienza va considerata, pertanto come «eine Theorie des Wissens», che indaga il sapere stesso. La DS (1801) non costituisce soltanto una conquista teoretica, ma è vita (motivo questo che ricorrerà e sarà tematizzato ampiamente nella esposizione del 1804)", anzi è l'espressione più alta della vita e, proprio per questo, esige da parte dell'uomo una «trasformazione interiore, un im1nedesimarsi

nell'unico indivisibile sguardo» 52 , nello stato di luce, proprio della scienza. Il filosofo (Wissenschaftslehrer), per sorprendere questa dialettica interna al sapere, dialettica che va «dallo zero della chiarezza sino alla chiarezza assoluta» 5\ deve concepirsi co1ne coincidente con il sapere che va divenendo assoluto. La DS (1801), pertanto, «non la si ha, ma la si è» 54 e nessuno può dire di possederla finché «egli stesso non si sia trasformato in essa» 55 . Ma il sapere assoluto non è l'assoluto; è questa una distinzione di non facile intelligenza, ma a cui Fichte dà una rilevanza particolare. Il sapere assoluto vuole essere, per le cose che si andranno dicendo più avanti, pur nella sua assolutezza, rispet-

50 DS (1801), cit., 7. 51 A proposito della Dottrina della scienza dcl 1804 si può proficumnente consultare il libro di M. JVALDO, Fichte. L'assoluto e !'i111111agine, Edizione Studiutn, Roma 1983. Ivaldo si rifà alla recente, suggestiva interpretazione di Fichte offerta da Lauth. Interpretazione con la quale anche noi intendian10 confrontarci in un prossi1no lavoro che, continuando il presente saggio, vuole affrontare fra l'altro, proprio la Dottrù1a della scienza del 1804. 52 DS (1801), ciL., I I. 51 · lbid., 15. 54 lbid., 11.

ss L.c.


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toso della finitudine propria della condizione umana. L'assoluto, d'altra parte, con la sua inconcepibilità garantisce all'essere finito un approdo oggettivo, evitandogli così la dispersione nella molteplicità. E' questa una posizione limite e molto rischiosa. Essa vorrebbe conciliare due realtà antitetiche: da un lato, la finitudine dell'uomo, dall'altro, l'assolutezza a cui questa finitudine aspira.

6. Sapere assoluto e assoluto

La chiarificazione dei concetti di assoluto e di sapere assoluto affatica Fichte per più di un paragrafo della prima parte dell'opera che stiamo esaminando. Seguendolo da vicino, ci accorgiamo che Fichte esordisce sottolineando appunto che «il semplice concetto del sapere assoluto rende chiaro che questo non è I'assoJuto» 56 . Nel connotare l'assoluto, l'autore ha presente la n1assima spinoziana 0111nis deter111inatio est negatio: una qualsivoglia determinazione, condizionandolo, farebbe svanire l'assoluto. «L'assoluto - egli scrive infatti - non è né sapere, né essere, né identità, né indifferenza di entrambi, ma è assolutamente l'assoluto, puramente e semplicemente» 57 • Si potrebbe subito osservare che questa definizione dell'assoluto è tautologica. Ma dietro l'indubbia tautologia si nasconde, a parer nostro, la vera svolta metafisico-religiosa del pensiero fichtiano, svolta di sapore decisamente neo-platonico. «Ci trovia1no qui in un ordine di idee - nota acutamente Cassirer - che ha le sue più strette analogie storiche non più con Kant o con Spinoza, ma con Platone e il neoplatonismo. Come per Platone il pensiero nella sua ascesa continua perviene in ultimo all'incondizionato, all'anupotheton di una suprema idea unitaria; come al di là "dell'essere" viene scorta come ultima norma l'idea del bene, così avviene anche qui» 58 . Fichte fa tuttavia uno sforzo per non cadere nell'i-

56

s1

!bid., 15. L.c.

58 E. 1968, 244.

CASSIRER,

Storia della filosofia n1oderna, trad. it., III, Mondadori, Milano


La svolta "religiosa" dell'ultimo Fichte___

125

neffabile, per pensare o attingere, in un certo qual modo, l'assoluto che si può pensare soltanto tenendo presente due note. Esso è nello stesso te1npo «esistenza assoluta, essere quiescente, e divenire assoluto o 1ibertà» 59 .

Ci siamo soffermati a delucidare il concetto di assoluto proprio per afferrare meglio la nozione di sapere assoluto. Quest'ultimo è «l'assoluto compenetrarsi e fondersi» 60 di essere e libertà. Qualche pagina più avanti il Wissenschaftslehrer, con un certo orgoglio, potrà affermare di aver trovato il punto focale vero e proprio, il nodo teoretico del sapere assoluto. La consistenza di esso è paradossale; l'uhi consistam del sapere assoluto non è infatti «nel comprendersi come sapere e nen11neno nell'annientarsi neltiassoluto essere, ma assolutamente fra i due» 61 • La natura del sapere assoluto consiste in un perpetuo "oscillare" (Schweben) tra essere e non essere. Il sapere, a cui Fichte conferirà il carattere di creatore della realtà, si caratterizzerà, dunque, per il suo perpetuo oscillare fra l'unità e la molteplicità. Si precisa così la nota caratterizzante della dottrina della scienza in rapporto a unitismo (en kai pan) e dualismo. La scoperta fichtiana è così esprimibile: la scienza «è unitismo nel riguardo ideale», perché sa che «ad ogni sapere giace al fondamento l'eterno Uno», è dualismo «in riguardo al reale, in rapporto al sapere come realmente posto»6 2.

7. Sapere assoluto e libertà Ci chiediamo adesso quale sia la genesi del sapere assoluto. La risposta di Fichte è quanto mai chiara: il sapere assoluto «è per sé un assoluto auto-generarsi, assolutamente dal nulla» 63 . Il sapere diventa quindi, detto in altri termini, il lato della contingenza dell'assoluto. «Se v'è un sapere, questo è necessariamente libero [ ... ].Che in generale vi

59

DS (1801), cit., 2.

60

lbid., 23. lbid., 69.

61 62 63

Ibid., 123. lbid., 51.


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sia un sapere, dipende solo dall'assoluta libertà e potrebbe quindi benissi1no non essercene alcuno» 64 .

Questo connotare il sapere assoluto come contingenza, «necessariamente fondata sulla libertà» 65 , ha una sua chiara finalità metafisica. Fichte che rimane pur sempre fedele alla finitudine dell'uomo, deve potere giustificare il finito ovvero, per dirla in termini più tecnici, il «passaggio» (der Ubergangspunkt) dall'assoluto al contingente. Il Nostro si impegna a giustificare questo passaggio e a non cadere in un tipo di soluzione spinoziana, dove fra sostanza e acci-

dente non c'è un termine medio, proprio perché non c'è distinzione. La risposta a questo arduo quesito metafisico sta per Fichte nella nozione del sapere assoluto inteso come libertà. Opportunamente è stato osservato da Pasquale Salvucci che nella DS (1801) <da finitezza non è stata distrutta come in Spinoza, nella cui filosofia il finito non ha realtà alcuna, perché, assunto come modificazione dell'assoluto, viene vanificato come finito» 66 • Ci troviamo d'accordo con lo studioso citato nel sostenere che la «finitezza non è distrutta» ne1l ulti1no J•ichte, ma non possian10 non chiederci quale valore essa abbia. La nostra domanda esplicitata in termini più chiari è la seguente: da questo quadro metafisico, così coerente nelle sue linee definitorie, quale antropologia 67 , se di antropologia si può parlare, discende? Proprio su questo punto, che forse è il vero nucleo teoretico della speculazione del secondo Fichte, si addensano le difficoltà del sistema e le obiezioni critiche. In fondo a noi pare che, con l'impianto teoretico della DS ( 180 l) e poi con quello della DS (1804), Fichte abbia fatto un tenta1

tivo titanico per rendere inconsistente la verità cristiana della crea-

zione. Quando il nostro pensatore afferma che il sapere è «assolutamente quantitabilità» 68 e che esso dà origine al mondo, ha

64 65

!bid., 71. lbid., 73.

66

P. SALVUCCI, Dialettica e i111111aginazione in Fichte, Argalia, Urbino 1963,

200. 67 J. DIBIER, La question de f'hon1111e et le fo11de111e11t de la philosophie, Aubicr, Paris 1964, 370.

'"DS (1801), cit., 106.


La svolta "religiosa" dell'ultimo Fichte ---

127

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voluto ancora una volta rimanere fedele alle premesse dell'idealismo trascendentale, scartando l'unica possibile soluzione al problema del passaggio dall'assoluto al contingente, ossia il mistero della creazione da parte di un Dio amoroso, che è sì libertà, ma non arbitrarietà. Dalle premesse fichtiane su riportate crediamo che non discenda alcuna antropologia o, se di antropologia si vuole parlare, da esse deriva una concezione che nega all'uomo ogni individualità. La finitezza umana è teoreticamente salvata, ma essa non ha alcun valore ontologico-esistenziale, perché, come scrive suggestivamente lo stesso Fichte che inclina in questo ultimo periodo sempre più al pessimismo, l'essere finito è "ombra di ombra". Nell'opera Iniziazione alla vita beata del 1806 che è la compiuta Religionslehre fichtiana, questo processo di svalutazione del finito viene condotto alle estreme, esasperate conseguenze. Infatti Dio ed

uomo

verranno

concep1t1

in

inaniera

antagonistica:

la

rivendicazione dello statuto ontologico dell'Uno deve annullare quello dell'altro.

8. Il mondo come "puro nulla"

La seconda parte della DS ( 1801) ruota tutta attorno al concetto del sapere con1e «detenninazione del quantificare» 69 , quel quantificare

che dà origine al «regno del mutevole»"" Il mondo sensibile è identificato - tout court - con la «sfera della quantitabilità» 71 • Fichte, nelle pagine cui ora faremo un sommario riferimento, puntualizza la sua

proposta metafisica che dovrebbe spiegare la genesi del mondo. Innanzitutto egli scava, polemizzando con qualsiasi forma di metafisica creazionistica considerata semplicisticamente un "se1ni

pensiero" non degno nemmeno della più marginale considerazione teoretica, un abisso sempre più profondo fra "il regno dcl mutevole" e "l'imperituro". «L'imperituro - egli scrive - non appare nel

69 10

Ibid., 107. L.c.

71

L.c.


128

Enrico Piscione

perituro, col che esso cesserebbe precisamente di essere l'imperituro; ma l'imperituro resta per l'appunto chiuso per sé, ed in sé, uguale a sé e solo a sé» 72 . Fra l eterno e il finito non c'è comunicazione alcuna, proprio perché Fichte rigetta dogmaticamente l'unico nesso possibile fra queste due realtà, ossia quello della creaturalità71 • Riesce adesso più chiaro il senso della seguente affermazione: «il mondo non è nen1meno per avventura uno specchio, una espressione, una rivelazione, un sìn1bolo - o co1ne anche di tempo in tempo si è espresso questo semipensiero - dell'eterno, poiché l'eterno non si può specchiare in raggi spezzati: ma questo mondo è immagine ed espressione della libertà formale» 74 • Il mondo come «immagine ed espressione della libertà formale» non ha, né può avere, alcuna consistenza ontologica: esso è infatti il puro nulla. Cediamo ancora la parola a Fichte che si esprime, a tal proposito, in maniera chiarissima: «Die Welt des Veriinderlichen ist durchaus nicht: sie ist das reine Ni1

chts»75.

Come interpretare questa affermazione? Si potrebbe forse accettare l'ipotesi di un "acosmismo" in Fichte, come taluno ha fatto? A noi non sembra che tale sia la posizione del Nostro: egli non nega, come del resto tutto l'idealismo trascendentale, la realtà empirica del mondo, ma definisce tale realtà come gratuita contingenza, senza rapporto alcuno con l'assoluto. Pare a noi che qui il Wissenchaftslehrer ripeta assai da vicino la posizione di Plotino sulla materia. Alla maniera di Plotino che aveva svalutato la materia considerandola come non-essere, limite estremo della aporroia divina, allo stesso modo per Fichte il "mondo sensibile" (Sinnemvelt) è "un puro nulla", se confrontato con l'eterna luce dell'assoluto. Più che di acosmismo, dunque, preferiremmo parlare di inconsistenza ontologica del mondo, che pure rimane un dato di fatto e di un suo, se ci si passa l'espressione, nullisn10 1netafisico. L "annullan1ento del inondo", 1

12

L.c.

7J Su questa tcn1atica si cfr. E. CASSIRER, op. ca., 246. 74

75

DS (1801), cit., 119. !bid., 76.


La svolta "religiosa" dell'ultimo Fichte

129

conclusione inevitabile delle premesse metafisiche della DS (1801), è senz'altro un punctum dolens dell'ultima speculazione fichtiana, una incoerenza imperdonabile in un idealista che si era proposto il compito di delucidare la genesi trascendentale del mondo e dei valori. Tornando adesso all'analisi dell'opera oggetto del nostro studio, ci accorgiamo che dal paragrafo 35 al paragrafo 42 Fichte si sofferma, in pagine teoreticamente molto dense, a dedurre, una dopo l'altra, tutte le determinazioni del mondo a partire dal sapere assoluto, dalla sua divisibilità infinita ed unità. In questa sede non interessa tanto puntare l'attenzione sulle determinazioni fondamentali del mondo sensibile 76 , quanto sottolineare come sia sempre il sapere a generare il mondo. E' questo un motivo ricorrente della, in fondo, lineare costruzione metafisica dell'ultimo Fichte. Anche nella Iniziazione alla vita beata leggiamo che il carattere fondamentale del mondo è quello di essere prodotto dal concetto. Spiegata la genesi del mondo, Fichte intende evitare assolntamente di costruire, alla maniera di Schelling, una filosofia della natura. Ciò sarà possibile solo se si aggiungerà all'indagine già condotta «una ricerca sopra il fondamento trascendentale del mondo sensibile»77. I risultati di questa ricerca - quanto mai interessante - sono una riconferma del principio fondamentale dell'idealismo fichtiano: l'io può percepire la natura in quanto riconquista se stesso come libertà. «L'io - scrive Fichte - non giunge alla percezione della natura n1orta, involontaria[ ... L senza trovare se slesso come agente»n.

76

Le detenninazioni fondamentali dcl inondo sensibile sono: spazio, tc1npo,

rnateria, senti1nento, sforzo del 1novimento e della volontà. 77

DS (1081), cit., 181.

18

Jbid., 191.


130

Enrico Piscione

9. La Missione dell'uomo e la Dottrina della scienza del 1801: opposizioni e convergenze

Compiuta l'analisi della DS (1801), intendiamo seguire come conclusione provvisoria della nostra ricerca due piste d'indagine. Cercheremo di dare una qualche risposta alla difficile questione storiografica della compresenza di due filosofie in Fichte e poi di operare un confronto fra la MU e la DS (1801). Per rispondere alla prima questione, prendiamo le mosse da un acuto giudizio di Cassirer. Scrive l'illustre studioso che il notevole cambiamento della speculazione fichtiana è piuttosto «uno spostamento di accenno che un mutamento nella intenzione fondamentale, piuttosto un variare della soggettiva e personale disposizione affettiva che del contenuto obiettivo» 79 . Un tale giudizio andrebbe, a parer nostro, un po' sfumalo. E' indubbio che Fichte rimanga sempre un idealista trascendentale, che non c'è in lui «Un 1nutamento nell'intenzione fondamentale», ma non ci sentire1n1no di sottoscrivere l'affermazione che non vi sia un ca1nbia1nento del «contenuto obiettivo» del suo

pensiero. Basterebbe qui ricordare il differente valore che il primo e il secondo Fichte attribuiscono al mondo per comprendere come effettivamente ci sia stata una svolta, impregnata di religiosità neoplatonica, nella teoresi del Nostro. Sostanzialmente per il primo Fichte il mondo è una realtà positiva, in cui si svolge la lotta dramn1atica, ma non tragica, perché l'io, nella sua infinita libertà, si assicuri il trionfo su tutto ciò che lo limita. Nel secondo Fichte, viceversa, il mondo non ha alcuna consistenza 1netafisica e quindi nem1neno una rilevanza assiolo-

gica, come invece emerge dalla MU. Passando ora a sviluppare la seconda pista di indagine, va detto che il confronto fra la MU e la DS ( 1801) deve servirci a capire se la tematica e le esigenze nuove espresse dall'opera che segna la svolta religiosa del Nostro, appunto La missione dell'uomo, abbiano avuto o meno un approfondimento nella successiva produzione fichtiana. Notiaino innanzitutto come il tema del e laube così fondamentale nella

79

E. CASSJRER, op. cit., 265.


La svolta "religiosa" dell'ultimo Fichte

131

MU, rimanga un motivo isolato che non troverà più sviluppo nemmeno nella Iniziazione alla vita beata. Fichte, dopo la svolta costituita dall'Atheismustreit, è tutto preso dalla esigenza sistematica di riesporre il proprio pensiero. Il suo nuovo problema, anche per lo stimolo dell'incessante polemica con Schelling, sarà quello di indagare, in termini rigorosamente teoretici, il rapporto fra "sapere" e "assoluto''. La DS (180 l) non costituisce tuttavia, a parer nostro, un tradimento totale delle esigenze espresse dalla MU. Fra le due opere infatti possiamo cogliere una certa analogia di motivi di fondo, anche se espressi in un linguaggio profondamente diverso. Potremmo dire, forse, che al tema della "fede" della MU corrisponda nella DS (1801) quella dell'assoluto. E così, come nella MU, la "fede'', nonostante la sua centralità, non

veniva esaurientemente definita, allo stesso modo nella DS (180 l) dell'assoluto ,,i dà una definizione tautologica. Occorre ora cercare di individuare il punto di den1arcazione fra

le due opere: esso è dato, a uostro avviso, dal concetto di "sapere". Questa nozione, del resto, non ha un significato univoco nell'ultima produzione fichtiana. Il sapere infatti, come ci avverte nella Einleitung alla DS ( 1801) lo stesso Fichte, è «parola polisensa»""· Il Wissen, tematizzato nella MU, è un qualcosa di negativo da cui bisogna, attraverso un'opera di purificante ascesi, liberarsi, giacché esso è una sorta di "illusione trascendentale" che non può mai «dare la verità»". La MU indaga soprattutto il limite del Wissen: «il sapere non è realtà proprio perché è sapcre» 82 . Nella DS (1801) si dà indubbiamente una connotazione più complessa del sapere. Di esso infatti non si sottolineano soltanto i Iimiti, ma anche gli aspetti positivi. La positività del Wissen consiste, come si è già ricordato, nel suo "oscillare" fra unità e molteplicità, fra essere e non essere. Anche la DS (1801), non diversamente dalla MU, definisce il sapere co1ne una realtà «in sé assoluta1nente

""DS (1801), cit., 5. MU, cit., 104.

81

82

83

L.c. L.c.

vuota»~n,


132

Enrico Piscione

ma con la differenza che il vuoto di cui parla la MU, nella DS (1801) si riempie di contenuto. Al sapere come «determinazione del quantificare»84 è attribuito il compito di spiegare la genesi del mondo sensibile. Volendo ora rispondere con più precisione alla domanda che ha guidato il nostro confronto, ci pare di poter dire che, nonostante le differenze notevoli di contenuto e di linguaggio i due scritti si accomunano, a nostro avviso, in una visione della realtà fondamentalmente dualistica e pessimistica. La DS (I 801) ripropone, in termini di sistematicità metafisica, il dualismo già presente nella MU. Notiamo inoltre come in entrambe le opere, la qual cosa è una costante dell'ultimo Fichtc, il "mondo" perda ogni significato. Nella MU il termine "mondo" ha una accezione etico-politica: il mondo è la realtà in cui domina l'agire che, anche se motivato da nobili intenzioni, è sempre fagocitato dalle ferree leggi del "gigantesco ingranaggio" della storia. Nella DS (1801) il mondo è il "regno del mutevole", è la realtà metafisica del Sinnenwelt. Anch'esso versa in una profonda crisi di senso: difatti non ha alcuna consistenza ontologica, è «Ìl puro nulla» 85 .

84

DS (1801), cit., 107.

85

Ibid., 119.


VERSO UN'ONTOLOGIA DELLA COMPRENSIONE. MARTIN HEIDEGGER

FRANCESCO VENTORINO'

Preniessa

L'ermenentica, come scienza dell'interpretazione, sì è costituita all'interno di quell'orizzonte filosofico che ha dominato la cultura occidentale dall'illuminismo in poi, caratterizzato dalla pretesa dell'uomo di essere il luogo della verità. Il sapere dell'uomo sulla verità è stato fatto coincidere con la verità stessa, eliminando così la tensione che poteva essere introdotta soltanto dal riconoscimento di una alterità della verità dell'essere rispetto al sapere acquisito su di esso da parte dell'uomo. Questa presunzione, che nasceva dall'istanza di un dominio assoluto da parte dell'uomo sulla realtà, ha condotto all'assolutismo e al totalitarismo delle ideologie, nonché alla pretesa scientista della riduzione della verità al dato quantificabile e misurabile di cui l'uomo può disporre per operare con efficacia e rendimento sulla realtà. Il sapere diviene il potere che non conosce limiti. Il suo ideale è il sistema da cui si deduce tutto e ogni cosa: in ciò non si distinguono le versioni razionalistica ed empiristica del sapere. In questo contesto si è posta e si è sviluppata l'ermeneutica come scienza dell'interpretazione storica. Essa si è trovata immediatamente a

*Professore di Filosofia nello Studio Teologico S. Paolo di Catania.


Francesco Ventorino

1 34

risolvere due problemi caratteristici dell'approccio storiografico alla realtà. Il primo problema nasceva dall'oggetto preso in considerazione dalla storiografia. Se la scienza poteva costituirsi come sistema nel quale è possibile la spiegazione di ogni evento naturale, riconducendolo all'interno della generalità della legge fisica, si capì immediatamente che essa non poteva avere la stessa pretesa nei confronti dell'evento umano: una spiegazione di tal genere non ne avrebbe colto l'originalità, cioè la sua libertà e quindi l'intenzione di significato delle vicende umane. Sorse così il problema della comprensione dell'evento storico e della storia in genere. Il secondo problema nasceva dalla consapevolezza della mediazione esistente tra il fatto storico e lo storico che si poneva a considerarlo: questa mediazione è costituita dalle testimonianze, dai testi attraverso i quali il fatto passatG giunge al presente. Sorse così il problema della autenticità, della veridicità e soprattutto dell'interpretazione dei testi, che a loro volta si rivelavano come interpretazione dei fatti che testi1noniavano.

Questi due problemi ovviamente tendevano a fondersi in un'unica problematica: il problema ermeneutico. L'orizzonte filosofico, cui si è fatto cenno, e dentro cui questa problematica nasceva, determinava anche l'impostazione stessa della questione. 1

Così la comprensione del1 evento storico, come istanza di signi-

ficato, non poteva essere concepita che all'interno della soggettiva comprensione che lo storico aveva di sé, senza la possibilità di un punto di riferimento dato da valori oggettivamente validi per ogni uomo, perché fondati su un polo veramente dialettico nei confronti della soggettività umana, cioè la verità dell'essere in quanto tale. Anche l'interpretazione dei testi, a mano a mano che si svelava l'ingenuità della pretesa positivistica, appariva strettamente connessa alla comprensione del significato dell'evento storico e della storia, dentro la quale essa si svolgeva. Venne così a svilupparsi la problematica ermeneutica, da un canto, come problematico rapporto tra la soggettività comprendente dell'interprete e la soggettività implicata nel gesto o nel fatto storico da


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

135

comprendere, dall'altro, come problematico rapporto tra comprensione e interpretazione, rapporto che andava sempre più evidenziandosi nella sua strutturale circolarità. Accanto a questa problematica andava risvegliandosi la pretesa scientista di una spiegazione dell'evento umano e dell'uomo stesso nella sua essenza. Questa pretesa opponeva l'esattezza, propria del suo metodo, all'inesattezza nella quale rimaneva necessariamente l'approccio ermeneutico della realtà. In più aveva la pretesa di superare, attraverso il rigore dell'analisi del linguaggio, il rischio che il discorso ermeneutico si mantenesse a livello ideologico, cioè a livello di quella falsa coscienza di sé e della realtà che nasce dall'istinto o dall'interesse dell uomo a ricacciare nell'oblio, rimuovere dalla coscienza la vera essenza di sé e delle cose. In questa panoramica pensiamo si possa collocare la posizione ermeneutica di Martin Heidegger, che è dominata, da un lato, dalla denuncia della pretesa scientista nei confronti dell'essenza dell'uomo e, dall'altro, dall'esigenza di liberare il rapporto ermeneutico dell'uomo con la realtà dall'angustia del soggettivismo, nel tentativo di fondare un rapporto tra la soggettività comprendente e la verità dell'essere in quanto tale. Tentativo questo che, come avremo modo di sottolineare, non ha un esito così felice da corrispondere alle intenzioni dell'Au1

tore.

L'interesse che il nostro Autore dimostra per il linguaggio testimonia la sua intenzione di sottrarre l'espressività un1ana e, quindi, la domanda circa l'essenza dell'uomo alla pretesa riduttiva della scienza di un sapere esatto su di essa, a favore di una concezione del linguaggio come luogo della comprensione del senso e del significato della realtà in forza della verità che in esso dimora e parla all'uomo stesso. Ci riserviamo nella conclusione di esprimere un nostro giudizio circa questo tentativo heideggeriano di fondare il rapporto er1neneutico dell'uomo con la realtà sul rapporto che quest'ultimo può instaurare con la verità dell'essere, al di là della pretesa scientista di cogliere l'essenza dell'uomo stesso e di spiegare esaurientemente la sua espressione storica.


Francesco Ventorino

136

1. Interpretazione e co111prensione

Tra tutti gli enti esistenti nel mondo ne troviamo uno che per la sua singolarità merita un nome particolare. II termine ormai famoso con il quale Heidegger designa l'ente uomo è Esserci. Già fin dalle prime pagine del suo Sein und Zeit, egli tenta una definizione dell'Esserci: «L'Esserci non è soltanto un ente che si presenta fra altri enti. Onticamente, esso è piuttosto caratterizzato dal fatto che, per questo ente, nel suo essere, ne va di questo essere stesso. La costituzione d'essere dell'Esserci implica allora che l'Esserci, nel suo essere, abbia una relazione d'essere col proprio essere. II che, di nuovo, significa: l'Esserci, in qualche modo e più o meno esplicitamente, si comprende nel suo essere e mediante il suo essere, questo essere è aperto ad esso. La co1n1Jrensione dell'essere è anche una lleter111inazione d'essere dell'Esserci»1. La comprensione è quella capacità costitutiva dell'Esserci, per la quale esso «rivela a se stesso come stanno le cose a proposito dell'essere che gli è proprio»'. La comprensione, precisa Heidegger, «in quanto apertura, riguarda l'intera costituzione dell'essere-nel-mondo. Il mondo, in quanto tale, non è aperto soltanto come significatività possibile: la re1nissione dell'ente intran1ondano è anche una remissione di questo ente alle sue possibilità. L'utilizzabile è scoperto come tale nella sua utilizzabilità, nella sua impiegabilità, nella sua dannosità. La totalità di appagatività'. Si rivela come il tutto categoriale della possibilità di un insieme di utilizzabili» 4 .

1 M. l-IEIDEGGER, Sein und Zeit, Nic1ncyer, Tlibingcn 1927, trad. it. di P. Chiodi, Essere e Te111po, Longanesi, Milano 1970, 31. 2

Jbid., 227.

1 ·

«Appagatività» (Bewandtnis) «significa dire che l'utilizzabile intran1ondano ha il suo esse1:e vero e proprio in un "rimando" a qualcos'altro presso cui questo essere è l'essere che è, si "appaga"» (P. Chiodi nel «Glossario» annesso alla trad. cit. di Essere e Te111po) . .i

M.

HEIDEGGER, Essere e Te111po,

trad. cit., 227.


Verso un 'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

----

13 7

La comprensione ha in sé, dnnque, «la struttura esistenziale che noi chiamiamo progetto» 5 . La comprensione può attuarsi, allora, solo come apertura al mondo: «cioè l'Esserci può, innanzitutto e per lo più, comprendere se stesso a partire dal proprio mondo»'. Ma questo non significa che l'Esserci si separa da se stesso per comprendere soltanto il mondo. «li mondo fa parte del suo esser-se-stesso in quanto essere-nel-mondo»'. La comprensione nel suo carattere esistenziale di progetto di sé nel mondo viene chiamata da Heidegger visione dell'Esserci che, in quanto si riferisce alla sua esistenza, viene detta trasparenza'. L'Esserci in quanto comprensione progetta il suo essere in possibilità. Questo comprendersi come essere-per le possibilità ha un suo sviluppo proprio cui Heidegger dà il nome di interpretazione, che viene definita come «la elaborazione delle possibilità progettate nella comprensione» 9 •

5

lbùl., 228. Infatti: «in virtù del modo di essere costituito da quell'esistenziale che è il progetto, l'Esserci è costante1nentc "più" di quanto di fatto sarebbe qualora potesse o volesse prendersi in esame co1nc semplice-presenza. Esso però non è mai di più di quanto effettivamente sia, perché il poter-essere rientra in linea essenziale alla sua effettività. Ma, in quanto poter-essere, non è 1nai neppure di 1neno, perché ciò che nel suo poter essere 11011 è ancora, esistcnziahnente lo è già. Soltanto perché l'essere dcl Ci trova la sua costituzione nella cornprensionc e nel suo carattere di progetto di essa, soltanto perché esso è ciò che diviene o non diviene, esso può, comprendendo, dire a se stesso: "Divieni ciò che sei!"» (ibid., 228-229). 6 Ibid., 229. 7 Le. «Nella comprensione dcl mondo è sempre compreso !'in-essere; la comprensione dell'esistenza come tale è sc1npre una con1prcnsione del rnondo» (ibid., 229-230). 8 «Abbian10 dato questo non1e alla "conoscenza dì sé" genuina per sottolineare il fatto che non si tratta dell'apprensione percettiva e contetnplativa di un oggetto puntuale, 1na dcll 'afferramento co1nprcnsivo dell'apertura integrale dell'cssere-nelmondo, attraverso i suoi n1ovin1enti costitutivi essenziali. Esistendo, l'Esserci vede Se stesso? solo se è divenuto cooriginariamentc trasparente a se stesso nel suo esserpresso il mondo e nel suo con-essere con gli altri, quali 1no1nenti costitutivi della sua esistenza» (ibid., 230). 9 Jbid., 233.


138

Francesco Ventorino

L'interpretazione accade sempre all'interno di una comprensione che l'uomo ha di sé nel mondo, anche se è promotrice di una nuova comprensione 10 • Da ciò deriva quel famoso circolo tra comprensione e interpretazione che, anziché essere considerato come vizioso, deve essere riconosciuto come la condizione fondamentale della possibilità della inlerpretazione stessa 11 •

10 «Questa si fonda sempre in una pre-disponibi!ità. L'interpretazione, in quanro appropriazione della comprensione, si n1uove sen1prc in un coinprcndenle esser-per una totalità di appagativilà già co1npresa. L'Dppropriazione di ciò che è con1preso, e tuttavia non ancora disvelato, realizza sempre lo svelan1ento sotto la guida di una prospettiva che stabilisce la direzione in cui il compreso deve essere interpretato. L'interpretazione si fonda sempre in una pre-visio11e che "assegna" il predisponibile ad una determinata interpretabilità. Il co1npreso, 1nantenuto nella predisponibilità e preso di mira "nella pre-visione", è elaborato concettualmente ad opera della interpretazione. L'interpretazione può fare scaturire la concettualità appropriata all'ente da interpretare da questo ente stesso, o può elaborarlo in concetti u cui questo contraddice in virtl1 del modo di essere che gli è proprio. In ogni caso l'interpretazione ha già deciso, definitiva1nente o con riserva, per una detcnninata concettualità: essa si fonda in una pre-cognizione. L'interpretazione di qualcosa in quanto qualcosa è fondata essenziahnente nella pre-disponibilità, nella pre-visione e nella prc-cognizione. L'interpretazione, non 1nai l'apprendiinento neutrale di qualcosa di dato. Allorché quella tipica forma di interpretazione che è l'esegesi dei testi fa appello al "dato imn1cdiato", in realtà il "dalo irnmediato" è null'altro che la ovvia indiscussa assunzione dell'interpretante, assunzione necessaria1nente in1plicita in ogni procedimento interpretativo come ciò che è già "posto" a base di ogni interpretazione nel senso della predisponibilità della pre-veggenza e della pre-cognizione » (ibid., 236). 11 «L'in1portante non sta nell'uscir fuori dcl circolo, ma nello starvi dentro nella 1naniera giusta. li circolo della con1prensione non è un semplice cerchio in cui si n1uova qualsiasi forn1a di conoscere, 1na l'espressione della pre-strulfura propria dell'Esserci stesso. Il circolo non deve essere degradato a circolo Fitiosus e neppure ritenuto un inconveniente ineli1ninabile. In esso si nasconde una possibilità positiva del conoscere pili originario, possibilità che è afferrata in modo genuino solo se l'interpretazione hn con1prcso che il suo compito primo, durevole e ulti1no è quello di non lasciarsi n1ai irnporrc predisponibilità, prc-veggenza, e pre-cognizione dal caso o dalle opinioni co1nuni, nu1 di farle emergere dalle cose stes\:ie, garantendosi così la scientificità ciel proprio tenia r... ]. Il "circolo" <lei conoscere appartiene alla struttura dcl senso, che è un fenomeno radicato nella costituzione esistenziale dell'Esserci, nella co1nprensione interpretante. L'ente per cui, in quanto esser-nel-mondo, ne va dcl suo essere stesso, ha una struttura circolare di carattere ontologico» (ibid., 240-241 ).


Ogni ermeneutica rimanda fondamentalmente alla comprensione che l'uomo ha di sé in quanto essere nel mondo. La comprensione che l'uomo ha di se stesso, della sua essenza, non è possibile se non a partire dalla sua ex-sistenza 12 . L ex-sistenza è l'essere del ci, «cioè l estatico star dentro la verità dell'Essere. E però l'essenza exstatica dell'uomo ha per base l'ex-sistenza, la quale resta ben distinta dall'existentia, intesa metafisicamente»13. L 1ex-sistenza ex-staticamente pensata, non coincide né per il contenuto né per la forma con l'existentia. Ex-sistenza, nel suo contenuto, vuol dire «uscendo, star dentro nella verità dell'essere» 14 . La proposizione «l'uomo esiste» non risponde alla questione se l'uomo sia o no realmente, ma risponde a quella dell'essenza dell'uomo, «che solo può essere pensata nella sfera dell' «analitica esistenziale» del!' «essere-nel-mondo», ossia come l'estatico rapporto al tralucere del l'essere» l.'i. Ogni altra determinazione dell'essenza dell'uomo, che non parta dal rapporto esistenziale dell'uomo con la verità dell'essere, è metafisica. «La metafisica, infatti, presuppone l'essente nel suo essere, e pensa così ressere del1 essente. Ma essa non pensa a distinguere l'uno 1

1

1

12 <<Ciò che J'uon10 è, ossia ciò che nel linguaggio tradizionale della 1netafisica si chiaina la sua "essenza", hi:1 la sua base nella sua ex-sistenza. Ma l'ex-sistenza così pensuta non è identica col concetto tradizionale di esistenza, che significa realtà nella sua distinzione dall'essenza co1ne possibilità. In S.u.Z. (p.42) si trova spazieggiata la frase: 'L'essenza dell'esserci consiste nella sua esistenza'. Qui non si tratta di una contrapposizione di essenlia cd existentia, poiché non ancora queste due detennina~ zioni 1netafisiche dell'essere, e tanto meno il loro rapporto, sono in questione. La proposizione contiene ancor 1neno una enunciazione generale sull'essere esistenziale co1nc fu inteso nel secolo XY11l, in cui con questa dcnon1inazione di moda invece della parola "oggetto" si volle esprimere il concetto rnctafisico della realtà del reale. La proposizione dice piuttosto: l'uomo realizza così la sua essenza che egli è il ci dell'esserci, ossia è il tralucere dell'Essere» (M. HEIDEGGER, Brief iiber den «lfu111a11is111us», Franckc, Berna 1947, trad. it. di A. Carlini, Su f'Un1a11is1110, in appendice a Io., Was ist Metaphysik?, Cohen, Bonn 1929, trad. it., Che cos'è la Metafisica?, La Nuova llalia, Firenze 1967, 100-101). 1.1 «Questa fu intesa dalla filosofia 1ncdievale come actua!iras. Kant pone l'existentia con1e la realtà nel senso dell'oggettività della esperienza, Hegcl detennina l'existentia come l'idea, che sa se stessa, dell'assoluta soggettività. Nietzsche con1prendc I'existen!ÙI come l'eterno ritorno dcl medesin10» (ibid., 101). 14 15

L.c. !bid., 102.


140

Francesco Ventorino

dall'altro: non si chiede la verità dell'essere stesso, e neppure, quindi, si chiede in qual modo l'essenza dell'uomo appartenga alla verità dell'essere. Questa domanda la metafisica sin ora non se l'è posta: essa è una questione inaccessibile alla metafisica in quanto metafisica. L'essere aspetta ancora di diventare, esso stesso, degno del pensiero dell'uomo»16.

La verità dell'essenza dell'uomo non è recuperabile, quindi, se non all'interno di quella scoperta dell'essenza della verità, possibile solo dentro il rapporto dell'uomo con l'essere, nel quale viene costituito nella sua essenza come Esserci. Per la considerazione di questo rapporto, a ragion veduta, abbiamo privilegiato la lettura del testo di una conferenza dal titolo Wom Wesen der Wahrheit, che fu tenuta da Heidegger nel 1930 e pubblicata poi nel 1943 17 •

2. Sull'essenza della verità

Porsi il problema dell'essenza della verità, cioè la ricerca di «che cosa in generale caratterizza ogni "verità" in quanto verità» 18 , è questione tanto rischiosa, quanto fondamentale. Tale questione, da un canto, minaccia di portare alla luce del giorno «l'assenza di terreno che sta alla base di ogni filosofia» 19 , dall'altro però, pur ponendosi contro l'esigenza di avere immediati «chiarimenti circa lo scopo che deve essere proposto all'uomo nella sua storia e per la sua storia» 20 , risponde alla necessità di interrogarsi

pregiudizialmente su che cosa innanzitutto significhi verità, quando si vuole la "verità reale", cioè la verità che riguarda «una misura e un

sostegno contro la confusione delle opinioni e dei calcoli» 21 •

16

lbid., 96. La traduzione italiana da noi seguita è quella di U. Galirnberti, dal titolo S11!l'essenz.a della verità, La Scuola, Brescia 1973: essa si rifà alla 5a ed. tedesca, Klo17

stcrrnann, Frankfurt a. M. 1967. 18 M. HEIDEGGER, S11/L'esse11za della verità, lrad. cit., 3. 19 !bid., 4. 20 lbid., 6. 21 lbid., 4.


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

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I4I

E' questa pericolosità, insieme a questa fondamentale ineludibilità della questione sulla verità, che porta Heidegger a collocarsi contro quella "ovvietà" nella quale il "sano" buon senso degli uomini tende a farla rientrare, ovvietà nella quale l'essenza della verità si riduce ad una "sensazione" o ad un sapere "in generale" ed approssimativo che «non sono cosa più misera che la pura e semplice ignoranza dell'essenza della verità» 22 • Per approfondirsi nella conoscenza della essenza della verità, Heidegger muove da ciò che abitualmente si intende con la parola "verità". Egli trova questa concezione abituale della verità strettamente legata alla sua definizione tradizionale come «adaequatio intellcctus et rei». Sia che si tratti di adeguazione della cosa alla conoscenza, sia che si tratti di adeguazione della conoscenza alla cosa, l'essenza della verità qui è concepita come conforn1ità 23 . Nel Medioevo questa concezione della verità aveva come supporto teologico la fede cristiana nella creazione 24 • Ma questa concezione potrebbe mantenere la propria validità, anche indipendente-

22

Jbid., 6. Jbid., 8-9. 24 «Tuttavia l'una non è la pura e semplice inversione dell'altra. Infatti i11tel!ectus et res sono pensali diversamente in ognuno dci due casi. Per rendercene conto dobbiarno ricondurre la forn1ula corrente dell'abituale concetto di verità alla sua origine più prossima (quella tncdicvale). La veritas con1e adaequatio rei et inte//ecttts non si riferisce a quello che in seguito sarà il possibile pensiero trascendentale di K_ant, fondato sulla soggettività dell'essenza un1ana, e per il quale 'gli oggetti si conformano alla nostra coscienza', 1na si riferisce alla fede teologica cristiana, per la quale le cose, in ciò che sono e se sono, solo in quanlo, essendo create (ens creat11111), corrispondono all'ides precedenten1entc pensata nell'intelletto divino, vale a dire, nello spirito di Dio, per cui, essendo confonni alle idee-norn1a, in questo senso sono "vere". Un ens creat11111 è anche l'intellectus h11111a11us. Esso, in quanto facoltà accordata da Dio all'uo1no, deve adeguarsi alla sua idea. Ma l'intelletto è conforme all'idea solo in quanto, nelle sue proposizioni, realizza l'adeguazione del pensato alla cosa che, da parte sua, deve essere confanne al!'idea. Se ogni ente è un ente "creato", la possibilità della verità della conoscenza umana ha il suo fondarnento nel fatto che la cosa e la proposizione sono in ugual maniera eonfonni ad una idea-norma, e, per l'unità dcl piano divino della creazione, sono l'una all'altra rcciproca1nente ordinate. La veritas, con1e adaequatio rei (creandae) ad i11tellectu111 (divùu1111) garantisce la veritas co1ne adaequatio inte!fectus (hu111a11i) ad reni (creata111). La veritas espri1ne in ogni caso ed esscnzialtnente la co11venie11tia, la concordanza, dell'ente con l'ente, dell'ente creato con l'ente creatore, esprin1e cioè un"'annonia" determinata dall'ordine della creazione» (ibid., 9-l O). 23


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Francesco Ventorino

mente dalla dottrina della creazione: «la formula dell'essenza della verità (veritas est adaequatio inte/lectus et rei) acquista immediatamente per ognuno un'evidente validità generale» 25 • Si cade così nell'illusione che la determinazione dell'essenza della verità rimanga indipendente dell'interpretazione dell'essenza dell'essere di ogni ente. Essa in ogni caso include una corrispondente interpretazione dell'essenza dell'uomo come soggetto capace dell'intellectus 26 • Appiattiti dalla stessa "ovvietà" si definisce la non-verità come non-accordo (non-conformità). «Quest'ultimo cade fuori dall'essenza della verità, per cui la non-verità, in quanto è semplicemente questo contrario della verità, può essere messa da parte là dove si ha a che fare con la comprensione della pura essenza della verità» 27 • Per andare oltre questa immediatezza e questa ovvietà che consentono di ipotizzare che la concezione dell'essenza della verità non abbia nulla a che fare con l'interpretazione dell'essere dell'ente e dell'uomo in particolare, Heidegger procede nella sua analisi della categoria dell'adeguazione, impiegata nella definizione abituale della verità. «L'essenza dell'adeguazione si determina [ ... ] a partire dal genere di quella relazione che esiste tra il giudizio e la cosa»"Il giudizio rende-presente, enuncia, in ciò che è detto, la cosa appresentata, così come quesla è in se stessa. «Il "così-co1nc" coglie l'appresentare e il suo essere appresentato» 29 • L'appresentazione dcl giudizio si attua come un rapporto per il quale l'appresentare è aperto all'appresentato che, all'interno di questo rapporto («stare all'aperto»), si mostra come ciò che è manifesto come

25

lbid., I J.

26

Cfr. I.e.

27

!bid., 12. lbid., 14. Jbid., 15. «Appresentare qui significa lnsciar sorgere la cosa davanti a noi

28 29

co1ne oggetto, prescindendo da tutti i presupposti "psicologici" e "gnoseologici". Ciò che si costituisce dì-contro deve, in quanto così costituito, coinprendere un dicontro che si dispiega nella sun apertura, presso di lui deve restare nella inseità del suo esser-cosa e rnostrarsi cotne un che di stabile e consistente. Questo apparire della cosa, nella coinprensione di un di-contro, si realizza all'interno di un aperto, la cui apertura non è già creata dall'appresentazione, ma è investita e assunta da questa come campo di relazione» (I.e.).


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger ---·

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tale'"· «Ciò che solo così e in senso stretto si manifesta, nel pensiero occidentale è stato sperimentato fin dall'inizio, come "ciò che è presente" e, da lungo tempo è stato denominato "l1ente"» 31 • L'appresentazione del giudizio, o più semplicemente la conoscenza, può quindi definirsi come «Io stare aperto su1I1ente» 32 .

Ciò suppone due condizioni: che l'ente stesso si appresenti nel giudizio appresentante, così che questo si sottoponga alla direttiva di enunciare l'ente così-come esso è, e che il giudizio mantenga l'apertura costante del rapportarsi, «infatti, solo attraverso questa apertura, ciò che si manifesta può, in generale, diventare misura-di-conformità per l'adeguazione che ap-presenta»'1. Ma se la conformità (la verità) del giudizio è possibile solo attraverso la costante apertura del rapportarsi, allora solo ciò che legittima la confor1nità deve valere, con un diritto più originario, come

l'essenza della verità. «La verità non ha la sua dimora originaria nella proposizione. Nello stesso tempo, però, si solleva il problema del fondamento dell'interna possibilità del rapportarsi che sta costantemente aperto e presuppone una misura di conformità; è infatti solo questa possibilità quella che, in generale, dà alla conformità della proposizione l'apparenza di realizzare !'.essenza della verità» 34 .

L'essenza della verità risiede dunque originariamente nella costonte apertura del rapportarsi dell'uomo all'ente, piuttosto che nell'adeguazione o conformità della proposizione. Questa concezione originaria dell'essenza della verità si fonda su

una concezione dell'uomo che Heidegger si appresta a svelare. «Questo libero offrirsi ad una conformità che obbliga è possibile solo se si è liberi per ciò che, in una apertura, si manifesta. Questo esser-liberi esprime l'essenza della libertà che fino ad oggi è rimasta incompresa. L'apertura del rapportarsi, che rende possibile intrinse-

° Cfr. I.e.

3

Jl 32 33 34

lbid., 15-16. Ibid., 16. Ibid., 17. Ibid., 18.


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camente la conformità, si fonda sulla libertà. L'essenza della verità è la libertà» 35 . Ma porre l'essenza della verità nella libertà non significa affidare la verità all'arbitrio dell'uomo? La risposta a questa domanda ci introduce all'esperienza di un fondamento nascosto ed essenziale dell'uomo (dell'Esserci), proprio a partire dall'ambito originario ed essenziale della verità. Da questo luogo che diviene una prospettiva è possibile vedere «che la libertà è il fondamento dell'intrinseca possibilità della conformità, per il solo fatto che riceve la propria essenza dall'essenza più originaria della verità che, sola, è veramente essenziale. La libertà è stata da noi definita poc'anzi come libertà per l'apertura di ciò che si manifesta. A questo punto, come bisogna pensare questa essenza della libertà? Ciò che si manifesta, e a cui un giudizio appresentante si adegua come ad una norma, è l'ente che, di volta in volta è manifesto in un rapportarsi che si mantiene nell'apertura. La libertà nei confronti di ciò che si manifesta nell'apertura lascia che l'ente sia sempre quell'ente che è. La libertà ora si scopre co1ne il lasciar-essere l'ente» 36 . Lasciar-essere significa: affidarsi all'ente che si manifesta". «Lasciar-essere - nel senso di lasciar-essere l'ente come quell'ente che è - significa affidarsi a ciò che è manifesto e alla sua manifestazione, in cui ogni ente entra a dimora, e che ogni ente che si manifesta porta da un tempo con sé. Questo manifestarsi dell'ente è stato concepito dal pensiero occidentale, fin dall'inizio, come ta aletheia, il non nascosto» 38 .

35

!bid., 19. Ibid., 22. «Abitual!nente noi parlian10 di lasciar-essere quando, ad ese1npio, vogliamo astenerci da una i1nprcsa progettata. In questo caso, il 'noi lasciaino essere qualcosa' significa: noi non ci prendian10 più cura di una cosa, 11011 ci diaino più da fare intorno ad essa. Lasciar-essere qualcosa ha qui il significato negativo di astenerci da qualcosa, di rinunciare a qualcosa e, in genere, di tralasciarla nella più co1npleta indifferenza. Il senso che qui è necessario conferire all'espressione: lasciar-essere l'ente, non si riferisce al tralasciare e all'indifferenza, 1na al suo contrario. Lasciar-essere significa: affidarsi all'ente» (i.e.). 38 !bid., 22-23. «Se noi traduciaino a!etheia invece che con "verità", con "nonnasco11di1nento", allora questa traduzione non è solarnente "più letterale", 1na contiene anche l'indicazione di pensare e ripensare il concetto abituale di verità, nel Jo 37


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

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Si tratta di un «es-porsi all'ente in quanto tale» e un porre ogni rapportarsi in ciò che è manifesto". «li lasciar-essere, ossia la libertà, è l'ek-sistente che in sé si espone. Vista alla luce dell'essenza della verità, l'essenza della libertà si rivela come !'es-porsi nell'essere-svelato dall'ente»""· L'ek-sistere, come es-porsi nell'essere-svelato dall'ente, è la verità dell'esserci e della sua libertà. «Ma se l'esserci ek-sistente, in quanto lasciar-essere l'ente, libera l'uomo per la sua "libertà", mentre questa, in generale, sottopone alla scelta dell'uomo solo la possibilità (dell'ente) e gli impone il necessario, allora a disporre della libertà non è l'arbitrio umano. L'uomo non "possiede" la libertà come una sua proprietà, ma tutt'al più vale il contrario: la libertà, l'esserci ek-sistente e disvelante, possiede l uon10 in un n1odo così originario da essere in grado, essa sola, di custodire e garantire ad un'umanità il rapporto all'ente come tale nella sua totalità; è questo un rapporto che distingue e sul quale si fonda tutta la storia»"'. 1

senso della conformità del giudizio, in quella luce, non ancora cotnprcsa, dell'esser-svelato e dello svclan1ento dell'ente» (ibid., 23). 9 :i «L'affidarsi all'esser-svelato dell'ente non è un perdersi in esso, ma un dispiegare uno sfondo, tirandosi indietro, davanli all'ente, in modo che questo si inanifesti in ciò che esso è, e con1e è, sicché l'adeguazione appresentativa possa prendere da esso !a misura della conforn1ità» (I.e.). 40 L.c. «La libertà, dunque, non è solo ciò che il senso eo1nune lascia intendere volentieri con questo no1ne, e cioè l'arbitrio i1nprevedibile che, nella scelta, si butta ora da un lato ora da un altro. La libertà non è l'assenza di obbligazione propria del poter fare o non fare qualcosa. La libertà non è neppure la semplice disponibilità per una richiesta o una necessità (a proposito di qualsiasi ente). La libertà (si tratti della libertà "negativa" o di quella "positiva") è prin1a di tutto l'affidarsi allo svelamento dell'ente in quanto tale. L'essere-svelato, a sua volta, è custodito dall'affidarsi dell'eksistente, grazie al quale, l'apertura dell'aperto, ossia il "ci" dell'esserci, è ciò che è» ( ibid., 24 ). 11 ' Ibid., 27. Su questo ten1a Heiclegger aveva già detto nel suo Vo111 VVesen des Gr1111des: «La trascendenza è 1111 progerro del inondo tale che colui che progetta è do111ù1r110 daff'ente che egli oltrepassa e già accordato a fui» (M. HEIDEGGER, Von1 Vesen des Gr1111des, Nie1ncyer, Halle 1929, trad. it. di P. Chiodi, Dell'essenza del fonda111ento, Bocca, Milano 1952, 67.) E più avanti: «L'Esserci fonda (erige) il inondo solo fondandosi nel 111ezz;o deff'ente. Nel fondare erigente, in quanto progetto, di possibilità di se stesso da parle dell'Esserci, questo ultin10 si slancia innanzi. li progetto di possibilità, confonne1nente alla sua essenza, è via via più ricco del possesso in cui il progettante si trovava anterionncnte. Ma un possesso siffatto può appartenere all'Esserci solo perché esso, in quanto progetlante, si sente in1merso nel 1nezzo dell'ente Ma con ciò sono di già sottratte all'Esserci detern1inate altre possibilità del proprio poter-essere-nel-rnondo, implicite nell'inclusione nell'ente, proprio questa


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Da quanto detto emerge una concezione dell'uomo e del suo rapporto storico con il mondo degli enti: questo rapporto è definito dall'appartenenza della libertà dell'uomo al dis-velarsi dell'ente nella sua verità. «L'uomo ek-siste, ora significa: la storia delle possibilità essenziali di un'umanità storica è custodita e garantita all u1nanità stessa nello svelamento dell'ente nella sua totalità. Dal modo con cui si essenzia l'essenza originaria della verità nascono le singolari e semplici decisioni della storia» 42 • Ma poiché la verità è, in essenza, libertà, l'uomo storico, nel lasciar-essere l'ente, può anche non lasciarlo essere come quell'ente che è. In questo caso l'ente è coperto e travisato. Nello stesso tempo, poiché la libertà ek-sistentc come essenza della verità non è proprietà dell'uomo, ma l'uomo, in tanto è capace di libertà, in quanto è posseduto da questa e solo così diviene capace di storia, c'è da dire che la nonverità non può sorgere dalla semplice incapacità o dalla negligenza dell'uomo. «La non-verità al contrario, deve derivare dall'essenza della 1

verità»" 3 •

E' nel suo essere costante apertura e rapporto all'ente che si disvela, che va ricercata insieme l'essenza della verità e della non-verità. Procediamo nell'approfondimento della ricerca di questa comune origine della verità e della non-verità. L essenza della verità s'è svelata come libertà, e questa co1ne il lasciar-essere ek-sistente che svela l'ente. «La libertà, come abbandono 1

sottrazione è quella che porta davanti all'Esserci carne suo n1odo le possibilità "rcahnente" raggiungibili nel progetto del mondo. E' proprio la sottrazione ad offrire all'articolazione obbligante propria del restante progetto proiettante al di là, la po·· lenza del suo don1inio ncll'a1nbito dell'esistenza dell'Esserci» (ibid., 68-69). ~ 2 M. 1-IE!DEGGER, S11!1 essenza della verità, trad. cit., 28. •13 Jbid., 29. «E' solo perché la verità e la non-verità 11011 sono affatto indifferenti l'una all'altra nell'essenza, ma si appartengono reciproca111cntc, che una proposizione vera può presentarsi in netta opposizione con la correlativa proposizione non-vera. I! probletna relativo all'essenza della verità raggiunge pertanto il suo ambito originario di discussione solo quando include anche la considerazione relativa alla non-verità nel disvclan1ento dell'essenza t ... l Se l'essenza della verità non si esaurisce nella confonnità del giudizio, allora anche la non-verità non può essere posta con1e equivalente alla non-conforn1ità del giudizio» (ibid., 29-30). 1


___V_erso u11'011tologia della comprensione. Marti11 Heidegger

14 7

allo svelamento dell'ente in totalità, ha già determinato, come tale, l'accordo di ogni rapportarsi con l'ente in totalità»''. L'accordo qui va inteso con1e una disposizione inunediata, come una esposizione ek-sistente intenzionata all'ente in totalità. Ogni rapportarsi dell'uomo storico, sia che l'uomo lo avverta o 1neno, si realizza in questo accordo e, per suo tramite, è immesso nella totalità: la rivelazione dell'ente in totalità non coincide, però, con la somma degli enti di fatto conosciuti 45 . L'ente in totalità, infatti) è l'essere che si rivela e si nasconde nell'ente. L'accordo della libertà con l'ente in totalità penetra e precede il rapportarsi dell'uomo con l'ente; ma questo rapportarsi è determinato dalla rivelazione dell'ente in totalità: ora «questa "totalità" ncll'a1nbito dei calcoli e delle preoccupazioni quotidiane, appare come l'incalcolabile e l'inafferrabile. Essa non si lascia mai comprendere dall'ente che di volta in volta si manifesta, appartenga esso alla natura o alla storia. Questa totalità, nonostante presieda costantc1nente al1 1accordo di tutto, rimane sempre l'indeterminato e l'indeterminabile, cd è per questo che il più delle volte viene fatta coincidere con ciò che è ovvio o con1unque irrilevante. Detta totalità accordante non è un nulla, ma un nascondimento dell'ente in totalità. Proprio mentre il lasciar-essere lascia essere I1cnte al quale si riferisce in un particolare rapporto, e così lo svela, proprio allora nasconde l'ente in totalità. Il lasciar essere è

44 lbid., 30. «L'accorcio, inteso carne una disposizione in1mediata, non si lascia rnai arrerrare co1ne "esperienza vissuta" o co1ne "stato d'ani1110" perché, in questo caso, ne andrebbe della sua essenza e del suo significato che si ridurrehbe (co1ne quello di "vita" e di "anirna") a ciò che può alTennarc solo l'apparenza c!i un dirillo all'essenza, in quanto porta in sé la deforn1azione e il fraintendi1nento dell'accordo. Un accordo, inteso cotne es-posizione ek-sistente intenzionata all'ente in totalità, può essere "vissuto" e "sentito" solo in quanto "l'uo1no che lo vive", senza avvertire l'essenza dell'accordo, si trova gi~t dentro l'accordo che svela l'ente in totalità» (I.e.). 45 «Al contrario: là dove l'ente è poco conosciuto dall'uomo, o è conosciuto appena e approssi1nativamente tran1ite la scienza, la rivelazione dell'enle in totalità può in1porsi e dorninare in rnaniera più essenziale di quanto non possa là dove il conosciuto e ciò che ancora si può conoscere sono divenuti inesauribili, e dove nulla più può resistere alla bran1a di conoscere, inentre la don1inazionc tecnica delle cose si affcnna senza li1niti. Proprio nell'appiatti1nento e nel livellarnento che si realizza quando si vuole conoscere-tutto e solo-conoscere, si appiattisce la rivelazione dell'ente nell'apparente nullità di r:iò che non è più neppure indifferenza, ina cosa già dirnenticata» (ibid., 13).


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quindi in sé, ad un tempo, un velare. Nell'ek-sistente libertà dell'esserci avviene il nascondimento dell'ente in totalità, si realizza così il nascondersi»46.

Se l'essenza della verità è nella costante apertura del rapportarsi dell'uomo all'ente, nel lasciar-essere l'ek-sistente che svela l'ente, è all'interno di questo accordo ongmario che si verifica il nascondimento dell'ente, la non-verità. Allora lo stesso lasciar-essere l'ente, mentre lo svela, si rapporta al suo nascondimento e lo custodisce. «Che cosa custodisce il lasciar-essere in quel rapporto al nascondimento? Niente di meno che il nascondimento dell'ente come tale, nascosto nella sua totalità, vale a dire: il mistero. Non si tratta di un particolare mistero relativo a questa cosa o a quell'altra, ma di quell'unico mistero (il nascondimento del nascosto) che in generale penetra e domina come tale l'esser-ci dell'uomo» 47 . L'esser-ci, in quanto ek-siste, custodisce il primo e più ampio non-svelamento, la vera e propria non-verità. «L'autentica non-essenza della verità è il mistero». E per non-essenza qui si intende !'«essenza pre-cssenziale» 48 •

46

lbid., 31-32. !bid., 33-34. " 8 Ibid., 34. Su questo terna Hcidegger ritorna nei suoi Holzwege: «L'essenza della vcrit8, cioè il non-esser-nascosto, è pervasa da un diniego. [ ... ] Questo diniego non è affatto una mancanza o un difetto, con1c se la verità fosse un se1nplice non-nascondi1nento liberatosi da ogni i1npaccio. Se ciò fosse possibile, il non-esser-nascosto non sarebbe più se stesso. E' all'essenza stessa della verità come non-esser-nascosto che questo diniego appartiene nella forma dcl duplice nascondimento. La verità, nella sua essenza stessa, è non-verità. Ciò va detto affinché appaia in tutta la sua forse sconcertante chiarezza il principio che del non-esser-nascosto come illu1ninazione fa parte il diniego nella forma dcl nascondimento. L'affennazione che l'essenza della verità è la non-verità non sta quindi a significare che la verità sia in fondo falsità. Parin1enti essa non significa che la verità non sia n1ai se stessa, nel senso che, dialettica1nenlc, sia se1nprc anche il suo opposto. La verità è presente proprio come se stessa nella misura in cui il diniego nascondente, in quanto rifiuto, conferisce a ogni illuminazione la sua costante provenienza; e in quanto simulazione assegna ad essa l'irrin1ediabile presenza dc!l'Erraincnto. Il diniego nascondente denota, nell'essenza della verità, quell'elemento di contrasto che sussiste, nell'essenza stessa della verità, fra illu1ninazione e nascondirnento. E' questa la contrapposizione della lotta originaria. L'essenza della verità è in se stessa la lotta originaria in cui viene conquistato, lottando, quel Centro aperto in cui l'ente soggiorna ed in base a cui si ritira in se stesso» 47


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

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Ma questo rapportarsi al nascondimento, che è la libertà in quanto lasciar-essere l'ente, nasconde se stesso, mentre lascia la precedenza all'oblio del mistero e in questo si dissolve 49 • «Eppure il mistero obliato dall'esserci non è eliminato con l'oblio, al contrario l'oblio dona alla apparente scomparsa di ciò che è stato obliato una presenza propria. Il mistero, mentre nega sé nell'oblio e per l'oblio, abbandona l'uomo storico nella vita corrente presso le sue faccende. Un'umanità così abbandonata riempie il proprio "mondo" partendo da bisogni e da fini sempre nuovi e lo colma coi suoi progetti e i suoi calcoli. Da questi l'uomo, dimentico dell'ente in totalità, desume la propria misura. Fissandosi su questi, si procura sempre nuove misure senza ancora riflettere sul fondamento da cui le desume e sull'essenza che le fornisce. Nonostante il progresso verso nuove misure e nuovi scopi, l'uomo si inganna sull'autentica essenza delle sue misure. Misura male anche se stesso, e questo soprattutto quando assume esclusivamente la propria soggettività come misura per tutte le cose»"'· (M. HEIDEGGER, Holzwege, Klostermann, Frankfurt ain M. 1950, trad. it. di P. Chiodi, Sentieri inferrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, 39-40). 49 «E' vero che l'uorno si rapporta costantemente all'ente, ma è altrettanto vero che ne! suo rapportarsi, si liinita pur se1npre a questo o quell'ente e alla sua rispettiva rivelazione. L'uotno si attiene alla realtà corrente e a quella che si lascia dominare, anche là dove è in gioco la realtà pri1na o la realtà ultiina. Anche quando si dà da fare per allargare, 1nutarc, far propria e assicurare la 1nanifestazione dell'ente nei diversi a1nbiti del suo agire e del suo tralasciare, anche allora assu1ne le indicazioni utili a questo scopo dall'orizzonte dei fini e dei bisogni correnti. Soggiornare nella vita corrente significa non lasciare che il nascondimcnto del nascosto si i1nponga e domini. Certo, anche nella vita corrente ci sono enign1i, indecisioni e dubbi, 1na queste strutturate problematiche, che si risolvono da sé, sono solo passeggere e transitorie nel cam1nino della vita corrente, e, co1ne tali, non sono essenziali. Là dove il nascondimento dell'ente in totalità viene ammesso cornc un limite che solo talvolta si annuncia, il nascondimento, co1ne evento fondamentale, è già affondato nell'oblio» (M. HEIDEGGER, Sull'essenza della verità, trad. cit., 35-36). 511 Jbid., 36-37. Lo stesso teina ritorna nella Gelassenheit: «Il senso del inondo tecnico si cela. Ma se noi osservian10 propriai11ente e di continuo che dovunque nel mondo tecnico ci tocca un senso nascosto, allora ci troviamo subito nel dominio di ciò che si cela pervenendo a noi. Ciò che in tal 1nodo si mostra e al conten1po si sottrae è il tratto fonda1nentale di ciò che chiainimno 111istero. Il co1nportarnento grazia del quale noi ci teniamo aperti per il senso nascosto del mondo tecnico io lo chiamo: /'apertura per n1istero» (M. HEIDEGGER, Ge/assenheit, Neske, Pfullingen 1959, 26, trad. nostra). Si veda, ancora su questo tema, il secondo saggio degli Ho/zwege, L'k'poca dell'i111111agi11e del 111011do. Da questo traiaino la parte finale che ri-


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17 rancesco Ventorino Ci troviamo pertanto di fronte allo smisurato oblio dell'umanità

insistente nell'assicurare se stessa con ciò che, di volta in volta, neila vita corrente le è accessibile. Questa insistenza ha il suo punto d'appoggio nel rapportarsi a ciò che l'ente, in sé manifesto, di sé offre, all1uomo. 1

«L'esserci ek-sistendo è insistente. Anche ne1l ek-sistenza insistente il mistero domina e si in1pone, ma come essenza obliata, e quindi "inessenziale", della verità» 51 • Assu1nendo con1e norn1a direttrice l'ente co1ne tale, l'un1anità si allontana dal mistero. Questo volgersi-a, volgendosi-da, diviene il disorientamento specifico dell'esserci. «L'irrequietezza che spinge l'uomo ad allontanarsi dal mistero per volgersi alla realtà corrente, e che lo fa procedere da uno all'altro degli oggetti della realtà quotidiana) sottraendogli il mistero è l'errare» 52 •

tcniaino pnrlicolarn1cnlc i1nportantc; «Appena il gigantesco della pianificazione, del calcolo, dell'organizzazione e dell'assicurazione porta il quantitntivo a capovolgersi in una sua propria qualità, ecco che il gigantesco e ciò che apparcntc1ncntc è sernpre intcran1ente calcolabile si trasfonnano, proprio perché la!i, nell'incalcolabile. Esso è l'on1bra invisibile, che si distende su tutte le cose quando l'uo1no sia divenuto subjectu111 e il inondo irn1nagine. A causa di quest'o1nbra il n1ondo 1nodcrno si dispone in una regione che sfugge alla rappresentazione, conferendo all'incalcolabile la detenninatezza che gli è propria e la specificità storica. Ma quest'o1nbra annuncia anche qualcos'altro la cui co1nprensionc ci è oggi vietata [ .. . ]. Conoscere quell'incalcolabile, cioè preservarlo nella sua verità, è possibile nlI'uo1no solo e in virtù di una interrogazione creatrice e in farnie sorrette dalla forza di una riflessione pura. Questn trasferisce l'uo1no futuro in quel .fì·a in cui egli apparliene all'essere e resta tuttavia straniero nell'ente» (M. HEJDEGCìER, Sentieri interroffi, trad. cit., 100-101). 51 M. HEIDECìGER, Su!!'essenza della verità, trad. cit., 37. 52 lbid., 38. <(L'uon10 erra. Con questo non si intende dire che l'uo1no cade nell'errare, 1na che seinpre si 1nuove nell'errare, perché ek-sistendo insiste, e quindi nell'errare già si trova. L'errare, in cui l'uo1no si 1nuove, non è qualcosa che trovandosi nelle prossiinità dell'uon10, attira l'uon10 a tal punto da farlo cadere talvolta con1e in una fossa, al contrario, l'errare appartiene all'intirna costituzione dell'esser-ci a cui l'uorno storico è affidnto. L'errare è l'n1nbito di quel volgersi in cui l'ek-sistenza in-sistente, aggirandosi, di1nentica e perde ogni volta se stessa. Il nascondi1nento della nascosta totalità dell'ente ùo1nina e si in1pone già nello svelamento di ogni singolo ente; detto svclainento, costituendosi con1e oblio nascosto, diventa errare. L'errare è l'essenziale antiessenza dell'essenza originaria della verità. Esso si 1nanifesta come ciò che è inanifesto in ogni contrapposizione alla verità essenziale. L'errare è la dirnora aperta e il fonda1nento dell'errore. Non si tratta di un errore particolare, nia dell'errore che regnn (e domina) nella storia in cui si intrecciano le tntn1e di tutti i 1nodi di errare>) (ibid., 38-39).


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

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L'errare è il cam1nino in cui l'umanità storica è costretta, cui è connesso il lento dischiudersi del mistero all'apertura dell'esserci 53 • «Il lasciar-essere l'ente si realizza nel rapportarsi che-sitiene-aperto. Il lasciar-essere l'ente come tale nella sua totalità non accade naturalmente, ma solo quando viene assunto nella sua originaria essenza. Allora il dischiudersi al mistero è il lungo cammino dell'errare co1ne tale» 54 . Lo sguardo che dall'errare si protende sul mistero pone il problema di che cosa sia l'ente come tale nella sua totalità, il problema dell'essere dell'ente. Il pensiero sull'essere pone il problema della filosofia e della metafisica. «Nel concetto di "essenza" la filosofia pensa l'essere»".

53 Anche questo len1a è ripreso negli Holzwege, dove !'erra111e11to è 1ncsso in rapporto con l'epoca!irà dell'essere, che è il suo destino storico: «L'essere si sottrae in se stesso 111enlre si scopre nell'ente. In tal rnodo l'essere, illu1ninando l'ente, lo svia ncl!'errarnento. L'ente è ciò che è ncll'crrainento, cioè errando auorno all'essere e dando così luogo all'errore carne catnpo orbitale. Questo è l'mnbito in cui ha luogo la storia. In esso ciò che esiste storican1cnte passa innanzi, errando, a ciò che gli è sin1ile. Ecco perché l'evento storico è necessariamente interpretato in 1nodo erroneo. Con questa interpretazione erronea, i! destino (Geschick) altende ciò che deriva dalla sua se1nìnagione. Esso porta coloro che ne sono toccali nella possibilità di essere conformi al destino oppure no. Il destino si prova nel destino. All'errore dell'uomo fa riscontro l'autonascondi1nento della luce dell'essere l ... ]. L'essere si sottrae 1nentre si scopre nell'ente. Così l'essere sta in se stesso con la sua verità. Questo 1nantenersiin-se-stesso è la tnanicra aurorale del suo scoprirnento. Il primo segno dcl mantenersi in sé è la a!et/Jeia. Mentre produce il non-esser-nascosto dell'ente, essa instaura l'esser-nascosto dell'essere che si 1nantiene in sé. Questo illuminante mantenersi in sé con la verità della propria essenza, possian10 chiamarlo 1'epoché dell'essere. Questo tcnninc, di origine stoica, non significa qui, come in 1-lusserl, il metodo della sospensione dcll'atlo etico della coscienza nell'oggettivazione. L'"epoca" dell'essere appartiene all'essere stesso. Essa è pensata a partire dall'oblio dell'essere. Dalla epocalità dell'essere deriva la nstura epocale del suo destino (Geschick) in cui è (ist) la storia autentica dcl inondo. Ogni qual volta l'essere si mantiene in sé nel suo destino, ne e-viene i1nprovvisa1nente cd in1prevedibil1ncnte un Mondo. Ogni epoca della storia dcl Mondo è un'epoca dell'erramenlo. L'essenza epocale dell'essere rientra nel carattere segrcta1nente te1nporalc dell'essere e carauerizza l'essenza del ten1po, pensata nell'essere» (M. HEIDEGGER, Sentieri interrolli, trad. cit., 314-315). 54 M. HEIDEGGER, Su/l'essenza della 1•erità, trad. cit., 41. 55 Ibid., 45.


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Francesco Ventorino

Ciò conduce Heidegger ad interrogarsi se il problema dell'essenza della verità non debba essere insieme e anzitutto il problema della verità dell'essenza% «L'essenza della verità non è la vuota "generalità" di una universalità "astratta", ma quell'Unico che si nasconde nell'unica storia che scopre il "senso" di ciò che chiamiamo essere, e che da lungo tempo siamo abituati a pensare solo come l'ente in totalità» 57 • Se la filosofia, anziché essere l'espressa dominazione del concetto, delle "essenze", sia sostenuta o determinata dalla verità, «è una questione che ha da essere decisa a partire dall'origine in cui l'essenza originaria della verità diventa essenziale per la problematicità che s1 pone pensando» 58 . A conclusione della conferenza che abbiamo preso in esame, Heidegger afferma che la questione decisiva relativa al senso dell'essere, o alla verità dell'essere e non solo dell'ente, non è stata intenzionalmente sviluppata. «Il pensiero si tiene apparentemente sulla via della metafisica, e tuttavia, nei suoi passi decisivi che conducono alla verità, come conformità alla libertà ek-sistente, e da questa alla verità

56 «Il problema relativo all'essenza della verità sorge dal problema relativo alla verità dell'essenza. Il priino problema intende l'essenza innanzitutto nel senso dell'eideticità (quidditas) o della entità (realitas), quindi, la verità con1c carattere della conoscenza. Il secondo problema, relativo alla verità dell'essenza, intende l'essenza verbalmente, e pur restando all'interno dell'appresentazione tipica della metafisica, nella parola pensa l'essere coinc differenza che si in1ponc e doinina tra essere e ente. Verità significa quel lu1ninoso nascondersi che è il tratto fondamentale dell'essere. Il problema relativo all'essenza della verità trova la sua risposta nella proposizione: /'essenza della verirà è la verità dell'essenza. Dopo i chiari1nenti dati si vede facil1nente che questa proposizione non vuol essere un se1nplice capovolgi1nento di parole per suscitare l'apparenza del paradosso. Il soggetto della proposizione, nel caso si debba ancora far uso di questa fatale categoria grainn1aticale, è la verità dell'essenza. Il lu1ninoso nascondersi è, ossia !ascia essenziare, la concordanza tra la conoscenza e l'ente [_ ... ]. La risposta al proble1na dell'essenza della verità è l'espressione di una svolta all'interno della storia dell'essere. All'essere, infatti, appartiene un lu1ninoso nascondersi, l'essere appare originariainente nella luce di un sottrarsi che nasconde» (ibid, 46-47). 57 Ibid., 45.

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L.c.


come nascondimento ed errare, determina una trasformazione del problema che implica il superamento della metafisica»".

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Ibid., 47. Altrove Hcidegger dà motivazioni più precise di questa necessità del superan1ento della 1netafisica: «Nessuna metafisica, sia essa idealistica o materialistica o cristiana, può, per la sua stessa essenza, e non semplicemente per i tentativi fin qui fatti, aprirsi sino a raggiungere la sua destinazione, ossia a raggiungere col pensiero e contenere in sé ciò che oggi é nel senso più pieno di essere» (M. HEIDEGGER, Su l'U111a11is1110, trad. cit., 110). «Il proble1na è proprio se l'essere possa venire considerato solo co1nc il concetto più generale e che si presenta inevitabilmente in tutti gli altri concetti, oppure se l'essere non sia un'essenza del tutto diversa e, per conseguenza, sia tutt'altro che l'oggetto di una "ontologia", intesa ahneno nel senso tradizionale. li termine "ontologia" è stato coniato per la prima volta nel secolo XVII. Esso sta a indicare il cosliluirsi della dottrina tradizionale dell'ente in forma di disciplina filosofica e co1nc branca speciale dcl sistema filosofico. Tale dottrina tradizionale consiste nello sn1e1nbraincnto e nella sisten1azione, ad opera delle scuole, di ciò che per Platone e Aristotele, e ancora per Kant, costituiva un proble111a, per quanto già non pili così originario. In tal senso il tcrn1ine "ontologia" è assunto ancora oggi. Sotlo questa denoininazione, ogni filosofia 1nira a proporre e a presentare una particolare disciplina all'interno del sistema. Il termine "ontologia" può venire assunto tuttavia anche "nel senso più ampio", 'senza riferimenti a particolari indirizzi o tendenze ontologiche' (cfr. Sei11 und Zeit, par. 3°). In tal caso il termine "ontologia" designa lo sforzo di portare l'essere alla parola, in virtù, appunto, della domanda: 'Che cosa ne è dell'essere?' (e non già soltanto dell'essente come tale). Sicco1ne però questa don1anda non ha trovato finora nessuna eco e ancor 1ncno una risposta, ma è stata anzi rifiutata espressamente dai vari circoli dell'erudizione filosofica scolastica, che 1nira a una "ontologia" in senso tradizionale, nieglio varrebbe, in futuro, rinunciare affatto ai tennini "ontologia" e "ontologico". Ciò che infatti risulta separnto da un abisso - co1ne si può fin d'ora chiara1nente intuire - nei confronti dello stesso 1nodo di i1npostare la do1nanda, non deve essere neppure chian1ato allo stesso 1nodo. Noi ponian10 la domanda: che cosa ne è dell'essere? qual è il senso dell'essere? non già per fondare un'ontologia di tipo tradizionale o nell'intento di rilevare criticamente gli errori dci precedenti tentativi. Si tratta di tutt'altro. Si tratta di ricollocare l'esi~ stenza storica dell'uomo, il che è con1e dire il nostro più autentico esserci futuro, con la totalità della storia a noi destinata (ùn ganzen der uns besti111111ten Geschichte), nella potenza dell'essere da rivelarsi in 1nodo originario: tutto ciò, beninteso, solo nei lin1iti del potere concesso alla filosofia [ ... ]. Affennimno dunque che il proporsi della do1nanda prelirninare ('Che cosa ne è dell'essere?') e, per conseguenza, il proporsi della do1nanda metafisica fondamentale, costituisce, da ci1na a fondo, un don1andare di cnrattcre storico[ ... ]. Il fatto di proporci la do1nanda n1ctafisica fondamentale costituisce qualcosa di storico in quanto, in virtù di ciò, l'accadere dcli 'essere un1ano, nei suoi rapporti essenziali, ossia nei suoi rapporti con l'essente co1ne tale nella sua totalità, risulta aperto su possibilità e su futuri impcrscrutati, e così ricollegato al suo inizio e reso più acuto e più grave nel suo pre~ sente. In questo domandare il nostro essere è convocato davanti alla storia, nel senso pieno della parola, è chiainato ad essa e a decidersi in essa. E questo non nel senso 1narginale della pratica applicazione di una posizione morale o di una concezione del


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Francesco Ventorino

Solo a partire dalla sua ex-sistenza, dal suo esser-ci, si prepara per l'uomo storico una JJrossùnità alla verità delflessere 60 . «La fase successiva del problema è in sé la via di un pensiero che, invece di offrire rappresentazioni e concetti, si sperimenta e si prova in questo mutato rapporto all'essere»".

mondo, n1a in quanto la posizione fondamentale e l'attitudine del do1nandare sono in

sé storiche, stanno e si mantengono nell'accadere (ùn Gescheben), si propongono a partire da esso e in vista di esso» (M. HEIDEGGER, Eù~fiihrung in die Metaphysik, Nic1neyer, Ttibingcn 1953, trad. it. di G. Masi, Introduzione alla Metqfi'sica, Mursia, Milano 1968, 51-55). «li concetto tradizionale di essere 11011 basta quindi a designare tutto ciò che è [ .. ]. L'intera concezione dell'essere propria della tradizione occidentale e, per conseguenza il fondainenlalc inodo di rapportarsi all'essere ancor oggi predon1inante, si possono riassumere nella fonnula "essere e pensare". Ma Essere e te111po (Sein 1111d Zeit) è un titolo che non si può in alcun n1odo collegare alle predette distinzioni. Esso porta in tutt'altro orizzonte proble1natico. Non si tratta in questo caso, di sostituire sen1plicemente la parola "ternpo" alla parola "pensare"; il fatto è che l'essenza del te1npo risulta detenninata fondamentahnente - e solo nell'orizzonte dcl probletna dell'essere - da punti di vista dcl tutto diversi f ... ]. f:ssere e te111po non rappresenta, in un tale ordine di idee, un libro, ma un co1npito. Con1pito autentico è quello che noi non sappiarno e che, nella 1nisura in cui lo sappian10 aurenticarnente, cioè co1ne cornpito, sappian10 sempre solo in guisa interrogativa .. Saper interrogare significa saper attendere, anche tutta una vita. Un'epoca tuttavia per la quale non è reale se non ciò che va in fretta e si lascia concretainente afferrare considera l'interrogare "estraneo alla realtà'', qualcosa per cui "non torna conto". Ma non è il conto essenziale, l'essenziale è i! te1npo opportuno, ossia il mon1ento giusto e la debita perseveranza» (ibid., 208-11). 60 Riportia1no ancora un brano de Su f'U111anis1110 che illumina ineglio questa affennazione: «L'essenza dell'uo1no consiste in ciò: ch'egli è più che semplice uon10, preso questo coine essere vivente e razionale. li più non va qui inteso co1nc un'aggiunta, co1ne se a rondan1ento della sua determinazione dovesse restare la sua tradizionale definizione, e si dovesse poi mnpliarla con la semplice aggiunta dell'esistenziale. Il pili, invece, significa: più originarian1ente, e però pili essenzialmente. Ma, ecco, qui, il n1istcro: l'uorno è gettato nel n1ondo. Ossia: l'uo1no, co1ne esistenza gettata verso l'essere, è tanto più anùnal rationa{e, quanto meno esso è rispetto all'uo1no che si co1nprende dal punto di vista della soggettività. L'uo1no non è il padrone dell'essente. L'uo1no è il pastore dell'Essere. In questo 111eno l'uo1no non ci perde; anzi ci guadagna, poiché egli perviene alla verità dell'Essere. Egli guadagna l'essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste in questo: di esser chian1ato dall'Essere slesso alla custodia della sua verità. Questa vocazione appartiene all'essere esistenziale, in quanto proiezione dell'Essere, in chi è radicato il suo essere gettato nel rnondo. L'uoino è, nella sua essenza storica, quell'essente, il cui essere co1ne exsistcnte consiste in questo: che egli abita nella vicinanza dell'Essere» (M. HEIDEGGER, Su !'U111a11is1110, trad. cit., 1 l l). 61 M. HEJDEGGER, Sull'essenza deffa verità, trad. cit., 48.


Verso-un'ontologia della-comprensione. Martin Heidegger ----

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Qui ci troviamo di fronte all'indicazione di un passo in avanti da fare. Si annunzia quindi uno svolgimento ulteriore del pensiero che deve sperimentare se stesso nel nuovo rapporto con l'essere indicato da Sull'essenza della verità. Ma Heidegger ha percorso solo sentieri che si perdono nel bosco ( Holzwege), ovvero ricerche che si inoltrano nel bosco dell'essere dove traluce il luminoso nascondersi. Questi sentieri, che esprimono il senso della ricerca umana, avanzano per un tratto nel bosco e poi finiscono per perdersi in esso. Sono quindi, ad un tempo, via e smarri1nento.

Qual è la via, dunque, di un pensiero che invece di offrire rap1

presentazioni e concetti, che pretendono un dominio sull essere, si

sperimenta e si prova in un mutato rapporto con l'essere che è l'apertura dell'esserci ad esso? Noi siamo riusciti, analizzando alcuni scritti di Heidegger, a cogliere soltanto queste indicazioni. Si tratta di un pensiero che rimane aperto al senso nascosto dell'essere, che conserva nel pensare I1ente o I1essere dell cnte la sua costitutiva «apertura per il 111istero». Un pensiero così concepito lascia aperti a ciò che attendiamo, cioè, detto in altri termini, si tratta di attendere in questa apertura per il mistero. E ciò è possibile in quanto noi già apparteniamo a ciò che attendiamo. Così non resta che attendere finché ciò che è da pensare non ci si rivolga reclamandoci. Ma attendere qui non significa in nessun modo che noi differiamo anzitntto il pensare; attendere significa qui: andar in traccia, all'interno di ciò che è stato già pensato, del non pensato che si nasconde ancora in ciò che è stato pensato. Per questo at1

tendere noi siamo già, pensando, su un cammino che conduce a ciò che

è da pensare. L'attendere è il movimento opposto dell'affrontare: attendere si-

gnifica «andar vicino» o «andar nella vicinanza» o, 1neglio, «affidarsi

nella vicinanza». Poiché l'essenza dcl pensare è l'essenziale rapporto umano alla verità, che è la vicinanza del lontano. Attendere è lo stupore dell'essere-affidato alla verità dell'essere.


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La verità non si lascia oggettivare, perché essa sta nel dis-velamento dell'essere, nell'apertura esistenziale dell'esserci. Sembra che per Heidegger l'uomo non possa dir altro, almeno nella nostra epoca. Ogni altro dire appare come una pretesa di affrontare per dominare la verità dell'essere, che a questo dire fatalmente si sottrae. La questione circa la possibilità del «dire sull'essere» ci riporta al problema dell'essenza del linguaggio. Già in Essere e tempo Heidegger si era posta tale questione ed aveva tentato una definizione del linguaggio come espressione del discorso, che è larticolazione della comprensibilità propria dell'Esserci come essere-nel-mondo 62 • La totalità articolata di significati della comprensibilità accede alla parola. «I significati sfociano in parole. Non accade, dunque, che parole-cosa vengano fornite di significati. Il linguaggio è l'espressione del discorso»". In base ad esso il discorso si fa comunicante".

62

((Il fondrunento 011tologico-esiste11tiale del linguaggio è il discorso f .. ]. li discorso è esistenziahnente cooriginario alfa situazione en1otiva (cioè alla situazione dell'Esserci in quanto esser-gettato nel mondo, nota nostra) e alla co111prensio11e. La comprensibilità, anche prin1a dell'interpretazione appropriante è già sc1npre articolata. Il discorso è l'articolazione della comprensibilità [ ... ]. Se il discorso, articolazione della co1nprensibilità del Ci, è un esistenziale originario dell'apertura, e se questa, a sua volta, è primarian1ente costituita dall'essere-nel-mondo, anche il discorso deve avere, per essenza, un modo di essere 1nondano specifico. La co1nprensione emotiva1nenle situata dell'essere-nel-mondo si esprùne nel discorso» (M. HETDEGGER, Essere e te111po, trad. cit., 25 l-252). «Il discorso, rientrando nella costituzione esistenziale dell'apertura dell'Esserci, è costitutivo dell'esistenza dell'Esserci [... ]. Il discorso è l'articolazione "significante" della cornprensibilità di quell'essere-nel-rnondo di cui fa parte il con-essere e che si 1nantiene sempre in una modalità determinata dell'essere-assieme prendente cura [ ... ], infatti il discorso con-costituisce l'apertura dell'essere-nel-mondo, e la sua struttura è dominata da questa costituzione fondamentale dell'Esserci» (ibid., 252-253). 63 !bid., 252. 64 «Nella comunicazione si costituisce l'articolazione dell'essere-assieme con1prendente. Essa realizza la "co1npartecipazione" della situazione emotiva con1une e della cotnprensione del con-essere. La con1unicazione non è il trasferi1nento di esperienze vissute, di opinioni o di desideri, dall'interno di un soggetto all'interno di un altro. Il con-Esserci è già essenzialn1ente rivelato nella situazione e1notìva comune e nella cornprensione comune. Nel discorso il con-essere viene partecipato "cspressa1ncnte"; dunque esso è già, 1na non è ancora partecipato perché non è ancora afferrato e appropriato. Ogni discorso sopra f... J comunicante attraverso ciò-che-dice, ha anche il carattere dell'espriinersi. Parlando, l'Esserci si esprime; non perché sia prima incapsulato in un


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

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«Poiché il discorso è costitutivo dell'essere del Ci, cioè della situazione emotiva e della comprensione, e poiché "Esserci" significa essere-nel-mondo, l'Esserci in quanto in-essere che discorre, ha già sempre espresso se stesso. L'Esserci ha il linguaggio [ ... ]. L'uomo si presenta come l'ente che parla» 65 • Nella sua riflessione ulteriore sull'essenza del linguaggio, Heidegger afferma che «il riflettere sul linguaggio esige [ ... ] che noi ci inoltriamo entro il parlare del linguaggio per prendere dimora presso il linguaggio: nel suo parlare, cioè, e non nel nostro. Soltanto così possiamo raggiungere quel dominio entro cui può riuscire, come può anche non riuscire, che il linguaggio ci riveli la sua essenza. E' al linguaggio che va lasciata la parola [ ... ]. Riflettere sul linguaggio significa pervenire al parlare del linguaggio in modo che questo parlare avvenga come ciò in cui all'essere dei mortali è dato ritrovare la propria din1ora» 66 • Prendere dimora presso il linguaggio significa introdursi nell'essenza del linguaggio che è quella di essere la dimora dell'Essere 67 • Questa dimora è richiesta dall'uomo per vivere la sua propria essenza. L'uomo è uomo in quanto corrisponde e annuncia la parola che viene da quella dimora dell'essere che è il linguaggio 68 . "dentro" contrapposto a un fuori , n1a perché esso, in quanto essere-nel-mondo, con1prendcndo, è già "fuori". Ciò che viene espresso è proprio l'esser-fuori, il 1nodo particolare della sua situazione e1n0Liva (la tonalità c1notiva) che, come abbia1no già chiarilo, investe in pieno l'apertura dell'in-essere. L'indice linguistico della rivelazione della situazione e1notiva dell'in-essere da parte del discorso è costitutivo dalla cadenza, dalla modulazione, dal "tempo" del discorso, dal "1nodo di parlare". La comunicazione delle possibilità esistenziali della situazione emotiva, cioè l'apertura dell'esistenza, può costituire il fine specifico de! discorso "poetico"» (ibid., 254.). 65 !bid., 258. 66 M. HEIDEGGER, Unterwegs zur Sprache, Ncske, Pfullingen 1959, trad. it. di A. Caracciolo e di M. Caracciolo Perotti, /11 ca111111ino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973, 28-29. 67 Cfr. ibid., 99. «Quel che ho in 1nenle con quella espressione non è l'essere dell'essente n1etafisica1nente n.1ppresentalo, bensì l'essenza dell'essere, più precisan1ente la differenza (Zwiefal!) di Essere ed essente, tale differenza tuttavia sotto l'aspetto del suo esser degna d'essere pensata» (ibid., 102-103). 68 «E' quesla differenza che esige l'uo1no per la sua propria essenza. L'uo1no è pertanto uoino in quanto corrisponde alla parola della Differenza e la annuncia nel rnessaggio che ad essa la Differenza ha affidato. Ciò che predo1nina e regge nel rapporto dell'essenza dell'uon10 con la Differenza è perciò il Linguaggio. E' queslo che detennina il rapporto ermeneutico» (ibid., 105).


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E' in questo rapporto, che Heidegger chiama rapporto enneneutico, e per cui l'uomo è «nell'atto che par fatto strumento, rispettato e realizzato nella sua essenza, che egli, proprio per tale sua essenza, entra al servizio affrancante (Brauch) di ciò che a sé lo rivendica[ ... ] ermeneuticamente, cioè come portatore di un annunzio, come depositario di un messaggio» 69 . Non è possibile, quindi, dominare il linguaggio, quanto piuttosto è necessario porsi nei suoi confronti in un atteggiamento di ascolto. «Il parlare è, per se stesso, un ascoltare. E' il porgere ascolto al linguaggio che parliamo. Perciò il parlare è, non al tempo stesso, bensì pnma, un ascoltare. Questo ascolto del linguaggio anche precede nel modo avvertibile - ogni altro possibile ascoltare. Noi non solamente parliamo il linguaggio, ma parliamo (attingendo moto e sostanza del parlare) dal linguaggio. E ciò possiamo unicamente per il fatto che sempre già abbiamo prestato ascolto al linguaggio. Ma che ascoltiamo? Ascoltiamo il parlare del linguaggio»"'·

69

lbid., l 07. !bid., 199. E così prosegue: «Ma allora è il linguaggio stesso che parla? Co1ne polrà 1nai far questo? Ha forse organi vocali? Eppure il linguaggio parla. Esso segue, innanzitullo e veracen1enlc, il coinando di ciò che fa essere il parlare: il dire. Il linguaggio parla in quanto dice, cioè niostra. Il suo dire scaturisce dal Dire originario, sia o per quanto si è fatto parola sia per quanto è ri1naslo ancora inespresso, da quel Dire originario che trapassa il profilo del linguaggio. Il linguaggio parla nell'atto che, corne i\1ostrare (als die Zeige), raggiungendo tutte le contrade di ciò che può farsi presente, fa che da esse appaia o dispaia quel che di volta in volta si fa presente. Di conseguenza noi porgian10 ascolto a! linguaggio in 1nodo da lasciarci dire da esso ìl suo Dire. Quale che sia il 1nodo con cui ascoltiarno, ogni qualvolta ascolliamo qualcosa, scn1prc l'ascoltare è quel !asciarsi dire che già racchiude ogni percepire e rappresentare. In quanto il parlare è ascolto dcl linguaggio, parlando, noi, ri-dicia1no il Dire che abbia1no ascoltato. Lasciamo che ci giunga la sua voce che non ha suono, e vogliamo il suono che è stato tenuto in serbo per noi, e, protendendoci ad esso, lo chian1ian10. Un tratto, per lo meno, è probabile risulti, a questo punto, pili chiara1nente nel profilo dcl linguaggio; cornc cioè il linguaggio abbia la sua identità nel parlare, e con1e quindi esso, in quanto linguaggio, parli. Se il rarlarc cornc ascolto ciel linguaggio lascia che il Dire dica, questo "lasciare che" può avvenire e dar frullo solo nella 1nisura in cui il nostro proprio essere è inirnesso nel Dire originario. Noi possia1no ascoltare tale Dire per il fatto che rientri<:itno nel suo ùoininio. Solo a quelli che gli appartengono il Dire originario accorda l'ascolto dcl linguaggio e, conscgucntc1nentc, il parlare. Nel Dire originario tale accorciare (è, vale a dire) perdura. Esso ci fa pervenire alla capacità di parlare. Ciò che fa essere il 70


Verso un 'ontologia della comprensione. Martin Heidegger

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Fare esperienza dcl linguaggio significa quindi «lasciarsi prendere dall'appello del linguaggio, assentendo ad esso, conformandosi ad esso. Se è vero che l'uomo ha l'autentica dimora della sua esistenza nel linguaggio, indipendentemente dal fatto che ne sia consapevole o no, allora un'esperienza che facciamo del linguaggio ci tocca nell'intima struttura del nostro esistere. In quanto parliamo il linguaggio, possiamo allora, in virtù di siffatte esperienze, essere trasformati sul momento oppure col tempo» 71 • E' nel tentativo di rendere possibile una esperienza pensante del linguaggio, di un pensare che è prima di tutto un ascoltare, un lasciarsi dire e non un interrogare, che Heidegger vuol cogliere la vicinanza tra il pensare ed il poetare, per giungere ad un pensare che sia il più possibile poetare". Contro un pensare che diventa sempre più decisamente ed esclusivamente un calcolare e che riduce tutto ad insignificanza7\ I-Ieideggcr va alla ricerca della suddetta vicinanza che, lungi

dall'essere individuata in rapporti oggettivabili, va concepita e attesa come «l'evento in virtù del quale poetare e pensare vengono costituiti

nella loro propria essenza» 74 • Solo se pensare e poetare sono costituiti nella loro propria essenza, si scopre la loro affinità che è quella del dire. «Se però l'affinità fra poetare e pensare è quella del dire, allora siamo portati a supporre che l'Evento domini come quel Dire originario nel quale il linguaggio ci dice la sua essenza. Il suo dire non si perde nel vuoto. Esso ha già sempre raggiunto il segno. Che altro è questo segno se non l'uomo? Ché l'uomo è solo se ha risposto affermativamente alla Parola del linguaggio, se è assunto nel Linguaggio perché lo parli» 75 • Il dire sull'essere, pertanto, deve divenire sempre più il canto della salvezza dei «poeti del tempo della povertà», che si mantengono sulla traccia di ciò che debbono cantare, sulla traccia della salvezza; un canto che canti in 1nodo essenziale) che corrisponda all'epoca del linguaggio poggia in questo Dire originario che accorcia e assicura» (ibùl., 199-200). Per unn ulteriore precisazione del concetto di Dire originario cfr. ibid, 199. 71 lbid., 127. 72 Cfr. ibid., 147. 73 Cfr. ibid., 150. 74 /bid., 155. 75 L.c.


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mondo che sta per giungere. «Questa epoca non è né decadenza né tramonto. In quanto destino (Geshick) essa riposa nell'essere e pretende l'uomo per sé» 76 • Ci troviamo di fronte all'urgenza di un superamento del discorso che l'uomo ha fatto sull'essere e dell'instaurarsi di un nuovo rapporto ermeneutico nel cuore del linguaggio. Tutto ciò, come abbiamo già osservato, comporta un superamento della metafisica come pretesa di dominio sull'essere da parte del pensiero"-

3. I.fondamenti del discorso heideggeriano

Heidegger sviluppa quella che felicemente è stata chiamata da Ricoeur una «ontologia della comprensione» 78 •

76 M. HEIDEGGER, Sentieri interrotti, trad. cit., 296.

77 Osserva appunto Hciclegger: «Ma se il linguaggio è il mo1ncnto fondsmentale nella servitù affrancante cn11eneutican1enle dctcnninata, ciò significa che il suo n1odo di esperire il linguaggio è originariarnente diverso ùa quello proprio della 1nentalità 1nelafisica» (M. HEIDEGGER, In ca111111i110 verso il linguaggio, traci. cit., 108). 78 «Vi sono due n1odi per fondare l'cnncncutica nella fenon1enologia. C'è la via corra, della quale parlerò per pri1na, e c'è la via lunga, quella che proporrò di percorrere. La via corta è quella di una ontologia della comprensione alla n1a11iera di Heidegger. Chicuno "via corta" una sinzile 011tofogia della con1prensione, perché, rompendo con i dibattiti di n1etodo, si colloca iinmcdiataincnte sul piano di una ontologia dell'essere finito, per ritrovarvi il co111prendere non pili con1e un modo di conoscenza, ma co1ne un 1nodo d'essere. Non si enlra a poco a poco in questa ontologia della eo1nprensione; non vi si accede per gradi, approfondendo le esigenze metodologiche dell'esegesi, della storia o della psicanalisi: ci si trasporta in essa con un i1nprovviso capovolgin1ento della proble1natiea. Alla do1nanda: a quale condizione un soggetto conoscente può co1nprendere un testo o la storia?, si sostituisce la don1anda: che cosa è un essere, il cui essere consiste nel co1nprenclere? Il problc1na ermeneutico diviene così una provincia dell'Analilica di questo essere, il Dasein, che esiste nell'atto di co1nprendere» (P. RICOEUR, Le conflit des interprétations. Essais d'hennéneutique, Le Seui!, Paris 1969, Lrad. it. di R. Balzarolli, F. Bolturi, G. Colombo, li conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano 1977, 20). Pili avanti Ricoeur soggiunge: «Ciò che deve dunque essere considerato in tutla la sua radicalità, è il eapovolgi1nento della questione stessa, il capovolgimento che melle una ontologia della eo1nprensione al posto di una episten1o!ogia dell'interpretazione. Si tratta di sottrarsi ad ogni posizione dcl proble1na in senso erke1111tnistheotetsch, e di conseguenza, si tratta di rinunciare all'idea che l'ermeneutica sia un 1netodo degno di !ollare ad anni pari con quello delle scienze naturali. Dare un metodo alla con1prensione, è ancora restare dentro i presupposti della conoscenza oggettiva e dentro i pregiudizi della teoria kantiana della conoscenza. Bisogna dunque uscire deliberatamente


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Egli vuole ricondurre l'ermeneutica all'interno della comprens10ne che l'uomo ha di sé, della propria essenza. La strada che conduce a questa comprensione non è quella del perfezionamento concettuale e perciò del discorso "metafisico", quanto piuttosto quella dell'analitica esistenziale dell'essere-nel-mondo, come estatico rapporto col tralucere dell'essere. A partire da una fenomenologia dell'atto del conoscere, l'uomo comprende se stesso come ek-sistente, cioè come uno stare estatico dentro la verità dell'Essere. Questa comprensione che l'uomo ha di sé si verifica all'interno dì una concezione della conoscenza come apertura a ciò che è manifesto in quanto tale, l'ente, cioè nel raggiungere l'essenza della verità. Heidegger può pertanto affermare che l'essenza della verità è la verità dell'essenza dell'uomo. L'uomo come ek-sistente è, dunque, libertà che lascia essere l'ente, che si affida ad esso, alla sua manifestazione, che si es-pone nell'essere svelato dell'ente. Esiste un accordo originario, che Heidegger chiama «esposizione ek-sistente intenzionata», della libertà con l'ente in totalità, che penetra e precede il rapportarsi dell'uomo con l'ente. Questo rapportarsi è determinato dalla rivelazione dell'ente in totalità. La totalità dell'ente però è l'incalcolabile e l'inafferrabile che sfugge all'uomo, che si nasconde nella manifestazione dell'ente, il mistero.

dal cerchio incantato della problematica dcl soggetto e dell'oggetto, ed interrogarsi sull'essere. Ma, per interrogarsi sull'essere in generale, bisogna pri1na interrogarsi su quell'essere che esiste come tnodo di comprendere l'essere. Cotnprendere, allora, non è più una forma di conoscenza, 1na la fOnna di questo essere che esiste nell'atto di com~ prendere» (ibid., 21 ). E ancora più avanti: «Ecco la rivoluzione introdotta da una ontologia della cotnprensione. JI cornprcndere diviene un aspetto del "progetto" dcl Daseh1 e della sua "apertura all'essere". Il problema della verità non è più il problerna dcl n1etodo, 1na il problema della rnanifcstazione dell'essere, per un essere la cui esistenza consiste nella co1nprcnsione dell'essere)) (ibid., 23). E conclude: «Heidegger non ha voluto considerare alcun problema particolare concernente la comprensione di questo o quell'ente: ha voluto rieducare il nostro occhio e riorientare H 1ibstro sguardo; ha voluto che subordinassimo la conoscenza storica alla comprensione ontologica, co1nc avviene di una forn1a derivata da una fonna originaria» (ibid., 24).


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L'esserci dell'uomo come es-posizione originaria all'essere è penetrato e dominato quindi dal mistero. Il mistero domina persino sull'oblio insistente che di esso ha l'uomo, generando in lui un errare fra gli enti. Questo errare è il lungo cammino del dischiudersi dell'uomo al mistero stesso. Il problema dell'essere, o dell'ente in totalità, non è risolubile all'interno di un pensiero che pensa con le vuote generalità delle categorie filosofiche di natura metafisica, perché l'essere è l'Unico che si nasconde nella storia dell'uomo, irriducibile alla somma degli enti e quindi a quelle generalizzazioni con le guaii l'uomo presume di possederlo. Si impongono un pensiero ed un dire sull'essere che, invece di concetti, offrano un mutato rapporto con esso, ossia la possibilità di andare nella prossimità della verità dell'essere, la capacità di attenderne la manifestazione, nello stupore dell'essere-affidato. L'interpretazione e la sua problematica sono così ricondotte da Heidegger all'interno della comprensione dell'Esserci, la quale vuole essere raggiunta, libera da ogni presupposto metafisico, attraverso una analitica esistenziale, che si sostanzia in una fenomenologia dell'atto del conoscere. Ci sembra, pertanto, che questa sia la prima domanda da porre: Heidegger si mantiene all'interno di un processo fenomenologico? L'affermazione fondamentale, che riguarda insieme l'essenza della verità e la verità dell'essenza dell'uomo, è che la conoscenza è l'apertura a ciò che è manifesto in guanto tale, l'ente. Questa affermazione circa l'essenziale ("in guanto tale") essere manifesto dell'ente, cui l'uomo è intenzionalmente aperto, può dirsi fondata su un approccio fenomenologico o non implica già una scelta che non può non essere in Heidegger, dato il suo rifiuto della metafisica, essa stessa esistenziale, ossia una decisione per la verità come possibilità per l'uomo? Ancora, la concezione del1a conoscenza come apertura a ciò che è manifesto in guanto tale presuppone un accordo originario dell'uon10 come ek-sistente, cioè come libero, con la verità dell'essere, l'ente in totalità. Questo accordo originario, definito come es-posizione intenzionata (la forma passiva dice che questa non nasce dalla


Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger_~3 libertà dell'uomo, ché anzi la libertà stessa è posseduta da essa), suppone una "dipendenza" ontologica dell'uomo dalla verità che certamente non è attingibile da una analisi fenomenologica esistenziale neutrale, cioè non dipendente a sua volta da una concezione dell'uomo, dell'essere e della realtà tutta. Particolare rilievo va dato alla visione che Heidegger ha dell'ente in totalità, cioè dell'essere nella sua verità ultima, che si sottrae storicamente all'uomo, producendo il suo erramento fra gli enti, della cui 111anifestazione tuttavia l'uomo deve ri1nanere in attesa, facendo di questa attesa il senso stesso del suo esser-ci nella storia. Qui è da rilevare che la conoscenza ultima della verità dell'ente, secondo Heidegger, avviene all'interno della totalità dell'essere. Ci chiederemo perciò quanto egli in questo non risenta, soprattutto nell'impiego di questa categoria (l'ente in totalità), dello storicismo e in particolare di quello storicis1no n1arxista di cui Lukàcs è un esponente contemporaneo1<J.

79 La tratlazione cli questo terna è volutamente limitata, perché ci condurrebbe al di là degli interessi propri di questo studio. Tultavin ci incoraggia, nel sostenere l'accosta1nento che abbiaino fallo, l'affennazione co1nunc ad Heidegger e a Lukbcs, che il rapporto dell'uo1no con l'ente nella sua particolarità è dctcnninalo dall'ente in totalità, nonché la con1une concezione della storicità di questo rapporto, anche se per Hcideggcr questo ri1nane una rivelazione della quale l'uo1110 resta in attesa, per Lukàcs, invece, questo si con1pie nella coscienzw dcl prolelariato. In ogni caso è in questa tensione alla Lolalità che si supera, per Hcideggcr quell'errare fra gli enti, che ha diverse fonne nelle diverse epoche storiche, per Lukàcs il perdersi nella i1nmediatezza oggettuale prodotta da un'epoca storica dcLenninata, quella dcl capitalisn10. In S!oria e coscienza di classe, infaLti, Lukàcs afferma: «Ciò che importw è dunque, da un lato, liberare i fenon1eni da questa forn1a i111111ediata di datità, trovare le 1nediazioni 1nedìante le quali essi possano essere riferiti al loro nucleo, alla loro essenza e colti nella !oro stessa essenza, e, d'altro lato, ottenere la co1nprensione di questo loro caratlerc di feno1neno, del loro apparire con1e loro necessaria forn1a fenomenica» (G. LUKACS, Geschichte 1111d Klassenbewusstsei11, Vienna 1922, trad. it. di G. Piana, Storia e coscienza di classe, Sugar, Milano 1967, 11). «Solo operando questa connessione, nella quale i falli singoli della vita sociale vengono integrati in una totalità co1ne n1on1cnli dello sviluppo storico, diventa possibile una conoscenza dei fatti come conoscenza della realtà» (ibid., 12). Il passaggio dal!'i1nmedialezza del dato alla conoscenza della sua realtà accade, per Lukàcs, attraverso un processo dialettico di 111edinzione della totalità: «La genesi, la produzione ciel produttore della conoscenzn, la dissoluzione dell'irrazionalitl1 de!la cosa in sé, il risveglio dcll'uo1no sepolto trova dunque il suo centro concreto nella questione dcl 111etodo dialettico» (ibid., 187).


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Questa categoria è estranea ad Hcidcgger, il quale non concepisce la totalità co1ne termine di un processo con il quale si perviene ad un sapere assoluto. Questa pertanto, per Heidegger, mantiene il suo rapporto con l'ente in quel processo di velamento dis-vclamento, nel quale, pur rendendosi presente per illu1ninarc l'ente particolare, rimane ulti1namente nascosta, i1npedendo sempre un'adeguata e totale comprensione dell'essere e della storia, che ecceda la consapevolezza di questa tensione necessaria all'essenza della verità. Da ciò deriva ancora una differenza fra i due autori nella concezione della totalità come trascendenza rispetto agli enti. Mentre per Hcidegger essa è irriducibile, infatti, alla son11na degli enti, per Lukàcs essa tende a ridursi alla società nel suo co1nplesso, o alla sLessa struttura oggettuale autentica della società e della storia; «L'oltrepassamcnto dell'immediatezza dell'empiria e dei suoi riflessi razionalistici, anch'essi purainentc i1n1nediati, non deve quindi assumere il senso di un tentalivo di andare al di là dell'immanenza dell'essere (sociale), se non si vuole che questo falso Lrascendi1nento non fissi e renda elerna ancora una volla, in modo filosofica1ncnte subli1nato, l'immediatezza dell'empiria con tutti i suoi interrogativi insolubili. L'oltrepassamento dell'empiria può significare soltanto, all'opposto, che i suoi stessi oggetti debbono essere afferrati e co1npresi come 1nomenti della totalità, cioè co1ne 1no1nenti della società complessiva, che si trasforma nella storia. La categoria della mediazione come leva tnetodologica per il superamento della 1ncra in1medialezza dell'en1piria non è quindi qualcosa che interviene dall'esterno (soggettivamente) negli oggetti, non è il giudizio di valore o un dover essere che si contrapponga al loro essere, n1a il rivelarsi della loro stessa struttura oggettuale autentica ed oggettiva;> (ibid., 214). «La totalità della storia - infaui - è essa stessa una forza storica reale anche se finora non è divenuta cosciente e non è stata perciò riconosciuta - una forza che non può essere separata dalla realtà (e perciò conoscenza) dei fatti storici particolari, senza soppri1nere anche la loro realtà, la loro fatticità. Essa è la base reale ed ultin1a della loro realtà, della loro fatLicità, e perciò della loro vera conoscibilità anche in quanto sono fatti particolari» (ibid., 201). Anche per Hcidegger la storia è dctenninata dall'ente in totalità, ma in quanto nel n1antcnersi in sé ne! suo destino genera un'epoca storica, come un'epoca dell'erra1nento; così ogni epoca dell'essere appartiene all'essere stesso: essa non può essere pensata che a partire dal suo oblio storico, e al fondo dal carattere segretmncnte temporale dell'essere stesso. Ma in Lukàcs il presupposto è che l'uomo può appropriarsi compiutamente del senso dell'essere storico nella sua totalità; in quanto tale esso non è tanto invitato all'attesa e alla esposizione estatica di fronte al mistero dell'essere, quanto alla presa di coscienza del suo con1pito storico, resa possibile dal raggiungi1nento progressivo della sua verità reale: «La storia non si presenta più come un accadere enig1natico, che si compie accanto all'uomo e alle cose, che va spiegato ricorrendo all'intervento di poteri trascendenti oppure che può essere reso significativo solo nel riferì1nento a valori che lo trascendono. La storia è invece il prodotto dell'attività dell'uo1no, rimasto sia pure inconsapevole fino ad oggi; d'altro lato, essa è l'avvicendarsi di quei processi nei quali si sovvertono le forme di questa attività, le relazioni che l'uomo stabilisce con se stesso, con gli uomini e con la natura» (ibid., 245). Allora <d'azione della categoria della totalità si estrinseca [ ... ] 1nolto pri1na che essa possa iliu1ninare la con1pleta varietà degli oggetti. Essa si afferma proprio nella presenza di questa intenzione diretta alla modificazione dell'intero nell'azione apparente1ncnte riferita, sia dal punto di vista dcl contenuto sia da quello della coscienza, agli oggetti parlicolari: nel suo senso oggettivo, l'azione è rivolta alla


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E nello stesso tempo è da rilevare il presupposto della inattingibilità, da parte dell'uomo, di questa totalità, terna !auto caro a quella reazione allo storicismo che si rifà alla opposizione kierkegaardiana nei confronti di un sapere assoluto che nasce dalla ragione speculante, ed afferma piuttosto un donarsi della Verità nel paradosso cristiano"'· 1nodificazione dell'interno» (ibid., 231). L'azione dell'uomo rivolta alla 1nodificazione dell'intero qui prevale nei confronti dcl più umile atteggiamento, suggerito da Hcidcggcr all'uoino, dcl non alienarsi nel particolare o nella presunzione di ridurre l'essere al calcolabile, al programmabile, all'intero conosciuto; ma di ri1nanere sempre nella consapevolezza della insondabilità dcl suo mistero. Forse nel rapporto fra questi due autori emerge con più chiarezza il duplice bisogno dell'uomo: la necessità di un progetto storico all'interno di una ideologia (veduta globale della sloria) e dall'allro lato la necessità di un riferùnento ulteriore, assoluto, inafferrabile dentro alcuna presunta visione globale de! mondo. Da quanto detto risalta con più evidenza come la problematica che svolge Heidegger richieda da un canto più esplicita fondazione e dall'altro maggiore articolazione nella complessità della realtà esistenziale. 80 Accenniamo soltanto anche a questo terna nei limiti impostici dalla nostra trattazione. Per una definizione del paradosso cristiano in Kierkegaard, in opposizione al sapere della ragione speculante, è utile riflettere su queste affermazioni essenziali: «Come vien fuori il paradosso? Per il fatto che la verità eterna essenziale e l'esistere sono posti insie1ne. Se noi allora facciamo questa composizione nella verità stessa, ecco che la verità diventa un paradosso. La verità eterna è divenuta nel tempo. Questo è il paradosso: se a causa dcl peccato il soggetto era prima impedito di riprendersi nell'eternità, ora non deve preoccuparsene; perché ora la verità eterna essenziale non sta all'indietro ina in avanti, perché essa precede con l'esistere e con l'avere esistito per suo conto, così che se l'individuo non ottiene la verità esistendo, nell'esistenza, egli non l'otterrà mai. Accentuare l'esistenza più di quanto ora si è fatto, non è 1nai possibile. La deviazione della speculazione, di voler ricordarsi al di fuori dell'esistenza, è resa impossibile. Qui ci può soltanto esser questione di comprendere questo: ogni speculazione, che vuole essere speculazione, mostra eo ipso di non comprendere il problema. L'individuo può respingere tutto questo e rifugiarsi nella speculazione: ma accettare il problema e poi volerlo togliere con la speculazione è impossibile: perché questo è fatto apposta per i1npedire la speculazione» (S. KIERKEGAARD, Afsluttende wvidensakabelig Efterkrift ti! de philosophiske S111uler, 1846, trad. it. di C. Fabro, Postilla conclusiva non scientifica alle "Briciole di Filosofia", in S. KlERKEGAARD, Opere, Sansoni, Firenze 1972, 371). «Il cristianesimo, così come è co1npreso dalla speculazione, è qualcosa di ben altro da co1ne lo si presenta alle persone semplici. Per esse il cristianesimo è il paradosso, ma la speculazione sa di togliere il paradosso. Non è quindi il cristianesimo che è, era e sarà la verità, né la comprensione dello speculante è la comprensione dcl fatto che il cristiancsi1no è verità: no, è la co1nprensione che lo speculante si fa del cristianesimo che è la verità del cristianesin10. La co1nprensione è quindi di qualcosa di altro dalla verità: non è che la verità sia co1npresa soltanto quando la comprensione ha co1npreso tutto ciò che è contenuto nella verità; n1a piuttosto è così, che solo quando quella ve-


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Heidegger, pur rifiutando la possibilità da parte dell'uomo di adeguare la totalità, la verità dell'essere, con il pensiero speculativo, afferma la necessità per l'uomo di rimanere in attesa della sua manifestazione, presupponendo che esista una verità, un senso per l'uomo e per la storia, pur dichiarandolo essenzialmente mistero inattingibile. Egli ci sembra dibattuto tra l'esigenza di una comprensione dell'uomo da parte di se stesso, da estorcere ultimamente con un metodo rigorosamente analitico-razionale, e l'impossibilità di dare adeguata risposta a tale esigenza all'interno di questo metodo stesso 81 •

rità katà dyna111i11 è co1nprcsa nel rnodo co1nc lo speculante la co1nprcndc, soltanto allora si può dire [ ... ] già, non che la speculazione sia arrivata alla verità, 1na che è la verità che è arrivata all'esislcnza n1cdiantc la speculazione. Non è dunque che la verità sia data e che si aspetta di co1nprcndcrla; 1na ciò che si aspetta è che giunga a co1npin1ento la cornprensione della speculazione, ché solo allora nasce la verità. A questo 1nodo il sapere speculativo non è, co1nc qualsiasi altro sapere, un qualcosa di indifferente rispetto a ciò che si sa, così che la cosa resta la n1cdcsi1na: no, il sapere speculativo è esso stesso l'oggetto dcl sapere, così che questo ora non è più il medesimo ch'csso era, n1a è venuto all'esistenza nello stesso ternpo con la speculazione co1ne verilà» (ibid., 379). 81 Cotne si espri1ne Adorno, il pensiero moderno «per la propria possibilità deve ancora cotnprendere la sua stessa impossibililà». Ecco il testo cornpleto: «La filosofia, così con1e può essere ancora giustificata unicamente di fronte alla disperazione, sarebbe il tenlativo di considerare tutte le cose nel modo in cui si presentano da! punto di vista della redenzione. La conoscenza non ha nessuna luce se non quella che dalla redenzione si proietta sul inondo: tutto il resto si esaurisce nella ricostruzione e rin1anc un pezzo di tecnica. Occorrerebbe produrre delle prospettive nelle quali i! inondo si trasferisca, si estranei, sveli !e proprie crepe e propri strappi in rnaniera sirnile a quella in cui, bisognoso e sfigurato, giacerà nella luce incssianica [ ... ]. Ma ciò resta il lotahnente in1possibile, in quanto presuppone un posto di osservazione che sia sotlratlo al cerchio fatato dell'esistenza, si tral!i pure di un angoletto. Ogni conoscenza possibile è costretta invece, per riuscire probante, non soltanto ad essere estorta a ciò che è, rna proprio rcr questo 1notivo è colpita dalla stessa indigenza e dallo stesso stravolgi1nento a cui tenta di sottrarsi. Quanto più appassionatarnente il pensiero, per poter raggiungere l'incondizionato, si calafata contro la sua stessa condìzionatezza, tanto più incluttabilinente rirnane prigioniero dcl inondo. Esso deve persino, se vuole afferrare la propria possibilità, con1prendere anche la propria i1npossibilità. Di fronte alla sfida che gli viene così rivolta diventa allora quasi indifferente la questione si-essa sulla realtà o sulla non realtà della redenzione (TH. W. ADORNO, Mi11ù11a Moralia. Rejlexio11e111 aus de111 bescliddigten Lebe, Suhrka1np, Bcrlin und Frankfurt a.M. 1951, trad. it. di R. Soln1ì, Minùna Moralia, Einaudi, Torino 1954; la traduzione da noi seguita è quella di G. Ruggieri in Sapienza e Storia, Jaca Book, Milano 1971, 25 in nota).


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Conclusione Dopo aver esaminato la posizione ermeneutica di Heidegger nel tentativo di individuarne i fondamenti, torniamo a riproporci la domanda circa il rapporto tra ermeneutica e verità dell'essere, cercando di capire come questo rapporto si configuri presso il nostro Autore. Intendiamo comprendere se il nesso instaurato da Heidegger fra verità ed ermeneutica sia tale da offrire una garanzia di poter liberare il fenomeno dell'interpretazione dai limiti del soggettivismo, così come esso era stato tematizzato fino al nostro Autore. Heidegger, nel tentativo di fondare il rapporto tra la comprensione che l'uomo ha del suo essere storico e la verità dell'essere in quanto tale, muove dalla critica del concetto ovvio di verità come adaequatio intellectus et rei, e introduce una concezione della verità come rapporto dell'uomo con l'essere che è uno «Stare aperto sull"'ente"». La verità non ha, secondo il Nostro, la sua dimora originaria nella proposizione che pretende adeguare definitivamente la verità dell'essere che si rende presente nell'ente, ma nella costante apertura del rapportarsi dell'uomo all'ente che fa sì che l'ente sia ciò che è. Questo lasciar essere l'ente che è custodisce il nascondimento dell'ente nella sua totalità, cioè il mistero dell'essere in quanto tale che «Si 1nantiene in sé», pur rendendosi presente nell'ente.

Da ciò deriva per Heidcgger la necessità di un pensare l'essere che rimanga aperto al senso nascosto dell'essere stesso, che garantisca questa «apertura per il mistero», con il conseguente superamento della metafisica. Il linguaggio in questa prospettiva va concepito sì come «la dimora dell'Essere», ma non come «un abitacolo, eretto in precedenza in qualche dove, nel quale l'Essere viene sistemato così come accade di un qualsiasi oggetto trasportabile»"', ma come quel luogo in cui l'Essere stesso, cioè la Presenza, può farsi presenteK1.

82

M. HEIDEGGER, fn can1111i110 verso il linguaggio, trad. cit., 102. !bid., 105. Altrove Heideggcr così si cspri1ne: «La presenza (l'essere delle cose) è, con1c presenza, un presentarsi di volta in volta dell'essere dell'uomo, in 83


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Pertanto è l'evento (l'Ereignis) del Dire originario che domina il nostro dire 84 • «Proprio dell'Ereignis - scrive Heidegger - è il dire. Perciò il linguaggio parla sempre conformemente al modo con cui l'Ereignis si disvela o si ritrae» 85 • Ma questo disvelarsi o ritrarsi nell'Ereignis dell'essere nel suo mistero non dipende da noi. «C'è bisogno di un mutamento del linguaggio, mutamento che non è in nostro potere conseguire né fa-

quanto è un appello (Geheiss =ordine) che di volta in volta chiama l'uo1no. L'essere dell'uomo è, co1nc tale, ascoltante, perché è sottoposto all'appello che Io chiama, alla presenza. Questo sempre identico, questa coapparlcncnza (ZusanunengehOren) di chiamata e ascolto sarà dunque "l'essere"?» (M. HETDEGGER, Zur Seinji·age, pubblicato dappri1na con il titolo Ueber 'Die Linie', nel vol. Freundschafriliche Begegnungen, in onore di E. Jiingcr, Frankfurt 1955, e poi separataincnte, Klostcrmann, Frankfurl 1956, 28, trad. nostra). 81 ' Per la etimologia dcl termine "Ereignis'', necessaria per la sua adeguata co1nprensione, citiamo questo brano tratto da In ca111111ino verso il linguaggio: «Ciò che nu1ove nel n1ostrare del Dire originario è lo "Eignen". Lo Eignen adduce ciò che è presente e assente in quello che gli è proprio così che, emergendone, la sua cosa presente e assente si rivela nella sua vera identità e resta se stessa. Questo Eignen, in virtù del quale le cose emergono nella loro verità, questo Eignen, che muove il Dire originario in questo suo inostrare, lo chiamere1no Ereignen. Esso fa essere il libero spazio della radura luminosa, alla quale accedendo ciò che è presente può permanere come tale, e dalla quale sfuggendo ciò che è assente può essere tale, senza cessare di essere. Quel che l'Ereignen grazie al Dire originario fa che sia non è mai l'effetto di una causa, la conseguenza di un fondamento. Ciò che l'Eignen in virtù dcl quale le cose emergono nella loro verità, ciò che l'Eteignen genera e accorda è ben superiore a quanto può provenire da ogni possibile agire, fare e fondare. L'Ereignendes (ciò che fa pervenire nel proprio, ciò che rivela e serba le cose nella loro identità vera) è l'Ereignis (evento, coinc appunto Ereignen: rivclaziont'! rilevante, cioè costituente e disvelante le cose nella loro verità) stesso - e nulla al di fuori di questo. L'Ereignis, visto nel 1nostrare costitutivo dcl Dire originario, non può essere oggettivato né co1ne un fauo né con1c un avvenin1cnto: può solo··cssere esperito all'interno dcl Dire originario co1ne il Donante. Non c'è nulla, al di fuori dcll'Ereignis, cui l'Ereignis possa essere ricondotto, in base a cui esso possa essere spiegato. L'Ereignen non è il risultato (Ergebnis) di qualcosa d'altro: esso è, al contrario, la Donazione (die Er-gebnis). Solo il generoso dare di questa può concedere qualcosa come quell'es gibt, del quale !"'essere" ancora ha bisogno, per pervenire, come esser-presente, a ciò che gli è proprio. L'Ereignis raccoglie le linee del Dire originario e le disviluppa nella compagine del n1olteplice 1nostrare. L'Ereignis è quanto vi è di n1cno appariscente tra il non appariscente, quanto di più scn1plice tra il se1nplice, quanto di più vicino tra ciò che è vicino e quanto di più lontano tra ciò che è lontano. In esso, vicinanza remota, noi 1nortali, di1noria1no lungo l'intero corso della nostra vita>> (M. HEIDEGGER, In canunino verso il linguaggio, trad. cit., 203). 85 lbid., 207.


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cendo violenza alla lingua esistente né altra inventandone. Il mutamento non può risultare dalla creazione di nuove parole o di nuove serie di parole. Il mutamento tocca il nostro rapporto con il linguaggio. Determinante per tale rapporto è il destino (la figura del destino): determinante cioè è il fatto che noi siamo o non siamo trattenuti dal linguaggio come Annuncio originario dell'Ereignis entro di questo, e il modo in cui vi siamo trattenuti» 86 .

Forse ci è possibile preparare in qualche misura il mutamento del linguaggio, forse è possibile che ci appaia in quale direzione operare questo mutamento. Heidegger, fino alle sue ultime riflessioni, non sa suggerire altro che percorrere la via del pensare poetante: «ogni meditante pensare è un poetare, ogni poetare è un pensare»". Pensiero e poesia, infatti, sostiene Heidegger, «Si coappartengono grazie a quel dire, che ha già votato se stesso al Non-detto, perché è il pensiero come atto di ringraziamento»88.

Il dire degli uomini è «rispondere» (das Antwortent). «Ogni parola che si pronuncia è sen1pre una "risposta": un dire di rimando, un dire ascoltando» 89 . Il rifiuto della esplicitazione totale e il conseguente sforzo di costruire una ermeneutica dell'ascolto non è da vedere in Heidegger come un gratuito salto nella "mistica". Esso, infatti, corrisponde semplicemente al riconoscimento che l'appello a cui rispondiamo deve essere lasciato valere come appello, ossia come una chiamata che ci si rivolge, ma che nella sua origine è autonoma da noi. E' questa la positività del pensiero heideggeriano: il riconoscimento del mistero dell'essere, cui l'uomo deve obbedire e nei confronti del quale deve rinunciare ad ogni pretesa di dominio concettuale. Heidegger salva a questo modo l'istanza originaria della metafisica che è quella di richiamare l'uomo oltre gli enti ad una alterità ra-

86

Jbid., 211. L.c. ss L.c. 89 !bid., 205. 87


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dicale, istanza che la metafisica, a parer suo, tradisce nella sua pretesa di esplicitazione totale dell'essere. Questa istanza in Heidegger è sviluppata in modo tale da non poter approdare che ad una ontologia negativa: l'esser che si rende presente nel dire dell'uomo sull'essere, nello stesso tempo, si sottrae allo stesso dire. Pertanto l'uomo ultimamente non sa nulla circa il suo sapere sull'essere. E' vero che questa condizione da Heidegger è considerata frutto di un'epoca storica, la nostra, caratterizzata, da un lato, da una incapacità di rapporto con l'essere che non sia "metafisico" e, dall'altro, da tutta l'inautenticità dell'esistenza nella quale l'uomo pensa se stesso e le cose solo nei term1m di quella strumentalità, propria dell'operazionismo della scienza e della tecnica. Ma questa epoca in Heidegger è destino, cioè è determinata da quel nascondimento dell'essere cui corrisponde nell'uomo l'oblio dell'essere. II donarsi dell'essere nel suo mistero non può essere provocato dall'uomo; l'uomo può soltanto prepararsi a questo dono, mantenendosi nell'ascolto. L evento cristiano stesso, «co1ne evento storico, attestato dalla storia della religione e dello spirito, visibile nel presente e al tempo stesso fenomeno della storia universale, nelle sue istituzioni, culti, associazioni e gn1ppi» 90 , può essere compreso adeguatan1ente (e questo è il compito della teologia) all'interno di qualcosa che lo rende possibile91. La teologia, infatti, come comprensione concettuale dell'evento cristiano, dentro il quale si colloca l'evento della fede nel credente, implica una pre-comprensione dell'esistenza, anche se questa nell'evento stesso della fede viene superata. Infatti - osserva Heidegger «ogni interpretazione ontica (cioè di un ente dato n.r.) si muove sul fondamento, dapprima e per lo più nascosto, di una ontologia»". Non 1

90 M. f-IEJDEGGER, Phfinon1e110/ogie und Theologie, Klostcnnann, Frankfurt a. M. 1970, trad. it. di N. De Feo, Fenon1enologie e Teofagia, La Nuova Italia, Firenze

1974, 12. 91 «La teologia è una conoscenza di ciò che innanzitutto rende possibile che ci sia qualcosa corne il cristianesiino in quanto evento storico-universale»: ibid., 13. 92 lbid., 25.


171 Verso un'ontologia della comprensione. Martin Heidegger ----

è possibile spiegare uu concetto fondamentale se non all'interno di quella «primaria connessione organica dell'essere, alla quale rinviano tutti i concetti fondamentali, per portarla alla luce nella sua totalità originaria e conservarla continuamente agli occhi» 93 • Che cosa vuol dire questo per la spiegazione dei concetti fondamentali della teologia? La risposta di Heidegger è la seguente: «Ogni concetto teologico racchiude necessariamente la comprensione dell'essere, che l'esserci un1ano ha da sé in quanto esiste in generale» 94 . Quanto più originaria, più adeguata e ontologica nel senso autentico è, in generale, l'illuminazione della costituzione fondamentale dell'esserci, tanto più essa può funzionare da filo conduttore per la spiegazione teologica del peccato95. La teologia, dunque, pur avendo come oggetto un dato che non nasce dalla "ontologia", ne è da essa determinata nella comprensione del suo stesso oggetto: «l'ontologia Jìmziona [ ... ] come un correttivo

del contenuto antico, cioè precristiano, rlei fondanientali concetti teologici» 96 • Ma questa pre-comprensione ontologica rimane sempre determinata da quel nascondimento in cui l'essere si mantiene nel dire dell'uo1no sull esscre. 1

9 -' lbid., 26. 94 !bid., 26-27. «Noi carattcrizzian10 la fede come l'clc1nenlo costitutivo essenziale della cristianità: la fede è rigenerazione. Benché la fede non si ottenga da sé, e benché ciò che in essa si rivela non possa esser n1ai fondato da un sapere razionale della ragione liberarnente aulodetenninata, pure, nell'evento cristiano in quanto rigenerazione resla il fatto che l'esistenza pre-ossia non-credente dell'esserci è superata. Superata non vuol dire elin1inata, 1na elevata a nuova creazione, in cui è 1nantenuta e inverata. Nella fede è superata sul piano ontico-esistentivo l'esistenza pre-cristiana. Questo superan1ento esistentivo dell'esistenza pre-cristiana appartenente alla fede in quanto rigenerazione, significa però proprio che il superato esserci µre-cristiano resta definito, sul piano ontologico-esistenziale, nell'esistenza dcl credente. Superare non vuol dire respingere, 1na assutnerc in 1nodo nuovo. Da qui deriva che ogni fondan1entale concetto teologico ha se1npre, secondo la sua co1nplessiva connessione regionale, un contenuto pre-cristiano certo iinpotente sul piano esistcntivo, cioè on1ica111e11/e superato, ma proprio perciò 0111o!ogican1enle determinato, e perciò concepibile in 1nodo purarnenle razionale» (ibid., 26). 95 Cfr. ibid., 27. 96 lbid., 28.


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Nemmeno la fede, quindi, è in grado di porre l'uomo in un rapporto con il mistero dell'essere tale da liberarlo dalla relatività ed epocalità del dis-velamento - nascondimento dell'essere nella sua totalità, che accade sul piano ontologico. Non è l'evento della fede, infatti, a generare un nuovo orizzonte ermeneutico in cui comprendere la realtà nella sua totalità; ma al contrario esso, per Heidegger, può essere compreso solo nell'orizzonte ermeneutico consentito dalla manifestazione epocale dell'essere nella sua totalità.


GLI ORDINI RELIGIOSI A CATANIA NEL '400

ADOLFO LONGHITANO*

I. Introduzione I. I. Società e Chiesa in Sicilia nel '400

La fine del '300 trova la cristianità nel pieno di una delle sue crisi più gravi: alla difficile situazione che si era verificata in seguito al trasferimento della corte papale da Roma ad Avignone, si aggiunse nel 1378 l'inizio del grande scisma d'Occidente, che per quasi quarant'anni lacerò l'Eur.opa con conseguenze che andarono oltre il semplice dato religioso 1• La Sicilia fu coinvolta in pieno da questa crisi, che ebbe effetti ancor più negativi per la difficile situazione politica che aveva caratterizzato il periodo precedente: dalla guerra del Vespro (1282), che aveva portato al trono Pietro d'Aragona, alle continue guerre con gli angioini, desiderosi di riconquistare il terreno perduto e di ricomporre l'unità dell'antico Regnum Siciliae. La debolezza del potere regio favorì le lotte interne dei baroni i quali, in un clima di anarchia, tentarono di consolidare il loro potere nei confronti della corona, non disdegnando anche la ricerca di aiuti esterni. Queste lotte divennero

* Professore di

Diritto Canonico nello Studio Teologico S. Paolo. Per l'analisi degli avvenimenti di questo periodo storico vedi in parLicolare: A. FLICHE - V. MARTIN, Storia della Chiesa, trad. it., XIV/1-3, SAIE, Torino 19671971; H. JEDIN, Storia della Chiesa, trad. it., V/2, Jaca Book, Milano 1975; G. PENCO, Storia della Chiesa in Italia, I, Jaca Book, Milano 1978, 414-482. 1


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più aspre dopo la morte di Federico IV (1377), durante la reggenza dei quattro vicari, e non si placarono con lo sbarco in Sicilia di Martino il Vecchio (1392). Lo scisma d'Occidente, oltre alle conseguenze negative che provocò sul piano religioso, contribuì ad aggravare la già difficile situazione politica siciliana'. Le diverse fazioni in lotta ebbero un motivo in più per provocare divisioni e imporre la propria supremazia: difendere l'unità della Chiesa e combattere gli scismatici. Un groviglio di interessi economici, politici, nazionali e religiosi finì con il perpetuare lo stato di guerra, che portò morte e distruzione nelle città e nelle campagne'. Se prima dello scisma era stato difficile per le autorità religiose rimanere estranee alle lotte baronali, la contemporanea presenza prima di due e poi anche di tre papi rese impossibile ogni forma di neutralità: vescovi, abati, provinciali religiosi e superiori locali furono obbligati a parteggiare per l'una o per l'altra fazione che sosteneva la legittimità del papa di Roma o del papa di Avignone, con le conseguenti rappresaglie delle fazioni avverse. Si co1nprendono, perciò, i processi per tradi1nento o per

2 La situazione in cui venne a trovarsi la Sicilia dal Vespro ai M<irtini e durante lo scisn1a d'Occidente è descritta e aruilizzata da V. D'ALESSANDRO, Politica e società ne/fa Sicilia aragonese, Manfredi, Palcnno 1963; S. TRAMONTANA, Michefe da Piazza e il potere baronale in Sicilia, D'Anna, Messina-Firenze 1963; F. GIUNTA, li Vespro e /'esperienza della (<Co111111u11iras Siciliae». Il baronaggio e fa soluzione catalanoaragonese dalla.fine defl'ind1jJe1u!enza al \liceregno spagnolo, in AA. Vv., Storia della Sicilia, fil, Soc. Edit. Storia di Napoli e della Sicilia, Napoli 1980, 305-407; E. BRESC, Un 111011de 1néditerra11ée11. Éco110111ie et société en Sicile: 1300-1450, 2 voll., École Français de Ro1ne, Ro1na 1986; E. STJNCO, Po/;tica ecclesiastica di Martino I in Sicilia (1392-1409), Scuola Tip. Boccone del Povero, Palenno 1921; G. PISTORIO, Rfflessi sullo scis1na d'Occidente in Sicilia, Musu1neci, Catania 1974; S. FODALE, Scis111a ecclesiastico e potere regio in Sicilia, !, li duca di A1ontblanc e l'episcopato tra Ro111a e Avignone (1392-1396), Edigraphica Sud Europa, Palern10 1979; Io., Il clero siciliano tra ribel!ione e fedeltà ai Martin i ( 1392-1398), Viltorielli, Palenno

1983. "«Fn1' Luca de Gin1fort, abate di Santa Maria La Latina de Iherusale1n a Messina e di San Filippo di Argirò, fu ucciso ad opera ùi Artalc d'Alagona, dopo essere stato sotloposto a crudeli torture e interrogatorii. A Palernò i partigiani di Artale depredarono con una violenta incursione Lulli i beni 1nobili del prete e regio cappellano Gerardo dc Fino e tagliarono coinplctarncntc le piante di un grande e bcll'o!iveto, che egli aveva davanti alle 1nura di quella terra» (S. FODALE, li clero siciliano, cit., 34).


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scisma contro vescovi o provinciali religiosi, la loro sostituzione e le conseguenti lacerazioni che si vennero a creare nelle diocesi e nelle province religiose per la contemporanea presenza di due vescovi, di due provinciali, di due guardiani o di due parroci 4 • Questa difficile situazione ebbe gravi riflessi anche sul piano della moralità e della disciplina ecclesiastica, perché i diversi papi non si trovavano nelle condizioni di attuare la riforma della Chiesa che avrebbe richiesto una politica di rigore; anzi, per sollecitare l'obbedienza dei vescovi o dei superiori degli ordini religiosi, concedevano con estrema facilità grazie e dispense a scapito dell'osservanza delle leggi e delle costituzioni 5 •

·1 Il conflitto, più che religioso, era politico: il papa di Ro1na appoggiava i baroni ribelli e osteggiava gli aragonesi sia perché in Sicilia li considerava intrusi, sia perché in Spagna si erano schierati con il papa di A vignonc. Gli aragonesi a loro volta perseguivano una politica ainbigua appoggiando vescovi, sacerdoti e religiosi a loro favorevoli e sostituendo nei diversi uffici ecclesiastici, con persone di loro fiducia, coloro che si diinostravano fedeli a Roma. Ernble1natici in tal senso: i casi degli arcivescovi Ludovico Bonito e fr. Paolo dc' Lapi, rispettivainente di Palermo e Monreale, dci vescovi Sin1one del Pozzo e fr. Ubertino da Corleone, vescovi di Catania e di Patti, e di rr. Roberto Diana priore dell'ordine gerosolimitano, deposti per tradin1ento (S. FODALE, Scis11u1 ecclesiastico, ciL, 45-65; Io., Il clero siciliano, cit., 14-20); la nomina di cappellano regio conferita al provinciale dei frati minori Andrea de Pace, che si era schierato in favore dei Martini, in sostituzione dcl provinciale dci do1ncnicani (S. FODALE, Il clero siciliano, cit., 56); l'attcggia1nento di Martino il vecchio nei confronti degli ordini religiosi che non si erano di1nostrati a lui ravorevoli (S. FODALE, Scis111a ecclesiastico, cit., 115-120); l'obbedienza prestata nel 1415 al papa di Avignone dai benedettini di San Nicola l'Arena e dal capitolo provinciale degli agostiniani, per fare cosa gradita a Ferdinando I (G. PISTORJO, op. cit., 25-35; B. SArTrA, Catania nei docu111e11ti dell'archivio della Corona d'Aragona, in Quaderni Catanesi di studi classici 111edievali 8[1986] 447-526). 5 I saggi che abbiamo sulla n1oralità del clero diocesano e religioso di questo periodo concordano nel far rilevare da un lato il rilassa1nento dei costu1ni e dall'altro una certa acquiescenza da parte delle autorità, che in 1nolti casi davano l'in1pressione di considerare nonnali le ainbigue situazioni delle quali venivano 1nesse a conoscenza. Vedi ad es. il feno1neno dei figli illegittì1ni di sacerdoti e vescovi per i quali si chiedeva e si olteneva il privilegio della Jegittiinazione (C. TRASSELLI, Du fai! divers à !'liistoire sociale: crùnina/ité et 111oralité en Sici!e au début de /'époque 01oderne, in Anna/es. Éco110111ies, Sociétés, Civilisations 28 [1973J, 226-246); le somn1osse di popolo suscitate dalle invettive dci religiosi contro il clero concubinario di Trapani, che provocano l'infastidita reazione del vescovo di Mazara (A. SPARTI, Moralità pubblica e costu111i del clero nella Sicilia del '400, in La .fan1iglia e la vita quotidiana in Europa dal '400 al '600. Fonti e prob/e111i, Atti del convegno internazionale. Milano 1-4 diccn1bre 1983, Pubblicazioni degli Archivi di Stato,


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Quale giudizio dare sulla situazione in cui s1 trovava la Sicilia all'inizio del '400? Un primo rilievo, che mi sembra necessario fare preliminarmente, riguarda l'integrazione della Sicilia nella società e nella cultura dell'Europa. E' da ritenere del tutto priva di fondamento la tesi, spesso affermata come un assioma che non ha bisogno di dimostrazione, di coloro che considerano la Sicilia una regione culturalmente povera ed estranea alle correnti di pensiero europee di questo secolo, intenta solamente a risolvere questioni politiche interne. Le vicende politiche e religiose, gli interessi culturali e commerciali provocavano uno scambio continuo di persone, fra la Sicilia e le diverse regioni del continente, che obbligava la cultura e la mentalità siciliane ad un confronto con mentalità e culture diverse. Basta scorrere gli elenchi di alunni e professori pubblicati dalle università italiane e straniere di questo periodo per notare una costante presenza di siciliani 6. Gli stessi nomi di u1nanisti, canonisti, religiosi e politici siciliani che incontriamo nelle università, nelle piazze e nelle corti d'Europa o a Roma come consiglieri e collaboratori del papa, dimostrano con evidenza che la Sicilia è perfettamente integrata con il resto dell'Europa e dà il suo contributo alla formazione di quella Rorna 1986, 221-240). Nella decisione dello stesso papa Bonifacio XI di no1ninare un nunzio apostolico per il Regno di Trinacria, con il con1pito di riscuolere sussidi caritativi da parte degli ecclesiastici, c'è la speranza di risolvere le gravi difficoltà ccono1niche ereditate dal suo predecessore. Il nunzio non solo riscuote i sussidi, 1na concede anche dispense di ogni genere, pur di raci1nolare le somme di cui il papa ha bisogno (S. FODALE, Doc11111e11ti del pontificato di Bonifàcio IX, Ilapalma, Palermo 1983, 7-18, docc. 250-256; 322; 329). 6 N. RODOLJCO, Siciliani nello Studio di Bologna nel 111edioevo, in Archivio Storico Siciliano 20 (1895) 89-228; G. PARDI, Titoli dottorali co11ferili dallo studio di Ferrara nei sec. XV e XVI, Lucca 1901, rist. anastatica, Forni, Bologna 1970; C. ZONTA - P. BRUTTO, Acla grad1111111 acade11iicon1111 gy11111asii Patavini ab anno 1406 ad annu111 1450, 3 voll., Ed. Antenore, Padova 1970; M. CONIGLIONE, La provincia don1e11icana di Sicilia. No!izie storiche docun1entate, Tipografia Francesco Strano, Catania !937, 114-279; AA. Vv., La cultura in Sicilia nel Quattrocento, Dc Luca editore, Roma 1982; D. C!CCARELLI, «Studia», 111aestri e biblioteche dei .francescani di Sicilia (sec. Xl!l-XVJ), in Fra11cescanesùno e cultura in Sicilia (secc. XIII-XVI). Atti dcl convegno internazionale di studio nell'ottavo centenario della nascita di San Francesco d'Assisi. Palenno 7-12 1narzo 1982, Officina di Studi Medievali, Palern10 1987, 181-207; C. DOLLO, Cultura del Quattrocento in Sicilia alle origini del Syculonon Gy11111asiu111, Catania 1990; il saggio è stato pubblicato co1ne estratto da Siciliae Studi11111 Generale. Contributi per fa storia dell'Università degli Studi di Catania, 1na il volu1nc non è stato ancora edito.


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mentalità e di quella cultura che caratterizzano questo periodo storico: si pensi agli umanisti Giovanni Aurispa e Antonio Beccadelli, detto il Panormita, al canonista Nicola de Tudescis o Abbas Siculus, ai vari Antonio e Giovanni de Piscibus, Giovanni de Primis, Matteo d'Agrigento, Pietro Geremia, Matteo Selvaggio ... per citare solamente alcuni fra i no1ni più conosciuti 7. Non va trascurato, infine, un fatto che contribuì a fare della Sicilia una testa di ponte fra l'Oriente e l'Occidente: la caduta di Costantinopoli (1453) e l'emigrazione di molti dotti bizantini, che continuarono la loro attività nelle città dell'Italia meridionale e della Sicilia 8 • L'integrazione della Sicilia nella società e nella cnltura d'Enropa ci consente di estendere alla realtà siciliana il giudizio formulato dagli storici sulle condizioni morali e religiose di questo periodo. Gli anni che vanno dalla seconda metà del '300 fino ai Concili di Costanza e di Basilea sono generalmente considerati come un'epoca di decadenza. «Il quadro di questa Chiesa in declino è classico: fiscalità vieppiù oppressiva, corruzione del regime beneficiale, abusi molteplici quando si tratta di privilegi e di dispense; inoltre uno stato di indegnità del

7 Non si lratta di persone che en1igravano dalla Sicilia per stahilirsi nei principali centri culturali dell'Italia e dell'Europa; in molti casi alternavano la loro pern1anenza nelle città siciliane e in quelle dcl continente o 1nantcnevano rapporti costanti con il luogo d'origine. Fra questi personaggi vedi in particolare: il noto canonista Nicola dc Tudcscis o Tudisco dell'abbazia Sant'Agata di Catania, docente nelle università di Bologna, Panna, Siena e Firenze, legato di Eugenio IV al concilio di Basilea e infine arcivescovo di Palenno (I. B. DE GROSSTS, Abbas vindicatus, sive de Nicofai de Tudeschis vita, Typis A1natoris Massac, Florentiae 165 l; C. LEFEOVRE, Panonnitain, in Dictionnaire de Droit Ca11011iq11e, I, Letouzey et Ané, Paris 1957, l 195-1215); i! francescano catanese Antonio de Piscibus, n1aestro di teologia all'università di Padova e per due volte 1ninistro provinciale di Sicilia, fu non1inato penitenziere dal papa dì Avignone Benedetto Xlii, che nel 1415 gli chiese un parere in inerito all'invito di dimettersi rivoltogli dal Concilio di Costanza (C. SCHMITT, Un défe11se11r de Benoit Xlii: Antoine "de Piscibus" O.F.M., in Misceflanea Melchior de Pobladura, I, Institutum Historicu1n O.F.M. Cap., Ron1ae 1964, 267-289); il catanese Giovanni de Prirnis che, dopo essersi laureato a Padova, entrò nell'ordine benedettino, fu elctlo nel 1434 abate di San Paolo a Roma e nel 1444 no1ninato legato di Eugenio IV per visitare il Regno di Sicilia; si adoperò per la fondazione dell'università di Catania (I. TASSI, Un coffaboratore dell'opera r~fonnatrice di Eugenio IV: Giovanni de Prùnis, in Be11edicti11a 2 [1948] 3-26; S. FODALE, De Prilnis Giovanni, in DBr, XXXIX, Treccani, Milano l 99 l, 89~9 l).

8 G. PENCO, op. cit., I, 519-521.


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clero, capace dei peggiori scandali, negligenze gravi e costanti nel servizio delle anime, donde quelle superstizioni, quell'ignoranza generale, quei costumi pagani [ ... ]; ed ancora declino della scolastica, allorché il nominalismo si sostituisce nelle scuole al realismo di san Tommaso d'Aquino, declino che viene rivelato anche dallo sviluppo della mistica, segno dell'abbattimento delle anime più alte che si rifugiano nella sola preghiera, tanto esse sono deluse dalle scienze sacre del loro tempo o dagli scandali della Chiesa visibile; impotenza della Chiesa a riformarsi, al punto che i prìncipi devono intervenire per ridurre alla ragione i chierici dei loro territori e porre dei limiti alla cupidigia e all'ambizione della Sede Apostolica [ ... ]» 9 . Ma il medesimo autore, che riassume in questi termini il giudizio negativo sulle condizioni della Chiesa, invita allo stesso tempo alla prudenza nella interpretazione dei testi dei riformatori sui quali di solito si fonda questo giudizio. Si tratta di scritti che obbediscono ad un preciso genere letterario 1nolto efficace nel suscitare detern1inati sentimenti ma alquanto interessato per formulare un giudizio obiettivo sulla realtà. L'interesse di mettere a nudo i mali che si vogliono correggere induce a trascurare la descrizione degli aspetti positivi che esistono nella Chiesa e nella società; saranno proprio questi elementi positivi che consentiranno il superamento della crisi e l'avvio della riforma: si pensi al sorgere dell'umanesimo, che pone all'attenzione di tutti il problema centrale dell'uomo e favorisce l'affermarsi di un cristianesimo più umano"'. E' in questo diverso ambiente culturale che si scopre un rapporto nuovo con Dio (si pensi alla devotio moderna), che nasce il movimento dell'osservanza degli ordini religiosi, che si attuano nuove forme di evangelizzazione popolare (si tenga presente il fenomeno della predicazione di massa ad opera dei francescani e dei domenicani), che si sviluppano le istituzioni ospedaliere e di assistenza 11 . 11

9

11

A. FLICHE - V. MARTIN, op. cit., XIV/3, 1111. lbid., I 112-l !43. !bid., 1145-1183; H. 1EDIN, op. cit., 165-187; G. PENCO, op. cii., l, 513-

IO 11

517; 567-573.


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1.2. «Orria» 111011astico e ordini n1enrlicanti

Gli ordini religiosi continuano ad essere fra i principali protagonisti di questo secolo. Mentre l'ardo monastico subisce ancora le conseguenze della crisi della società feudale nella quale si era profondamente inserito, gli ordini mendicanti, nati con lo sviluppo delle città e in un diverso contesto economico-sociale, dimostrano ancora una straordinaria vitalità. Non bisogna, inoltre, di1nenticare la diversa organizzazione dell orllo monastico e degli ordini tnendicanti. Il pri1no non aveva una organizzazione centralizzata; ogni monastero era sui iuris e l 1abatc costituiva l'unica autorità alla quale i monaci obbedivano. Gli ordini mendicanti, al contrario, avevano una struttura centralizzata: i frati dei conventi locali sottostavano al guardiano o priore, questi a sua volta dipendeva dal provinciale, i provinciali obbedivano al ministro o maestro generale". Questa diversa organizzazione pose dei delicati problemi ecclesiologici perché, facendo propria una concezione universalistica della Chiesa, rese ancor più difficile il rapporto fra religiosi e Chiesa locale' 1 . In co1npenso diede agli ordini 1nendicanti una maggiore coesione e una diversa capacità di penetrazione, perché i superiori potevano esercitare una maggiore capacità di controllo su tutte le case dell'ordine e potevano disporre dei religiosi in modo più razionale, secondo le esigenze del ministero. Inoltre consentì al papato di avere negli ordini mendicanti una farce de frappe per attuare il grandioso disegno 1

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Per l'organizzazione degli ordini religiosi vedi lo studio <li G. Le Bras sulle istituzioni ecclesiastiche nella cristianità 1nedievale in A. FLICHE - V. MARTIN, op. cit., XIl/2, Torino 1974, 583-655. IJ A tal prorosito vedi la disputa che contrappose a Parigi clero diocesano (n1aestri di teologia, poi vescovi) e ordini mendicanti. Il clero diocesano sosteneva una struttura ecclcsiologica tripartita: papa, vescovi, parroci. I 1nendicanti sviluppavano una strullura ecclesio!ogica unitaria fondata sull'ufficio del papa, che in forza del suo potere poteva consentire ai religiosi l'esercizio del ministero pastorale scavalcando i vescovi e i parroci. Per la trattazione di queslo ten1a vedi: Y. CONGAR, Aspects ecc!ésio!ogiques de la querelle entre 1ne11diants et sécu/iers dans la seconde 111oitié du X!!!e siècle et le déb111 du XJVe, in Archives d'histoire doctrinale et le!!eraire du Moyen Age 28 (1961) 35-151.


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ierocratico di una res publica christiana 14 , anche se in n1olti casi l'obbedienza e riverenza al papa e alla curia romana comportavano uno stravolgimento del proprio carisma originario 15 • I francescani, i domenicani, i carmelitani e gli agostiniani non solo esercitarono un ruolo di supplenza nei confronti del clero diocesano, che attraversava un periodo di crisi, ma si fecero portatori di quella carica profetica che la Chiesa ha sempre ritenuto costitutiva della sua natura. In una società divisa rigidamente in ceti sociali gelosi delle loro diversità e dei loro privilegi, gli ordini mendicanti contrapposero l'ideale evangelico della fratellanza e della povertà; all'interno dei conventi ogni barriera veniva abbattuta e il frate proveniente dall'aristocrazia o dalla borghesia godeva degli stessi diritti del frate proveniente dalle classi più umili. Il periodo storico di cui ci occupiamo trova gli ordini religiosi coinvolti nella stessa crisi della società. Ma con la fine dello scisma d'Occidente e gli inviti alla riforma dei Concili di Costanza e di Basilea si affermò una mentalità nuova, un desiderio di rinnovamento che ebbe come protagonisti gli ordini religiosi ma coinvolse anche i laici e alcuni elementi del clero diocesano. Fu l'inizio di quel movimento di riforma che avrebbe avuto le sue manifestazioni più significative nel secolo successivoH'.

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C. D. FONSECA, Federico II e le istituzioni francescane della Sicilia, in Francescanesùno e cultura, cit., l-9. 15 «Può destar meraviglia il constatare con1e, a pochi anni dalla morte di s. Francesco, diincnticando la sua lezione di mitezza e di pace, i n1inori si siano dati a predicar crociate e si siano imn1ischiati in cose politiche, contrariamente a quanto aveva accertato Giaco1no da Vitry per i primi tempi dell'ordine» (G. ANDREOZZJ, Il 111ovilnento penitenziale francescano in Sicilia nei secoli Xlll-X!V, in Francescanesùno e cultura, cit., 117-141: 122). 16 A. FLICHE- V. MARTIN, op. cii., XIV/3, 1111-1143. Una raccolta antologica di docu1ncnti e di testi sulla riforn1a cattolica e il 1novin1ento dell'osservanza è stata curata da M. MARCOCCHI, La nfonna cattolica. Docu111enti e testùnonianze, 2 vo!L, Morcelliana, Brescia 1967. Per il 1novi1ncnto dell'osservanza, considerato con1e una espressione dcl desiderio di riforma della Chiesa in questo periodo, vedi: M. Fors, L"'osservanza" co111e espressione della "ecclesia se111per renovanda", in AA. Vv., Prob!en1i di storia de/fa Chiesa nei secoli XV/XVII, Dehoniane, Napoli 1979, 13107: 16-33. I nuovi fermenti che gli ordini 1nendicanti introducono nella società del tempo sono sottolineali da G. CHJTTOLINJ, Stati regionali e istituzioni ecclesiastiche


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2. La presenza dei religiosi a Catania nel '400 2.1. Gli ordini monastici

L'ordinamento della diocesi di Catania, nella rifondazione dopo la parentesi della dominazione islamica, ebbe una chiara impronta monastica' 7 • I normanni, dovendo affrontare il difficile problema di ricostituire una strnttura politica e religiosa in una zona di frontiera dove viveva una popolazione molto varia per lingua, cultura e religione, decisero di collocare nei posti chiave persone della loro stessa nazionalità, sulle quali potevano fare pieno assegnamento. Per attuare questo progetto, nell'ordinamento ecclesiastico più che affidarsi a singole persone, occorreva fondare istituzioni solide e potenti alle quali demandare il compito di organizzare e di presiedere 18 • La fondazione a Catania dell'abbazia di Sant'Agata, affidata ai benedettini normanni, obbedisce a questo disegno 19 • All'abate Angerio non fu dato solamente il governo dell'abbazia, ma quello della città e dopo alcuni anni anche quello della diocesi. Pe1ianto nelle mani di un solo uomo c'era la so1nn1a dei poteri ecclesiastici e civili: Angerio governava la città come signore feudale, l'abbazia come abate e la diocesi come vescovo'"· Questi nel governo della diocesi era nell'Italia centrosettentrionale del Quattrocento, in AA. Vv., la Chiesa e il potere politico, Storia d'Italia. Annali 9, Einaudi, Torino 1986, 147-193: 149-153. 17 Per la presenza e il ruolo dei diversi ordini religiosi nella diocesi vedi: L. T. Wl-IITE, Il 111onachesù110 latino nef!a Sicilia Nonnanna, trad. Catania 1984; A. LONGHITANO, Conflitti di conipetenza fra il vescovo di benedelfini e gli ordini 111endicanti nei secoli XV e XVI, in Benedictina

di Catania it., Dafni,

Catania, i 31 (1984)

177-196; 359-386. 18

E. JORDAN, La politique ecc/ésiastique de Roger 1er et /es origi11es de la légation sicilienne, in Le Moyen Age serie II, 24 (1922) 237-273; 25 (1923) 32-65; S. FODALE, Stato e Chiesa dal privilegio di Urbano Il a Giovan Luca Barbieri, in Storia della Sicilia, cit., III, 575-600; S. TRAMONTANA, La n1011archia nonnanna e sveva, UTET libraria, Torino 1986, 106-111. 19 Si tratta di un disegno politico generale la cui attuazione era stata predisposta con la fondazione a Sunt'Eufc1nia in Calabria di un'abbazia benedettina. Da essa 1nano 1nano furono prelevati i monaci ai quali Roberto il Guiscardo e il fratello conte Ruggero affidarono co1npiti di responsabilità e di governo in Sicilia (F. CHALANDON, Histoire de la do111ination nonnande en Jta/ie et en Sicile, II, Librairie A. Picard et fils, Paris 1907, 75-76; E. PONTIERI, l'abbazia di S. E1{/'en1ia in Calabria e l'abate Roberto di Grant1nesni/, in Asso 22 r1926] 92-115). 20 A. LONGHTTANO, La parrocchia nella diocesi di Catania prùna e dopo il concilio di Trento, Istituto Superiore di Scienze Religiose, Palermo 1977, 9-15.


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coadiuvato dal capitolo della cattedrale composto dai monaci benedettini dell'abbazia di Sant'Agata, che esercitavano le loro funzioni in conformità alle norme canoniche e alle costituzioni 1nonastiche. Si deve far riferimento a questa situazione per comprendere la particolare organizzazione della cura delle anime, che avrà la città e la diocesi nei secoli successivi, e determinate scelte che il capitolo farà come collaboratore del vescovo o come responsabile del governo della diocesi nei frequenti periodi di sede vacante. In definitiva anche se negli anni non ci sarà più l'automatica coincidenza fra l'abate di Sant'Agata e il vescovo della diocesi, i benedettini eserciteranno un influsso determinante nell'ordinamento diocesano. Tanto più che all'abbazia di Sant'Agata si aggiunse man mano una rete di abbazie, monasteri e priorati che nel territorio cittadino e nei vari centri della diocesi assicurò una cospicua presenza benedettina". Ognuno di questi istituti monastici avrà una propria evoluzione e una propria storia: n1entrc alcuni rimarranno a lungo centri di vita religiosa e culturale, altri avranno vita effimera e finiranno per diventare semplici grange di 111onasteri più importanti o benefici da conferire a persone che non vi risiedono. Tuttavia è importante tenere presente che gli istituti monastici spesso sorgevano in zone isolate, lontane dai centri abitati. In ogni caso non pare che i benedettini abbiano svolto un'opera di evangelizzazione a vasto raggio. La cura delle anime non è stata mai compito specifico dei monaci, perché le sue esigenze difficilmente si arinonizzavano con l'ideale n1onastico. Anche neJle abbazie e nei monasteri ai quali era annessa la cura della anime, di solito,

21 Fra le principali istituzioni benedettine del periodo nonnanno possia1no ricordare: l'abbazia Sant'Agata (1091), i! n1onastero Santa Maria di Paternò (1092), l'abbazia San la Maria Latina a San Filippo d'Agira (1095), il 1nonastero San Leone sull'Etna (1136), i! inonastcro Santa Maria la Scala a Patcrnò (1140), il monastero San Nicola l'Arena a Nicolosi (1156), il 1nonastero Santa Maria di Rovere Grosso nel territorio dì Adrano (! 156), il 1nonastero Santa Maria di Licodia (1158). A questi 1nonastcri si deve nggiungere una serie di prioratì, che spesso servivano da rete di col!cgarnento fra il rnonastero e i vnri possedi1nenti (A. LONGHITANO, Conflitti di co111pete11za, cii., 181-182).


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l'amministrazione dei sacramenti veniva affidata a cappellani del clero locale sotto la responsabilità dell'abate o del prioren

2.2. Gli ordini mendicanti Gli ordini mendicanti costruirono i loro conventi a Catania fin dal primo periodo della loro fondazione o espansione. Pertanto si trovarono coinvolti nel pieno delle vicende politico-religiose che contrassegnarono i rapporti fra il papato e l'impero al tempo di Federico II, della guerra del Vespro, durante lo scisma d'Occidente e il movimento di riforma iniziato dopo i Concili di Costanza e di Basilea. L'insediamento degli ordini mendicanti a Catania non avvenne in un clima di serena accoglienza. I benedettini di Sant'Agata, costituendo il capitolo della cattedrale, avevano la possibilità di opporre il veto alla fondazione dei loro conventi; e di fatto, come vedremo, si opposero per i francescani e i domenicani; non abbiamo notizie precise riguardo ai carmelitani e agli agostiniani. 2.2.1. I francescani giunsero verso il 1220, mentre era ancora in vita il loro fondatore, e fu loro messa a disposizione la chiesa di San Michele, vicina al castello Ursino". Quando si trattò di formalizzare l'apertura della casa, mentre il vescovo eletto Oddone Caputius si dichiarò disposto a firmare l'atto di donazione, il capitolo della cattedrale formato da benedettini rifiutò di dare il proprio assenso.

22 U. BERLTERE, L'exercise du 111i11istère paroissial par /es n1oines dans le ha11t Moyen Age, in Revue Bénédictine 39 (1927) 227-250; ID., L'exercice du 111inistère paroissial par /es 111où1es du X/le au XVI/le siècle, ibid., 340-364; G. PENCO, Storia del 1nonachesùno in Italia, EP, Ron1a 1961, 375-377. 21 · PH. CAGLIOLA, A/!nae siciliensis provinciae ordinis 1nù1on11n conventualiu1n S. Francisci 111anifestaliones novissùnae ... , a cura di F. Rotolo, Officina Studi Medievali, Palenno 1984, 69-76; M. D'ALATRI, A proposito dei più c1ntichi i11sedia111e11ti fi·ancescani in Sicilia, in Francescanesiino e cultura, cit., 25-44: 27, 31-

32.


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Solo con l'intervento del papa Alessandro IV fu possibile superare questo ostacolo". Intanto Manfredi, deciso di pumre 1 francescani per l'atteggiamento di incondizionata dedizione alla causa del papa, nel 1266 ordinò la distruzione del loro convento, con il pretesto che fosse troppo vicino al castello reale. Dopo la morte di Manfredi i francescani con le offerte dei fedeli ricostruirono il convento e ritornarono ad officiare la loro chiesa25 • Ma questo episodio offrì lo spunto ai benedettini della cattedrale di riaprire le ostilità verso di loro, cercando di trascinare dalla propria parte il clero diocesano. Nel 1274 i monaci-canonici con alcuni chierici, parenti e fatniliari del vescovo Angelo Boccamazza e il concorso di laici, invasero e devastarono i nuovi locali del convento francescano 26 . Anche questa volta fu necessario l'intervento del papa, che dichiarò incorsi nella scomunica comminata da Clemente IV contro chiunque avesse recato danno ai conventi dei frati minori gli autori dell'attentato e riconfermò per i

24 ~<Otho Caputius f ... ] scriptis lilleris 13 I<al. inaii an. 1255 confirrnavit quod fratres franciscani sedc1n fixisscnt Catanae in castri Ursini templo S. Michaelis [... ]; id vero calancnsi monachoru1n capitulo n1axi1nc displicuit, el quamvis bcnedictini n1onachi renuercnt, A!exander ta1nen IV datis littcris Later. 5 kal. 1naii, pont. ann. 2, sal. 1256 sua sanxit auctoritate» (R. PIRRI, Sicilia Sacra, I, npud haeredes Petri Coppulae, I, Panorn1i 1733 3, 535; V. M. AMICO, Catana illustrata, Il, ex typographia Sitnonis Trento, Catanae 1741, 76). 11 docun1ento pontificio è citato da M. D'ALATRI, op. cit., 32. 25 «Nondiu vero Manfrcdus Siciliae rex rcgiurn castellum sibi libcrum expostulans den10\iendu1n praeeepit; hine in S. Nicolai de Arena hospitium sese fratres recipere coacli sunl» (V. M. AMICO, op. cit., III, 140-141; G. ANGELOZZI, // 111ovi111ento penitenziale francescano in Sicilia nei secoli XIII-X/V, in Fra11cescanesù110 e cultura, cit., 117-141: 120). Da sotlolineare che i francescani, n1cntre venivano osteggiati dai benedettini della cattedrale, erano favoriti dai benedettini di San Nicola l'Arena. I religiosi rimasti privi del convento furono accolti nella grangia del nlonastero detta del Salvatore, che sorgeva vicino all'attuale convento di San Do1nenico. Per la politica ecclesiastica di Manfredi vedi E. PJSPISA, Il regno di Manfredi. Proposte di inf(npretazione, Sicania, Messina 1991, 228-231, 262-267). 26 «[ ... _] ad locun1 diclorum fratrurn, qui dicitur Castrum lJrsinu1n, hostiliter accedcntes, ipsonnn fratrun1 aedificia ibidem crecta ncquiter dcstruxerunt, alias violentias da1nnabiles et enormcs inibì excrcendo in dictorutn guardiani et fratrum non rnodicurn praciudiciu1n et gravan1en» (Bolla Sua nobis di Gregorio X, del 7 luglio 1274, citata da M. D'ALATRI, op. cii., 32).


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francescani l'uso della chiesa di San Michele e dell'annesso convento"La costruzione della chiesa e del convento di San Francesco nel sito attuale ebbe inizio nel 1329 per volontà e con il contributo della regina Eleonora"; il trasferimento nel nuovo convento si ebbe nel 1342 con il favore degli angioini e mentre era vescovo di Catania il francescano Gerardo Oddone"Un altro convento di francescani dell'osservanza fu costruito fuori le mura della città nel 1442, vicino alla chiesa di Santa Maria della Pietà, come vedremo meglio in seguito. Quelle citate non erano le sole presenze francescane a Catania. I frati della povertà, eremiti che si ispiravano alla regola francescana, nel 1345 per ordine della regina Elisabetta avevano aperto un ospedale presso la chiesa di Santa Maria della Rotonda, sotto la direzione di fra Guglielmo de Maugeri"'. Nel 1421 un gruppo di beghine, che si ispiravano sempre alla regola francescana, si riuniva nella chiesa dello Spirito Santo attorno a un certo fra Lorenzo:1 1 • 2.2.2. I domenicani. Non si può indicare con certezza la data di fondazione del primo convento domenicano a Catania. Gli storici dell'ordine indicano il 1224 come data citata tradizionalmente ma non suffragata da prove e il 1273 in cui un capitolo dell'ordine ordinò il trasferimento di un convento dalla città di Piazza a Catania''· Il Pirri,

27 «[ ... ] locuin qui Castru1n Ursinum vulgariter nuncupatur, situn1, in ci vitate Catanien., in quo alias vos aliquando pern1ansistis, licet postmodun1 propter persccutiones quondain Manfredi principis Tarenti exindc rccesseritis [ ... ]» (Bolla Petirio vestra di Nicolò III, del 12 luglio 1278, citata da M. D'ALATR!, op. cit., 32). 28 ARCHIVIO DI STATO. CATANIA,

Corporazioni religiose soppresse, S. Francesco d'Assisi, Partite 2311078, ff. 379-400; Fo11dazio11e del convento 66/1121; Giuliana 6911124. Eleonora d'Angiò, moglie di Federico II d'Aragona, dopo la morte dcl rnarito si era in1pegnata a vivere secondo la regola delle clarisse e volle essere sepolta nella chiesa di San firancesco (PH. CAGLIOLA, op. cit., 71; V. M. AMICO, op. cii., lii, 141). 29 P!-!. CAGLIOLA, op. cii., 71; M. D'ALATRI, op. cit., 32. Jo V. M. AMICO, op. cit., III, 178; H. BRESC, l'ere111itis111e fra11ciscai11 en Sicife, in Fra11cesca11esù110 e cultura, cit., 37-44: 41-42. 31 Jbid., 43. 32 M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo Sca111111acca patrizio catanese dell'ordine dei predicatori, Tipografia la Fulgur, Catania 1926, 14-18; ID., la provincia do111enicana di Sicilia, cii., 362.


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seguito dal De Grossis e da Amico, collocano questa fondazione nel 1313, anno in cui il vescovo di Catania diede il nulla osta perché i domenicani officiassero una chiesa nell'area del castello Ursino e aprissero un loro convento nei locali annessi. Se si escludono queste incertezze cronologiche, il cammino percorso dai domenicani a Catania ha molti pnnti in comune con quello dei francescani: dallo scontro fra il papa e Federico II (se si dà per certa la fondazione dei domenicani nel 1224) 31 agli ostacoli posti dai benedettini per la fondazione del convento nei pressi del castello Ursino e ai problemi posti dallo scisma d'Occidente. Nel 1313 il vescovo Leonardo Fieschi pensava di concedere ai domenicani la chiesa di San Sebastiano perché potessero fondare un convento nei locali attigui. Per formalizzare la concessione si richiedeva il parere favorevole dei benedettini della cattedrale, che si opposero, così co1ne avevano fatto diversi anni prjma per i francescani. Nonostante l'opposizione del capitolo, il vescovo diede ai domenicani la licenza richiesta; ma questo suo atto di forza sembra abbia determinato una tensione insanabile con il capitolo, fino al punto da indurre il vescovo a ritornare a Genova sua patria3-i. A parte queste iniziali difficoltà, l'ordine dei predicatori riuscì ad avere una presenza seinpre più incisiva nel contesto socio-religioso della città soprattutto quando nel 1378 fu nominato vescovo il domenicano Simone del Pozzo. Probabilmente si deve a questo vescovo la presenza del priore pro tempore del convento dei

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11 Coniglione ricorda la disposizione data da Federico II di chiudere 111olti conventi di francescani e don1cnicani o di limitare a due soli i frati in essi operanti· con1c risposta alla loro ussoluta obbedienza alla politica del papa e fonnula l'ipotesi che il silenzio o le poche notizie sul prin10 convento dci domenicani a Catania possa essere attribuita a questa particolare circostanza (M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, cit., 15-18). H «Anno 1313 noster pracsul fratribus don1inicanis facultaten1 fecit excitandi Catanae coenobiuin in area castelli Ursini, qua de causa apud monachos suae ecclcsiae benedictinos in odiun1 ac invidia1n incidit, tunc ab iis constitutus procurator est fr. Nicolaus Discalceatus, prior ut coram metropolitano archiepiscopo Monteregalensi Arnaldo gravamina a Leonardo illata opponcrct» (R. PIRRI, op. cii., 537).


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domenicani nella direzione dell'ospedale San Marco 35 . Tuttavia Simone del Pozzo, se da una parte contribuì all'affermazione dell'ordine dall'altra lo trascinò nelle sue disgrazie al tempo dello scisma d'Occidente e della guerra fra Martino I e Artale Alagona. Il vescovo schieratosi per il papa di Roma e per Artale Alagona si opponeva a Martino I, che stava dalla parte del papa d'Avignone. Lo scontro fra gli aragonesi e Artale Alagona avvenne attorno al castello Ursino e al vicino convento domenicano. Quando Artale fu sconfitto, Martino I depose il vescovo Simone del Pozzo - che fu costretto a lasciare la diocesi e la Sicilia - e distrusse il convento dei domenicani. La motivazione ufficiale di questo provvedimento fu l'eccessiva vicinanza del convento al castello Ursino e il pericolo che comportava alla sua difesa in caso di guerra. I domenicani furono trasferiti nelle case confiscate ad Artale Alagona nei pressi della chiesa di Santa Maria della Rotonda (1394) 36 . Questa sede non doveva essere particolarmente idonea per la vita e le attività dei frati, che la ritennero provvisoria e di transizione. Infatti a distanza di dieci anni chiesero ed ottennero di trasferirsi nella chiesa di Santa Maria la Grande - nella parte occidentale della città, fuori le mura ma vicino all'abitato - per costruire il convento che sarebbe stato quello definitivo. La bolla di concessione del papa Bonifacio IX del 16 agosto 1404 è particolarmente rilevante per comprendere il rapporto esistente fra un ordine religioso e l'ordinamento ecclesiastico della città di Catanian Il documento,

35 L'ospedale San Marco era stato erelto dai rnagistrati ciltadini nella seconda 1netà dcl secolo XIV ed aveva sede nella piazza della Fiera (F. PRIVITERA, Annuario Catanese, Bisagni, Catania 1696, ; V. M. AMICO, op. cit., Ili, 147; G. SORGE, Li11ea111e11ti di storia de!I'ospedalità civile catanese, I1npegnoso e Pulvirenti, Catania 1940, 8-13; M. CON!GL!ONE, Vita del beato Bernardo, cit., 22-23). J 6 R. PIRRI, op. cii., 544. I ruderi di questo convento erano ancora visibili quando scriveva I. B. DEGHOSSJS, Cata11e11se f)ecacliordu111, I, Typis loannis Rossi, Catanae 1642, 135. Vedi anche V. M. Al\11CO, op. cit., II, 252-253; M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, cit., 21-22. 37 Il docu1nento era conosciuto al Coniglione che lo cita dal Bullarù1111 ()rdinis Praedicaton1111, ma non lo trascrive per intero (M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, cii., 28-29). Il testo integrale della bolla, trascritto dall'Archivio Vaticano, è stato pubblicalo da S. FODALE, f)ocu111e11ti del pont~ficato, cit., 258-260).


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accennando agli ultimi avvenimenti che avevano interessato i domenicani di Catania, afferma che l'ordine religioso era privo di una propria sede perché il vecchio convento, sito dentro le mura della città, era stato distrutto dalla guerra che si era combattuta nella zona. Poiché i frati non potevano rimanere senza fissa dimora, avevano chiesto che venisse loro affidata la chiesa di Santa Maria la Grande, che ben si prestava alle loro esigenze 38 • Si trattava di una chiesa sacramentale con pochi abitanti, che in quel momento era vacante per la morte dell'ultimo titolare Nicola Nicolai 19 • Per poterla concedere ai domenicani era necessario sopprimere l'esercizio della cura d'anime annesso alla chiesa; ma questa difficoltà non era insormontabile. Infatti nella città di Catania, per consuetudine immemorabile, i parrocchiani di ogni chiesa sacramentale non erano obbligati a chiedere i sacramenti alla chiesa di appartenenza, ma potevano rivolgersi liberamente ad altre"'· Pertanto il capitolo della cattedrale, anche se la sede vescovile era vacante, senza turbare l'ordinamento della cura d'anime della città, poteva chiedere la

38 «Vctus domus vcstra, quae infra 1nenia civitatis ciusdem consistebat, propter gucrras, quc in illis partibus viguerunt, adco dcstructa et desolata erat, quod vos in eadcm remanerc scu habitare nullatcnus commode potcratis, seu ut tuncque absque certa mansione vos oportuit evagarc quodque dieta ccclesia sancte Maric pro habitacionc vestra es.set accomoda ac Jocus, in quo dieta ecclesia consistit, esset etiam congruus et honcstus ut in co novarn do1num pro huiusmodi habitacione vestra cum domibus ortis ortalicìis et aliis necessariis officinis et edificis fundaretis» (ibid., 259). 39 «Sane pcticio vestra vobis nuper exhibita continebat quod olim parrochiali ecclcsia sancte Marie la Grande extra muros Cathanienses, quam quonda1n Nicolaus Nicolai ultimus ipsius ecclesie rcetor dum vivcret obtinebat, per ciusdem Nicolai obitu1n f ... ] vacante f ... ]» (!. c.). Notizie su questa chiesa si trovano in M. CONIGLIONE, Note di storia e di arte (A proposito dell'antica chiesa di S. Maria la Grande di Ca1ania), in Asso 53-54 (1958-1959) 140-150. 10 ' «Dilecli fili capitulum Cataniense actendcntes quod dieta ecclesia adtnodum paucos parrochianos habebat, prout habct, quodque ipsi parrochiani iuxta quandam antiquan1 consuetudinein, eciam a tanto tcmpore cuius contraria memoria non existit, hactenus observata1n scilicet quod prcdicti et ecimn cuiuscumque parrochialis ecclesie civitatis Cathaniensis parrochiani pro eorum voluntatis libito transirent ad alia parrochiales ccclesias eiusde1n civitatis, de quibus pro ten1pore videretur eisdem, pro 1nissis et aliis divinis officiis audiendis et recipiendis ccclesiasticis sacrainentis ac cciam pro baptisandis eorum infanti bus in eisdern [ ... ]» (S. FODALE, Docu111enti del pontificato, cit., 259).


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soppressione di una chiesa sacramentale e la concessione dell'edificio ai frati predicatori. Questi elementi ci fanno intravedere che nel rapporto religiosiordinamento diocesano si era avuta qualche apertura. Il capitolo della cattedrale, costituito da benedettini, non solo non si oppose alla concessione di una chiesa ai domenicani, ma non si appigliò alla sacramentalità della chiesa per mascherare la tradizionale avversione agli ordini mendicanti dietro una motivazione canonicamente valida. 2.2.3. Per i carmelitani e gli agostiniani, che troviamo a Catania fin dai secoli XIII-XIV, dobbiamo esaminare preliminarmente alcuni elementi comuni per comprendere la loro identità. Durante il secolo XII si assiste allo sviluppo diversificato dello stato religioso sia nelle forme di nuove istituzioni, che secondo il proprio tipo assumevano una delle due classiche regole (s. Bendetto e s. Agostino), sia in quella meno nota di comunità piccole e ristrette all'ambiente locale, i cui tnembri portavano l abito e avevano il nome di religiosi, però non seguivano una determinata regola oppure passavano facilmente ad un'altra. Inoltre si era acuito il conflitto fra vescovi e ordini religiosi sia a causa della esenzione dalla giurisdizione dei vescovi accordata con criterio sempre più ampio dalla santa Sede agli ordini religiosi, sia a motivo della frequente assunzione da parte dei religiosi di ministeri che esigevano il coordinamento con l'autorità diocesana. Il Concilio Lateranense IV (1215) volle creare un argine a queste situazioni proibendo la fondazione di nuovi ordini religiosi, riconducendo tutti i religiosi a una regola e introducendo il concetto di "religione approvata"; inoltre stabilì che ogni nuova forma di religione per esistere e accogliere membri doveva ottenere l'approvazione (n. 13)41 • In questo clima di riorganizzazione della vita religiosa si inquadra il problema dei carmelitani e degli agostiniani. Nonostante le severe norme emanate dal Concilio Lateranense IV, la santa Sede non poteva ignorare i numerosi gruppi di religiosi e di ere1niti già esistenti. 1

41 Conci!ionan Oec111nenicoru111 Decreta, Eos, Bologna 1991 4 , 242; M. MACCARRONE, lateranense IV, in Dizionario degli Istituti di Pe1fezio11e (=DIP), II, EP,

Roma 1975, 474-495.


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Occorreva dare loro una regola e trovare una precisa collocazione all'interno dell'ordinamento ecclesiastico. I religiosi, che in seguito diventeranno i carmelitani e gli agostiniani, avevano in comune la vocazione eremitica. Mentre i primi sorsero in Palestina e solo in un secondo momento, per cause di forza maggiore, si diffusero in Occidente 42 , i secondi esistevano come g1uppi autonon1i sparsi in varie regioni d'Italia con il solo denominatore comune della regola di s. Agostino sulla quale avevano fondato la loro esperienza religiosa''. In deroga alle norme del Lateranense IV, ai due ordini religiosi fu riconosciuto il diritto di esistere ma le loro regole furono indirizzate verso uno schema voluto dalla santa Sede. Questo se da una parte comportò la rinunzia ad alcuni elementi caratteristici, dall'altra rese

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L'ordine cannclitano ebbe origine in Palestina da alcuni crociati che si erano consacrali al!a vita crcrnitica stabilendosi nella Galilea, presso il 1nonte Cannelo (seconda 1netà del secolo XII). Tradizionahnente l'ordine non riconosce un proprio fondatore, rifacendosi idciJlrnente al profeta Elia. In realtà se il profeta Elia può essere considerato il rnoclello a cui questi cx croci<lti vollero ispirare la propria vita, veri fondatori rurono Bertoldo di Calabria e il patriarca di Gerusale1nrne s. Alberto, già vescovo di Vercelli, che diede loro la prin1a "formula di vita" tra il 1206 e il 1214. Questa pri1na bozza di regola, streltan1ente contc1nplativ8, fu approvata dal papa Onorio III il 30 gennaio 1226. L'ordine, originariainente costituito da laici ere1niti, fu costretto ad abbracciare la vita cenobitica (1238) e a rnode!lare la propria regola su quella degli ordini rnendicanli (1247) quando inco1ninciò ad en1igrare in Occidente per la instabile situazione politica della Palestina. Dopo le iniziali difficoltà interne per definire la propria identità e una certa resistenza incontrata da parte degli arnbienli contrari agli ordini 1nendicanli, l'ordine nei secoli XIII e XIV seguì nelle grandi linee le vicende dci 1nendicnnti. La sua idenlilà può essere definita attraverso nlcune costanli che ritrovìaino nelle successive n1odifiche alle regole i1nposte dai papi: il particolare rapporto verso la t\1adonna, una spiritualità orientata alla contcn1plnzione, l'in1pegno apostolico analogo 8 quello degli altri ordini 1nendicanti (H. JFDIN, Storia della Chiesa, traci. il., V/l, J8ca Book, Milano 1976, 251; L. SAGGI, O. STECìGINK, C. CATENA, Cannelitani, in Dir, II, Ro1na 1975, 460-521). 43 L'ordine di s. Agostino o degli eren1iti di s. Agostino nacque nel 1244 co1nc risultato dell'unione di diversi gruppi erernitici decretala il 16 dice1nbre 1243 da Innocenzo IV. La sua spirilualili1 era caratterizzata dalla ricerca di Dio nella fraternità, nella co1nunione di vit8 e nello studio cli Dio e cli Lullo ciò che porta a Dio. Tra i fini dell'ordine non c'era l'in1pegno all'apostolalo in quanto tale, anche se esso non veniva escluso. Una volla inquadrati fra gli ordini 1nendicanti, gli agostiniani si uniforn1arono rnan n1ano ni francescani e ai do1ncnicani soprattutto nel conferirnento degli ordini sacri ai propri rnen1bri, in vista dcl servizio diretto nel 1nìnistero pastorale. In tal 1nodo dalla vita ere1nitica si passò a quella cenobitica e nll'assunzione dell'apostolato al pari degli altri ordini 1nendicanli (B. RANO, Agostiniani, in DrP, I, Roma 1974, 278-381 ).


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possibile un più facile controllo di queste realtà ecclesiali e ne favorì la crescita ordinata e la diffusione. Il Concilio di Lione II (1274) si trovò ad arginare la proliferazione degli ordini mendicanti e degli eremiti, che a volte assumevano preoccupanti tinte ereticali (n. 23). Constatando che le norme emanate dal Concilio Lateranense IV erano state in gran parte disattese, assunse un atteggiamento più rigoroso: rinnovò la proibizione di istituire nuovi ordini religiosi; tutti gli ordini sorti dopo il Concilio Lateranense IV dovevano essere soppressi; con l'approvazione della santa Sede potevano rimanere gli ordini mendicanti, ma non era loro consentito accettare nuovi membri, ap1ire nuovi conventi, alienare case senza il permesso della suprema autorità; le disposizioni del concilio non dovevano applicarsi ai francescani e ai domenicani, la cui evidente utilità per la Chiesa universale è testimoniata dall'approvazione. «Quanto agli ordini dei carmelitani e degli eremitani di Sant'Agostino, la cui fondazione risale a prima del concilio generale di cui abbiamo parlato, concediamo che essi possano rin1anere nella loro condizione, fino a che per essi non sia presa una diversa decisione». La decisione fu presa e a questi due ordini religiosi fu riconosciuto il diritto di esistere, di svolgere la propria attività secondo le costituzioni approvate e di diffondersi'". 2.2.4. I carmelitani. Non possiamo accettare le notizie che ci offrono gli storici siciliani dei secoli XVII-XVIII per la fondazione del primo convento dei carmelitani a Catania, perché si limitano a riferire una tradizione contraria ai dati certi di cui disponia1no o perché fondata su documenti chiaramente falsi".

44 Conci!ion1111 Oecun1enicon1111 f)ecrera, cit., 326-327; A. FRANCHI, Lione II, in Dir, V, Rornn 1978, 674-679. " 5 li Pirri scrive che i frnti cannelitani giunsero per la pri1na volta a Palcnno e Messina verso il 1154, quando Adelasia era regina di Gerusale1nme; fondarono il convento di Catania nel 1200 (R. PTRRT, op. cit., 575). In realtà il 1nalrimonio tì·a il Baldovino, re di Gerusale1nn1e, e Adelasia fu celebrato nel 1113 e dichiarato nullo nel 1117; la contessa Adelasia n1orì il 16 aprile 1118. In ogni caso in quegli anni l'ordine cannelitano non era stato ancora fondato. Il Dc Grossis pone l'emigrazione dci cannclilani dalla Palestina in Sicilin dopo il 1187 e colloca la fondazione del convento di Catania verso i! 1200, indicando co1ne pri1na pro1notricc di questa


192

Adolfo Longhitano

L'espansione m Occidente dell'ordine carmelitano iniziò nella prima metà del secolo XIII, quando gli ex crociati che avevano abbandonato le armi per consacrarsi a Dio nella solitudine, in seguito alla pressione musulmana sul regno latino di Gerusalemme, incominciarono a lasciare la Palestina per tornare alle loro terre d'origine. Questo esodo si concluse nel 1291 con la caduta di Accon e la fine del dominio crociato in Siria e in Palestina. I primi carmelitani che sbarcarono in Sicilia nel 1238 fondarono un convento a Messina; da questo negli anni successivi si partirono i diversi fondatori dei conventi della Sicilia. La fondazione del convento di Catania può essere collocata verso il 1248. Ai nuovi religiosi fu affidata la chiesa di Santa Lucia, dedicata in seguito all'Annunziata, a poca distanza dalle mura della città·". 2. 2. 5. Gli agostiniani. Non si hanno molte notizie sulla fondazione del primo convento agostiniano a Catania. Il Pirri si limita ad affermare che fu istituito prima del 1455. Amico scrive che l'attuale chiesa e il convento degli agostiniani furono costruiti nel secolo XIV, nel luogo in cui sorgevano la chiesa di Santa Veneranda e il pubblico edificio di una magistratura cittadina. La loro venuta a Catania fu patrocinata dal patrizio Ferdinando Guerrieri. Lo stesso autore spiega la mancanza di documenti con la peste del 1523, che colpì in modo particolare il convento e indusse a bruciare l'archivio". Gli storici dell'ordine indicano il 1320 come data di fondazione del convento di Catania48 .

fondazione la rcgin8 Costanza, che era morta nel 1198 (I. B. DE GROSSIS, Catanense Decachordun1, cit., 157-158). Vito Amico ripete le stesse notizie, anche se si limita ad affern1arc che il convento fu fondato verso la fine dcl secolo XH (V. M. A11JCO, op. cii., III, 147). Per una valutazione di questa inattendibile tradizione storiografica vedi L. T. WHITE, op. cit., 374-476. Non si co1nprende la critica rivolta a questo autore da C. NTCO'J'RA, Il Canne/o catanese nella storia e nell'arte, Samperi, Messina 1977, 2123, se anche lui finisce col respingere come inatLcndibile la tradizione antica e col giungere alle sue stesse conclusioni (ibid., 25-31). 46 C. NTCOTRA, op. cii., 27-41. 47 V. 11. AMICO, op. cit., 111, 145. 48 8. RAND, op. cit., 339.


Gli ordini religiosi a Catania nel '400

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2.2.6. Per guanto gli ordini mendicanti abbiano un comune denominatore e di solito siano considerati in un quadro unitario per distinguerli dall'ardo monastico, tuttavia ognuno di essi ha una propria identità e svolge un'attività che per certi aspetti è diversa da quella degli altri. Insieme condividono l'ideale di una vita religiosa che alla povertà, al silenzio e alla preghiera si prefigge di unire l'azione apostolica nel mondo. Però nei francescani è preminente la testimonianza di povertà (che in un certo senso viene identificata con la perfezione), l'impegno verso i ceti più umili e lo sforzo dì mediare le verità della fede nel linguaggio e nelle categorie del popolo. La preminenza data alla povertà e la sua identificazione con la perfezione favorì forme di evangelismo esasperato, che in diverse occasioni si associarono anche ad agitazioni politiche". Per i domenicani, invece, è preminente l'impegno per la predicazione, la poverlà «non è voluta separatamente, ma in un tutto, che comporta, in ugual misura, la vita comune di unanimità e la predicazione della salvezza»"'· La preminenza data alla predicazione consente ai domenicani lo stretto rapporto con le masse e la possibilità di esercitare una certa influenza nella diffusione di alcune devozioni popolari (si pensi al rosario). Nello stesso tempo, però, i predicatori, dovendo dedicare gran parte del loro tempo allo studio e all'approfondimento delle verità di fede, possono correre il rischio di chiudersi in forme astratte di intellettualismo e dì essere considerati i difensori e i garanti dell'ortodossia 51 . Infine i carmelitani si

A. POMPEI, Francescanesitno, in DIP, IV, Roma I 977, 446~464; L. DI FONZO, Fra11cesca11i ( 1209-1517), ibid., 464-511; C. SCIJMJTT, Fratice!fi, ibid., 807-821; L. IRIARTE, Storia del francescanesiino, trac!. it., Dchoniane, Napoli 1982. Sul 49

n1ovimento degli spirituali e la disputa sulla povertà vedi in quest'ultimo volu1nc il cap. V (107-114) e H. lEDIN, op. cii., V/I, 346-355; V/2, 95-101. Il movimento degli spirituali si diffuse anche in Sicilia e le autorità politiche in alcuni casi cercarono di utilizzare per i propri fini le tendenze gioachimite e ghibelline dei fraticelli (H. BRESC, Un 111011de 111éditerra11ée11, cit., 610-611; F. Russo, I fraticelli in Sicilia, in Francescanesitno e cultura, ciL, 87-94). 50 M. H. VICAIRE, Povertà (Gli ordini 111e11dica11ti: i predicatori), in DrP, VII, Ro1na 1983, 310-318: 314; Io., Storia di S. Do111enico, Lrad. it., EP, Ro1na 1983, 505-510; 544-549. 51 Per la descrizione dci tratli distintivi dell'ordine doincnicano vedi L. A. REDIGONO/\, Frati predicatori, in Drr, IV, cit., 923-970. L'intcllcttualis1no costituiva


194 distinguono nell'approfondimento della teologia spirituale e nella diffusione della devozione mariana 52 , e gli agostiniani cercano di mediare nella predicazione e nel ministero il pensiero e la spiritnalità di s. Agostino". Non è superfluo ricordare che nel corso del '400 gli ordini mendicanti, dal punto di vista culturale, si collocano sullo stesso piano: superate le iniziali diffidenze per la cultura filosofica e teologica, che si erano manifestate in alcuni di essi, tutti gli ordini avevano ormai il loro studio interno, con i propri maestri di teologia che avevano conseguito i titoli accademici o avevano acquisito una competenza e una fama che talvolta superava i confini dell'ordine medesimo''. Per quanto riguarda la preparazione culturale e lo studio delle discipline teologiche, il clero regolare si trovava in una condizione più favorevole del clero diocesano, anche perché la struttura stessa di un ordine religioso rendeva più facile la destinazione di alcuni allo studio

per i do1ncnicani un pericolo nella 1nisura in cui lo studio diventava un'attività fine a se stessa, senza il suo essenziale riferimento all'azione apostolica, così carne aveva prescritto il fondatore nella fegola. L'aver considerato i domenicani come i difensori e i garanti dell'ortodossia ha avuto co1nc conseguenza il loro coinvolgimento nell'istitulo dell'inquisizione; un coinvolgin1ento che interessò anche i francescani. Tuttavia in Sicilia l'inquisizione fu afùdata ai domenicani; «Secondo la ripartizione d'Innocenzo IV o dei suoi i1n1nediati successori, i francescani furono titolari delle province inquisitoriali del Lazio, dcll'U1nbria, della Toscana con la Sardegna e la Corsica, della Ro1nagna, delle Marche, di Venezia, della Marca Trevisana, della Provenza, dcl Delfinato, della Borgogna e della Bosnia. Ai domenicani invece furono assegnate le due Sicilie, la Lombardia con una parte dell'E1nilia Romagna, il Piemonte e la Marca di Genova, la Linguadoca e l'Aragona. Nella Francia del nord, invece, i due ordini seguitarono a collahorare negli stessi tribunali per la repressione dell'eresia. Non fu stabilita invece l'inquisizione 1nedicvale in Inghilterra, Scandinavia, Portogallo e Casligli:::P> (M. D'ALATRJ, Inquisizione, in DIP, IV, cit., 1707-1713:

1708). 52 AA.VV., Can11elita11i, in DIP, Il, Ron1a 1975, 460-521. S} J. MORAN, Agosti11ianesi1110, in DIP, I, cit., 262-278; B. RANO, Agostiniani, ibid., 278-381. 54 M. CONIGLIONE, La provincia do111enica11a, cit., 147-222; D. CICCARELLI, op. cit. Gili fin dal secolo precedente gli studi interni degli ordini religiosi avevano avuto una certa influenza nella società siciliana; una incidenza che interessava anche i laici superando le inura dei 1nonasteri e dei conventi (F. BRUNI, La cultura e la prosa volgare nel '300 e nel '400, in AA. VV., Stor;a della Sicilia, cit., IV, Napoli 1980, 179-279:

228).


Gli ordini religiosi a Catania nel '400

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e la frequenza alle università. Non è un caso che dopo la fondazione dell'università a Catania i primi lettori di teologia siano stati religiosi 55 . 2.2.7. Lo spazio riservato dalle norme canoniche al loro ministero pastorale era uguale per tutti: con l'autorizzazione del vescovo i religiosi potevano celebrare le funzioni non strettamente connesse alla cura delle anime, che rimaneva riservata al clero diocesano. Il concetto giuridico di "cura delle anime" comportava ttufficio che esercitava il parroco o il vicario sacramentale con l'obbligo di celebrare i battesimi, i matrimoni, di assistere i moribondi, di in1partire il catechisn10 ai bambini ... 56 . Rimaneva, pertanto, ai religiosi un ambito abbastanza ampio per svolgere il ministero pasto-

55

Dci sei lettori di teologia dcl '400 riportati dal Catalano, Nicola Asmundo è cannclitano, Nicola Tino 111inore conventuale, Benedetto As1nari benedettino, Antonio Can1pixano religioso non n1eglio identificato, Andrea Scalisio 1ninorc conventuale; solo Antonio Sanfranccsco sc1nbra non sia religioso (M. CATALANO, L'università di Cato11ù1 nel rinasci111ento: 1434-1600, in AA. Vv., Storia del/'u11h1ersità di Catania dalle origini ai giorni nostri, Tip. Zuccarello e Izzi, Catania

1934, 70). 56 La detenninazionc dcl concetto giuridico di "cura delle ani1ne" e del rninislero che gli ordini religiosi potevano svolgere senza l'autorizzazione dcl vescovo non è stata facile nel corso dci secoli. Il proble1na non si pose tanlo per l'orda 1nonaslico, che aveva un mnbito di giurisdizione molto limitato, quanto per gli ordini n1endicanti, che fin dal1a loro fondazione si proposero un ministero ad an1pio raggio, non lin1itato da confini Lerritoriali. Mentre i vescovi guardavano con sospetto questi predicatori itineranti, che non rispettavano la loro giurisdizione e a volle ponevano problcn1i cli ortodossia e di opportunilà pastorale, i papi si di1nostrarono favorevoli verso questi ordini, che con il loro entusiasmo e la loro disponibilità pennettevano una evangelizzazione più agile e capillare, al dì fuori degli scherni tradizionnli. Per evitare intralci alla loro azione pastorale i papi concessero una serie cli privilegi, fra i quali il più in1portanle fu l'esenzione, che sottraeva gli ordini rnendicanli alla giurisdizione dei vescovi per farli dipendere esclusiva1nentc dalla loro autorità. La ricerca cli un compromesso fra le due posizioni fu difficile: si veda ad esernpio la pole1nica sorta durante il Concilio cli Lione Il (1274). Gli ordini 1ncndicanti, per non esasperare la difficile situazione, avevano deciso dì non servirsi dei privilegi concessi dal papa; 1na alcuni vescovi giunsero a chiedere il loro sciogli1nento. Con1e abbian10 visto, il concilio non volle 1nettere in discussione l'esistenza dei francescani e dei domenicani, ma pose dei lin1iti agli altri ordini 111endicanti, in attesa di riesaminnre tutta la questione. Negli anni successivi, con una serie cli interventi norn1ativi non se1nprc coerenti, si affcnnò il principio di concedere ai religiosi una certa autonon1ia nelle chiese dci loro conventi e di sotto1net1erli all'autorità dcl vescovo nel 1ninisrero che svolgevano al di fuori di esse (A. FRANCHI, op. cit., I, 674-679; A. PLICHE - V. MARTJN, op. cii., X, Torino 1976, 653-654; L. IRIARTE, op. cit., 103-106).


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raie che era, comunque, diretto alla cura delle anime intesa m senso più ampio: la celebrazione delle messe quotidiane e festive nelle loro chiese, la predicazione ordinaria e quella straordinaria (come ad es. le missioni popolari), le confessioni, la cura dei fedeli iscritti alle confraternite o ai terzi ordini che erano molto fiorenti ... 57 . Il seguito che gli ordini mendicanti avevano presso le masse popolari testimonia la validità di un'azione pastorale che veniva incontro alle loro esigenze. Se il clero diocesano, per il suo ministero, poteva contare sulle strutture istituzionali delle parrocchie, quello regolare poteva contrapporre la struttura più agile delle confraternite e dei terzi ordini 58 . Ma, oltre al ministero che svolgevano per iniziativa dell'ordine, i religiosi spesso erano invitati dai parroci e dal clero diocesano nelle feste e nelle diverse ricorrenze dell'anno liturgico. I vescovi, che spesso provenivano anch'essi dagli ordini religiosi 59 , si servivano di frequente del loro aiuto o per la consulenza nelle varie discipline ecclesiastiche in cui erano esperti, o per assolvere incarichi speciali. 2.2.8. Anche nella diocesi di Catania non erano rari gli interventi del vescovo e dei suoi collaboratori per richiamare

57 Molte confraternite laicali erano fondate e dirette dagli ordini mendicanti: si pensi ai disciplinati e alle confraternite del rosario; i terzi ordini erano una istituzione esclusiva degli ordini n1endicanti. Di solito le confraternite e i terzi ordini, oltre alle pratiche spirituali, si iinpcgnavano anche nelle opere di carità: assistere i moribondi, i malati, gestire i 1nonti di pietà ... Sul teina vedi: G. ANGELOZZI, Le confraternite laicali. Un'esperienza tra 1nedioeFo e età 111oder11a, Queriniana, Bescia 1978; G. G. MEERSSEMAN - G. PIERO PACINI, Le confraternite laicali in Italia dal '400 al '600, in AA. Vv., Proble1ni di storia della Chiesa nei secoli XV-XVII, cit., 109-136; P. COLLURA, I Francescani di Palenno e la prùna confraternila dei disciplinati di S. Nicola di S. Francesco, in Francescanesùno e cultura, cit., 143-148; F. ROTOLO, Fra Andrea da Faenza O.F.M. Obs. (+ 1495) e i pri111i 111011ti di pietà in Sicilia, ibid., 149179. 58 H. BRESC, Un 1no11de 111éditerra11éen, cit., 620. 59 M. CONIGLIONE, la provincia donienicana, cit., 528-530; H. ENZENSBERGER, I vescovi francescani in Sicilia (sec. Xlii-XV), in Francescanesùno e cultura, cit., 4562. S. FODALE, I frati 1ni11ori in Sicilia tra i Martin i e lo sci.H1u1 ( 1392-1412), ibid., 79-85. Nel secolo XV, dci sedici vescovi che governarono la diocesi di Catania sette furono religiosi: quattro benedettini, due don1enieani, uno francescano, (Catania sacra 1913, 10-11; [G. MESSINA], Catania sacra 1972, 35-37; C. EUBEL, Hierarchia catholica 111edii aevi, I, Sumptibus et typis Librariac Regcnsbcrgianae, Monasterii 1913, 177; Il, Monasterii 1914, 122).


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~~~~~~~~

all'osservanza delle norme canoniche gli ordini religiosi che, nell'esercizio del ministero, si fossero spinti oltre i limiti stabiliti. Il problema, tuttavia, si poneva diversamente nei confronti dei benedettini e degli ordini mendicanti. Le abbazie e i monasteri benedettini, all'atto della loro fondazione o nei secoli successivi, avevano ricevuto la facoltà di esercitare la cura delle anime in favore dei fedeli che abitavano nel territorio soggetto alla loro giurisdizione. Ma, secondo la prassi monastica, i benedettini facevano svolgere ad alcuni sacerdoti dcl clero diocesano, sotto la loro autorità, l'esercizio della cura pastorale"'· Col tempo, però, i vescovi incominciarono ad interpretare in senso molto restrittivo le facoltà dei monaci in tema di cura delle anime. Nel '400 si hanno alcuni interventi significativi che riguardano l'abbazia Sant'Agata annessa alla cattedrale e l'abbazia Santa Maria Latina nella città di San Filippo d'Agira. Una disposizione di Eugenio IV del 1446, ma eseguita dall'abate di Nuovaluce nel 1452, consentì al clero diocesano di ricevere i benefici de requie della cattedrale". Il provvedimento, per lo stesso fatto che permetteva l'esercizio del culto ai sacerdoti estranei all'abbazia, mise in discussione l'attività esclusiva dei benedettini nella cattedrale. Nel 1476, in seguito ad una controversia fra i benedettini e i cappellani sacramentali della cattedrale, che pretendevano un aumento dei compensi per il ministero da loro esercitato, il vescovo Guglielmo Bellomo, in cambio di alcuni benefici che si impegnava a conferire ai cappellani, riuscì ad avere da parte dei monaci la cessione del diritto di nomina62 • In tal modo il vescovo estese la sua giurisdizione all'esercizio della cura delle anime nella cattedrale, un settore particolarmente rilevante che gli era stato sempre precluso. L'abbazia di Santa Maria Latina aveva una analoga giurisdizione nei confronti dei cappellani delle chiese sacramentali di San Filippo

I 85v.

60

U. BERLIERE, L'exercise du niinistère, cit.; G. PENCO, op. cit., 375-377.

61

ARCHIVIO CAPITOLO CA1TEDRALE. CATANIA,

62

ARCHIVIO CURIA ARClVESCOVILE. CATANIA,

Liber prioratus, 55r-57v. Tu!!'atti (=TA) 1467-1471, 185r-


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Adolfo Longhitano

d' Agira 63 . Nel 1494 il vicario generale intervenne nei confronti del clero del luogo, che contestava la sostituzione del cappellano sacramentale di Santa Margherita da parte del procuratore generale dell'abbazia. Il documento invitò il clero a rispettare i diritti dei monaci 64 n1a, negli anni successivi, l'atteggiamento del vescovo cambiò; rivendicò per sé il diritto esclusivo alla nomina dei cappellani che, da parte loro, si impegnarono a prestare un 01naggio simbolico ai

benedettini nella festa del patrono 65 • Gli ordini mendicanti non potevano reclamare antichi privilegi per l'esercizio della cura delle anime e, perciò, ogni tentativo di entrare in un ministero che a loro era precluso, trovava il clero diocesano e il vescovo decisi a scoraggiarlo. Nel 1475 il vicario generale Francesco Di Jacco invita l'arciprete di Regalbuto a intervenire per far cessare l'abuso: un frate agostiniano presumeva «ministrari sacra1nenti supra lu populu [ ... ] comu è dari la santa eucaristia, bactizari et uliari et altri cosi in gravi preiudiciu di lu cleru predictu». Il vicario si dimostra n1eravigliato di questo co1nportamento, perché «tninistrar divina sacra1nenta non è concessu ecceptu a li prcviti seculari, et li religiusi et conventuali, sacris canonacis testantibus, non ponnu lali sacran1enti ministrari, nisi tantun1 audiri confessioni» 66 .

Un altro documento del 1490 riporta le disposizioni generali, date dal vicario Girolamo La Rosa ai vicari foranei di tutta la diocesi, prendendo lo spunto da alcuni abusi verificatisi in diversi luoghi: «Havimu havuta veridica informacioni ki alcuni religiusi et fratri senza licencia nostra su stati misi et creati cappellani in li ecclesii et parrochii di quissa diocesi, li guaii nullo modo ponu né divinu essiri cappellani [ .. ]. Per tantu non volendu in aliquo modo derogari la iurisdictioni clericali et iurisdictioni nostra et di lu rev .mu signuri episcopu, havimu

mature provistu [... ] ki digiati tali frati licentiari di li ditti ecclesii» 67 •

6 ·~ A. LONGH!TANO, La p(/rrocchia, cit., 30-31. 64 TA 1492-1495, 244v-245r. 65 TA 1563-1564, lllv-112r. 66 TA 1475-1476. 3lr. 67 TA 1489-1491, 54r-54v.


.. Gli ordini religiosi a Catania nel '400

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Nonostante il richiamo ai principi e il fermo atteggiamento delle autorità diocesane nel reprimere questi abusi, si nota qualche apertura nei confronti dei religiosi in casi di particolare necessità e per un tempo limitato. Nel 1498 i vicari generali del vescovo Francesco des Prades consentirono a un frate francescano, invitato dal barone di Pietraperzia, di esercitare la cura delle anime in favore degli abitanti di quel casale. Da sottolineare, tuttavia, le raccomandazioni date sia al frate, perché si comporti in modo da non far nascere pregiudizi, sia a lutti i sudditi (compreso, quindi, il clero diocesano), che non abbiano a recar molestia al frate per le facoltà che gli erano state concesse".

3. La riforma degli ordini religiosi: le congregazioni dell'osservanza degli ordini mendicanti e le congregazioni di riforma degli ordini monastici

3.1. Il movimento dell'osservanza 3.1.1. Il problema della riforma della Chiesa in capite et "'

n1en1bris non era nuovo. L'ideale di una Ecclesia se111per reforn1anda veniva periodicamente riproposto da coloro che, constatando le infedeltà della Chiesa alla sua missione, l'immoralità del clero, il

68 «Yen. fratri Nardo Muratori ordinis Minorum, cappellano rnagnifici do1nini baronis tcrrac Pctreperciae et casalis convicini et cappellano eiusdem casalis, tenore presenciun1, auctoritate qua fungi1nur, concedimus vobis et auctoritate1n attribuimus et donarnus in dicto casali rninistrandi et traddendi et consignandi tam sacramenta 01nnia ecclesiaslica lam in sponsaliciis quain in baptis1nate quain etiam in aliis necessariis ila ut Laliter vos in prc1nissis egeritis quod aliquod non possit oriri; 1nandantcs per has easdem 01nnibus subdiLis nostris quatenus in et circa pre1nissa ne debeant in aliquo molestare nec i1npedi1ncnlu1n aliquod inferri scd di1nittere vos eunde1n Nardu1n uti dieta sacratnenta per eas vobis concessis sub poena excom1nunicacionis et unciarum deeem ca1nerae episcopali. Datae in clarissima civitatc Cathaniae, XV novembris, Il ind. 1492. Dieta vos ven. fratcr Nardus fueritis in obediencia rev.mi domini nostri et eius offieialiun1. Datae ut supra quod possit tantuin sacra1nenta ministrare in casali predicto et cetcra. Dale ut supra et cetcra» (ibid., 144v-l45r). L'eccezionalità della concessione è sottolineata dalle postille che i vicari generali aggiungono n1an 1nano al documento per evitare che si creino situazioni di conflitto: il frate, nell'esercizio della cura d'anin1c, rimane soggetto alla giurisdizione del vescovo; può atn1ninistrare i sacramenti solo nel casale di Pietraperzia e non in altri posti.


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decadimento della disciplina degli ordini religiosi e del popolo cristiano, auspicavano un intervento dall'alto che servisse a riportare la Chiesa allo spirito delle origini. Tardando a venire la riforma dall'alto, alcuni presero l'iniziativa di attuarla nella propria persona o a proporla a quei fedeli di buona volontà che si dimostravano più sensibili a questi problemi 69 • Nell'ambito di una generale riforma della Chiesa si poneva anche il problema della riforma degli ordini religiosi. Era inevitabile che il rigore della regola venisse man mano attenuato sia dal disimpegno individuale dei religiosi, sia dalle dispense che, soprattutto nei periodi di crisi e di decadenza, i papi concedevano con estrema facilità. Anche se la situazione degli ordini mendicanti era diversa da quella dell'ardo monastico, tuttavia l'uno e gli altri sentivano il bisogno di riscoprire lo spirito del fondatore e di riportare l'osservanza della regola al fervore delle origini"'· 3.1.2. TI movimento dell'osservanza ebbe origini diverse ma finì per assumere, n1an 1nano, una fisionomia unitaria negli ordini mendicanti e nell'ardo monasticon Per lutti gli ordini religiosi fu la

69 Anche se nella Chiesa l'iniziativa della riforma non è stata considerata co1npito esclusivo della gerarchia, tuttavia nei periodi più difficili l'indizione di un concilio ecumenico fu ritenuta la via pili idonea per rcalizz<1re un progetto di rifonna di a1npio respiro. Con il Concilio Lateranense del 1215 ebbe inizio un nuovo tipo di concilio, che, per quattro secoli, avrà co1nc scopo la rifonna della Chiesa: una riforn1a

in capite et in n1e111bris, precisa Durand vescovo di Mende in occasione dcl Concilio di Vicnnc. Nonostante le rnoltcplici iniziative per re;:ilizzarc un'esigenza così sentita, né il Concilio di Viennc, né quelli che seguirono riuscirono a realizzare il voto dcl vescovo di Mende. Solo il Concilio di Trenlo, dopo la bufera del protestantcsi1no, riuscì nella parziale attuazione di questo progetto (Y. CONGAR, Vera e falsa nfonna della C'hiesa, trad. it., Jaca Book, Milano 1972, 24). 70 A. FLICHE - V. MARTIN, op. cii., XIV/3, 1336-1338. Un excursus storico di diversi autori, sul 1nodo con cui gli ordini religiosi nel corso dci secoli hanno concepito e attuato la riforn1a si Lrova alla voce R1fonne, in DIP, VII, Ro1na 1983,

1748-1763. 71 Per uno studio unitario sul 1novin1ento dell'osservanza presso i diversi ordini religiosi vedi A. FLICHE - V. MARTIN, op. cit., XIV/3, 1293-1378, e gli studi più recenti di Mario Fois, che in varie occasioni si è occupato di questo terna: M. Fors, op. cit.; Io., Ossenl(l!lza, Congregazioni di osservanza, in Dir, VI, Roma 1980, 1036-1057. In appendice a quest'ultimo saggio si trova un'ampia bibliografia che


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reazione salutare alla difficile situazione che si era creata per motivi diversi: la crisi della società feudale, il trasferimento della sede papale ad Avignone ( 1309-1377) e lo scisma d'Occidente ( 1378-1417), la peste nera (1347-1349), la guerra dei cento anni (1336-1453) ... 72 • Per i francescani costituì anche la naturale evoluzione delle controversie iniziate sulla interpretazione della regola e continuate con il movimento degli spirituali". Si trattò di una iniziativa di base che si proponeva l'osservanza della regola nelle sue prescrizioni originarie, con l'esclusione di ogni forma di accomodamento soprattutto in materia di povertà e di austerità. Ma i religiosi che desideravano realizzare questo progetto non potevano ri1nanere nei conventi assieme a coloro che non condividevano il loro ideale; perciò si ritenne necessaria la fondazione di case dell'osservanza nelle quali i religiosi desiderosi di condurre una vita più austera potessero riunirsi e sostenersi a vicenda 74 •

riguarda anche lo sviluppo dell'osservanza nei diversi ordini' religiosi. Lo sviluppo dell'osservanza nei rrancescani è analizzato da L. lRJARTE, op. cit., 115-134. 72 La peste nera provocò la dcci1nazione degli ordini religiosi con la conseguente concentrazione dei sopravvissuti nei grandi conventi rimasti vuoti, dove la vita era più con1oda e l'osservanza della regola meno rigorosa. Nella fretta di recuperare il Lerreno perduto non si operò un'accurata selezione nell'ammissione dci candidati al novi7.iato. Ne derivò un generale scadi1ncnto della disciplina che si accentuò durante lo scisma d'Occidente, nel clima di generale anarchia che pervase tutta la cristianità (A. FLICHE - V. MARTIN, op. cit., XIV/3, 1335-1336; L. lRlARTE, op. cii., 118-120). Per alcuni riflessi che ebbe la peste nera in Sicilia vedi S. TRAMONTANA, I francescani durante la peste del 1347-48 e alcuni episodi di psicosi collettiva in Sicilia, in Fra11cesca11esùnu e cultura, cil., 63-78. 73 Per il proble1na specifico delle controversie sulla interpretazione della regola francescana vedi G. BARONE, Frate Elia, in B11/le!fino per !'Istituto Storico ltliliano per il A1edio Evo e Archivio A1uratoria110 85 (1974-1975) 89-144. Lo sviluppo storico del 1novi1ncnto degli spirituali, che nacque 1ncntre s. Francesco era ancora in vita e continuò con alterne vicende nei secoli successivi, è descritto da L. IRIARTE, op. cii., 69-139. 74 Nascono così, negli ordini incndicanti, due categorie di religiosi: gli osservanti e i conventuali, due termini che facevano riferi1ncnto soprattutto all'esperienza francescana, 1na che furono adoperati anche negli altri ordini religiosi: «"Osservanti" nel priino rinasciinento sono coloro che desiderano un ritorno ai primi fervori dell'istituto, a1nano il ritiro, l'orazione 1nentale, l'austerità e povertà, la semplicità negli edifici e nelle celebrazioni !iLurgiche; "conventuali" sono coloro che abitano invece in edifici spaziosi, ove il ritino solenne e ordinato della vita comune il conventus, da convenio - è un valore pri1nario; ben adattatisi con le mitigazioni legitti1ne e con ciò che avevano professato, nemici delle innovazioni e dci fervori


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L'iniziativa fu incoraggiata dai superiori i quali, preoccupati di salvaguardare l'unità dell'ordine, cercarono di evitare che il moltiplicarsi di case dell'osservanza determinasse di fatto una scissione. La soluzione giuridica che consentì di salvaguardare allo stesso tempo le esigenze dell'unità e l'iniziativa dell'osservanza non è priva di interesse: pur rimanendo al vertice dell'ordine un unico ministro generale, i conventi dell'osservanza venivano affidati ad un vicario, che godeva di una certa autonomia anche nei confronti del ministro generale; dal vicario dell'osservanza dipendevano i vicari provinciali e i superiori locali. In prospettiva si auspicava che questa duplice struttura venisse a cessare quando l'osservanza si fosse estesa, man mano, a tutti i conventi dell'ordine. Nell'ardo monastico l'osservanza era strutturata diversamente. I benedettini non avevano una organizzazione centralizzata con1e gli ordini mendicanti; ogni abbazia era sui iuris e si governava autonomamente. Ciò comportava forme di isolamento e di i1npoverin1ento. L'osservanza introdusse una nuova organizzazione: le abbazie e i monasteri che aderivano a questo movimento costituirono una congregazione con forme centralizzate di governo che consentivano visite periodiche e interventi disciplinari nei diversi 1nonasteri. Pertanto il singolo n1onastero e il suo superiore venivano a perdere parte della loro autonomia, ma in compenso erano inseriti in una organizzazione che consentiva il rica1nbio, il sostegno e un efficace controllo circa il buon andamento della vita religiosa75 • 3.1.3. Secondo M. Fois, che ha studiato in modo unitario il movimento dell'osservanza nei diversi ordini religiosi, gli obiettivi principali che i riformatori si proponevano e cercavano di raggiungere in modo diverso, secondo le proprie regole e tradizioni, riguardavano: la vita comune e la clausura, l'austerità della vita, la cura di un'autentica vita interiore mediante opportune pratiche di pietà"conten1poninei, con1binano la serietà della disciplina 1nonastica con la fedeltà fondamentale all'ideale e all'efficacia del servizio alla Chiesa» (ibid., 115). 75 M. Fors, L"'ossenl(t!lza" co111e espressione ... , cit., 33-73; JD., Osservanza, cit., 1040-1048. 76 Io., L'"osservanza" con1e espressione .. , cit., 73-92; ID., Osservanza, cit., 1048-1052.


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a) La vita comune e la clausura: «Uno dei fenomeni della decadenza dei religiosi, al tempo che c1 occupa, era la distruzione della vita comune in tutte le sue dimensioni e la secolarizzazione. Non fu unicamente la peste nera e quelle che la seguirono, le distruzioni delle guerre e le altre calamità a rendere impossibile o molto difficile la liturgia corale e la vita comunitaria. Fu anche una carenza, talvolta totale, dello spirito religioso e, probabilmente, una certa psicologia della dissoluzione. Fu l'infedeltà al voto di povertà e la cupidigia a privatizzare o individualizzare i beni comuni delle case religiose, a costruire conventi lussuosi e a dotarli di eredità e rendite sicure. Fu l'infedeltà agli altri voti ad aprire la clausura alle donne (nei conventi femminili, ad aprirla a religiosi, clero secolare e laici), a far vivere monaci e frati in piena autonomia

individuale, senza comunità e perfino nel vagabondaggio, con o senza dispense papali»n Il movimento dell'osservanza riporta i monaci e i frati alla vita comune, ripristina la perfetta uguaglianza nell'abitazione, nel vestito e a tavola, con l'esclusione di qualsiasi particolarismo; obbliga alla partecipazione di tutti alla vita comune con l'eliminazione di ogni privilegio derivante da cariche ricoperte o da gradi accademici e impone l'osservanza della clausura. Tutto questo comporta la tendenza dei religiosi a separarsi dal mondo esterno e ad abbandonare quelle forme di apostolato che erano poco confacenti con l'osservanza regolare, come ad es. la cura parrocchiale, la direzione di conventi fe1n1ninili, ecc ...

b) L'austerità di vita: i religiosi osservanti si riproponevano di tradurre nella propria vita quotidiana l'assimilazione a Cristo crocifisso che si era realizzata nel battesimo e nella professione religiosa; questo proposito spiega il desiderio di vivere in assoluta

77

ID., L"'osservanza" co111e espressione .. ., cit., 75. li fenomeno dei frati che durante il '300 avevano infestato la Sicilia con il no1nc di presente nel l 505, quando Ferdinando il Cattolico no1ninò fra

francescani girovaghi, "sarabaiti", era ancora Giovanni da Ficarra, cattura (C. TRASSELLI,

vicario generale degli osservanti, per provvedere alla loro

op. cit., 241-242).


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povertà, secondo lo spirito della regola propria di ciascnn ordine 78 , e l'attuazione di pratiche penitenziali ed afflittive. I conventi dovevano essere costruiti in modo semplice e rozzo. Gli abiti dovevano essere confezionati con tela ruvida e di basso prezzo, quella che di solito veniva usata dai lavoratori. Nel loro stile di vita i religiosi dovevano essere i più poveri di tutta la regione in cui abitavano. Di solito rifiutavano le offerte delle messe, i compensi per la predicazione e l'esercizio del ministero; si contentavano solamente delle libere offerte dei benefattori. Le pratiche penitenziali ed afflittive erano un'altra caratteristica degli osservanti: in alcune congregazioni c'era l'obbligo dell'astinenza perpetua dalle carni, il digiuno quotidiano che si protraeva dalla festa dell'esaltazione della s. Croce (14 settembre) a pasqua e il digiuno bisettimanale da pasqua all'esaltazione della s. Croce. L'uso della disciplina e del cilizio era vario nelle congregazioni dell'osservanza: in alcune la disciplina era obbligatoria due volte la settimana durante la quaresima, in altre tre volte; in altre ancora ogni giorno o addirittura più volte al giorno; inoltre il superiore poteva imporla per le infrazioni alla regola. Il cilizio veniva lasciato alla libera iniziativa dei singoli religiosi. Il silenzio, che veniva raccomandato in tutti i capitoli, non era fine a se stesso: intendeva creare il clima di raccoglimento conventuale per favorire lo spirito di preghiera, di meditazione e l'intima unione con Dio. c) La cura della vita interiore. I religiosi, per essere fedeli alla propria vocazione, dovevano acquisire la "sapienza" di Cristo che non poteva essere raggiunta con gli studi accademici, ma con la preghiera e la meditazione; perciò nelle congregazioni dell'osservanza diverse ore della giornata venivano dedicate alla lectio divina, consistente nella lettura di brani della Bibbia, dei padri della

78 Si tenga presente la differenza che era sen1pre esistita in tema di povertà fra i francescani e i don1enicani. L'atteggian1cnto dei francescani era più rigido e radicale; i domenicani consideravano la povertà necessaria per la fedele sequela di Cristo, 1na la sua osservanza doveva tener conto anche del fine specifico dell'ordine: la predicazione e quindi lo studio con i presupposti necessari perché i frati potessero attendervi convcnienten1ente (M. H. VICAIRE, Povertà, cit.).


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Chiesa e di vite di santi. La lectio divina preparava alla meditazione e alla preghiera comunitaria. 3.1.4. Il tentativo di ritorno alle origini non era privo di rischi e di ambiguità: così se nei promotori dell'osservanza venivano meno il senso della storia e una certa duttilità nell'applicazione delle riforme si potevano creare situazioni aberranti. Infatti non si poteva intendere questo ritorno in modo radicale, dimenticando l'evoluzione della società e della Chiesa e le esigenze dell'apostolato. Gli ordini religiosi, nel loro rinnovamento, dovevano tener conto del diverso approccio che l'umanesimo aveva contribuito a stabilire con Dio, delle nuove istanze religiose della società, dei fermenti culturali che ponevano interrogativi nuovi alla tcologia"A tal proposito il problema degli studi, che l'osservanza fu costretta ad affrontare non senza tensioni, è indicativo delle difficoltà incontrate nel tentativo di armonizzare il desiderio del ritorno alle origini con le esigenze che poneva l'apostolato in un diverso contesto sociale. Nel periodo iniziale fra i promotori della riforma (in particolare fra i francescani) era comune una valutazione negativa dell'attività intellettuale e degli studi"'- All'origine di questo

79 La concezione del rapporto con Dio e l'esercizio delle pratiche di pietà proprie della devotio 111oder11a sono fra le "novità'' che il 1novimcnto dell'osservanza scn1bra accogliere senza problerni. «La reazione contro il "conventualisn10" non andava diretta solo contro gli abusi in 1nateria di povertà, ma anche contro una religiosità eccessiva1ncntc 1nonastica e ritualista, nel cui ritn10 a1npolloso non trovava spazio la pietà personale e soprattutto l'intimità silenziosa con Dio nella conternplazione, che negli eren1i degli osservanti aveva il pri1nato» (L. IRIARTE, op. cii., 128-129). Questo rilievo non ci permette di considerare l'osservanza se1nplicemente come un rnovirnento di restaurazione o di rigore; la rifonna che il 1novin1ento inlendc attuare riscopre i valori autentici della regola e cerca di tradurli nella nuova cultura formatasi sotto l'influsso dell'umanesimo. Perciò ad una riflessione più attenta l'osservante deve essere considerato come il portatore di un cristianesi1no un1anizzato (G. Cl-!JTTOLINI, op. cii., 174). 80 «Fuori di un numero lin1itato di gruppi, co1ne quello di Tours e quello diretto da Eixi1nenis in Aragona, che consideravano lo studio necessario per una sana riforn1a, gli altri tornarono all<1 diffidenza degli antichi spirituali per gli studi. Pietro de Villacreces, benché fosse 1naestro di teologia, proibì dcl tutto lo studio scientifico, anche quello della teologia; bastava che ogni sacerdote apprendesse il necessario per


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atteggiamento non c'era solamente la diffidenza di alcuni fondatori per l'attività intellettuale (vedi ad esempio s. Francesco) e quindi il desiderio di un semplice ritorno alle origini, ma la constatazione di un fenomeno comune a tutti gli ordini religiosi: la frequenza delle università e il conseguimento dei gradi accademici avevano dato lo spunto a molti religiosi per assumere comportamenti individualistici e per chiedere dispense generalizzate dall'osservanza della regola e dalla vita comune"'· Il problema, perciò, si poneva anche per i domenicani, nonostante le grandi aperture previste dalla regola su questo argo1nento 82 .

Gli abusi che si erano verificati con l'affievolirsi di un autentico spirito religioso spinsero i riformatori ad indirizzare i religiosi più allo studio della coscienza che della scienza e ad obbligare coloro che volevano entrare nei 1nonasteri ad abbandonare gli studi e la carriera ecclesiastico-mondana, alla quale i gradi accademici aprivano la porta~n.

Ma le esigenze dell'apostolato fecero avvertire ben presto la necessità di una seria preparazione teologica per i predicatori e i confessori. Non senza difficoltà e resistenze fu necessario introdurre l'obbligo della frequenza ai corsi filosofici e teologici per quei religiosi che si preparavano a ricevere gli ordini sacri. Col tempo le congregazioni dell'osservanza si orientarono per una soluzione di !a recita corale e per il 1ninistcro. Questa rinunzia del sapere era chiainata "quarto grado di povertà"» (L. lRTARTE, op. cii., 129-130). 81 M. FOIS, L"'osservanz.a" co111e espressione ... , cii., 96-97. 82 S. Benedetto aveva elevato il lavoro 1nanuale a rnezzo di perfezione, s. Francesco aveva posto al vertice la povertà. In ainbedue gli ordini i chierici dovevano essere una eccezione. L'ordine do1nenìcano, invece, era costituito principahnente da chierici, che al lavoro n1anuale sostituivano lo studio-predicazione, cui poteva essere sacrificata anche la povertà, co1ne nlezzo al fine (L. A. REDIGONDA, op. cit., 924). Nonostante ciò, nella congregazione lo1nbarda dei do1ncnicani si 1nanifestò una valutazione negativa degli studi, special!ncnte accade1nici, nella formazione del religioso. «Agli occhi di Raitnondo da Capua la grande virtù del religioso è l'u111illà; perciò, egli deve inettersi in guardia contro le tenttlzioni della vanità. D'altra parte i giovani religiosi che avessero lasciaro la loro casa dopo il noviziato per un convento di studi o, peggio ancors, per un'università, rischiavano di perdere le buone abitudini che avevano contratte e il senso della regola. Quindi la cosa più se1nplice da farsi era sacrificare gli studi alla vita conventuale» (A. FLICHE - V. MARTIN, op. cii., XIV/3, 1351 ). ~ 3 M. FOIS, L'"osservanza" co111e espressione ... , cit., 93-94.


Gli ordini religiosi a Catania nel '400 207 -------compromesso: onde evitare che i religiosi osservanti si recassero negli studi generali dell'ordine o frequentassero le università, aprirono studi interni e locali che davano la competenza nelle discipline filosofiche e teologiche ma non conferivano i gradi accademici. A coloro che alla capacità intellettuale univano anche una vita religiosa esemplare consentivano di conseguire i gradi accaden1ici presso le università, 1na facendo valere, secondo le norme del tempo, la frequenza agli studi interni dell'ordine84 . 3.1.5. Nonostante la diffusione che l'osservanza ebbe nelle regioni d'Europa, non si raggiunse l'obiettivo di coinvolgere tutte le case religiose. A parte alcuni casi in cui l'osservanza fu imposta con la forza o con il ricorso al braccio secolare, non poche case religiose preferirono ignorare le proposte dei riformatori 85 • Questa situazione diede origine a conflitti e discussioni interminabili sia all'interno degli ordini religiosi, sia fra i religiosi e il clero diocesano"'. Lo stesso n1ovimento dell'osservanza non fu immune da li1niti: non erano rari, infatti, negli osservanti, atteggia1nenti farisaici e di superiorità nei confronti dei conventuali; così nei conflitti che contrapponevano gli osservanti ai conventuali, per screditare gli avversari non si aveva ritegno di usare l'arma della denigrazione; per ottenere il possesso delle case religiose si faceva ricorso all'astuzia, ai colpi di mano o si chiedeva l'intervento della forza pubblica.

84 Jbid., 95-99. Per conseguire i gradi accaden1ici bastava che il provinciale esibisse un certificato di frequenza negli studi dell'ordine perché il candidato venisse an1n1esso all'esa1ne finale previo alla concessione del titolo (M. CATALANO TIRRJTO, L'istruzione pubblica in SicifiCi nel Ri11ascin1e11to, 39-41; Io., Storia doc11111entata della regia università di Catania, Catania 1913, 28; M. CONIGLIONE, la provincia do1ne11ica11a, cit., 156). 85 «Il vescovo di Albi [ ... ] nel 1491 riforn1a il convento dci francescani, contro i quali deve ricorrere per ben due volte all'uso delle arn1i. La prin1a volta per cacciar via i conventuali e introdurvi gli osservanti; la seconda volta, quando i conventuali, per l'assenza degli osservanti in processione, rioccuparono il convento e riuscirono a sollevare la città contro il vescovo, il quale riconquistò la città con la truppa, dopo un regolare assedio durato una settimana, e cacciò in prigione i conventuali)> (M. Fo1s, l"'osservanza" co111e espressione .. ., cit., 24-25). 86 C. PIANA, Scritti pole111ici .fi·a conventuali ed osservanti a 111età del '400 con la partecipazione dei giuristi secolari, in Archiv11111 Fra11ciscanu111 Historic11111 71

(1978) 339-405; 72 (1979) 37-105.


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I risultati furono, comunque, largamente positivi, perché il movi1nento de11'osservanza riuscì a riproporre, in maniera vigorosa, l'ideale della vita religiosa ed ebbe una benefica influenza anche all'interno di quelle case che ufficialmente rifiutarono di accettare la riforma 87 •

3.2. L'osservanza in Sicilia e a Catania

3.2.1. Gli ordini mendicanti. Nel '400, fra gli ordini mendicanti, solo i francescani e i do1nenicani pare siano stati interessati, in Sicilia, al movimento dell'osservanza; per entrambi gli ordini si incontrano personaggi di notevole spessore, che operarono in stretta dipendenza con i principali promotori della riforma in Italia e in Europa88 . Anche in Sicilia l'osservanza francescana riprendeva in qualche modo l'eredità del movimento degli spirituali, presente nell'isola sia per la naturale osmosi di indirizzi e di idee che circolavano in Europa, sia perché alcuni frati vi si erano rifugiati dopo essere stati cacciati dalle altre regioni"'- Fra i discepoli più attivi di s. Bernardino da Siena, che utilizzò ampiamente, nelle sue opere, gli scritti di Ubertino da Casale dopo averli purgati da ogni traccia di gioachimismo e delle tesi più esasperate"', troviamo il beato Matteo d'Agrigento, morto nel 1450. Questi, con la sua predicazione, aveva ottenuto un grande successo nel regno di Aragona, quando si trasferì in Sicilia per

87 M. Fo1s, L '"ossenl{l/IZa 11 co1ne espressione ... , ciL, 103- 107. 88

Per gli agostiniani l'osservanza sembra sia venuta in Sicilia attraverso la Spagna all'inizio del '500 (B. RANO, op. cit., 324-325); 1nentrc gli ordini autonomi dci recolleLi o degli scalzi furono fondati alla fine dello stesso secolo (J. A. SALAZAR, Agostiniani recolfeffi, in DJP, I, cit., 387-404; I. BARBAGALLO, Agostiniani Scalzi, ibid., 404-415). Nei cannclitani pare che il rnovi1nenlo dell'osservanza non abbia interessato la Sicilia. La rifonna teresiana ebbe origine nel seconda 1nctà dcl '500 (L. SAGGI, Cannefitani, in DIP, II, cit., 460-476). Su questi ordini 1nen<licanti non si è in possesso di <lati sicuri per 1nancanza di studi attendibili. Notizie sulla diffusione dcl 1novirncnto dell'osservanza in Sicilia e sulla sua influenza nella cultura e nella società siciliane si hanno in F. BRUNI, op. cit., 246-252. 89 L. IRIARTE, op. cit., 112; F. BRUNT, op. cii., 231-232; H. BRESC, U11 111onde 111éditerranée11, ciL., 610-611. 9o A. FLJCHE - V. MARTIN, op. cit., XIV/3, 1363-1367.


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continuare il suo ministero fra le masse popolari e diffondere il movimento dcll'osservanza91 ; alla sua opera è strettamente collegata la fondazione di un gran numero di conventi, fra i guaii quello di Santa Maria di Gesù a Catania (1442) 92 • Allo stato attuale della storiografia non conosciamo i rapporti che si stabilirono fra i due conventi di Catania, quello di San Francesco dei conventuali e quello di Santa Maria di Gesù delrosservanza; 1na è certa la presenza di una forn1a di francescanesimo più austero, che esercitò la sua influenza nella vita religiosa della città. Anche fra i domenicani di Sicilia il movimento dell'osservanza trovò subito immediata diffusione, grazie all'azione instancabile di Pietro Geremia, uno dei discepoli del principale promotore della riforma: Raimondo da Capua, direttore spirituale e discepolo, a sua volta, di s. Caterina da Siena93 . Pietro Geremia, nato nel 1400, era stato

91

A. Atv!ORE, La predicazione del beato Matteo d'Agrigento a Barcellona e Valenza, in Archiv11111 Francisca11un1 Historic11111 49 (1956) 255-335; ID., Nuovi doc11111enti sull'attività del beato Matteo d'Agrigento nef!a SfJag11a e in Sicilia, ibhl., 52 (1959) 12-42. 92 Il bealo Matteo d'Agrigento pagò di persona la sua attività svolta sia in seno all'ordine (fu respinto dai suoi confratelli dell'osservanza), sia nella Chics8 (fu accusato cli rnisfatti rnai con1111essi nella sua qualità di vescovo di Agrigento e costretto a rinunziare al suo ufficio) (S. Gozzo, Studi e ricerche sul beato /L1atteo O.F.fl.1., 1 escovo d'Agrigento, Tip. Rolalori, Ro111a 1987, 418-445). Una vita inedita dcl beato, scritta da uno dei suoi più antichi biografi, si trova nella BIBLIOTECA REGIONALE. PALERMO, Vit(I del B. fr. Matteo di Girgenti vescovo di essa cil!à et fondatore del/a provintia di Sicilia de' Minori Osservanti scritta dal p. ji·. Antonino di Ra11dazzo osservanti r~fonnato ... , in una raccolta di 1nanoscritti provenienti dalla biblioteca dcl gesuita Ottavio Caetani (Manoscrilli, II E, 13, 52-74). Il De Grossis atlribuisce a s. Bernardino da Siena la fondazione a Catania del convento di Santa Maria di Gesù (I. B. DE GROSSIS, Catanense Decachordu111, cit., 149), n1a pare che s. Bernardino non sia 1nai venuto in Sicilia. Più credibile il Privitera quando scrive: «Nella fondazione J'in1poscro li sacri no1ni di Maria e Giesù in conformità che godevano più conventi dell'osservanza, portata in Sicilia dal B. Matteo di Giorgenti ]... l discepolo dcl P. Bernardino, qu:::ilì propalarono il santo non1c di Giesl1 nelli cuori dei fedeli» (F. PRlVITERA, op. cit., 191). Il convento esercitò un'influenza notevole nell'a1nbiente culturale della città se il suo guardiano, assicrne al priore cli San Don1enico, ne! secolo successivo fu incaricalo di assistere il vescovo-cancelliere nella elezione dei lettori dell'università di Catania (M. CATALANO, L'università di Catania nel rinaschnento, cit., 57). 93 Per l'origine e la diffusione del rnovi1nento dell'osservanza fra i don1enicani vedi: A. FLJC!!E - V. MARTIN, op. cii., XlV/3, 1333-1357; L. A. REDIGONDA, op. cii., 935-936; M. CONIGLIONE, La provincia do111e11ica11a, cii. 15-114. 1


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mandato dal padre, un noto magistrato e giurista palermitano, a studiare giurisprudenza a Bologna. Ma, venuto a contatto con l'ambiente domenicano, decise di farsi frate e, dopo il periodo di formazione trascorso nel convento di Fiesole, svolse per qualche tempo la sua attività nel convento di Bologna, che proprio in quegli anni era passato all'osservanza. In Sicilia il primo convento domenicano dell'osservanza fu quello di Santa Zita di Palermo, fondato nel 1428 su ispirazione di Pietro Geremia. Nel 1432 il Geremia, rinunziando probabilmente all'insegnamento della teologia all'università dì Oxford, si trasferì in Sicilia per diffondere il movimento dell'osservanza; si deve alla sua opera la riforma dei conventi di Messina, Catania, Taormina, Lentini e Caltanissetta 94 • Come abbiamo visto, nel 1404, il convento dei domenicani dì Catania dal quartiere della Rotonda era stato trasferito fuori le mura della città, presso gli angusti locali annessi alla chiesa Santa Maria la Grande. Pietro Geremia, dopo aver avuto in dono nel 1443, dai benedettini, parte dell'orto appartenente alla grancia del Santissimo Salvatore, lo ampliò e lo rese più rispondente ai progetti che egli intendeva realizzare''·

Sulla figura di Pietro Geremia vedi le brevi note del suo contemporaneo T. De viris illustribus ordinis praedicaton11n, in G. B. COZZUCLT, Tonunaso ScJ11faldo u111anista siciliano del secolo XV, Tip. lo Statuto, Palcnno 1897, 71-72; le notizie non n1olto precise riferite nell'opera postuma di O. CAETANI, Vitae Sanctorurn Sic11/on1111, II, Palenno 1657, 254-258; gli studi di M. CONIGLIONE, La provincia dorne11ica11a, cit., 16-26; lD., Pietro Geren1ia O.P. Santo, apostolo, scrittore. Inauguratore della R. Università catanese, Tip. Ospizio di Beneficenza, Catania 1952, e il saggio recente di A. BARILARO, Pietro Gere111ia. bnportante docL1111ento su gli anni gioFani!i, Provincia do1nenicana di Sicilia, Palermo 1982. E' di particolare rilevanza, per co1nprcnderc la figura del Geren1ia e il ruolo da lui avuto nella società catanese, lo studio di C. DOLLO, op. cir. Da correggere H. Bresc quando scrive che Pietro Geremia è santo e quindi l'unico che abbia avuto la Sicilia nel secolo XV (H. BRESC, Un n1011de 111éditerranée11, cit., 616): Pietro Gere1nia non è santo; e co1ne beato non è il solo che In Sicilia ha avuto in questo periodo; basti ricordare il francescano beato Matteo d'Agrigento, di cui abbiamo già parlato, e il don1cnicano beato Bernardo Scan1n1acca di cui parlercrno in seguito. 95 I don1enicani, allo scopo di costruire il convento, fin dcl 1428 avevano ottenuto dai benedettini un pezzo di orto della grangia verso tran1ontana con l'obbligo di costruire un 1nuro divisorio e innalzare un campanile a proprie spese. Questo impegno non fu 1nantenuto e nel 1432, con un nuovo atto notarile, fu rinnovata la convenzione; ma ancora una volta i domenicani, a motivo della loro 'H

SCI-/IFALDO,


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Prima della venuta di Pietro Geremia non sembra che il convento brillasse per la fedeltà alla regola e ai propri impegni religiosi. Infatti nell'atto di donazione del terreno i benedettini avevano fatto apporre come clausola che nessuna apertura del convento sporgesse sull'orto della grancia del Santissimo Salvatore, in modo che i monaci non fossero costretti ad assistere alle scene scandalose che avvenivano nel convento dei domenicani; se poi questi ultimi avessero continuato a vivere con concubine o dato in altro modo scandalo, la donazione del terreno avrebbe dovuto considerarsi revocata"'. L'opera di riforma di Pietro Geremia fu coronata da successo e il convento domenicano di Catania divenne un modello di osservanza e un centro culturale di grande rilievo con un proprio studio, che verso la fine del secolo divenne anche studio generale di tutta la provincia domenicana di Sicilia97 e una biblioteca, che andò distrutta nel 1445 in seguito ad un incendio; per ricostituirla i religiosi ottennero dal viceré, per otto giorni, la gabella del maldinaro 98 . Pietro Geremia non si limitò solamente alla riforma del suo ordine religioso; e a buon diritto può essere considerato uno dei principali protagonisti della vita religiosa e culturale della Sicilia in generale e di Catania in particolare. Assieme ai benedettini catanesi Nicola de Tudescis e Giovanni de Primis, infatti, si adoperò per la fondazione dell'università e al suo interessan1ento si deve anche l'erezione della collegiata Santa Maria dell'Elemosina, affermatasi nonostante la tenace opposizione dei benedettini della cattedralc99 . L'università diede a Catania il monopolio degli studi per il conseguimento dei gradi

povertà, non riuscirono a venire incontro ai desideri dei benedettini. Il problen1a fu definitivarncntc risolto nel 1443 in seguito all'interessa1nento di Pietro Geremia. (M. GAUDIOSO, L'abbazia di .S'. Nicolò l'Arena di Catania, in Archivio Storico della Sicilia Orientale [=Asso] 25 [1929] 210, norn 1; V. CASAGRANDI, Di taluni fondatori e prinli lettori del "Siculoru111 Gyn1nasiu111", in Asso 26 [1930] 216-226; M. CONIGLIONE, Pietro Gere111ia O.P., cir., 127-128). 96 97 98 99

GAUDIOSO, I. c. CONJGLIONE, La provincia do111e11ica11a, cit., 152-156. CATALANO TIRRITO, Storia doc11111entata ... , cit., 42. CASAGRANDJ, op. cit.; M. CATALANO, L'università di Catania nel rinascùnento, cit., 8-18; I. TASSI, op. cit.; M. CONIGLIONE, Pietro Gere111ia (J.P., cit., M. M. M. V.

124-138; C. DOLLO, op. cit., 11-15.


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Adolfo Langhirano

accademicirn"; la collegiata consentì al clero diocesano quello sbocco alle prebende e alle dignità di un capitolo, che era precluso dalla presenza dei benedettini nella cattedrale. Ma il prestigio che l'erezione della collegiata diede al clero diocesano ebbe un risvolto negativo nell'organizzazione della cura delle anime. Infatti le prebende dei canonici furono costituite con le rendite di numerose chiese sacramentali site nel territorio delle città di Catania e di Aci. I canonici della collegiata, essendo obbligati a partecipare alle funzioni del capitolo, non potevano esercitare personalmente la cura delle anime; perciò furono costretti a dare in affitto ad altri le chiese sacramentali che costituivano le loro prebende, con le conseguenze negative facilmente immaginabili che si verificarono per diversi secoli sul piano pastoralew 1• 3.2.2. L'«ordo» monastico. La riforma dei benedettini m Sicilia e a Catania non ebbe risvolti così immediati e appariscenti come quelli provocati dal movimento dell'osservanza negli ordini mendicanti. Solo alla fine del '400 i principali monasteri benedettini si posero il problema di accettare la riforma che nel 1408 aveva preso l'avvio nell'abbazia Santa Giustina di Padova""· Ma alcuni monasteri siciliani, dopo una iniziale adesione a questo movimento, ebbero un ripensamento e nel 1483 diedero vita alla congregazione sicula approvata da Sisto IV, che le concesse i privilegi già posseduti dalla congregazione di Santa Giustina. Della congregazione sicula

iooE' necessario distinguere il n1onopolio che l'università di Catania aveva per !a concessione dei titoli accadcn1ici, dal 1nonopolio degli studi che alcuni pretendono di altribuirlc. In rcallà l'università di Catania non era l'unico centro cli studi della città e tanto 1neno della Sicilia. Per quanto riguarda la teologia, ad csctnpio, dobbiamo constatare che 1nolti ordini religiosi avevano i propri studi, frequentati anche dai laici, nei qunli si i1npartìva un inscgna1nento teologico con indirizzi diversi, secondo le tradizioni proprie di ogni ordine religioso. Ciò era consentito dalle nonne dcl Lcn1po, che pcnncltcvano di conseguire il titolo accademico facendo valere la frequenza ai corsi di studio autorizzati e sostenendo il solo csa1nc finale presso le università (vedi nota 54). IO! A. LONGHITANO, la parrocchia ... , cit., 25-26. 102 G. PENCO, Storia del 111011achesi1110, cit., 324-361; M. Fo1s, l'"osservanza" con1e espressione ... , cit., 34-48; A. PANTONI, Barbo Ludovico, in DrP, I, cit., 10441047.


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inizialmente facevano parte i monasteri di San Placido di Messina, San Nicola l'Arena e Santa Maria di Licodia dì Catania, Santa Maria la Nuova di Monreale. Nel 1505 il capitolo della congregazione sicula, comprendente anche i monasteri di San Martino delle Scale, di Gangi vecchio e di Santa Maria di Fundrò, decise di unirsi definitivamente alla congregazione di Santa Giustina, che nel frattempo aveva preso il non1e di congregazione cassineseHn. Il passaggio dall'ordinamento previsto dalla regola di s. Benedetto a quello della congregazione cassinese non si ebbe senza resistenze. L'arcidiacono di Monreale, Girolamo Susinno, rifiutò la riforma e abbandonò il monastero; ma i disordini maggiori si ebbero a San Martino delle Scale. In conformità alle norme vigenti nella congregazione cassinese, infatti, a San Martino delle Scale si era avuto un movimento di monaci: alcuni erano stati trasferiti in monasteri del nord ed altri dal continente erano venuti a San Martino; i monaci, inoltre, avevano perduto il diritto ad eleggersi l'abate, che veniva nominato dal capitolo della congregazione cassinese; l'abate così no1ninato non ri1naneva in carica a vita e vedeva diminuita 1a propria autorità in favore di un organo collegiale che aveva giurisdizione su tutti i monasteri della congregazione. Una sera alcuni monaci presero le armi e, irrompendo nelle celle dell'abate, del priore e dei monaci forestieri, li legarono, li bastonarono e li gettarono in una fossa. Fu necessario l'intervento del viceré per incarcerare i ribelli e riportare l'ordine nel monastero 104 .

Alla congregazione cassinese non aderirono tutti i monasteri benedettini della città di Catania: rimasero fuori i due istituti monastici che fortnavano un 1unica realtà giuridica e non sarebbero sopravvissuti

a lungo: l'abbazia di Sant'Agata, annessa alla cattedrale, e quella di Nuovaluce 105 . La riforma, però, consentì al monastero di San Nicola

lOJ G. PENCO, Storia del 111011achesù110, cit., 336-337. C. TRASSELLI, f)u fait divers, cit., 245-246. 105 L'abbazia di Sant'Agata cesserà di esistere nel 1568 con la bolla di secolarizzazione dcl capitolo della cattedrale e1nanata da Pio V. (A. LONGHITANO, La parrocchia ... , cii., 66; G. MESSINA, L'archivio del capitolo cattedrale di Catania e le u/tùne vicende de/l'abbazia Sant'Agata, in Synaxis 6(1988) 243-269). L'abbazia di Nuovaluce nel I 363, dopo essere stala a1npliata da Artalc Alagona, era stata affidata ai 104


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l'Arena, unito da tempo all'abbazia di Santa Maria di Licodia, di rinnovarsi e di sopravvivere alla crisi che aveva investito gli ordini religiosi nei secoli XIV e XV 106 •

4. Bernardo Scammacca, modello di religioso osservante 4. l. Non è facile ricostruire la figura e la personalità di Bernardo Scammacca (1430-1487) dai pochi dati che ci sono stati tramandatiH". Gli atti del primo processo di beatificazione, che pare sia stato istruito verso la metà del '500, sono andati smarriti. Disponiamo degli atti del secondo processo, istruito agli inizi del '600, nel clima della controriforma e a distanza di oltre un secolo dalla sua morte' 08 . Tuttavia questo processo non si prefiggeva di raccogliere testimonianze sulla vita e le virtù dello Scammacca, ma di

certosini; ad essi subentrarono quindici anni più tardi i benedettini dell'abbazia di Sant'Agata. Nel 1514 fu data in comn1endn; nel 1640 fu affidata ai carmelitani teresiani e nel 1643 agli agostiniani scalzi (I. B. DE GROSSIS, Ca1anense Decachordu111, cit., 130-134; F. PRIVITEHA, op. cit., 131-133). Non fu più ricostruita dopo il terrcinoto del 1693. 106 Il Gaudioso fa risalire l'inizio della crisi del monastero di San Nicola l'Arena alla decisione dei monaci di trasferirsi a Catania (che, nel 1558, iniziarono a costruire l'edificio nel sito attuale); nla in realtà la crisi dei benedettini aveva radici 111olto più profonde. Non bisogna dirnenticare che il 111onastero dì San Nicola l'Arena continuò a svolgere per lungo ten1po un'attività n1ollo intensa e costituì per Catania un centro spirituale e culturale di notevole spessore (M. GAUDIOSO, op. cit., 199-243; C. NASELLr, lel!eratura e scienza nel convento be11ede11ino di S. Nicolò l'Arena di Catania, in Asso 25 ll929] 245-349). 107 La notizia più antica su Bernardo Scmnnu.1cca ci viene data in poche righe da T. SCHIFALDO, op. cìt., 83-84, mentre il beato era ancora in vita (1486): «Actate profccto nostra duos in codcn1 conventu graves et modeslissiinos patrcs quis non cognovit? Quorurn alter Thon1as C\crncns, alter Bernardus Scamaccus nuncupatur? [ ... ] ls ta1nen, quc1n supra dixi, bonus piusque pater Bcrnardus superstes sanctae consuetudinis suac virneque Ino11u1nenta catinensibus ipsis adhuc usque diern ostendit. Conscientiae fere 01nniun1 integer perscrutalor. Est eni1n claro loco natus, at ita probatis 1noribus se1npcr viguit, ut pater omnium bonus celcbris vulgo ibidern habcatur>>. wx Gli atti originali dcl secondo processo sono conservali ncll'ARCHivro CURIA ARCIVESCOVILE. CATANIA, fondo Beat(ficazioni, tna ne esistono diverse copie autenticate in allri archivi. Una di esse, conservata nell'archivio del convento San Don1enico di Palenno, è stata trascritta e pubblicata in appendice al volume di A. BARILARO, Beato Bernardo Sca111111acca. Pro.filo storico, Provincia don1enicana di Sicilia, Palenno 1980, 65-89.


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documentare le grazie e i "miracoli" che si riteneva fossero stati concessi per sua intercessione. I biografi, che in tempi a noi più vicini hanno cercato di delineare il suo profilo 109 , hanno attinto a fonti diverse, in particolare a un manoscritto latino del '600 conservato nella biblioteca regionale (già nazionale) di Palermo. In realtà i manoscritti conservati nella biblioteca regionale di Palermo sono due: uno in italiano e l'altro in latino e provengono entrambi dalla biblioteca del gesuita Ottavio Gaetani 1 w. Questi, all'inizio del '600, aveva raccolto il materiale che fu pubblicato in parte dopo la sua morte nei due volumi delle Vitae Sanctorum Siculoru111; ma in essi, contrariamente a quanto egli stesso aveva scritto nel progetto della sua opera, edito nel 1617, non c'è alcuna notizia relativa a Bernardo Scarnrnacca. I motivi di questa omissione si

JOY Disponia1no di due 1nodernc biografie di Bernardo Scam1nacca: la pri1na, pubblicata nel 1925, è il frutto delle appassionate ricerche dcl padre Malteo Coniglione; dà preziose notizie sul beato, 1na non sempre riporta con rigoroso criterio scientifico le fonti alle quali esse sono state attinte (M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, cit.). La seconda è stata scritta nel 1980, in vista delle celebrazioni centenarie della morte del beato; il volumetlo vuole essere un rifacimento della biografia del Coniglione; nla lo stesso autore nella prefazione dichiara di averlo scritto «con a1nore più che con erudizione», senza note bibliografiche o docu1nentarie (A. BARILARO, Beato Bernardo Scanunacca, cit.). Nei inesi di gennaio, febbraio e maggio 1987, in occasione delle celebrazioni centenarie della morte del beato, il p. Vincenzo Romano O.P. ha scritto per il quotidiano La Sicilia tre ampi servizi, che potrebbero costituire un 1noderno profilo del beato se l'autore decidesse di pubblicarli in un volume con i necessari riferimenti bibliografici (V. ROMANO, Berna1·do, il tonnento dei beali, in La Sicilia, 11gennaio1987, 9; lo., Lo scapestrato a!!'on1bra di S. Dornenico, ibid., 4 febbraio. 1987, 9; Io., li buon padre, ibid., 21 maggio 1987, 9). !IO BillLJOTECA REGIONALE. PALERMO, Il E, 13, Vita del beato Bernardo Catanese, 274r-280r; Beati Bernardi Scanunacca vita, ibid., 737r-747r. I due 1nanoscritti sono stati pubblicati da A. LONGHITANO, // beato Bernardo Scanunacca O.P. (1430-1487). Due biografie inedite del '600, in Synaxis 7 (1989) 385-416. Autore di queste due vite probabihnente è lo stesso Gaetani che di solito, dalle notizie raccolte, scriveva di suo pugno i profili dei santi. Quasi ccrtmnente furono scritti dopo il 1607 quando egli, risiedendo a Catania co1nc superiore del collegio dci gesuiti, ebbe la possibilità di leggere gli atti del processo conservati nella curia di Catania. Sulla permanenza del Gaetani a Catania vedi E. AGUILERA, Provinciae S;culae Societatis lesu ort11s et res gestae ab anno 1612 ad annun1 1672, pars secunda, ex typographia Angeli Felicella, Panonni 1740, l 14.


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possono intuire facihnente da quanto scrive nel proen1io iJ curatore dell'opera'"· Poiché nei due documenti abbiamo le biografie più antiche del beato Bernardo, riteniamo opportuno un breve esame dei loro contenuti. Per quanto diverse nella forma, le due biografie hanno notevoli somiglianze nelle notizie che riferiscono sul beato Bernardo e nello stile agiografico. Qnasi certamente l'autore dei due testi si servì delle notizie raccolte nel processo di beatificazione, distinguendole in due parti: i dati essenziali sulla vita del beato e i 1niracoli accaduti in vita e dopo la sua morte. Il documento latino, scritto nello stile· ricercato ed ampolloso dei latinisti del '600, sembra successivo a quello italiano sia perché più completo, sia perché redatto nella lingua delle altre biografie che furono poi pubblicate nelle Vitae Sanctorum Siculoru1n. 11

11

4.2. Lo stile agiografico dei due documenti è quello propno della controrifor1na: la vita di un santo con1e occasione per fare un

l 11 O. CAIETANI, Vitae Sancton1111 Sic11/on1111, 2 voli., apud Cirillos, Panonni 1647. L'opera fu pubblicata a cura dcl gesuita Pietro Salerno, che nel proen1io diede alcune inforn1azioni utili sulle persone che aiutarono il Gaetani nel suo lavoro e sui criteri con i quali fu selezionato per la starnpa il copioso rnaterialc da lui raccolto. Il piuno dell'opera avrebbe dovuto con1prcndcrc due parti: è stata- pubblicata solo la prirna, distinta in due volu1ni, nella quale sono raccolte le vite dei santi e dci beati che la Chiesa venerava con culto pubblico da aln1eno cento anni. Per la seconda, che avrebbe dovuto co111prendcrc le vite delle persone morte in odore di santità, 1na che non erano oggetto di culto pubblico da al1neno cento anni, si rinvia ull'elcnco contenuto nel progetto del 1617 (O. CAETANI, Idea operis Siculon11n Sancton1111 fàn1ave sanctitatis il!ustri11111, apud Erasrnurr1 Si1ncone1n et Socios, Panarmi 16 J 7). Se1nbra, infalli, che il Gaetani avesse raccolto dcl n1ateriale, nla non fosse riuscito a scrivere le vile delle persone delle quali si era prefisso di occuparsi nella seconda parte della sua opera. Co1nprendia1no perlanto il motivo per cui nei due volu1ni pubblicati non si fa cenno né de! beato Bernardo Scainmacca, né dcl beato Matteo d'Agrigento dei quali era già pronto il profilo biografico. Troviarno la notizia della inortc dello Sca1nn1acca nel inartirologio della Idea operis Sancton1111 Sic11/oru111, cit., 103; ,<] l ianuarii: Catanac dcpositio B. Bernardi, ordinis praedicatoru1n S. Dorninici»; co1ne fonti sono indicate gli «acta iurata auctoritalis ccclesiasticae», cioè gli atti del processo di beatificazione. Sull'opera dcl Gaetani vedi S. COSTANZA, Per una nuova edizione delle "Vitae Sanctonan Siculon1111", in Schede Medie1J(lfi 5 (1983) 313-325.


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discorso edificante, diretto a riproporre i temi cari alla predicazione di quel periodo'"· L'intenzione dell'autore del documento in lingua italiana si manifesta chiaramente nell'immaginario soliloquio di Bernardo durante il travaglio che precedette la sua conversione: «Ecco Bernardo lo stipendio che adesso tu riporti dall'havcre tanti anni malamente impiegati a servigii del demonio sotto la bandiera dell'ingannatore e fallace mondo, a quanti gravi e continovi pericoli espone i suoi seguaci per un poco di vana e sciocca gloria, <lappo una gocciola di miele quanta copia d'assentio e fiele li dà a gustare, in un poco di gusto apparente di piaceri sensibili e buggiardi quanta amaritudine e ramarichi di animo ha insieme mescolato. Forsennato e pazzo che tu sei che le speranze e disegni tuoi hai riposto in un amico instabile e mentitore anzi in un inimico traditore, dimmi un poco: che pensi alla fine di trarre dall'amor terreno se non perpetui affanni e cordogli? E da scapestrati giovani finti, non già veri amici tuoi, che soccorso speri tu havere ne' maggiori bisogni, quando all'ultimo della tua vita si tratterà il maggiore e più importante negozio della perditione e salute eterna? Rientra in te stesso, prevedi a casi tuoi, pensa alla pietà irreparabile che tu fai, non vedi manifestamente che cotesto tuo modo di vivere realmente puzza d'inferno? Ricordati che non sempre le frondi si conservano nella sua verdura, né li fiori nella sua bellezza, che ben spesso in un tratto questa svanisce, quella marcisce» 1 n. 1

112 Sugli agiografi di questo periodo fa notare P. Grégoire: «Il criterio operativo è oggettivo e storico, 1na legato ad una finalità religiosa o ecclesiastica, che corrisponde all'in1pegno della Chiesa cattolica dell'epoca post-tridentina. [... ] La ricerca della oggettività è evidente, pur con una insistenza su un aspelto particolare del personaggio. Si vuole adesso imporre un modello di santi e una interpretazione della santità, in confonnità agli ideali religiosi pron1ossi dalla eontrorifonna. In questo senso si può legittin1ainente sospettare il pericolo della parzialità e dell'artificialità; l'insistenza su detern1inati elen1enli (co1ne l'eroicità di tutte le virtù e l'autenticità di alcuni 1niracoli) sta alla base di una agiografia che, in qualche 1nodo, allontana il santo dalla 1nentalità popolare e ne crea quasi un 1nito, un ideale troppo lontano per essere accessibile ai più» (R. GREGOIRE, Manuale di agiologia. lntroduzJone alla letteratura agiografica, Monastero San Silvestro abate, Fabriano 1987, 39 e 41). Sul teina vedi anche: G. GALASSO, L'altra Europa, Mondadori, Milano 1982, 64-120 (in particolare 77 -8 l ). 113 Fita de! beato Bernardo Catanese, cit., 274v.


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Il soliloquio s1 protrae ancora, e alla fine troviamo I'i1nmancabile ammonizione: «Imparino adesso coloro i quali traviati

dal dritto sentiero, tirati dal fervore giovanile corrono a briglia sciolta dietro la pazza gloria del mondo attendendo alla sensualità, alle lascivie, alle feste, alli conviti, a non essere ritrosi a' celesti monimenti, quando da occulte inspirationi vengono tocchi e stimolati ad abbandonare le vanità, le fallacie del mondo ad esempio del nostro convertito barone» 114 •

Sempre nel '600 altri scrittori hanno tracciato Bernardo Scammacca, riferendo sempre le notizie processo di beatificazione'"· Gli autori, che in epoca hanno dato un profilo del beato, hanno attinto ad altre

un profilo di riportate dal più recente ci fonti che non

sen1pre citano e ci danno notizie che non trovian10 nei due manoscritti secenteschi 116 •

4.3. E' possibile una diversa lettura dei dati di cui disponiamo per delineare una immagine di Bernardo Scammacca più aderente alla realtà del suo tempo? Ogni personaggio di cui si occupa la storia, qualunque sia il ruolo che ha svolto nella società, deve essere inquadrato nel suo tempo o come prodotto di quei movimenti e processi culturali che caratterizzano un'epoca o come precursore di nuovi traguardi che la società si prefigge di raggiungere. Il santo non sfugge a questa legge; la migliore tradizione cristiana non si limita ad evidenziare nella sua personalità una marcata presenza del sacro e dello straordinario o a

L.c .. G. M. PIO', /)e/la nobile e generosa progenie del P. S, Don1enico in Italia, Bologna 1615, 114; ID., Degli uo111i11i illustri di S. Do111enico, Bologna 1620, 466; 11.1

115

D. M. MARCHESE, Sagro diario do111e11ica110, I, nella stamperia di Girolarno Fasulo, Napoli 1668, 90-94. 116 Considerate le difficoltà che si incontrano nel reperire i docurncnti ai quali hanno attinto i biografi dcl beato Bernardo, sarebbe auspicabile raccogliere e pubblicare con rigoroso metodo scientifico la docun1entazione che lo riguarda, per consentire agli storici di ricostruire la sua personalità attraverso un paziente lavoro di restauro.


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idealizzare in lui le aspirazioni di determinati strati sociali che non hanno trovato concreta realizzazione nella dura realtà quotidiana"'· Nella figura del santo, analogicamente con quanto avviene nella Chiesa, occorre evidenziare una realtà umana che diventa luogo e segno della presenza salvifica di Dio; una presenza che non soffoca o distrugge l'umano, anzi lo esalta perché sia in grado di manifestare nella storia l'incontro fecondo fra il dono gratuito di Dio e la libera accettazione dell'uomo. La realtà umana di Bernardo Scammacca può essere individuata attraverso queste coordinate: l'appartenenza ad una famiglia aristocratica"", il suo primo impatto con la società catanese del '400, la sua conversione agli ideali cristiani proposti dal movimento dell'osservanza nell'ordine domenicano, il molteplice ministero svolto fra i predicatori. Poco da dire sui dati relativi al periodo precedente il duello con Giovan Fernando Platamone: il giovane Bernardo appare ben inserito nel contesto sociale e amministrativo della città, se all'età di diciassette anni ricopre già la funzione pubblica di acatapano. Non conosciamo le cause che determinarono la rissa e il ferimento; tutte le ipotesi sono possibili: una questione di donne, una rivalità personale, i soliti motivi di prestigio ai quali in quel periodo si annetteva tanta importanza. Tutta da provare la suggestiva ipotesi di uno scontro determinato dalla volontà riformatrice di Bernardo, che si sarebbe opposto ad una gestione clientelare o comunque immorale di determinati uffici pubblici 119 • Il tentativo di anticipare al primo periodo della sua vita sentimenti e comportan1enti che si spiegano con la conversione, oltre che in contraddizione con i dati che possediamo, dà l'impressione di una forzatura.

117

G. DE ROSA, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Laterza, Bari

1978, 3-20; In., Santi popolari del Mezzogiorno d'Italia fra Sei e Settece11to, in AA. Vv., Storia vissula del popolo cristiano, (a cura di J. Dclun1cau e F. Bolgiani), SEI, Torino 1985, 615-659; G. GALASSO, op. cit. 118 Da recenti ricerche fatte dal p. V. Ro1nano O.P. - che ci auguria1no presto possano vedere la luce - sen1bra che Bernardo abbia avuto natali illcgittitni e che solo in un secondo mon1enlo sia stato legilli1nato. 119 V. ROMANO, Lo scapestrato afl'o111bra di S. Don1enico, cit.; In., li buon padre, cit.


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La chiave di volta che ci consente di comprendere nella sua giusta dimensione la figura di Bernardo Scammacca è la sua conversione. I suoi biografi hanno giustamente sottolineato che la decisione di cambiare vita e la richiesta di indossare l'abito domenicano non furono immediatamente successive all'episodio del duello - che gli provocò la ferita alla coscia - e al bando da parte delle autorità cittadine 120 . Contrariamente a quanto riscontria1no nel 1nanzoniano padre Cristoforo, Bernardo non si rifugia in convento per avere l'impunità. L'episodio del duello con le conseguenze che ne derivarono deve essere considerato definitivamente chiuso, in seguito alla lettera con cui Alfonso il Magnanimo annullò il provvedimento restrittivo, che allontanava Bernardo dalla famiglia e dalla città, e gli consentì di riprendere il suo posto nella società catanese 121 • La decisione di cambiare vita avvenne in seguito al suo probabile incontro con Pietro Geremia O.P., che gli propose il modello religioso domenicano, così come era stato riscoperto dal movimento dell'osservanza 122 : una vita religiosa allo stesso tempo austera e u1nana, che accetta di vivere la radicalità evangelica senza compro1nessi, ma rin1anendo in mezzo agli uon1ini, anzi n1ettendosi a loro servizio con semplicità e naturalezza. Questa sua scelta non può essere considerata strnmentale alla ricerca di uno sbocco nella società. Questo sbocco egli lo aveva già trovato con facilità, se a diciasette svolgeva ufficio di acatapano. In ogni caso, se fosse stato spinto da mire di potere, difficilmente avrebbe scelto di entrare in un convento dell'osservanza, in cui la regola do1nenicana vigeva in tutto il suo rigore 12 :>. Sulla intenzione di accettare senza con1pron1essi rideale di povertà della regola di s. Domenico non ci sono dubbi se

120 M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, cit., 64-65; A. BARILARO, Beato Bernardo Scan1111acca, cii., 21-22. 121 M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, ciL, 64. 122 Ibid., 87-92. 123 L'ingresso fra i benedettini dcll'ablKl7ia di Sant'Agata avrebbe potuto garantire a Bernardo un più facile accesso alla "carriera" ecclesiastica, se considcria1no il ruolo istituzionale che esercilavano i n1onaci nella cauedrale e nella Chiesa di Catania e il 1naggiore inscri1nento dci benedettini nella società catanese di questo periodo.


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considerian10, tra l'altro, l'effettiva rinunzia al suo patri1nonio, fatta

prima della professione con regolare atto notarile, in favore dell'ospedale San Marco e di uno zio patemo 124 . La sincerità della scelta lo portò a far rivivere nella sua persona il mistero di Cristo crocifisso, secondo le indicazioni proprie del movimento dell'osservanza. E' interessante a tal proposito quanto scrivono i biografi a proposito delle aspre penitenze alle quali si sottopose durante la sua vita 125 e del suo rapporto stabilito da Bernardo con il crocifisso di legno che egli stesso si era fatto dipingere e portava sempre con sé 126 • Il modello di Cristo crocifisso lo aiutò a vivere con coerenza l'ideale religioso di povertà, di uguaglianza e di fraternità proposto dalla regola di un ordine mendicante dove, abbattuta ogni forma di discriminazione di natura sociale, i religiosi erano impegnati a rendere credibile, nella società del loro tempo, il comandamento evangelico dell'amore per Dio e per gli uomini. Ma la cultura e la religiosità proprie del '400 avevano già dato indicazioni concrete sul modo di ar1nonizzare l'amore per Dio e

l'amore per il prossimo. In passato i religiosi avevano ritenuto che la fuga dal mondo fosse il modello più incisivo per testimoniare la radicalità dell'amore per .Dio. Con il declino della società feudale, lo sviluppo dei comuni e l'affermazione di un diverso tipo di economia, i religiosi avevano ritenuto necessario abbandonare la solitudine per dare la propria tcsti1nonianza cristiana nei luoghi in cui l'uo1no costruiva ogni giorno la sua storia.

L'incontro fra un ideale religioso, forte di una non comune carica profetica, e una società, che aveva nella ricchezza il suo ideale

più immediato, favorì il sorgere del movimento degli spirituali che, spingendo lo sguardo oltre il tempo, aveva finito per sottolineare eccessivamente i limiti e la caducità dell'impegno sociale dell'uomo.

12 ~ L'atto di donazione avvenne il 6 febbraio 1453 presso il notaio Nicolò Francavilla; 1na il Coniglione scrive di non essere riuscito a trovare questo docutncnto (ibid .. 92. nota 2). 125 «Per soggettare allo spirito la ribellione della carne, hora l'inceppava tra pesanli catene, bora la sferzava con duri flagelli, hora la macerava con astinenza di cibbo e di sonno» (D. M. MARCHESE, OJJ. cii., 91). 126 !bid., 87-92.


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Sotto la spinta dell'umanesimo la vita religiosa, pur non rinunziando alla propria dimensione profetica, assunse un rapporto diverso con la storia e con la società: sulla base di una visione positiva dell'uomo accettò di condividerne la sorte e di aiutarlo nello sforzo di costruire una città terrena fondata sui valori cristiani, come preludio alla edificazione della definitiva città di Dio. Da questo punto di vista è importante constatare in Bernardo la felice armonizzazione, a partire dal suo ideale religioso, delle molteplici attività che svolse man mano nella sua vita. L'insegnamento per molti anni negli studi domenicani e l'incarico di reggente dello studio generale di Milano ci fanno intuire lo spessore culturale non con1une della sua personalità 127 : c'è da ra1n1naricarsi che la documentazione di cui disponiamo non ci consenta di ricostruire questo interessante profilo di Bernardo. Quale fu il suo approccio ai problemi teologici? Come si inserì nell'insegnamento della scolastica? Si limitò ad insegnare la dottrina corrente o tentò un qualche suo apporto personale? All'esperienza di insegnante seguì subito dopo quella di priore e di vicario generale per la Sicilia dei conventi riformati, due incarichi che fanno presumere in Bernardo la presenza di buone capacità di governo in. Infine il ministero sacerdotale propriamente detto: la predicazione nelle missioni popolari, la confessione e la direzione spirituale (dai contemporanei gli viene riconosciulo il dono del discernin1ento) 129 , il suo i1npegno di carità che si esplica nelle strulture sanitarie (fu per lungo tempo presidente dell'ospedale San Marco) e la cura agli appestati negli anni 14801483 '"'· Bernardo Scammacca incarna questo modello di vita religiosa che ha ritrovato un nuovo equilibrio fra l'amore per Dio e l'amore per i I prossimo. Agli occhi dei suoi contemporanei egli non appare santo

127

Jbid., 97. //Jù/., 195-212. 129 To1nn1aso Schifa!do, nel hrcvissinHJ profilo del beato, scrive di lui: «Conscicntiac fcrc on1niun1 integer perscrutator» (T. SCl-JIFALDO, op. cii., 84). uo M. CONIGLIONE, Vita del beato Bernardo, cit., 110; V. ROMANO, Bernardo il ton11e11to dei beati, ciL. 128


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solamente perché possiede i doni mistici dell'estasi e del dialogo familiare con Dio, ma perché ha la capacità di guardarsi attorno per apprezzare la bellezza del creato (interessante il suo dialogo con gli uccelli nel giardino del convento) e per alleviare le sofferenze dell'uomo 131 • La figura di Bernardo Scammacca, ripulita dalle incrostazioni lasciate nel tempo dalla religiosità popolare e dal modello di santità proprio della controriforma, ci appare attuale e ricca di significato, perché propone in un sano equilibrio le diverse componenti che la sensibilità dell'uomo contemporaneo vuole trovare in un santo: un impegno di fede in grado di testimoniare che solo Dio è l'assoluto, un impegno per l'uomo e per la società come luogo in cui Dio si rende presente ed attua la sua salvezza.

5. Conclusione Il quadro che abbiamo cercato di delineare in queste pagine, per quanto incompleto, ci consente di affermare la straordinaria vitalità e il ruolo di protagonisti esercitato dagli ordini religiosi (in particolare i mendicanti) nella Catania del '400. Anche se le norme giuridiche vigenti non consentivano loro l'esercizio della cura d'anime in senso stretto, tuttavia non impedirono di esercitare un ruolo di supplenza nei confronti del clero diocesano e di influire in modo determinante nella formazione del popolo cristiano. I settori nei quali maggiormente si manifestò questa vitalità furono quelli della predicazione, dell'associazionismo religioso (i terzi

ui Nel processo di bealificazione il notaio così trascrive la deposizione del teste p. Don1cnico Anzalone: «Et anca esso testin1onio sa per dccto di detti 1nonaci dcl convento di San Doincnico che il beato Bernardo in Lempo di sua vila andando nel giardino dcl convento di San Do1ncnico in questa città per dirsi l'officio esso teslin1onio dice si trova scritto per 1nano di padri antichi che calavano l'uccelli sopra le rnani di es.so beato Bernardo il quale .stava legendo l'officio et non si partivano essi uccelli insino a tanto che esso beato Padre ci facia la fine et li dava licenza>> (A. BARll~ARO, Beato Bernardo Scan1111acca, cit., 77). Questo aspetto della vita dcl beato ha lasciato una traccia nella sua iconografia; più volte Bernardo Scammacca è stato raffiguralo 1nentre parla con gli uccelli (vedi ad ese1npio il quadro attribuito al Cardellino che si conserva nel convento San Do1nenico di Palern10).


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ordini), del servizio ai poveri e ai malati, dell'approfondimento e dell'insegnamento delle discipline teologiche. Un campo molto vasto che non può essere limitato all'analisi dei fatti e delle figure più rappresentative, ma ci obbliga ad intensificare le nostre ricerche anche sui personaggi e sugli aspetti meno noti di questo mondo così vivace, nel tentativo di scoprire le matrici culturali della società catanese. Un'indagine sugli archivi e le biblioteche dei conventi, sui contenuti della predicazione, dell'insegnamento teologico nell'università, sugli statuti e le attività dei terzi ordini potrebbe aiutarci a rispondere a più di un interrogativo che oggi ancora ci ponian10. La

co1nmen1orazione dei personaggi, che in determinati periodi costituiscono i punti obbligati di riferimento di queste ricerche, potrà rivelarsi utile nella misura in cui aiutano lo storico a scoprire il mondo

che ruota attorno ad essi e del quale costituiscono solo le punte avanzate.

Anche sul rapporto stabilitosi fra gli ordini religiosi e le autorità diocesane, nonostante qualche indicazione di massin1a, la discussione rimane aperta. Ulteriori indagini su questo argon1ento potranno

aiutarci a conoscere lo stato della Chiesa catanese e lo specifico apporto dato da tutte le sue componenti in un periodo storico in cui sono già presenti, in embrione, le contraddizioni e i fennenti che si manifesteranno pienatnentc nella crisi del secolo successivo. In ogni caso, il metodo cli inserire lo studio di una particolare situazione o di un singolo personaggio nella più ampia realtà sociale ed ecclesiale è risultato il più idoneo al conseguimento di risultati validi: gli ordini religiosi, il movimento dell'osservanza, Matteo d'Agrigento, Pietro Geremia o Bernardo Scammacca diventano i punti di osservazione privilegiati per conoscere tutta una società che, attraverso il superamento cli determinate crisi, vuole raggiungere nuovi equilibri.


RELIGIONE, STORIA E ROMANZO SOCIALE. CONTRIBUTO ALLA CRITICA DEL CAPITALISMO NELL'OTTOCENTO

ANTONIO coca'

«Da quel dì che l'Inghilterra coi suoi cento milionari e coi suoi tredici milioni di poveri diventò il gran mercato del mondo; da quel dì che la Francia per moltiplicar l'oro volle emulare la sua antica rivale nella febbre del traffico che la divora, il più fatale e spaventoso dei tiranni pose il suo seggio sopra la terra. Questo tiranno si chiama il monopolio industriale il quale sollevò, in ogni parte d'Europa, le più terribili questioni che abbiano mai travagliato il cammino dell'umanità. Esso rinnegò la fede e la religione del passato, tolse alla terra i popoli agricoltori e pastori, creò nuove generazioni divorate l'una dopo l'altra dalle macchine e pur bisognose di vivere e di lavorare; alla lenta e progressiva vicenda della fecondità naturale sostituì l'immenso e meraviglioso sforzo dell'arte; pose, in una parola, il più difficile problema che mai siasi offerto a sciogliere ai filosofi, ai legislatori, agli amici degli uomini e della giustizia». Così Giulio Carcano, narratore abbondante e un po' facile, segnava (1835) sul versante della cultura letteraria italiana, quella svolta dal romanzo storico, fortemente in auge - come è noto - a partire dai primi decenni della vicenda ro1nantica, verso il nuovo genere del romanzo sociale. Un romanzo,

Professore Associato di Storia moderna nella Università degli Studi di Catania.


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questo, per il quale la storia era destinata a non essere più il passato più o meno remoto come nei grandi modelli europei (Walter Scott e Manzoni), ma una dimensione del presente con tutto il suo contraddittorio intreccio di forze economiche e sociali emergenti. E la pagina citata assume certo carattere di documento in questa direzione e non in quella dei moduli scarsamente originali della critica al modello inglese di sviluppo derivati ampiamente da quelli, allora in voga, della scuola economica italiana di Pecchio e di Gioia, di Romagnosi e dello stesso Mazzini. Di questa svolta, di questi documenti "letterari" tesi ad illustrare un processo storico su cui farà centro in modo esemplare la coeva riflessione marxiana addensata nel Manifesto (1848), occorrerà ripercorrere talune tappe nazionali ed europee (Inghilterra e Francia) che ne esprimono significativamente valenze sin qui ignorate. Una ignoranza, questa, che vale pure per il lavoro, forse il più rigoroso di cui la storiografia disponga in quest'ambito - ma sul cui impianto metodologico si deve tuttavia ancora tornare a riflettere-, ossia il Der historische Roman di Gyorgy Lukàcs. La tesi di Lukàcs, come avremo anche modo di verificare nel corso di queste pagine, sembra infatti essere condizionata da un intento fortemente limitativo in ordine alla qualificazione delle coordinate formali entro cui immettere il concetto di romanzo. E così, partendo dalla convinzione che il romanzo ottocentesco e la sua stessa critica del capitalismo, si fondi su premesse ideologicamente errate, Lukàcs elide ogni valore estetico, e potremmo anche dire di conoscenza critica mediata dalle esperienze letterarie, dalla for1na romanzo così come si è storicamente costruita nel corso del secolo XIX. Ben altre potranno essere le conclusioni qualora si parta dalla premessa reale - e senza pregiudizio ideologico - che quel ron1anzo è invece per definizione una espressione della coscienza della borghesia europea, in un arco quasi secolare di vicende storiche che ne consacrano, lo sappiamo bene, il trionfo. Romanzo "borghese", abbiamo detto, esso è perché manifestazione degli interessi, della mentalità, e del gusto di quei ceti intermedi che, dopo la rivoluzione, costituirono in 1nodi diversi da paese a paese, e in parte fusi con le vecchie classi dirigenti, lo strato egemone della società. E qnesto spiega la produzione crescente di romanzi e il riconoscimento del loro valore letterario; così come spiega la sua legittimazione di


Relifjione, storia e ron1anzo soc;ale

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nuova "moderna epopea", come ebbe a scrivere Hegel, ed il suo modificarsi con l'evoluzione stessa della borghesia, cioè con il progressivo allargarsi della base sociale via via che il processo storico fece emergere nuovi soggetti sociali e li inserì nella classe o nel blocco storico dirigente. Il che poi chiarisce la nascita di quelle varie determinazioni (romanzo rusticale, sociale, popolare) che hanno però un comune disegno programmatico verso i ceti subalterni nel contraddittorio intento di cogliere e rappresentare la loro mentalità e i loro bisogni da una prospettiva che rimane tuttavia strutturalmente borghese. Sarà probabilmente la verifica che ci accingiamo a operare a indicarci - ancora una volta - le vie inigliori per un nuovo approccio conoscitivo e di inetodo.

*** Il rapido processo di industrializzazione che fra Sette e Ottocento prende avvio in Europa muovendo dall'Inghilterra, produce innovazioni in ca1npo tecnologico ed economico ma sconvolge pure l'ordine sociale esistente. Di fronte alla spinta del progresso ed alla impressionante accumulazione di capitale) il pauperis1no 1nateriale assume forme macroscopiche e denuncia il netto divario nella ripartizione del reddito nazionale. La cesura profonda quindi, che divide imprenditori e capitalisti da proletari e salariati, complica sul piano teorico gli schemi dell'analisi economica quanto quelli della riflessione politica. In un clima di eccessivo individualismo e sulla base di una opposizione all'economia politica classica ed alla. "violenza" della rivoluzione industriale, le critiche al capitalismo accomunano in quegli anni tutti coloro che pur appartenendo ad un diversificato quadro socio-culturale, si trovano d'accordo nel tentativo di scuotere l'opinione pubblica e sensibilizzarla a soluzioni correttive. Fu così che la partecipazione, ad un tempo elnotiva e razionale) ai problemi che affliggevano soprattutto il grande proletariato urbano,


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diede vita ad un "socialismo letterario"' che produsse una serie di romanzi sociali come Sybil di Disraeli (1845), Mary Barton di E. Gaskell (l 848), A/ton Locke di C. Kingsley (1850) e Hard Tùnes di C. Dickens (1854). Il romanzo come "epopea borghese"', lo abbiamo visto, si era affermato all'inizio dell'800 con la nascita e la diffusione del romanzo storico', che vide il suo massimo esponente in W. Scott. Legato alla rivoluzione francese, che aveva fatto della storia un'esperienza vissuta dalle masse, il romanzo storico, diffusosi proprio a partire da quel grande evento e da ciò che esso, insieme alle guerre napoleoniche, aveva prodotto nello sviluppo complessivo delle masse, ebbe varie soluzioni narrative. Con il decadimento ideologico della borghesia, che aveva improntato di sé un'epoca, i1 romanzo storico cessa poi di essere il genere egemone e viene affiancato, e in seguito sostituito, da altre forme che puntano sulla pretesa di una rappresentazione della realtà ricercata non tanto nel passato, quanto nel presente e nel contemporaneo. Le continue trasformazioni rivoluzionarie, quali il crescente industrialismo, la progressiva scomparsa dell'aristocrazia e l'allargarsi della base sociale e politica, suscitano nello scrittore diversi modi di affrontare la realtà, la cui rappresentazione va ora accompagnata da un dibattito sui problemi della società. La singolarità ed il prestigio del nove! vittoriano di questo periodo, in cui il romanzo stava ormai diventando la forma letteraria dominante', furono dovuti soprattutto al fatto che esso, fattosi specchio della realtà presente, verteva principalmente sugli urgenti problemi politici e sociali che quegli anni avevano prodotto, con l'intento di porre una seria riflessione al riguardo, e puntando in molti casi a scopi morali e propagandistici. La nuova scena industriale che si presentava nel Nord dell'Inghilterra, soprattutto nei grandi centri, la vita che si conduceva nelle fabbriche, i problemi connessi al la-

1

1. DROZ, Storia del pensiero socialista, tr. it., Editori Riuniti, Ron1a 1973,

2

Cfr. G. LUKÀCS, M. BACHTIN, Prob!e111i di teoria del Ron1an~o, Einaudi, To-

364. rin o 1976. 3

Cfr. G. LUKÀCS, Il ro111anzo storico, tr. it., Einaudi, Torino 1965. Novels of the Eigh-Forties, 0.U.P., London 1954, 13.

4 K. 'l'JLLOTSON,


Religione, storia e romanzo sociale - - - - - - 229 voro minorile e femminile, gli anni di depressione economica, le associazioni dei lavoratori con i loro scioperi e tumulti, erano te1ni molto diffnsi e variamente elaborati dalla cultura anche letteraria di quegli anni. Singolare appare l'esperienza umana e letteraria di Elizabeth Cleghorn Stevenson Gaskell, la scrittrice londinese che, vivendo a Manchester, volle fare di questa città la protagonista del "suo" romanzo, Mary Barton, in cui la scena industriale dove si dibattono i problemi tra masters e men è presente in tutta la sua drammaticità e ben si inserisce nel quadro politico, economico e sociale degli Hungry Forties. Spesso confinala tra i minori del tempo e riconosciuta più che altro per le sue doti personali di gentilezza e femminilità, la Gaskell infatti, oltre ad aver dipinto deliziosi quadretti di vita provinciale, si è imbattuta anche nella "critica sociale'', dando vita ai "romanzi industriali" Mary Barton' e North and South. Considerata spesso come

5 Ne riassun1imno qui breve111cntc la storia per i riferimenti contestuali che verranno di seguito. John Barton è un operaio del cotonificio di Mr Carson, a Manchester. I te1npi sono relativamente buoni e le famiglie Barton e Wilson godono di una certa serenità. Ma dura poco: Mrs Barton inuore durante il travaglio, ponendo fine al dolore causatole dalla scomparsa della sorella Esthcr che, dopo essere stata sedotta e abbandonata, è diventata una street-walker. Gcogc Wilson perde il lavoro in seguito ad un incendio più o meno doloso nell'opificio di Mr Carson e poco dopo 1noriranno i suoi figli, due piccoli gc1ne!li. Non passerà molto te1npo che anche lui morirà, e così delle due fainiglic resteranno solo John e Mary da una parte, e Mrs Wilson col figlio Jcn1, operaio anche lui, dall'altra. I tempi nel frattempo sono peggiorati (è in corso la grande depressione degli anni 1839-1842): John Barton, che dopo la perdita della moglie era diventato più cupo e scontroso, si espone a cattive influenze e, se1nprc più in preda all'odio di classe, soffre tuttavia in silenzio, e prende l'oppio per alleviare la fan1c. Mary, che nel fratte1npo è diventata apprendista presso una sarta, rifiuta l'amore di Jem Wilson e in un pri1no 1nomento cede invece alle attenzioni del giovane e ricco Harry Carson; e, immaginando di diventare sua nloglie, sogna per sé e per suo padre un futuro di agiatezza e di prosperità. Intanto John è sempre più amareggiato per le sofferenze patite dalla sua classe e per la sfiducia nella possibilità che le cose migliorino. Nel 1839 egli viene scelto come membro di una delegazione cartista per presentare una petizione al Parlamento, n1a l'i1npresa fallisce. La rabbia aumenta ed egli viene coinvolto in un complotto che i nlembri di una delegazione operaia, trattati con indifferenza e disprezzo durante un incontro con i padroni, hanno organizzato ai fini di assassinare il giovane Carson. Quest'ultin10 che li aveva resi furiosi con un disegno che li raffigurava, sotto fonna di caricatura, nei loro volti pallidi c smunti e nei loro logori abiti di fustagno. Ironicamente, il caso vuole che sia proprio John, a dover com1ncttere l'omicidio: a questo punto finisce il "dra1n1na industriale". Mi con·c l'obbligo di ringraziare la dott.ssa Claudia Mandrà che mi ha messo in grado di pubblicare alcune pièces sulla Gaskell da lei prodotte per una ricerca da me guidata.


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moglie e madre perfetta, i cui ruoli accettò ed adempì pienamente assumendosene tutti i doveri e le responsabilità, la Gaskell, tipico modello di donna medio-vittoriana, in realtà svolse una vita molto attiva e per certi aspetti fuori dal comune per una donna di quel tempo. In un periodo in cui le donne, nonostante i primi segni di emancipazione, avevano ancora enormi difficoltà legali, sociali e culturali da superare 6 , la Gaskell gestì il suo doppio ruolo di donna e scrittrice riuscendo a crescere ed educare quattro figlie, a mandare avanti una casa sempre piena di ospiti (tra cui C. Dickens, i Carlyles, C. Bronte), anche per via di una propria indipendenza economica che le permise di viaggiare (spesso con le figlie) e che le rese possibile perfino l'acquisto di una casa di campagna ad Alton (Hampshire). Questa libertà di azione e di gestione dei propri guadagni', insolita nel clima di sottomissione in cui viveva allora la donna, le fu possibile anche grazie alla grande disponibilità del marito, un· uomo intelligente, di tendenze liberali e dalle idee molto aperte: egli stesso la stimolò a scrivere, lasciandola sempre libera di prendere accordi con i suoi editori. L'unione dei due selves non fu certo vissuta senza conflittualità8 , ma la Gaskell riuscì a trovare un equilibrio e a condurre una vita fa1niliare serena e tuttavia intensa dal punto di vista culturale. Nata a Londra ma cresciuta a Knutsford presso una zia materna' dopo essere rimasta orfana di madre a soli tredici anni, Elizabeth Ga-

6

Sul proble1na delle donne e del loro posto nella società e nella letteratura cfr.

F. BASCH, Relative Creatures. Victorian wo111an in socyety and tlie nove/, Schocken

Books, New York 1974. M. WILLIJ\MS, Won1en in the English Nove/ 1800-1900, Mc Millan Press, London 1985. E. SHOWALTER, A lilerature of their 01v11. British wo111e11 novelists fron1 Bronte lo Lessing, Virago, London 1979. 7 Quando nel 1856, Eliza Fox le chiese dì finnare la petizione che doveva garantire alle donne la facollà di godere delle proprie entrate, la Gaskell finnò (anche se senza troppo entusiastno). 8 «One thing is pretly clear, won1cn, musl give up living on artist's life, if ho1ne dutyes are IO be para1nount [ ... ] I ain surc it is healthy far the1n to have the refuge of thc hidden worlJ of Art / ... ] a blending of the two is desirable (ho1ne duties and the devclop1nent of the individuai I 1nean)», Lel!ers of Mrs Gaskell, a cura di J.A.V. Chapple e A. Pollard, U.r., Manchester 1966, 106. Successivamente il rifcritnento a questa fonte verrà indicato con la sigla GL. 9 Mrs Lainb, della quale serberà sctnpre un affettuoso ricordo.


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skell visse l'infanzia e l'adolescenza in piccoli centri di provinciaw i cui paesaggi campestri alimentarono in lei un grande amore per la natura, ereditato probabilmente dalla madre Elizabeth Holland che discendeva da nna famiglia di yeomen della zona rurale del Cheshire. Sempre viva in lei fu anche l'influeuza della famiglia paterna, i cui membri furono quasi sempre uomini di mare 11 e del padre Williarn Stevenson, di fede unitariana come la madre e intendente presso l'archivio di stato del Ministero del Tesoro di Londra (dopo essere stato ministro unitariano, coltivatore e editore). In parte grazie ai frequenti contatti che mantenne con i parenti materni, la scrittrice ebbe modo di alternare viaggi e soggiorni nel Galles, a Londra, a Newcastle-on-Taine e a Edimburgo", ma fu poi la sua visita a Manchester, nell'autunno del 1831 13, a dare una svolta decisiva alla sua vita, poiché fu proprio in quella città, in un primo tempo poco gradita, che ella si stabilì fino alla morte. Il soggiorno a Manchester divenne infatti definitivo nel 1832, anno in cui sposò il reverendo William Gaskell, un nomo socialmente

1 ° Frequentò le scuole (gestite secondo schemi liberali) nel Warwickshìrc e a Stratford-upon-Avon. A diciassette anni si trasferì a Londra dove il padre viveva con la seconda moglie; ma dopo due anni, nel 1829, quando il padre inorì, tornò a Knutsford. 11 Il nonno e lo zio avevano prestato servizio in marina nella Royal Navy e discendevano da una fa1niglia che tradizionalmente aveva avuto a che fare in qualche 1nodo con il 1nare. Inoltre John Stevenson, fratello maggiore della scrittrice di 11 anni, era stato n1arinaio al servizio della East India Company; sco1nparso nel 1828 durante un viaggio in India, di lui non si era saputo più nulla. Il tema del giovane disperso in 1nare è presente in alcuni racconti della Gaskcll, che ri1nase scossa dall'esperienza del fratello. ln Mary Barton il giovane Will non è disperso, ma solo assente, e il suo ritorno è per i familiari 1notivo di gioia e di allegria. 12 In seguito, spesso in co1npagnia delle figlie, farà dei viaggi in Francia, Belgio, Svizzera, Gennania e Italia. u La scrittrice si trovava presso ainici e parenti materni e fu in casa del rev. John G. Robberds, tninistro unitariano della Cross Street Chapel, che conobbe il futuro marito, Willia1n Gaskcll, allora assistente nella stessa parrocchia.


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molto impegnato", docente universitario e futuro ministro unitariano nella parrocchia di Cross Street 15 • L'appartenenza alla setta religiosa dell'Unitarianesimo' 6, comune ai due coniugi e alle loro famiglie, è di fondamentale importanza per capire la vita e l'opera della scrittrice". Verso la metà del XVIII secolo un forte revival evangelico aveva rinvigorito le sette religiose non-conformiste (quaccheri, indipendenti, battisti) generando anche la corrente del metodismo, il più significativo e il più differenziato grnppo dissenziente". Le varie associazioni proliferarono sempre più 19 nel corso del XIX secolo, soprattutto al Nord. L'Unitarianesimo in particolare si era esteso nei distretti industriali (Lancashire, Yorkshìre, ecc.) in prossimità dei grossi centri urbani, dove l'autorità dei proprietari fondiari e dei pastori anglicani non era molto forte. Il profondo divario sociale tra "Chiesa" e "Cappella" fece sì che ì dissenzienti vivessero a lungo in una condi-

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Willian1 Gaskcll fu presidente alla Porlico Library per 40 anni; professore di Storia e Letteratura inglese al Manchester College dnl 1846 al 1853 e uno dci fondatori e tutori dcll' "Unitarian Ho1ne Missionary Board" (ora Unitarian College). Per un certo periodo egli diede lezioni di Logica e di Letteratura inglese al Owcns College (ora Università di Manchester) e fu docente di Letteratura inglese nel Working Man's College nel l 858. Conoscitore profondo del dialetto lancastriano, pubblicò anche un gran numero di sennoni e opuscoli, e curò l'edizione dell'U11itaria11 Hera/d. 15 Di discendenza unitariana, la Gaskell era stata sen1pre a contatto con le parrocchie e i loro n1inistri: da ragazzina aveva frequentato la Brook Street Chapel di Knutsford, stringendo a1nicizia con il rev. H. Green; nell'inverno del 1829-30 aveva conosciuto a Newcastle il rev. W. Turner, n1inistro unitariano di una congregazione, interessato al miglioramento delle condizioni e dell'istruzione dei poveri. A Londra conoscerà Eliza Fox, ritrattista, figlia di J. Fox ministro unitariano e poi giornalista come W. Stcvenson, le cui idee rifonniste gli avevano procurato di partecipare al giornale libcn1le The f)aily News di C. Dickens. 16 L'Unit<lrianesi1no, confessione religiosa non dogn1atica, sosteneva l'unicità di Dio negando la Trinità e 1<1 divinità di Cristo. 17 Hanno sottolineato questo aspetto M.C. FRICKSTEDT, Elizabeth Gaske//'s «Mary Barton» and «Ruth»: o Chalange lo Christian k'ng/and, Acta Universitatis Upsalicnsis, Uppsala 1982; C. LANSBURY, Elizabeth Gaskell, The nove! of socia! crisù, P. Elck, London 1975, cap. I, 11-21; E. WRIGl-l'f, Mrs Gaskell. The basis for Reassess111ent, London 1965, cap. Hl 23-50. 18 Cfr. V. CUNNINGHAM, Eve1ywhere spoken against. !Jissenl in the victorian nove/, Clarendon Press, Oxford 1975, 25 e seg. 19 11 censimento dcl 1851 denunciava l'aumento, lra il 1801 e il 1851, del nu1nero dci dissenzienti, che costituiv<lno !a 1netà dci praticanti.


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zionc di inferiorità civile e sociale20 e, nonostante l'avversione degli anglicani, nonché dei cristiani, che li giudicavano eretici, essi riuscirono a mettersi a capo di movimenti riformistici e culturali che non perdevano di vista la situazione della classe lavoratrice. Nel non-conformismo inoltre era presente una forte componente radicale: la politica della classe borghese traeva origine anche dalle rimostranze dei dissenzienti e l'elemento non-conformista era comune anche a cartisti e unionisti. Esisteva dunque una coincidenza tra radicalismo politico e radicalismo religioso". A Manchester, gli organi della middle-class opinion erano rappresentati proprio dai dissenzienti: l'edizione di riviste liberali e pro-dissent quali il Manchester Guardian e il Manchester Times era curata da uomini appartenenti alla Cross Street Chapel, e T. Fotter, primo sindaco della città, era amministratore in quella stessa parrocchia. Soprattutto in questa città la Chiesa Unitariana non era dunque solo la sede di una associazione religiosa, ma il centro culturale e intellettuale di tutta la società, i cui problemi venivano discussi in modo critico e aperto. Tuttavia, non n1ancarono pressioni tali che, come vedremo, non impediranno alla Gaskell di ricevere, da parte di alcuni membri della Cross Street Chapel, reazioni negative nei confronti di Mary Barton, giudicato "pericoloso''. Ciò era dovuto appunto al fatto che nella Cross Street Chapel convergeva la borghesia più in vista della città. Avendo fiducia nella naturale bontà dell'uomo e ponendo l'accento sul potere della ragione e sul principio della responsabilità individuale, gli unitariani credevano ottimisticamente nella possibilità di rigenerare la società. Animati da un profondo spirito di carità e di filantropia che li accomunava ai socialisti cristiani, essi miravano al rispetto dei diritti dell'uomo (e della donna)", primo

2 °Fino al 1 n1arzo 1837 i dissenzienti dovevano sposarsi in chiesa perché la cappella non poteva registrare i matrirnoni; il Burial Bill (Legge sulle sepolture) fu approvato nel 1880 e solo rnolto più tardi fu consentito l'ingresso alle Università di Oxford ( 1915) e Cambridge ( 1920). 21 Cfr. V. CUNNINGHAM, Radica/is111 and Dissent, cit., 91-105. 22 L'Unitarianesimo era a favore del movirncnto per i diritti della donna. A tal proposito è da ricordare il trattato Vindication of the Rights of \1'01nan ( 1792) di Mary Wollstonecrafl, e i trattati di J.S. Mill On Liberty (1859) e Subjection of Women (1869).


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fra tutti quello dell'istruzione e, lontani dal conflitto esistente tra scienza e religione e da crisi di fede che potessero turbare la coscienza cristiana, essi professavano un solido ottimismo ed erano naturalmente vicini alle dottrine dell'utilitarismo. Elizabeth Gaskell, che discendeva dalla famiglia degli Holland (i cui membri avevano avuto parte attiva nei movimenti di riforma politica e religiosa sin dal XVIII secolo), e il cui padre era stato egli stesso ministro unitariano, ereditò questa fiducia nel progresso, unitamente alla certezza di poter migliorare la società e alla rivendicazione della giustizia e della libertà individuale. In parte per aiutare il marito, in parte per sua volontà personale, la Gaskell si prodigò molto per i poveri e i diseredati; impartì lezioni serali a donne che lavoravano nelle fabbriche, promosse azioni caritative e fu amica di filantropi come Catherine Winkworth, Thomas Wright e Thomas Madge 21 • La residenza nella città di Manchester, dove così forte era stato l'impatto della rivoluzione industriale, le amicizie che strinse con importanti personalità e l'impegno sociale svolto accanto al marito, forgiarono in modo significativo la vita di Elizabeth Gaskell donna e scrittrice, dandole peraltro l'opportunità di scoprire definitivamente la sua vocazione letteraria24 • La vita comn1erciale e professionale di Manchester le fu nota grazie alla conoscenza di parrocchiani e colleghi del marito che facevano parte del grnppo più in vista della città" e di tanti altri rappresentanti della classe borghese, molti dei

23 Una volta la Gaskcll si interessò personalmente, con l'aiuto di C. Dickens, anche al caso di una giovane prostituta imprigionata per furlo. Ebbe anche contatti con Florencc Nightingale e inoltre aiutò il marito nell'insegnamento alla Sunday School e nelle lezioni serali al Mechanics' Institute for Working-Class Men. 24 Nel 1838 la Gaskcll scrisse un articolo su "Old Clopton Hall" e lo inviò a Willia1n Howit (conosciuto insie1ne alla inoglie a Heidelbcrg) che lo pubblicò nella sua raccolta Visi! to Re111arkable places (1840). Nel 1837 aveva co1nposto insie1ne al marito una serie di poesie Sketches a111011g rhe poor «in the n1anncr of Crabbe [ ... ] but in a more sccing-beauty spirit; and onc - the only one - \Vas published in Blackwood, January 1837» (GL, 33). 25 Tra questi i Potters, di cui Sir Thon1as fu il primo sindaco della città, i Robberds, e J.E. Taylor, fondatore dcl Manchester Guarian. Sull'i1nportanza che ebbe I'a1nbicnte di Manchester per la scrittrice cfr. anche W.H.BRO\VN, Mrs Gaske!I: A Manchester influence, Manchester 1932, sta in The Manchester Quarterly, N. CCI, Jan-Mar 1932; e W. GERIN, liliz.abeth Gaske!I, A biography, Clarendon Press, Londra l 976 (in n1odo particolare il capitolo intitolato The Manchester Marriage, 45-58).


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quali ricchi stampatori di calicò che vivevano in residenze fuori città e possedevano fabbriche ad alta presenza operaia. E nonostante la stessa Gaskell abitasse nei più piacevoli nonché più verdi dintorni della città, ciò non le impediva di oltrepassare la barriera che la divideva dai fuligginosi quartieri manifatturieri e mettersi in contatto con la povera gente, dalla quale restava colpita per lo zelo con cui si dedicava al lavoro26. Ciò le permise di acquisire una conoscenza "di prima mano" riguardo alla vita dell'operaio medio così come, grazie ai rapporti con il ceto imprenditoriale e politico della città, aveva avuto modo di conoscere le dottrine utilitaristiche che dominavano la politica e l'economia lancastriane. I suoi viaggi e i suoi successi di scrittrice la metteranno in contallo con i grandi del mondo letterario: C. Dickens, T. Carlyle, Thackeray, C. Kingsley, C. Brònte, nonché con editori quali J. Howitt, J. Foster, E. Chapman; e dal 1849, anno in cui conoscerà Dickens) cesserà di essere una scrittrice provinciale, anonima, ed entrerà a far parte di un più vasto circolo letterario. Pur immergendosi a pieno nella dinamica sociale e culturale di Manchester, la scrittrice non è assolutamente attratta dalla cold clammy atnzosphere di una città senza dubbio né romantica né silenziosa, che non ha «grace or beauty in it»"- Nonostante la sua predilezione per la piccola e tranquilla Knutsford, ricordata come «my dear adopted native tow11» 28 , Elizabeth Gaskell si rassegna a vivere nella «dull ugly smoky grin grey» ma pur sempre «dearn 29 Manchester, perché questo è il suo destino: «I was brought in a country town, and my lot is now to live in or rather on the borders of a great manifacturing town» 30 • Infatti è lì che si svolge il lavoro dei coniugi Gaskell ( «the work appointed both for my husband & me lies in Manchester») 3 ', ma questo non le impedisce di provare nostalgia della campagna, che ha su di lei un effetto benefico: «I would fain to be in the country, [ ... ] I

26 Pare che, presentatasi l'opportunità per William Gaskell di essere trasferito a Londra, entrambi furono d'accordo nel rifiutare. 27 GL, 86. 28 GL, 28. 29 GL, 489. )O GL, 14. :ti GL, 139.


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am a different creature to what I am in Manchester» 32 . E infatti, appena può, la scrittrice si allontana periodicamente dalla città, la cui aria nebbiosa e pesante si rivela tra l'altro nociva alla sua salute: «I should like to be going tomorrow, and out of this misty foggy Manchester, which gives me a perpetuai headache very hard to bear» 33 , scriverà nel 1860 in una lettera indirizzata a Charles Eliot Norton, al quale ribadirà tre mesi dopo: «I was suffering from one of my bad headaches; which I am afraid are produced by the air of Manchester, as I hardly ever have them-certainly not anything like so violently; anywhere else»"- Prima di giungere alla fase in cui ambienterà i suoi racconti in piccoli centri rurali o cittadine di campagna come succederà per esempio in Cranford, il paesino immaginario corrispondente a Knutsford, la Gaskell si servirà della Manchester degli anni 1830-40 per farne lo sfondo principale dei racconti appartenenti alla prima fase della sua narrativa". Mary Barton sarà il suo primo romanzo di vasto respiro in cui, come si vede dal significativo sottotitolo A story of Manchester /ife, è proprio la shock city 36 degli anni '40, con tutti i suoi problemi di slums, di tifo, di miseria, di poveri operai da un lato e di ricchi imprenditori dall'altro, a spiccare in primo piano come protagonista del racconto. Il problema delle "due nazioni", ovvero i mondi separati dei ricchi e poveri di cui aveva parlato Disraeli in Sybil, or the two nations (1845)17 , e che ritroviamo in termini di padroni e operai in Mary Barton, costituiva una realtà sulla quale altri si erano soffermati inda-

L.c. GL, 597. 34 GL, 607. 35 Nel 1848 venne pubblicato, sotto lo pscudonin10 di Cotton Mather Mills, un piccolo volun1e intitolato Life in Manchester e contenente tre racconti apparsi poco pri1na nel Howiff's Journal ofliterature and Popular Progress. 32

33

36 A. BRIGGS, L'Inghilterra Vittoriana. I personaggi. Le città, tr. it., Editori Riuniti, Ro1na 1978, 378. 37 In Conlngsby e in Sybyl Disracli riprende le idee del Carlyle, secondo cui

«i Capitani dell'Industria», cioè la nuova aristocrazia, avrebbe dovuto lottare contro il caos e dirigere l'u1nanità secondo una nuova «Cavalleria del Lavoro». Cfr. R. GJLMOUR, The Nove! in the Victorian Age. A 111odern introduction, Edward Arnold Ltd,

London 1986, 42-43.


237 ganda sui mali connessi ad una tipologia dello sviluppo urbano e industriale: T. Carlyle, per citare il più noto 38 , colui che più di tutti, analizzando la società presente, aveva sottolineato la necessità di un rapporto più genuino tra le classi; nonché H. Martineau, Mrs Trollope, Mrs E. Stone e C. E. Tonna, precorritrici della Gaskell nei loro racconti sui problemi degli operai (soprattutto donne e bambini) nelle fabbriche 39 • Nonostante fossero simili i temi discussi e la cura dei fatti riportati, e pur avendo dei punti di contatto con alcuni di loro (per ese1np10 con Disrael i sul riconoscimento di una mancata "comunicazione" tra le classi dovuta a una reciproca "ignoranza", o con Mrs Tonna in riferimento al motivo religioso) 40 , Elizabeth Gaskell in realtà si distingue notevolmente dai suoi predecessori per quanto concerne il tipo di approccio e di critica che adotta e gli scopi che si prefigge. Contrariamente a Carlyle, per esempio, che aveva esaminato i problemi scaturiti dall'industrializzazione in articoli e saggi di tono diverso, o allo stesso Disraeli, che aveva insistito maggiormente sui temi politici, la Gaskell, scegliendo il romanzo "a tesi", secondo il gusto vittoriano, focalizza la sua attenzione sui contrasti sociali, 1na con un tipo di critica che non concentrandosi segnatamente sulla analisi politico-economica si basa piuttosto su principi morali di

:rn Oppositore del trionfo della civiltà meccanica e dell'utilitarismo, nei suoi saggi (Chartis111 e Pasl and Present) egli critica l'organizzazione sociale moderna, schernendo le dottrine dell'econo1nia politica e auspicando un ritorno a sistemi 1nedievali (le riforme introdotle dall'abate Sansone nel XII secolo nel monastero di St. Edmundsbury) e al governo di un solo uo1no saggio e giusto, di contro all'attuale folla dispersa. Pur non essendo d'accordo con le sue soluzioni , 1nolli scrittori, tra cui la stessa Gaskell, subirono la sua influenza. :w E' bene citare le opere pili in1portanti di ognuno di loro. T. Carlyle, Fast and Present (1843) e Chartis111 (1839); B. Disdraeli, Coningsby (1844) e Sybi! (1845); M. Martìncau, Il!ustrations of Politica/ Eco110111y (1832-34), che comprendeva tra l'allro «A Manchester Strikc» (1832); Mrs Trollope (rnadrc del futuro romanziere Anlhony), The L(fe and adve11t11res (~/' Micheel Annstrong, the factory boy (1839-40); Mrs E. Stonc, Willia111 La11gsha1ve, the Cotton Lord (1842) e The Young Mil!iner (1843); C.E. Tonna, Helen Fleetwood (1839-40), 1841 in volume, e The Wrongs (~/' Wo111a11 (1843-4). Di poco posteriori sono le opere di C. Kingslcy, A/ton Locke (1850) e Yeost (1851). Sul tema dci precursori della Gaskcll cfr. M.C. FRYCKSTEDT, The ear!y industriai nove!: Mary Barton and its predecessors, in Bulletin of .fohn Rylands University Library 63 (1980). 4 Cfr. M.C. FRYCKSTEDT, op. cir.

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chiara discendenza unitariana. Inoltre il fatto che la scrittrice sia stata personalmente in stretto contatto con i ceti proletari le dà la capacità di descrivere il vissuto delle fasce sociali marginali meglio di quanto avessero fatto coloro che si erano serviti dei "Blue Books"" e di altre fonti statistiche o che avevano avuto l'opportunità di osservare il modo di vivere delle classi popolari solo in termini più limitati e circoscritti". Romanzo tipicamente "industriale", Mary Barton deve la sua ·apparizione, tra il 1846 e il 1847, a un evento spiacevole che scosse la serenità della famiglia Gaskell: la perdita del figlioletto Willie, morto di scarlattina a soli dieci mesi. Sprofondata in una pesante depressione, Elizabeth fu incoraggiata dal marito a scrivere un libro: sarà Mary Bar/on. La veridicità di questa circostanza è confermata da una lettera indirizzata a Mrs Greg e da un chiaro seppur piccolo riferimento contenuto nella prefazione al romanzo, datata ottobre I 848, in cui troviamo ulteriormente precisati gli spunti, le motivazioni e gli scopi dell'opera che l'autrice, come vedremo, non mancherà di sottolineare anche in alcune delle sue lettere. Rivolgendosi a Mrs Greg la scrittrice dichiara: «Il racconto prese rorma, e la n1aggior parle dcl pri1no volu1nc fu scritta, quando fui obbligala a stare sdraiata sul divano, e quando trovai rifugio nell'i1n111aginazionc per evitare il ricordo di scene dolorose che avrebbero preso il sopravvento» 4 ·1 .

Nella stessa lettera, prima di giungere a questa spiegazione, la Gaskcll rivela come l'intero racconto si fosse sviluppato nella sua

41 l Blue Book.s riportavano i resoconli degli atti parla1ncntarì. Sull'uso dci Blue Books da parlc dci ron1anzicri cfr. S.M. SM!lTI, Blue Books and Victorian Nove!isfs, in Review of Eng!ish St11dies 21 (1970) 23-40. Disraeli, per ese1npio, se ne era servito in Sybi!. 42 M.C. Fryckstedt ha di1nostrato che la Gaskell, oltre ad aver attinto certi spunti da altre fonti letterarie, si sia servita anche di un'altra fonte: i "Reports of the Ministry to the Poor" dove venivano riportate le osservazioni di coloro che andavano a visitare i poveri nelle loro case distribuendo cibi e vestiti e diffondendo la parola di Dio. Cfr. Mc11y Bar/011 and rhe Reports t~f' the Ministry to the Poor: a new source, in Studio Neophilo!ogica 52 (1980) 333-336. 4 .-i GL, 74.


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mente in modo spontaneo, e come l'unico pensiero detern1inante fosse l'evidente ingiustizia delle ineguaglianze della fortuna. «L'intero racconto crebbe nella inia mente impercettibilmente come un seme gennina nella terra, per cui non posso ora risalire al co1ne o al perché fu scritto, o a con1e furono introdotti i protagonisti o le circostanze (c'è un'eccezione che menzionerò in seguito). Adesso posso ricordare che il pensiero do1ninante nella mia n1cntc a! Lernpo in cui il racconto prese forma silenziosamente, facendo presa su di mc con la forza di una realtà, fu l'evidente ingiustizia della disparità della fortuna»'1'1.

La prefazione del romanzo45 è, da questo punto di vista, illuminante. «Vivendo a Manchester - scriverà - riflettei sulla intensità dell'elemento romanzesco nella vita di coloro che mi passavano accanto nelle strade affollate». 4" E sono gli anni difficili (I 839-42) quelli che la Gaskel analizza, giacché la classe operaia proprio allora subisce, per l'incertezza dell'andamento del mercato del lavoro, ad un tempo il rischio e la realtà della crisi occupazionale. Non matura qui, occorre dirlo, un giudizio autonomo in grado di prendere sempre spessore critico di rilievo: «è sufficiente dire - concluderà - che questa opinione dell'ingiustizia e della crndeltà che essi sopportano, contamina ciò che potrebbe essere la rassegnazione alla volontà di Dio». Qui, come si vede, si inscrive per intero tutta la difficoltà dell'autrice a superare l'orizzonte della sua visione religiosa. Ma è proprio da questo limite che la Gaskel riparte quasi subito ed allora il profilo religioso distrugge il suo stesso precario equilibrio e nel "sistema della povertà" il delitto di John Barton emerge come la rivolta "subculturale" prodotta da una condizione strutturale del sistema medesimo. Riflettendo sulla tensione che oppone ricchi e poveri nel contrasto di classe, si genera allora nella scrittrice l'esigenza di leggere il profilo umano della "agonia del soffrire", per costruire una critica della ingiustizia che rifiuta i ter1nini di una 1nediazione conoscitiva fondati sulla necessità dei fatti:

4~ 45

L.c.

46

L.c.

E. GJ\SKELL, A1ary Barton. A Tale (~l Manchester Life, ed. by Slephen Gill, Penguin Books 1985, Preface pp. 37-38.


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«Non so nulla di ccono1nia politica, e delle teorie del commercio. Ho cercato di scrivere secondo verità; e se i fatti riportati sono in accordo o in contrasto con qualche siste1na, ciò è involontario» 47 .

E tuttavia la Gaskell non è affatto ignara di profili di politici e di economia: in realtà gli articoli che il padre aveva scritto sul "The Politica! Economist" le erano molto familiari e dovevano certamente averla influenzata48 . Inoltre, se usare il romanzo come veicolo di denuncia sociale era già fatto "rivoluzionario", ancora di più Io era l'espressione - da parte di una donna - di una denunzia in chiave ideologica. A parte questo, comunque, la scrittrice mira anche a sottolineare, con quella confessione, che il suo scopo non è quello di discutere teorie, bensì fatti. Dissociarsi dall'economia politica voleva anche dire che, per lei, i rapporti sociali avrebbero dovuto essere rifondati da principi etici forti più che da nuove leggi di mercato. Così, attraverso un continuo riferimento alla Bibbia (fonte di verità e codice di condotta) e con l'insistenza sui temi della carità e della benevolenza, e soprattutto della comprensione reciproca, la Gaskell sceglie la via della humanheartedness, e quindi la necessità di una religione più vera, di un cambiamento negli individui come punto di partenza di un "eventuale" riformismo politico. Inoltre è la "verità", la fedeltà ai

41L.c. 48 Cfr. P. STONEMAN, R/izabeth Gaske//, The Harvester Prcss, ~1anchcster l 987, 68-69. E' opportuno a tale proposito tracciare per somn1i capi la vita dì Williarn SLevcnson: dopo <Jver abbandonato il pulpito a causa dell'inconciliabilità tra Ja fede e Ja rcrnunerazione dei suoi sern1oni, e dopo Ja falli1nentare esperienza di un'in1prcsa agricola vicino Edi1nburgo, M. Stevenson si era dedicato al giornalismo, scrivendo per i periodici letterari dcl ten1po per i quali la città era fan1osa: Scof!s Magazine (di cui fu editore), P/est111inster Review, Edinb11rgh Review, ccc. Fu nella società culturale prcvalenletncnte whig di Edinburgo che si distinse brillante1nente Lanto da essere notato da Lord Landerdale che, essendo stato no1ninato nel 1806 Governatore Generale dell'India, lo invitò a seguirlo come suo segretario privato. Ma la non1ina non fu accetlata dalla East India Con1pany e Lord Landerdalc, per con1pensarlo dell'incarico n1ancato, lo raccon1andò per il posto di intendente presso l'Archivio di Stato del Ministro dcl Tesoro di Londra. Insoddisfatto e deluso, continuò a scrivere per i periodici più in1portanti e riprese i contatti con i circoli letterari e scientifici. Cfr. W. GERIN, Efizabeth Gaskeff. A Biography, Clarendon Press, Oxford 1976, 1-6.


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fatti 49 , quello che più le preme e a cui si appiglia per difendersi dalle critiche accese di chi vedeva nell'opera una denuncia contro la ricca classe imprenditoriale. «Some people here are very angry and say the book will do harm»"', riferisce la Gaskell a una certa Miss Lamont, e dirà a Catherine Winkworth che: «Alcuni dicono che i masters sono molto arrabbiati, ma io sono sicura, io ritengo di aver scritto la verità» 51 .

E ancora, nello stesso periodo, preciserà in un'altra missiva: «Posso solo dire che ho voluto rappresentare l'argo1nento nella luce che alcuni operai certamente considerano vera, 1na non oso dire che questa è la verità assoluta» 52 .

Partendo da un punto di vista che è quello in cui l'operaio medio è, dentro il sistema produttivo, correttamente identificato, ma lungi dal voler alimentare l'odio tra le classi, la Gaskell sostiene che bisogna riconoscere J1esistenza di molti mali scaturiti dal nuovo sisten1a manifatturiero, contro cui è possibile trovare rimedi e sui quali è opportuno focalizzare l'attenzione. Tali affer1nazioni comunque, pronunciate qualche tempo dopo la pubblicazione del romanzo, avevano anche lo scopo di fornire una sorta di giustificazione all'autrice che, prendendo le parti della classe operaia, si esponeva a conseguenze oggettive: «Ho avuto pcrsonalrncntc prova che alcuni operai considerano l'argomento nel 1nodo in cui io ho cercato di rappresentarlo; e penso che da qualche parte nel primo vohnne si trova una frase che affcnna che la nlia intenzione era semplicemente quella di rappresentare il punto di vista di molti operai. Ma indipendente1nentc da ogni esplicita affennazione riguardo alle mie intenzioni, penso che dobbia1no tutti riconoscere che ci sono doveri connessi al sistema manifatturiero non ancora del tutto compresi, e inali che esistono in relazione ad esso ai quali si può in qualche 111odo riinediare, sebbene non vedian10 ancora co1ne; ma sicura1nente non c'è nulla di 1nalc

49

L'insistenza sulla "verità" e sui "fatti" è una costante della fede unitariana. Alcuni seguaci si interessarono di statistica e William Gaskell fu uno dci fondatori della Statislical Society. Cfr. C. LANSBURY, op. cit., 14. 50 GL, 70. 51 GL, 66. 52 GL, 67.


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nel volgere l'attenzione all'esistenza di tali mali. Nessuno più di mc può sentire quanto iniquo sia fare qualcosa che aizzi l'un l'altra le due classi; e se ho fatto ciò si è trattato di una colpa perlopiù inconscia. ( ... ] Posso solo ripetere che nessun elogio potrebbe compcnsanni dcll'autorimprovero che sentirò se ho scrilto ingiustamente [ .. ]»53.

E più tardi, rivolgendosi a Lady Kay-Shuttleworth, ribadirà ancora una volta la "verità)) di ciò che aveva scritto in Mary Barton e ia sua volontà di astenersi da una condanna tout-court nei confronti degli imprenditori mancuniani, pur nella consapevolezza che «c'è ancora molto da scoprire sulla esatta posizione e sui reciproci doveri tra padroni e lavoratori». «In priino luogo tutta l'energia contenuta in Mary Barton è dovuta ai 1nici scnti1nenti forten1ente a favore della parte per la quale 1ni sono impegnata [ .. ]. So, e ho sempre riconosciuto, che ho rappresentato solo un lato dcl problema e nessuno gradirebbe più di 1ne una rappresentazione vera e seria dell'allra parte. Ritengo che ciò che ho detlo in Mary Barton. corrisponda perfettamente a verità, rna niente affatto all'intera verità; e n1i sono scinprc sentita profonda1nente irritata nei confronti di coloro che hanno considerato che io ho esposto l'intera verità; non penso che sia possibile fare ciò in qualsiasi lavoro dì fiction. Tu dici "Credo che ci siano i1nprendilori buoni"; e in questo nessuno può meglio di me essere sinccra1ncntc d'accordo. Non posso i1n1naginare più nobile opportunità per un uomo serio ed energico e desideroso di agire nel bene dei suoi simili, di quella di essere padrone di una fabbrica. Ma io credo che ci sia ancora inolto da scoprire sulla giusta posizione e sui reciproci doveri lra padroni e lavoratori; e ciò che ho più sperato da Mary Barton è stato che esso potesse servire da sprone in questa direzione» 54 .

Il riferimento, al termine della Prefazione, alle rivoluzioni scoppiale in Europa nel 1848, denota come la Gaskell fosse consapevole dell'importanza che gli eventi contemporanei avrebbero avuto sulla sua opera, e lo sottolinea più di una volta al suo editore Edward Chapman che, ritardando i tempi della pubblicazione, la rendeva sempre più ansiosa e impaziente:

:;3 5 "

L.c. GL, I 19.


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«Sono naturaln1entc un po' ansiosa di sapere quando pubblicherete il ro1nanzo. Non posso fare a 1neno di im1naginare che il tono dcl n1io racconto è tale da suscitare l'attenzione in questo periodo di lotta della classe operaia per ottenere quelli che ritiene i suoi diritli» 55 .

Così gli scriveva, infatti, in una lettera datata 21 marzo 1848 alla quale, dopo una dozzina di giorni e a cau,,a di una mancata risposta, ne faceva seguito un'altra in cui alle timide sollecitazioni aggiungeva la convinzione che «lo stato attuale in cui si sono verificati gli eventi non sarà sfavorevole a un racconto basato in qualche modo sugli attuali rapporti tra padroni e operai»". E anche a pubblicazione avvenuta, dopo aver confessato un certo stupore per la recezione dell'opera che comunque - sosteneva - le aveva procurato più amici che nen1ici, scriveva: «Buona parte ciel suo successo credo sia stata dovuta al periodo della pubblicazione, ~ le grandi rivoluzioni in Europa hanno rivolto l'attenzione dcl pubblico ai n1ali sociali, e aglì strani contrasti che esistono nelle vecchie nazioni» 57 .

Tutto ciò non le impedisce comunque di chiarire al suo editore, il quale le aveva chiesto una «Prefazione esplicativa», che la sua non è «Un'opera da qnattro soldi messa su rapidamente» iu seguito agli eventi del 1848: «A inala pena coinprendo ciò che lei intende per "prefazione esplicativa". L'unica cosa vorrei fosse chiara è che questa non è un'opera da quattro soldi n1essa su rapicla1ncnte in seguito agli eventi che hanno avuto luogo nel continente e che hanno diretto la pubblica attenzione allo stato di cose che intercorre tra i1nprenditori e opcnli» 58 .

Concepito in un periodo in cui, nonostante una continua presenza femminile nel campo della fiction, la vocazione letteraria per

55 GL, 56 57 58

54. GL, 55.

GL, 115. GL, 58.


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una donna era considerata in contrasto con la sua femminilità e il suo status sociale", il romanzo fu pubblicato anonimo dopo non pochi indugi60. Il nove! non era ancora diventato il mezzo principale per la diffusione di idee riguardanti le condizioni sociali ed economiche e gli editori erano piuttosto riluttanti nell'accollarsi certe responsabilità, soprattutto quando avevano a che fare con autori sconosciuti. Dopo aver resa nota l'opera al marito e agli amici William e Mary Howitt, nel cui giornale erano già apparsi i racconti pubblicati sotto pseudonimo, Elizabeth Gaskell faticò nel trovare un editore per Mary Barton finché, grazie alla mediazione di John Forster, editore di The Examiner, Chapman e Hall accettarono di pubblicarlo dopo parecchi mesi di incertezze. Venuta ben presto a galla la verità sull'identità dell'autore sconosciuto, il romanzo fu subito oggetto di accese critiche" così come di aperti elogi da parte di importanti personalità del mondo letterario tra cui Dickens, che fu felice di ottenere la collaborazione della scrittrice al suo periodico Household Words, e T. Carlyle, il quale le scrisse una lettera in cui esprimeva stima e ammirazione sia nei confronti dell'autrice, che in quelli dell'opera, soprattutto per l'attualità e l in1portanza dei te1ni trattati 62 , Il titolo del romanzo naturalmente potrebbe far credere che l'intera storia sia centrata su una figura femminile, Mary Barton appunto, che si potrebbe immaginare come un'operaia, o forse la figlia 1

59 A tal proposito cfr. E. SHOWALTER, op. cit. 60 Pri1na che si giungesse all'identità della scrittrice, si era avanzata l'ipotesi che il rornanzo fosse stuto scritto da Miss Stonc, co1ne la Gaskcll stessa affcnna in una lettera indirizzata al suo editore: «I find everyone herc has most convincing proofs that tl1c authorship of Mary Barton should be attributed to a Mrs Wheeler, néc f\1iss Stone, and authoress of so1ne book callcd the "Cotton Lord"» (GL, 63). 61 Le critiche più accese da parte dci suoi conte1nporanci furono quella contenuta nell'Edinburgh Review (aprile 1849) a cura di W.R. Greg e quella apparsa nel British Quarterly Rev;ew (febbraio 1849). 62 Per questa e altre lettere di tono elogiativo da parte degli Howit, di San1uel Barnford, di Maria Edgeworth, di Jane Carlyle e di altri cfr. R.D. WALLER, Letters Addressed lo Mrs Gaskel! by celebrated conte111poraries, reprintcd frorn the Bulletin of the fohn Ry/ands library 19 ( 1935).


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di un ricco imprenditore o di un povero operaio, o magan una ragazza tnadre63 . In realtà Mary è proprio la figlia di un operaio di fabbrica che, come vuole un tema caro alla tradizionale narrativa femminile, dopo varie vicissitudini amorose approda al matrimonio. Con la sua personalità e le sue esperienze, che si manifestano gradualmente in un processo di crescita morale e spiritnale in cui da ragazzina ambiziosa ed un po' superficiale diventa poi una donna matura, sensibile e coraggiosa, Mary può definirsi una figura centrale del romanzo, anche se il suo ruolo è veramente preponderante solo nella seconda parte del libro. Il fatto è che questo protagonismo è condiviso nella stessa misura dalla figura paterna, John Barton, un povero operaio di Manchester la cui storia, tanto tragica quanto reale, rappresenta, per la sua attualità, probabilmente la parte più interessante del libro. Contrariamente a Mary, che pur essendo sempre presente nel racconto rimane all'inizio un po' sullo sfondo, John Barton domina sin dalle prime pagine tutta la prima parte: scomparirà verso la metà della narrazione per poi ricomparire, non a caso, alla fine della storia. Di animo buono e generoso, disponibile e premuroso nei confronti del prossimo, John Barton non riesce ad accettare con rassegnazione uno spietato sistema economico e sociale che protegge i più forti e lascia soccombere i più deboli; così, accecato dalla rabbia e dalla vendetta, diventa sno malgrado capace di commettere un omicidio (uccide il figlio del suo ex padrone), pur rimanendone egli stesso vittima in un processo di deterioramento fisico e morale che il rimorso gli causerà e che si concluderà appunto con la morte. Per la sua drammaticità la storia di John Barton è allora certamente più nuova e originale rispetto a quella più convenzionale della figlia; è anche più esemplificativa, rispetto a quella di Mary, del messaggio che il nove/ vuole dare. John Barton: un personaggio del tutto reale, come la stessa Gaskell dichiara:

63

La Gaskell scriverà un ro1nanzo, Ruth (1853), imperniato sul teina della prostituzione e degli effetti dei preconcetti sociali contro la ragazza madre.


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Antonio Coca

«Niente e nessuno è reale f, ... J in Mary Barton, tranne il personaggio di John Barton. Le circostanze sono dirrerenti, n1a il personaggio e certi suoi discorsi corrispondono esattarnente a un povero uomo che conosco» 64 .

E in una lettera indirizzata "All'autrice di Mary Barton'', il poeta e tessitore lancastriano Samuel Bambord 65 , dopo aver riconosciuto all'opera una grande fedeltà nella descrizione dei poven e dei loro sentimenti, avrebbe osservato: «Di John Barton ne ho conosciuti centinaia, uguali a lui in tutto tranne che nel fatale delillo».

*** Probabilmente sarà sufficiente fermarci a questo tentativo analitico di un romanzo-tipo della denunzia sociale - e della ideologia che la sottende - per tentare la verifica di cui abbiamo parlato all'inizio. E converrà perciò ricordare quale era stata la posizione di Lukàcs a riguardo. «Tanto l'idealismo oggettivo di Hegel quanto la prassi dei grandi storici del suo tempo erano profondamente compenetrati della persuasione della conoscibilità della realtà oggettiva e quindi della storia. I maggiori rappresentanti della cultura di questo periodo si accostavano quindi alla storia con un materialismo inconsapevole e perciò non completamente realizzato e cioè cercavano di scoprire le vere forze motrici della storia nella loro realtà oggettiva e di spiegare la storia per mezzo di esse. Tutto questo viene ora, con la svolta filosofica dell'ideologia borghese dopo il '48, a cessare. L'economia volgare perde ogni possibilità di essere uno strumento ausiliario della storia: nel corso di questo sviluppo essa si trasforma in una analisi delle idee economiche anziché dei fatti oggettivi della produzione. Dal punto di vista metodologico la scienza sociologica è originale solo nel separare e rendere indipendente dall'economia la conoscenza delle

64

65

GL, 82. Egli è conosciuto per i suoi Pussages in the /ife of a Radical (1840-44). Alla

fine del IX capitolo di Mary Barto11 troviaino riportato il suo piccolo pocn1ctto God Help the Poor.


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leggi dei fenomeni sociali. La filosofia che compie in modo diverso una svolta verso l'idealismo soggettivo considera sempre più il partire dai fatti di coscienza come il solo metodo scientifico. In tal modo la modernizzazione della storia acquista una larga base filosofica. Sembra che l'applicazione del nostro modo di rappresentarci le cose a partire dalle nostre rappresentazioni offra l'unica possibilità di intendere (Verstehem) il passato». E' una pagina densissima, di incomparabile livello critico, ove Lukàcs sembra percepire come la spinta involutiva degli schemi analitici della grande cultura borghese precedente al '48 condizioni il generale spostamento a destra di quella critica del capitalismo che - lo sappiamo bene - era stata al centro di uno dei profili più interessanti della cultura e dell'ideologia del romanticismo europeo. Ecco perché l'attenzione di Lukàcs tornava a convergere su Carlyle, il secondo Carlyle. Qual era stato il torto fatto dal grande storico inglese - ehe pur sappiamo estimatore convinto della Gaskell - alla tradizione forte di quella cultura post rivoluzione francese di cui egli stesso era stato protagonista? Carlyle non aveva saputo intravedere il valore del concetto di democrazia per lo sviluppo conseguente della vecchia critica romantica tesa, contro la tendenza oligarchica dei grandi sistemi capitalistici, verso una analisi radicale della funzione che il potere dal basso può assumere dentro il capitalismo maturo. Stanno qui le radici, ma anche i nessi concreti che abbiamo cercato di affrontare, dell'avversione di Lukàcs alle reali possibilità ermeneutiche del romanzo storico e sociale dopo Seott e Manzoni. Così quando la storia del romanzo veste i panni del contraddittorio presente che vuole indagare, non sembra esservi più alcuna filosofia generale del progresso e della trasformazione atta a sorreggere l'ipotesi individuale dell'autore con una percezione reale del problema, della società e dei suoi conflitti. Né la religione lo può, né l'individualismo soggettivo né tanto meno la stessa humanheartedness che abbiamo visto nel caso della Gaskell. E' qui che si collocava la perdita di contatto fra lo storicismo di Lukàcs e le ragioni storiche del romanzo borghese. Un romanzo che, occorre ribadirlo, nella sua fattispecie di romanzo sociale non sembra disporre neanche di quel "materialismo inconsapevole " che aveva reso grandi le critiche protoottocentesche al capitalismo. E tuttavia la storia della


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cultura registra anche altri livelli interessanti (sia pur limitatamente alla sfera in cui particolari innesti convergono a costruire strumenti possibili di critica sociale), come nel caso dell'unitarianismo mancuniano e dei suoi orizzonti nonconfor1nisti. Le ragioni del1a critica a Lukàcs che in fondo abbiamo preso a pretesto, stanno tutte qui: nel recupero di una revisione di metodo storiografico tesa a svincolarsi da ogni ipoteca ideologica".

66 Nel congcdanni da queste pagine devo confessare la mia parziale insoddisfazione per taluni profili dei risultati fin qui raggiunti. Ciò è soprattutto vero per ci() che attiene al nesso esistente fra la Gaskell e i ben più co1nplessi programmi cartisti di educazione sociale. Un teina, questo, già fortcincnte segnalato dalla storiografia più avvertita (da Dolléans a Briggs), che 1ni propongo di esplorare con 1naggiore e docu1ncntata attenzione in un prossimo saggio sulla stessa area tematica. Mi è gradito ringraziare quanti leggendo il saggio prima della stmnpa 1ni hanno dato consigli e suggeri1ncnti.


IL PROBLEMA EDUCATIVO E SCOLASTICO NEI FRATELLI STURZO

SALVATORELATORA"

1. Mario Sturzo: l'ellucozione del clero e la .funzione riel sen1i11ario E 1 questa la prin1a parte di un lavoro che vuole esaininare co1nparativan1cnte il problcn1a educativo e scolastico nel pensiero e nel1 10pcra dei due fratelli Sturzo. Esso comprende due capitoli: il primo in cui si esamina la lettera pastorale del vescovo Mario Sturzo, li Seminario, edita nel 1905 ma firmata il 3 maggio del 1904; il secondo che prende ad oggetto di studio i pensieri sull'educazione e sulla scuola, elaborati dal fratello don Luigi, fino al 1907. La pastorale Il Seminario si regge su alcune strutture portanti e precisan1ente, in prin10 luogo, sui fondan1enti scritturistici e sui documenti ecclesiali, su una lettura-interpretazione della storia della Chiesa e su argo1nenti educativi, psicologici e sociologici che suggeriscono la nuova ratio stutliorunr. Quattro pilastri dunque: Sacra Scrittura, documenti ecclesiali, interpretazione storica e ausilio di quelle che oggi si chian1ano scienze u1nane (psicologia, pedagogia, sociologia, di cui il vescovo fu un assiduo cultore) 1•

* Docente di Filosofia nei Licci. 1 Mario Sturzo si era interessato della psicologia delle conversioni fin dal lontano 1915: La psicologia della conversione, in Rivista di Filosofia Neoscolastica 7


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Nell'esordio della pastorale il vescovo fa riferimento ai fatti incresciosi verificatisi all'inizio del suo episcopato, quando i chierici del seminario si ribellarono, perché restii ad accettare le nuove norme di studio più rigoroso e di disciplina più rigida; fatti che portarono al severo decreto di espulsione di tutti i seminaristi, con l'intenzione poi di accingersi all'opera di riedificazione. A questo punto si trova il primo supporto scritturistico (le citazioni sono in tutto 26)', tratto dagli Atti degli Apostoli, 20, 18, in cui S. Paolo, in un momento particolarmente delicato per la Chiesa delle origini, convoca ad Efeso gli anziani della comunità ecclesiale. Anche mons. Mario Sturzo fa lo stesso rivolgendosi ai capitoli della cattedrale e delle collegiate, ai parroci, ai vicari foranei, ai sacerdoti secolari e regolari della diocesi di Piazza Armerina, per dar loro conto dei fatti avvenuti e per con1unicare le intenzioni di necessaria riforma del sen1inario.

Il gesto coraggioso del vescovo ebbe l'approvazione del papa Pio X, che la fece comunicare con lettera firmata dal suo segretario di Stato, cardinale Merry del Val, ed il plauso di altri presnli delle diocesi vicine·'. Come deve essere organizzato il seminario? E' chiaro che la risposta a tale domanda deriva dalla finalità per cui esso è stato istituito.

(1915) 8 ss.; la conversione di L. Tolstoj, ovvero la patologia di una conversione, Monza 1916; li n1istero della conversione, T.E.P., Torino 1941. Cfr. anche S. LATORI\, Uno studio sulla conversione di Leone Tolstoj, in Synaxis 8 (1990) 263287. 2 Citazioni scritturistichc e docu1nenti ecclesiali: Act. XX, 18 - Def. dcclar. 3,12 - Galati. 1,8 - Hcbr. V, l-3 - I Corinth. IV, l - Matth. XXIII, 2-3 - Rom. XVI, 13,15; 19,20 - Ioan. IV, 35 - Matth. IX, 36 - Matth. IX, 37-38 - Il Timoth IV, 2 - Ps. XXXV, 3 (XXVI, 4) - Le. Xll,51 - Matth. X, 34 - Philip. IV, 13 - Prov. IV - Rom. XI, 6 - Leone XIII, Fin da principio, enciclica dell'S diccn1brc 1902 - Concilio di Trento, Scss. XXXlll - Hcbr. V, 2 - Matth. V, 15-16 - Ephes. V, 13-14 - I Timoth. IV, 16 - Ps. XVlll, l (XIX) - Icrcm. Thren. IV, 4 - Osca IV, 6 - Malac. Il, 7 - Ps. CIII, 25. 3 Lettere inedite indirizzate al vescovo, che abbiamo potuto leggere grazie alla cortesia del prof. Galesi da Niscemi.


1

«L ideale d'ogni Se1ninario non è e non deve essere che il sacerdozio, come l'ideale del sacerdozio non è che la gloria di Dio e la salvezza delle anime»·1• Il seminario, dunque, è il luogo del necessario tirocinio, perché si formino sacerdoti più illuminati per servire Dio e per il bene degli uomini cd essere, secondo il modello voluto da Gesù, «Sale della terra e luce del mondo». Non sempre però tale alto ideale di sacerdozio è stato perseguito, anzi spesso è stato sfigurato a causa dell'egoismo un1ano. E qui, con accurata lettura sociologica, il v.escovo Sturzo descrive le varie tipologie negative di sacerdote, secondo il costume della Sicilia dell'epoca. Non avendo vocazione né cultura adeguata si può abbracciare il sacerdozio considerandolo «una professione come le altre; oppure un inezzo per accumulare ricchezze ed onori; o come l'unica ripresa degli infelici ai quali o la miseria o il poco impegno chiusero in faccia tulle le vie della vita; in una parola il considerare il sacerdozio per l'individuo, non l'individuo per il sacerdozio»'. Il traviamento comincia, al dire del vescovo, fin dall'età di mezzo, quando si cercava il sacerdozio per le pingui prebende e per i grandi onori e si ebbero così le piaghe della simonia e del concubinato, sebbene la Chiesa abbia avuto nello stesso periodo i suoi eroi, tra i quali giganteggia Gregorio VII. Tuttavia il male non si cancella dal mondo, a causa della natura umana ad esso proclive; e lo dimostra, secondo il parere del vescovo, il corso della storia; anche se c'è da dire che tale tracciato oggi sarebbe discutibile, tuttavia il senso globale è chiaro. Dall'umanesimo alla riforma protestante, all'illuminismo, la storia e il pensiero moderno portano alla supremazia dello Stato sulla

4 MONS. MARIO STURZO, li Sen1i11ario, Lettera pastorale, Società Nazionale di Cultura Editrice, Ro1na 1905, 7. Tulle le citazioni si riferiscono alle pagine di questa edizione. Per lo sviluppo delle idee pedagogiche del vescovo M. Sturzo ci pennellia1110 di ri1nandarc al nostro: S. LATORA, Mario e Luigi Sturzo: Per una rinascita culturale del catto/icesùno, Greco, Catania 1991, 252-283. 5

lbid., 7.


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Chiesa, al turbamento dei rapporti della natura col soprannaturale, alla separazione tra l'immanente e il trascendente. In campo religioso ciò si chiama apostasia, cioè l'allontanamento da Dio soprattutto nella vita pratica. L'umanità allora «rimasta con le sole sue forze ha fatto quel che voleva da sé: si è corrotta» 6 . E qui c'è un'affermazione che sembra paradossale: «0gni corruzione del pensiero umano in quanto etico o avente relazione con la filosofia della vita, trova la sua origine naturale nella corruzione dei sacerdoti» 7 • Secondo la logica del vescovo, che è in fondo quella dei cristiani, Gesù Cristo ha restaurato l'umanità una volta per tutte (Galati I ,8). Deriva da ciò la centralità dell'opera del sacerdote che, come alter Christus, deve essere il portatore di questo risanamento all'umanità. Per questa centralità di carattere storico e religioso bisogna porre la massima cura nella sua formazione e conseguentemente nel modo di strutturare l'ordinamento del seminario. «Con ragione il Massillon diceva che l'evangelo del popolo è la vita dei sacerdoti. Lo stesso popolo, che ha tanto intuito di verità, quando vede sacerdoti smentire con le opere ciò che hanno insegnato con le parole, rompe in quella terribile esc1a1nazione: "fanno perdere la fede"» 8 . I tesori della redenzione, dunque, sono in mano ai sacerdoti, che hanno la missione non solo di convertire e santificare Je ani1ne, ma anche quella di santificare la società secondo il vero spirito del cristianesimo. Perciò la religione cattolica non potrà mai ridursi ad un affare personale e privato: il sacerdozio-ministero va integrato con il sacerdozio-apostolato, secondo l'ideale di "prete sociale", che, voluto da Leone XIII, veniva perseguito sia dal vescovo Sturzo che, come vedremo, anche dal fratello don Luigi.

6 7 8

lbid., 12. !bid., 13. lbid., 18-19.


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Tra il sacerdote che si limita al solo aspetto ministeriale e quello invece che cerca di coniugarlo con l'apostolato sociale è chiaro che la preferenza del vescovo va a quest'ultimo. «II primo guarda come nemica la società che gli sta attorno; il secondo come inferma; il primo vorrebbe, se fosse possibile, staccare gli individui dalla società; il secondo invece si adopera a ricomporre la società secondo le leggi di carità e di giustizia [ ... ]. Il sacerdote-apostolo mette con Pietro il dito nelle ferite sanguinanti della umanità; entra con Paolo nell'areopago; affronta Attila con Leone; incivilisce il barbaro con Benedetto; anima alla liberazione del Santo Sepolcro con Pietro l'Eremita; entra negli ospedali e proclama in un secolo egoista la legge di carità con Vincenzo de' Paoli; si spinge tra i figli dcl popolo con don Bosco; con la Rerum Novarwn in mano, si mette alla testa degli oppressi con Manning [ ... ]. Ed il primo? Che cosa gli resta da fare, se non fa tutto questo?» 9 . Ma ciò che costituisce il punto centrale della educazione al sacerdozio è i I rapporto tra grazia e vocazione; e il vescovo lo affronta dal punto di vista di una pedagogia della grazia che trova i suoi fondamenti dottrinali in S. Paolo, nel Concilio di Trento e nel Magistero della Chiesa che si era espresso in quel periodo con la enciclica di Leone XIII, dell'8 dicembre 1902 Fin da principio, dedicata tutta alla formazione sacerdotale. Il rapporto tra grazia e vocazione richiede il concorso dell'uomo, il quale si esplica non in un semplice consenso od accettazione ma in una vera cooperazione; ora tale concorso non si avrà mai senza la vocazione. Qual i saranno le conseguenze dei chierici e poi preti senza vocazione è facile immaginare. Il vescovo distingue tre categorie di non vocati: «coloro che andrebbero nel seminario senz'animo di giungere al sacerdozio ma solo per l'educazione; coloro che vi andrebbero per giungere al sacerdozio, ma non di propria volontà, sibbene per esservi sforzati dai parenti; e finalmente coloro che vi andrebbero per giungere al sacerdozio di propria volontà, ma per un fine naturale» rn.

lbid.. 30-31. 35.

w Ibid.,


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Una volta delineato con chiarezza, anche attraverso la conoscenza storico-sociologica degli aspetti deviati e negativi, il profilo ideale dell'autentico sacerdote, si possono indicare con sicurezza le discipline che si devono impartire in seminario, Le scienze proprie del sacerdote sono quelle sacre, ma il tirocinio non sarebbe completo, se non comprendesse almeno questi tre stadi: - le lettere - Je scienze umane

- le scienze divine. L'ordinamento del corso, che si articola fin dodici anni dopo le elementari, deve avere questa triplice scansione temporale: il Ginnasio di S anm; un Tirocinio di 3 an111, che Sturzo chiama "perfezionamento" dedicato allo studio prevalentemente della filosofia; e il Corso Teologico di 4 anni. Il Ginnasio, secondo Mario Sturzo deve essere regolato in modo che anche quelli che non hanno vocazione e devono lasciare l'istituto possano in tempo e senza preoccupazione andare agli esami di Ginnasio nelle pubbliche scuole. Lo studio della filosofia deve comprendere tutti i rami, dalla logica alla sociologia. Il Corso Teologico, che consiste in un vero e proprio corso universitario di scienze sacre deve comprendere la Teologia morale, la Dommatica, con l'aggiunta della Storia ecclesiastica, dell'Ermeneutica e dello Studio dei Documenti pontifici sulla questione sociale, così come è prescritto nella enciclica di Leone XIII più volte citata. L'ordine del suddiaconato viene conferito alla fine del secondo anno così come quello del presbiterato, alla fine del quarto anno del corso teologico. l relativi esami finali verteranno: a) su discipline specifiche; b) su ciò che è oggetto di studio nell'ultimo anno di corso. Il vescovo raccomanda infine che si istituiscano nelle pm1·occhie dc1le associazioni giovanili, perché «dove queste associazioni, che


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25 5

sono anche i più bei vivai della democrazia cristiana, sono state curate, se ne sono raccolti ubertosissimi frutti» 11 •

Nessun ragazzo può accedere al seminario, se prima non abbia frequentato con esiti positivi, almeno un anno di probandato presso la sua parrocchia.

2. Luigi Sturzo: pensieri sull'educazione e sulla scuola (dal 1890 al

1907) Anche Luigi Sturzo, fratello del vescovo mons. Mario e di lui più giovane di IO anni, si interessò costantemente del pensiero educativo e scolastico, ma certo bisogna distinguere nella sua attività gli anni precedenti alla fondazione del Partito Popolare Italiano e quelli successivi al 1919 fino alla formulazione di un progetto educativo nazionale, espressione del partito dei cattolici. Tuttavia, nell'uno e nell'altro periodo non è difficile riscontrare elementi costanti di continuità, che vanno acquistando sempre più chiaramente un taglio, non solo pedagogico-didattico, ma anche socio-politico. E' interessante per noi aver trovato nell'opera dei due fratelli motivi di affinità, argomenti che si integrano, si chiariscono e si completano a vicenda, fino a potersi delineare in modo unitario e globale un 11rogetto etlucativo cristiano. Un primo elemento comune che riscontriamo sta nel fatto che entrambi hanno assimilato lo spirito !coniano che ha caratterizzato l'impegno sociale del clero negli anni tra la fine dell'SOO e gli inizi del '900. Sia Mario che Luigi puntano, per trasformare politicamente e religiosamente il proprio ambiente, sul clero giovane, modello nuovo di intellettuale da educare alle esigenze più vive di un cattolicesimo sociale. E' l'aria nuova, introdotta da Leone XIII, che esortava il clero ad uscir fuori dalle sacrestie, quella che li rende intrepidi ed aperti ai problemi concreti dei poveri; e come per gli aspetti sociali i due fra-

II

fbid., 5 J.


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telli si ispirano alla Rerum Novarum, così per i problemi educativi si ispirano alla recente enciclica dello stesso papa Fin da principio, edita 1'8 dicembre 1902, a cui più volte fanno puntuale riferimento. Gli scritti di don Luigi che prenderemo in cousiderazione sono quelli che coprono l'arco di tempo che va dal 1890 al 1907 e che comprendono una decina di interventi sotto forma di articoli, di conferenze o di linee programmatiche, rivelando, tranne il primo, una certa unità e una concordanza di fondo con le idee del fratello vescovo, di cui anzi costituiscono una integrazione e uno sviluppo, specie in campo socio-politico e ideologico, prima a livello municipale e poi a livello nazionale. Il primo scritto di carattere educativo è del 1890, quando Luigi, ancora chierico, scrive una lettera anonima (ma ne giustifica l'anonimato) con cui scongiura monsignor Gerbino, il vescovo che quattro anni dopo lo ordinerà sacerdote, di non permettere ai seminaristi di fare esami fuori, di terza e quinta ginnasiale perché, a suo parere, costituiscono un pericolo per la loro vocazione sacerdotale: infatti «si introducono in se1ninario, anche senza volere, idee secolaresche che allettano gli anin1i ancora ignari, incoinincia a far breccia nei cuori anche di quei che han vera vocazione, e così a poco a poco da prima entra l'uggia delle cose di pietà; da poi sotto pretesto di licenza si fan leciti leggere certi libri [ ... ], si perde la subordinazione ai superiori, specie ai prefetti [ ... ]. Ecco il male peggiore: lo stato dei chierici è che non san tante cose del cattivo mondo né delle seduzioni dei cattivi con1pagn i» 12 • Si tratta, come si vede, di un Luigi Sturzo inizialmente conservatore ed intransigente. Suo fratello Mario, invece, nella lettera pastorale Il Seminario sarà di parere opposto per lo stesso argomento, come abbiamo già visto.

12 L. STURZO, Scritti inediti, I, Edizioni cinque lune - Istituto Luigi Sturzo, Roma 1974, 2. Cfr. anche F. LOMBARDI, Educazione e politica scolastica nell'attività di Luigi Sturzo, in Studi di Storia dell'educazione 3 (1983) 3-27. M. PENNISI, Fede e ùnpegno politico in Luigi Sturzo, Città Nuova, Ro1na 1982, 96-170. U. CHIARAMONTO, Il 11111nicipa!isn10 di Luigi Sturzo. Pro-sindaco di Caltagirone ( 1988-1920), Morcelliana, Brescia 1992, 70 ss.


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Il 19 maggio 1894 Luigi viene ordinato sacerdote nella chiesa del SS. Salvatore dal vescovo Saverio Gerbino e alla fine dello stesso anno, su consiglio del fratello Mario, decide di andare a Roma per completare i suoi studi, iscrivendosi all'Università Gregoriana e all'Accademica Tomistica. Si iscrive pure al corso di filosofia dell'Università statale La Sapienza. Si laurea in teologia nel I 898n. Questa esperienza romana dal I 894 al 1898 costituì una vera svolta nel suo atteggiamento. Lo studio della teologia e della sociologia, il contatto con Murri e Toniolo e soprattutto la vista di «miserie inaudite» durante la benedizione delle case di un quartiere popolare romano il Sabato Santo del '95 furono decisivi per il cambiamento di rotta della sua vita. Gli effetti di questo cambiamento si vedono già quando il 6 ottobre 1895 il giovane prete, appena ordinato e studente alla Gregoriana, tiene una conferenza nel salone del seminario di Caltagirone, dal titolo: Della educazione della gioventù alla Azione Cattolica, in cui sostiene che i tempi sono ormai ca1nbiati e quindi anche l'educazione deve cambiare per affrontare i nuovi pericoli costituiti dalla massoneria, dal materialismo e dal socialismo dilagante. (Cita anche Catania dove «insegna un Rapisardi, lurido bestemmiatore dei nostri misteri!») 14 • La realtà descritta da Sturzo è ancora rappresentata a tinte fosche, però egli ritiene che bisogna agire attivamente e che protagonista e artefice della propria elevazione sarà il popolo stesso, se guidato da preti e laici formati secondo gli indirizzi della nuova educazione. Nel 1898, forse anche perché entusiasta dell'indirizzo della rivista murriana Cultura Sociale, pubblica su La Croce di Costantino, che era stata da lui fondata nel 1897, un interessante articolo in cui interviene criticando la insufficienza culturale nella formazione del giovane clero nei se1ninari, perché, con le sole conoscenze di teologia,

13 Cfr. E. MALGERI, Luigi Sturzo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1933, 25-29. 14 L. STURZO, La Croce di Costantino, Prù11i scriffi politici e pagine inedite sull'Azio11e Cattolica e sulle autono111ie 111unic1j1a!i, a cura di G. De Rosa, Edizioni di Storia e Letteratura, Ron1a 1958, 9-10.


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filosofia e letteratura il novello sacerdote «non può, slanciato nell'azione, portarvi quelle cognizioni di scienze positive, di sociologia, economia politica, filosofia della storia, critica letteraria moderna, le quali, benché in parte estranee al ministero sacerdotale, pur ne compiono la cultura; e lumeggiate dalle conoscenze teologiche, possono influire molto nelle menti dei laici, per lo più educati in mezzo ad errori, e possono dare un forte impulso allo sviluppo scientifico e alla pratica azione dei cattolici, e mettere un forte riparo alle teorie scolastiche che si fanno strada specialmente fra la gioventù [ ... ].Che se è necessario quindi pel clero questo nuovo studio, è necessario molto pel laicato, che vive in un ambiente falso, illogico, immorale, e che viene dalle università del regno, dove in tali materie spesso tutto si insegna fuorché la verità» 1s.

Due elementi emergono da questo articolo: l'importanza educativa attribuita alla sociologia e l'interesse che Sturzo mostra sia per l'educazione del clero che per quella dei laici. In realtà potrebbe sembrare eccessivo questo suo entusiasmo per la sociologia, ma non lo è, se si guarda al fatto che il cristiano deve incarnare nel mondo i principi del Vangelo e la sociologia studia proprio le leggi della società. Bisogna precisare inoltre che Luigi Sturzo mira alla costruzione di una sociologia di tipo nuovo, di carattere neo-sintetico, una sociologia del soprannaturale che è del tutto diversa dalla sociologia empirica come viene nor1nalmente intesa 16 • Sturzo vuole quindi un prete competente in teologia e con una buona cultura sociologica; la sociologia è la disciplina che egli stesso insegnò in seminario.

«Sturzo, a cominciare dal 1898, oltre ad insegnare logica, etica, diritto naturale e storia della filosofia, insegnò anche sociologia, economia politica e psicologia, ma nel 1902 fu costretto a lasciare l'insegnamento revocato dal Rettore del Seminario Giacomo Caristia, seb-

15

Il Crociato, La Cultura Sociale in La Croce di Costantino, 6 febbraio 1898.

16

Ctì·. L. STURZO, La Vera Vita, sociologia del Soprannaturale, Zanichelli, Bo~

logna 1960 (1943).


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bene avesse avuto il permesso da parte del Vicario Generale, che poi era suo fratello Mario!»". In realtà l'insegnamento moderno di L. Sturzo cominciava a dare fastidio alla parte più retriva del clero perché: «fuorviava, a lor giudizio, i seminaristi, parlando loro di democrazia cristiana, di organizzazioni professionali classiste, di orario massin10 di lavoro, di salario minin10, di rendita fondiaria e di contratti sociali» 1 ~. Il 1902 è un anno molto fecondo di opere e di scritti che riguardano la tematica pedagogica scolastica. Ne segnaliamo quattro: 1) Giornalis1110 ed educazione nei se1ni11ari 19 2) Progranuna niunicipale dei cattolici italiani 20 3) Presentazione llell'Enciclica "Fin da principio " 21 4) Testo di un Discorso pronunciato jJer i sen1inaristi di Messina22.

Nel primo di questi scritti, che è poi il più consistente sia dal punto di vista del numero delle pagine sia per l'impostazione teologica e psico-pedagogica, Luigi inizia affrontando il problema del rapporto tra natura e grazia nella formazione del chierico. «Perché possa essere con1plcta I1educazione del chierico, occorre avere un'adeguata ed intiera visione di quel che dovrà essere e di quel che dovrà fare da sacerdote; a quel fine fa d'uopo coordinare tutti gli elementi educativi, l'ambiente, la scuola , la direzione dello spirito, la disciplina; affinché la grazia, operando con la natura, trovi meno ostacoli possibili sia negli abiti mentali, che in quelli volitivi»n Anche il fratello Mario nella pastorale li Seminario (pp. 33-34) come abbiamo visto, pone lo stesso problema e Io precisa come rap-

17 M. PENNISI, Fede e ÙllJJegno politico in luigi Sturzo, cii., 143. 18

19 20

!bid.. I 52- I 43.

L. STURZO, Scrilli inediti, I, cii., 217~233. L. STURZO, Progra111111a Municipale dei Ca!!olici Italiani, Relazioni e Proposte al I Convegno dci Consiglieri Cattolici Siciliani, tenuto a Caltanissetta il 5-67 noven1bre 1902, in L. STURZO, la Croce di Costantino, cit., 272-273. 21 LEONIS XIII, Acta, vol. XXII, Ro1nae 1903, 246~259, L'enciclica porta la seguente data: Ro1na, 8 dicen1brc 1902. L. STURZO, leone XII! e l'educazione e c11lt11ra del Clero, in La croce di Costa11ti110, 21 dicen1bre 1902, 1. 22 Cfr. M. PENNISI, Fede e i111peg110 politico in L. Sturzo, cit., 153-154. 23 L. STURZO, Scritti inediti, cit., 218.


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porto fra vocazione e grazta, senza cadere m quelle oscillazioni e «incertezze terminologiche», come nota il Pennisi, che si possono riscontrare nello scritto di Luigi. Tuttavia appare evidente in Luigi una grande capacità educativa e una particolare sensibilità per le tempeste dell'animo giovanile quando scrive che la gioventù: «vive di sentimenti e di fantasia, turbinata dalle passioni modificata dagli ambienti, i cui contrasti violenti portano turbamenti di spirito, scosse indicibili, oscillazioni continue, segrete aspirazioni di animo, incertezze, entusiasmi, reazioni» 24 . Spesso gli educatori, senza una buona preparazione scientificopedagogica commettono l'errore di considerare la mentalità degli alunni simile alla propria e le loro reazioni agli eventi simili a quelle dei grandi: è l'errore dell'adultismo, in cui Sturzo, con una sensibilità tutta moderna, non cade. Per una educazione aperta egli dunque considera utile la lettura dei giornali anche nei se1ninari, perché essa serve a 1nettere i seminaristi a contatto con la «Storia quotidiana dei dolori c dei rimedi, della lotta fra il bene e il male, fra la città di Dio e la città di Satana, in cui si compendia tutta la storia e la sua filosofia, tutta l'attività umana, naturale e soprannaturale» 25 . Anche Dietrich Bonhoeffer teneva nella sua cella del campo di concentramento, accanto alla Bibbia, le opere di Goethe, ad indicare la necessità di saper coniugare insieme la realtà eterna con le realtà terrene.

Se per il problema teologico del rapporto tra natura e grazia Mario è più preciso, per quanto riguarda invece gli aspetti socio-politici dell'educazione, Luigi è più concreto, anche perché impegnato già da alcuni anni nella sua battaglia municipalistica. Ricordiamo che egli organizzò i cattolici calatini in un partito municipale col nome di Centro Cattolico, che si riprometteva di partecipare alla vita dell'amministrazione comunale, pur osservando l'astensione dalle elezioni politiche, in obbedienza al 11011-expedit.

24

25

Ibid., 222. Ibid., 224.


Il problema educativo e scolastico nei fratelli Sturzo - -- ----------------

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Luigi entrò nel consiglio comunale di Caltagirone nel 1898, unico consigliere cattolico; vi ritornò eletto nel 1902 con altri sette consiglieri cattolici e poi ancora nel 1905, quando, nelle elezioni che si svolsero quell'anno, il centro cattolico ebbe un clamoroso successo con 32 consiglieri su quaranta. Allora Sturzo fu eletto pro-sindaco, perché come prete non poteva assumere la carica di sindaco, ma in realtà svolse le mansioni di sindaco per ben quindici anni fino al 1920 e anche come consigliere provinciale a Catania 26 • Nel 1902 per diffondere il movimento municipalistico cattolico in Sicilia, L. Sturzo organizza a Caltanissetta un Congresso dei consiglieri comunali e provinciali cattolici, e fu lì che si decise di aderire alla Associazione dei Comuni Italiani; Sturzo fu chiamato nel 1904 a far parte del Comitato Direttivo, ne divenne segretario nel 1905 e vicepresidente nel 191 O. E' importante vedere, anche per quanto riguarda la scuola, il programma municipalistico stilato a Caltanisselta, che è La Magna Charta del municipalismo cattolico sturziano; in esso, seguendo le tesi del Toniolo in difesa delle autonomie comunali, sulla base dell'etica naturale e della filosofia del diritto, si afferma l'autonomia dei corpi intermedi, come il comune, che sta tra la famiglia e lo Stato. Per quanto riguarda l'educazione e l'istruzione elementare è giusto, sostiene Sturzo, che se ne occupino i comuni, ma co1ne enti ausiliari del diritto primario, che spetta alla famiglia; a loro volta i comuni devono essere sotto la giusta e non invadente sorveglianza del Ministero della Pubblica Istruzione, ma precisa che anche lo Stato è un ente ausiliario del diritto di famiglia. Intanto nel 1904 viene emanata la legge Orlando che porta l'obbligo scolastico da tre a sei anni; e nel 1911 la legge Daneo-Credaro con la quale le scuole elementari passano alla amministrazione dello Stato. Sturzo fa delle proposte concrete e significative nel suo comune con interventi contro l'analfabetismo; vuole anche che si introduca il canto e la musica nelle scuole elementari e fa sussidiare corsi di disegno nelle scuole superiori. Incrementa la Scuola Pratica di Agricol-

26

Cfr. F. MALGEJH, l. Sturzo, cit., 48-49.


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tura, ha in mente di fondare una scuola per la specializzazione nel settore della ceramica, progetta una scuola di Arti e Mestieri. «Ma il popolarismo della giunta Sturzo si evinceva dal progetto di trasformare il liceo, scuola per i ceti borghesi, in istituto tecnico perché avrebbe potuto servire meglio all'istruzione dei ceti medi e piccolo-borghesi della città, avviando i giovani alle professioni emergenti nel campo tecnico commerciale. Analoghe motivazioni furono presentate su La Croce di Costantino circa l'inutilità di dar corso ad una scuola normale per maestri elementari, facendo rilevare che il paese aveva bisogno di ragionieri, agronomi, industriali, ingegneri, n1eccanici, artisti e non di una fabbrica di spostati» 27 .

Per quanto riguarda la nuova enciclica papale Fin da principio, Sturzo la interpreta come un invito, rivolto ai sacerdoti, ad aderire al movimento della Democrazia Cristiana. Completano questo <i]uadro riguardante i problemi educativi e scolastici due altri scritti: Note sul Clero meridionale del 1906 e una Conferenza ai seminaristi di Piazza Armerino del 1907, in cui si prospettano idee e progetti simili a quelli del fratello vescovo28 . Il rinnovamento della Chiesa e dello Stato potrà realizzarsi solo se il clero e i laici, almeno quelli più sensibili, una volta presa coscienza dei mali secolari della società meridionale, sappiano combatterli uniti nel movimento cattolico. Quali sono questi mali? Sturzo ne individua alcuni. «Una delle difficoltà principali che incontra il movimento cattolico specialmente nel meridione [ ... ] si è la confusione che si ingenera nei più fra l'azione civile e sociale dei laici cattolici e l'azione ecclesiastica religiosa del clero, il quale dipende dai patroni laici, che sono Municipi o case principesche, nella collazione dei benefici, a ringraziarsi i quali ha più cura o almeno più interesse che sostenere i diritti della Chiesa e del popolo [ ... ]. Il sacerdote vive la vita di famiglia, ne cura gli interessi materiali e morali, come il capo della casa; non si allontana dal proprio paese,

27 U. CH!ARAMONTE,

28

Il Mu11icipalis1110 di luigi Sturzo, cit.,

L. STURZO, Scrilfi inediti, cit., 295-305.

191.


Il problema educativo e scolastic_o nei fratelli Sturza

263

vive non di rado, per conto della famiglia; esercita la mercatura o l'industria agrariaÂť 29 ,

Dallo studio comparativo del pensiero dei due fratelli Sturzo appare evidente tanta ricchezza di idee e di opere e soprattutto che quelle dell'uno si integrano con quelle dell'altro e le completano, in una concordanza di fondo, che deriva da profonde radici e da motivazioni di ordine religioso ed ecclesiale. Essi vanno progettando cosĂŹ una riforma della Chiesa e della societĂ a partire da una nuova educazione del clero e dei laici.

29

Jbid., 295-296.


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Salvatore Latora APPENDICE AI RR.MI CAPITOLl DELLA CATIEDRALE E DELLE COLLEGIATE PARROCI, VICARI FORANEI, SACERDOTI SECOLARI E REGOLARI DELLA DIOCESI DI PIAZZA ARMERINA MARIO VESCOVO SALUTE E PACE NEL SIGNORE

Intenti al riordina1nento del nostro Sc1ninario in un lavoro continuo, intenso trepido, erano, con1c a voi è noto, trascorsi i pri1ni mesi del nostro episcopato; quando a un tratto la nostra 1nano, che tutti i giorni si era levata benedicendo con afrctto paterno i giovani leviti, la parte prediletta del nostro gregge, si dovette ancora una volta levare, non più per benedire, n1a per finnarc un decreto di generale cspulsione. Qual sia stato lo schianto dcl nostro cuore non riuscia1no ad esprimerlo; co1nc non riusciamo, senza che lo schianto non si rinnovi, a ripensare che giovani, i quali s'avviano al sacerdozio della 1nitezza e della carità, abbiano potuto insorgere contro quell'Autorità, che è posta dallo Spirito Santo a governare le diocesil , ed alla quale avrebbero più tardi dovuto pro1ncttcre obbedienza e riverenza. Ma Dio, che tante prove di speciale predilezione ha dato alla Città della Vergine del Vessillo, forse volle permettere questo male per cavarne nlaggior bene. Chiniamo la fronte adorando gli arcani della sua sapienza: e, se i nostri dolori possono al suo cospetto essere accetti, a Lui, come olocausto propiziatore li offriamo, insien1e con le preghiere che hanno levato e non cessano di levare per iTnpetrar misericordia, tante ani1ne buone. L'edifizio doveva essere invecchiato se non sostenne i primi restauri; 1na ora che non è più, che la bufera lo spazzò via, possiaino, prendendolo dalle fondainenta, darvi quella forrna, che lo spirito sernpre giovane e nuovo della Chiesa Cattolica richiede. Posta tutta la nostra confidenza nella nlisericordia di Dio e nella mediazione di Gesù Cristo, nella protezione della Vergine Santissima, di San Giuseppe, dci Santi Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi, ci accingiaino all'opera di riedificazione. Ma senza la vostra cooperazione, fratelli dilettissimi, noi non potretno ottenere l'intento; e perciò vi preghia1no con tutta la effusione dell'anin1a affinché vi adoperiate - e ad ingenerare nella Diocesi la convinzione che noi non siamo liberi di dare al Senlinario una forrna piuuosto che un'altra non essendo autori, rna sc1nplici esecutori; - e a disporre coloro, ai quali Dio per nostro 1nezzo schiuderà le vie del sacerdozio, in 1nodo, che sappiano e vogliano confonnare tutta la loro vita allo spirito del Scininario, e non irnporre al Se1ninario lo spirito della loro vita.

1

Act. XX, 18.


li problema educativo e scolastico nei fratelli Sturzo

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Prima d'entrare nell'argomento scntia1no il dovere di comunicarvi che il S. Padre, avuta conoscenza dei falli, si è degnato per inezzo dell'E.mo Card. Merry del Val, Segretario di Stato farci scrivere che ha riconosciuto inevitabile ed approvato il provvedin1ento da noi preso. La parola della supre1na Autorità della Chiesa è stata balsamo al nostro cuore, perché ci dà diritto d'imprendcrc l'opera di restaurazione senza rin1orso e senza rin1pianti. A Lui, che in terra tiene le veci di Dio, giunga la pubblica e solenne testimonianza della nostra venerazione e gratitudine. Scntia1no inoltre il dovere di rendere pubblica e solenne testimonianza di gratitudine e di stima a voi, RR.ini Fratelli del Capitolo Cattedrale, RR.mi Superiori e Professori del Se1ninario, per essere stati nel trepido istante di dare il decreto di sciogli1ncnto confortati dal vostro consiglio unani1ne e sapiente. In 1nodo speciale a voi, RR.1ni Fratelli dcl Capitolo Cattedrale, ci è grato dichiarare - in questo solenne moinento che la diocesi guarda ansiosa il passato e l'avvenire - che, se i sacri Canoni vi fanno nostro Senato, la vostra prudenza e la devozione tradizionale all'autorità dcl Vescovo, vi fanno la nostra più bella corona. Aiutati da voi, nella piena concordia degli anirni, a portar la croce del pastorale 1ninistcro, abbiamo la fiducia che Dio sarà con noi, con1c nei nostri cuori è l'unificatrice carità di Dio. Final111cnte eguale testi1nonianza di gratitudine ed affetto rendiamo a voi, RR.1ni Parroci, Vicari Foranei e Sacerdoti della Città e della diocesi. Se voi non ci poteste aiutare col consiglio, ci avete però aiutato con le spontanee e generali adesioni. I vostri telegramnli, le vostre lettere singolari o collettive, lo slancio col quale vi siete stretti attorno al vostro Pastore, quasi per sostenere l'opera sua, ci hanno edificato e co1nmosso. Ringraziato sia Dio! Vcdian10 bene che la Diocesi tutta riconosce il dovere che noi abbia1no di dare alla Chiesa sacerdoti pii ed illun1inati. E' da considerare, fratelli dilettissimi, che ogni tirocinio deve di necessità avere un ideale; il quale se potesse 1nancare, mancherebbe nei giovani la volontà, cd il tirocinio verrebbe 1neno. Però se l'ideale, co1ne non di raro avviene, è una creazione subicttiva e falsa, il tirocinio degenera e si corrompe; se l'ideale degli alunni è diverso da quello del .superiore, a cagione di cozzi inevitabili, il tirocinio diviene agitato e turbolento. Di qui il gravissi1no dovere in noi di delineare con accuratezza l'ideale del Se111inario. E benché nei pochi 1nesi dcl nostro episcopato non abbia1no trascurato di farlo in privato o in pubblico, con le parole o coi fatti, secondo ci è stato possibile; ora tornian10 a farlo in modo pili solenne e con1pito, conforn1e richiedono le presenti condizioni della Diocesi. L'ideale d'ogni Se1ninario non è e non deve essere che il sacerdozio; come l'ideale del sacerdozio non è che la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Ciò è così evidente, che non vi si dovrebbero spendere molte parole a diinostrarlo. Ma l'un1anità in quanto decaduta va soggetta alla legge di corruzione. La qual legge è così universale, da non andarne esente neanche il sacerdozio, in quanto la sua attuazione dipende dagl'individui. E sicco1ne il Seminario riceve la sua fonna dal sacerdozio, così per giungere al punto che ci .sian10 proposti, non possian10 non prender le niosse dal sacerdozio. Per effetto dell'cgois1no, la legge che sintetizza tutto il nlale della umanità decaduta, spesso il sacerdozio, che pure brilla d'una luce così chiara, viene sfigurato sia nella mente, sia, per necessaria conseguenza, nella vita degl'individui. Di qui il considerare il sacerdozio come una professione sin1i!e alle altre, o co1nc 1nczzo d'accumu-


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lare ricchezze ed onori, o anche come l'unica ripresa dcgl'infelici, ai quali o la miseria o il poco ingegno chiusero in faccia tutte le vie della vita; in una parola il considerare il sacerdozio per l'individuo, non l'individuo pel sacerdozio. Questi tn1vian1enti particolari possono avvenire in ogni tempo, co1ne in ogni tc1npo l'uo1no porta con sé il retaggio della corruzione; però a misura che si smarrisce il puro ideale dcl sacerdozio e che la società risente gli effetti di un mal così grave: i particolari, facilincntc divengono pervertimenti sociali. Nell'età di mezzo, poco iinporta se il male sia stato speculativo o pratico, se la fede sia rimasta più o incno viva o se si siano fatte delle lodevoli espiazioni col chiudersi in qualche chiostro in vita o con lasciare tutti i beni a qualche pia causa in morte; da non pochi si cercava il sacerdozio per le pingui prebende, pci grandi onori. Guasti dovevano giungere gli ani1ni al sacerdozio, concepito così turpen1cntc: ma, giuntivi una volta, dovevano corron1pcrsi ancora di più, sia per non essere capaci d'intendere i nuovi doveri, sia per non essere disposti ad adempirli: e si ebbero le piaghe della simonia e del concubinato. Il nia!c trovò le ragioni detenninanti nelle condizioni sociali dcl tempo, ed alla sua volta ri!luì sulla stessa società. La fede e l'arnbizionc dei principi arricchiva le chiese e fomentava la corruzione degli ecclesiastici: con le investiture e col modo co1nc venivano fatte, al dir di Bossuet, i principi vendevano le chiese e cercavano di ridurre ad eterna servitù la Sposa dì Cristo 2 • La Chiesa ebbe i suoi eroi, tra i quali veramente gigante Gregorio VII; ma il male inquinava la società, e doveva fataln1entc avere i suoi ultitni effetti. Quando Marsilio di Padova, scriveva il Defensoriu111 pacis, non faceva solo un servizio a Ludovico il Bavaro, ma preparava la via inconsapevohncntc alla rifonna: la quale Rifonna avvenuta qualche secolo dopo, non fu l'effetto della ribellione d'un frate, 1na la funesta conseguenza dei principi già da lunga pezza n1aturati nel cuore dell'u1nanità. Né il male si lin1itò ad una o ad un'altra nazione, come il Protestantesimo: ma tutta quanta ha inquinato la civiltà di questi ultin1i secoli. Attraverso la corruzione e la cupidigia degli ecclesiastici, che rese agevole lo svolgersi dell'ainbizione dei principi: le ingerenze dei principi nelle cose di religione, che attenuarono i rapporti degli ecclesiastici con la S. Sede: le usurpazioni più o rneno larvate di devozione verso i Successori di san Pietro, le oppressioni consu1nate in no1ne ora dci diritto ora della forza: le teorie pri1na li1nide, poi sfrontate sulla potestà della Chiesa, del popolo e dei principi: sul prin1ato, sull'infallibilità, sull'appello ab abusu, sul Regio Placet, sul Regio patronato e In custodia dci canoni; via via si è giunti alla ultiine conseguenze teoretiche e pratiche della separazione dello Stato dalla Chiesa e della prevalenza dell'uno sull'altra. Né col dire - separazione dello Stato dalla Chiesa - intendia1no limitare gli eft'etti di quei rivolgin1cntì a un fatto politico-religioso: con1e non intendia1no circoscrivere a cft'ettì puraincnte internazionali il fatto di quella separazione: ma intcndia1no riguardarlo come l'espressione più evidente del turbamento dci rapporti della natura col soprnnnaluralc. L'un1anità è dotata di doppia attività, l'una pel conseguimento dcl vero, l'altra del bene. Di doppio ordine è il vero: quello al quale si giunge per via di esperienza o di calcolo, e quello al quale non si giunge, che per via d'argomentazione. Il bene non è che l'attuazione dcl vero nella vita pratica, il quale perciò segue le sorti degli un1ani

2

Def. dcclar. Gallic, 3, 12.


Il problema educativo e scolastico neifì"atelli Sturza

267

apprendi1nenti. Oltre a questo, che chiamiamo ordine naturale, sappiamo per fede che ne esiste altro superiore, che chiarniarno soprannaturale. Or l'u1nanit8, non essendo la vila presente il suo termine ultimo, esplica le sue attività nel 1noto. Come si è mossa per tutti i secoli andati, si 1nuoverà sempre infaticabilinente; né è possibile immaginare un'epoca, vicina o lontana, nella quale nulla vi sia da acquistare, nessun 1nale da vincere, nulla da desiderare, in nulla da 1nutarsi od avvantaggiarsi; salvo che non si voglia tener conto delle utopie di qualche filosofo o dei sogni di qualche poeta. Però l'umanità, sia perché ha rapporti e rini soprannaturali, sia perché (dopo la caduta del prin10 parente) non è più nel pieno possesso delle sue forze, ha bisogno di aiuti. Per quel che riguarda il soprannaturale, trattandosi di ordine che eccede i confini della natura, è evidente; per quel che riguarda la natura, occorre distinguere l'attività pel vero dall'attività pel bene. Riguardo alla priina, quando si tratta delle verità, alle quali si viene per via dei sensi o di calcolo, l'unu1nità opera per quello che val da sé. Però passando dall'ordine fisico al metafisico, troppo vasto oceano le si schiude avanti, troppo ignoti lidi ha da raggiungere con forze, se non allro, viziate: gli svia1nenti e gli errori sono inevitabili. Dell'attività pel bene non possia1no parlarne solo in quanto pratica, perché l'uon10, essendo dotato di ragione, non s'induce a volere, se pri1na non ha conosciuto. Ma per quanto l'intelletto si sforzi di trovare o ricostruire le leggi della vita, 1noltiplicando le induzioni e rendendo scientifica la storia con la filosofia, se vorrà far da sé, contro o fuori il soprannaturale, gli niancherà la luce sufficiente, gli 1nancheranno i tcnnini di partenza e di arrivo; 1nentre nella natura, che non è integra né ha in sé il suo fine ulti1no, non troverà che la legge dcll'cgois1no; la quale, co1ne inquina fatalmente i rapporti pratici, offusca e vizia la scienza di essi rapporti. Guardando con occhio analitico i! lento pervertirsi del pensiero attraverso le vicende più o 1ncno agitate dell'umanità, dell'età di mezzo sino a noi, si potranno trovare 1nollc e diverse cause imn1ediate, né noi diciaino che non debbano reputarsi vere: però la causn delle cause è sen1pre una benché può assu1nere guise e fonne diverse, l'apostasia, presa la parola nel senso mnplissimo di qualunque allontana1nento da Dio, sopra tutto nella via pratica. Infatti per giungere al naturalismo, cioè all'apoteosi della natura in contraddizione del soprannaturale, carne oggi si è giunti, nessuna altra causa per sé è sufficiente; essendo che l'uon10, in quanto razionale, non può non volere ciò che è più bello, più nobile, più vero. Che se fosse solo per non averne scienza perfetta o perché gli n1ancasscro le forze; posto che non potesse far altro, dovrebbe alrncno ge1nerc nel desiderio d'una vita più rispondente agl'intuiti del suo spirito, ai palpiti del suo cuore. Intuiti e palpiti che l'uinanità ha avuto sempre, e che non cesserà n1ai di avere; allriinenti non si spiegherebbe la legge del progresso, né s'intenderebbe la storia. La reazione contro una scienza troppo speculativa o contro un'arte troppo ideale o contro una politica non trovata del tutto patriottica o contro la fede creduta lesiva dci diritti della ragione, avrebbe dovuto spingere a studi più accurati, a ricerche più sottili, ad attuazioni più rispondenti al vero, a nuove scoperte nel campo delle idee e dei fatti, a rapporti più annonìci degli uo1nini tra loro, a relazioni più coscienti tra gli uo111ini e Dio. Ma quando nell'arte si viene dall'un1anesi1no al veris1no, nella scienza al naturalisrno, nella politica e nella sociologia al libcralis1no cd al socialis1no; quando ogni u1nana allivilà è pregna d'ateis1no; bisogna subito affern1are, che l'urnanità s'è allontanata da Dio, e perciò, ri1nasta con le sole sue forze, ha fatto quel che valeva da sé; si è corrotta. Diciarno si è corrotta, anche 1nentre affcrn1ian10 che ha progredito. Ha progredito in quanto munita di date forze; però in quanto privata di altre forze d'ordine superiore, si è corrotta. L'enign1a è presto spiegato richiamando a


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mente la distinzione tra l'ordine nalurale cd il soprannaturale: e per riguardo al primo, tra l'attività pcl vero e l'attività pel bene. Co1npendiando: - per via dell'egois1no è possibile che venga smarrito l'ideale del sacerdozio e capovolti i termini; - a misura che il puro ideale del sacerdozio viene smarrito, è i1npossibile che la società non se ne risenta più o meno profonda1ncntc: ogni corruzione del pensiero umano in quanto etico o avente relazione con la filosofia della vita, trova la s1u1 origine naturale nella corruzione dei sacerdoti. Spieghiamo meglio quesL'ulti1na asserzione. Sin qui abbian10 accennato alle condizioni dell'un1anità per ciò che riguarda l'attuazione del bene sia d'ordine naturale, sia soprannaturale. Gesù Cristo restaurando l'umanità, non tolse la potenza del 1naic, 1na invece creò la potenza soprannaturale dcl bene; e perciò costituì l'umanità in condizioni d'ordine, superiore, non contrario alla natura; anzi la, natura rirnase cioè fondamento inviolato della nuova vita. Per intendere ciò hisogna considerare quella divina palingenesi in sé e negli uo1nini. In sé fu per ogni riguardo perfetta c co1npita da non vi si potere nulla aggiungere e nulla togliere 3 : negli uo1nini però non si può dire né l'uno né l'allro, perché non viene attuata in loro, che per via di corrispondenza4 Ora appunto questa attuazione nella vita degli uo1nini è il fine dell'opera di G.C., sia per riguardo alla glorificazione di Dio, sia per riguardo alla salvazione degli stessi uo1nini. Infalli, Dio non riceve gloria dagli esseri se non conforme la lor natura. La natura bruta lo glorifica solo in quanto obbedisce, benché incosciamente, alle leggi che le furono i1nposte; l'essere razionale però non lo glorifica se l'ade1npimento delle leggi ad esso imposte non è libero e volontario 5 . Per riguardo agli uomini è chiaro che la restaurazione non può consistere, se non in ciò, che fonna l'essenza della vita razionale; cioè l'attuazione, nelle opere, di ciò che l'intelletto ha conosciuto; non mutando la posizione se la conoscenza avvenga per fede o se alle opere sia necessaria la grazia. Or dato il dovere nell'uon10 di attuare in sé la restaurazione compita da G.C., dovere che sgorga dall'essere di creatura razionale, in quanto non può senza colpa non riconoscere il supre1no do1ninio di Dio e non rendere a Lui il cullo della 1ncnte e del cuore; non procurare il bene proprio, che è il bene dell'anima, nel te1npo in ordine all'eternità; sia in quanto ridonda a proprio vuntaggio, sia, per ragioni naturali e soprannaturali, in quanto ridonda a vantuggio dei consociati; dato dall'altra parte lo stato dell'umanità, d'essere rin1asta non solo capace della colpa e ad essa proclive, ma di essere più forte1nente attratta al male, che al hene: essendo che il male è presente e seduce per via dei sensi e della fantasia; ed il bene, speciahnente quello d'ordine superiore, è lontano o, se non altro, poco sensibile e quindi non alletta che per via dell'intelletto, offuscabile dalle passioni, o della fede, auenuabile dallu vita non buona: date queste condizioni dell'u1nanità di non fruire dell'opera di G.C. che per via di corrispondenza, e di essere per sé più contraria, che proclive a questa corrispondenza; è evidente il bisogno d'un ministero, che avesse continuato l'opera di G.C. cioè che avesse avuto la funzione speciale, di derivare sugli uomini i tesori della redenzione. E

3 Sed, licet nos, aut Angelus de coelo evangelizet vobis praeterqua1n quod evangelizavin1us vobis, anathe1na sit. Galata. I. 8. 4 Adi1npleo ea quae desunt passionum Christi, in carne 1nea pro corpore ejus, quod est Ecclesia. Coloss. I, 24. 5 Unusquisque prout destinavi! in corde suo, non ex tristitia aut cx necessitate: hilarern datorem diligit Deus. II Corinth. IX, 7.


Il problema educativo e scolastico nei fratelli Sturzo

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perciò S. Paolo dice che «ogni pontefice preso di trn gli uoinini è preposto, a pro degli uo1nini, a tutte quelle cose che Dio riguardano; il quale pontefice possa avere compassione degl'ignoranti e dei traviati» 6 ; compassione, secondo il sublime concetto del grande apostolo, che non si litnita solo a un 1noto dell'anima né si estrinseca solo con parole di conforto, spesso sterili, né con opere, le quali, se possono avere virtù di consolare, non giungono a curare i inali; n1a invece con l'immolare per il popolo sacrifizi di propiziazione, aventi per sé vera virtù impetratoria. In una parola ~ non iscendendo sugli uomini i tesori della redenzione, se Dio volontariamente non li riversi sugli stessi uo1nini; il sacerdozio, che è il ministero creato a questo fine, deve poter rendere propizio Dio; e ciò fa principalmente col sacrificio incruento dell'altare. «Ci reputi l'umanità», dice altrove lo stesso apostolo, «Come 1ninistri di G.C., e dispensatori dei misteri di Dio» 7 • Ecco delineato il sacerdozio per quel che è in se stesso e per quel che richiedevano le condizioni dell'un1anità, decaduta prin1a, poi redenta. Però per intendere 1neglio questa rnissionc cd il dovere che, chi vi è chiamato, ha di confonnare tutto il suo essere all'ideale della stessa; occorre fare una distinzione tra il sacerdozio 1ninistero ed il sacerdozio apostolato. Sotlo il primo riguardo il sacerdote con la sua bontà o inalvagità in nulla 1nodifica l'essenza del sacerdozio. Onde il sacrifizio offerto dal buono o dal cattivo; la parola o i sacraincnti ricevuti dal giusto o dal peccatore, sono essenziahnente la medesima cosu e producono i n1cdesin1i effetti, secondo la propria virtù e la disposizione del subictto. Però il sacerdozio non è un fatto 1neccanico, che produce i suoi effetti indipendente1nentc dalle disposizioni o dalla volontà degli uon1ini; è invece apostolato. Placa e rende propizio Dio cd in1petra le grazie; 1na nello stesso lempo dispone gli uo1nini, affinché ricevano le grazie e libcrainente ad esse cooperino. Onde la sua n1issione per riguardo agli uomini è quella d'indurli a conoscere e volere. L'intelletto e la volontà degli uon1ini deve egli guadagnare; ma pri1na l'inlellello poi la volontà. In due tnocli compie questa parte del suo uffizio: con l'ese1npio e con le opere di zelo. Riguardo al prin10 va subito notato che il sacerdote ha doppio dovere; l'uno di non porre ostacolo alla corrispondenza degli uo1nini alla grazia: l'altro di rendere questa corrispondenza più agevole cd anche concorrere a determinarla. Potrebbe questa anche parere una distinzione oziosa, essendo chiaro che il sacerdole, se ha obbligo gravissimo di adoperarsi per la salute delle anime, ha prima di tutto obbligo ancora più grave di non cagionare ad esse ani1nc danno di sorta. Però la distinzione non solo non apparisce più oziosa, 1na invece necessaria, se si considera che non tutti i sacerdoti intendono il dovere di confonnarc la loro vita all'ideale del sacerdozio. Qui non c'è ragione che possa aver valore; perché non sian10 nel campo della scienza speculativa, n1a della scienza etica e della fede. In quanto scienza etica, l'al\uazione dipende dalla volontà, non dall'intelletto: potendo da un lato le deduzioni procedere sino alle ultiinc conseguenze, e dall'altro la difficoltà dell'attuazione, la spinta delle passioni, la seduzione del 1nale indurre ad operare in 1nodo tutto contrario. In quanto fede poi non avendo l'evidenza, essendo dono soprannaturale e virtù, segue una legge tutta sua propria, e non è ricevuta dall'intelletlo senza un concorso speciale (oltre alla grazia) della volontà.

6 7

Hcbr. V. l-3. I Corinth. I V. I.


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Ciò posto, il contrasto della dourina con le opere di colui che l'annunzia è tal contraddizione, da divenire vero ostacolo, alla corrispondenza di che parliarno. Non intendia1no con questo di attenuare, o peggio, di scusare la colpa di tale incorrispondenza; perché l'altrui inosservanza della legge non cancella la legge; infatti G.C. disse alle turbe di non badare alla vita degli Scribi e dei Farisei, 1na solo alla dottrina da loro insegnata8 ; però dal non essere argomento di scusa al non cagionare il male,

ci corre. L'Apostolo nella Lettera ai Ro1nani insiste su questo insegna1ncnto in 1nodo, da far intendere ch'egli vi attribuisce un'in1portanza tutta speciale; la quale importanza inette in luce vivissin1a la forza della legge dcll'ese1npio, e ciò tanto pili, in quanto l'apostolo non parla di azioni inalvage, né di azioni di sacerdoti, ma in generale di ogni azione, anche indifferente, tutte le volte che potrebbe cagionare scandalo, e di ogni persona, di qualunque condizione essa sia 9 . Con ragione adunque il Massillou diceva che l'evangelo dcl popolo è la vita dei sacerdoti. Lo stesso popolo, che ha tanto intuito di verità, quando vede i sacerdoti smentire con le opere ciò che hnnno insegnato con le parole, rompe in quella terribile esclamazione: «fanno perdere la fede». Da questa, che è la parte negativa, resta provata anche l'altra parte; perché se la discordanza dell'insegnainenlo dalle opere aliena dal bene: per la stessa legge, J'arn1onia tra l'insegna1nento e le opere deve spingere al bene. Però vi spinge con rnaggior forza, quando l'esen1pio è ravvivato dall'inscgnan1ento, e l'uno e l'altro reso efficace dalla grazia. Anzi possiarno affern1are che l'influsso della grazia cresce in proporzione dell'accostarsi della vita dei sacri 1ninistri all'ideale dcl sacerdozio. Di modo che quando la corrispondenza è piena, abbian10 anche la pienezza dell'apostolato, che com1nuove i popoli, li fa quasi uscir di sé, li rigenera; lasciando di sé tracce luininose ed in1pcriture. Non resta per con1pletarc il concetto di quesla par[e dell'uffizio sacerdotale, che consiste nel disporre gli uoinini a ricevere le grazie, che toccar breve1nentc dcl concorso delle opere. E' chiaro che qui non intendiarno parlare che dell'esplicazione dell'attività personale del sacerdote; cosa alla quale attribuiamo un'importanza 1nassin1a non in quanto la reputiamo da più dei divini misteri, ciò sarebbe gravissimo errore: ma in quanto, stante le condizioni dell'u1nanità e il rnodo corne Dio dispose la restaurazione delle anin1e, senza l'opera del sacerdote, in via nonnale, i divini 1nistcri da nessuno sarebbero ricevuli. Tutti i sacerdoti hanno i rnedesin1i essenziali poteri; in 1nan di ciascuno stanno i tesori della redenzione; se non fosse vero quel che affcr1nian10, da tutti si dovrebbero ottenere i 1nedesimi frutti di rigenerazione. Gesl1 Crislo un giorno diceva ai discepoli: «Non dite voi: vi sono ancora quattro 1ncsi, e poi viene la 111ietitura? Ma io vi dico; levate i vostri occhi e guardate le ca111pagne che già biancheggiano per la 1nesse» 111 • E un altro giorno, com1novendosi alla vista d'un popolo, sofferente nel corpo, 111a più nello spirito, perché «giaceva co1ne pecore senza pastore» 11 ; disse ai suoi discepoli: «la 1nesse è veran1ente copiosa, 1na gli operai sono pochi. Pregate adunque il

s Mallh. XXIII, 2-3. Rom. XIV, 13, 15, 19, 20. w Ioan. JV, 35. 11 Matth. IX, 36.

9


Il problema educativo e scolastico nei fratelli Sturza

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padrone che 1nandi operai alla sua 1nesse» 12 . Com'è evidente e sublime nella sua se1nplicìtà il linguaggio di Gesù Cristo! L'esempio della messe richiama a mente la necessità dell'opera dell'agricoltore; l'csc1npio della messe, reputata matura quattro mesi pri1na dcl tcrnpo, toglie ogni dubbio circa l'importanza speciale di questi coltivatori di spiriti. Ma quando G.C. unisce l'esempio della messe con le miserie d'un popolo abbandonato o n1al guidalo, e ne trae argomento, per indurre i discepoli ad impetrare con la preghiera che vengano suscitati dei buoni agricoltori, cioè dci sacerdoti apostoli: nessuno ha più diritto di riguardare il sacerdozio in modo diverso. Ogni giorno è idoneo alla santificazione, se vi sono dci sacerdoti, che hanno zelo. E perciò S, Paolo, col suo fare enfatico e forte, diceva a Timoteo: Praedica verbun1, insta opportune, ùnportune; argue, obsecra, increpa in 0111ni patientia et doctrina 13 • Mettendo in relazione quel che abbiamo detto prima circa le condizioni dell'umanità, con quel che abbian10 detto dopo circa la natura dcl ministero sacerdotale, ne risulta con1e conseguenza inevitabile, che anche nella esplicazione dcl pensiero u1nano in quanto etico o avente relazione con la filosofia della vita, la corruzione dci sacerdoti è una delle più funeste cause di pcrvcrtin1cnto. Ci occupiamo della esplicazione del pensiero anche in quanto ristretto nei confini dell'etica naturale per varie ragioni. Accennando: -la scienza etica non è solo pratica in quanto è ordinata alle opere, 1na anche in quanto le delern1ina. L'uomo, conseguente anche in 1nezzo a 1nille inconseguenze, opera co1nc crede. Che se delle volte pare che operi divcrsaincntc , di fatto non si troverà n1ai vera discordanza tra il pensiero, e le opere; perché in tal caso o il pensiero non è giunto a generare quella che chia1nia1no convinzione, o la 1nente è offuscata da passioni pili o ineno violente. Inoltre quando l'aniino è guasto o anche quando non è ben te1nprato a virtù, l'uo1no non va rnolto pel sottile, si contenta farsi lusinga; quasi si lascia bendare volontariainentc, per non essere costretto, conosciuta la verità, di operare contrariainentc a co1ne le passioni dcttano 1 ~. - Un'altra ragione che scaturisce da questa è che la pratica della vita e la scienza di essa pratica divengono a vicenda causa ed effetto. Ma sopra tutto ci occupiamo cli ciò per i rapporti soprannaturali, che sono quelli che verainentc interessano. Corrotto il pensiero scientifico, elevato a sistcn1a l'errore, tradotto nella pratica della vita e corrotta questa nel sisten1a dci suoi rapporti, non solo con1'è evidente, l'un1anità si aliena da Dio, 1na diviene, a misura della corruzione, scn1prc più avversa al soprannaturale; quindi, per indisposizione incno curabile, l'opera cli restaurazione in G.C. diviene son11na1ncntc difficile. Ancora un passo avanti. Il sacerdote come continuatore dell'opera di G.C. non potrà corrispondere convcnicntc1ncntc alla sua 1nissionc se pri1na non farà suo lo spirito di quell'opera sovru1nana. E' evidente che G.C. venne per salvare le ani1ne, nnche singolannentc rrcsc; 1na è anche evidente che l'opera di restaurazione non si lirnitò a un fatto individuale; e perciò, restando sernpre diretta al bene dcgl'individui, non n1ancò di essere una vera restaurazione della vita collettiva. Ed è per questo che la religione cattolica non fu e non potrà n1ai essere un affare personale e privalo: né potrà 1nai perdere la sua virtù trasfonnatrice anche dei rapporti, che restano nei confini dcl puro naturale. Ciò posto non sarà rnai fruttuoso un apostolato, se non riguarda l'umanità nella sua sintesi e non si adopera a santificare la vita collettiva. S. Pietro e S.

12

Matrh. IX, 37-38.

u II Ti1noth. IV, 2. 14

Noluit inlelligcre ut hcnc agcret. Ps. XXXV, 3.


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Salvatore Latora

Paolo andarono a Roma per esercitare nella città capitale dcl inondo il loro apostolato. E' questo un fatto provvidenziale, che spiega a meraviglia quel che noi diciamo. Perché, il cristianesin10 che non avesse rigenerato tutta l'umanità nella esplicazione di tutti i rapporti della vita, dal campo speculativo, al pratico; dalla famiglia, allo stato: sarebbe rin1asto una religione sterile, destinata a perire. Infatti l'uomo coine essere razionale è anche socievole: e come socievole, non può non vivere la vita della colleltività; allo stesso rnodo di co1ne, in quanto animale, non può non assi1nilare l'aria che respira, i cibi di che si nutrisce, ovvero non può non riceverne gli effetti buoni o cattivi. L'andar contro la co1nunc degli uomini, non è nonnale; è da eroi. E per fermo vi sono nella vita azioni che non si compiono indipendentemente dagli altri; o 1neglio, accanto all'individuo vi è la società, la quale ha co1nc un'anima propria e perciò una vita propria: onde spesso avviene che l'anima dell'individuo si trova in opposizione con l'anima della società, e perciò in lotta. Ma questa lotta, se nell'intimo senti1ncnto può restare viva, nella esplicazione della vila non è possibile che duri a lungo o che duri senza transazioni o cessioni. Come una forza dinatnica è la vita sociale, che annulla tutto ciò che le è contrario; tranne che non venga a contrasto con altra collettività che abbia altro ideale ed allre forze. Però se1npre una è quella che prevale; e preso una volta il sopravvento, se1npre a un 1nodo assimila o assorbe. E' superfluo cercare i fatLori di questa forza dinainica, quando sappia1no che la società ha beni, ai quali nonnalmentc non partecipano gli eleinenli eterogenei; oltre che, in quanto società, più potente svolge la legge fatale dcli'ese1npio; e finalinente quando sappian10 che nell'uoino è quasi connaturata quella fragilità, che chiamiaino u1nano rispetto. E perciò si spiegano, benché non si giustifichino, le transazioni con la propria coscienza, e s'intende quella che, con espressione nuova si chiama forza dell'a111bie11/e. I pri1ni cristiani a Ro1na o erano occultamente cristiani o erano n1artiri. Infatti quella fu l'epoca della persecuzione e delle catacon1be. Ma il cristianesi1no rigenerò Ro1na e la civiltà ro1nana; e se non l'avesse fatto, sarebbe stato soffocato in sul nascere dalla forza dell'an1bicnte. Ciò posto, se ne deduce, che il sacerdozio, che ha la missione di convertire e santificare le anime, ha ncccssariainenle la rnissione di santificare la società secondo lo spirito dcl cristianesi1no; 1nissione, alla quale non potrà corrispondere, se non concepirà il sacerdozio co1ne apostolato del te1npo, in cui si svolge. Il quale concetto però non deve prendersi co1ne parziale, 1na co1ne integrale, perché riguarda tanto la vita individuale, quanto la collettiva. Anche su ciò, fratelli dilellissin1i, sentiamo il dovere cli fennarc un po' la vostra attenzione, perché è necessario per coinpletare il concetto dcl sacerdozio, dal quale concetto, co1ne ci sian10 proposti, abbiamo a derivare l'ideale dcl Se1ninario. Co1nc è indubitato che ncll'u1nanità vi sono gli elen1enti dcl tnale, che contrastano l'nttuazione dcl bene; così è anche indubitato che la vita della umanità è nella lolla. G. Cristo nel dare la nuova legge, non annunziò la pace 1na la guerra. «Credete voi che io sia venuto a portar pace sopra la terra? Non la pace vi dico, ma la divisione»15 . Le quali parole da una 1nano sono un 1nonito solenne al popolo ebreo, che aspettava da! Messia un regno di pace, ricohno di tutti i beni della terra; dall'altrn sono l'affennazionc sicura, che una lotta esisteva e !'annunzio che un nuovo genere di lotta era per co1ninciare. Putatis quia pace111 \!e11i dare? dice S. Luca l 6 ; Non veni pace1n

15 Luc. XII, 51. 16 Loc. cit.


Il problema educativo e scolastico nei fratelli Sturzo 111iflere,

dice S. Matteo 17 . Dare e

111ittere

2 73

son parole che 1noslrano all'evidenza quel

che affermiamo.

La lolla esisteva, nè poteva non esistere, perché nell'uomo l'intelletto e lavolontà, se erano stati Vi7,iati, non erano stati spenti; l'umanità quindi sentiva anche prima di G.C., nè poteva non sentire, la spinta verso il bene, nel te1npo stesso che

soggiaceva alla legge del male. Queste due forze, come contrarie, non potevano non generare la lotta; e, se non giunsero a generare il progresso etico, generarono il 1noto. G. Cristo nulla di ciò che era della natura annientò; invece, recando la grazia, elevò la natura. Quindi si ebbe non più un intuito generico, involuto, inistcrioso, ma !a chiara visione della verità e dcl bene; non più la desolante esperienza di tutti i giorni, di tulle le ore, della propria fragilità, ma la esperienza della fragilità, resa potente dagli aiuti superni 18 ; non più la natura corron1pentesi a n1ano a mano e precipitante sempre più verso il fondo dell'abisso, 1na la gra7,ia elevante la natura e detcnninante il progresso, inteso nel pieno significato della parola 19 . li bene cd il nlale ri1nascro, e perciò la lolla; ma come fu recata una nuova legge, creato un nuovo ordine di cose; così anche fu rinnovellato il genere della lotta. Sia dunque che l'umanità si consideri senza la grazia, sia che si consideri con la grazia, !olierà sempre; cd i fattori della lotta saranno sc1npre il bene ed il n1alc. E sicco1ne l'essere ragionevole non può 1nai volere il 1nalc, concepito come 1nalc; l'essenza della lotta consisterà sernpre negli sforzi per conseguire un bene. Se questa legge potesse per un istante cessare, se l'uomo potesse per un istante non sentire il bisogno del bene; o se, pure sentendolo, potesse non volerlo o per lo meno restare indifferente al bene e al 1nale; cesserebbe subito di n1uoversi e si accomunerebbe con i bruti. Ma il bene e il inale se sono due punti fenni, in sé considerati; non son pili tali quando si viene all'attuazione; perché, potendo l'attuazione del bene essere più o n1eno perfetta e piena, e l'opposizione ad esso, che costituisce il 1nale, più o n1eno generale; potendo i rapporti tra le azioni e la legge 1nutarc e 1noclificarsi senza fine; il bene e il 1nalc non restano pili un concetto generico, 1na divengono questo hene equesto n1a!e. Dalla legge del moto, che scende dall'altra della lotta, e dalla legge dell'attuazione o corruzione ciel bene, deriva che le condizioni etico-religiose dell'umanità 1nutano se1npre: le quali con1c quelle che inevitabihncnte influiscono su d'ogni esplicazione dell'attività u1nmu1, determinano alla lor volta il perenne 1nodificarsi di tutti gli altri utnani rapporti. Queste considerazioni ci richiamano a quel che abbiamo detto circa la n1is~ sione sacerdotale santificatrice della società in quanto società, e ci conducono nel cuore dell'argomento che abbian10 tra 1nano, circa l'adattabilità, ci si pern1etta la parola, di questa n1issione. A Dio non si giunge che attraverso gli uon1ini. Si fissi bene questa idea. Quando Gesù Cristo annunziò che il primo precetto della nuova legge era l'amor di Dio, aggiunse subito che un altro precetto esisteva, si1nilc al priino, l'ainor dcl prossi1no. Rapporti ha l'uo1no con Dio come prin10 principio, come bene su-

17

Matth. X, 34. Omnia possu1n in co, qui nle confortat. Philip. IV, 13. 19 lustorutn sen1ila, quasi lux splendens, procedit et crescit usque ad perfectatn dic1n. Prov. IV, 18. 18


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pre1no, co1ne fine ulti1no di tutti gli esseri; rapporti ha con gli uo1nini, co1ne clementi necessari ed integrali della vita razionale e socievole. Questa legge dell'a1nore nella sua essenza è la legge e l'ani1na di tuui i rapporti col prossin10. Come legge regola i rapporti nella loro estrinsecazione ed integra la legge fondan1entalc della giustizia; co1ne ani1na dà alle opere quel che di più prezioso può desiderarsi, la volontarietà e la confonnità dell'esterno delle azioni con le interne disposizioni del cuore. Adunque a1nare il prossi1no altro non vuol dire che regolare i rapporti con gli uo1nini secondo la legge e lo spirito del Vangelo. Or l'uomo, avendo inevitabile dovere di rendersi idoneo a conseguire il fine ultimo, che è lo stesso che andare a Dio; avendo inevitabile necessità di convivere con gli altri uomini; s'intende co1ne è ben detto, che l'uomo non va a Dio, che attraverso degli uornini. Ma, conforme è stato accennato, l'umanità n1uovendosi se1npre e quindi trovandosi sempre in condizioni diverse cli bene o di male; è anche chiaro, che l'uo1no non giunge a Dio, che attraverso il bene e il 1nale de! tempo in cui egli vive. Ma qui torna in mezzo l'altra legge, della quale già abbia1no parlato, della forza dell'ainbiente; onde si può conchiudere che J'uo1no in questo can1mino, dal te1npo all'eternità, trova aiuto o contrasto, è portato avanti o spinto verso l'abisso dalla forza dell'ambiente. Quindi il sacerdote per essere l'apostolo della restaurazione in Gesù Cristo degl'inclividui per sé, dell'ambiente per gl'individui, deve di necessità essere l'apostolo dcl suo te1npo. Questo è tanto chiaro, che non solo non dovrebbe ain1nettcrc dubbi, nla neanche tollerare che vi si spendessero parole, tranne che per affermarlo. Eppure da non pochi la parola - santificazione delle anime - si prende in senso troppo stretto: e si crede che quando si è annunziata la legge evangelica e se n'è inculcata l'osservanza, quando si è, spesso con parole generiche e 1nalc appropriate, segnalato il n1ale; o invece, quando con zelo rude si è detto o sta1npato che è illecito, che è anche vietalo dalla Chiesa con pene gravi, far questo o quello, partecipare a questa o a quella esplicazione della vita colleOiva; rievocando all'uo1no l'eroismo dei pri1ni cristiani, senza però i1nitare l'apostolato dei pri1ni sacerdoti; si crede che non ci sia altro da fare; salvo, occorrendo, di gridare contro la creduta imprudenza di qualche anima ardente. Se pure la costoro attività non si consu1ni in rilnpiangcrc il passato, condannare in blocco, senza distinzione, tutto il presente, scusare la propria inerzia col gelato «non si può far nulla»; contenti di occuparsi, senza troppo affanno, dci pochi o delle poche, che chiedono !'opera loro sacerdotale: convinti che la fede dcl popolo cercante feste più esterne, che interne, più civili, che religiose, più spettacolo che feste, sia vera fede e non piutLosto espressione tradizionale d'una fede seppellita nel fondo dcl cuore, languida, senza luce, senza coscienza, adagiantesi cornodamente a partecipare, così alla festa d'un Santo, con1c a una dimostrazione contraria alla religione dcl Dio dei santi; fede che potrebbe essere ravvivata da un vero apostolo, ma che potrà essere spenta del Lutto da un soffio più violento dcl 1nale. Ma perché queste nostre parole non siano prese in un senso, che non hanno nè debbono avere, conchiudia1no mettendo per poco di fronte i due tipi di sacerdoti. Il pri1no si li1nita alla scienza d'un tempo, credendo che essendo scienza assoluta, si corro1npa col n10Lo; il secondo, distinguendo nella scienza ciò che è assoluto da ciò che è relativo, si 1nuovc col pensiero, con l'u1nanità, con lo spirito di Dio, che lo conduce; derivando da ciò che è assoluto, appunto perché assoluto, le nuove applicazioni per la restaurazione di ciò che è relativo. Il prin10 è come il teologo che cerca il principio quando gli occorre un caso da sciogliere; per lui la vita non è che una sequela di casi, che stanno ciascuno per sé; il secondo co1nc il vero teologo, che, avendo la scienza dci principi, ha anche la scienza dci casi. Il primo è co1ne il contadino, che s'affatica solo a tagliar le 111ale erbe; il secondo co1ne l'agricoltore, che strappa le male erbe sin


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dalla radice e s'adopera nel 1ncdcsi1no Le1npo alla cultura generale e scientifica dei campi. Il pri1no guarda co1nc ncn1ica la società che gli sta attorno; il secondo co1nc infenna; ìl prirno vorrebbe, se fosse possibile, staccare gl'individui dalla società; il secondo invece si adopera a rico1nporrc la società secondo le leggi di carità e di giustizia, affinché gl'individui vi possano esplicare tutta la loro atLiviLà di natura e di grazia; il pri1no rimpiange il passato: il secondo prepara l'avvenire; il pri1no vive coi morti, il secondo s'i1nmola pei vivi; il prin10 volendo creare eroi, non crea neanche cristiani veri: il secondo, attendendo a forn1arc cristiani nello spirito e nella opere, prepara anche la via agli eroi; il pri1no è come straniero in 1nczzo ai cittadini; il secondo diviene il pri1no dci cittadini. La conseguenza è che, per la legge del rnoto, la società s'allontana dal pri1no; 1nentrc il secondo, non solo si 1nuove con quella, ma riprende il posto che gli lacca per 1nissione, di precederne ed indirizzarne il camrnino. Il sacerdote apostolo inette con Pietro i! dito nelle ferite sanguinanti dell'u1nanità; entra cQn Paolo nel!'areopago: affronta Attila con Leone; incivilisce il barbaro con Beneclel!o; anirna alla liberazione del sanlo Sepolcro con Pietro l'Ere1nita; entra negli ospedali e proclaina in un secolo egoista la legge di carità con Vincenzo de' Paoli; si spinge Lra i figli del popolo con Don Bosco; con la Ren1111 Novaru111 in 1nano, si mette alla testa degli oppressi col Manning ... Ed il prì1no? che cosa gli resta eia fare, se non fa tutto questo? Raccogliendo quel che abbian10 detto sin qui se ne ricava: - che il sacerdozio è così connesso con l'umanità, che, se non la santifica, la corro1npe o se la vede corro1npcrc da sé con1e corpo, dal quale si sia separato il principio vitale; - che non ha da sé la virlù santificatrice, 1na che è dispensatore dei tesori santiricanli della redenzione cd ha !a n1issione di disporre gli uon1ini a riceverli; - che la sua azione è diretta alle ani1ne per sé cd alla società per le ani1ne; - e finaln1cnte che il suo apostolato non è ordinato alle anin1c cd alla società astrattmncntc prese; 1na a date ani1nc cd a dala società; che è quanto dire, che egli è l'apostolo del suo tcn1po. Si noti in fine che, quantunque il sacerdozio venga dall'ordine e perciò si riceva indipcndcnlcn1enle dai rneriti personali; pure, co1ne è agevole intendere dopo quel che è slalo dello, deve, sia per sé, sia per la natura dell'apostolato, essere ricevuto da subictti idonei. La quale idoneità altra è negativa, altra positiva; altra dalla natura, allra dalla legge ecclesiastica; in quanto il suhiello del sacerdozio deve essere i1nmune da dati vizi, naturali o n1orali; dotato da date qualità o virtl1, naturali od acquisite, co1ne a dire l'ingegno, l'indole buona, un dato grado di santità e di scienza. Ed ecco sgorga spontanea la necessità del tirocinio, e la convenienza che questo tirocinio sia corso con disciplina e con sisLen1a; l'origine, la convenienza, la 1norale necessità, l'ideale dei se1ninari. Ed ora che cosa ci ri1nanc per delineare questo ideale, se non fare delle scn1plici deduzioni ed applicazioni? Se Dio ci aiuta, lo farcn10 con quella 1naggiorc brcvit~1 e chiarezza, che ci sarà possibile. Co1ne a tutto ciò che è nell'ordine della natura, dispone la natura o !'uon10 vi si abilita con le forze della stessa natura: così a tutto ciò che è nell'ordine della grazia, dispone la grazia, né l'uon10 vi si abilita senza gli aiuti della grazia. Or, co1ne per alLro la stessa parola indicn, essendo la grazia un dono gratuito, non dovuto, cd in quanto soprannaturale, non conseguibile con le forze della natura 20 : essendo il sacerdozio per sé, per gli effetli che produce, per le disposizioni e !a corrispondenza che ri-

20 Si auten1 gratia, iarn non cx operibus; alioquin gratia ian1 non est gratia. Ron1. XI, 6.


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chiede, tutto un insieme di doni e di grazie: non possiamo parlare d'apparecchio e d'abilitazione, senza tener conto della divina vocazione. E si noti che vocazione e grazie sono due termini che si connettono intimamente, così che le une non si avranno giammai senza dell'altra. A tutti gli uomini Dio dà le grazie necessarie per convertirsi e ricevere la fede, ma perché tutti gli uomini sono stati chiamati già alla fede. Venendo al sacerdozio, da una mano abbiamo la medesima legge, dall'altra però abbiamo che non tutti gli uomini son destinati a questo stato ed a questa missione. La ragione di tale connessione tra vocazione e grazia è chiara per chi pone mente, che, quantunque la grazia sia dono gratuito, non dovuto, non conseguibile con le forze della natura; pure non si dà senza il concorso della volontà dell'uomo: concorso che si esplica non in un semplice consenso od accettazione, ma in una vera cooperazione: di modo che la grazia e l'uomo divengono come unico fattore delle opere soprannaturali; le quali opere quindi sono nel medesi1no tc1npo soprannaturali per la grazia, degne di premio per il concorso libero dell'uomo. Or questo concorso dell'uomo non si avrà 1nai senza la vocazione; perché, da una mano l'uomo essendo fisicamente incapace di atti soprannaturali, è anche incapace di disporsi alle grazie; dall'altra Dio non dà le grazie, se non a coloro, ai quali le ha destinate: salvo, s'intende, che vogliano corrispondervi. Or fale che in un Seminario entrino giovani senza vocazione, che cosa avverrà? Che essi non saranno capaci di disporsi alle grazie necessarie dcl sacerdozio. Ciò posto, l'opera dei superiori, che sopra tutto consiste nel concorrere a tale disposizione, sarà senza frutto. La conseguenza inevitabile è che si avranno giovani cattivi, chierici nell'abito che indossano, nia non nel cuore; neanche capaci d'una bontà co1nune, con1c quelli che, per la via presa, sono obbligati a una bontà speciale, e per non essere vocati, sono rei di tentata violenza ai disegni di Dio. Non ci dilunghia1no a parlare del 1nale che tali sciagurati farebbero a se stessi; essendo assai chiaro, che entrare in uno stato eminentemente soprannaturale, senza la divina vocazione, significa assumere doveri che eccedono le forze della natura, senza possibilità di adempirli; il che importa 1nettersi in condizione di non trovare più né pace in terra, né posto nella beatitudine del ciclo. Passiamo invece a indicare il danno ch'cssi cagionerebbero al sen1inario. Distinguiaino per primo tre categorie di non vocati: - coloro che andrebbero nel seminario senz'ani1no di giungere al sacerdozio, 1na solo per l'educazione; coloro che vi andrebbero per giungere al sacerdozio - 1na non di propria volontà, sibbcne per esservi sforzati dai parenti: - e finalrnente coloro che vi andrebbero per giungere al sacerdozio di propria volontà, ma per un fine naturale. Parlando dci pri1ni c'è chi crede che ciò non sia da condannare, segnatamente nella citlà, dove 1nanchino altri istituti di educazione. Invece è al contrario. Infatli si avrebbe quel che abbiaino accennato sin dal principio un cozzo d'ideali. In ogni altro istituto d'educazione vi sarà un ideale generico, se vuolsi, rna proprio, quello cioè d'abilitarsi a in1prcndere una data carriera: e gli alunni potranno bene nella varietà delle aspirazioni trovarsi d'accordo ed anche prendere emulazione. Non così in un seminario, nel quale, se gli studi delle prime classi sono comuni, il tenore della disciplina è speciale sin dal principio, sia per l'unità d'indirizzo, che deve regnare in ogni buon istituto, sia sopra tutto, perché trattandosi d'uno stato tanto diverso, non solo da tutti


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gli altri, n1a da tutta la vita laicale21

gli anni teneri sono i più preziosi, co1ne i più plasmabili e come quelli, che più indelcbihnentc ritengono l'i1npronta ricevuta. Perciò il sacrosanto Concilio di Trento, con la sapienza che è propria della Chiesa, stabiliva che nei seminari siano ammessi quei soli giovani i quali oltre agli altri requisiti,

si 1nostrino disposti di servire Dio e la Chiesa22 .

Delle altre due specie di giovani non vocati c'è poco da discutere. l primi, cioè quelli che sono vitti1nc della dura volontà dei parenti, guarderanno il sacerdozio come una vera condanna, e frattanto nei loro animi pusilli, incapaci di resistere santamente

e gcncrosa1ncntc a chi osa violare i loro diritti e le leggi della natura e della grazia, andranno vagheggiando altri ideali, e nella lotta tra il dovere e la viltà, si andranno corroinpendo un dì più che l'altro; i secondi, cioè quelli che hanno scelto il sacerdozio per fini umani, peggiori dei prirni, urnanizzeranno un ideale tutto soprannaturale. I primi insegneranno ai compagni a odiare il sacerdozio; i secondi a sfigurarlo; dai primi usciranno più facilrnente gli apostati; i secondi, se non giungeranno a tanto, sarnnno piaga non meno fatale alla Chiesa cd alla società, i concubinari, gli usurai, i trafficanti, in una parola i corruttori d'ogni legge umana e divina. Passiamo ad una seconda considerazione. Data la vocazione, data la serenità dcll'ainbicntc dcl seminario, illuminato da unica luce, riscandato da unico fuoco, non si avrà ancora il se1ninario vero, se esso non sarà atto a svolgere i germi della vocazione. Co1ne è stato speciale il sacerdozio, così dev'essere educazione speciale, ordinata al sacerdozio, quella del se1ninario. Il giovane non vocato non sarà 1nai in grado d'intendere ciò, e, posto che lo intenda, non sarà in grado di confermare le opere a un ideale non proprio; quindi troverà ad ogni passo un fastidio, una durezza, un'esagerazione. Ma il vero chierico, che non solo ha la vocazione, n1a che non vi ha recato nocumento con delle colpe, si spinge con voluttà santa in quel tirocinio d'abnegazione. Morire a se stesso; avanzarsi se1nprc più verso una vita di sacrifizi, nella quale l'crois1no è un fatto nonnalc, tutte le volte che il bene delle anime lo richiede; prepararsi ad entrare nel n1ondo, non per partecipare ai piaceri dei Inondani, 1na per recarvi l'alito d'una vita nuova: giungere quasi spirilualizzato a un ministero, tutto spirituale, superiore alla stessa virtù angelica, partecipazione del sacerdozio eterno di G. Cristo; sarà per lui l'esercizio d'ogni giorno. Qui, fratelli dilettissimi, richia1niamo la vostra attenzione sopra una di quelle miserie della umana fragilità, che tanto danno recano ai seminari ed alla Chiesa. Quel popolo che è così acre censore della vita sacerdotale, che, per divina grazia, ha l'intuito della costui inissionc, e pretende, co1ne per altro ha il diritto, di essere, non da uo1nini, 1na da angeli guidato alla salute; quello stesso popolo per effetto d'egoismo, quando ha parenti nel chiericato, pei costoro vizi invoca la legge dcl compatimento, evoca la storia della fragilità umana, s'affanna perché coloro, della cui vita scorretta è meglio consapevole che i superiori del se1ninario, siano al più presto possibile senza virtù, senza speranza d'acquistarne, am1nessi ai sacri ordini: e maledice vescovo e su-

21 Il sacerdozio è un'istituzione soprannaturale, superiore a tutti gli istituì terreni e affatto separata da essi, come il divino dall'ornano ... E' come un tutto a sé non pur distinto, 1na separato altresì dalle ordinarie norme del vivere laicale. Encicl. dcll'S dicernbre 1902. 22 Quorun1 indoles et voluntas spcm afferant, eos ecclesiasticis ministeriis perpetuo inservituros. Sess. XXXIII, dc rcf. cap. 18.


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periori, se si 111ostrano restii, reputandoli uo1nini senza cuore, capricciosa1nente rigorosi. Ma passiarno oltre. Come la inissione sacerdotale non può sco1npagnarsi dalla vita che in atto vive la società; così la formazione dello spirito dci chierici non sarà rispondente al fine, se si scon1pagna dal sacerdozio dcl tc1npo. Quando son giorni di pace per la Chiesa, forse si potrebbe tollerare un chierico che non abbia che il n1ini111u111 della virtù necessaria. Dicia1no il 111i11ii1111111. con1e il tern1ine, sotto il quale non sarà 1nai lecito andare, non, per sé, n1a in quanto !a virtù che vien dopo non è più sufficiente a un sacerdote. Però questo 111i11i11uu11, quando son tempi di lotta o di persecuzione, com'è il presente, più non risponde al bisogno; e ciò prin1a del pericolo che correr.ebbe lo stesso sacerdote d'essere Lravolto dalla corrente del 1nale, essendo anche lui uon10, circondato alla sua volta di rniserie 23 : poi perché non si sarebbe atti a nutrire la corrente del bene sanlificatrice della società. Quanto più aspra è la lotta, tanto più robusti si cercano i cainpioni. Infatti ui primi, essendo estremamente ardua la lolla con la società pagana, G. Cristo in1petrò dal Padre una speciale infusione di Spirito Santo. Accanto alla virtù va la scienza. Si notino sul proposito le parole che Gesù Cristo usò nel rainoso sern1one ciel 1nonte, quando disse ai suoi discepoli: «voi siete il sai della Lerra.. voi sielc 13 luce dcl 1nondo» 24 • Con la parola «Siete» accennò alla natura del sacerdozio: col dire «sale e luce» insegnò che il sacerdozio sarebbe stato ministero di cooperazione e di dispensazionc: col dire: «così risplenda la vostra luce dinanzi agli uo1nini», indicò che la vita sacerdotale deve corrispondere alla natura del sacerdozio: con l'unire nel n1edesi1no discorso le due i1n1nagini di sale e luce, con unificare le ultin1e conseguenze in una sola: «acciocché gli uo1nini vedendo le vostre buone opere, glorifichino Dio (cioè operino anch'essi bene)»; 1nostrò che non la sola bontà basta, non la sola dottrina; ma che in tutto il sacerdote deve esser luce. L'in11nagine di luce è la più espressiva e con1prensiva, infatti S. Paolo nella lettera agli Efesini, scrisse: On1nia a11te111 quae arguuntur, a !u111ine 111a111jèstantur; 0111ne e11i11n quod 111a11~festatur, honen est. Propterea dici!: S'urge qui donnis, et exsurge a n1ortuis, et illu111i11abit te Christ11s 25 . Per inlendere con1e la scienza e la piet8 debbono nel sacerdote andar congiunte e co1ne s'integrino a vicenda, non bisogna riguardarle come mezzo d'abilitazione solarnente, delle quali si abbia ad aver cura nel tirocinio chiericale, senza che poi ci sia più da tribolarsi; rna co1ne oggetto di quotidiano e perenne esercizio, affinché non ispcrdano, rna siano accresciute e perfezionate; necessarie tutte e due alla propria salvezza e a quella degli altri 26 . Così concepito il dovere della scienza, l'ideale del seminario prende tutta la sua luce, e si cornprende come non sarà nlai soverchia la sollecitudine che si n1ettc, non solo per rendere buoni e dotti gli alunni, 1na per generare in loro l'abito dell'orazione e dello studio. La scienza propria de! sacerdozi è la sacra; quindi le scuole proprie del se1ninario son quelle delle scienze sacre. Questo però non esclude la fonna nonnale del tiro-

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Quonimn et ipse circun1cla!us esl infirn1ilale, Hcbr. v.2. Matth. V, 15-16. V. 13-14. 26 Attende tibi, et doctrinae: insta in illis. Sic eni1n facicns, et ipsu1n salvum facies, et eos qui te audiunt. I Tiinoth. IV, 16. 2

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cinio; anzi la richiede. Or il tirocinio per essere completo e rispondente al suo fine, deve avere tre stadi: le lettere, le scienze utnanc, le divine. Se non è 1nai vero che le lettere possono essere fine a se stesse, in modo speciale è vero pcl sacerdozio. «L'arte per l'arte» è un capovolgere i termini. Un secolo fa si poteva insegnare ancora che il fine della poesia fosse il diletto, e si poterono vedere degli abati sospiranli idealmente, dietro Filli ideali, consu1nanti le lunghe veglie ne! tornire versi e nel cercare tra dieci espressioni 1neno eleganti, la più elegante. Oggi finahncnte la società condanna l'arcadia e proclan1a «l'arte per la vita». Ma la Chiesa nel suo spirito l'avca proclamato sin dal principio. Lasciando la parte generica della questione, che non ci riguarda; passiamo alla specifica. Il sacerdozio per sé non ha la 1nissione dell'arte né della scienza; le eccezioni possono benissi1no occorrere, ma non tali da sconsacrare il 1ninistro di Dio; dovendo anche in tali casi il bello o il vero essere, direttainente o indirettamente impegnati, co1ne per altro è ufficio della natura, a cantare la gloria di Dio 26 . Però il sacerdozio ha bisogno dell'arte e della scienza come mezzo e co1ne sussidio; il sacerdozio dicia1no, non la parola di Dio; o meglio: il sacerdozio non pel soprannaturale, n1a per la natura. E benché delle volte la parola rozza di un ignorante converta e santifichi meglio che quella di cento dotti; ciò non suona condanna dell'arte o della scienza, 1na dello spirito dcl inondo, e di1nostra che la natura, se vale qualche cosa o se ha qualche uffizio nella santificazione delle ani1nc, questo si circoscrive nell'aiutare gl'individui a disporsi a ricevere le infusioni della grazia. La Chiesa an1maestrata dallo Spirito Santo, non ha trascurato mai d'innalzare sontuosi tempi, profondendovi i più preziosi tesori dell'arte, cd ha circondato il sacrifizio dell'altare dello sfarzo dci riti; la 1nusica e la poesia ha invocato nella espressione della sua gioia e dei suoi dolori, nelle sue suppliche ansiose e nelle sue festanti azioni di grazie, ha istoriato nella maniera più belln le volte ed i muri dei 1nedcsi1ni tempi, ha sospeso sugli altari i quadri, dipinti dai più fainosi pennelli. Tutto ciò è sussidiario. Nello squallore delle catacombe, alla paroln dei sacerdoti perseguitati, poveri, presso al inartirio, credete voi che i prin1i cristiani si co1n1novessero e santificassero 1ncno di noi? Ma quelli erano te1npi speciali. L'Anfiteatro Flavio grondante sangue, l'aria di Ro1na echeggiante gridi di condanna, il viso emaciato, la parola calda, affascinante dei vescovi, erano più dei tempi e più che splendore cli riti a quei primi eroi. Però nella vita normale tutto è normale, e perciò il sacerdote che volesse trascurare di proposito questi sussidi, peccherebbe: corne pecca chi, per ignoranza non iscusabile, contan1ina le chiese ed i riti con certe n1ostruosità, che crede arte; la parola di Dio, con certe forme o profane o goffe o arretrate o insulse, che crede artistiche. Ma oltre a questo e sopra tutto questo la grandezza di Dio richiede che la sua parola, i suoi misteri, le sue grazie, siano trnttate col massi1no decoro; che la natura anch'essa s'inchini al suo trono e si faccia sgabello della sua 1naestà: che dove è Dio si trattano le cose di Dio, l'uo1no senta co1ne un'aura cli austera bellezza veda che tutto alla presenza di Dio si colora ccl abbella. Nel se1ninnrio adunque, oltre a tutto ciò che riguarda la tecnica della lingua e le altre istituzioni fonda1ncntali e d'avvimneiito generale, le lettere dovranno essere curate con so1nn10 disccrni1nento per rendere gli alunni idonei ad avvalersi del sussidio dell'arte, ordinatamente però al fine del sacerdozio.

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Cocli enarrant glorimn Dei. Ps. XVIII. l.


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Inoltre sicco1ne è possibile, per quanto si voglia, essere accurati nell'am1nissionc degli alunni che alcuni di loro non abbiano la vocazione e perciò debbano, presto o Lardi, lasciare l'isLitulo, così affinché nessuno riceva danno, di colpa che non ha, il ginnasio dovrà essere regolato in 1nodo che ciascuno possa in ogni tempo andare senza preoccupazioni agli esami delle pubbliche scuole: e nessuno abbia a soggiacere alla necessità, per altro non mai a1n1nessibilc, di avanzarsi, non vocato, verso il sacerdozio. Dopo i! ginnasio, prima del corso teologico, in ogni buon sc1ninario, di inezzo c'e un tirocinio di due o di tre anni, dedicato allo studio della filosofia. Noi lo chiamia1no «pcrfczionainento» e non liceo, per rendere più esattaincntc il nostro pensiero; perché questo corso deve, per quanto è possibile, essere specifico, cioè ordinato al sacerdozio; e quindi deve da una 1nano riuscire di compimento e consacrazione degli studi ginnasiali, dall'altra di avviainento agli studi teologici, in tutto come un passo deciso, non certo irrevocabile, verso il sacerdozio. Diciamo «deciso» perché le Jeuere studiate in quegli anni, co1ne abbiamo accennato, dovranno ricevere quasi una specie di consacrazione, non solo per riguardo alla sacra eloquenza, ma perché tutto il corso non potrà non avere il carattere di estetica sacra, conveniente così al n1inistero della parola, co1ne ad ogni altro raino dall'attività sacerdotale. Però la disciplina principale e lo studio preponderante non sarà che la filosofin, e perciò in n1olti luoghi tale corso e se1nplice1nente da questa distinto. Il giovane vi si apparecchia allo studio dellè scienze sacre; le quali, in quanto scienze, si governano in 1nodo comune a tutte le altre, benché, in quanto sacre, abbiano un che di speciale e lutto proprio. Or in queste il fondan1ento scientifico è alta1nente filosofico; speculativo nella Dom1natica, pratico nella Morale; n1a questa, che riguarda la moralità delle azioni cd i rapporti tra i consociati, è etica e sociologica; quella, in quanto trae i suoi principi dalla parola rivelata, scritta o non scritta, non può seguire solo i rnetodi deduttivi, nla deve per necessità seguire anche i positivi. Il Diritto Canonico e l'Ermeneutica sacra si governano con criteri misti. Da qui la necessità dello studio della filosofia in tutti i suoi ra1ni, dalla logica alla sociologia; altrirnenti non si avrebbe più studio scientifico, n1a catechis1no e di cattivo stmnpo. Oltre a questa, che è con1e ragion di apparecchio o n1eglio di abilitazione, il che non è poco, anzi possia1no dire 1nolto: abbiamo che io studio della filosofia, o n1cglio di tutti i rami della filosofia, è anche necessario per acquistare una parte di quella cultura generale, che tanto decoro conferisce al sacerdozio e che lo rende più idoneo a svolgere la sua missione sociale. Così concepilo il corso di perfezionamento, sia in quanto estetico e storico e fisico (non faccia1no inenzione delle singole discipline, perché essendo il nostro un linguaggio con1prensivo, non solo non le esclude, ma le suppone), sia in quanto filosofico; in due anni non potrebbe corrersi con profitto; onde il bisogno d'allungarlo d'un anno. Delle scienze sacre poche parole dicia1no. E' noto a tutti che sono il patrimo~ nio intellettuale, nel senso rigoroso della parola, proprio dell'ecclesiastico; 1na non è a tutti eguahnente noto o per lo 1neno non tulli vi pongono mente, che sono un vero e proprio corso universitario. Più o 1ncno gli studi precedenti, benché ordinati ad fine speciale, son sernpre can1po coinunc, si possono riguardare, in senso più o 1ncno largo, come cultura generale; ciò più non può dirsi del corso teologico. Il quale inoltre, in quanto universilario cioè come quello che conferisce il diritto di scendere tra i popoli con il caratlere di nlaestro e di dottore, dovrebbe essere riguardato con sacro rispetto e non giudicato e corso spesso così alla leggiera, co1ne il rifugio degl'ignoranti e dei reielli dalle co1nuni università, nelle quali in fine non si apprende che la


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scienza della vita presente, che passa presto, e che non avrebbe significato, o l'avrebbe, 1na n101to triste, se non fosse ordinata a una vita migliore. Per convincersi di ciò al rnetter piede la pri1na volta nelle aule dove s'insegna la scienza di Dio, per non revocare in dubbio l'inevitabile dovere che incombe a ciascuno di studiare tutti i raini della teologia, con la giunta della Storia Ecclesiastica, dcll'Enncncutica e dci Docu1nenti pontifici sulla questione sociale, confanne è prescritto nell'Enciclica dell'8 dice1nbre 1902; non occorre che richiamare a mente quel che è stato detto intorno alla 1nissione sacerdotale. Così non ci sarebbe neanche da tc1ncrc che qualche spirito piccolo potesse più sognare, che per essere sacerdote basti un po' di teologia morale rnalamente appresa. E per fermo la religione cattolica co1nprende verità da credere, leggi da osservare; onde chi conoscesse solo queste ultime e in modo incompleto, al più potrebbe giudicare delle opere. Ma oh Dio che giudizi! E quanto al resto che cosa saprebbe fare? Chi non ha parole di vila eterna come potrebbe chiudere la bocca ai nemici della religione? Co1ne spezzerebbe ai popoli affa1nati il pane della vita, chi appena sa che quel pane esisLe?27 Resterebbe, privo delle grazie del sacerdozio, che egli ricevette contro l'ordine stabilito da Dio 28 , non 1naestro in Israele, non lampada sul candelabro, non l'angelo dcl Dio degli eserciti 29 : ma come paralitico tra i nen1ici; tra i fedeli come estraneo. Potrebbe, è vero, farsi qualche eccezione, 1na non a favore degl'individui, che aspirano al sacerdozio, sibbene di qualche co1nune, che potrebbe esser privo di sacerdoti. Dicia1no: non a favore dcgl'individui, per quel che abbia1no gil1 esposto circa la natura di questo 1ninistero. Né vale l'obiettare che la vocazione potrebbero averla anche le intelligenze limitate: perché Dio, che in tutto procede con sapienza ed ordine 29 , quando chiarna a uno stato, dà le grazie cd i doni convenienti; e l'intelletto è uno dci doni indispensabili pc! sacerdozio. Potrebbe, quindi in simili casi trattarsi solo di vocazione religiosa: e ci sono i conventi. La vera eccezione adunque potrebbe farsi in grazia degli altri: n1a anche questo va inteso con limitazione. Da una mano i! candidato dovrebbe co1npensare la scienza che gli 1nanca, con esuberante santità: dall'altra non dovrebbe esser privo di quella che i teologi chian1ano «sufficienza»: la quale consiste nell'essere in grado di risolvere i casi co1nuni e di dubitare negli ardui: nei quali si invocherebbe il sussidio dei libri o dci n1aestri. Né con tutto questo si creda che la eccezione possa andar tant'ollre, da consentire che lo studio rimanga circoscritto alla sola teologia Morale, senza che della Dommatica non si apprenda ahncno la parte essenziale. Un lungo lavoro di fonnazione di coscienza è necessario che induca i candidati ed il popolo a concepire il sacerdozio nella sua interezza. Allora nessuno più troverebbe lungo il corso degli studi, duri i criteri del vescovo; nessuno più crederebbe le~ cito correre il tirocinio per n1età o per un terzo. Nessuno sognerebbe eccezioni: 1na da tutti si guarderebbe il sacerdozio con profonda venerazione, e sul punto d'avviarsi a quello o d'assun1crlo, si proverebbe una specie di sacro terrore. Né ciò diminuirebbe le vocazioni; 1na invece le purificherebbe, e per la virtù fecondatrice della santità, le

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Parvuli pctienint panein, et non erat qui frangerct eis. IEREM., Thren. IV, 4. Quia tu scientiam repulisti, repellan1 te, ne sacerdotio fungaris mihi. 0SEE,

IV, 6. 29 Labia saccrdotis custodient scientiam, et legern requirent cx ore eius, quia angelus Do1nini exercituun1 est. MALAC. II, 7. 29 On1nia in sapientia fecisti. Ps. Clll. 25.


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1noltiplicherebbe; e, sbarrando il cain1nino ai non vocati, regolerebbe quello dei vaca ti. Ed ora non ci rimane, fratelli dilettissimi, che ripetervi quel che da principio vi abbiamo dello, cioè che per raggiungere il fine, che ci siamo proposti, abbiamo bisogno dell'opera vostra. Non per voi abbiamo scritto la presente, ma pcl popolo; a voi però ci sian10 rivolti, affinché la nostra parola, dalla vostra carità e dal vostro zelo ravvivata, fecondata, resa popolare, scenda al popolo e sia ricevuta con profitto. Voi che vivete la vita di Gesù Cristo, delle cui carni santissime vi cibate ogni giorno, della cui parola nutrite le vostre e le altrui menti, i cui n1istcri trattate e dispensate agli altri: voi che aspirate aria di paradiso nella pubblica e privata preghiera; che conoscete i segreti palpiti, la volontà, i desideri del Cuore a1nantissi1no di Gesl1: voi che avete la cura iinmcdiata di quelle anime delle quali la cura mediata e generale l'abbiamo noi; 1na sopra tutto voi che conoscete non sol per scienza, ma per personale esperienza che cosa sia sacerdozio; che del sacerdozio avete non solo il carattere, ma lo spirito; voi potete e perciò voi dovete aiutarci con tutta l'efficacia dell'opefa vostra a forn1are i futuri sacerdoti vostri successori. Vi preghiamo quindi con vivissin10 ardore, e per quell'autorità che ci viene da Dio, vi comandiaino: 1. d'ingenerare nelle menti la convinzione che il sacerdozio non è solo quel che abbiamo detto, ma tutto ciò che di più alto, di più potente si possa immaginare. Per la qual cosa ordiniamo ai parroci cd a coloro che hanno cura di anime, di spiegare la presente al popolo nelle don1enichc a parte a parte con modi facili, 1na efficaci. Per riguardo agli altri sacerdoti saremmo lietissi1ni se ne volessero fare argomento d'alcuna delle loro prediche: 2. di adoperarvi affinché gl'indegni e i non vocati si allontanino dal santuario. Mille 1nezzi a questo fine Dio vi ha n1esso in n1ano, coine per accennarne alcuno, il consiglio in confessione o fuori confessione, ai giovani aspiranti o chierici o ai loro parenti; il tenere infarinato il vescovo delle ragioni che mossero i giovani a cercare il sacerdozio od i parenti a spingerveli: della condotta tenuta dai medcsi1ni giovani, nel secolo, ovvero, fatti chierici, nel tempo che, per ragion di vacanze o d'altro, passarono in seno alle loro famiglie. Delle quali relazioni, da dare spontaneamente al vescovo, con prudenza e ponderazione, vogliamo resti onerata la vostra coscienza. Noi da parte nostra, riconoscendo con1e il far in qualunque 1nodo pressione sulla volontà dei giovani, per qualsiasi ragione dipendenti, a fine d'indurli a prendere il sacerdozio senza vocazione o a non prenderlo quando Dio chia1na, sia delitto gravissimo, del quale si è responsabili verso Dio e la società; riserbiaino a noi l'assoluzione di esso. A1nmonian10 intanto i confessori che qui, non si trattando della semplice moralità dell'azione, ma avendo la colpa per effetto il danno co1nune, non possono in detli casi i penitenti essere lasciati in buona fede, e perciò, sino a che la pressione dura, in sé o nei suoi effetti, non può lecitarnente trascurarsi la ainmonizione; 3. di agevolare il nascere e lo svolgersi delle vocazioni. Ordiniamo pertanto che ciascun parroco per sé o per mezzo d'altro sacerdote buono e zelante, istituisca delle compagnie di fanciulli, aventi per fine di tenere gli ascritti lontani dalle cattive co111pagnie e dalle altre occasioni di corruzione: di far loro apprendere il catechismo e la storia sacra e di prepararli con tutta diligenza alla prima co1nunione; in occasione della qual festa voglian10 che nulla sia rispanniato per rendere quell'atto solenne e indelebile; ed infine d'unire l'utile col dilettevole, e d'istillare con modi paterni ed attn:1cnti, anche tra il giuoco e le oneste ricreazioni, nei teneri cuori il senso ed il gusto della cristiana pietà. Dove queste associazioni, che sono anche i più bei vivai della democrazia cristiana, sono state curate, se ne sono raccolti ubertosissi1ni frutti.


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Inoltre voglian10 che nelle singole parrocchie si abbia cura speciale di quei giovanetli che mostrano segni non dubbi di vocazione. Si istituisca quindi una specie di probandato, lungo il quale i giovanetti, previo nostro permesso, porteranno il collare, ascolteranno la 1nessa tutti i giorni ed assisteranno alle funzioni parrocchiali la festa. Noi nonnalinente, non riceveremo nel nostro sc1ninario chi non abbia fatto almeno un anno ùi lodevole probandato; 4. d'ingenerare nei ricchi il convinci1nento che uno dei modi di santificare le ricchezze è quello di farne scorrere parte sul seminario. E' vero che oggi chi ha beni della terra difficiln1ente pensa al cielo, co1ne è vero che la rivoluzione tre volte secolare ebbe per effetto di alienare dalla Chiesa le classi abbienti, 1na è vero altresì che nella nostra diocesi, per grazia di Dio, la fede c'è ancora, non solo in basso, nla anche in alto. Voi, fratelli dilettissimi, che tante prove di zelo avete sempre dato, nei felici inon1cnti che qualche cuore si schiude a voi, che trepidante del suo avvenire, cerca nel presente, cerca da voi un rnezzo co1ne far dcl bene e col bene placare l'ira dell'Altissin10: oh voi in quei felici n101nenti, nell'additare i fratelli poveri ai quali n1anca financo il pane, non trascurate di additare altri poveri, ai quali manca altro pane, il pane della vita eterna. L'u1nilc tugurio si presenti ai vostri occhi in qucgl'istanti, ma non si sco1npagni da altri, che polrebbcro dirsi peggiori tuguri: la terra si unisca col ciclo, il tempo con la eternità. L'ele1nosina falla in ordine al soprannaturale, rifluisce copiosa nnche sulla natura. Tenetelo a 1nente, fratelli dilettissimi: i disagi sociali non hanno altra origine né altra cagione che lo spirito d'egoismo, il quale non si vince che con lo spirito di carità. Date alla società sacerdoti apostoli, agevolatene la formazione, ed avrete, più o 1neno prossin1mncntc, cooperato a tornare nel!'u1nana fa1niglia lo spirito di G.C. restauratore. Finalmente stabiliaino: 1° a) che i corsi del Ginnasio, perfeziona1nento e scienze sacre, siano ordinati secondo le esigenze del ten1po presente; che non 1nanchi alcuna delle 1naterie, non solo principali, n1a secondarie e comple1nentari; che il corso di perfcziona1nento sia di tre anni, quello delle scienze sacre di quattro; b) che ciascuno alunno studi tulle le 1naterie e di tutte dia esame; salvo le eccezioni, delle quali giudicheren10 solamente noi, secondo il criterio che abbiamo già esposto, dopo udito il parere dcl consiglio scolastico e dei deputati alla disciplina ed allo studio: c) che l'ordine del suddiaconato non sia conferito che alla fine del 2°, e quello de! presbiterato alla fine dcl 4° anno del corso teologico; d) che per essere pron1ossi agli ordini sacri si dia esame speciale avanti a noi od a persona a ciò da noi espressmncntc delegata; che questo esan1e con1prenda due parli, cioè le 1natcric che riguardano l'ordine che si ha a ricevere, e le n1aterie studiate lungo l'anno scolastico precedente o in corso. Quindi pcl suddiaconato si dovrà dare esa1nc dci trattati De !ioris canonicis, et de Voto; pcl diaconato de Sacra111e11tis in genere, et de E11charisth1 prout est sacra111entton; pcl presbiterato de Sacrificio Missae et de Paenitentia: oltre a questo in ciascuno dei detli esan1i si dovrà rispondere dell'ordine che si va a ricevere. Per riguardo poi alle n1alerie studiate lungo l'anno scolastico, stabilia1no che quando l'ordinazione cade in dice1nbre, si risponda di tutto ciò che è stato oggetto di studio nell'nnno scolastico già trascorso; quando cade in rnarzo o in giugno, basti rispondere di ciò che si è studiato nell'anno scolastico in corso; e) che per essere am1nessi agli esami della sacra ordinazione gli alunni presentino il certificato di pro1nozione otlenuto agli ultimi csa1ni scolastici delle sessioni ordinarie di luglio o di ottobre;


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t) però perché noi vogliamo che gli alunni sappiano quanto ci sta a cuore lo studio ordinato e graduale e la bontà costante della vita, ci riserbiamo nei casi particolari, di dispensare in tutto o in parte dagli esan1i dell'ordinazione coloro che si saranno resi meritevoli di tale grazia: 2° che i parenti o chi per loro, pri1na ancora che un giovane venga ainmesso nel serninario, esplicitamente accettino in tutto i regolamenti disciplinari e scolastici, dei quali sarà loro passata una copia, e diano garanzia che saranno da loro e dall'alunno, per quel che riguarda gli uni o l'altro, fedelmente osservati; 3° a) che le borse di studio normalmente siano date previo concorso; che in parità di merito, n1orali ed intellettuali, siano preferiti i più poveri; b) che nessuno nonnalmcnte sia ammesso a detti concorsi, se non avrà almeno per un anno dato prova lodevole di vocazione, di virtù e di profitto nello studio; c) che alle borse di studio già ottenute si abbia diritto sino a che gli alunni non se ne siano resi indegni. E perciò al principio d'ogni anno scolastico noi, udito chi di ragione, ed ove sia necessario, falle delle speciali inchieste, daremo un decreto di conferma. Chi non sarà con1preso in esso, s'intenderà privato della borsa; salvo però a rimeritarne qualche altra nei futuri concorsi; 4° Vogliamo ed ordiniamo che sieno scrupolosainente osservate le leggi panti ficic: a) circa l'azione cattolica esterna: b) circa l'andare alle università laiche: c) circa la lettura dci giornali: 5° Che nessuno ci chieda o ci faccia chiedere i sacri ordini; i! chiederli per noi sarà co1ne rendersene im1neritevoli. Concepito così il se1ninario, nè del resto si è liberi di concepirlo diversa1nente, co1ne non si è liberi di 1nutarc o sfigurare l'opera di Dio (ed il seminario trae la sua fonna dal sacerdozio, che è tutta opera di Dio): le difficoltà che ci si parano innanzi non sono poche né lievi. Ma cooperanti voi, fratelli dilettissimi, il cui zelo ci affida, e benedicente Dio, propiziato dalle preghiere dei buoni, noi non dobbiamo più te1nere né parlare di difficoltà: non potendo questa cooperazione e questa benedizione non avere per effetto la esclusione e l'allontanamento dci giovani non vocati, prima cagione dei inali d'ogni seminario. Esclusi adunque coloro, che per nes!-;un conlo hanno diritto d'appartenere alla chiericia, noi ed i superiori immediati, ci lroveremo d'aver da fare solo con i migliori tra i giovani cioè con quelli, ai quali Dio concede la grazia della vocazione. Costoro, in quanto giovani, avranno l'anima ardente, generosa, plasmabile: in quanto vocali, 1neglio degli altri sapranno corrispondere alle cure degli educatori. Lasciate adunque che alla nota del dolore, facciamo succedere quella della speranza! Noi vcdia1no già in ispirito ripopolarsi il seminario di novelli San1ueli dall'anima pura, dagl'ideali santi, dai palpiti infocati, vagheggianti il sacerdozio con quel senso di fede, che un1ilia e solleva: che fa guardare la polvere, dalla quale si è tolti, per 1neritare il soglio della gloria, al quale si è destinati; che fa sco1nparire l'uomo e sorgere l'apostolo; noi li vediamo docili e diligenti, assetati di virtù e di sapere, in1pazienti di spingersi tra i popoli, non per posarsi e godere gli agi del sacerdozio, ma per itnprendere quella vita di totale abnegazione, che tutta si consacra al bene dcl prossin10. Così Dio ci aiuti, con1e noi nella dolce visione della speranza, invochia1no le più copiose benedizioni del Cielo, perché fecondino, consacrino, santifichino le 1nura, l'aria, ogni angolo, ogni sasso del sen1inario. Pari benedizioni invochia1no su tutta la Diocesi, su tutti voi, fratelli dilettissiini; ma in modo speciale e con speciale predilezione noi invochia1no le più larghe benedizioni sugli eletti di Dio, sui futuri


Il problema educativo e scolastico nei fratelli Sturza

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apostoli della restaurazione in G.C. nei nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.

/)a/o in Piazza Annerina, il dĂŹ sacro alla festa della Invenzione def!a S. C'roce, 3 111aggio 1904. MARIO VESCOVO



NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO

1. Nuovo assetto giuridico del S. Paolo Dopo il decreto di aggregazione alla Facoltà Teologica di Sicilia, 14 settembre 1990, il S. Paolo ha promosso gradualmente il suo nuovo assetto giuridico. Così, il 5 novembre 1992 il Gran Cancelliere della Facoltà Teologica di Sicilia ha nominato il primo gruppo di Professori stabili con la qualifica di Straordinari: i proff. S. Consoli, A. Gangemi, A. Longhitano, A. Minissale, G. Ruggieri, G. Zito. Il 1O novembre successivo, a norma dello Statuto, il Preside ha nominato il primo gruppo di Professori incaricati: i proff. M. Aliotta, P. Buscemi, L. Calambrogio, M. Cascane, S. Dell'Agii, A. Franco, S. Marino, M. Pennisi, G.B. Rapisarda, F. Ventorino; e, in seguito, il prof. P. Urso. Il 4 dicembre 1992 il Consiglio dello Studio, a norma dello Statuto, ha proceduto alla elezione della terna di nomi da presentare per la nomina del Preside. E l' 1 l gennaio 1993 il Gran Cancelliere della Facoltà ha nominato Preside dello Studio il prof. S. Consoli. Mentre, su proposta del Consiglio, il Moderatore dello Studio Teologico, il 25 gennaio successivo, ha nominato Vicepreside il prof. G. Zito e Amministratore dello Studio mons. Filippo Cutuli. Conseguentemente e sempre su proposta del Consiglio, il Preside provvedeva a nominare Segretario la sig.ra P. F. Ingrassia e Bibliotecario il prof. G. Zito.


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Notiziario dello Studio S. Paolo

Cosicché, dal 25 gennaio 1993, festa della Conversione di S. Paolo, patrono dello Studio, tutti gli organismi e gli uffici previsti dallo Statuto sono stati attivati e, ufficialmente, si è dato inizio alla fase di definitivo assestamento del S. Paolo, chiudendo con un semestre di anticipo il periodo di transizione concesso dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica.

2. La rivista Synaxis L'assestamento dello Studio Teologico comporta che il S. Paolo abbia una sua pubblicazione periodica. Considerato che Synaxis di fatto è sempre stata vicina al S. Paolo e, dopo l'aggregazione, ha riservato una sezione a ten1atiche etiche, co1npiute le opportune consultazioni si è deciso di assumerla ufficialmente come pubblicazione periodica dello Studio Teologico. Il Comitato Scientifico del periodico è costituito dai Professori Stabili, mentre il Comitato di Redazione dai Professori Stabili e

Incaricati.

3. Convegni e incontri di studio Il 13 e 14 maggio 1993, in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia della Università degli Studi di Catania e con l'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo, lo Studio Teologico, come ormai consueto nella sua tradizione dal 1983, ha celebrato l'annuale convegno di studi. Il tema di quest'anno verteva su: Chiesa e vangelo nella cultura siciliana. Il convegno, che si è tenuto presso l'Aula Magna della Facoltà di Lettere, si prefiggeva il compito di cogliere nella cultura siciliana rappresentata dalle recenti produzioni letterarie di autori siciliani o da opere nelle quali predomina il riferimento alla gente di Sicilia - le forme di una presenza evangelica altra da quella che si afferma dentro lo spazio e il linguaggio ecclesiale. Dalle relazioni è emerso come la storia e la letteratura non sono un "luogo" alieno dalla teologia, la


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quale ha il compito di una inculturazione della fede non m tono apologetico ma in stile dialogico che esige l'ascolto. I temi trattati dai relatori: G. RUGGIERI dello Studio Teologico S. Paolo: Evangelo extra ecclesia1n?;

P.M. S!PALA, dell'Università di Catania: Le rappresentazioni del nzondo ecclesiastico nel verisnzo siciliano; G. SPADARO, dottoressa in Lettere: «Rivali»: un ro111anzo sociale di Mario Sturw; G. CR!STALDI, dell'Università Cattolica di Milano: I paradossi della fede in una novella pirandelliana; R.M. MONASTRA, dell'Università di Catania: Gesualdo Bufalino ovvero la ricerca di un 11sovrau111ano alfabeto"; M. PENNISI, dello Studio Teologico S. Paolo: Cristo e la Chiesa in alcun.e lettere pastorali di vescovi siciliani ,fra Ottocento e Novecento; R. FRATTALLONE, dello Studio Teologico S. Paolo: Vescovi sicihani e religiosità }JOJJO/are; F. GIOVIALE, dell'Università di Catania: Pravocazinni evangeliche in A. Fiore; A. MINISSALE, dello Studio Teologico S. Paolo: Sacerdozio, corte e popolo nel libro di Geremia. Gli atti del convegno saranno pubblicati nel 1994. Il S novembre 1993, nell'Aula Magna dello Studio Teologico, il prof. SALVATORE BASILIO RAND AZZO, della Facoltà Teologica di Sicilia, ha tenuto la prolusione per l'inaugurazione del nuovo Anno Accademico sul ten1a: La «.fuitina». As1Jetti psico-antroJJologici rlell'incu!tura siciliana.

Nei giorni 25-27 novembre 1993 si è tenuto il II convegno lnternazionale pron1osso dall'Arcidiocesi di Catania e patrocinato dallo Studio Teologico S. Paolo, oltre che dalle Università di Catania, Messina e Palermo e dall'ISSR S. Luca, sul tema: Catania medievale e la sua Chiesa.


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Al convegno hanno trattato i seguenti temi relatori di chiara fama internazionale e studiosi locali: P. TOUIJERT, del Collège de France, Parigi: I poteri comitali dei vescovi 11rùna e tlo110 la r~fortna gregor;ana; A. PARAVICINI BAGL!ANI, dell'Università di Losanna: l vescovi del Duecento e il papato; L. SORRENTI, dell'Università di Messina: La giustizia del vescovo tli Catania; G. PACE, dell'Università di Messina: Giuristi e apparati di Curia tra '400 e '500; B. SAJTTA, dell'Università di Catania: La Chiesa catanese tra i

Martini e Alfonso il Magnanimo; M. BELLOMO, dell'Università di Catania: Modelli europei clell'Università e l'Università di Catania,'

G. NICOLOSI GRASSI, dell'Università di Catania: Il "Liber

privilegiorum" del Capitolo e lo "Studium" di Catania; E. BoAGA, Preside dell'Istituto Storico Carmelitano, Roma: J>resenza di religiosi siciliani nelle Università 1neclievali;

F. MARTINO, dell'Università di Messina: Contributo alla conoscenza della cultura giuriclica dei vescovi siciliani; A. GARCIA Y GARCfA, della Pontificia Università di Salamanca: Ebrei e n1aon1ettani nell'ordincunento giuridico canonico niedievale; V. SCIUTI RUSSI, dell'Università di Catania: Eresia e

trasgressione nella Sicilia di Filippo Il; F. MIGLIORINO, dell'Università di Catania: «Quista esti la co1~fessioni»: religione e società in Sicilia;

A. VAUCHEZ, dell'Università di Parigi X - Nanterre: Culto dei santi e devozione 11opolare in Italia e in Sicil;a nel 1ne(fioevo;

A. LONGH!TANO, dello Studio Teologico S. Paolo: Oligarchie farniliari etl ecclesiastiche nella controversia jJarrocchiale tli Catania

(secc. XV-XVI); G. MELVILLE, dell'Università di Miinster: «Diversa

sunt

111onasteria et diversas habent inst;tutiones». Le 1nolteplici fOr111e

organizzarive della vita religiosa nel tardo medioevo (secc. Xli-XIV).


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Si pensa di poter pubblicare entro il I 994 gli atti del convegno, di cui è facile evincere il significativo apporto scientifico nel panorama culturale degli studi sulla Sicilia medievale. I dieci anni di vita di Synaxis (1983-1992) sono stati celebrati il 15 dicembre 1993. Il prof. Mario Rosa, della Scuola Superiore ''Normale" di Pisa, che ha accolto rinvito a tenere la com1ne1norazione, ha rilevato come la nascita di Synaxis si colloca sulla scia di una feconda produzione di riviste scientifiche verificatasi in particolare dopo il Vaticano II, e si è affermata grazie ai suoi qualificati apporti interdisciplinari. AI prof. Rosa hanno fatto eco, con accentuazioni diverse, gli interventi dei proff. A. Coca, S. Consoli, G. GimTizzo, A. Longhitano.

4. Pubblicazione Sono stati pubblicati gli atti del1'8° convegno che Io Studio Teologico ha celebrato insieme all'Università degli Studi di Catania e all'Istituto per la Documentazione e la Ricerca S. Paolo sul rapporto tra etica e questioni sollevate dall'ecologia: La terra e l'uomo: l'ambiente e le scelte della ragione (Quaderni di Synaxis 9), Galatea Editrice, Acireale 1992, pp. I 90.

5. Master in Teologia della vita consacrata

A seguito della aggregazione alla Facoltà Teologica di Sicilia, lo Studio Teologico S. Paolo si sente maggiormente impegnato nel servizio alle diverse realtà delle nostre Chiese. E un'attenzione privilegiata non poteva non porsi verso le Famiglie Religiose e gli Istituti Secolari. A tal fine, con l'Anno Accademico 1993-94 il S. Paolo, dopo aver consultato i vescovi dello Studio e l'USMI, ha dato vita ad un corso della durata di due anni con materie biennali ed annuali, e con lezioni un pomeriggio la settimana. Alla fine del corso è possibile conseguire il titolo di Master in Teologia della vita consacrata.


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6. Lectio communis e Disputatio Per una maggiore qualificazione del livello scientifico dello Studio Teologico, a partire da questo Anno Accademico 1993-94 si è deciso di tenere una lectio conununis per se1nestre e per anno di corso e di realizzare una annuale disputa/io per tutte le componenti dello Studio. Per il I se111estre si è già tenuta la prima lectio co1111nunis per ogni corso sui seguenti temi: I Propedeutico, Scienze umane e teologia; II Propedeutico, Questioni sulla verità; Triennio teologico, 1

La singolarità di Cristo.

La Disputa/io si terrà il 17 marzo 1994 sul tema: L'universalità del cristianesimo di fronte alle religioni. Sono previsti due momenti: l'approfondimento personale e in gruppi di studio, e un confronto globale sul tema introdotto dal prof. J. DUPUIS della Pontificia Università Gregoriana.

7. Licenziati in Teologia Morale nell'Anno Accademico 1992-93 R. AGUILAR V ALLEJOS, El concepto de cultura en la Gaudium et S'pes. Vision antico teologica

(relatore prof. A. Minissalc) C. G!ARDINELLA, La v1swne teologica della corporeità in Ton1111aso ll'Aquino. Analisi di alcune categorie fo11cla111e11tali (relatore prof. M. Aliotta) D. PISANA, L'etica della.famiglia siciliana tra passato e presente. Linean1enti tli cultura, ,fede e spiritualità

(relatore prof. M. Cascane) C. VASCIAVEO, Comme le levain dans la pàte. Une vie contern11lative vecue au 111elieu du 1nonde: JJetite soeur Magtlaleine cle Jesus

(relatore prof. G. A. Neglia)


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8. Baccellieri in Teologia nell'Anno Accademico 1992-93 S. ALÌ, La cura collegiale delle anime: esperienze storiche e norrnativa giu1'iclica (relatore prof. A. Longhitano) B. BADIAMBILE, Per u11'incu/turazio11e dell'etica cristiana

nell'Africa nera. Una eseniplificazione: l'assistenza ai 1norenti

(relatore prof. S. Consoli) V. BONANNO, Dall'ascolto alla fede: l'itinerario di fede dal R.I.C.A.

(relatore prof. G. Federico) M. DI NATALE, La messa della Madonna delle Lacrime. Analisi

/eolo gico-liturg ica (relatore prof. G. Federico) G. DI STEFANO, La liturgia sorgente di etica cristiana. Lettura di alcuni testi esemplificativi dei Messale (relatore prof. S. Consoli) M. C. FRENI, l diritti parrocchiali della Collegiata di Paternò nella difesa di A. Russo (1868) (relatore prof. A. Longhitano) I. GIANQUINTERI, Carità e politica. Riflessioni sul magistero post-conciliare della CE/ (relatore prof. S. Consoli) N. LONGHITANO, Il soggetto degli lnf'ermi. Una chiarificazione per la prassi

(relatore prof. S. Consoli) G. MAMMINO, La formazione degli alunni del seminario di Acireale durante l'episcopato Genuardi (1872-1907) (relatore prof. G. Zito) S. MILLESOLI, La messa per l'Unzione degli Infermi: analisi dei testi e contenuto dottrinale dell'eucologia (relatore prof. G. Federico) E. NICOLOSI, La preghiera in Teresa d'Avila. Sguardo sommario al "Canunino di pe1fezione" (relatore prof. S. Consoli) A. PENNISI, Fede, speranza e carità in S. Giovanni della Croce (relatore prof. A. Reina)


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N. PETRALIA, Il servo sofferente (Js 53) e Auschwitz: possibili analogie (relatore prof. A. Minissale) S. PUGLISI, La fecondazione artificiale. Panoramica delle principali problematiche implicate (relatore prof. S. Consoli) C. R. RONSISVALLE, Pena di morte e coscienza cristiana (relatore S. Consoli) A. RONSISV ALLE, La sofferenza dell'uomo e la giustizia di Dio in Giobbe (relatore prof. A. Minissale) A. R. Russo, L'uso del Salmo 2 nell'Apocalisse di Giovanni (relatore prof. A. Gangemi) S. SALAMONE, Il neo-sintetismo di Mario Sturza: conoscenza filosofica e sapienza cristiana (relatore prof. S. Latora) G. SPEDALIERI, I giovani e il sacramento della riconciliazione. A.1petti morali e pedagogici (relatore prof. S. Consoli)

9. Premio Mons. Rocco Rapisarda Per mantenere viva la memoria dell'insegnamento di mons. Rocco Rapisarda, per diversi anni professore di Storia della Chiesa e di Storia delle Religioni, con una parte della somma dallo stesso devoluta in favore dello Studio Teologico S. Paolo, è stato istituito un «Premio mons. Rocco Rapisarda» per la migliore tesi di Baccalaureato e di Licenza in Teologia Morale tra quelle che annualmente verranno presentate. Il premio è di f. 1.000.000 e verrà equamente diviso tra le due migliori tesi. Per quest'anno il premio è stato assegnato a: Corrado Giardinella per la tesi di Licenza in Teologia Morale, e a Carmela Rita Ronsisvalle per la tesi di Baccalaureato in S. Teologia.


INDICE

SYNAXIS Nuova Serie LA SPERIMENTAZIONE SULL'EMBRIONE UMANO: CONSIDERAZIONI ETICO-GIURIDICHE (Maria Luisa Di Pietro) Introduzione I. La sperimentazione sull'c1nbrione un1ano 2. Il problc1na etico . 3. La sperin1cntazionc sull'embrione u1nano nelle Raccon1andazioni del Consiglio d'Europa e nelle Risoluzioni del Parlaincnto Europeo 4. La sperin1entazione sull'en1brionc uinano nel diritto condito

5

7 9

12 27 30

L'ETICA DELLA FAMIGLIA SICILIANA TRA PASSATO E PRESENTE. Linearnenti di cultura, fede e spiritual i Là (Do111enico Pisana)

Introduzione l. Vita spirituale e preghiera 2. Fede, religiosità e superstizioni

3. Vizi e virtù 4. La vita teologale 5. Conclusioni

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38 45 54 62 67

L'ETICA DELL'ECONOMIA IN LUIGI STURZO (Alfio Spampinato)

1ntroduzione

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I. L'econo1nia secondo Sturzo

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2. L'eticità delle leggi econon1iche 3. La proprietà e il lavoro 4. Il sindacato Conclusione

LA SVOLTA RELIGIOSA DELL'ULTIMO FICHTE (Enrico Piscione) Introduzione I. La perdita del senso: il dubbio 2. Il contrasto fra intelletto e cuore; il sapere 3. L'esigenza del cuore u1nano: la fede 4. La fede e l'utopisn10 politico. 5. L'apparato categoriale della "Dottrina della scienza" del 180 I 6. Sapere assoluto e assoluto 7. Sapere assoluto e libertà 8. li 111ondo coine "puro nulla" . 9. La Missione dell'uorno e la Dottrina della scienza del 1801; opposizioni e convergenze

VERSO UN'ONTOLOGIA DELLA COMPRENSIONE Martin Heidegger (Francesco \lenrorino) Pren1essa 1. f nterpretazionc e co1nprensionc 2. Sull'essenza della verità 3. I fondan1enti dc! discorso heidcggeriano Conclusione

GLI ORDINI RELIGIOSI A CATANIA NEL '400 (Adolfo Longhitono) I. Introduzione 2. La presenza dei religiosi a Catania nel '400 3. La rifonna degli ordini religiosi: le congregazioni dell'osservanza degli ordini 1nendicanli e le congregazioni di rifonna degli ordini 1nonaslici 4. Bernardo Scain1nacca, 1noclello cli religioso osservante 5. Conclusione

RELIGIONE, STORIA E ROMANZO SOCIALE. Contributo alla critica dcl capilalis1no nell'O!tocento (Antonio Coco)

86 96 104 108

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IL PROBLEMA EDUCATIVO E SCOLASTICO NEI FRATELLI STURZO (Salvatore Lntora) 1. Mario Sturzo: !'educazione dcl clero e la funzione dcl sc1ninario 2. Luigi Sturzo: pensieri sull'educazione e su!!a scuola (dal J 890 al 1907) A~~IT

NOTIZIARIO DELLO STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO.

249

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