Pontedera e pontederesi

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Caro Fabrizio, oggi ti regalo la nostra cittĂ domani spero che mi regalerai un sorriso Michele

A mia moglie Che mi ha sopportato e che mi sopporta Che spesso ho trascurato per le mie passioni Il computer e la fotografia Grazie Marisa Renato


Tagete Edizioni Pontedera mtagete@email.it

Michele Quirici Renato Camilli

Tagete è Michele Quirici e Valentina Filidei Cura Editoriale Tagete Edizioni Realizzazione grafica e stampa Bandecchi & Vivaldi Ricerca iconografica Renato Camilli www.storiapontedera.it

PONTEDERA E PONTADERESI dalle collezioni di Moreno Bertini e Sergio Vivaldi

Testi dove non indicato Michele Quirici Le immagini pubblicate in questo volume provengono dagli archivi privati di: Moreno Bertini, Sergio Vivaldi, Renato Camilli, Antonio Teleschi, Gino Pantani, Maria Nencioni, Marcello Melai, Alfeo Doveri e Sauro Lami Foto sguardia finale Il battello fluviale Andrea da Pontedera tra i due ponti Alla Navetta. Il primo, sulla sinistra, è quello costruito nel dopoguerra in sostituzione di quello distrutto dagli eventi bellici, il secondo quello inaugurato il 2 novembre 2009. Foto Piero Frassi Avvertenza Non è stato possibile risalire a tutte le fonti di archivio che hanno concesso i propri materiali e ci scusiamo per le eventuali mancanze. La data che precede ogni didascalia, dove rintracciata, è la data di spedizione postale della cartolina. Abbiamo indicato anche gli editori delle immagini, dove non compaiono o non sono indicati o non sono stati individuati. Abbreviazioni Archivio Sergio Vivaldi - Pontedera (A.S.V.) Archivio Moreno Bertini - Capannoli (A.M.B.)

con i testi di Enrico Agonigi Martina Baldelli Stefano Bertelli Giuliano Boldrini Roberto Boldrini Luigi Bruni Roberto Cerri Nello Chetoni Fausto Condello Silvio Ficini Valentina Filidei Luigi Giani Riccardo Gonnelli Paolo Gori Athe Gracci Eugenio Leone Mario Lupi Marco Mannucci Mario Mannucci Mario Marianelli Adriano Marsili Laura Martini Gabriele Meini Nicola Micieli Riccardo Minuti Cecilia Robustelli Alessandro Spinelli Michela Vivaldi


PONTEDERA E PONTADERESI L’inizio di una storia

PONTEDERA E PONTADERESI

Correva l’anno 1976 quando mio padre arrivò a casa con un libro dal titolo evocativo: Aspetti di Pontedera dagli inizi del ’900. In copertina una bellissima immagine in bianco e nero dove si vedeva Piazza Cavour e il Corso Matteot­ ti con tante persone. Il personaggio al quale, con cuore di bimbo, mi affezionai era quello che portava una scala. Più guardavo quella fotografia più inventavo storie sempre più fantasiose scegliendo ogni volta un personaggio diverso. Molti anni dopo scoprii che quella foto era di Gino Dani, lo zio di mio padre, e che insieme a quell’immagine, per me “magica”, ne aveva realizzate altre decine. Oggi molte di esse le ritroverete qui insieme a quelle di altri intrepidi fotografi che hanno immortalato, come si diceva un tempo, le strade, le piazze, i momenti di vita quotidiana, le “occasioni” e i pontaderesi. Alcuni, accortisi dell’obbiettivo, assumevano pose o si fermavano assorti, nessuno sorrideva. La foto era un momento importante e i nostri avi lo consideravano talmente unico da conservare un’aria composta. Sfogliando quel libro cominciai a tempestare di domande il mio paziente genitore che mi fece scoprire un’altra città. Con le sue parole le strade si animavano, sentivo il rumore dei carri e gli odori di un giorno di mercato. Tutte le volte che una mia curiosità non era appagata cresceva la voglia di scoprire qualcosa e di essere io a stupire “il mi’ babbo”. Così in quei giorni nasceva la passione per la mia città, per la memoria e per la ricerca storica. Quando Renato Camilli mi raccontò della sua voglia di valorizzare tutto il prezioso materiale che aveva raccolto e che aveva cominciato a mettere a disposizione di tutti sul suo sito storiapontedera.it mi venne subito in mente questo progetto: Pontedera e i Pontaderesi. In due parole raccontare la città con le immagini di Renato e di due splendidi amici: Moreno Bertini e Sergio Vivaldi. Ad accompagnare le cartoline storiche altri amici che negli anni hanno scritto a vario titolo su Pontedera. Un libro corale che parla non solo di un luogo ma di un insieme di luoghi che hanno fatto parte di una “strada” percorsa insieme. Alcuni di essi ci hanno lasciato ma le loro parole sono ancora con noi. Li abbraccio tutti e li ringrazio per avermi detto ancora: sì! Spero che un bimbo sfogli questo libro e che cominci a fare domande. Prima ai genitori, poi agli anziani poi un giorno ai libri e alle carte d’archivio. Corre l’anno 2013… Michele Quirici

Te che i natali desti a tipi ameni che denno lustro a questa nostra terra ar riordare mio risovvieni sin dai lontani tempi d’anteguerra. ’Nduve trovavi, a gorgheggià di fine un tenore ’osi’ bravo ’ome Meline? Dov’eran tipi come la Ciucchina nella su’ povertà schietto e sincero che fischiava all’uccelli la mattina e di sera dormiva ar cimitero? Dove sono iti i tipi alla Frangino che come inizio, proprio di mattina prendeva er beveraggio, o birra o vino, e risciacquava e panni ’ndell’orina? Ora purtroppo son rimasti in poi e si ’ontano guasi ’sulle dita! Te lo riordi er grande re dei coi che drento alla minestra saporita ner rumia’ cor mestolo di sotto porto’ alla superficie un carzerotto? Enno riordi d’un età passata che di siuro ’un tornera’ mai piu’ perché purtroppo c’era appiccicata una ’ompagna a nome gioventù1. Bruno Pasquinucci Bruno Pasquinucci, I ciottoli di Bistino, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 1986

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La ricerca Tutto iniziò nel 1992 quando mi capitarono tra le mani alcune foto storiche di Pontedera. Erano tante e con quelle iniziai a costruire un sito locale appassionandomi molto alla storia e alla fotografia. Frequentando poi mercatini d’antiquariato cominciai ad avere un discreto quantitativo di materiale che piano piano inserivo nel sito. Naturalmente più inserivo materiale più il sito era visitato e a poco a poco molte persone iniziarono a portarmi altre cartoline e foto. Grazie ai contributi di Antonio Teleschi, di Marcello Melai, di Maria Nencioni e di Alfeo Doveri che ha arricchito la raccolta con foto inedite sull’alluvione, di Sergio Vivaldi che ha collaborato molto alla ricerca mettendo a disposizione la sua importante collezione e grazie all’assistenza tecnica di Luca Landucci, oggi la raccolta e la ricerca di foto e immagini storiche è diventato un lavoro a tempo pieno perché molte persone, anche lontane, mi mandano materiali e spesso non riesco ad inserire tutto. Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato a realizzare il sito www.storiapontedera.it e che tuttora mi aiutano e mi scuso se mi sono dimenticato di qualcuno. Renato Camilli 4

19 ottobre 1929 Ed. Gino Dani - Pontedera

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Pontaderesi o pontederesi?

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9 ottobre 1915, Piazzale della Stazione. In evidenza l’ingresso del Ristorante La Rotonda

1967, Stazione

e prime attestazioni del nome di quello che era al tempo poco più di un minuscolo centro abitato in prossimità del ponte sull’Era sono in lingua latina - Pontis Herae, Pontem Herae - e compaiono in documenti datati fra il 1100 e il 1200. Ma nella lingua parlata quotidiana si sarà probabilmente usata una forma volgare, riconoscibile per la mancanza delle desinenze latine e per la presenza della preposizione ad, con ogni probabilità vicina alla forma Pontadera che nei testi scritti di epoca immediatamente successiva compare anche nelle varianti Pont’ad Era e Ponte ad Era. Quest’ultima è attestata in una epigrafe datata 1348 e oggi collocata nella facciata interna del Santuario del S.S. Crocifisso. Nei documenti scritti locali, per tutto il Medioevo e fino all’età moderna, domina la forma Pontadera. Il tipo Pontedera è più tardo, forse di origine non locale e dovuto all’etimologia popolare: il riconoscimento del termine “ponte” nella forma Pontadera e l’azione di due fattori fonetici (l’indebolimento della vocale interna atona –a– e probabilmente anche il richiamo analogico della vocale seguente –e–) hanno portato alla rilettura del toponimo. L’oscuro – per i non locali che non conoscevano la geografia del luogo! – nome di Pontadera, in cui qualcuno ha voluto addirittura riconoscere l’esito di una forma “punta d’Era” (peraltro non attestata in nessuna fonte scritta!) è diventato quindi Pontedera, più trasparente sul piano semantico rispetto a Pontadera. Cominciano ad essere attestate fin da epoca napoleonica entrambe le forme: così alla fine del Settecento nella famosa inchiesta di Pietro Leopoldo sulle condizioni economiche del granducato di Toscana compare il nome Pontadera, ma in entrambe le relazioni ministeriali compilate dal Vicario della città Luigi Comparini si fa riferimento a Pontedera. Questa guerra dei toponimi continuerà con alterne vittorie fino al Novecento quando, anche sotto la spinta della diffusione dell’italiano parlato, si afferma decisamente fuori dai confini della città, e timidamente al suo interno, la forma più trasparente Pontedera. Che il Regio Decreto del 30 maggio 1931 scelga la forma Pontedera per nominarla “città” non basta però a convincere della sua bontà coloro che la abitano da generazioni e che continuano pervicacemente a chiamarla Pontadera, sorridendo con ostentato disprezzo ai forestieri che lo interpretano, ingenuamente, come un errore. E, come se non bastasse, rivendicano orgogliosamente le loro origini anche attraverso una vecchia canzone popolare appena ritoccata a questo fine: “Pontaderesi, noi siamo, noi siamo! Pontaderesi la nostra virtù”. Cecilia Robustelli

È

con grande soddisfazione che mi accingo a scrivere una breve introduzione a questo importante libro. Un libro che non è una semplice raccolta di cartoline ma, attingendo da due importanti collezioni, quella di Moreno Bertini, presidente del Gruppo collezionisti della Valdera e quella di Sergio Vivaldi, tipografo storico della nostra città, vuole raccontare in maniera originale la storia di Pontedera e dei pontaderesi. Il lavoro di ricerca di altre immagini di Renato Camilli ha fatto il resto. La peculiarità del volume è quella di aver pubblicato oltre a centinaia di cartoline, la maggior parte inedite, molti testi di decine di autori che negli anni hanno scritto di e per Pontedera. Un viaggio geografico tra le vie e le piazze e un viaggio storico nel passato della nostra città. Un passato di cui abbiamo preso coscienza da pochi decenni proprio grazie a coloro che per passione si sono dedicati alla sua storia. Pontedera è da sempre stata conosciuta come città di commerci, città industriosa e operosa ma non dobbiamo affatto tralasciare il suo passato di importante castello medievale di pianura, conteso per secoli tra Pisa e Firenze; come non dobbiamo dimenticare le meravigliose industrie ottocentesche per le quali Pontedera ha meritato l’appellativo di “città delle ciminiere”. Il passaggio del tram, la costruzione della stazione “vecchia” e “nuova”, testimonianza di un fervore commerciale e di scambi che in provincia non ha eguali; il nostro Andrea che il Vasari ha considerato “…il maggior uomo che avessino avuto insino ai tempi sui i Toscani,…” perché le sue opere preludono all’arte della rinascita, la cui statua ha svettato prima su Piazza Martiri della Libertà e oggi su piazza Andrea già Piazza Belfiore; il ponte, al quale la città deve il nome, rifatto dai francesi e poi atrocemente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale; “la piazza che non c’è più”, piazza san Martino; le nostre chiese da quella più antica il Crocifisso a quelle più recenti: una carrellata straordinaria da gustare pagina per pagina, rigo per rigo scoprendo che molti personaggi illustri non solo sono passati da Pontedera, ma su di lei hanno scritto. Devo dire quindi grazie a tutti coloro che da anni si dedicano alla nostra città, la raccontano con dedizione e amore e che in questo libro si sono riuniti tutti insieme, guidati da Michele Quirici, editore e storico, e Valentina Filidei per regalare a tutti i cittadini pontaderesi e non solo un meraviglioso spaccato di storia. Non mi resta che augurarvi buona lettura e, come Diogene viaggiava di giorno con una lanterna alla ricerca dell’uomo, armiamoci della lanterna della passione e andiamo alla ricerca delle nostre origini perché solo così potremo programmare meglio il nostro futuro e quello dei nostri figli.

1 giugno 1903, Nuova Stazione Ferroviaria. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa (A.M.B.)

1913, Ponte in ferro e Fiume Era. Ed. Gino Dani Pontedera (A.M.B.). Si vede sulla sinistra la Torre dello Stabilimento Morini

Simone Millozzi Sindaco di Pontedera

Il teatro che non c’è

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1906, Saluti a Grande Velocità da Pontedera

1906, Saluti a grande velocità da Pontedera. Ed. Gino Dani - Pontedera

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ontedera ha una grande e antica tradizione teatrale il cui simbolo è un teatro che c’era ma non c’è più. Al suo posto oggi rimane solo il nome di una via che arriva in una piccola piazza, che piazza non è, ma parcheggio. È qui, in questo spazio vuoto tra le case, che un tempo sorgeva il teatro “Andrea Pisano” poi “Andrea da Pontedera”, originariamente “dei Risorti”, costruito nel 1795 per volere dell’accademia dei Risorti o Ravvivati. L’edificio, che poteva accogliere più di ottocento persone, fu ampliato e modificato con il passare del tempo, oltre che adeguato alle nuove tecnologie, tanto che nel 1889 era il solo teatro in tutta la provincia ad essere illuminato da luce elettrica. Al suo sviluppo lavorarono grandi architetti, come Luigi Bellincioni, che seguì i lavori di ristrutturazione del 1885. Il teatro, per la Pontedera del XIX secolo, cittadina dedita al commercio, al mercato, fiera della nascente industria, era un luogo dove dare sfoggio della propria popolarità e ricchezza, un luogo dove andare a ballare nelle sere del carnevale e applaudire compagnie provenienti da tutta Italia. Sui giornali erano frequenti appunti sulle serate mondane che chiudevano solo a tarda notte. Il teatro fu anche luogo per conferenze, concerti e manifestazioni civili dedicate alla cittadinanza, che non mancava mai di affollare la grande sala o le salette adiacenti, dedicate alle associazioni e alla convivialità. La magia del teatro, diventato nel frattempo anche cinema, fu spezzata solo dai duri bombardamenti della seconda guerra mondiale, che danneggiarono seriamente la struttura. Lo spazio del teatro, tra le mura che un tempo avevano ospitato grandi attori, maghi e feste sfarzose, fu adibito a cinema all’aperto, fino a quando anche questa attività chiuse lasciando solo il nome alla piazza come unica memoria di una Pontedera che non c’è più, ma che rimane nella tradizione teatrale ancora viva in città. Del teatro non si conoscono cartoline ma speriamo che qualche cassetto dimenticato ne custodisca almeno una. Laura Martini

1936, Piazza Andrea da Pontedera

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INDICE Pontedera e Pontaderesi L’inizio di una storia, Michele Quirici La ricerca, Renato Camilli

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La città - Adriano Marsili 00 Piazza Cavour 00 Corso Matteotti 00 Palazzo Bellincioni, Enrico Agonigi 00 Via Lotti e Via Verdi 00 Palazzo Pitschen, Enrico Agonigi 00 Piazza Curtatone, Via Castelli e Via Gotti 00 Palazzo Pretorio, Michela Vivaldi 00 Via Gotti 00 “Il Piazzone” Piazza Martiri della Libertà 00 Palazzo Morini, Enrico Agonigi 00 Piazza San Martino 00 Palazzo Balbiani, Enrico Agonigi 00 Piazza Garibaldi, Via del Risorgimento e la Scuola Curtatone 00 La scuola oltre il muro, Marco Mannucci 00 Palazzo Scolastico Curtatone, Enrico Agonigi 00 Via della Misericordia, Via Dante e Via Roma 00 Piazza Andrea da Pontedera, Via Belfiore, Via Saffi, Via I Maggio e Via Pisana 00 Pietro Küfferle, Mario Lupi 00 Palazzo Fabrizi e Piazzetta delle Erbe 00 I quartieri Oltrera, oltreponte, di là d’Era, dopo Era, borgo oltrera… Quanta musica stonata!!!- Riccardo Minuti 00 Via Vittorio Veneto, Piazza Trieste, Via Fiorentina 00 Il Villaggio, Via Tosco Romagnola, Villaggio Piaggio 00 La Bellaria, Viale IV Novembre, Viale della Vittoria 00 L’Aeroscalo - Paolo Gori

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La guerra - Alessandro Spinelli

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I fiumi e i ponti L’Arno dai navicellai al battello Andrea, Mario Mannucci Il Ponte alla Navetta Nuovo Ponte Eretto Sull’Arno presso Bocca d’Usciana dall’Architetto Ridolfo Castinelli, Carlo Martelli L’Era L’era, un destino antico, Mario Mannucci Il Ponte napoleonico Il Ponte che diventa città, Adriano Marsili L’alluvione L’alluvione che arrivò alle spalle, Mario Mannucci

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Le Chiese Il Duomo Insigne Propositura dei Santi Jacopo e Filippo, Stefano Bertelli La Chiesa vecchia Santuario del Santissimo Crocifisso, Stefano Bertelli Chiesa della Misericordia Storia e restauro, Luigi Giani Le altre chiese Chiesa dei Padri Cappuccini, Stefano Bertelli San Giuseppe Il Sacro Cuore

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Le fabbriche Dalle fabbriche tessili alla Piaggio, Roberto Cerri La Crastan, Laura Martini

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Il Mercato e la Fiera La città di scambi, Roberto Boldrini

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Le strade ferrate Il treno e il tram, Fausto Condello La Rotonda, Enrico Agonigi La piazza dei miei ricordi, Athe Gracci

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L’Ospedale Felice Lotti La storia, Silvio Ficini

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Le Associazioni La Pubblica Assistenza Claudio Ciabatti La Misericordia Aldo Silvi La Fratellanza Militare Cecilia Robustelli Volere e Potere, Eugenio Leone La Croce Rossa La Società Operaia

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Le frazioni Montecastello, Valentina Filidei Treggiaia, Riccardo Gonnelli La Rotta, Nicola Micieli Gello, Gabriele Meini

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Pontedera alla luna

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Per saperne di più Chi è? Citazioni da Giuliano Boldrini, Bruno Pasquinucci, Nello Chetoni

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LA CITTÀ

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ontedera, come la maggior parte delle città, nasce perché il territorio circostante ha delle caratteristiche favorevoli al suo sorgere e al suo sviluppo: la pianura, i fiumi e le comunicazioni viarie. Il luogo era già abitato nel periodo eneolitico con villaggi costruiti sulla barriera marina che, cinquemila anni fa, arrivava fino a Gello. Gli Etruschi hanno lasciato ampie testimonianze nella zona ed i Romani hanno effettuato una bonifica attraverso la Centuriazione e consentito l’insediamento umano. Sempre durante il periodo romano fu costruita la grande viabilità di collegamento tra gli attuali territori fiorentini ed il mare lungo l’asse del fiume Arno. I fiumi hanno rappresentato una condizione essenziale per la nascita e la vita di un insediamento urbano: da essi si può trarre tutte le funzionalità vitali come bere, lavarsi, pescare, irrigare le colture e su di essi si può viaggiare e trasportare merci senza la necessità di costruire infrastrutture impegnative. L’Arno è stato, fino a pochi secoli fa, il miglior mezzo di comunicazione sull’asse più antropizzato della Toscana e a completamento della via fluviale era necessario avere strade che consentissero la distribuzione via terra del legname, delle derrate agricole o dei materiali da costruzione. Questa importante viabilità, per superare i grandi ostacoli rappresentati dagli affluenti dell’Arno, necessitava di infrastrutture: come il ponte sul fiume Era che fa nascere questa città. Agli inizi fu un accampamento romano in difesa del ponte stesso e del confine naturale dell’Arno oltre il quale si erano stabiliti i Liguri, poi furono piccole comunità del periodo longobardo che si insediarono nelle vicinanze dell’Arno e nell’immediato entroterra dell’Era (Rapida e Travalda), infine fu una vera e propria terra murata fortificata e realizzata dalla Repubblica di Pisa. Pisa, nel XII secolo, aveva un territorio che arrivava proprio fino al fiume Era e questo avamposto rappresentava il fulcro logistico della difesa militare e commerciale dello Stato nei confronti dei fiorentini e dei lucchesi. Per questi motivi la realizzazione del “Ponte ad Era” o “Pont’ad Era” o “Pontadera” comportò lo studio dettagliato di un progetto nel quale furono utilizzate tutte le conoscenze della matematica, della geometria e dell’agrimensura di quel tempo. Fu pensato un sistema reticolare di quattro quadrati disposti per diagonale sull’asse principale est-ovest e tre su quello nord-sud in modo tale da formare, unendo i vertici, un grande rettangolo di circa 315 per 236 metri. Su questo perimetro furono realizzate le mura con dodici torri e quattro porte principali. All’interno la suddivisione in strade ed isolati seguì le linee tracciate dal reticolo di base tenendo conto della gerarchia di grandezza tra strade principali e secondarie. Nei pressi della porta verso Pisa, all’interno delle mura, fu posizionata la Rocca che poteva rendersi indipendente dall’abitato cittadino e che aveva un ruolo di auto-difesa anche in caso di conquista del castello. Oltre all’insediamento urbano, alle mura e alla Rocca era anche presente un porto fluviale di grande importanza commerciale e militare. Le linee parallele ed ortogonali tra loro e la distribuzione interna della città costruita dai Pisani sono ancora presenti e riconoscibili nel centro storico di Pontedera. Naturalmente, dal XII secolo ad oggi, le cose sono cambiate. La città si è sviluppata ed ha fagocitato il centro urbano primitivo. Le mura e la Rocca sono state distrutte, i fabbricati hanno cambiato la loro funzionalità ed immagine ma l’impianto originario rimane. Oggi Pontedera non è più città di confine a difesa del ponte ma un luogo vivo e produttivo che ha saputo cogliere le particolarità del suo territorio prima con l’agricoltura poi con l’industria ed infine col commercio. Adriano Marsili

Il Pontadera è una delle migliori Terre di Toscana, molto Mercantile, che prese il nome dal contiguo Ponte fabbricato sull’Era, fiume grosso e pericoloso. Molti altri luoghi della Toscana si denominano da qualche Ponte, perché i Ponti sono troppo necessari nelle strade, e non si possono fabbricare con piccola spesa, né dovunque si voglia, e per lo più uno serve a molte Comunità, ed a più strade che in esso fanno capo. Quindi è, che vicino ai Ponti, per comodo de’ Viandanti, vi suol’ essere d’ordinario l’Osteria, la Bottega del Maniscalco ec. e altre abitazioni, le quali se crescono di numero, ecco formato un Villaggio, che poi successivamente diviene Castello ec. Il Pontadera dev’essere principiato in tal guisa, e siccome il suo posto è vantaggiosissimo per la Popolazione, e per il Commercio; perché è sulla strada Pisana, accanto all’unico necessarissimo Ponte dell’Era, a portata della Strada delle Colline, di Volterra e della Valdinievole; appoco appoco dai circonvicini luoghi vi sono concorsi abitatori, ed è giunto presentemente all’ampiezza, e bellezza piuttosto di Città, che di Terra1. Giovanni Targioni Tozzetti Relazioni d’alcun viaggi fatti in diverse Parti della Toscana, per osservare le Produzioni Naturali, e gli Antichi Monumenti di essa dal Dottor Giovanni Targioni Tozzetti medico del Collegio di Firenze professor pubblico di Botanica Prefetto della Biblioteca Pub. Magliabechi e socio delle Società Botanica e Colomboria di Firenze e delle Accademie Imperiale de’ Curiosi della Natura ed Etrusca di Cortona, tomo primo, nella Stamperia Imperiale, Firenze 1751 p. 66

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Pontedera film 10 Ottobre 1929 Ed. Gino Dani - Pontedera

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PIAZZA CAVOUR

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rima del 1822, entrando nella Piazza da ovest, da Pisa, ci saremmo imbattuti nell’antica Rocca, unica sopravvissuta delle fortificazioni di Pontedera. Fortificazioni che avevano subito la definitiva distruzionenel 1554 ad opera del Marchese di Marignano che castigò il castello per aver ospitato il fuoriuscito fiorentino Piero Strozzi. La Rocca era una presenza “ingombrante” e i cittadini di Pontedera chiesero al Granduca il permesso di abbatterla per facilitare il transito dei carri1. Nel 1992 i lavori di pavimentazione al Corso Matteotti hanno individuato la posizione della torre di Porta Pisana che oggi possiamo identificare grazie a una serie di pietre bianche che ne indicano il perimetro. In epoca moderna fu chiamata Piazza dei Cavalieri poiché l’Ordine di Santo Stefano vi possedeva alcune case. Successivamente prese il nome di Piazza del Pesce fino al 1886. Poi finalmente Piazza Cavour. Negli anni ottanta del XIX secolo costituì il punto d’arrivo della linea tramviaria che arrivava da Pisa.

In occasione che per beneficenza, e grazia speciale di S.A.I. e R. Ferdinando terzo nostro amorosissimo padre e sovrano ampliata in Pontedera la principale strada assume il nome di Maria Ferdinanda nostra ben amata granduchessa ecc.: voti, e sentimenti del popolo pontaderese, presso Sebastiano Nistri, Pisa 1822

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Piazza Cavour, Ed. Oreste Scarlatti, Pisa (A.M.B.)

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1908. Piazza Cavour. Un passaggio di truppe. Ed. Pettinelli, Foto Ricci (A.M.B.)

“Comunità di Pontedera. Superficie 1075 – Popolazione 8032 (1840). Pontedera è grossa e bella terra, che nei trascorsi tempi fu castello di frontiera dei Pisani, più volte contrastato dai Lucchesi e dai Fiorentini; questi ultimi ne restarono padroni nel 1369. Il ponte che le dà nome demolito o caduto nel 1333, fu rialzato dal primo Cosimo: pochi anni fu ricostruito grandiosamente in marmo. La via principale, detta M. Ferdinanda, si estende tra esso e l’antica rocca, che fu già demolita nel 1822; varie iscrizioni antiche e moderne furono apposte ove essa esisteva. La contigua piazzetta dicesi dei Cavalieri, perché la religione di S. Stefano vi possedeva varie case. La via regia verso la metà dilatasi alquanto ove è il Pretorio, al quale resta in facci la Propositura. Questa chiesa ha contigue due cappelle interne per confraternite, una delle quali ricca di marmi ed ornata di affreschi. Un piccolo oratorio pubblico trovasi presso il Ponte. Disceso il medesimo presentasi da un lato una spianata detta il piazzone per fiere e mercati: da questa si passa per una lunga via ad una piazzetta destinata al pollame. A pochi passi di distanza, fuori dalla terra, è un convento di Capuccini edificato nel 1640. Pontedera ha un teatro a tre ordini di palchi: è residenza di un Regio Vicario con due Notari, di un Cancelliere, di un Ingegnere, di un Ministro Esattore, di due Medici, un Chirurgo e due Maestri; un Maesto a Monte Castelli”1. Attilio Zuccagni-Orlandini Attilio Zuccagni-Orlandini, Corografia Fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole corredata di un atlante di mappe geografiche e topografiche, e di altre tavole illustrative, volume nono, presso gli editori, Firenze 1841 pp. 770771

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1915, Piazza Cavour e Via Provinciale Pisana

26 ottobre 1910, Piazza Cavour e Via Vittorio Emanuele (A.S.V.)

1917, Palazzo Municipale

28 settembre 1914, Palazzo Municipale. Ed. Pettinelli e Leoncini, Foto Dante Giusti - Cascine di Buti (A.S.V.). Sull’angolo con Via XX Settembre si vede l’insegna dei Sali e Tabacchi, sigari e sigarette estere

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Piazza Cavour. Palazzo Municipale. Palazzo Stefanelli, il Comune presenta all’angolo con Via XX Settembre, un solo piano. Si vede l’insegna del negozio di Faustino Bracaloni, la sede della Posta e Telegrafi al piano terra del Municipio e il primo negozio sulla sinistra che nell’insegna presenta la seguente scritta: Caffè Vino e Liquori Partenza del Tram (A.M.B.) 1910, Piazza Cavour e Palazzo del Municipio 1918, Piazza Cavour e Via Provinciale Pisana. Si nota la scritta sul carro: Fabbrica Fiaschi Deposito Damigiane Pasquinucci parcheggiato davanti all’omonimo negozio

1918, Piazza Cavour e Palazzo del Municipio. Si noti la tenda del Caffè Il Giardinetto e il chiosco di giornali dei Gabbani

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Anni ’60, Piazza Cavour, Corso Matteotti. Ed. Tabaccheria Cerretini - Pontedera (A.S.V.)

Corso Vittorio Emanuele. Cart. Tip. Gino Dani Pontedera (A.M.B.)

Anni ’60, Piazza Cavour (A.S.V.) 1932, Piazza Cavour e Via Vittorio Emanuele. Il primo negozio a sinistra è quello dell’elettricista Dani

1954, Piazza Cavour. Ed. Vincenzo Pettinelli Pontedera (A.S.V.) 1936, Corso Vittorio Emanuele. Si notino le tende della Pasticceria Pitschen e del Caffè La Posta. Lo striscione posto in mezzo al Corso annuncia la fiera di beneficenza al Liceo Classico

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Anni ’80, Corso Matteotti angolo Via XX Settembre e Via Valtriani. Ed. Tabaccheria Cerretini - Pontedera (A.S.V.). Si vedono il negozio di scarpe Capannini e la Tabaccheria Cerretini

Corso Matteotti. Il Palazzo Municipale, il Bar La Posta e il Ristorante Sport con i tavolini

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CORSO MATTEOTTI

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l Corso non è una strada ma è il “palcoscenico” della città. Da sempre appena si entra da qualsiasi accesso il passo si fa più sicuro, l’aria più “baldanzosa” e si diventa timorosi e “rispettosi” del luogo. Nel 1584 abbiamo notizia che fu lastricata “segno dell’attenzione delle autorità centrali per questo paese, di cui si volle favorire lo sviluppo”1. Il nome della via principale di Pontedera fino al 1850 fu quello di Via Maestra o Via Maestra Ferdinanda o Via Maria Ferdinanda. Nel 1866 era Via Vittorio Emanuele alternata a Via Margherita2. Nell’immediato dopoguerra diventa Corso Giacomo Matteotti. La prima parte del Corso prima di giungere in Piazza Cavour era chiamata “La Porta” per la presenza della vecchia Porta Pisana. La prima strada che si incontra giungendo da questa parte è Via Palestro che prima del 1876 si chiamava Via dei Cavalieri. Dopo il Municipio sulla destra, Via Valtriani dedicata a Giuseppe Valtriani cittadino benemerito fino al 1841 era chiamata Canto Del Guerra e Via XX settembre sulla sinistra che prima del 1847 era la Viaccia. Proseguendo incontriamo Via Felice Lotti, il nume tutelare dell’Ospedale cittadino e Via Verdi. Dopo Piazza Curtatone sulla sinistra c’è Corso Principe Amedeo che prima era Via dei Cedri e fino al 1842 era Via o Canto delle Croci. Via Felice Cavallotti e Via Montanara sono “testimoni risorgimentali” come gran parte delle vie centrali. Sulla sinistra poi Via del Teatro a memoria dell’antico teatro Andrea da Pontedera. Si giunge infine sul “Piazzone”: Piazza Martiri della Libertà.

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Paolo Morelli A.IV. 8, Veduta del territorio tra Pontedera e La Rotta, 1606 in Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, Nistri-Lischi e Pacini Editori, Pisa 1980 p. 55 2 Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro, Storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1985 p. 109 1

7 novembre 1911, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Egisto Jacques - Cartoleria Tipografia L’Ancora Pontedera (A.M.B.)

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1906, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Pettinelli, Foto Ricci

Corso Vittorio Emanuele. Ed. Pettinelli (A.M.B.)

Il bar “La Posta� con i proprietari Centoni

1901, Piazza del tram. Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera. Foto Ricci 1908, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Pettinelli e C., Foto Arcolini (A.M.B.). Si vedono gli angoli di Via XX Settembre e Via Valtriani

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1926, Municipio e Corso Vittorio Emanuele. Ed. O. Gasperini - Pontedera (A.M.B.)

1930, Via Vittorio Emanuele

8 settembre 1929, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera (A.S.V.)

18 agosto 1930, Corso Vittorio Emanuele. Ed. O. Gasperini -Pontedera (A.S.V.)

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1934, Corso Vittorio. Si nota l’insegna della Oreficeria Orologeria Sestini

Piazza Comune. In primo piano il palazzo ricostruito dopo la guerra

1955, Corso Matteotti. Si vede il semaforo sull’incrocio tra Via I Maggio, Corso Matteotti, Via Roma e Via Saffi. All’angolo tra Via I Maggio e Via Saffi si nota il Caffè Ferretti

1935, Via Vittorio Emanuele

Sulla facciata del Palazzo Comunale nel 1885 viene inaugurata una lapide per rivendicare i natali di Andrea da Pontedera fino ad allora detto “pisano”. Si tratta del primo atto dei pontaderesi del lungo cammino che li porterà ad erigere il monumento al loro maggior cittadino sul “Piazzone” nel 1908. A Memoria che in Pontedera / Castello Fortissimo dei pisani / dal Notaro Ser Ugolino di Nino / Nacque verso il 1270 / Andrea nominato comunemente pisano / uno dei grandi restauratori dell’arte / con opere di scultura e di architettura / onde ha gloria l’Italia / i posteri suoi concittadini / posero questo marmo / il 19 luglio 1885 / festeggiando col ventesimo / anniversario / della Società Operaia / le industrie progredenti / col rinnovamento della nazione.

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Anni ’60, Corso Matteotti. Sulla sinistra il negozio Mode di Itala Bellincioni

4 Novembre 1937, Via Vittorio Emanuele - Palazzo del Comune (A.M.B.). Si nota la Pasticceria Pitschen, il Ristorante Sport, il negozio di cordami Marconcini fu Dario e il chiosco dei giornali Gabbani. Tra le due tende dei negozi la lapide di Andrea da Pontedera posta nel 1885. Nell’occasione parlò Agenore Gelli: Di Pontedera è un fatto accertato, era ser Ugolino di Nino padre e avo di celebri artisti e non c’è ragione per negare che fra le mura turrite di questo che era il più forte castello d’Italia che fosse in piano, soggetto alla giurisdizione dei pisani, aprisse gli occhi alla luce e figliuolo del notaro, che per secoli fu chiamato Andrea Pisano, e che oggi gli storici dell’arte cominciano a rammentare col nome di Andrea da Pontedera (Per lo scoprimento della lapide commemorativa di Andrea Pisano in Pontedera il 19 luglio 1885 / parole di Agenore Gelli, coi tipi di M. Cellini e C. alla Galileiana, Firenze 1885)

16 giugno 1956, Corso Matteotti. Ed. Cartoleria Ferretti - Pontedera (A.S.V.). Si nota la Cartoleria di Arturo Dani, fratello di Gino e il palazzo distrutto dalla guerra tra Via Palestro e Via Roma

Corso Giacomo Matteotti. Ed. “Venus” Cart. Prof. - Pontedera (A.M.B.). Si vede l’angolo di Via Lotti

1961, Corso Matteotti

Il 21 gennaio 1954 fu apposta sopra il Palazzo comunale una lapide in ricordo dei tremendi bombardamenti gennaio 1944: Il popolo di Pontedera / volle qui ricordare / nel 10° anniversario / le distruzioni e le stragi / di guerra / del gennaio 1944 / le serene gioie della casa / offese e negate / il paziente lavoro umano in / brevi istanti disperso / il sangue incolpevole / ciecamente versato / siano oltre il compianto / ed il ricordo / ammonimento e proposito / di una fede operosa / nella fratellanza umana / invocata presidio di pace fra / tutte le genti / 21 gennaio 1954

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21 Aprile 1938, il Comune di Pontedera realizza un album curato dal fotografo Sabella contenenti i restauri al Palazzo Comunale e le nuove sistemazioni del Monumento ai Caduti (Parco della Rimembranza), del Monumento ad Andrea da Pontedera, di Piazza Curtatone e di Piazza dell’Impero (Piazza Martiri della Libertà). L’album appartiene all’Archivio Privato di Sergio Vivaldi - Pontedera. In alto a sinistra l’atrio inferiore e sotto la facciata posteriore dei nuovi uffici sul giardino. In alto a destra la facciata posteriore e un particolare dello scalone. Nella pagina successiva le due rampe laterali dello scalone e l’atrio superiore e il salone principale d’ingresso

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Palazzo Stefanelli e le opere pubbliche Palazzo Stefanelli sede del Comune di Pontedera, venne restaurato nel 1938, realizzando delle trasformazioni radicali al proprio interno; ma lasciando inalterati i prospetti ottocenteschi prospicienti il Corso cittadino e via XX settembre. Il restauro ha interessato principalmente le parti comuni del palazzo attribuendo un rigoroso razionalismo dai tratti austeri, che con le sue forme essenziali definisce l’atrio d’ingresso con lo scalone a doppia rampa e il cortile interno dalle geometrie regolari, entrambi sovrastati dalle grandi vetrate riportanti il fascio littorio. I tratti ottocenteschi rimanevano visibili nella stanza del podestà, oggi sala del consiglio, dove due colonne ioniche sorreggevano un camminamento che chiudeva le linee classiche delle trabeazioni corinzie. Sempre nel ’38 venivano inaugurate anche alcune opere pubbliche come le nuove pavimentazioni di Piazza Curtatone e Piazza dell’Impero, oltre alle opere di sistemazione a verde del Parco della Rimembranza, con la creazione di aiuole e piantumazione descriventi delle rigorose geometrie, col collocamento del monumento ai caduti della patria. Con il rifacimento della pavimentazione di Piazza dell’Impero viene spostata anche il monumento di Andrea da Pontedera, con il collocamento nell’allora Piazza Belfiore e la sostituzione del basamento originario ad opera del Bellincioni con altro di più ridotte dimensioni. Enrico Agonigi

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In alto a sinistra Piazza Curtatone e Via Aristide Castelli, la pavimentazione in mattonelle ed asfalto compresso. Si nota la pompa di benzina sotto la Torre, la Pizzicheria e la Trattoria L’Orologio - Mescita di vini In basso a sinistra Piazza dell’Impero, pavimentazione in calcestruzzo di cemento In alto a destra Parco della Rimembranza, nuova sistemazione del Monumento ai Caduti. Si nota in basso a destra l’ombra del fotografo Sabella. Piazza Andrea, nuova sistemazione del Monumento ad Andrea. Viale IV Novembre, pavimentazione semipermanente e sistemazione marciapiedi in mattonelle greficate A pagina precedente: In alto a sinistra i nuovi uffici e il salone di disimpegno degli uffici. In alto a destra il Gabinetto del Podestà e l’ufficio del Segretario Capo

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23 dicembre 1912, Corso Vittorio Emanuele (preso dal centro). Ed. Pettinelli & C - Pontedera. La chiesa del SS. Crocifisso e sulla destra il Palazzo Bellincioni (A.S.V.)

Via Vittorio Emanuele. Il Palazzo Bellincioni. Ed. Corrado Lami - Pontedera (A.S.V.) In alto a sinistra: 17 novembre 1913, Via Vittorio Emanuele. Ed. Corrado Lami - Pontedera (A.S.V.) Sotto: Il Palazzo Bellincioni con lo storico Bottegone

14 marzo 1915, Logge e Piazza Curtatone. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

Corso Vittorio Emanuele. Si vedono l’ingresso laterale della Chiesa del SS. Crocifisso con gli scalini e in lontananza la casa che chiudeva la strada oltre il Ponte, oggi entrambi scomparsi

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Luigi Ranieri Gaetano Bellincioni (Pontedera 1 gennaio 1842 - Firenze il 24 dicembre 1929). Compie i propri studi presso gli Scolopi di Pontedera e successivamente all’Istituto Tecnico di Firenze. Ingegnere e Architetto è uno degli esponenti più prolifici in Valdera dell’architettura ottocentesca fiorentina inaugurata da Giuseppe Poggi. Socio fondatore del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Firenze, riveste alcune cariche in politica come Consigliere Comunale e Sindaco di Pontedera, Consigliere Provinciale; viene poi nominato Accademico Corrispondente e Cavaliere della Corona nel 1885, mentre nel 1888 siede nel Collegio dei Professori come Accademico Residente della Reale Accademia delle Belle Arti di Firenze. 1

Palazzo ex Bottegone (Casa Paterna) Il primo edificio a firma di Luigi Bellincioni1 è la riduzione della Casa Paterna che il padre Andrea gli commissionò nel 1866. Questa costruzione ancora esistente, ha subito alcuni mutamenti nel corso degli anni pur mantenendo inalterato il suo aspetto fortemente neoclassico attribuito dalle prorompenti timpanature delle finestre, che esprimono un forte rigore accademico. Enrico Agonigi

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11 settembre 1913, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Egisto Jacques Cartoleria Tipografia L’Ancora - Pontedera (A.M.B.)

11 novembre 1911, Via Vittorio Emanuele (A.M.B.)

Corso Vittorio Emanuele. Ed.Gino Dani - Pontedera (A.M.B.)

Corso Vittorio Emanuele (A.M.B.)

Corso Vittorio Emanuele con la Torre dell’Orologio

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Via Vittorio Emanuele con il Palazzo Pretorio. Si noti l’orologio con il quadrante fuori dalla Torre, la pompa di benzina e la lapide commemorativa, che ci dicono gli anziani pontaderesi, essere dedicata ai Martiri dell’Indipendenza Italiana

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11 novembre 1915, Via Vittorio Emanuele. Ed. Corrado Lami - Pontedera (A.M.B.)

1917, Via Vittorio Emanuele. Si nota sulla destra l’angolo di Via del Teatro e la Farmacia Lombardi e la sede della Società Cacciatori di Pontedera

1920, Via Vittorio Emanuele (A.M.B.). Si vede il manifesto murale delle “Macchine Singer per cucire”, di fianco un’immaginetta sacra oggi rimossa. Sulla destra la Pizzicheria Patria e l’ingresso di Via del Teatro

1926, Corso Vittorio Emanuele. Si vede, sulla destra, l’ingresso di Via Giuseppe Mazzini, oggi Via Guerrazzi

1963, Corso Matteotti. Ed. G. Ferretti, Pontedera (A.S.V.). Si nota, sulla sinistra, la Pasticceria Matteoli e sulla destra, angolo Via Montanara, la Ricevitoria del Lotto

Nel 1915 risultano attive a Pontedera tre Tipografie: Egisto Jacques (L’Ancora), Gino Dani e Giovanni Ristori. Quest’ultima proveniente da San Miniato arriverà a Pontedera alla metà del XIX secolo. Alla fine del XIX secolo esiste anche la tipografia di Amerigo Faleni che si trovava sul Corso tra Via Valtriani e Via Lotti. Successivamente verrà impiantata una succursale della Vallerini di Pisa e nel 1923 nascerà la Bandecchi & Vivaldi.

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1914, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Cart. Tipog. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.) Sulla destra si nota l’Albergo Armonia e la Tipografia Libreria Legatoria Gino Dani. Sulla sinistra l’arco di Via Portici 25 agosto 1917, Via Vittorio Emanuele. Ed. Corrado Lammi, Pontedera. A sinistra si vede la Cartoleria Tipografia L’Ancora di Egisto Jacques

Corso Vittorio Emanuele. Ed. Cartoleria Tipografia Gino Dani - Pontedera (A.M.B.). Si nota la Cuoieria di Livio Gabbani 1917, Via Vittorio Emanuele

1923, Corso Vittorio Emanuele

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VIA LOTTI E VIA VERDI

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metà dell’ottocento con la costruzione della nuova Chiesa la strada diventa uno degli assi principali della città. Via Felice Lotti fino al 1866 era Via dei Puccini1. Dopo la morte del filantropo, nel 1862, che lasciò la sua eredità per realizzare l’ospedale inaugurato nel1876 venne dedicata all’illustre cittadino. Via Lotti ospiterà fin dal XIX secolo i palazzi delle famiglie Lotti, oggi caserma dei Carabinieri, e Pitschen. L’angolo tra Via Verdi e Corso Matteotti nel XX secolo ha ospitato per decennia la sede del Banco di Roma. A seguito delle distruzioni belliche Via Verdi risulterà più ampia fino a costituire con Via Lotti un asse urbano unico. Da alcuni anni Via Lotti è tornata ad accoglieri gli alberi come già fece nel passato. Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro, Storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1985 p. 109

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1918, Via Felice Lotti 1910, Via Felice Lotti. Sulla sinistra il palazzo della famiglia Lotti, oggi Caserma dei Carabinieri. In fondo alla strada si nota il Palazzo Merendoni poi distrutto dagli eventi bellici

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1936, Via Felice Lotti. Si noti il celebre negozio di Nicola Pitschen di liquori coloniali che si trovava al pianoterra dell’omonimo Palazzo di famiglia. Tra i manifesti quello della XV edizione della Fiera di Milano

Corso Matteotti angolo Via Verdi con la nuova sede del Banco di Roma

31 marzo 1903, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Pettinelli & C. - Pontedera. Si vedono gli angoli di Via Lotti e di Via Verdi (A.S.V.)

1902, Via Felice Lotti. Ed. Pettinelli - Pontedera

La nostra cittadina esultò Martedì per la inaugurazione dell’Acquedotto che le darà acqua buona e copiosa da Cascine di Buti portata da una falda acquifera in località detta «Cannai» studiata ed esaminata dall’illustre Prof. Di Vestea. Oltre l’Acquedotto si inaugurarono la Scuola all’aperto, la Fontana monumentale di Piazza Umberto I ed altre opere importanti. Il Ponte di Pisa, Anno XXXVIII n. 40, Sabato-Domenica 1-2 Novembre 1930

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1942, Via Felice Lotti con gli alberi. In fondo alla strada il palazzo distrutto dalla guerra che permetterà l’allargamento di Via Verdi Via Lotti con la nuova fontana monumentale. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

Palazzo Pitschen L’edificio risultante dall’accorpamento di due case più antiche, fu commissionato nel 1883 dai fratelli Gaspero e Ludovico Pitschen, pasticceri di origine svizzera, per uso residenziale e commerciale. La massa imponente di questo palazzo, tra i più interessanti di Pontedera, ha portato il Bellincioni a realizzare delle finte pietre fino al piano secondo, per proporzionare la dimensione del prospetto, attribuendo così una forte monumentalità all’edificio. Le due “fabbriche”, Palazzo Pitschen e Casa Cerrai, completavano Via Felice Lotti, che con la costruzione del nuovo Duomo di Pontedera e la realizzazione dei due importanti edifici, assumeva il ruolo di asse principale, rispetto alla parallela Via Ranieri Gotti. Enrico Agonigi

1923, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera. Si noti la sede del Banco di Roma e l’indicazione, in Via Verdi, della vendita di ghiaccio (Cecchella) che si trovava in Via Rossini. (A.S.V.) Corso Matteotti con Via Verdi e Via Lotti. Si noti il negozio Liquori Coloniali Pitschen

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PIAZZA CURTATONE, VIA CASTELLI E VIA GOTTI

P

iazza Curtatone fino al 1876 era Piazza delle Grascie o del Grano, o semplicemente Piazza1. Questo luogo ha per secoli accolto le sedi delle autorità civili e religiose: il Palazzo Pretorio e la Chiesa del SS. Crocifisso. Via Ranieri Gotti fino al 1876 era chiamata Via (e Canto) di S. Francesco2. Via Aristide Castelli era Via Saponeria a ricordo di una vecchia fabbrica di sapone. La via al suo limitare ospitava fino alla seconda guerra mondiale il Palazzo Riccardi edificato nel XVII secolo poi Palazzo Mannelli. Nel corso del XX secolo ospiterà Il Consorzio Agrario e successivamente la sede del Fascio locale. Sarà poi distrutto dagli eventi bellici. Oggi al suo posto la Caserma della Guardia di Finanza costruita alla fine degli anni quaranta. Sia Ranieri Gotti che Aristide Castelli lasciarono cospicue somme a favore dell’Ospedale cittadino.

Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro, Storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1985 p. 109 2 Ibidem 1

10 maggio 1913, Piazza Curtatone (A.S.V.) La piazza con la chiesa del SS. Crocifisso e la fabbrica Busti e Ombrelli di Solferino Bagnoli

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1915, Piazza Curtatone e Via al Consorzio Agrario. Sulla sinistra si intravede il chiosco dei giornali e Via Aristide Castelli che portava al Consorzio Agrario con sede in Palazzo Riccardi

Palazzo Riccardi Nel 1578 i Riccardi acquistano una casa con cantina posta nel luogo detto “Porta Vecchia”. “Questa parte di immobile costituì il primo nucleo della casa detta de La Saponiera, confinante con la «Piazza delle Oche»” Alla produzione di sapone seguì una diversa destinazione d’uso dopo l’acquisizione e l’accrescimento della proprietà e così la proprietà Riccardi diventò un deposito per le derrate provenienti dalle fattorie di proprietà della famiglia: Villasaletta e la Cava. A queste si aggiunse la grande “tenuta di terre collocate fra Chianni, Montevaso, Mela, Saletta e Rivalto” quando nel 1629 il Granduca di Toscana conferì ai Riccardi il marchesato di Chianni, Montevaso e Mela e nel 1634 quello di Rivalto. I prodotti che provenivano dalle fattorie venivano venduti “sui mercati di Pontedera, Pisa, Empoli e Firenze”. La vecchia saponiera fu trasformata in palazzo a partire dal 24 ottobre 1684 e fu terminato nel 1711, dopo numerose interruzioni dei lavori. Il palazzo ospitò anche Don Carlos di Borbone, figlio secondogenito di Sua Maestà cattolica Filippo V di Spagna in visita nel Granducato come pretendente al trono alla morte di Giangastone ultimo dei Medici. Nel 1810 fu acquistato dai Toscanelli insieme alla fattoria La Cava ma fu rivenduto quasi subito. È stato sede del Consorzio Agrario e poi del Fascio. Distrutto dai bombardamenti, oggi al suo posto si trova la caserma della Guardia della Finanza1. Stefano Bruni, Daniela Stiaffini, I Riccardi a Pontedera. Il Palazzo di città e la Fattoria La Cava, Lions Club Pontedera, Bandecchi&Vivaldi, Pontedera 2011 pp. 35-47

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9 gennaio 1919, Piazza Curtatone e Via Ranieri Gotti. Ed. Pettinelli & Leoncini - Pontedera, Foto Dante Giusti - Cascine di Buti (A.S.V.)

26 agosto 1901, Via Ranieri Gotti. Ed. Pettinelli & Co. - Pontedera (A.M.B.)

23 dicembre 1919, Piazza Curtatone e Via Ranieri Gotti. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

1911, Piazza Curtatone e Via Ranieri Gotti

Piazza Curtatone e Via Ranieri Gotti. Ed. Pettinelli (A.S.V.)

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7 novembre 1913, Piazza Curtatone e Via R. Gotti. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.). In Via Ranieri Gotti fu apposta nel 1883 una lapide dedicata al generale Luigi Stefanelli che possiamo ancora leggere: XXX settembe MDCCCLXXXIII / Alla venerata memoria / del cav. Luigi Stefanelli / Tenente Generale dell’Esercito Nazionale / Cittadino patriotta soldato / Probo leale valoroso / Nato in queste mura / Il 7 maggio 1804. / Questo ricordo / Il municipio di Pontedera / Riverente deliberava. Nel 1947 sullo stesso lato della strada, il sinistro, fu apposta la lapide a Settimo Pacchiani: A perenne ricordo / Del cittadino repubblicano / Settimo Pacchiani / 1860-1921 / la cui operosa esistenza / fu missione d’amore e di solidarietà umana / i mazziniani pontederesi / qui posero / in questa casa che fu sua dimora / il 9 novembre 1947 / 1° anniversario della proclamazione della / Repubblica Italiana

Piazza Curtatone e Via Aristide Castelli. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.M.B.). Si nota l’insegna della Trattoria L’Orologio e sulla destra gli ombrelli della ditta di Solferino Bagnoli

1918, Piazza Curtatone e Via Ranieri Gotti.

28 agosto 1926, Via Aristide Castelli e Palazzo Pretorio. Ed. Pettinelli (A.S.V.)

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4 febbraio 1906, Via Mazzini, Palazzo Fabrizio. Ed. Pettinelli & Co. - Pontedera, Foto Ricci (A.S.V.)

Palazzo Fabrizi. Ed. Pettinelli e C. (A.S.V.)

L’interno del Consorzio Agrario dalla pubblicazione: (A.S.V.)

Via Aristide Castelli, Palazzo Mannelli, la Saponiera. Sulla destra Adriano Marsili ha individuato i resti dell’ultima torre del castello di Pontedera

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Antico campanile “alla fonte”

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PALAZZO PRETORIO La storia

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1941, Piazza Curtatone e via Ranieri Gotti

accontare la storia di Palazzo Pretorio di Pontedera, come sottolinea Mario Montorzi in Giustizia in Contado1, è indissolubile dall’affrontare le vicende giurisdizionali della comunità. Paolo Morelli in Le fortificazione medievali di Pontedera2, parlando della lapide affissa sotto le logge del palazzo, suppone che l’edificio a due piani a cui si allude, possa trattarsi del nucleo originario del Pretorio (1384). I vari avvenimenti giurisdizionali che dal Quattrocento in poi interessano Pontedera, la vedono Podesteria dipendente dalla giurisdizione criminale del Vicariato di Vicopisano; con la Riforma dei Tribunali di Giustizia del 1772 Podesteria Maggiore e nel 1784 sede di Vicariato fino ad arrivare al 1848 quando diventa sede di Pretura e nel 1849 si ha l’insediamento della Delegazione di Governo. Non si hanno documenti attestanti l’architettura del palazzo ma, in uno schizzo pubblicato da Paolo Morelli3, appare una rappresentazione del territorio con il Pretorio senza logge, le carceri e la cella Campanaria4. Le logge sono state costruite nel 1674 dal capitano Giuseppe Santini, nel 1707 la loro prima ristrutturazione. Nel 1708 le campane nella torre dell’Orologio vengono trasferite al campanile della chiesa antistante. Nel 1710 sopra le logge vengono edificate le stanze del predicatore (inserimento di pilastri di rinforzo). Nel 1783 fu approvato un progetto di riattamento dell’ing. Bombicci, che per problemi economici, non prevedette estensioni del palazzo. Nel 1785 una relazione dell’Uffizio dei Fiumi e dei Fossi di Pisa evidenziava lo stato deplorevole delle Carceri e la mancanza di spazi per le funzioni. La soluzione consistette nel rialzamento dell’intera fabbrica di un piano e nell’acquisto del palazzo attiguo. Da una corrispondenza tra ingegneri del Genio Civile dei primi del ’900, si deducono ancora le cattive condizioni in cui si trovano le carceri5 soppresse poi nel 1975. Lo studio dei documenti della Soprintendenza di Pisa porta alla luce la necessità di consolidare la torre del palazzo (1947-1952) danneggiata dalle azioni belliche. La situazione attuale della torre rispecchia il consolidamento e il ripristino suddetto. Martina Baldelli e Michela Vivaldi

Mario Montorzi, Giustizia in Contado. Studi sull’esercizio della giurisdizione nel territorio pontederese e pisano in età moderna, Edifir, Firenze 1997, (II ed. 1998). 2 Paolo Morelli, Federico Andreazzoli, Adriano Marsili, Le fortificazioni medievali di Pontedera, Tagete, Pontedera 2005. 3 Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici. Catalogo delle mostre medicee pisane, Nistri Lischi e Pacini, Pisa 1980. 4 ASP, Fiumi e Fossi, 163, cc. 1184-1185. 5 ASPi, Genio Civile, 134, fascicolo 36; classe XXVII edifici demaniali e assetto edilizio ateneo pisano; fascicolo 36 (1897-1906) lavori al carcere mandamentale di Pontedera. 1

1965, Piazza Curtatone. Si nota le insegne del negozio Volpi e del Bar Italia in Palazzo Pretorio sul Corso Matteotti

1 dicembre 1916, Logge. Ed. Corrado Lami - Pontedera (A.M.B.)

1967, Palazzo della Pretura

12 settembre 1918, Palazzo Pretorio (A.M.B.)

14 dicembre 1933, Palazzo della Pretura. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

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Primi anni del ’900, Palazzo della Pretura (A.M.B.)

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Il Monumento ai pontederesi caduti nelle patrie battaglie Fra i valorosi che colà combatterono questo industre paese, non secondo ad altri nelle nobili imprese, aveva pure suoi figli, e nostro concittadino Eugenio Balbiani, sergente maggiore della truppa regolare, da forte e senza rammarico vi lasciava la vita diletta (…) Spuntava finalmente il 1859, e alla voce di Vittorio Emanuele che, non immemore della promessa fatta sulla tomba paterna, ripiglia la spada di Pastrengo e di Goito, rispondono concordi esultanti gli Italiani. Le nostre città, malgrado i rigori d’una vigilante pulizia, si vuotavano di gioventù che piena di caldi sensi accorre a rinforzare le file dell’esercito subalpino, e da Pontedera, ammirato e benedetto, parte pure uno stuolo di generosi pronto a dare la vita per il nostro finale riscatto. Coll’aiuto del terzo Napoleone e delle armi francesi aprivasi quella gloriosa campagna, che di vittoria in vittoria condusse gli alleati dalla Sesia alle sponde del Mincio. E là sui campi immortali di Palestro combattesti e peristi tu pure, o nostro Giovanni Boldrini. (…) Ed io pure vidi te, Adolfo Bartoli, giovinetto di gentile aspetto, di savi ed egregi costumi, abbracciare lietamente gli amici e con la schiera di tanti altri nostri compaesani fra il plauso generale avviarti sul campo dell’onore, ove era destino che tu dovessi lasciare quella vita tanto cara a tutti i tuoi, ma soprattutto carissimo a quel forte anima dell’ammiranda tua madre. Milite fra le schiere volontarie guidate dal prode Garibaldi, il 16 luglio, combattendo a Condino, nella Marca Tridentina, salutavi per l’ultima volta il cielo italiano, e moristi senza neppure il conforto di sapere se la Venezia tornerebbe libera, conciossiachè fortuna ingiuriosa contrastasse alle alte imprese nostre, nè degnamente il valore di tanti prodi volesse remunerare Callisto Dal Pino1

Monumento ai caduti Pontederesi per l’Indipendenza italiana (Loggiato del Palazzo Pretorio). Ed. Pettinelli e C. - Pontedera (A.M.B.)

Domenica 11 giugno 1876 fu un giorno importante per la città di Pontedera: una data che sarebbe stata ricordata a lungo da chi ebbe la ventura di viverla. Due eventi, due inaugurazioni segnarono quella giornata: quella dell’Ospedale Felice Lotti e quella del Monumento ai pontederesi caduti nelle patrie battaglie. A volere il monumento un comitato di cittadini: 183 soci, 10 del comitato promotore e 10 della direzione. Di esso facevano parte alcuni che avevano preso parte alle battaglie risorgimentali. Il primo luogo a cui si pensò per accogliere il monumento fu la nuova chiesa, il duomo, ma la proposta trovò molti ostacoli. La maggiore difficoltà incontrata dal comitato fu, come sempre, il reperimento dei fondi necessari alla realizzazione dell’opera. Opera che fu affidata al progetto del sempre presente Luigi Bellincioni. Attraverso varie traversie l’opera fu portata a compimento e la pioggia che scendeva quel giorno copiosa non guastò la festa che fu solenne e partecipata. Toccò al maestro Callisto Dal Pino parlare in quella memorabile occasione. Il suo discorso venne dato alle stampe e in appendice riportava l’elenco dei volontari pontederesi: 86 del capoluogo e tre de La Rotta. Le epigrafi, composte da Callisto Dal Pino, e scolpite nel monumento recitavo: Giovanni Boldrini/ per senno e generosi propositi/ commendevolissimo/ fu milite volontario nella guerra italica del MDCCCLIX/ ferito nella battaglia di Palestro/ combattè, perdurò romanamente/ prima l’uscir della vita/ ebbe sul campo qual premio dei forti/ la medaglia al valor militare – Adolfo Bartoli/per bontà e morigeratezza/a tutti carissimo/nella guerra veneta del MDCCCLXVI/volontario nell’esercito di Garibaldi/il dì XVI Luglio/perse generosamente la vita nel combattimento di Condino/lasciando amplo tesoro l’esempio/come amare si debba la patria – Eugenio Balbiani/ sergente nell’esercito regolare toscano/ combattendo da prode in un cogli eroi/che la storia paragonava/ai trecento spartani delle Termopili/morì nel nome d’Italia/sul campo sanguinoso di Montanara/il XXIV Maggio MDCCCXXXXVIII – Questo monumento/una società di pontederesi/concordi nello intemerato zelo di patria/a propria spesa/inalzava il dì XI Giugno MDCCCLXXVI/facendone dono al comune/perché la perpetua memoria de’ valorosi/ a egregie cose/il forte animo dei posteri/accenda. Nelle formelle si poteva leggere: ad incitamento/ di azioni magnanime/ i pontederesi – Insegnavate come l’uom s’eterna (Dante) – Un bel morir tutta una vita onora (Petrarca) – Un magnanimo cor morte non prezza, Presta o tarda che sia perché ben muora (Ariosto) – Non mai la vita ove cagione onesta, Del comun pro lo chieda altri risparmi (Tasso)2. Il monumento fu risparmiato dalla guerra ma fu rimosso nel 1947 con una decisione a dir poco discutibile. Da quel giorno se ne sono perse le tracce. Restano queste due cartoline dove è indicato in due modi diversi: Monumento ai caduti Pontederesi per l’Indipendenza Italiana e Monumento ai caduti di Curtatone e Montanara. Cambia il nome ma non cambia il significato. Oggi il luogo ospita il busto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e una lapide dove si può leggere: Nella ricorrenza centenaria della / Prima Guerrra d’Indipendenza, con la stessa passione / di libertà e con la stessa fede nei distinti della / patria con cui sessantun anni or sono una / società di cittadini pontederesi a proprie / spese li propose a pubblica memoria la civica / amministrazione ricorda qui con reverenza i / nomi di: Eugenio Balbiani caduto a Montanara / Giovanni Boldrini volontario decorato dal / valor militare morto a Palestro Adolfo / Bartoli garibaldino caduto combattendo a Condino (maggio 1948) Per la solenne occasione in che scoprivasi al pubblico il monumento ai pontederesi morti nelle patrie battagle parole dette da C. Dal Pino la mattina del dì 11 giugno 1876 in XI GIUGNO MDCCCLXXVI, Per il monumento ai pontederesi caduti nelle patrie battaglie, L. Ungher Tip. Della R. Casa, Pisa 1876, Biblioteca Toscana XXXII, Ristampa anastatica a cura di Michele Quirici e Laura Martini, Tagete Edizioni, Pontedera 2011 2 Del monumento in XI GIUGNO MDCCCLXXVI, Per il monumento ai pontederesi caduti nelle patrie battaglie, op. cit.

19 aprile 1902, Palazzo Pretorio. Ed. Pettinelli e Co. Foto Arcolini (A.S.V.)

1913, Palazzo Pretorio

9 dicembre 1921, Piazza Curtatone e Palazzo Pretorio. Ed. Vallerini - Pontedera (A.M.B.)

11 agosto 1928, Piazza Curtatone e Loggia Pretoria. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.M.B.)

14 dicembre 1933, Piazza Curtatone e Via Vittorio Emanuele. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

Anni ’70, Palazzo Pretorio. Le macchine “assediano” Piazza Curtatone

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Monumento ai caduti di Curtatone e Montanara (Loggiato Pretorio). Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera (A.S.V.)

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“IL PIAZZONE”

(Piazza Martiri della Libertà)

“Disceso il Ponte presentasi da un lato una spianata detta il Piazzone per fiere e mercati”1.

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lla fine del settecento era Piazza dei Maiali poi il Piazzone. Nel 1886 era Piazza Umberto I e nel 1876 Piazza delle Merci2. Per la sua collocazione e per il suo spazio straordinario ha sempre rivestito un ruolo importate per la fiera e per il mercato. Da una parte la strada principale che scendeva dal ponte e proseguiva verso Pisa, il Corso, dall’altra Via Grande (via della Stazione Vecchia) che insieme alla Via di Ponsacco (Sarzanese-Valdera) e via di Mezzo (Via Diaz) era una delle strade che conducevano dalle campagne in città1. Via delle Stazione Vecchia la collegherà poi con la prima stazione di Pontedera che era collocato su un terrapieno nella zona del sottopassaggio ferroviario oggi dedicato ai Caduti di Nikolaevka. Il 27 settembre 1908 la storia del Piazzone cambiò. Quel giorno fu inaugurato il monumento al cittadino pontederese più illustre: Andrea da Pontedera. La piazza fu dedicata all’artista e fino agli anni trenta egli veglierà in mezzo a quattro lampioni. In quegli anni venne spostato in Piazza Belfiore, luogo in cui oggi lo vediamo e la Piazza diventò Piazza dell’Impero. Nel dopoguerra prese il nome di Piazza del Popolo e finalmente quello di Piazza Martiri della Libertà. Per i pontaderesi però è sempre stato il Piazzone.

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Indicatore Topografico della Toscana Granducale ossia Compendio Alfabetico delle principali notizie di tutti i luoghi del Granducato, Giuseppe Polverini Editore, Firenze 1856 p. 288 2 Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro, Storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1985 p. 109 3 Delia Giannini, Adriano Marsili p. 104 1

13 agosto 1901, il Piazzone. Ed. Pettinelli & C. Pontedera. In fondo alla piazza si vede Palazzo Crastan

Delia Giannini, Adriano Marsili p. 104

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18 febbraio 1902, Piazza Umberto I. Ed. Pettinelli e Leoncini (A.M.B.)

1906, Piazza Umberto I. Ed. Pettinelli & C. Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.). La piazza in un giorno di mercato

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Palazzo Morini Nel mese di ottobre del 1880, viene pubblicato sulla rivista Ricordi di Architettura, un’opera che porta la firma Luigi Bellincioni Architetto. Il progetto pubblicato è raffigurante il Palazzo Morini, commissionato al Bellincioni dalla facoltosa famiglia Morini, per uso commerciale e residenziale. L’edificio era destinato ad occupare l’angolo sud di piazza Martiri della Libertà, già piazza delle Merci, in adiacenza allo stabilimento omonimo, che in quegli anni sorgeva nell’area tra la via della Stazione Vecchia e l’argine sinistro del fiume Era. Il palazzo resta ancora oggi, il più importante ed elegante di Pontedera, per la ricchezza dell’ornato e la composizione degli elementi che formano la tessitura delle modanature dell’edificio. Enrico Agonigi

Reduci Patrie Battaglie Fratellanza Militare di Pontedera. Ricordo del primo centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi 4 luglio 1907. La lapide ancora esistente recita: Da queste mura / il 4 Luglio 1867 / l’eroe dei due mondi / Giuseppe Garibaldi / come padre e fratello / strinse la mano / ai cittadini animando i giovani / alle gagliarde virtù che faranno grande / Italia Le associazioni cittadine / di Pontedera / eternano questa memoria. Sopra di essa vi era una epigrafe, oggi sparita, ma che possiamo scorgere nell’immagine: Deposto il cingolo militare, serenato lo sguardo fulminatore di agguerrite falangi il generale Giuseppe Garibaldi col suo commilitone generale Luigi Stefanelli in questo opificio aprendo il labbro a sorriso amichevole volgeva parole di conforto di lode a Ferdinando Paoletti il giorno 4 luglio 1867. Sotto le lapidi c’era un busto di Garibaldi e un monumento celebrativo a forma di obelisco che riportava le tappe della vita militare dell’Eroe dei Due Mondi: Mentana / Digione / Volturno / Roma / Villa Spada / Milazzo / Varese / Monte Suello / Montevideo / Treponti / Palermo / Calatafimi / Aspromonte

A pagina precedente: 28 settembre 1902, Piazza Umberto I. Ed. Pettinelli & Co. - Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.) 1905, Piazza Umberto I. Edizioni Pettinelli, Foto Ricci (A.S.V.). In basso a destra si nota la lapide dedicata alla visita di Giuseppe Garibaldi nel 1867 1905, Piazza Umberto I. Edizioni Oreste Scarlatti - Pisa 12 ottobre 1905, Piazza Umberto I. Ed. Pettinelli & Co. - Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.) 1906, Piazza Umberto I 1912, Piazza Umberto I

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Palazzo Nardini Il Palazzo Naldini che insieme a Casa Bruschi completano il lato est della piazza, mostra una bicromia di colori bianco e grigio, di sapore tradizionalmente toscano. Il Bellincioni con questo edificio esprime una architettura che ripercorre la forma fiorentina del cinquecento, con bugnato a pietra che incornicia le partiture geometriche dei prospetti. Enrico Agonigi Anni ’20, Palazzo Comm. Francesco Morini. Ed. Gino Dani - Pontedera 1922, Stanze ricreative e Banca Commerciale. Palazzo Naldini. Ed. G. Caruso - Pisa. Ha ospitato dal 1925 agli anni Sessanta la sede della Posta e Telegrafo

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Andrea da Pontedera

Andrea Da Pontedera 1273-1349 (?)

Povero Andrea! Dapprima in sur piazzone stavi tra Quattro lampioni e cancellata; svettavi in arto come un gran campione guasi a facci nota’ la tu’ casata.

Nel 1273 nasce in Pontedera (pontehere) Andrea figlio di Ser Ugolino di Nino notaio. Le date sono da prendere con cautela; il Vasari nelle “Vite” lo dice morto nel 1340, ma nella seconda edizione si parla del 1345. Sappiamo però che è ancora attivo nel 1348 come capomastro presso l’Opera del Duomo di Orvieto. Il Ghiberti nei Commentari scrive che Andrea “fu nell’Olimpia 410”, un elenco degli artisti contemporanei a lui. Nel Codice Magliabechiano si indica al 420. Generiche indicazioni perché queste notizie sono state identificate con gli anni 1297-1301 e 1347-1351. Nel 1348 non è più citato. Nel 1349 il figlio Nino subentra a Orvieto come capomastro all’Opera del Duomo. Poco sappiamo degli anni trascorsi nella sua bottega pisana se non qualche notizia attraverso la datazione di opere realizzate per committenze locali. C’è difficoltà a stabilire con certezza le opere di Andrea prima del suo lavoro per la porta bronzea del San Giovanni a Firenze. Della sua formazione e della sua cultura artistica resta ancora valido il giudizio vasariano che scrive che Andrea conosceva “…il nuovo disegno di Giotto e quelle poche anticaglie che gli erano note”. Nel Camposanto del Duomo di Pisa aveva visto “…molte anticaglie e pili”. Lo troviamo a Firenze dopo i 50 anni. Andrea aveva una solida formazione artistica quando inizia a lavorare a Firenze; aveva probabilmente conoscenza dell’opera di Giotto ed era già in sintonia con le nuove idee dal disegno ai volumi delle masse quando con sicurezza affrontò i rilievi della porta del S. Giovanni. Il 1329 è la data dell’anno in cui inizia a lavorare alla porta (suo capolavoro) del Battistero di San Giovanni in Firenze. La data è certa perché Giovanni Villani, deputato per l’arte di Calimala, responsabile dell’impresa e diretto testimone ne dà notizia nella sua Cronica. Nel 1340 in un documento si chiama Andrea “maiore magistro” dell’Opera del Duomo di Firenze. Il Pucci afferma che Andrea subentrò a Giotto nell’esecuzione del Campanile 1340-1347 e che Andrea avrebbe eseguito i lavori di edificazione, tentando anche delle migliorie, che però non soddisfecero i committenti tanto che “…il lavorio gli fu tolto di mano”. A questo episodio pare non fosse estraneo il fatto che Andrea avesse realizzato opere per il Duca di Atene che fu poi cacciato dai fiorentini anche perché subentrò la crisi economica del Comune ed il perdurare dei lavori con tempi lunghi. Mario Lupi

Poi ti spostarono in centro, e malandato ti missero tra palle e catenelle come t’avessin preso p’un forzato e per lumi ora ci hai solo le stelle. Cancellata e lampioni ‘un ci son più. L’hanno portati ad abbelli’ la Rotta e ci hanno tolto un po’ di gioventù. Ora, ‘ntorno alle palle quando annotta, a far la guardia alla tua grorioa immane c’è quatche pederasta e quarche cane. Bruno Pasquinucci, I versacci di Bistino, Tipografia Fracassi, Casciana Terme 1996, p. 37

“Le solenni onoranze ad Andrea da Pontedera” L’inaugurazione del monumento (dal nostro inviato speciale) L’inaugurazione La piazza Andrea da Pontedera presenta un colpo d’occhio meraviglioso. Le finestre e le terrazze sono addirittura gremite. Il circolo delle Stanze e il palazzo Mariotti accolgono una moltitudine svariata di signore e signorine in elegantissime toilettes. Non pochi fotografi si sono istallati sui tetti prospicienti la piazza e fanno agire continuamente le loro macchine. Le Autorità e i rappresentanti della stampa trovano posto in una tribuna elegantemente addobbata di fronte al monumento ancora coperto da una candida tela. Ad uno squillo di tromba la tela cade, e uno scoppio formidabile di applausi si leva da ogni parte. Le Musiche di Pontedera, Lari e Crespina eseguiscono insieme l’inno ad Andrea da Pontedera, musicato dal prof. Cav. Giuseppe Vanninetti, direttore della Banda Municipale di Scarperia. L’inno è di intonazione grandiosa e solenne: riscuote applausi vivissimi1. La Nazione, Firenze, Lunedì 28 Settembre 1908, in Michele Quirici, Paolo Gori, Per Andrea da Pontedera. Antologia di scritti e cronache dedicati al grande scultore e architetto in occasione dell’inaugurazione del suo monumento in Pontedera il 27 settembre 1908, Edizioni L’Ancora, CLD Libri, Fornacette 2002, p. 125

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27 Settembre 1908 Inaugurazione del monumento ad Andrea da Pontedera

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1912, Piazza Andrea da Pontedera con una squadrone di Cavalleria 1916, Monumento ad Andrea da Pontedera. La lapide recita: Ad Andrea da Pontedera / qui nato nel MCCLXX che l’arte / di Niccola Pisano promosse restaurò / addolcì come Giotto / quella di Cimabue primo a trattare nobilmente il / bronzo onde plasmò / la porta del bel S. Giovanni, / architetto di ardito sapere che / guidò l’opera di S. Maria del Fiore e / rafforzò di mura e torri Firenze la / patria superba rivendicando sua. / Il XIII Settembre MCMVIII. In realtà il monumento è stato inaugurato il 27 del mese. Questa lapide è stata recuperata ed è presente nel monumento oggi collocato in Piazza Andrea da Pontedera

1909, Monumento a Andrea da Pontedera. 20 giugno 1911, Piazza ad Andrea a Pontedera (A.M.B.) 17 luglio 1916, Piazza Andrea da Pontedera. Ed. Corrado Lami (A.S.V.)

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Piazza Andrea da Pontedera. Si nota la sede della Banca Italiana di Sconto

1935, Piazza Andrea da Pontedera

1937, Monumento Andrea da Pontedera. Si nota la sede de La Fondiaria in Palazzo Naldini

1928, Piazza Andrea da Pontedera 1932, Monumento Andrea da Pontedera A pagina precedente: 25 giugno 1913. Ed. Gino Dani - Pontedera (Archivio Privato Sergio Vivaldi - Pontedera) 1913, Piazza Andrea da Pontedera (A.M.B.) 1916, Piazza Andrea da Pontedera 1918, Piazza Andrea 15 Agosto 1920, Monumento ad Andrea da Pontedera (A.M.B.) 1931, Piazza Andrea da Pontedera

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Anni ’60, La Rotta (Pisa). Via Tosco Romagnola (Archivio Privato Sauro Lami). Ed. Roberto Morelli La Rotta. Una volta trasferito il monumento di Andrea da Pontedera nell’attuale collocazione di Piazza Andrea (ex Piazza Belfiore) i lampioni furono destinati a Piazza Garibaldi a La Rotta

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1938, Piazza Impero

Consorzio Agrario di Pontedera (A.M.B.)

Piazza Impero

Cartolina delle macchine da raccolto Frost & Weed. Art.Institut Orell Füssli, Zürich (A.M.B.). Sul retro compare la scritta Consorzio Agrario di Pontedera

Una manifestazione fascista in Piazza dell’Impero. Foto Sabella - Pontedera (A.M.B.)

11 Novembre 1921, Piazza e Monumento Andrea da Pontedera. Stabilimento Vallerini - Pontedera (A.M.B.). Si noti la sede dell’Unione Agraria Cooperativa nel Palazzo che oggi ospita la Banca di Credito Cooperativo di Fornacette 1940, Piazza dell’Impero. L’Unione Agraria Cooperativa aggiunge alla sua insegna “Provinciale”diventa il Consorzio Agrario Cooperativo Provinciale. Dopo il Consorzio i palazzi Cioppi, Bruschi, Naldini, Morini e il Palazzo Crastan che chiude la piazza

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A pagina successiva: Piazza dell’Impero

1939, Piazza dell’Impero 18 giugno 1942, Piazza Impero (A.S.V.)

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1949, Piazza Martiri della Libertà

2 agosto 1954, Piazza Martiri della Libertà. Ed. Cartoleria G. Ferretti - Pontedera (A.S.V.)

Piazza della Libertà 5 novembre 1959, Piazza della Libertà. Ed. Ferretti Pontedera (A.S.V.)

1947, Piazza Martiri della Libertà. Ed. Mafalda Gasperini - Pontedera (A.S.V.) Piazza Martiri della Libertà (A.S.V.)

1953, Piazza Martiri della Libertà

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1958, Piazza Libertà. Sulla sinistra si vede il negozio Calzature Vitaliano e sulla destra il Caffè Bar Ristorante Roma

1963, Piazza Martiri della Libertà

1959, Piazza Martiri della Libertà. Sulla destra la Pesi e Misure Tagliagambe

1982, Piazza Martiri della Libertà

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PIAZZA SAN MARTINO

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ggi passeggiando per questo luogo non si percepisce l’importanza storica che questo ha rivestito per la storia di Pontedera. Provenendo da Piazza Martiri della Libertà, il Piazzone, si vede un’area verde dove dominano due pini e vedendo le immagini di epoca si fatica a riconoscere lo spazio. “L’isolotto” era occupato dalla casa della famiglia Boschi. Compiendo un salto enorme indietro nel tempo qui si ammirerebbe la Chiesa di S. Martino: la prima chiesa di Pontedera1. S. Martino aveva annesso un ospedale ed era sotto la giurisdizione della Pieve di Calcinaia. Di essa ne abbiamo notizie a partire dal XII secolo2. Nelle cartoline che possiamo ammirare in queste pagine si vede la Piazza dominata da Palazzo Balbiani e da quello che fu l’albergo “La Pera”. Guardando “l’Isolotto” si vede l’inizio di Piazza Garibaldi con, sullo sfondo, il Pastificio Paoletti e Palazzo Morini che si trova in Piazza Martiri della Libertà. La Chiesa di San Martino in Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro, Storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 1985 2 Paolo Morelli, Pontedera “terra nuova” pisana in Paolo Morelli, Federico Andreazzoli, Adriano Marsili, Le fortificazioni medievali di Pontedera, Tagete Edizioni, Pontedera 2005 p. 19 1

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1967, Piazza S. Martino da Palazzo Pandolfi (A.S.V.) Anni Cinquanta, Piazzetta San Martino

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1902, Piazza S. Martino. Ed. Pettinelli - Pontedera (A.S.V.)

23 novembre 1911, Piazza S. Martino e Pastificio C. Paoletti (A.M.B.). Le numerose benemerenze del Pastificio Paoletti si possono ammirare ancora oggi sul balcone dello stabile in Corso Matteotti angolo Piazza Martiri della Libertà

1908, Piazza S. Martino. Ed. Pettinelli - Pontedera (A.S.V.)

“In maggior copia, e come tra i cereali di distinta ed estesa cultura fra noi, figurava il grano marzuolo da paglia, cioè il grano che dà i culmi o fili con i quali si tessono le trecce da cappelli, così note in commercio. Questo grano era esibito dal signor Domenico Pastorelli di Arcidosso. Il signor Cav. Vincenzo Brocchi inviò da Arcetri un bel saggio di grano gentile bianco, pregevole perchè dà la farina migliore per fare il pane bianchissimo: i signori Ruschi trasmisero vari campioni di grano gentile bianco e rosso del Piano di Pisa: e da Empoli perveniva il grano duro o da paste, che vedevasi esposto. Bellissimi e svariati saggi poi di paste per minestre, e sopratutto di semolini inviò da Pontedera il sig. Ferdinando Paoletti, molto rinomato fabbricante. E comecchè le paste che da esso si lavorano si stimino così perfette da uguagliare in bontà le migliori che provengono da Genova e da Napoli; così fu che la Commissione lo riconoscesse meritevole del premio della medaglia di bronzo, anche in considerazione del molto consumo che vien fatto dei generi per esso fabbricati”1.

1941, Piazza S. Martino e Monte dei Paschi. Sullo sfondo a destra, il Pastificio a vapore Paoletti

Pubblica Esposizione dei prodotti naturali e industriali della Toscana fatta in Firenze nel novembre 1850 nell’I. e R. Palazzo della Crocetta, Tipografia della Casa di Correzione, Firenze 1851 p. 122

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Piazza S. Martino e Palazzo del Monte dei Paschi (Palazzo Barbiani). (A.S.V.) 22 settembre 1917, Monte dei Paschi e Cassa di Risparmio (A.S.V.)

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Palazzo Balbiani La Casa Balbiani, pubblicata sulla rivista Ricordi di Architettura del 1881, era la residenza di una famiglia di ricchi industriali e professionisti pontederesi. L’edificio di modeste dimensioni aveva un piano terreno dove si svolgeva l’attività lavorativa della famiglia ma mostrava l’eleganza rigorosamente austera del palazzo borghese di fine ’800 con un leggero avanzamento della parte centrale, per conferire maggiore importanza alla facciata rivestita in finta pietra. Successivamente venne acquisito dal Monte dei Paschi di Siena, che lo demolì nel 1971, per realizzarvi la nuova filiale pontederese. Enrico Agonigi

14 dicembre1901, Piazza S. Martino. Ed. Pettinelli & C. - Pontedera, Foto Arcolini (A.S.V.). Sulla piazza il Palazzo Boschi e le botti prodotte da Licurgo Boschi Piazza S. Martino. Si noti il palazzo della Banca del Monte dei Paschi di Siena rialzato e sulla destra il cancello dell’Istituto San Giuseppe

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PIAZZA GARIBALDI, VIA DEL RISORGIMENTO E LA SCUOLA CURTATONE La scuola oltre il muro

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ra il 1888 quando venivano inaugurati i primi due istituti superiori della città, una città che davanti ad una crescita economica importante aveva deciso di dotarsi di due scuole: quella per formare la classe dirigente (il Ginnasio) e quella per le maestranze lavorative (la regia scuola di Arti e Mestieri). L’edificio è imponente, neoclassico, come usavano allora, come lo stesso duomo di Pontedera di pochi anni prima, forse non siamo capaci di dire a distanza se è veramente una scuola ma se avviciniamo gli occhi alle immagini riusciamo a scorgere dei ragazzi, quasi come se fossero anomalie nell’ufficialità delle foto. Scorgiamo qualche divisa, già perché allora a scuola si andava con le divise, come piccoli soldatini perché la scuola preparava anche a questo ad essere bravi credenti, ubbidienti e combattenti… Belli questi edifici di una scuola che non faceva altro che replicare le differenze sociali di una società ingiusta senza spazio di promozione e crescita sociale. I figli dei contadini e degli operai nella scuola di arti e mestieri o, più tardi, nel nuovo palazzo scolastico per l’avviamento al lavoro, i figli dei borghesi al Ginnasio, al Liceo e poi all’Università. Ecco che però la scuola, quella vera, quella fatta di anomalie e di diversità ricche e multiformi, quella sottobanco, trova, anche in una semplice foto, uno strumento di riscatto… Dove stanno andando quei ragazzi nascosti dietro il muro del recinto scolastico? Nascosti da chi cerca di riportarli dentro, finalmente disubbedienti, forse liberi. Marco Mannucci

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Piazza Garibaldi. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera (A.M.B.)

13 agosto 1901, Ginnasio Andrea da Pontedera. Ed. Pettinelli e Leoncini - Pontedera (A.M.B.)

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Negli anni 1913-’14 si svolsero sulle colline che circondano Chianni le grandi manovre di molti reparti del giovane esercito italiano. Un viavai, anche a Pontedera, di militari di tutte le regioni e di tutti i gradi, di cannoni, di carri trainati da muli e cavalli. (…) Diresse quelle manovre un non meglio identificato Duca D’Aosta il quale, e non sarà stato un caso, tralasciò tutte le trattorie e gli alberghi che volentieri si proponevano a Pontedera e scelse come sua residenza provvisoria proprio l’albergo Armonia. Fu un colpo da otto pe i gestori Magnani; fu una mazzata e un declassamento per la Locanda maggiore, se ancora funzionava, e per le altre attività alberghiere. Il Duca portò con la sua angusta persona, come si diceva allora, prestigio e quattrini. La notizia volò in tutta la provincia. Nell’albergo e nel corso, a Pontedera, fu tutto uno sbatacchìo di tacchi, di saluti militari, di presenze cosiddette altolocate e di generali aiutanti di campo, un luccichìo di sciabole, di speroni e di altre… ferraglie d’epoca. Muli e cavalli da sella pullulavano nel corso e nelle piazze vicine. L’Armonia fu, per il popolo, l’albergo del Duca; andare a pranzo e a dormire lì era uno sfizio da levarsi con soddisfazione. Nello Chetoni, Albergo Armonia (Storia, personaggi, aneddoti), Bandecchi&Vivaldi 1998, pp. 15-17

12 febbraio1905, Piazza Giuseppe Garibaldi Ed. Pettinelli e C. - Pontedera (A.S.V.). Pontedera spesso ospitava militari che effettuavano esercitazioni nelle vicinanze. I cannoni stazionano tra i tigli, i primi alberi che furono piantati in Piazza Garibaldi

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1905, Piazza Garibaldi Palazzo scolastico

Anni ’20, Scuole elementari

1912, Piazza Garibaldi con la fontana

1930, Palazzo scolastico

16 Febbraio 1918, Fontana Monumentale. Ed. Corrado Lami - Pontedera (A.M.B.)

Regio Palazzo Scolastico Ed, Pettinelli - Pontedera, Foto Ricci

Piazza Garibaldi

1902, Piazza Giuseppe Garibaldi “La Fontana” Ed. Pettinelli e Co.- Pontedera, Foto Ricci. La fontana venne poi spostata in Piazza Trieste negli anni ’30 Piazza Garibaldi Ed. Oreste Scarlatti - Pisa

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Palazzo scolastico Curtatone L’edificio scolastico del XIX secolo sorge tra la via dell’allora stazione e la piazza Garibaldi. A pianta quadrata con cortile interno centrale, rappresenta l’espressione più evidente dell’architettura neoclassica pontederese. Gli ingressi contrapposti, mostrano delle forme derivanti dai templi classici, che con i loro loggiati segnano la simmetria dei prospetti. L’imponenza dell’edificio viene accentuata dalle semi colonne poste sugli angoli che interrompono la monotonia delle finestre incorniciate a gruppi di tre. L’importanza dell’edificio scolastico viene mitigata dalla presenza del giardino alberato perimetrale che proporziona il volume costruito rispetto alla viabilità circostante. Enrico Agonigi

1960, Piazza delle scuole Garibaldi

1900, Palazzo Scolastico e Scuola d’Arti e Mestieri 1936, Palazzo scolastico. Si vede il Parco della Rimembranza

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Piazza Garibaldi. Si nota in fondo alla piazza il Monumento di Pietro KĂźfferle ai Caduti

3 aprile 1942, Monumento ai Caduti

1936, Parco della Rimembranza. Ed. Gino Dani Pontedera (A.S.V.). Si nota il fabbricato dei Legnami Leoncini ancora esistente. Oggi quello che era il parco in questa zona è Via del Risorgimento

1942, Parco della Rimembranza

Monumento dello scultore Loris Lanini ai caduti. Il complesso marmoreo monumento ai Caduti per la Patria del 1969 e la scultura in bronzo dello scultore e pittore pontederese Loris Lanini (1908-1972) del 1971

Via del Risorgimento, angolo Via XXI Aprile

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Inaugurazione del Parco della Rimembranza in Pontedera (Archivio Scout - Biblioteca del Duomo, Pontedera)

22 novembre 1939, Monumento ai Caduti di Pietro KĂźfferle nella sua nuova collocazione realizzata il 21 aprile 1938 quando venne spostato da Piazza Belfiore a qui. Si noti il giovane balilla (A.S.V.)

Il Parco della Rimembranza. Ogni albero custodiva un nome di un caduto

1941, Piazza Garibaldi - Monumento ai caduti

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VIA DELLA MISERICORDIA, VIA DANTE E VIA ROMA

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ino costruzione dell’ospedale Lotti via Roma era Via dei Cappuccini per la presenza dell’omonimo convento nella stessa zona. Dopo divenne via dello Spedale. I vecchi pontaderesi ricordavano vicino all’odierno sottopassaggio ferroviario un vecchio ponte denominato Ponte dei Frati. Fino al 1866 via della Misericordia era denominato solo il primo tratto della strada fra Via Roma e Piazza Caduti di Cefalonia e Corfù, piazza del Duomo. Via Dante fu pensata come la prosecuzione di via della Misericordia per collegare il centro con la nuova stazione ferrovia secondo il piano regolatore del 1903. Secondo il progetto dovevano essere create “due piazzette ellittiche, una davanti a via Leopardi e l’altra a via Gorizia, delle quali solo la prima venne effettivamente realizzata ed è tuttora esistente”. Marsili Giannini p. 174 Via della Misericordia. Ed. E. Jacques - Cart. Tip. l’Ancora (A.S.V.). Si nota sulla sinistra l’insegna della Trattoria Il Falchetto

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1935, Piazza Umberto I e Via della Misericordia

Via della Misericordia. Ed. Pettinelli & C., Foto Ricci (A.S.V.) Chiesa della Misericordia. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera (A.M.B.)

15 aprile 1905, Piazza Andrea Pisano. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa (A.M.B.)

Piazza della Misericordia. Ed. Pettinelli e Co. Pontedera (A.M.B.)

1926, Via della Misericordia. La foto è stata scattata da Via Dante. Si nota sulla destra il pastificio Niccolò Fogli 1927, Piazza Umberto I e Chiesa della Misericordia. Si nota l’Albergo Trattoria Il Falchetto

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1956, Piazza Via della Misericordia

1932, Piazza Umberto I e Via della Misericordia. Si nota l’Albergo Trattoria Il Falchetto 1968, Via della Misericordia

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18 novembre 1939, Via Dante (A.S.V.)

1926, Via Dante. Si nota il “Garage con rifornimento” di Guido Masi

1958, Via Dante. In realtà è Via Roma angolo Via Dante con la Casa della Gomma A pagina precedente: 29 ottobre 1917, Via Dante. Ed. Corrado Lami Pontedera (A.S.V.) 1914, Via Dante 1914, Piazza Belfiore e Via Dante 1916, Via Dante 1916, Piazza della Stazione e Via Dante. Si nota il Ristorante La Rotonda 1920, Panorama parziale e Via Dante

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PIAZZA ANDREA, VIA BELFIORE, VIA SAFFI VIA I MAGGIO E VIA PISANA Pontedera. I nomi alle nuove strade. Il Consiglio Comunale ha deliberato di dare alle nuove strade e piazza . I nomi di “Via Giordano Bruno”, “Via Dante Alighieri”, “Via Felice Tribolati” e Piazza Belfiore. Il Ponte di Pisa anno XVIII n. 27, 3 luglio 1910

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iazza Martiri di Belfiore fu creata con il piano regolatore d’ampliamento del 1903 Le due strade via Giordano Bruno e via Tribolati collegavano la “nuova” Via Dante con Via Pisana, la via d’accesso alla città da Pisa in cui si trovavano i binari del tram che proveniva dalla città della Torre. Negli anni venti la piazza accoglie il monumento ai caduti di Pietro Kufferle,. Successivamente trasferito al Parco della Rimembranza in Piazza Garibaldi viene poi sostituito negli anni trenta dalla statua di Andrea da Pontedera dal quale la piazza prende il nome. Via Felice Tribolati dedicata al letterato e giurista di Santo Pietro Belvedere diventa Via Martiri di Belfiore. Via Aurelio Saffi prima del 1866 era via dell’Arno.

1937, Piazza Belfiore. Si nota sulla destra Palazzo Ciompi che diventerà poi Camera del Lavoro. Sulla sinistra Palazzo Leoncini

Pietro Küfferle Pietro Küfferle, nato a Verona nel 1871, iniziò il suo apprendistato di scultore sotto la guida del professor Grazioso Spazzi, noto soprattutto per gli interventi al cimitero di Staglieno a Genova. Idealmente seguace del Canova, indirizzò l’allievo verso l’arte classica secondo i canoni dell’epoca. Küfferle aveva cominciato a muoversi per l’Europa già all’età di vent’anni. Dopo aver collaborato a Padova con l’architetto Camillo Boito ai lavori dell’altar maggiore dedicato a S. Antonio e ai restauri alla Cà d’oro a Venezia, nel 1898 approdò in Russia, facendosi notare in diverse mostre dove espose soggetti popolari e “macchiette”. A Praga espose un busto in marmo di Francesco Giuseppe d’Asburgo, ricevendo la grande medaglia d’oro della Esposizione Internazionale del 1901 e le congratulazioni dell’Imperatore. A San Pietroburgo diresse per otto anni un importante laboratorio di scultura. Da lì, poi approdò a Mosca. Diresse per 16 anni la Scuola del Corpo dei Paggi di Sua Maestà lo Zar di Russia. Nel 1917 con il crollo dei Romanov, a causa della Rivoluzione Bolscevica, anche Pietro Küfferle cadde in disgrazia e con la moglie e un figlio rientrò in Italia, lasciando tutte le sue opere in Russia dove, come raccontò il figlio in una lettera inviata a Gabriele d’Annunzio, furono completamente distrutte. L’artista visse momenti difficili a cui si aggiunse la morte della moglie. Fu ospite di alcune famiglie nella Valdera e riprese a lavorare con vigore producendo diversi monumenti e opere minori. Morì a Pontedera nel 1942 e fu sepolto nel cimitero della Misericordia. Del periodo russo, grazie ad una serie di fotografie di un vecchio album di famiglia e a ritagli di giornali, unica testimonianza di quel che resta dell’opera di Küfferle, conosciamo la realizzazione della tomba del Consigliere Atryganiev nel cimitero di Nievskaia Lavra a Pietroburgo e il monumento ai marinai russi della nave “Admiral Makarov” per il loro intervento durante il terremoto di Messina del 1908. A Pontedera lo scultore ha realizzato nel 1923 il Monumento ai caduti in Piazza “Martiri di Belfiore” che fu inaugurato il 3 giugno alla presenza del ministro Galeazzo Ciano e del giornalista pontederese del regime Lando Ferretti. Il monumento rappresenta la Vittoria alata con la testa cinta dalla corona italica che protegge con le ali il soldato che, innestata la baionetta, con la bocca aperta emette un urlo, mentre con le gambe accenna a una carica. Il gruppo posa sopra un ammasso roccioso posto su una base quadrata con due gradoni sovrapposti e perimetrata da una ringhiera passamano. Porta scritto sulla faccia piatta delle rocce le seguenti frasi: “AGLI EROI E MARTIRI / DELLA GUERRA LIBERATRICE / GLORIA D’ITALIA TUTTA / FIORI DI QUESTA TERRA /I CONCITTADINI / CON RICONOSCENZA E FEDE / ITALIANA.”, “MCMXV – MCMXVIII”. Nel 1933 il monumento fu trasferito nel Parco della Rimembranza dove, poi, fu distrutto dai bombardamenti dalla Seconda Guerra Mondiale. Mario Lupi 84

28 aprile 1931, Piazza Belfiore e Monumento ai Caduti. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.M.B.)

1930, Piazza Belfiore e Monumento ai Caduti

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Inaugurazione Monumento ai Caduti Pontedera 3 giugno 1923. Prof. Cav. Pietro Küfferle

1948, Piazza Andrea da Pontedera

1952, Piazza Andrea da Pontedera

1967, Piazza Andrea da Pontedera 13 settembre 1925, Via Provinciale. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera (A.M.B.). Siamo all’angolo tra Via I Maggio e Via Saffi. Il locale con i tavolini fuori è il Bar Tabacchi Ferretti. La casa alla sulla sinistra è la casa natale di Giovanni Gronchi dove vi nacque il 10 settembre 1887. Oggi vi à una lapide che recita: In questo luogo all’indirizzo di Via Pisana 2 nacque Giovanni Gronchi Presidente della Repubblica Italiana dal 1955 al 1962 a cura del Centro Studi di Giovanni Gronchi. Dicembre 1987 Piazza Andrea da Pontedera Piazza Andrea

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1 giugno 1903, Strada Provinciale Pisana. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa (A.M.B.)

I vecchi Macelli Comunali che si trovavano dove oggi è Via dei Vecchi Macelli che congiunge Via Stefanelli con Via Saffi. Nella seconda foto partendo dall’alto si notano i pali usati dai funai per la realizzazione delle corde (A.S.V.)

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I QUARTIERI Oltrera, Oltreponte, Di là d’Era, Dopo Era, Borgo Oltrera… Quanta musica stonata!!!

C

hissà quando, come e perché, nascette “Fòrderponte”. Toponimo popolano esplicito e sintetico compreso in una congiunzione tra avverbio e sostantivo. Le tracce rimandano più o meno al XIII secolo quando tutto ebbe il suo comincio nella cornice di un castello pisano che dal ponte sull’Era prese il nome (Pons Herae), mentre ad est di questo una grande radura palustre e boscosa che gli estimi tramandarono con i nomi di “Monteghisi” e “Male tagliata”, a memoria di rovinose inondazioni, si estendeva fino ai piedi dei colli di Poggio al Vento. Targioni Tozzetti osservava che: “...i ponti sono troppo necessari nelle strade, ...e per lo più uno serve a molte comunità, ed a più strade che in esso fanno capo. Quindi è, che vicino ai Ponti, per comodo de’ Viandanti, vi suol essere d’ordinario la locanda, l’osteria, la bottega del maniscalco ed altre abitazioni, le quali se crescono di numero, ecco formato un Villaggio.” Ecco, Fòrderponte, nacque e crebbe come poliedrica stazione di servizio (osti, locandieri, taverne, vetturini, maniscalchi, barrocciai, stallieri….) per i viandanti che giungevano con le suola stanche dalla via Regia Fiorentina e avevano la necessità di rifocillarsi e rimettersi in sesto prima di attraversare il ponte ed entrare nella città murata per sbrigare le loro faccende e i loro affari. Però, nel divenire, proprio quel ponte, dapprima eretto di traverso, poi da Napoleone raddrizzato, nato con lo scopo di collegare e congiungere, se ne stava lì, da molti inteso come fosse un muro invisibile a sanzionare la distinzione sociale e tagliare, e separare Fòrderponte, quasi fosse un appendice plebea, rude e villana della Ponte ad Era di allora, così come ci narra la leggenda che vuole Fòrderponte zona di miseria e di briganti, mentre in centro fioriva lo sviluppo fra le mura. Allora, ci fu sicuramente qualcuno dentro “lo castello”, arguto, perspicace e dotato di spirito, che per primo, indicando quella “robetta” ad est, di là d’Era, battezzò “Fòrderponte”, e così accese la luce su un’espressione che divenne un toponimo volgare in quel di Ponte ad Era e nei territori circostanti. Ma quella definizione dialettale, rintracciabile già nell’immediato post medioevo, alla quale anche la curia diede il suo imprimatur, adeguandosi e facendone uso (extra pontem), prese anche significato e valore un “cincinino” spregiativo. Tanto che chi se ne stava protetto e al riparo tra le mura, dispensava quella nomination, con un sapore e un senso simile a quello con cui nella capitale si etichettano i “burini”. Cioè quelli di “fòri”. Contadini, campagnoli, buzzurri, gente rozza, zotica, volgare. Nel medesimo modo erano considerati quei luoghi di là d’Era: fòri-derponte…, fòri-lemura…, fòri-comunità fortificata…, fòri-consesso e controllo civico…, fòri-grazia d’Iddio…, fòri! fòri! fòri! fòri!… Un “Fòri” cioè, gravido di sensi ad excludendum, a sottolineare una minorità. Una inferiore e degradata appartenenza di comunità. Siccome però il tempo è galantuomo e come spesso accade chi di spada ferisce di spada perisce, chi opprime sarà oppresso e chi perseguita sarà perseguitato, anche Fòrderponte nella storia successiva ebbe il suo riscatto, dato da una grande espansione che dagli anni ’60 del secolo scorso in poi, a poco a poco, ha via via scippato impianti, infrastrutture, attività e servizi, ad un Centro sempre più imprigionato e ingabbiato dai corsi d’acqua e dalla ferrovia. Così una rivoluzione si è compiuta rispetto a quei tempi, nemmeno troppo antichi, quando dal Centro, quelli di là d’Era, venivano di soppiatto ammiccati con l’indice: “giragli alla larga a quello, è di Fòrderponte!”. Un’appartenenza che già di per se, significava l’essere catalogati alla stregua di una razzumaglia prepotente e poco raccomandabile, con la quale era bene non mischiarsi, perché c’era solo da perdere e ben poco da guadagnare… Un’arbitrio, una discriminazione e un’offesa che sono stati vendicati! Sono tanti quelli che nei trascorsi, si sono battuti e spesi senza risparmio per il “riscatto” di Fòr der Ponte, luogo operoso e di grandi passioni sociali e politiche. Tanti, ad avanzare a testa alta, come un Quarto Stato con le toppe rammendate. E allora perché fare ad essi torto? Perché cambiare il nome?

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2 agosto 1928, Via Provinciale Fiorentina. Ed. Gino Dani Pontedera (A.S.V.)

Anni ’30, Piazza Trieste. In fondo alla piazza sulla sinistra l’ingresso del Campo Marconcini e la Palestra

Via Vittorio Veneto A pagina precedente: Panorama di levante e Ponte sull’Era. Ed. Gino Dani Pontedera (A.S.V.) 2 agosto 1928, Via Provinciale Fiorentina. Ed. Gino Dani Pontedera (A.S.V.) Anni ’20, Piazza Trieste (A.S.V.) 1940, Piazza Trieste (A.S.V.). La fontana fu trasferita qui da Piazza Garibaldi negli anni ’30 1960, Campo Marconcini inaugurato il 7 gennaio 1922. In alto a destra si nota la chiesa di San Giuseppe 1936, Via Provinciale Fiorentina. Sulla prima casa sulla sinistra che si incontrava percorrando la strada si poteva leggere: “Pontedera 14 L.M.”. Pontedera 14 metri sul livello del mare

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Anni ’60, Viale Italia

Anni ’60, Viale Italia

Anni ’60, Villaggio Gronchi - Corso Italia

Rispetto a tutto ciò, già “Oltrera”, il nuovo conio di Don Vasco Bertelli degli anni sessanta (peraltro dedicato semplicemente ad una squadra di calcio), di fatto operava una revisione storica, con un suo oggettivo, ma comunque positivo, potenziale di inclusività. Si superava cioè, e in qualche modo vendicava e riscattava infatti quel “fòri” che la Curia stessa aveva già legittimato in precedenza, traducendolo con: “oltre”, in una forma più elegante e neutra. Ciò nonostante, l’innovazione giungeva quasi fuori tempo massimo, quando ormai ogni titolazione con riferimenti al di qua o al di là del ponte, appariva stonata e superata dallo sviluppo impetuoso e travolgente già in corso. Non si può però giocare troppo con la storia e con la realtà. C’è quindi un’area territoriale che per nome e cognome si chiamava “Fòrderponte”, che ha diritto di rivendicare il toponimo per il suo intrinseco significato e per la sua legittimità storicamente accreditata. Tutto il resto è noia, direbbe lo scomparso Califano. Poi, tutti i nomi possono cambiare ed avere una sua evoluzione. Non c’è una norma che lo impedisce. Si pensi a Pons Herae/Pontedera, o a Florentia/Fiorenza/Firenze. E altri mille esempi si potrebbero portare. Quindi anche l’antico toponimo volgare di Fòrderponte si è “civilizzato” ed ha assunto una sua forma più raffinata e meno dialettale: “Fuori del Ponte”. Ma è nella congiunzione tra “fuori” e “ponte”, che risiedono i contenuti, il senso, le ragioni e le motivazioni storiche oggettive (extra pontem = extra moenia). Nell’epoca moderna, della città post-murata, con l’enorme sviluppo urbanistico, iperbolico e inarrestabile soprattutto ad est del fiume Era, gli assetti e gli equilibri dimensionali cittadini sono stati totalmente rivoluzionati, tanto che perdono di senso e risultano privi di cognizione logica, tutti i tentativi di revisione del solo e unico nome legittimo: Fuori del Ponte. Un cittadino foresto che si dovesse orientare oggi a Pontedera, come potrebbe essere aiutato dalle nuove definizioni che spaziano da “Oltrera”, “di là d’Era”, “Oltreponte”, “dopo Era”? Tutte più o meno valide e appetibili se annoverate tra speculari e seducenti strategie di marketing, ma con la storia di Pontedera che c’azzeccano? Chiamare “Borgo Oltrera” la nuova lottizzazione sul “Campaccio” di Fòrderponte, da un punto di vista storico è roba da ridere. Da relegare semplicemente nel novero degli slogan seducenti, con i quali accompagnare le promozioni commerciali - immobiliari, senza però alcuna minima attinenza con la storia di quel sito. Nella nuova realtà ormai consolidata, di un fiume che taglia la città in due parti pressappoco uguali tra loro, ogni nome “moderno” riferito ad una collocazione geografica rispetto al ponte, risulta fasullo e anacronistico. Perché dire: “oltre il fiume Era”, “oltre il ponte”, in eguale misura, può avere un senso, così come il suo esatto contrario. Si può cioè intendere sia la parte est che quella ovest rispetto all’Era. Dipende solo da quale parte è collocato il punto di visuale. Perciò è quindi più coerente e logico che a restare in piedi sia solo il toponimo storico, quello che ha un senso e una sua radice. Cioè, uscendo dal vulgo: Fuori del Ponte!!! Altrimenti occorre pensare a qualcosa di nuovo che calzi ed esprima la nuova realtà. Il quotidiano “La Nazione” in cronaca locale, rompendo gli indugi ha chiamato Fuori del Ponte nelle sue aree espansive, la “Nuova Pontedera”. Una definizione in un certo senso appropriata, realistica e che rende oggettivamente l’idea. Essa però può generare contrarietà e disappunti, se intesa come l’ostentazione di una conquistata supremazia di Fuori del Ponte rispetto al vecchio “centro storico”. Per certo, se oggi si vuol guardare le cose con obiettività, c’è un’area che corrisponde a Fòrderponte così com’era verso la metà del secolo scorso, che ha il diritto di rivendicare il proprio nome, in memoria di una condizione storica reale antica, vissuta dalle generazioni precedenti. Tutti i nuovi nomi fanno invece parte di restyling e maquillage, privi di senso e di legami col passato, ed ancora meno con gli evoluti (attuali e ancor più futuri) assetti urbanistico - strutturali, che impongono rispetto al fiume Era la presa d’atto di due evidenti macro realtà territoriali: “Pontedera est” e “Pontedera Ovest”. Riccardo Minuti

La Bellaria: Viale della Vittoria, Via IV Novembre e Via Diaz Il quartiere de La Bellaria che si sviluppava oltre la ferrovia, ha rappresentato nella prima metà del ’900 la nuova espansione borghese di Pontedera. Le prime strade che lo compongano mostrano una particolare attenzione alla sistemazione a verde dietro la quale si sviluppa una sequenza di villette dal sapore strettamente razionalista, con linee essenziali che definiscono i volumi degli edifici, che terminavano nell’incrocio con via Roma dove da una tipologia abitativa si passava ad un area produttiva con il Cordificio Marconcini, dal bellissimo rigore razionalmente monumentale e la prima industria Piaggio.

La zona “Alla Bellaria”era ‘hiamata Di già da prima della ferrovia. Dice ‘he c’era l’aria ‘nprofumata ‘ver tanto da spirà’ la poesia. Forse bellaria gliera ‘r ber raffronto de’ raggi ‘olorati der tramonto. Giuliano Boldrini, La Bellaria – ‘R fosso vecchio in Pontedera e’ su’ Rioni, 1991 p. 39

Enrico Agonigi

(A.S.V.)

Anni ’60, Viale Italia

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I VILLAGGI Il Villaggio Piaggio Costruito nel 1934 in adiacenza dell’Industria Piaggio come aggregato insediativo dei dipendenti, rappresenta una grande trasformazione di Pontedera sull’asse viario verso Pisa. Realizzato all’interno di un perimetro su un sistema ortogonale di piazze e strade, sulle quali un sistema di edifici a due e tre piani si affacciano, formando un vero reticolo urbano autonomo. Le architetture uniformi, semplici ed essenziali, mostrano una chiarezza di linguaggi espressivo che ne distingue le residenze dagli altri edifici come la chiesa, la scuola e lo spaccio aziendale. Caratteristica che ne denota i contorni è il muro perimetrale, ancora oggi esistente, il quale ha rappresentato l’identificazione e l’appartenenza ad una comunità di lavoratori facenti parte di un sistema integrato ma autonomo della maglia urbana pontederese. Enrico Agonigi

Là dalle parte dove more ‘r sole ‘vando Pontedera s’addormenta, dov’eran poe ‘ase sole sole sortanto risalendo all’anni trenta subbito avanti guerra prese avvio ‘ver ber rione ‘ndove sto anch’io Interamente fatto dalla Piaggio propio Villaggio Piaggio fu chiamato e fabbriati novi funn’un saggio di semprice disegno assai garbato per e piaggiasti viense ‘ostruito di strade e di servizi ben fornito Giuliano Boldrini, E villaggi in Pontedera e’ su’ Rioni, 1991 p. 43

Viale Tosco Romagnola

Via Tosco Romagnola. Sulla destra si vede la pesa pubblica

Anni ’60, Villaggio Martelli A pagina precedente alcune immagini del Villaggio Piaggio negli anni ’60: Ingresso del Villaggio Piaggio Villaggio Piaggio Interno del Villaggio Piaggio Interno Villaggio Piaggio Interno del Villaggio Piaggio - La Chiesetta Chiesa del Villaggi Piaggio

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Via I Maggio e Via Fiorentina. Sulla sinistra la Concessionaria Fiat Stassano

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L’AEROSCALO

N

el 1913 con l’affermarsi in Italia della specialità aeronautica, la Regia Marina prese in considerazione l’idea di costruire un aeroscalo per dirigibili nella zona di Pontedera. Al tempo non esisteva ancora una forza armata “aeronautica”, autonoma da Marina ed Esercito; fu istituita infatti solo nel 1923. I reparti dell’aria, con i loro mezzi volanti, in particolare i dirigibili, costituivano dei corpi speciali all’interno delle due forze armate di terra e di mare. Nella Marina si faceva uso strategico dei dirigibili, chiamati nelle specifico “aeronavi” (da cui il termine “aeroscalo”). Questi risultavano assai efficaci per il pattugliamento dei mari e per l’avvistamento dal cielo di sommergibili, poiché non esisteva ancora una tecnologia avanzata in grado di rintracciarli. Il progetto di realizzare un aeroscalo nell’area pisana giungeva anche in relazione ai piani militari “antifrancesi” che tenevano conto delle alleanze politico-militari del momento. Nel 1913 l’Italia era ancora legata agli Imperi Centrali (Austria-Ungheria e Germania) nella “Triplice Alleanza”, patto firmato a Vienna il 20 maggio 1882. Una flotta di dirigibili, posizionata in prossimità della costa toscana e della foce dell’Arno, avrebbe permesso di tenere sotto controllo da un’eventuale minaccia navale “transalpina” l’Alto Tirreno e il Mar Ligure, dall’Isola d’Elba, alla Corsica, fino alla Liguria, a protezione dei porti di Livorno e di La Spezia. La scelta della campagna di “Curigliana”, a sud ovest di Pontedera, fu determinata in particolare dalla relativa vicinanza con il mare, dalle condizioni climatiche favorevoli - soprattutto i venti - e dalla presenza della linea ferroviaria Firenze-Pisa-Livorno (la vecchia “Leopolda”). Nei progetti fu previsto e poi realizzato un tratto ferroviario che, staccandosi dalla linea principale, penetrava dentro il recinto dell’aeroscalo giungendo fino all’aviosuperficie. Il Comune di Pontedera autorizzò la realizzazione dell’impianto nel marzo del 19141 e i lavori iniziarono nell’inverno 1914/15. Lo stato maggiore della R. Marina chiese di accelerare i tempi di consegna, in seguito allo scoppio della guerra. La supervisione dei lavori fu assegnata alla Direzione del Genio della Marina di La Spezia. L’appalto fu affidato dal Ministero della Marina alla ditta “Savigliano” di Torino e i lavori si protrassero per tutto il 1915 fino all’inizio del 1916. Si verificò anche un ritardo a causa di un fortunale che si abbatté su Pontedera il 25 settembre del 1915. La tempesta di vento procurò gravi danni al cantiere, abbattendo parti delle strutture ancora in fase di ultimazione. Finalmente alla conclusione dei lavori si vide spiccare da lontano, nella campagna di Curigliana, la sagoma del grande “hangar” per il ricovero dei dirigibili. L’immagine, insieme a quelle del decollo e dell’atterraggio dei dirigibili, con l’entrata nel grande portello dell’hangar, rimase impressa a lungo nella memoria collettiva della città, anche per le forti impressioni che destava; essa fu conservata di generazione in generazione fino ai nostri giorni. Il modello della base con le sue istallazioni era quello degli altri aeroscali già esistenti in Italia, in particolare Campalto (VE), Ferrara e Iesi (AN), realizzati pochi anni prima. Oltre all’hangar sorgevano una palazzina comando, le caserme per il personale, officine, depositi di carburante, una torre con il serbatoio dell’acqua e una piazza d’armi. Ottima la viabilità con l’apertura delle strade di accesso, senza dimenticare il collegamento ferroviario alla Firenze-Pisa-Livorno. Di fronte all’hangar era posizionato un pallone aerostatico per la rilevazione dei venti ma necessario anche come segnalatore e punto di avvistamento. Fu istallato poi, durante la guerra, un hangar ausiliario più piccolo, per il ricovero delle aeronavi di minori dimensioni. Con il cambio dei patti militari - l’Italia abbandonò la “Triplice Alleanza” per passare all’“Intesa”, con Francia, Russia ed Inghilterra - l’aeroscalo di Pontedera si trovò in una posizione strategica secondaria, rispetto ai piani iniziali. Nonostante ciò non poteva essere trascurata la minaccia “sottomarina”, rappresentata questa volta non più dai mezzi navali francesi ma dai micidiali U-Boot, i sommergibili tedeschi ed austro-ungarici che incombevano sulle rotte mediterranee delle navi italiane. Perciò con l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915, alla piccola flotta di dirigibili dell’aeroscalo di Pontedera fu affidato il pattugliamento dell’Alto Tirreno e del Mar Ligure, a protezione dei convogli diretti ai porti di Piombino, Livorno e La Spezia. Per tale scopo la base pontederese fu utilizzata per l’intera durata della guerra. Pur appartenente alla R. Marina, gli equipaggi di stanza a Pontedera erano misti, formati cioè da personale della R. Marina e del R. Esercito.

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Aeroscalo della Regia Marina di Pontedera visto da un dirigibile

1926, Hangar

23 settembre 1915, stato dei lavori dell’Hangar due giorni prima del fortunale 1

Il sindaco era l’Avv. Francesco Maglioli.

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Ancora oggi nel luogo del disastro si erge un cippo funerario a ricordo dei caduti. Una lapide commemorativa è posta sulla facciata del municipio di Castellina Marittima. 3 Il Comandante F. Fenu, nato ad Ascoli Piceno il 3 giugno 1891 ma di origine sarda, fu un ottimo dirigibilista. Arruolato nel Genio Aeronautico, era stato in precedenza un brillante studente di ingegneria ed un insegnante. Aveva operato come dirigibilista prima ad Oriolo Romano (novembre 1916) e successivamente a Venezia (1917) dove aveva completato l’addestramento e dove fu impiegato per la difesa della città lagunare dalle incursioni aeree austro-ungariche, con gli aerostati. Fu nominato ufficiale di bordo, assegnato al dirigibile U5 e trasferito a Pontedera. Conseguito il brevetto di Comandante, gli fu dato il comando dell’U5. Il 18 aprile 1918 fu promosso al grado di tenente. Lasciò la giovane moglie ed i genitori. 4 Le salme furono trasferite negli anni ’80 presso la sezione militare del cimitero di S. Stefano ai Lupi di Livorno. 5 Il progetto fu autorizzato dal Ministero della Marina; l’aeronave impiegata era l’M-9. Il comando aveva previsto tre itinerari: A): Pontedera - Lucca - Pisa - Livorno - Pontedera; B): Pontedera - Lago di Massaciuccoli - Pietrasanta - Massa - Marina di Massa - Forte dei Marmi - Viareggio - Pontedera; C): Pontedera - Empoli - Firenze - Pontedera. 6 L’N-1 era troppo lungo e, per essere “ricoverato”, era necessario che il portellone dell’hangar rimanesse aperto. 7 L’Esperia era un dirigibile tedesco della serie Zeppelin, di tipo rigido. Si chiamava in origine LZ 120 “Bodensee”; fu assegnato all’Italia come riparazione di guerra. 2

Manifesto murale per la reclame per le escursioni turistiche di beneficenza pro famiglie bisognose dei morti in guerra di Pontedera

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L’episodio più rilevante accaduto durante gli anni della “Grande Guerra” fu un incidente aereo, occorso ad uno dei tre mezzi in dotazione all’aeroscalo: l’Aeronave “U5”. Il 2 maggio 1918 a pochi mesi dalla conclusione del conflitto, il piccolo dirigibile durante il rientro da una missione di pattugliamento, si schiantò al suolo in località Valdiperga, nel comune di Castellina Marittima2. Nell’incidente perirono i cinque i membri dell’equipaggio, tre del R. Esercito, il comandante tenente Federico Fenu3, con i sottotenenti Enrico Magistris e Luigi Carta Satta e due della R. Marina, il sottocapo telegrafista Michele Rosato e il sottocapo motorista Tommaso Perrone. I funerali si svolsero nel Duomo di Pontedera alla presenza delle autorità civili, militari e religiose. I caduti furono tumulati nel Cimitero della Misericordia4, dove ancora oggi una lapide li ricorda. Alla fine della guerra, fu istituita a Pontedera una commissione d’inchiesta per individuare le cause dell’incidente. Le indagini non dettero risposte definitive. Fu ipotizzato un cedimento strutturale, provocato da una forte corrente ascensionale e forse dall’usura del velivolo. Alla commissione prese parte anche Umberto Nobile allora vice-direttore dello Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche di Roma e Celestino Usuelli, costruttore del dirigibile. Negli anni dell’immediato dopoguerra i dirigibili di Pontedera furono impiegati anche per voli turistici, finalizzati a scopi umanitari: il reperimento di fondi da devolvere alle le famiglie dei caduti in guerra. L’aeronautica in quegli anni era ancora ai primi passi e l’utilizzo “civile” dei mezzi volanti in piena fase “sperimentale”. Per di più un volo turistico con la possibilità di ammirare dall’alto panorami mai visti prima, poteva costituire una esperienza “esclusiva” per molti, offrendo emozioni uniche5. L’iniziativa iniziò nel 1919 e si rivelò subito di grande successo; con sole 100 Lire si poteva volare per la durata di 2 ore da Pontedera a Firenze e poi fino al mare, sorvolando l’intero Valdarno, i Monti Pisani, la Lucchesia e gran parte della costa toscana. Negli anni successivi grazie anche ad esperienze di questo tipo, si intensificarono le relazioni sociali tra il personale della base e la città. Ne è testimonianza ancora oggi il ristorante “AeroScalo” della famiglia Marianelli che prese il nome proprio dalla base e divenne punto di riferimento per i dirigibilisti che transitavano nella base di Pontedera. Molte famiglie di avieri si stabilirono poi in città. Con la costituzione il 28 marzo 1923 della Regia Aeronautica, come forza armata autonoma, l’aeroscalo di Pontedera passò sotto il controllo di quest’ultima. Si intensificarono in quegli anni i rapporti tra la base per dirigibili di Pontedera e lo Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche di Roma, guidato da Umberto Nobile i cui studi sui dirigibili “semi-rigidi” portarono allo sviluppo e all’impiego di quel tipo di modello. Si intravedevano infatti nuove e notevoli possibilità di utilizzo, non solo in campo militare. Le aeronavi di Nobile costituivano una “terza soluzione”, preferibile sia ai grandi dirigibili “rigidi” (es. gli Zeppelin tedeschi) molto pesanti e pericolosi per il gonfiaggio ad idrogeno e i piccoli “flosci” (es l’U5) troppo leggeri, poco manovrabili e pericolosamente ingestibili di fronte a condizioni meteorologiche avverse. In particolare il dirigibile N-1 atterrò in numerose occasioni nell’hangar di Pontedera, anche alla presenza del suo celebre costruttore6. Ceduto poi alla Norvegia e ribattezzato “NORGE”, raggiunse l’11 maggio del 1926 il Polo Nord, comandato dallo stesso Nobile, in una spedizione italo-norvegeseame­ricana con a capo l’esploratore polare Roald Amundsen. Un anno prima dell’impresa polare, lo stesso dirigibile N-1 fu protagonista di una missione di tipo sperimentale, per esaminare prestazioni e rispondenze del mezzo, sotto determinate condizioni di volo. Si trattò di un “raid dirigibilistico a due” tra l’N-1 e il dirigibile rigido “Esperia”7. Il 30 maggio 1925 alle ore 22.30 il dirigibile di Nobile decollò dall’Aeroscalo di Pontedera al comando del capitano Giuseppe Pomarici, con a bordo un equipaggio di 8 uomini e 5 passeggeri. L’N-1 s’incontrò con l’Esperia, partito nel frattempo da Ciampino, a 10 km circa da Capo Corso. Le due aeronavi italiane proseguirono quindi alla volta di Barcellona che raggiunsero alle ore 8.20 del giorno successivo, dove furono accolte da una folla festante. Era presente all’evento il Re di Spagna Alfonso XIII. Nella storia dell’aeroscalo pontederese si possono rintracciare anche circostanze legate alla competizione tra il “più leggero” (dirigibile) e il “più pesante” dell’aria (aeroplano), disputa che alla fine vide l’affermazione dell’aereo quale mezzo più efficace e da sottoporre a sviluppi tecnologici ed investimenti futuri. Ciò in seguito anche ai molti incidenti che coinvolsero i dirigibili. Ricordiamo tra gli altri la caduta del dirigibile N-4 “ITALIA” durante la seconda trasvolata artica (1928) di Umberto Nobile. Il declino dell’impianto alla fine degli anni ’20 fu in stretta relazione con l’abbandono del dirigibile come mezzo militare. L’aeroscalo perse progressivamente operatività, la piccola flotta fu ridotta ad una sola aeronave; rimase il solo dirigibile P.M. che lasciò Pontedera il 12 gennaio 1928. Si chiudeva così un periodo glorioso per l’intera città e per il suo aeroscalo.

La Regia Aeronautica riconvertì l’installazione in “aeroporto”; l’avio-superfice fu allungata e divenne una pista per il decollo e l’atterraggio degli aeroplani. Il grande hangar non era più necessario; fu smantellato e sostituito con due edifici più piccoli, adatti al ricovero degli aerei. Negli anni ’20 l’imprenditore genovese Rinaldo Piaggio acquistò la CMN (Costruzioni Meccaniche Nazionali) di Pontedera. Rinominata “Officine Piaggio”, l’azienda fu convertita alla produzione di bombardieri (tra cui il noto quadrimotore Piaggio P.108); essa si ingrandì, aumentando strutture e personale. Le officine sorgevano in prossimità del Campo d’Aviazione, la presenza dell’avio-pista e del collegamento ferroviario risultò di grande utilità tantoché, negli anni successivi, le strutture dell’ex aeroscalo, tra cui la palazzina comando e le caserme, furono inglobate tra gli edifici della nuova industria aeronautica. Restano oggi poche testimonianze della presenza dei dirigibili ed in generale dell’aviazione a Pontedera durante il XX secolo, la via Hangar, la via dell’Aeroporto e parte del braccio ferroviario seppur ricoperto in parte dal manto stradale. La R. Aeronautica riconvertì l’installazione in “aeroporto”; l’aviosuperficie fu allungata e divenne una pista per il decollo e l’atterraggio degli aeroplani. Il grande hangar non era più necessario; fu smantellato e sostituito con due edifici più piccoli, adatti al ricovero degli aerei. Negli anni ’30 l’imprenditore genovese Rinaldo Piaggio acquistò la CMN (Costruzioni Meccaniche Nazionali) di Pontedera8. Rinominata “Officine Piaggio”, l’industria s’ingrandì aumentando strutture e personale. Le officine sorgevano in prossimità del Campo d’Aviazione, la presenza dell’aviopista e del collegamento ferroviario risultò di grande utilità tantoché, negli anni successivi, le strutture dell’ex aeroscalo, tra cui la palazzina comando e le caserme, furono inglobate tra gli edifici della nuova industria aeronautica. L’ex CMN fu destinata alla produzione di bombardieri. Dalle officine della nuova industria aeronautica vide la luce il grande quadrimotore Piaggio P.1089 che effettuò il suo primo volo dall’Aeroporto di Pontedera il 24 novembre 193910. Le strutture aeronautiche di Pontedera furono utilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale dalla Regia Aeronautica e dalla “Luftaffe”, l’aviazione militare tedesca. La pista ed in genere tutto l’impianto militare, subì ripetuti e pesanti bombardamenti poi, con l’arrivo degli “alleati”, fu presto riparata. Gli americani cementificarono l’aviosuperficie11, utilizzandola per le loro missioni. L’aeroporto di Pontedera, a partire dagli anni ‘50 del 20° secolo, perse gradualmente di rilevanza, anche a causa della eccessiva vicinanza con l’aeroporto di Pisa. L’Aeronautica Militare, pur mantenendone il controllo, cedette la struttura in usufrutto alla Piaggio che ne utilizzò l’aviosuperficie come pista di prova per i propri prodotti motociclistici. Gran parte dell’industria aeronautica in Italia, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fu riconvertita ad uso civile. La Piaggio aveva iniziato nel 1946 la produzione della Vespa e degli altri motocicli. Ma il suo ideatore, Corradino D’Ascanio, era in origine un ingegnere aeronautico; egli era giunto nel 1932 alla Piaggio per sviluppare nuovi progetti in campo aeronautico. Si era dedicato in particolare agli studi di aeromobili con pale rotanti. Alcuni fra i prototipi di quello che sarebbe divenuto poi l’elicottero, furono sperimentati sulla pista d’aviazione di Pontedera. A partire dagli anni 2000 tutto ciò che rimaneva delle vecchie strutture aeronautiche (principalmente la pista) fu definitivamente smantellato, per far posto alla progettata zona industriale PIP III. Restano oggi poche testimonianze della presenza dell’aviazione a Pontedera durante il XX secolo, la via Hangar, la via dell’Aeroporto e parte del braccio ferroviario, ricoperto in parte dal manto stradale.

Piaggio aveva acquistato anche altre aziende meccaniche in provincia di Pisa. 9 Il Piaggio P.108 fu protagonista anche di un grave incidente aereo, avvenuto il 7 agosto 1941 vicino a Pisa. Nella tragedia perse la vita Bruno Mussolini, insieme ad altri due piloti. L’aereo, in fase di atterraggio, si schiantò al suolo nei pressi di Cisanello a causa di un improvviso calo di potenza dei motori. 10 Progettato dall’Ing. aeronautico Giovanni Casiraghi, il P.108 con altri celebri bombardieri italiani, aspirava a realizzare le teorie sul dominio dell’aria del grande stratega e ideatore della guerra aerea Giulio Douhet. 11 La pista prima era in terra battuta. 8

Aeroscalo di Pontedera. Ed. Vincenzo Pettinelli Cartoleria e Profumeria - Pontedera (A.M.B.)

Paolo Gori

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1927, Dirigibile in manovra di atterraggio

23 giugno1927, Il Dirigibile in volo Ed. Gino Dani Pontedera (A.M.B.)

Il Dirigibile in volo. Si tratta della foto precedente ma con un’aggiunta che la rende un falso storico: la scritta Norge

A pagina precedente: 1918, Campo di Aviazione. Ed. Pettinelli - Pontedera (A.S.V.). Si nota al centro la polveriera dell’Aeroscalo 1919, Campo di Aviazione. Ed. Pettinelli - Pontedera (A.S.V.). La palazzina comando con dietro la struttura dell’Hangar 23 marzo 1925, Campo di Aviazione. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera (A.S.V.). Il Dirigibile N. 1 “ricoverato” parzialmente nell’Hangar. La nuova classe “N” di Umberto Nobile era di dimensioni maggiori rispetto ai precedenti Dirigibili per cui era stato progettato l’Hangar

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1926, Hangar e caserma Aeroscalo

23 novembre 1928, Dirigibile in manovra di atterraggio. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.M.B.)

1926, Hangar

1921, Hangar

Campo di Aviazione. Si tratta di un fotomontaggio

1924, Campo d’Aviazione

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1934, Interno della Stazione e Hangar militare

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LA GUERRA

I

n una relazione del Comandante dei Vigili di Pontedera redatta il 27 maggio 1941 si legge, tra l’altro “...per Pontedera non si può certamente invocare la mancanza di reddito da parte dei caffettieri stessi, perchè è notorio che come ora certamente non hanno mai lavorato, dato i guadagni che si stanno verificando nella nostra città e che consentono anche ai meno abbienti, di frequentare i locali sopradetti…”. In effetti l’entrata in guerra non ha portato, almeno apparentemente, gran turbamento in città. È stato introdotto l’oscuramento, si sono viste le prime, improvvisate difese antiaeree, c’è stata una ulteriore riduzione dei generi contingentati ma, tutto sommato, il tran tran giornaliero non è cambiato di molto. Anche il vuoto lasciato dai numerosi richiamati alle armi è stato più che colmato dall’arrivo di nuovi operai e tecnici assunti dalla Piaggio, oramai mobilitata per la produzione bellica. Unica variante, più propagandistica che altro: la golena e tutti i terreni comunali sono stati trasformati in orti di guerra. Così, sino a buona parte del 1942, la guerra a Pontedera non appare nella sua drammatica realtà. Si ascolta in piedi la lettura dei bollettini bellici; la notizia dei primi caduti, dei primi dispersi e dei primi prigionieri non coinvolge tutta la collettività ma rimane un fatto relegato all’interno delle famiglie, di ciò avvertite dal Commissario prefettizio con lettera riservata. Verso la fine del 1942 la situazione si fa invece più chiara nella sua drammaticità e la fiducia nella vittoria finale inizia ad abbandonare gran parte della popolazione. I morti, i dispersi e i prigionieri sono diventati troppi per essere taciuti; nonostante la propaganda e la censura, gli insuccessi militari sono evi-

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A Pontedera martoriata Povera cara Pontedera mia, come t’hanno ‘onciata colle bombe! Persino ‘e ponti t’han portato via E hanno rivortato anco le tombe Er corso poi gliè tutta ‘na maceria: tetti sfondati, gronde pendoloni… dove vorgi lo sguardo è ‘na miseria che ti smuove dall’occhi ‘e luccioni. Vado in piazza der tramme ove son nato per vedere er destin di ‘asa mia ma meglio gliera se non cero ‘ndato perché gliè tutta ‘na malinconia. La ‘asa nun c’è più! Sulle macerie sopra ‘na trave posta a testa ‘ngiù c’è ‘na ‘ulla ripiena di miserie e di riordi della gioventù Bruno Pasquinucci, A Pontedera martoriata in I versacci di Bistino, 1996 p. 149

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I danni dei bombardamenti in Piazza Martiri della Libertà

Gli operai e gli impiegati piaggisti, uniti a tutti i lavoratori italiani, intendono recare il loro efficace contributo al ristabilimento della normalità di esistenza nazionale che assicurerà ai lavoratori l’integrale riconoscimento della loro funzione sociale e l’appagamento del loro diritto ad un tenore civile di vita. I lavoratori della “Piaggio” si propongono di partecipare attivamente al movimento di FRONTE NAZIONALE che, sorto dalla coalizione di tutti i partiti e movimenti italiani operanti per il ripristino delle libertà politiche e civili, rivendica oggi per il popolo italiano la PACE e la LIBERTÀ, condizioni indispensabili alla effettiva restaurazione del patrimonio politico ed economico della nazione italiana1. Il Piaggista, Anno 1, n. 1 - Pontedera, 23 agosto 1943 in Tempi di lavoro. Gli uomini che fabbricarono la Vespa. Il Piaggista (1952-1987) e lo Scioperone del ’62, Tagete Edizioni, Pontedera 2012 p. 24 1

Alle pagine precedenti: Mines in Via Gotti (dal libro Riccardo Minuti, Ponte ad Era inCanto, Tagete Edizioni, Pontedera 2010) Piazza del Duomo (dal libro Riccardo Minuti, Ponte ad Era inCanto, Tagete Edizioni, Pontedera 2010)

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denti. L’Etiopia è persa, sconfitte ad El Alamein, le forze italo-tedesche sono costrette ad abbandonare la Libia e ad arrocarsi in Tunisia mentre in Russia il corpo di spedizione italiano è travolto dall’offensiva dell’Armata Rossa. Se il 1942 è finito male, l’inizio del 1943 si presenta peggiore: in Tunisia le truppe italo-tedesche continuano a perdere terreno, strette dappresso dall’ottava armata avanzante dalla Libia e dagli Americani sbarcati in Algeria, finché a fine maggio le forze dell’asse in Tunisia sono costrette alla resa. La guerra si sta sempre più avvicinando al territorio metropolitano. Gli operai della Piaggio sono inquieti e nelle officine si inizia a prendere consapevolezza della realtà; è pur vero che la scritta “Vincere” continua a campeggiare sui muri della grande fabbrica ma una nuova parola d’ordine la sta sostituendo nelle menti e nelle discussioni, “Pace e Pane”. La crisi alimentare si fa sempre più grave e le guardie municipali sono costrette ad organizzare turni di sorveglianza notturna per preservare le patate degli orti di guerra dalle incursioni dei ragazzi di Bella Di Maj. I bombardamenti stanno sconquassando il paese, a maggio è stata la volta di Livorno. I Pontederesi osservano con preoccupazione i lenti lavori che dovrebbero dotare la città di nuovi rifugi antiaerei. Gli allarmi sono sempre più frequenti e ad ognuno di essi gli operai della Piaggio si precipitano all’esterno dello stabilimento, invadendo a centinaia i coltivi limitrofi. La situazione desta preoccupazione nei proprietari dei fondi, spingendoli a sottoscrivere una lettera di protesta al Commissario Prefettizio per lamentare la distruzione delle coltivazioni, il saccheggio degli alberi da frutto e il continuo furto di ortaggi. Il 25 luglio la caduta del fascismo trova la città affamata e spaurita; vola qualche schiaffo e per un po’ i fascisti spariscono, ma dura poco. Per Badoglio “la guerra continua” e con essa continuano i bombardamenti: il 31 agosto gran parte di Pisa è distrutta. Certamente la Piaggio rientra negli obiettivi dell’aviazione “nemica”; i Pontederesi lo sanno, come sanno che la città è praticamente priva di difese. Gli allarmi continuano. La sera dell’otto settembre la radio interrompe le trasmissioni per trasmettere un proclama del Maresciallo Badoglio: l’Italia ha firmato la resa. A Pontedera, come in tutto il paese, scoppia la pace, ma è la pace di una notte: il giorno dopo inizia l’occupazione tedesca e con i tedeschi tornano i fascisti. con un proclama che minaccia gravi sanzioni, il commissario prefettizio Braccino Braccini ordina ai dipendenti comunali di tornare al lavoro. Di lì a poco Braccini diventerà Podestà. Sarà il comune a procurare il vitto ai tedeschi di stanza in città, a reperire i locali per la sede del loro comando e a provvedere alla loro pulizia. Il 6 gennaio un primo bombardamento colpisce la zona della stazione, il 18 viene distrutta la zona di Bella di Maj mentre il 21 sono colpiti la Piaggio e il suo aeroporto. Un altro bombardamento interesserà la zona della Piaggio e dell’aeroporto verso la metà di maggio. Tra gli abitanti si contano un centinaio di morti, ma il peggio deve ancora arrivare. In luglio il fronte si avvicina e la città diventa bersaglio delle artiglierie alleate. Il 18 luglio i Tedeschi, dopo aver fatto saltare varie opere pubbliche, siti produttivi e disseminato mine ovunque, si ritirano al di là dell’Arno. Il giorno dopo le truppe alleate entrano in Pontedera; ora a colpire la città sono i cannoni tedeschi piazzati al di là del fiume. Pontedera rimarrà in prima linea per oltre quaranta giorni che costeranno alla città altre decine di morti. Solo il primo settembre gli Americani attraverseranno l’Arno per continuare l’avanzata verso la linea gotica. Per Pontedera la guerra è finita ma i danni e le distruzioni sono stati ingenti. Come riporta Giuseppe Caciagli su Pisa -Monografia della Provincia i danni subiti dalla città sono così riassumibili: abitazioni civili - vani distrutti 8302, vani gravemente danneggiati 1620, vani leggermente danneggiati 2714 industrie: quasi completamente distrutte le officine Piaggio, la Cucirini Cantoni Coats e le Manifatture Toscane Riunite. Gravemente danneggiate tutte le altre industrie. A ciò vanno aggiunti la distruzione di tutti i ponti dell’Arno e dell’Era e i danni ingenti a tutte le altre opere pubbliche. Alessandro Spinelli

La provincia di Pisa fino al solstizio d’estate del ’44 aveva sofferto soprattutto per i pesanti bombardamenti aerei americani che con crudele accanimento avevano colpito i più importanti centri urbani come Pisa e Pontedera, causando la paralisi di ogni forma di vita organizzata e produttiva. Distrutte la quasi totalità delle industrie e delle vie di comunicazione. (…) il vero grande esodo dai centri abitati si registra nei primi mesi del ’44. In quel periodo sulle colline pisane, in tutta la Valdera e sui monti di Buti, si riversa la popolazione di Livorno, Pisa, Pontedera, ma in parte anche di Empoli, Firenze e Massa Carrara. Pontedera subisce il primo bombardamento il 6 gennaio, festa dell’Epifania. Ma è solo un assaggio (…) i danni agli impianti della stazione sono ingenti, ma la città è intatta. Dodici giorni dopo, alle 13,30 del 18 gennaio, un martedì, si abbatte su Pontedera il primo bombardamento a tappeto quando 36 “Fortezze Volanti” riversano sulla città centinaia di bombe da 155 libbre distruggendo gran parte del centro storico e uccidendo un centinaio di persone (…) I bombardamenti a tappeto si ripetono il 21 e il 22 e Pontedera diventa una città fantasma. (…) Lo sfollamento di Pisa inizia all’indomani del 31 Agosto 1943, data che ricorda uno dei più micidiali bombardamenti della città da parte di 152 “Fortezze Volanti” che sganciano oltre 400 tonnellate di esplosivo che in sette minuti polverizzano la zona industriale a sud del nucleo urbano e il nodo ferroviario, sia della stazione centrale che quello di San Rossore1. Fausto Pettinelli Fausto Pettinelli, Quando passò il fronte (La Provincia di Pisa nel 1944), CLD Libri, Fornacette 2005 pp. 17, 21-22, 27

1

Piazza Cavour (dal libro Riccardo Minuti, Ponte ad Era inCanto, Tagete Edizioni, Pontedera 2010) Piazza Martiri della Libertà (il Piazzone). Alla salita del Ponte (A.S.V.)

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I FIUMI E I PONTI L’Arno dai navicellai al battello Andrea

“L’

Arno è mio e l’Era der mi’ figliolo” diceva il Galleni, cognome o soprannome che fosse poco importa, tutti lo chiamavan così. D’estate in Arno ci lavorava a cavar la rena e il ghiaione e d’inverno, quando c’eran le piene, stava sull’argine guardare il fiume se non poteva pescare. Era sempre lì, ricorda Mario Marianelli che prima d’esser licenziato dalla Piaggio e andare in Russia a studiar comunismo aveva anche lui cavato rena in Arno insieme al padre. Un lavoro duro, molto duro, e naturalmente poco remunerativo. Ma non c’era granchè da scegliere. Il re dei renaioli, anche perchè fu tra gli ultimi, era però La Regia, che d’estate non si metteva mai una camicia e neppure una canottiera se non per andar per bettole e dietro alle donne. Dalle quali pare fosse molto riamato. Di fronte a loro e a tutti i Galleni e le Regie anche dei secoli precedenti verrebbe la voglia di inchinarsi perchè sono stati loro i veri padroni e al tempo stesso servitori dei fiumi di Pontedera, in una simbiosi che sfiora le grandi passioni amorose dalle quali non si può sfuggire fino al punto di esserne travolti. Per accarezzare meglio la futura città, prima incastellata nelle mura e poi libera d’accoglier tutti, l’Arno decise anche di curvarrsi verso sud da bocca d’Usciana, un suo affluente di riva destra che poi, mezzo secolo fa, l’avvelenò con le lavorazioni industriali, ferita oggi risanata da un grande depuratore. E in fondo alla curva c’era la grande spiaggia di rena finissima dei bagni Oscar e Rosina, la cui memoria si avvia al limite oltre il quale restano solo le immagini fotografiche a testimoniarla, dove i pontederesi andavano al ‘mare’. Bei tempi, da rimpiangere, pur se erano tempi di miseria quasi generalizzata, perchè il mondo d’oggi spaventa. Però con la consolazione dell’Arno ritrovato, come succede a volte nei grandi amori, attraverso il locale di svago a boccadera e il battello fluviale Andrea che hanno riportato migliaia e migliaia di persone sul fiume. Giovani e vecchi, pontederesi e di fuori. Un’impresa che sembrava impossibile e che è invece una realta fra le più belle della moderna Pontedera. Mario Mannucci

10 luglio 1900, Panorama di Pontedera (A.M.B.)

Saluti da Calcinaia. Panorama. Ed. Pettinelli e C. Pontedera. Foto Ricci (A.M.B.). Calcinaia, il paese dei Navicellai

24 novembre 1931, Il fiume Arno e veduta parziale della città. Ed. Stab. Vallerini - Pontedera (A.S.V.). In evidenza lo Scalo dei Renaioli oggi luogo di partenza del battello fluviale Andrea da Pontedera

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18 ottobre 1904, Panorama. Ed. Pettinelli & C. Pontedera (A.S.V.)

22 gennaio 1921, Panorama - Fiume Arno. Ed. Pettinelli (A.S.V.)

Panorama

1922, Lung’Arno

1909, Saluti da Pontedera. Ed. Pettinelli & C. Pontedera, Foto Ricci

1927, Veduta Generale presa dal Fiume Arno

27 agosto 1931, Panorama e fiume Arno. Ed. Arturo Dani - Pontedera (A.M.B.)

9 luglio 1911, Panorama e fiume Arno. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.M.B.)

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12 settembre 1904 Saluti da Pontedera. Pannorama preso dall’Arno. Ed. Pettinelli & C. - Pontedera, Foto Ricci (A.S.V.)

Panorama e fiume Arno. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

14 luglio 1905, Panorama di Pontedera. Ed. Pettinelli & C. - Pontedera, Foto Leone

19 settembre 1966, Fiumi Arno e Era

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La Rosina e Oscare erano i gestori in concorrenza più o meno pacifica, dei due bagni di là d’Arno. Oddio bagni: avevano qualche stendardo colorato lasciato a sventolare su alte calocchie di legno, piantate nella rena. Niente ombrelloni ma per chi (e non erano molti) voleva proprio ripararsi dal sole, c’erano alcune tende variopinte e scolorite, anche queste fissate su pali di legno piantati nella rena. Niente sdraie (roba, caso mai, considerata allora da “senatori”), ma rozzi panchetti di legno. E, si capisce, niente cabine: chi non arrivava già con il costume sotto i leggeri e ridotti panni estivi, aveva a disposizione, lì a due passi, un grande e folto canneto, regolarmente presidiato da quanti, pur di vedere qualche polpaccio di donna, si sobbarcavano il lungo giro, un tre chilometri buoni, per raggiungere la riva destra attraverso il Ponte alla Navetta , sperando sempre che qualche “benefattrice”, pensando (o fingendo) di non essere vista, facesse vedere qualcosa di più. Come, per quei cauti osservatori, andasse a finire è abbastanza facile da immaginare. Ma erano inni alla vita. E i commenti su quelle “prede” di frodo si protraevano per giorni e giorni. Poi, con il tempo, sulla spiaggia d’Arno, fu tirato su un traballante bugigattolo di legno a uso di spogliatoio. E così finirono feste e attentati alle intime virtù. Per l’attraversamento dell’Arno ci volevano dieci centesimi (andata e ritorno); trenta per noleggiare due panchetti e una di quelle povere tende da sole. Poi, chi aveva qualche altro soldino in tasca si poteva permettere un po’ di mentine e un bastoncino di liquirizia più duro del sasso. O magari una gazzosa, tenuta in fresco nella correntina, cioè in quel filo di corrente a cascatelle, di traverso al fiume causato dai resti di quella passerella di fortuna che i soldati tedeschi avevano costruito con le nostre macerie per attraversare l’Arno verso nord, nel luglio 1944, poi bombardata dai caccia americani. Correntina a riva della quale, fin che durò, i nonni e le nonne, respirando a pieni polmoni, portavano al calar del sole i nipotini con la tosse canina o con il mal di gola1.

Panorama (A.S.V.). Si vede la grande spiaggia in riva destra

15 agosto 1943, Foce dell’Era Arno (A.S.V.)

Mario Marianelli Mario Marianelli, Su Arno, su Era nelle bettole la vecchia Pontedera in povertà sua lieta, Tagete Edizioni, Pontedera 2010, pp. 31-32 Fiume Arno, tramonto

26 ottobre 1920, Foce dell’Era - Arno. Ed. Berretta S.A. - Pontedera (A.S.V.)

1938, L’Arno di sera

1935, Sulle Rive dell’Arno ed Era

1950, Foce del Fiume Era

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IL PONTE ALLA NAVETTA Nuovo Ponte Eretto Sull’Arno presso Bocca d’Usciana dall’Architetto Ridolfo Castinelli

P

resso la popolosa terra di Pontedera, a tramontana dì essa è un luogo sulla riva destra dell’Arno che chiamasi Bocca d’Usciana. Chi un tempo, per amore di solitudine la percorreva, là giunto, se per astrazione obliava il breve cammino, certo dovea dubitare di essersi inoltrato per molto spazio lungi dai luoghi frequentati da spesso popolo; imperciocchè vedeva ad un tratto, come in regione selvaggia, formarsi ostacolo di monticelli, che squarciatisi in età più remota mostravano, non verde e fiorito il dorso, ma scarno, sassoso perpendicolare, come è quello di frana. Sotto questo precipizio chiamato la Costiera del Bufalo, contro il quale battevano le acque del fiume, era una Capanna adombrata da due grossi olmi: una Barca vedevasi sovente legata presso di quella. In questo solitario scosceso loco sboccava una angusta strada, che terminava in tronco nelle acque; e la Barca era il miglior modo che si offrisse al viaggiatore per traghettarle e giungere all’altra sponda. Dall’una parte è il Val d’Arno inferiore; poi la Val di Nievole; dall’altra la bassa Valle dell’Era, la Pianura pisana: e le une e le altre popolarissime, ricche, ubertose, traversate da molte comode strade. Or qui dove prima fragile Barca concedeva comunicare ai territorj che si estendono sulle due rive, è sorto, come anello di unione più certa e più durevole, un solido magnifico Ponte, eretto per le cure della Società Costruttrice dei Ponti sull’Arno, e col disegno e colla direzione dell’Ingegnere-Architetto Ridolfo Castinelli. Ponte che rimarrà ricordo d’industria, di nobile industria che ha saputo, colla scelta di egregio Architetto, arricchire l’Arno di nuovo edifizio, e facilitare le vie alle popolazioni che abitano il Piano pisano e le due grandi convalli. II vantaggio che per la facilitata comunicazione debbe resultare da quest’opera, rende opportuno il parlarne: così ne sarà riflessa, comunque pallida, la imagine ai tardi e ai lontani che non ancora l’hanno veduta, onde attestar sempre più, che l’utile e buona architettura non è in declinazione fra noi. Il nuovo Ponte è composto di tre grandi arcate, delineate su porzione di cerchio; ciascuna di queste ha una corda di braccia quarantadue, e la sottesa è di Braccia cinque e tre quarti. Le due fiancate che gli servono di testa sporgono braccia dieci nell’alveo del fiume, e si presentano con aspetto di maschia solidità; le due pile intermedie hanno gli squarcia-acqua triangolari e pressochè equilateri: si le une che le altre si

16 settembre 1904, Ponte Nuovo sull’Arno. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera (A.S.V.)

1922, Ponte nuovo sull’Arno

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Il riscatto dei Ponti È noto che i quattro ponti della provincia pisana, tre sull’Arno, uno sul Serchio, sono ancora soggetti ad un antico pedaggio a favore dei concessionari in pagamento e premi delle rispettive costruzioni. Cotesti ponti si chiamano: di «Navetta» o «Bocca di Usciana», di «S. Giovanni alla Vena», di «Zambra», tutti e tre sul fiume nostro, e da non confondersi con quello di ferro, che abbiamo qui fuori Porta a Mare, di costruzione recente, soggetto pure a un pedaggio e che non entra affatto nella attuale trattazione. Il quarto si chiama «Ponte del Serchio», perchè, in territorio pisano, traversa quel fiume lucchese. Non crediamo di dir cosa nuova, qualificando i pedaggi per veri anacronismi, tramandatici dal feudalismo e da cui i paesi tormentati aspirano ad affrancarsene. L’anno scorso parlò in questo senso il nostro giornale ed ora l’agitazione delle popolazioni è giunta fino alle autorità, che la trovano giusta e si occupano di soddisfarla. D’altronde le costruzioni, risalenti ai tempi del granducato Lorenese, sono state già largamente pagate e premiate dalla prolungata riscossione dei pedaggi, e, se pur resta ai concessionari, o loro successori, qualche discutibile diritto alla continuazione della riscossione, la prevalente ragione dell’utilità pubblica deve suggerire una soluzione equa per tutti, indispensabile per gli abitanti, pel commercio, per l’industria, l’ agricoltura ecc. È risaputo che le facili comunicazioni sono uno dei principali fattori di prosperità, di civiltà e di Progresso, nè ci piace di indugiarci in dimostrazioni sociologiche ed umanitarie, a base di luoghi comuni. Ci si dice che il riscatto dei quattro ponti importi alla Provincia la spesa di circa 2,100,000 di lire, le quali si rimborserebbero all’Ente. che le fornisse, in annualità di un 16 mila lire fra interessi ed ammortamento del capitale. Frattanto allo stato attuale delle cose il transito sui ponti del voluminoso materiale, occorrente alla manutenzione delle Strade costa alla Provincia lire 16,000 l’anno, somma enorme in rapporto al misero valore del pietrame e di quanto altro occorre. Aggiungendo a cotesto balzello, esoso di sua natura ai giorni nostri, quel che il transito costa ai rispettivi Comuni e ai privati, ci pare che scaturisca limpida la convenienza del riscatto al quale è certo che di buon grado concorreranno i Comuni, plaudendo essi e i privati, contribuenti coi gravi tributi ai bisogni della viabilità, ed aventi quindi diritto di averla libera e quale la modernità, richieda. Le 6000 lire in più tra l’attuale spesa di 10,000 lire e le 16,000 del riscatto per un periodo transitorio, appariscono largamente compensate da vantaggi materiali e morali importantissimi. Le adesioni degli interessati Consigli comunali non possono mancare e si afferma che alcune siano già state votate. Noi facciamo i più caldi voti per la pronta e favorevole soluzione di questa questione d’ accordo con persone competenti ed autorevoli, e terremo informato il pubblico di ciò che avverrà, col massimo impegno. Il Ponte di Pisa anno VIII n.18, 6 maggio 1900

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elevano sopra un imbasamento di pietre lavorate. Una cornice andante di travertino ricorre sotto l’impostatura delle volte, e con mirabile accorgimento serve nelle fiancate al passo degli Alzaioli, avendo quivi per questo fine più aggetto che nelle pile. La impostatura delle volte non vedesi, come d’ordinario, sul vivo dei piè-dritti; ma invece in questo Ponte è nel mezzo alla grossezza di questi: e sembra che così operando, siasi voluto ottenere la maggiore possibile sveltezza, senza nuocere alla solidità della struttura. Né gli squarcia-acqua terminano alla altezza della cornice, ché troppo disadorna sarebbe restata la mole. Sopra ciascuno di essi s’inalza una edicoletta, che colla leggiadra sua forma molto ne accresce la grazia. Le edicole sono a volta internamente, e ai due lati esterni sono aperte con due finestroni arcati sul sesto acuto. L’artifizio qui è singolare: se l’Artista avesse voluto piramideggiare con un massiccio muramento, avrebbe reso più grave l’architettura e coperto il punto ove s’incontrano le pinte delle volte; ora con questo magistero che aggiunge tanta eleganza, si può vedere tutta la costruzione di esse fino dove s’incontrano i loro archi. Anche il rinfianco è alleggerito, chè invece di essere un solido, non tanto opportuno per archi di scarsissimo sesto, vi sono praticati dei trafori cilindrici con diametro maggiore delle tre braccia, i quali passano da parte a parte. Questi che nulla tolgono alla stabilità, non essendo suscettibili di schiacciamento, aggiungono una tal quale bellezza, mentre alle loro testate sono ornati di archivolti di marmo lavorati in stile gotico. Sono essi pure di primo esempio, non avendo somiglianza coi trafori circolari praticati al Ponte sul Taro, poichè in quello non si ravvisano sopra i rinfianchi ma sivvero sul solido delle pile. Sopra i trafori, l’edicole ed il vertice delle volte, come corona rigira altra cornice, disegnata con dolci e semplici moduli più ampia della prima, come ragione vuole, ma della istessa materia. Essa abbraccia tutto il corpo della fabbrica ed è al livello del piano stradale. Finalmente sopra la cornice sta elegante parapetto, costruito di pietrami a trafori nei tratti che ricorrono sul solido delle pile e delle fiancate, di ferro fuso nel rimanente. Il piano stradale dall’una all’altra spalletta è largo braccia undici e mezzo, la lunghezza totale del Ponte è di Braccia 420 compreso le fiancate. Questa mole, condotta colle forme artistiche del Secolo XIV, ci fa accorti che l’Architettore ha saputo ritrarre da quello la bella ispirazione, che lo ha fatto artefice di opera egregia. Il genio e l’arte aiutandosi a vicenda nella sua mente, l’hanno resa generatrice di questa maestosa e ad un tempo leggiadra creazione. Per vederla in quel modo che presenta l’effetto il più sorprendente, bisogna contemplarla dalla Costiera del Bufalo in bel giorno sereno al sole cadente. Allora essa si disegna nell’orizzonte sopra i movevoli abbaglianti riflessi delle acque quasi come una linea: tanto è svelta e leggera. Ma come se questa linea facesse troppo ostacolo alla bella prospettiva, la viene interrotta da quei trafori attraverso dei quali si vedono, come in tanti quadri, le dolci e verdeggianti campagne, gli effetti, le mille tinte delle arie. Mentre l’animo è tutto commosso per tanta creazione in mezzo al magnifico lussureggiar dei campi; e se alcuno si fa più dappresso allorchè imbruna, all’aspetto di quelle liste di travertino bianche e nere, di quelle edicole, di quella croce pisana che adorna il parapetto, presto senttirassi compreso di ammirazione, quasi che fosse sotto la volta di un sacro edilizio. Se poi le rimembranze della Istoria si affaccino alla sua mente, egli domanderà a sè stesso: se, in questo contrastato confine, dove fu versato tanto sangue fraterno, abbiano i posteri in espiazione eretto monumento di pace. E può dirsi che questo sia trofeo di pace e di alleanza, da che qui l’ire fraterne sono spente, e i popoli rivali formano una sola famiglia. Numerose io diceva di sopra essere le popolazioni alle quali era agevolato Io avvicinarsi; e ora mi piace, perchè sembri meno vago il mio asserto, riportare qualche cifra in comprova. Immensa sarebbe, se tutta annoverar volessi la popolazione delle interne valli che qui dechinano, e della vasta pianura: ma basterà al mio assunto, notare la superficie e la popolazione delle Comunità che trovansi in una linea di circa miglia sedici lungo il corso dell’Arno. Sulla riva destra, alla distanza minore di circa un miglio, è il capoluogo di Calcinaja, e alla maggiore di miglia nove è la cospicua terra di Fucecchio. Tutte le comunità che fronteggiano al fiume in queste distanze, sono le seguenti: Comunità........................ Superficie........................Popolazione Vico-Pisano..................... Mq. 20.......................N° 9570 Calcinaja......................... » 5.........................» 2890 Monte Calvoli................. » 2.........................» 1171 Santa Maria in Monte.... » 12.......................» 3309 Castel-Franco.................. » 13.......................» 4145 Santa Croce.................... » 9.........................» 6000 Fucecchio........................ » 22.......................» 10030 __ _____ Mq. 83 N° 37115

Sulla sinistra dell’Arno, alla distanza minore di un miglio è la terra di Pontedera, e alla maggiore di miglia nove e mezzo è il capoluogo di Palaja. La superficie e la popolazione di queste grandi Comunità e delle altre che fronteggiano al fiume, è la seguente: Comunità........................ Superficie........................Popolazione Cascina............................ Mq. 20.......................N° 14706 Pontedera........................ » 14.......................» 8148 Montopoli....................... » 5.........................» 3017 Palaja............................... » 34.......................» 8427 __ _____ Mq. 80 N° 34298

Questi resultamenti statistici sarebbero da sé soli bastevoli a dimostrare la utilità della impresa: ma il movimento non limitasi certamente alle disegnate comuni soltanto. La pianura meridionale pisana e Livorno, la Maremma, la Val d’Era da una parte; e la Val di Nievole tutta con la montagna pistoiese, per la nuova strada di Mammiano dall’altra, sono tratte nel movimento che debbe effettuarsi per il facilitato passo del nuovo ponte. In verità, bisogna ben dirlo, quando ancora erano per barche incomodi i passi dell’Arno a Bocca d’Elsa presso Empoli, e qui a Bocca d’Usciana, un delizioso tratto di provincia che è lunghesso il fiume sulla destra, tutto cosparso di terre ragguardevoli per popolazione, ricchezza, antichità, e per fatti stupendi, non era tanto frequentemente visitato dalla maggior parte dei Toscani che abitano più intorno il centro dello Stato. Ma ora tutti vorremmo percorrere questa contrada che da Bocca d’Elsa giunge al ponte sopra descritto. Chi non visiterà con piacere le belle Terre di Fucecchio, di Santa Croce, di Castel-Franco, di Santa Maria in Monte, interessantissime a noi per grandi ricordi, e si dolci per la loro situazione in mezzo ad ubertosi campi e ridentissimi colli? Se un giorno sereno conceda vedere le Castella e i campi e i colli nel loro splendore al passeggero, lungo e caro ricordo ne conserverà nel suo cuore. La Società Costruttrice dei ponti, per questo di Bocca d’Usciana uniformandosi alle perspicaci proposizioni del suo Ingegnere-Architetto Ridolfo Castinelli, comprese di quanta necessità fosse il sistema stradale per dargli accesso, e come giovar potesse costruir nuove vie per aprire nuovi sbocchi, e migliorare le antiche onde facilitare il carreggio per quelle che erano più aspre. Annuendo il Governo, fu data esecuzione al piano proposto. La prima Strada fu eseguita a spese della Società per render facile e piano l’accesso al ponte dalla antica Vìa provinciale Francesca. Essa è stata tagliata sulla ripidissima Costiera del Bufalo, lungo il corso del fiume, superando con maestria e felicità gli ostacoli che opponeva l’asprezza del luogo. Il difficile taglio giunge a grande altezza, chè in qualche punto non è minore delle cinquanta Braccia. Benchè situata lungo il fiume ed esposta all’urto delle acque, la strada è difesa con opere opportune contro il loro impeto. Un altro tronco di Strada si parte dalla Postale pisana poco prima di giungere ai fabbricati di Pontedera, dal Termine-indicatore. Questa che ha la lunghezza di circa un miglio, e la larghezza di braccia quindici, dà accesso al Ponte dalla pianura pisana e dalla Val d’Era. Come in prosecuzione di questa, è una nuova via tagliata in dirittura dell’asse del Ponte. Essa or traversando dei poggetti e delle vallicelle, e quindi il letto dell’antico padule di Montecchio, poi costeggiando un poggiolo giunge a Santa Colomba, ove entra nella Strada traversa della Val di Nievole. Ed è da questo punto che ora coll’altro tronco forma la prosecuzione più facile e comoda della Traversa medesima, fino alla Postale a Pontedera. Da questa terza Strada poco oltre il Ponte, altra diramasi a sinistra di non minore importanza. Tagliata nella più breve linea a tramontana del poggiolo di Montecchio, va a sboccare nella gran piazza della Terra di Bientina. Per il dato impulso, nella Comune di questo nome, oltre la Terra fino alla dogana del Tiglio è stata rettificata l’antica Strada: e cosi quando saranno pure nello Stato lucchese terminate le rettificazioni che attualmente si fanno, allora sarà aperta una comoda e utilissima comunicazione con Lucca e il suo territorio. Dalla descrizione che ho data di questa rete di strade, che forse un dì verrà compiuta con altre di non minore interesse, ben si rileva di quanta importanza debba essere, quali riavvicinamenti debbano per essa derivare; e quindi qual variazione sia per effettuarsi nella fisonomia di tutto questo paese. Se ricco e magnifico oggi noi lo vediamo, ben più ricco e migliore lo vedranno i figli nostri. Avvegnachè per il facilitato avvicinarsi degli uomini debba ingentilirsi quella ruvidezza che nell’isolamento rende l’uomo meno sociabile, più attaccato alle antiche consuetudini (siano pur riprovevoli), e più ritroso ad accettare le nuove idee.

Pisa - Cascina. Ed. Raffaello Scacciati (A.M.B.)

12 marzo 1910, Cascina, Veduta delle antiche Torri. Ed. Giuseppe Caruso - Pisa, Foto Ranieri Adorni Braccesi (A.M.B.)

Bientina, Piazza Vittorio Emanuele (lato di Levante) (A.M.B.)

Bientina, Piazza Vittorio Emanuele. Ed. Bonocchi, Foto Bonini (A.M.B.)

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Giornale Agrario Toscano n° 58 in Giornale Agrario Toscano compilato da una deputazione dell’I. e R. Accademia Economico Agraria dei Georgofili vol. XV, al Gabinetto Scientifico-Letterario di G. P. Vieusseux, Tipografia Galileiana, Firenze 1841 pp. 121-128

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È giusto dirlo, la Società che si è formata per la costruzione dei ponti sull’Arno, e l’Ingegnere-Architetto che ha imaginati, eseguiti e diretti i lavori, sono veramente benemeriti della Toscana, e precipua cagione di quanto avverrà di buono in questa parte di provincia. Possa cosi bell’esempio essere efficace a persuadere come si debbano condurre le intraprese di speculazione con onesto accorgimento, in modo che per esse derivi utile e onore agli Azionisti, e resti alla Nazione un monumento di progredito commercio, di migliorati costumi1. Carlo Martelli di Prato

14 marzo 1903, Castelfranco di Sotto. Edifizio con cateratte metalliche presso il Ponte di Montecalvoli. Ed. Luigi Rosato - Fucecchio. Foto Coronaro (A.S.V.)

1918, Ponte sull’Arno (A.S.V.). Si nota sulla destra la costruzione che serviva un tempo per il pagamento del pedaggio e che i vecchi pontaderesi chiamavano “la dogana”

Nuove cateratte sul fosso di Usciana

Ponte sull’Arno (A.S.V.)

Montecalvoli, Cateratte a bocca d’Usciana

1922, Saluti da Pontedera - Ponte Nuovo sull’Arno. Ed. Pettinelli & C. - Pontedera (A.S.V.)

20 febbraio 1920. Ponte sull’Arno. Ed. S. Rugiati Pettinelli - Pontedera (A.S.V.) Ponte Alla Navetta con la neve

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1957, Ponte sull’Arno. Ed. Gasperini Mafalda Pontedera (Archivio Privato Sergio Vivaldi - Pontedea) 1963, Ponte alla Navetta. Si notano in alto a sinstra i nuovi macelli comunali

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L’ERA L’Era, un destino antico

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a mitologia ci racconta come Era, la moglie di Giove che i romani chiamarono Giunone, scoppiasse in ira tremende quando scopriva, e non succedeva di rado, un tradimento del marito. Il fuminante sovrano degli dei. Forse è per questo, per il nome che si porta dietro dal tempo degli etruschi, che l’Era-fiume-torrente sa arrabbiarsi così tanto in così pochissimo tempo. In un baleno si arrabbia e si gonfia di liquida ira (e se fossero lacrime, di rabbia e dolore, di moglie tradita nell’onore?) fino a sfiorare i ponti e la sommità degli argini, che anche quasi mezzo secolo fa ruppe invadendo la città. Per quanto ci faccia ancora paura, l’Era che conosciamo noi cittadini d’oggi è comunque cento volte meno dannosa rispetto a quella di mille, duemila o diecimila anni fa. Allora gli argini non c’erano e il fiume arrivava in Arno attraverso rami, rivoli e rivoletti che finivano per diventar palude quando pioveva, tanto che la loro sinistra fama è tramandato dal nome di Maltagliata ancora vivo per la zona che dal più immediato fuori del ponte arriva fino ai confini di Pietroconti. Una palude fetida e malarica, tanto che Niccolò Macchiavelli consigliò a un amico di non passare da Pons ad Heram sul suo cammino per Firenze. Su un ramo dell’Era che addirittura sfociava in Arno dove ora scorre lo scolmatore - e non è un caso - i pontederesi ‘neolitici’ di cinquemila anni fa campavano comunque benino pescando e allevando i primi animali domestici. Un’altra conferma che anche l’Era, come il fiume più grosso, è nel sangue, nel dna, di questa città. Con in più il fatto che la città si porta l’Era anche nel nome. Da quando è stato canalizzato nel percorso attuale, il fiume-affluente-torrente che nasce su uno sperone di roccia vicino a Volterra (il monte Voltraio, già munito di castello poi conquistato dai volterrani) e che ha costruito, scavandola, la Valdera, ha avuto anche il suo ponte. Più volte franato e più volte rifatto, dal quale la città stessa è nata ed è cresciuta. Anche la Fiera deve molto a quel ponte che i pastori usavano, unico possibile, nelle transumanze di ritorno, in ottobre, dai monti alle maremme. Mario Mannucci

Nel mezzo di certe collinette sempre di fiorite erbuccie coperte, e da ombrosi boschetti studiosamente fatti per invescar gli augelli, si vede una Terra di molti abituri e d’alcuni palagi ripiena, assai bella e dilettevole a riguardarsi, presso alla quale scorrendo un fiumicello dell’Era chiamato, il quale nell’Arno sbocca non più che dieci miglia da Pisa discosto, concioffiancchè sopra quello un vago ed arcato ponte si vede, dagli abitatori con corrotto vocabolo è chiamata Pontedera1. Francesco Argelati Il Decamerone di Francesco Argelati, Giureconsulto, e cittadino Bolognese, Volume primo, per Girolamo Corciolani ed Eredi Colli a S. Tommaso d’Aquino, Bologna 1751, La Mea ama Beco da Buggiano, e dopo uno strano accidente quello per marito prende, ed in appresso vive con lui saviamente, novella sesta, p. 299

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9 settembre 1900, Ponte sull’Era (A.S.V.). Sulla sinistra lo stabilimento Morini con la Torre Civica

1 giugno 1903, Veduta del Fiume Era. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa (A.M.B.)

1903, Ponte sull’Era. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera, Foto Ricci. (A.M.B.). Si noti il convoglio sul ponte e sotto di esso si intravede il Ponte Napoleonico

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IL PONTE NAPOLEONICO Il Ponte che diventa città

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ontedera deve la sua esistenza al ponte. Realizzato per consentire un passaggio sul fiume, in un luogo strategico del territorio, è documentato a partire dal 1173. Quello che oggi conosciamo non è l’unico ponte realizzato sul fiume Era. Vari sono stati costruiti nel corso dei secoli e se ne contano almeno cinque. Senza considerare le sicure presenze nel periodo romano e basso-medievale, delle quali non conosciamo documentazione, abbiamo notizie di quelli costruiti in successione dai Pisani, dai Fiorentini, dai Lorena, da Napoleone e quello esistente realizzato nell’immediato dopoguerra dall’Impresa Forti di Pisa. Potremmo anche aggiungerne almeno altri due, provvisori, e cioè quello in legno del periodo Lorenese e quello in ferro realizzato dagli Alleati durante il secondo conflitto mondiale. Il ponte pisano è documentato ma non sappiamo quale fosse la sua struttura. Forse si trattava di quello rappresentato in una lapide posta sotto il Palazzo Pretorio ma non ne siamo certi. Quello fiorentino fu voluto dal Granduca Cosimo nel quadro della riqualificazione delle strade e delle acque nel Granducato di Toscana. Era stato costruito in mattoni e con due arcate, ma aveva una diversa collocazione sia rispetto all’attuale sia a quello napoleonico. Non si allineava col Corso ed era in diago-

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20 novembre 1922, Il Ponte sul Fiume “Era”. Ed. Stab. Vallerini - Pontedera (A.S.V.)

Ponte sull’Era (A.S.V.)

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Antonio Terreni, “Veduta del Ponte d’Era” l’incisione è databile nel primo decennio del sec XIX. Si nota il ponte distrutto e quello provvisorio in legno (Archivio del Comune di Pontedera)

Ponte in marmo

nale e più a sud. La sua posizione è ancora oggi identificabile nel tessuto urbano limitrofo al ponte lato Oltrera. La particolare disposizione dei fabbricati all’inizio di via delle Colline lo testimoniano tuttora e ci sono anche documenti grafici che ne illustrano la posizione e la forma. Il regime torrentizio dell’Era crea non pochi problemi alla struttura di questo ponte il quale nel 1794 crolla in parte, e poi definitivamente. Viene istituito un passo di barca che però non offre la funzionalità richiesta ad una importante arteria stradale. Più a nord si realizza, a breve tempo, un ponte provvisorio in legno per superare queste difficoltà, ma anche quest’opera, dopo circa quindici anni, viene travolta dal fiume e saranno i francesi nel 1810, in particolare Napoleone, succeduto ai Lorena con la conquista del territorio toscano, a realizzare il più bel ponte ad unica arcata mai fatto a Pontedera. Il moderno esercito napoleonico si muoveva non solo con le milizie e le attrezzature belliche, ma anche con una schiera di genieri, progettisti ed urbanisti che intervenivano per migliorare le infrastrutture sia a fini militari che civili. Lo scopo era naturalmente quello della conquista del territorio ma anche di uniformare lo standard urbano con quello delle città francesi. Non si pensò quindi di realizzare solo il ponte ma fu progettato un intervento su grande scala che comprendeva l’abitato cittadino fino alla porta pisana e ai resti della Rocca che erano ancora in piedi. Dalla sua sommità si doveva vedere tutto il Corso, in perfetto allineamento, e per far questo fu modificato l’asse del vecchio ponte abbattendo e ricostruendo parte dei fabbricati attigui. Per superare le piene dell’Era l’Ing. Garello dell’esercito napoleonico, lo realizzò più alto e ciò comportò un rialzamento delle rampe di accesso con conseguenti interventi alle abitazioni adiacenti. Fu l’Amministrazione Lorenese, che succedette al breve periodo napoleonico, a stilare piani dettagliati per il superamento della maggior pendenza dovuta al rialzamento del nuovo piano del ponte. La Pontedera conosciuta nelle cartoline illustrate della prima metà del XX secolo ci mostra l’immagine di quest’opera che ha retto per circa un secolo e mezzo, fino a quando l’esercito tedesco, durante la ritirata nella seconda guerra mondiale, lo distrusse, cancellando come già accennato, una delle strutture più rappresentative della storia di questa città. Gli alleati ricostruirono provvisoriamente un ponte in ferro prefabbricato e dopo il conflitto fu realizzato definitivamente un ponte a tre luci in cemento armato rivestito in marmo nella stessa posizione di quello napoleonico. Adriano Marsili

Ponte sull’Era

Ponte sull’Era. Ed. Pettinelli e Leoncini - Pontedera (A.M.B.)

Via Vittorio Emanuele Ponte in marmo. Ed. Gino Dani - Pontedera

Corso Vittorio Emanuele Un saluto da Pontedera. Il Ponte. Ed. Oreste Scarlatti Pisa (A.S.V.) 11 novembre 1908, Ponte sull’Era. Ed. Pettinelli e C. Pontedera (A.M.B.) Ponte in marmo sul fiume Era. Si vede la Torre Morini sulla destra e il Ponte di Ferro della ferrovia

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10 aprile 1916, Ponte in marmo. Ed. Corrado Lami Pontedera (A.S.V.)

1957, Ponte sull’Era

1918, Corso Vittorio Emanuele. Alla scesa del ponte

Anni ’60, Ponte sull’Era Questa piccola chiesa pontederese, dedicata al “Pio transito di S. Giuseppe” e alla “Buona Morte” fu costruita dalla famiglia Leoncini su un terreno di sua proprietà e venne benedetta il 3 novembre 1680; successivamente, nel 1683, i fratelli Lorenzo, Giuseppe e Pietro Paolo del fu Giovanni Leoncini vi fondarono un beneficio senza cura d’anime col titolo di priorato, riservandosene il patronato e stabilendo che in assenza di eredi diretti tale diritto passasse ai discendenti di Filippo Coccolini, fratello della loro madre; da allora fu regolarmente officiata da un prete residente. Essa divenne centro di una considerevole devozione popolare nella seconda metà del XVIII secolo quando in una piccola cappella laterale in cornu Evangelii fu collocata un’immagine mariana a cui una persona, di cui con ci è stato tramandato il nome, attribuiva la concessione di una particolare grazia. (…) Nel 1866, il priorato fu soppresso dal governo italiano e la chiesa venne incamerata dal demanio. Successivamente fu acquistata da alcuni privati (Menciassi, Fezzi, Melinossi, Meucci, Reali) che poi la cedettero al proposto Francesco Conti; questi la riaprì al culto e la fece officiare da un cappellano. (…) Colpita dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, il proposto Mario Bernardini rinunciò a restaurarla e preferì venderla alla confinante famiglia Frangioni per destinarne il ricavato alla costruzione di una nuova chiesa parrocchiale nel quartiere di “Fuori del ponte”, che per questo fu intitolata a S. Giuseppe e in cui fu collocata anche l’immagine della Madonna del Divino Aiuto1.

1923, Ponte sull’Era

Anni ’40, Ponte sull’Era. Si notano i due campanili costruiti negli anni 1937-38 e dopo il primo palazzo sulla sinistra l’Oratorio di San Giuseppe

Paolo Morelli Scesa del Ponte. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa 19 agosto 1917, Ponte della Ferrovia. Ed. Corrado Lami - Pontedera (A.S.V.). È evidente che non si tratta del Ponte della Ferrovia ma di quello in marmo

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1961, Ponte sull’Era 1964, Ponte sul fiume Era

San Giuseppe in Pontedera 1962-2012. Fuori del Ponte e la sua chiesa, a cura di Paolo Gori, Tagete Edizioni, Pontedera 2012, pp. 32-38

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L’ALLUVIONE L’alluvione che arrivò alle spalle

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uel giovedì di vigilia, i fiumi di Pontedera erano in piena, come quelli di mezza toscana. Facevano paura ma un po’ c’era l’abitudine, anche storica, atavica, visto che soltanto le alluvioni registrate dalle cronache negli ultimi ’900 anni erano state 60, di cui una addirittura in agosto. Si temeva, in quel cupo giovedì e nella ancor più cupa mattina di venerdì 4 novembre caratterizzata dall’auto con altoparlante che diffondeva l’allarme e dagli operai che mettevano sacchetti sulle spallette davanti l’allora trattoria Autista, il tracinamento dell’Arno. Mentre nessuno pensava all’Era, pur in piena che trovava difficoltà a forzare il blocco del fiume più grande. La prima acqua arrivò in tarda mattinata nel quartiere, in forte sviluppo, di Fuori del Ponte. Arrivò, anche in quel caso, dalle spalle, dal fosso Maltagliata e dall’Arno che aveva tracimato a Pietroconti. E tutti i soccorritori si spostarono lì, sulla riva destra dell’Era. Dove però alle 14 l’acqua cominciò a scemare. Sembrò quasi un miracolo e invece era cominciata, con lo squarcio dell’argine della Montagnola da parte dell’Era bloccata dal troppo basso ponte della Montagnola, la vera, drammatica, alluvione di Pontedera. Con due-tre metri d’acqua in tutta la città sulla riva sinistra. Non fece neppure un morto, di fronte ai 34 ufficiali di Firenze e zone circostanti, travolgendo soltanto la bara del farmacista Bartolmeo Caifassi esposta nella chiesa della Misericordia in attesa di funerale, ma provocando 7 miliardi di lire di danni che nonostante i molto parziali indennizzi misero in ginocchio la città. E se la ripresa fu miracolosa, qualcuno, qualche negoziante e piccolo imprenditore non si riprese mai del tutto. Il miracolo vero, questo è il punto, fu che l’Arno non superò le spallette, dalle quali sarebbe arrivato in città con la forza di una violenta e devastatrice cascata. Chi sa quanta gente avrebbe ucciso, mentre l’acqua arrivata dall’Era, alle spalle, rovinò soltanto un palazzo ma consentì a tutti di mettersi in salvo. Mario Mannucci

Lo Scolmatore è stato realizzato tra il 1953 ed il 1966; in una prima fase sono state realizzate le opere in presa e la prima versione del canale per una lunghezza di ca. 23 km. Successivamente, negli anni ’70, le cateratte sono state collegate anche qui ad una “botte” (simile a quella del Fosso Emissario in Fornacette), che convoglia nello Scolmatore anche le acque dell’Usciana che drena a sua volta il Padule di Fucecchio. Negli anni ’80, infine, la sezione dello Scolmatore è stata ampliata al fine di assorbire una portata complessiva di 1400 mc/sec, dei quali 900 derivati dall’Arno e 500 dall’Usciana. Nel Novembre ’66 al Canale Scolmatore mancavano poche centinaia di metri per essere allacciato alle cateratte, per cui quest’opera mancò per poco il suo primo importante collaudo. Una volta completato l’intero Scolmatore tra il 1991 ed il 1993 (altro periodo assai critico per le piene dell’Arno), le sue cateratte sono state messe in funzione in sei occasioni sempre però in misura parziale (2-4 paratie) e per portate variabili tra 300 e 680 mc/sec. Gli effetti positivi sono stati osservati in misura maggiore più nei tratti di fiume a valle che in quelli a monte dell’opera di presa. È auspicabile quindi che, tramite un impiego più accorto delle cateratte e l’esecuzione di tests mirati ad accertare la loro efficacia in condizioni diverse (piene simultanee e/o sfalsate di Era ed Arno), si riescono a stabilire le loro più idonee modalità d’impiego; ciò affinché anche Pontedera possa trarre vantaggio, in termini di sicurezza, da una così importante opera idraulica che incide profondamente il suo territorio. Luigi Bruni Luigi Bruni, Un fiume irruento in Arno amore mio, un viaggio in battello, a cura di Mario Mannucci, Tagete Edizioni, Pontedera 2008 pp. 31-35

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Le chiese Il Duomo Insigne Propositura dei Santi Jacopo e Filippo a grande chiesa “nuova”, in stile neoclassico, venne eretta fra il 1840 e il 1864 su progetto dell’ingegnere fiorentino Giuseppe Michelacci. Consacrata nel 1874, solo nel 1931 vide aggiunto il portico colonnato. Nel 1936 divenne chiesa parrocchiale, derivando l’attuale titolo dalla Chiesa Vecchia. Nel 1948/49 fu parzialmente ricostruita dopo i bombardamenti. Nell’interno, a tre navate diviso da colonne binate con capitelli corinzi, si conservano sui due altari di destra una tela raffigurante l’Annunciazione di Jacopo Chimenti detto l’Empoli (1599) e una Madonna con Bambino e i Santi Teresa d’Avila e Filippo Neri, detta “della Mercede” o “della Neve” del pittore seicentesco fiorentino Francesco Curradi. Le cupole e le volte della crociera sono dipinte a finti cassettoni. Degli anni ’30 del ’900 opere in marmo di Pietro Küfferle: all’esterno gli Evangelisti nelle nicchie (1932), all’interno il battistero con il bassorilievo (1939) del Battesimo di Cristo (il fonte è della bottega di Silvio Corsini – sec. XVI – dalla Chiesa Vecchia). Fra le opere d’arte degli anni ’50/’60 si segnalano le pitture del catino (Cristo e la Madonna fra Santi) e delle vele (gli Evangelisti) di Otello Cirri; gli affreschi della cappella del Sacramento di Dilvo Lotti; il Crocifisso bronzeo sull’altar maggiore (Francesco Nagni); i mosaici della Via Crucis di Mino Rosi; le vetrate di p. Ugolino da Belluno, Mario Vezzelli e altri; la tela col Sacro Cuore (Silvestro Pistolesi). Degli anno ’70 l’ambone in bronzo di Mario Bertini e la Pietà in gesso dipinto di Loris Lanini. Restauri del 1989 (Giampiero Miliffi). Nel transetto destro le spoglie di S. Faustino martire, patrono della città1. Stefano Bertelli

Stefano Bertelli, Le chiese di Pontedera, Biblioteca del Duomo, Pontedera 2001

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L

1916, Il Duomo

Mentì lo stolto allor, che cieco e ignaro, Della Fè che sull’Era ha Trono e Reggia, Credeva, in suo pensier folle ed avaro, Falso lo zelo del Pastore e greggia. D’altra bile si pasce e fiele amaro Al suo del grido che per tutto echeggia: “Ecco alfine il bel Tempio che torreggia Sopra dell’Era e sempre a Lei sia caro” Questo di Religion nobile esempio Sfiderà del gran Veglio i danni e l’onte, E confuso vedrà l’ardir dell’Empio. Mi volga a quello l’umiliata fronte, E pensi al suo fallir che questo Tempio, Del rimedio al suo mal’apre la fonte. G.A. Sonetto Dedicato agli onorandi cittadini Deputati Della nuova Chiesa che con assidue cure e fatiche La edificazione e l’interno compimento ne accelerarono Componimenti poetici pella inaugurazione della nuova chiesa in occasione della solenne festa di S. Faustino martire patrono della terra di Pontedera nei giorni 6, 7, 8 e 9, agosto 1864, Ristori, Pontedera 1864 p. 10

21 dicembre 1901, Duomo, Ed. Pettinelli & C.Pontedera (A.M.B.) A pagina precedente: 1925, Duomo di Pontedera. Feste SS. Crocifisso. Foto G. Aurili - Pontedera (Archivio della Propositura - Pontedera)

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Correva l’anno 1929 e quella piazza che era stata dedicata ai primi del ’900 ad Andrea da Pontedera, allora si chiamava piazza Umberto I. Il fascismo è già al potere da qualche anno. Il grande immobile, che comprendeva diverse abitazioni civili, venne adeguatamente ristrutturato per funzionare come albergo. Posto all’estremità sud dell’antico cardo medievale, all’incirca dove correvano le mura del castello militare pisano, e precisamente a Porta a Buca, mantenne naturalmente il prestigioso nome inalterato: Albergo Armonia. Nel nuovo albergo furono allestite le camere ai piani, bene arredate e linde, fu predisposto un ampio salone per pranzi collettivi. Quasi tutti i locali erano corredati di stucchi alle pareti e ai soffitti e ricchi di lampadari talvolta maestosi, i pavimenti formati da mattonelle dai colori e dai disegni intrecciati. Una mirabilità per chi, in quei tempi, cioè per quasi tutti, aveva in casa i pavimenti con mattoni lucidi di rosso, le porte prive dell’imbotte di legno, cui la luce elettrica, quando c’era era fornita dalla lampadina avvitata sotto il piatto bianco smaltato. La bella e luminosa scritta Albergo Armonia compare in bella vista. Roba da raccontare a casa nelle campagne, a veglia. E allora con la facciata che fa da quinta teatrale al palcoscenico di piazza Umberto I, piazza Duomo, fra lo sciamare dei fedeli che frequentano la chiesa, fra le chiacchere e le occhiate rispettose dei fattori e le grida dei barrocciai e dei contadini convenuti per il mercato del venerdì, allora, dicevano, si consolida sempre più la fama dell’albergo Armonia in tutta la provincia, sia per la cucina rinomata, sia per l’ospitalità1.

Auguri del 1904. Interno del Duomo (addobbo della ditta Fiorentini di Firenze). Ricordo del IV Congresso della Federazionte Toscana fra le Associazioni di Misericordia tenuto in Pontedera il 13 Settembre 1903. Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera (A.M.B.)

Nello Chetoni, Albergo Armonia, Storia, personaggi, aneddoti, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1998 pp. 22-24

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1922, Interno del Duomo

1932, Piazza Umberto I - Duomo

1923, Interno del Duomo - Altare Maggiore Interno del Duomo (Archivio della Propositura - Pontedera) 1904, Piazza Andrea da Pontedera. Ed. Pettinelli & C. - Pontedera. Foto Morroni

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Piazza Caduti Div. Aqui, Cefalonia e Corfù Con la costruzione del Duomo nel 1864 diventò due anni più tardi Piazza della Nuova Chiesa. Tra il 1876 e il 1904 fu Piazza Andrea Pisano e fino al 1975 circa Piazza Umberto I1. Poi Piazza Caduti Div. Acqui, Cefalonia e Corfù Per i pontaderesi è sempre stata Piazza del Duomo. Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro, Storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1985 p. 110

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Piazza Umberto I, con il moderno Albergo Armonia 1931, Il nuovo, artistico loggiato del Duomo, inaugurato il 28 Ottobre 1931

Piazza Umberto I (A.S.V.)

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1943, InternoDuomo Il campanile del Duomo Nel 1937/38 il Duomo vide aggiunti due campanili eretti sul retro, ai lati dell’abside. Essi furono minati nel luglio 1944 e, cadendo rovinarono anche la chiesa, già bombardata in gennaio. Nel 1958, su progetto dell’architetto Renzo Bellucci, fu costruito un nuovo campanile di fattura ardita (alto 53,60 metri), in cemento armato, con tamponamenti in mattoni a faccia vista e travertino, con un’alta cuspide (m. 10,90) rivestita in rame. Venti anni più tardi, problemi di statica portarono alla sua ristrutturazione nelle forme attuali (con rimozione della cuspide, abbassamento – ora è 44,30 metri – e parziale chiusura della cella campanaria) su progetto dell’ingegnere Raffaello Bartelletti (1978/80). Sul lato nord una Madonna con Bambino, in travertino, di Mario Bertini (1958)1. Stefano Bertelli Stefano Bertelli, Le chiese di Pontedera, Biblioteca del Duomo, Pontedera 2001

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Duomo con i due campanili

A pagina successiva: Piazza del Duomo nel dopoguerra senza campanili 1967, Piazza del Duomo

28 gennaio 1933, Duomo. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.) Duomo, i due campanili bombardati

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1962, Piazza del Duomo. Si nota il cartello del cantiere della nuova torre campanaria del Ministero dei Lavori Pubblici 1966, Piazza del Duomo. La chiesa con il campanile di Renzo Bellucci Il Duomo con l’attuale campanile

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La Chiesa Vecchia

Stefano Bertelli, Le chiese di Pontedera, Biblioteca del Duomo, Pontedera 2001

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Santuario del Santissimo Crocifisso

C

ostruita fra il 1270 e il 1272, la chiesa fu completamente trasformata nel corso dei secc. XVII e XVIII (a partire dal 1633). Della struttura medievale conserva tracce, in pietra e in cotto, sul lato esterno destro. Nata con il titolo di propositura dei santi Jacopo, Filippo e Biagio, nel 1936 assunse il titolo di “santuario” del Santissimo Crocifisso. Gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1944 (anche il campanile fu minato), fu costruita fra il 1957 e i ’59 (Renzo Bellucci), con l’aggiunta del nuovo capaniletto a vela all’angolo sud-est. L’interno, ad unica navata, è scandito da sei altari laterali in pietra serena, e conserva notevoli opere d’arte: la statua lignea dell’Annunziata di Nino Pisano, figlio di Andrea da Pontedera, (prima metà del ’300); un affresco staccato del XVI sec., attribuito a Turino Vanni, venerato come Madonna del Carmine; la Madonna del Rosario tra i santi Monica, Domenica e Agostino di Ludovico Cardi detto il Cigoli (1595); la Madonna con le anime purganti di Benedetto Luti (fine XVII sec.); affresco seicentesco anonimo raffigurante il Battesimo di Cristo. Sull’altare maggiore un tabernacolo in argento sbalzato (Silvestro e Gaspare Mariotti 1857/61) che accoglie il Crocifisso ligneo del XVI secolo, venerato come miracoloso dopo l’incendio del 1612. Nella cappella laterale la Presentazione al tempio di Giovan Battista Bracelli (inizi del XVII sec.); la statua lignea policroma di San Sebastiano (seconda metà XVI sec.). Attenti restauri, con notevoli interventi, del 1998 (Fabio Scarpetti)1. Stefano Bertelli

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30 ottobre 1931, Via Vittorio Emanuele e Chiesa della Propositura. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

17 luglio 1908, Interno della Chiesa Vecchia

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Chiesa della Misericordia di Pontedera, restauro 2008-2009, Ritorno alla splendore, pp. 20-23

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Chiesa della Misericordia

Chiesa dei Padri Cappuccini

Storia e restauro

1934, Fontana e Chiesa della Misericordia

28 giugno 1918, Oratorio della Misericordia

La palificata L’ingegnere architetto Luigi Bellincioni negli anni che vanno dal 1883 al 1892, affrontò il primo problema del progettista: in che condizioni è il terreno di fondazione? Lo stato paludoso di quel terreno dove confluivano le acque del fosso intorno alle vecchie mura di Pontedera, poteva giustificare la modesta somma per il suo acquisto, terreno dove sarebbero sorti la sede e la chiesa dell’Arciconfraternita. Nella cronaca dell’epoca questo problema fu risolto dal nostro architetto con l’infissione nella melma di una palificata di pini che lo rese adatto a sopportare il peso della struttura progettata. Il tempo non ha scalfito la solidità dell’edificio, né la seconda guerra mondiale, né l’alluvione. Tutto l’edificio appare, cupola, tamburo e contrafforti decisamente solido e potrà affrontare molti secoli a venire. Il Bellincioni al momento di impostare il piano del pavimento della chiesa lo rese indipendente dalla palificata con uno spazio la cui altezza varia da 80 cm a 120. Sicuramente la struttura che regge il solaio a terra della chiesa è molto robusta tanto che ha potuto sopportare al centro, la macchina necessaria per la sistemazione della lanterna alla cupola, macchina che pesa circa tre tonnellate. Questo spazio è stato scoperto su controllo della direzione dei lavori dai volontari esplorando, in verticale, uno degli angoli dell’esagono sul quale si imposta il tamburo della cupola e, alla fine del quale, sotto il livello del pavimento, si apre questo spazio utilizzato in passato come deposito improprio di vestiti ed arredi della chiesa. Il tetto Il tetto della chiesa, al di fuori della cupola, era costituito da travicelli, travi, mezzane e cotto e coppi e tegoli alla toscana. Il tempo aveva sovrapposto, specialmente nei punti di compluvio, un’enorme massa di detriti e di guano di uccelli, piccioni, cornacchie ecc. che ostruiva i canali orizzontali e verticali delle gronde. Ripulita e scoperchiata questa grande superficie sono stati sostituti i travicelli marciti, recuperate le mezzane, impermeabilizzato il piano di posa dei tegoli e riportato alla sua funzione protettiva dalle intemperie. La cupola I ponteggi esterni, che sono stati portati oltre la lanterna sopra la cupola, hanno evidenziato lo stato reale di conservazione dei tegoli e dei costoloni progettati dal Bellincioni. Nel periodo bellico alcune raffiche di mitra hanno colpito le sei superfici degli spicchi della cupola. Nel restauro operato appena dopo la guerra, i tegoli originari furono sostituiti dai coppi e tegoli alla toscana nei due specchi che gurdano nord e nord-ovest; negli altri quattro specchi i colpi di mitraglia avevano rovinato altri tegoli, che per economia erano stati rabberciati con mestolate di cemento e dipinti color rosso mattone. I tegoli ed i costoloni, con identico disegno e colorazione bellincioniana, sono stati appositamente rifatti da abili artigiani fiorentini, cercati e trovati, nella zona di Ginestra Fiorentina. Nel tentativo di sostituzione molti tegoli si sono completamente frantumati, tanto che in cinque specchi della cupola è stato messo il manto dei tegoli ricostruiti, mentre quelli vecchi e sani ma recuperati ornano lo specchio di cupola ad est, quello prospiciente la Piazza del Duomo.

Stefano Bertelli, Le chiese di Pontedera, Biblioteca del Duomo, Pontedera 2001

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L’

arrivo dei Cappuccini a Pontedera risale al 1639 e la primitiva chiesa, dedicata alla “Visitazione”, sorgeva dove oggi si trova il centro ospedaliero, nel quale i frati officiano ancora la cappella interna. Nel 1871 il convento, ormai abbandonato, perché soppresso nel 1866, fu utilizzato per il nuovo ospedale (Luigi Bellincioni). Nella prima metà degli anni ’30 del ’900 la comunità dei frati aprì un nuovo “ospizio” in una proprietà vicina, dove fra il 1952 e il ’54 è stata costruita l’attuale chiesa (p. Raffaello Franci o.f.m.), dedicata all’Assunta. L’edificio, preceduto da un portico, e con un campanile a vela a nord-est, ha un’unica navata su cui si aprono i deambulatori laterali, e, al suo interno, conserva sull’altar maggiore un prezioso Crocifisso, in legno policromato, della prima metà del ’300, di ambito pisano, proveniente dal soppresso monastero delle Cappuccine in Pisa; mentre nella parte destra si trovano un bel dipinto raffigurante la Visitazione, attribuito alla scuola di Ludovico Cardi, detto il Cigoli (prima metà sec. XVII) e una tela seicentesca col Martirio di S. Fedele, entrambi provenienti dal primitivo convento. Nelle cappelline interne, ai lati dell’ingresso, affreschi/graffiti (1971) di padre Ugolino da Belluno (a destra i “titoli” della Vergine dalle Litanie, a sinistra le creature del Cantico di S. Francesco). Dell’ultimo trentennio del ’900 pitture e raffigurazioni di Francesco e santi francescani, in legno, in bronzo, in vetro, di Flaviano da Modigliana, Alessandro Caetani, Tommaso Toncelli, p. Ugolino da Belluno1.

1963, Via Diaz e Chiesa dei Cappuccini

Stefano Bertelli

Le altre chiese Le altre chiese di Pontedera sono quella di Madonna dei Braccini eretta fra il 1651 il 1652 a poca distanza dalla scomparsa cappella di San Michele di Travalda, risalente all’XI secolo. Fu costruita per ospitare un’immagine della Madonna venerata come miracolosa e conosciuta come “Madonan del Latte”. Ristrutturata sia nel XIX secolo che nel XX secolo, oggi ospita un marmoreo tabernacolo del XVII sec.. Di Arturo Battini sono invece le formelle della pala d’altare e le stazioni della Via Crucis. La Cappella di Santa Lucia invece risale al X secolo. A unica navata ha un piccolo campanile che si appoggia all’angolo nord-ovest. L’ultimo restauro risale al 1976 quando vi furono collocate le stazioni della Via crucis in terracotta di Paolo Calamai. Un’altra importante chiesa è quella di San Giuseppe, più giovane perché risale al 1962. Deve il nome all’Oratorio di San Giuseppe che si trovava alla salita del Ponte ma che fu completamente distrutto dai bombardamenti del 1944 e da cui proviene la venerata immagine della Madonna del Divino Aiuto. All’interno si possono ammirare le opere in terracotta e in ceramica dell’artista pontederese Vinicio Modesti. Agli anni settanta risale poi la chiesa del S. Cuore nel quartiere I Villaggi dalla originale pianta poligonale caratterizzata dall’esterno a rustico e dal tetto rivestito in rame. La più moderna è senza dubbio la chiesa de Il Romito costruita tra gli anni novanta e gli anni 2000 con pianta romboidale e corpi tondi su tre vertici, tetto a capanna in cotto all’esterno e legno all’interno. Pregevole all’interno una Madonna con Bambino in ceramica di Vinicio Modesti che proviene dalla vecchia chiesetta prefabbricata.

1965, Chiesa dei Cappuccini

Chiesa di San Giuseppe. Foto Marco Bruni

Le finestre Chi guarda la facciata su via Valtriani si accorgerà che la porzione più vicina al confine nord - lato proprietà signori Ferretti - è stata modificata con quattro finestre con persiana, riproducendo in qualche modo gli stilemi delle facciate del Bellincioni. Il quale ancora una volta va visto anche come inventore di particolari e di sistemi costruttivi ammirevoli. Infatti le sue persiane che scorrono all’interno della muratura hanno subito solo l’offesa dell’incuria e della sporcizia che ne ha impedito la scorrevolezza1. S. Antonio da Padova. Interno della Chiesa della Misericordia (A.M.B.)

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Luigi Giani

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LE FABBRICHE Dalle fabbriche tessili alla Piaggio

F

ino alla metà dell’800 i pontederesi vivono e lavorano ancora nel rettangolo disegnato dalla città medievale. Le attività manifatturiere della città cominciano a crescere e oltrepassare quello che resta della vecchia cinta muraria solo attorno all’Unità d’Italia, prima guardando all’angusta direttrice disegnata dall’arrivo della stazione della Leopolda, poi prendendo decisamente la strada per Pisa. È lungo l’asse della Via Pisana che a partire da Piazza Belfiore si strutturano a destra e sinistra fino all’altezza dell’attuale Piazza della Stazione i nuovi opifici che caratterizzano l’industria tessile di Pontedera fino alla prima guerra mondiale ed in alcuni casi anche alla seconda. Qui alla fine dell’800 sorgono le fabbriche tessili e le tintorie di cui sono titolari le principali famiglie imprenditoriali di Pontedera (Bellincioni, Ciompi, Ricci), alcune delle quali saranno poi rilevate da altri imprenditori come i Dini. È una grande zona industriale quella che sorge tra Via Dante Alighieri e Via Pisana ed il suo sviluppo suggerisce all’Amministrazione comunale e alle Ferrovie di spostare la stazione in maniera più comoda ed efficiente rispetto alle esigenze della movimentazione delle merci. In questa zona industriale lavorano centinaia di uomini e di donne, che formano il moderno proletariato urbano di Pontedera ed insieme agli imprenditori e ad un robusto tessuto di commercianti costruiscono una città economicamente e socialmente vivace e dinamica.

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31 gennaio 1902, Stabilimento di Tessitura meccanica Dini e C. - Cotonificio Ligure-Toscano. Ed. Pettinelli e C., Foto Ricci (A.M.B.)

1910, Tessitura Meccanica Dini. In primo piano la Stazione Tramviaria

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1902, Cotonificio ligure-toscano - Tessitura meccanica Dini. Ed. Pettinelli e Co., Foto Ricci

Ma il settore tessile entrerà in crisi nel ventennio tra le due guerre mondiali e sarà letteralmente distrutto durante la seconda guerra mondiale. La grande area industriale compresa tra la linea ferroviaria e l’Arno manterrà qua e là piccole imprese e anche qualche fabbrica importante (come la Crastan), ma nel secondo dopoguerra sostanzialmente cambierà volto trasformandosi in un’area residenziale e scolastica. Ma al declino dell’industria tessile nel ventennio tra le due guerre si contrappone un evento che ha radici esterne alla città. Alla metà degli anni Venti la società genovese della Piaggio decide infatti di insediarsi a Pontedera, rilevando un piccolo stabilimento e trasformandolo rapidamente in una grande fabbrica per la produzione di motori e poi di aerei da guerra. Per motivi logistici ed organizzativi, la Piaggio sceglie di collocarsi a sud della ferrovia, ma sempre a poche decine di metri dalla nuova stazione che anche per la società genovese costituisce un’infrastruttura strategica per le sue lavorazioni. La società innalza moderni capannoni lungo buona parte di quella che oggi si chiama via Rinaldo Piaggio e lo fa su entrambi i lati. Allo scoppio della guerra impiega oltre 10.000 dipendenti, tra operai ed impiegati e si estende su una superficie molto vasta dei declinanti opifici tessili. Anche la Piaggio subirà danni gravissimi nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ma dopo aver modificato radicalmente la propria produzione ed aver lanciato sui mercati mondiali un prodotto innovativo e originale come la “Vespa”, tornerà a dare lavoro ad oltre 10.000 addetti, coprirà con i propri capannoni un’area che raggiungerà lo Scolmatore dell’Arno e completerà a proprie spese un villaggio abitato esclusivamente da impiegati e dipendenti dell’azienda. Roberto Cerri

Tessitura Dini. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

1917, Via della Stazione. Siamo nell’attuale Via Carducci

30 novembre 1904, Stabilimento Marini e via della stazione. Ed. Pettinelli e C. (A.S.V.). Sulle colonne strisce di carta ricordano il successo della Banda del Maestro Falorni a Torino nel 1902

21 maggio 1926, Veduta Generale

Veduta dell’Era e Stabilimento. Si tratta della Tessitura Morini

5 maggio 1933, Panorama. Siamo all’angolo di Via Carducci con Via Dante. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

1914, Manifattura Dini & Co. - Uscita delle operaie. Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.)

1912, Panorama. La fornace di mattoni Stabilimento di Tessitura di Faustino Morini (A.M.B.). Sulla sinistra il Palazzo Morini. La foto è scattata dall’argine del fiume Era

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12 settembre 1928, Veduta generale (A.M.B.)

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Crastan

C’

era un’epoca in cui l’aria di Pontedera profumava di caffè, anzi, di cicoria. L’odore caratteristico, che si intensificava con l’avvicinarsi del brutto tempo, facendo diventare i pontederesi esperti metereologi, proveniva da una delle storiche fabbriche della città, la Crastan. La ditta fu fondata nel 1870 dallo svizzero Luzio Crastan, emigrato dall’Engadina in Italia negli anni ’30 dell’ottocento. Crastan, uomo con una grande volontà e fiuto per gli affari, si spostò da Firenze a Livorno inseguendo il commercio di prodotti coloniali, per poi stabilirsi a Pontedera, cittadina vivace e in crescita, dove fondò la sua azienda di lavorazione di surrogati del caffè, inizialmente a base di cicoria, poi, con i suoi successori, di orzo, cereali e cacao. Dopo di lui i suoi figli, Felice, Niccolo e Guglielmo, seppero ampliare l’azienda e la gamma di prodotti, tanto che all’inizio del XX secolo gli operai erano più di 100 e neppure le guerre riuscirono a frenare sensibilmente la crescita dell’azienda, nella quale lavoravano molte donne. Dopo la seconda guerra mondiale furono impiegati i primi macchinari industriali, che accompagnarono l’azienda attraverso il boom economico, fino all’automazione più all’avanguardia del nuovo impianto nella zona industriale di Gello, voluto da pronipote del fondatore, Gianfranco Crastan, e i suoi figli, a pochi chilometri dallo storico stabilimento chiuso definitivamente nel 2008. Il palazzo della vecchia fabbrica nell’estate del 2013 è stato teatro del suggestivo spettacolo “La stazione” di Anna Stigsgaard dove attori professionisti e non hanno riportato in vita l’atmosfera di un quartiere in cui la fabbrica, con la stazione ferroviaria, ne rappresentava il cuore pulsante. Laura Martini

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A pagina precedente: Viale Rinaldo Piaggio. Il passaggio di collegamento tra i due corpi di fabbrica oggi non più esistente 1963, Panorama dello Stabilimento Piaggio 1963, Viale Rinaldo Piaggio. Il cancello dell’officina 2R 1966, Viale Rinaldo Piaggio Stabilimento Piaggio. Sulla destra si riconosce l’ingresso odierno della Fondazione e Museo Piaggio Viale Rinaldo Piaggio. Le palazzine degli uffici

Illustrazione di Gino Boccasile per il Caffeol Crastan (A.M.B.) Cartolina pubblicitaria del Caffè Cicoria Crastan Incendio del 6 aprile 1916 (A.M.B.)

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IL MERCATO E LA FIERA Piazza e mercati

I

l mercato… la fiera… Momenti difficili da catturare rispetto al decorso storico. La provvisorietà è la loro cifra forse più evidente. Mercato e fiera sono fatti di numerosissimi incontri tra richiesta e offerta che tuttavia, terminata la contrattazione, evaporano, non ci sono più. È una realtà ribollente e concreta ma anche evanescente. La periodicità ne accentua l’attrazione un po’ fascinatoria, seppure ancorata a solidi valori (il denaro, l’affare migliore). Proporrei perciò di guardare al mercato e alla fiera come luoghi della caducità, di una scissione tra concretezza degli interessi economici e provvisorietà della messa in scena a cui periodicamente commercianti, merci e clienti danno vita. La fiera di San Luca aveva tre volti, quello del “mercato della fiera”, non il comune venerdì di sempre bensì un venerdì potenziato da un maggior numero di visitatori, espositori e, quindi, di merci, oltre alla fiera delle giostre e del circo in piazza Belfiore, alla fiera del bestiame in piazza Garibaldi (ma prima ancora nel grande spiazzo sempre pieno di mota tra il Piazzone e l’Era, nel Seicento conosciuto come “Orto del Leoncini”). Per il bestiame la fiera di solito si allungava, perché gli allevatori arrivavano anche la domenica precedente. Qualche giorno prima del “fierino” del mercoledì e del “fierone” del giovedì, le altre tappe di un percorso luccicante. Fiera e mercato si mischiano facilmente ma sono realtà diverse per periodicità, per scala di grandezza e per origine: la fiera risale, notoriamente, a una concessione della Signoria fiorentina del 1471, il mercato del mercoledì a una concessione di Cosimo I Medici del 1546, il mercato del venerdì infine a una concessione del 1565. Molto doveva, la vitalità, al mercato del bestiame sotto gli occhi della Dogana granducale appena oltre il vecchio ponte sull’Era. Il mercato si concentrava nella piazza della Propositura, sempre più inadatta ad accogliere la folla del venerdì e per questo, nel corso del Seicento, corredata di logge. La fiera si impossessò dell’attuale Piazzone, trascinando l’espansione edilizia in quella zona. In quel secolo si nota come Pontedera si muovesse a due velocità: quella impressa da mercanti e artigiani al mercato e alla fiera, e quella di reazione delle strutture amministrative, costrette a cercare di rinchiudere la dinamicità del commercio nel perimetro delle regole. Spesso repressive. Come quelle che a fine Settecento cercarono di imbrigliare la vivacità del mercato attraverso una dislocazione fissa dei banchi e secondo quella che Mario Montorzi ha chiamato “suddivisione funzionale”, la cui razionalità non venne accolta per niente bene dagli espositori e dalla popolazione. Gli effetti dell’ondata liberalizzatrice del Granduca Pietro Leopoldo furono probabilmente sensibili a Pontedera ma la promiscuità che abbagliava i visitatori-clienti inducendo questi ultimi agli acquisti non era facilmente riformabile. La registrò anche il maestro Callisto Del Pino scrivendo nel 1881 l’opuscolo “La Fiera di Pontedera” e guidando il lettore in un percorso che iniziava da Via Vittorio Emanuele a Piazza delle Merci (il Piazzone), dove si trovava una prevalenza di pannine sul lato destro mentre una prevalenza di terraglie e stoviglie sul alto sinistro in un soffocante bailamme. Poi piazza Garibaldi, con l’altrettanto chiassoso (e olezzante) mercato del bestiame, al termine del quale (si presume presso la ferrovia) c’erano le attrazioni circensi, quindi, ridiscesa Piazza Garibaldi in senso contrario, Dal Pino sbucava nella piazzetta dei Polli (Piazzetta San Martino), poi in Piazza Andrea Pisano (oggi del Duomo) con altre attrazioni circensi, poi Via della Misericordia, dove pare che la specializzazione siano le osterie, poi via Volterrana (via Roma?) e quindi “il quadrivio” che dovrebbe corrispondere a Piazza Cavour, dove arrivavano tutte le diligenze. Tanto per dire. E come erano dignitosi i negozi e le abitazioni delle strade percorse da Dal Pino! Un richiamo all’ordine borghese che, alla fine, si imponeva all’anarchica fiera, sovrastandola da tre piani con la solidità dei palazzi degli industriali e degli avvocati, quelli sì in grado di restituire l’identità duratura della città, perché la fiera il giorno dopo sarebbe stata un ricordo ma l’edilizia civile era fatta per durare, come (questo almeno era l’auspicio) le fortune di coloro che l’avevano commissionata. Roberto Boldrini

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Per la strada era un viavai continuo di barrocci, barroccini, carri, carrozze, bovi, manzi, mucche, vitellini di latte, cavalli, muli, asini, contadini e contadine a piedi recanti in grosse paniere, polli, capponi, tacchini, piccioni, ogni sorta d’uccellami a mazzi, gabbie con entro cardellini, fringuelli barbaramente accecati, ceste piene d’uova, zane con erbaggi, carrettelle con sopra sacchi di patate e panieri di mele, pere e noci, ed altri prodotti della natura che s’andrebbe nell’un via un fa undici a nominarli tutti. (…) ed infilammo nella via Vittorio Emanuele, lunga un mezzo chilometro e più, fiancheggiata da bei casamenti, e piena zeppa di gente. A destra e a sinistra botteghe d’ogni genere, negozi tutti bene accomodati, con ornamenti esterni e copiose mostre delle mercanzie che dentro vendevansi, attiravano la nostra attenzione; e mentre ci volgevamo a guardare, puta il caso, la bottega d’un ramaio, sul cui frontone, in quattro o sei semicircoli paralleli eran disposte con ordine simmetrico, brocche, brocchette, pentole, teglie, mezzine, marmitte, catinelle, calzeruole, ramini, forme da dolci ed altri arnesi culinarii, ricevevamo urtoni di qua e di là, pestature di piedi, da quella moltitudine che andava per un verso e l’altro1. Callisto Dal Pino Callisto Dal Pino, La Fiera di Pontedera nell’Ottobre del 1880, Tip. del R. Istituto Sordo-Muti, Genova 1881, Biblioteca Toscana XXVII, ristampa anastatica a cura di Michele Quirici e Laura Martini, Tagete Edizioni e Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2009

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1900, Chiesa della Misericordia (A.M.B.). La piazza in un giorno di mercato

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Piazza Umberto I (Mercato Pollame)

17 aprile 1924, Mercato del Pollame

Piazza Curtatone. Ed. Cartoleria Pettinelli - Pontedera (A.M.B.)

1940, Piazza Umberto I

Mercato

Mercato bovino (A.S.V.). Il mercato degli animali in Piazza Trieste

Piazza Umberto I e Fontana monumentale (Giorno di mercato) - Ed. Gino Dani - Pontedera (A.S.V.) 2 febbraio 1918, Piazza del Mercato 17 aprile 1924, Piazza Umberto I (Mercato Pollame)

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Pontedera - Piazza Andrea da Pontedera - Giorno di Mercato. Ed. Gino Dani - Pontedera (Archvio Privato Sergio Vivaldi -Pontedera)

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LE STRADE FERRATE Il treno e il tram

N

onostante oggi l’area della stazione ferroviaria appaia tutt’altro che una delle infrastrutture principali, adeguatamente curata e vissuta, pochi sanno che essa ha rappresentato una delle tappe più importanti per l’evoluzione del tessuto economico e sociale della città e del suo territorio. La prima ferrovia in Toscana, terza in Italia, giunse a collegarla come tutti gli altri maggiori centri del Valdarno, fin dal 1847, grazie all’accorta e pragmatica politica liberista del governo granducale di Leopoldo II. Preceduti da istanze liberiste in campo economico, ma sostenute dall’arrivo di capitali stranieri (soprattutto inglesi), si avviarono studi e approfondimenti in tema fin dal 1826 e dal 1838 si autorizzarono i primi rilievi sul campo per individuare il tracciato più idoneo tra quattro possibili alternative, opportunamente indagate dall’ing. Robert Stephenson, (figlio del più famoso George). E’ interessante notare che tutte avevano Pontedera come cardine di scelte che tendevano alla maggiore o minore lunghezza per giungere fino a Livorno. Vale la pena ricordare, tuttavia, che per la soluzione poi adottata e realizzata si rifletté a lungo se non fosse il caso di abbreviare ancora di più il percorso e da Pontedera, prendere la più diretta via per Livorno, tagliando fuori Pisa: decisione che si può immaginare quali rimostranze di campanile ebbe a suscitare. E’ curioso che di tale collegamento diretto col mare si è parlato anche successivamente per potenziare la linea ed è tornato in questi ultimi anni d’attualità col progetto del collegamento diretto della zona industriale pontederese col porto labronico. Dopo il Motuproprio granducale del 21 aprile 1841 a favore della concessionaria “Società Anonima per la strada ferrata Leopolda”, fu redatto il progetto esecutivo dei lavori che furono iniziati nel giugno successivo, sotto la direzione dell’ing. William Hoppner. Furono portati a termine in un tempo eccezionale per l’epoca e anche per gli esempi di oggi: il 13 marzo 1844 si andava già da Livorno a Pisa, il 19 ottobre 1845 si raggiungeva Pontedera, il 20 giugno 1847 Empoli e il 2 giugno 1848 Firenze presso la stazione che, ancora con il nome originale della ferrovia, sorge presso Porta a Prato. Sette anni che trasformarono radicalmente il modo di viaggiare e non mancarono di suscitare polemiche e proteste, un poco me avviene oggigiorno con comitati più o meno spontanei che fomentarono

Ecco Pontedera coi suoi ricchi mercati, e piazza di commercio per le vicine colline... Ora vi è la stazione della strada ferrata pisana e livornese... e quanto maggior movimento non ha essa dato al paese. Benedetto le strade ferrate! Non fosse altro perchè ci han tolto la noia di esser palleggiati dai vetturini… e Pontedera per questo solo motivo incuteva timore ai viaggiatori come l’avvicinarsi ad un bosco infestato dai banditi1. Il Figlio del Bastardo ossia Li Amici di Università, racconto dell’Avvocato Tommaso Gherardi Del Testa, volume primo, Tipografia Mariani, Firenze 1847 pp. 18-19 1

25 gennaio 1902, Via della Stazione (A.M.B.). Si vede sulla destra Palazzo Morini e sulla sinistra la Scuola Curtatone

Piazza della Stazione. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa. Si tratta del piazzale della vecchia stazione. Fanno bella mostra i funai

Interno della Stazione

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5 giugno 1902, Stazione Ferroviaria. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera. Foto Ricci

11 maggio 1905, Stazione Ferroviaria

Via della Stazione Ferroviaria. Ed. Pettinelli e C. Pontedera (A.M.B.)

Navacchio - Stazione Ferroviaria. Ed. Luigi Guelfi Navacchio (A.M.B.)

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proteste e azioni anche violente per interrompere o intralciare la marcia dei treni e la regolarità dell’esercizio. In tema di novità e progresso tecnologico applicato al territorio, a distanza di quasi due secoli, in tema nulla è cambiato! La linea, progettata e realizzata a doppio binario, vide la posa del secondo nel 1850 quando con beneficio generale per la maggiore potenzialità complessiva. Oltre alla sostituzione dell’originario armamento nello scorcio del secolo, l’ulteriore ammodernamento arrivò poi tra il 1938 e il 1948 con l’elettrificazione a 3.000 Volt c.c. tra Firenze e Pisa. Dopo le iniziali diffidenze, la popolazione delle zone attraversate ne colsero appieno tutte le opportunità: le principali località videro perfino un aumento degli spostamenti per mero piacere e diletto. Tale fenomeno fu particolarmente vivo proprio a Pontedera e dove la ferrovia si inserì in un complesso sistema di trasporti su strada tendete a collegare anche i piccoli centri all’intorno ma finì per essere anche ulteriore stimolo all’impianto e all’affermazione di nuovi insediamenti produttivi, quali stabilimenti tessili e alimentari, che ne radicarono il ruolo di centro e capoluogo di una serie di piccoli commerci di tutto l’entroterra. La linea, pur moderna ed efficace, annoverava lungo il percorso stazioni veramente spartane, dove Pontedera non faceva eccezione. Il fervore e la consapevolezza del suo ruolo basilare stimolò la decisione deciso di farne costruire uno nuovo in muratura, in stile inglese neoclassico, al posto di quello in legno sempre nel luogo che oggi è ricordato dal nome della strada che vi conduceva: via della Stazione Vecchia. Alla luce della sua inadeguatezza in relazione ai traffici previsti e auspicati, ne presto deciso l’abbandono anche di questo e la sostituzione di una nuova stazione dove oggi noi la conosciamo, completata nei primissimi anni del secolo XX . Pur in un quadro di generalizzata soddisfazione, la Leopolda, pur servendo con proprie stazioni e fermate tutte le località attraversate, non risolse però completamente l’articolato problema dell’ammodernamento dei trasporti dell’hinterland pisano e pontederese. Tra diverse idee e progetti, la Deputazione provinciale pisana ritenne meritevole d’accoglimento quella presentata in solido dagli imprenditori Ulrico Geisser, svizzero titolare dell’omonima Banca U. Geisser e Compagnia corrente in Torino e Francesco Benedetto Rognetta, ingegnere torinese, per l’impianto di una tranvia con trazione a vapore e a scartamento normale. La concessione rilasciata il 17 settembre 1881 fu determinata per il tempo di 77 anni. La linea tranviaria dal capoluogo a Pontedera iniziò l’esercizio il 18 settembre 1884, quando con la gestione della “Società Italiana per le Ferrovie Economiche e Tranvie a Vapore per la Provincia di Pisa” con sede in Pisa e siglata brevemente TPPC. Insisteva per la maggior parte del percorso sulla via Fiorentina e misurava 20,250 Km tra le due città. A Pontedera la stazione, posta all’altezza dell’attuale intersezione tra le vie Carducci e Pisana, disponeva di fabbricato viaggiatori, magazzino, piano caricatore merci, rimessa locomotive, rifornitore d’acqua. Dalla stazione testè descritta dal 1885 il binario proseguiva fino alla piazza prospiciente il Municipio (che assunse il popolare nome di “piazza del tramme”), terminale poi arretrato nei primi anni del XX secolo davanti all’attuale Bar l’Angolo. Nel corso degli anni la linea tranviaria rappresentò un vero servizio metropolitano nel significato moderno del termine, sebbene il continuo attraversamento di centri urbani, frazioni e borghi, determinasse una forte soggezione all’esercizio che difficilmente faceva superare la velocità di 18 Km/h ai convogli; peraltro nei centri urbani treni dovevano procedere a passo d’uomo, preceduti da agente a piedi con in mano una bandiera rossa di giorno e un fanale dello stesso colore nelle ore serali e nei casi di scarsa visibilità. Con il successo, aumentò il traffico e dopo pochi anni d’attività si iniziò a chiedere un adeguato ammodernamento della tranvia “Rognetta” come veniva talvolta identificata non senza una punta di astio tipicamente pisano. Coi primi anni del secolo si fecero avanti anche le prime idee di elettrificazione, presto però bloccate dal Governo centrale, cui non doveva essere alieno l’atteggiamento delle Ferrovie dello Stato, che dal 1905 avevano assunto l’esercizio diretto di quasi tutte le ferrovie in Italia, per la maggiore concorrenza che ciò avrebbe determinato con la vecchia Leopolda. Intanto, la rete ferroviaria statale a Pontedera si arricchiva di una nuova linea, aperta il 28 ottobre 1928 e proveniente da Lucca con propositi di costituire un nuovo itinerario longitudinale alternativo alla Tirrenica in direzione di Volterra, Viterbo e Roma. Costruita in forte ritardo rispetto ai tempi e inaugurata in un periodo era dove già si facevano sentire i primi effetti del trasporto su strada, la nuova ferrovia non ebbe modo di affermarsi e si trascinò stancamente per tutti gli anni Trenta. Trovò nuovo interesse con l’apertura delle ostilità in quanto linea interna al riparo dalla incursioni navali nemiche, ma fu per questo ripetutamente colpita dalle incursioni aeree finche non fu resa inservibile dai guastatori dell’esercito tedesco in ritirata nell’estate del 1944. Non fu ricostruita e la sua soppressione fu decretata il 14 ottobre 1958 dal pontederese Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.

Intanto sul fronte della tranvia, il 5 gennaio 1929 la TPPC confluiva di fatto nel neo costituito Consorzio Ferro-tranviario tra le amministrazioni provinciali e comunali di Pisa e Livorno, teso a realizzare un moderno ed integrato sistema di trasporto pubblico tra i due territori che sarà alla base della richiesta di concessione della trasformazione della tranvia da Pisa a Marina in moderna ferrovia elettrica la cui esistenza cessò per unanime miope decisione politica nel settembre 1960 e di cui ancora oggi si richiama la necessità, tra rimpianti e progetti di ripristino sempre meno probabili in una compagine politico-amministrativa di scarso valore e con sempre minori risorse disponibili allo scopo. Con al costituzione della nuova compagine amministrativa, la TPPC cambio denominazione in S.T.E.F.E.T. (Società Trazione E Ferrovie Elettriche Toscane) e tra le tante velleità di ammodernamento poté decidere solo per l’immissione in servizio di tre nuove automotrici termiche (dall’epoca definite semplicemente “littorine”) con motore a Ciclo Diesel destinate ad assorbire quasi tutto il traffico passeggeri. Presto le vicende della seconda Guerra Mondiale, con la penuria di carburante e le difficoltà operative dei nuovi moderni mezzi, rese ancora indispensabile tornare ad usare la vaporiera. A seguito delle operazioni intorno al fronte, il servizio fu interrotto il 31 agosto 1943, con lo spaventoso bombardamento alleato di Pisa, e di nuovo il 20 giugno 1944, questa volta ad opera dei guastatori tedeschi. Con il concorso del Battaglione del Genio ferrovieri e il ripristino del ponte sul Canale Emissario a Fornacette a cura dell’ANAS, si tornò a viaggiare fino a Pontedera il 1° ottobre 1945. Ma fu un ritorno effimero in un clima di un generale lassismo, dove il rispetto degli orari era aleatorio, con una trascuratezza e incuria generale che sembrava orchestrata per far indirizzare gli utenti verso i nuovi autobus che la S.A.I.E.T. decise di acquisire ad integrazione del servizio su rotaia. Fu il preludio di passaggi amministrativi con l’assunzione diretta del servizio da parte della Provincia di Pisa, l’avvio del programma di dismissione della linea su ferro, messo in pratica in un imprecisato giorno del maggio 1953. Fausto Condello

30 dicembre 1901, Arrivo del Tram. Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera. Foto Arcolini (A.M.B.). Si nota la Trattoria Americana

Piazza Cavour. Arrivo del Tram. Ed. Pettinelli & Co. Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.)

26 novembre 1904, Piazza del tram e corso Vitt. Em. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera

24 ottobre 1912, Via Prov. Pisana. Ed. Egisto Jacques, Tipografia L’Ancora - Pontedera (A.M.B.)

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15 novembre 1902, Navacchio (Pisa). Fermata del Tram. Ed. Oreste Scarlatti - Pisa (A.M.B.)

Ponte di Ferro. Linea Marina di Pisa. Ed. Ciro Valenti - Pisa (A.M.B.)

Marina di Pisa - Via Majorca (A.M.B.)

A pagina precedente: 1910, Arrivo del Tram da Pisa 10 ottobre 1918, Arrivo del Tramway da Pisa (A.M.B.) 19 dicembre 1924, Corso Vittorio Emanuele. Ed. Vallerini - Pontedera. (A.M.B.). In realtà si tratta di Via I Maggio. Il treno è davanti all’attuale Piazza Andrea Corso Vittorio Emanuele. Ed. Stab. Vallerini Pontedera (A.S.V.). Si nota l’insegna del “Ristoratore L’Aeroscalo” Piazza Cavour e via XXVIII Ottobre

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Cascina - Corso Vittorio Emanuele II. Ed. A. Caparvi - Cascina (A.M.B.)

Pontedera, ottobre 1938, Inaugurazione “Littorina”

1 settembre 1917. Marina di Pisa - Via Maiorca. Ed. Libreria Bemporad (Sottoborgo) - Pisa (A.M.B.)

(Archivio Privato Gino Vannini - Crespina)

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Pontedera 3 marzo, ore quattordici Dopo aver mangiato, sono stato a vedere la camera. È dentro il paese, e dopo una scala strettissima e oscura, devo attraversare una stanza piena di pacchi. In una stamberga, che non ha né finestra né uscio, un uomo russa. Una donna mi spiega che è un facchino a riposarsi del servizio notturno. La camera mia ha la finestra con un’inferriata enorme; e sento un puzzo opprimente: l’aria entra da un cortiletto che appartiene alle carceri del paese, e sembra che il cilindro di una macchina elettrica debba smuovere tutti i fondamenti della casa. Mi verrebbe da piangere, ma, non avendo tempo per scegliere meglio, fisso il prezzo. Per le vie sono guardato da tutti. Le ragazze, che tornano a lavorare negli stabilimenti industriali ridono di me. Qualcuna dice forte «Com’è brutto! Pare un prete» Io mi fermo e la guardo. Quella abbassa il capo con le compagne, e si sforza di non ridere. Ma dopo pochi passi il vento mi butta il cappello sotto le ruote del tranvai elettrico, che giunge da Pisa con molto fracasso. Si è sporcato di fango, e la tesa recisa. Le ragazze, fermatesi tutte insieme si torcono dal ridere. Certamente io devo imparare ad abituarmi a tutto, e devo mostrare di non prendermela. Ma come mi sento offeso! Prima di rientrare in stazione, mi verrebbe voglia di passeggiare lungo l’Arno; ma non c’è più tempo. Sono molto triste1. Federigo Tozzi Federigo Tozzi, Ricordi di un impiegato, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1994 pp. 15-16

1

1925, Piazza della Stazione e Via Dante. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera (A.M.B.)

Piazza della Stazione e Via Dante 1940, Piazza della Stazione e Via Principe di Piemonte A pagina successiva: Via Carducci. Siamo nel dopoguerra e spicca sulla destra, il muro delle vecchie Manifatture 1953, Piazza Stazione 1958, Piazza della Stazione Piazza Stazione Largo Carducci. Il piazzale dei pullman, il parcheggio sterrato e il negozio Falorni Palazzo Rota e Terminal dei pullman

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La Rotonda Il palazzo detto de “La Rotonda” sorgeva all’angolo tra via Dante e piazza della Stazione, sul lato opposto dove si trova adesso l’attuale Hotel La Rotonda che ivi si trasferì a seguito della demolizione bellica. L’edificio originario che prendeva il nome dalla sua forma circolare, mostrava un primo corpo su quattro piani che si sviluppava lungo la via Dante e si raccordava con la sagoma ellittica con il lato di piazza della stazione, sulla quale proseguiva con un corpo di fabbrica a soli tre piani, distinto rispetto al precedente per tipologia e decori. Successivamente anche quest’ala venne rialzata di un piano creando un unico edificio che dava il benvenuto a chi giungeva a Pontedera dalla nuova stazione ferroviaria. Enrico Agonigi

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La piazza dei miei ricordi

I

Piazza Stazione e Panorama lato Ovest (A.M.B.)

1920, Stazione Ferroviaria. L’ultima corriera sulla destra è la Lari-Pontedera

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l mondo l’ho conosciuto dalla finestra di cucina, quella dell’appartamento sopra la stazione ferroviaria. Ogni ora un aspetto nuovo. Ogni stagione con la sua poesia. Ho imparato da lì, ad osservare la gente che cammina. Accanto all’acquaio di pietra, col secchio di lamiera, pieno d’acqua sporca, per lo straccio che mamma usava per dare in terra: una vecchia balla di juta e lo spazzolone, una vecchia, consumata granata di saggina. Quelli erano i soli attrezzi per la pulizia della casa che pure, era linda, calda, ordinata. Il mio mondo lì fuori. Immaginate una grande piazza polverosa. Senza nulla. Poche le case, due vecchi taxi, mescolati alle carrozze dai cavalli accaldati. Con la museruola piena di fieno sgranocchiante. Lo sentivo da quel mio appostamento. Era come un moderno spettacolo televisivo. Due panchine di legno verde sotto quegli alberi magri e secchi, che ombra non facevano, neppure in estate. Quasi sempre, in ogni ora, la “Bezzola” vi sedeva. Era una donna. Età indecifrabile, una donna povera e poveramente perduta. In balia degli uomini che circolavano là, su quella piazza, in cerca di un pacco da consegnare o di una commissione da fare per racimolare poche lire, che le facevano una strana compagnia. Qualcuno è ancora vivo, più anziano di me. Che non saluto più, perché ero bambina e fingo di non ricordare. Sono bugiarda e, forse, ipocrita, un po’, come tutti gli esseri. Ma ho nel cuore, viva e vivace quell’immagine. La sottoveste sgualcita e bianca che spuntava da quell’abito quasi sempre di color verde. Consumato e sporco. Mamma non voleva che fissassi lo sguardo su quella persona. Credeva fosse uno spettacolo poco adatto alla mia età che, forse, già intuiva ciò che ancora non poteva sapere. La perdizione del corpo, perché l’anima l’aveva abbandonata. Capivo che era la miseria, di tipo diverso da come potevo capire fosse quella di casa mia. La “Bezzola” con “Mangiachicchi” era un personaggio noto e caratteristico. Mangiachicchi era un infelice. Zoppicante, rideva senza motivo. Allungava la mano tremante emettendo un suono che voleva essere la sua voce. Rincorreva le bimbe che, nel vederlo, fuggivano. Sovente mi veniva dietro fino alle scale di casa. Io non avevo paura perché mamma gli dava i centesimi del resto della sua povera spesa. Andava subito al carretto del gelato che in estate, si trovava sempre lì, a far gruppo con gli uomini della piazza. A destra, invece, c’erano le persone serie. Un’altra panchina, di fronte alla bottega della Ida. Si scendevano due scalini, si entrava nella stanza e la Ida sorridente e pettegola serviva la pasta, il riso, la conserva pesando il tutto sulla bilancia della “giustizia”. Quella cioè, dei due piatti: i pesi erano al mia passione e il mio problema. C’era quello minuscolo del grammo, quello più grosso e quello del kg! Carta gialla, rustica e pagliosa, e quella azzurra per lo zucchero e caffè. Un odore farinoso e salato saliva al naso. Il barattolo delle acciughe e delle aringhe era sempre aperto sul banco, e la farina, di ogni tipo e colore era a portata di tutti nei contenitori aperti fatti di legno. Io mi vergognavo a fare la spesa. Se era un pacchettino potevo farla volentieri, ma se dovevo andare con la borsa era un tormento. Ma dovevo obbedire. La borsa, quale borsa? Vi era il fazzoletto di cotone blu a fiori bianchi comprato al mercato di Lari, quella di inceratino nero, quella di balla, fatta e ricamata in lana dalla mamma e quella rossa. L’aveva portata babbo dal suo viaggio a Tripoli. Mi aveva spiegato che era di pelle di capra tinta e che gli era costata parecchio. Quelle descrizioni mi sembravano meravigliose, meglio delle novelle, meglio di qualsiasi altra cosa. Come un film dei nostri ragazzi. Mi immaginavo la storia del viaggio, vedevo la capra spellata ed io, quella borsa di pelle proprio non la sopportavo. Non so per quale ragione riuscivo ad usarla solo al momento del Natale, quando andavo con gli amici a fare i sassi per la capannuccia col muschio necessario. Vi era poi il bar della stazione. Più che un bar era un ritrovo di cacciatori. Forlì era un gran personaggio perché, sentivo dire, cuoceva gli uccellini sul carbone. L’odore che usciva da quella porta, su quella piazza così spenta e così desolata, era stuzzicante. Ma il pensiero degli uccellini spennati, uccisi ed arrostiti, mi dava un senso profondo di incerta malinconia. Perplessità mie personali che mai avrei osato manifestare, a nessuno. Per questo voglio dire ora. Come liberarmi da angosce lontane e dare così posto a quelle che ancora dovrò affrontare. Cancellare un “file” del mio vecchio computer intimo e aprirne un altro. Forse di più difficile interpretazione. Ma comunque nuovo e sconosciuto. Quella piazza, ove ho passato le ore delle mie domeniche a girare intorno con la bicicletta presa in prestito! Dove ho imparato ad amare la campagna di Lari perché era da lì che spesso, il sabato, prendevo l’autobus del Papucci per andare dai nonni. Che ho amato e mai dimenticato.

Da quella finestra, aspettavo, la sera, l’imbrunire. Arrivava la corriera, il paniere dei fichi o il biglietto scritto dal nonno. Ogni sera, per tanti anni. Era il mio telefono, che, allora, quasi non esisteva. Anche in stazione usavano l’alfabeto Morse del telegrafo. Un armonico ticchettio che non disturbava, che non era monotono. O forse lo era, ma il ricordo è talmente dolce e lontano che tutto appare con una luce diversa. È così per tutto. Si muore, ed è solo allora che ci si accorge, si parte e sentiamo nostalgia… così, anch’io quando ogni volta ho dovuto lasciare e ricominciare ad amare. Una infinita stretta che chiamerei malinconia. Ma la piazza, la piazza della mia finestra sul mondo! Potrei averla dimenticata? I primi biglietti d’amore li gettavo al mio ragazzo da lì. Ero cresciuta, e non sentivo vergogna di usare quel modo di comunicare. Non ne avevo altri. Le adunate potevano servire solo per u’intesa dello sguardo… le ragazze da una parte, i ragazzi dall’altra. Come se tale divisione fosse stata possibile mantenere per tutta la vita. Non aveva senso quell’obbligo strano, quando poi ben sapevano che ci sarebbe stato l’incontro, anche se segreto. Un angolo di via Dante, la scusa del quaderno, l’amica compiacente che parlava del compito, o l’invincibile spinta giovanile che anche allora, portava a essere liberi. Nella strada di fronte, perpendicolare, vi era la “filatura”. Uscivano a gruppi frettolosi le donne che vi lavoravano. Le “fabbrichine”. Una popolazione di gente femminile che agli occhi di coloro che non lavoravano, risultava essere di uno strato sociale inferiore. Dico questo con la consapevolezza di aver pensato anch’io, in quel modo, guidata forse dai discorsi di casa. “È una fabbrichina, lavora con gli uomini, sale le scale per lavoro!” Crescendo ho sovente riflettuto ed ho capito. La fretta che mettevano all’uscita, al suono della sirena, era dovuta dal pensiero per i figli, lasciati a casa, spesso da soli. Tutte le donne portavano le “pianelle” perché le scarpe erano per la domenica. Qualcuna comprava la verdura al carretto del venditore ambulante sostante nei pressi di quella famosa panchina. Sempre lì. Il solito uomo, vecchio, col panciotto grigio, e la camicia a righe di peloncino. Sembrava che il freddo di allora fosse meno freddo di quello di oggi. Così, come il caldo, meno caldo. Nessuna di noi andava fuori scollacciata. Tutte con la camiciola, e tutte con la sottoveste di cambrì. Il nylon non esisteva ancora, e la seta era irraggiungibile. Irraggiungibile come questi miei sogni, come i rimpianti e le tante delusioni che mi permettono però di gustare in misura maggiore le vissute felicità. La freschezza dei ricordi, degli incontri fugaci e sofferti, mi danno ancora la forza di guardare alla vita che ancora mi aspetta, perché vorrei trovare un’altra piazza, con tanta gente festosa, capace soprattutto di capire che la vita è veramente, ma veramente un sogno, un bellissimo sogno d’amore1. Athe Gracci Giugno 1992

Athe Gracci, La piazza dei ricordi, Il Grappolo, Salerno 1995

1

Pontedera 7 ottobre 1872, Non le par strano ricevere una mia lettera da Pontedera? Mi sono fermato fra un treno e l’altro per fare colazione ed avendo ancora qualche momento di libertà mi son fatto dare un calamaio ed una penna e le scrivo. (…) Non sono mai stato a Pontedera e forse non mi ci sarei mai fermato in interno ma ora che ella vi è mi pare una città simpatica e quasi mi sembra che mi parli di lei1. Vilfredo Pareto Lettera di Vilfredo Pareto a Emilia Peruzzi in Lettere ai Peruzzi (1872-1900) a cura di Tommaso Giacaloni Monaco, Oeuvres completes/Vilfredo Pareto: publiees sous la direction de Giovanni Busino, volume 27, Librairie Droz, Ginevra 1984 pp. 75-76

1

1941, Piazza della Stazione - Via Dante

18 marzo 1940, Piazza della Stazione (A.M.B.). Esiste un’altra cartolina con la stessa foto ma con un’altra titolazione: Piazza Costanzo Ciano

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L’OSPEDALE FELICE LOTTI La storia

I

l 9 gennaio 1862, dopo una lunga malattia, moriva a Pontedera Felice Lotti, uno dei più importanti imprenditori tessili della Valdera: con il suo testamento lasciava gran parte dei propri beni al Comune di Pontedera, affinché potesse istituire “un ricovero per tutti i miserabili affetti da malattie croniche o incurabili”,vale a dire un ospedale per malati cronici. La Giunta Comunale diede l’incarico al noto architetto pontederese, Luigi Bellincioni, di progettare e costruire l’edificio in una zona salubre, appena 200 metri fuori dalla città e “dove spesso batteva il vento di maestro”. Il direttore sanitario dottor Francesco Superno, appena nominato, così descriveva l’edificio: “È costruito su due piani e suddiviso in piccoli ambienti, i più grandi dei quali non possono contenere più di otto letti, con un cubaggio atmosferico esuberante; l’impiantito in massima parte di smalto alla veneziana e le pareti rivestite di stucco fino ad una certa altezza permettono il lavaggio completo e la disinfezione dei locali. L’aerazione si fa poi abbondante e facile per le grandi finestre a terrazza. La fabbrica è circondata da vasto orto, giardino, bosco e prato, molto utili per completare le cure degli infermi nella convalescenza, permettendo loro di fruire dell’immenso benefizio del sole e dell’aria”. L’edificio, che poteva accogliere fino a 40 malati, fu inaugurato nel 1876 e primo presidente fu Raffaele Ciompi: ben presto accanto alla sezione cronici, voluta dal benemerito Felice Lotti, fu istituito un reparto di malati acuti, curati dai medici dottori Caifassi e Aristide Soldani. Con il dottor Gregorio Soldani, abile chirurgo e già direttore dell’ospedale di Montevarchi, il Lotti apriva una nuova e attrezzata sala operatoria, dove vi si facevano per quei tempi operazioni di alta chirurgia. Nel 1923 fu celebrato solennemente con le più alte autorità del fascismo locale il 50° anniversario della fondazione e il professor Casagli inaugurava la modernissima sezione di ortopedia. Durante il ventennio fascista, direttore fu il celebre prof. Luigi Torchiana, affiancato dal presidente Braccino Braccini: insieme decisero di affidare agli ingegneri comunali Aurelio e Duilio Giglioli l’incarico di redigere un progetto di nuovo ospedale, secondo i più moderni criteri architettonici ed in puro stile razionalista tanto caro al regime.

1900, Ospedale Lotti

Ospedale Lotti. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera (A.M.B.)

Ospedale Lotti. Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.)

L’Ospedale Felice Lotti venne inaugurato l’11 giugno 1876 e di quel giorno resta traccia nello scritto di Leonardo Bettini: Nella solenne apertura in Pontedera dell’ospizio pro cronici indigenti fondato dal benerito Felice Lotti, L. Ungher, Pisa 1876.

2 ottobre 1900, Ospedale Lotti (A.M.B.)

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1904, Ospedale Lotti

1918, Spedale Felice Lotti

1941, Ospedale Lotti

1900, Ospedale Felice Lotti

Così Torchiana ricordava e scriveva nelle sue memorie: “Dalle ampie demolizioni dei vecchi locali sono sorti arieggiati reparti, lindi, elegantissimi, con numerose corsie e arredamento modernissimo, grazie anche alla munificenza della Ditta Piaggio. È stata ricostruita una magnifica sala operatoria, munita di lampade Zeiss e di letto operatorio unicomando Sordina con annessa stanza di sterilizzazione… oltre a questo furono rinnovati gli impianti di termosifone e costruite nuove scale di marmo, con ingresso monumentale ecc. L’ospedale è capace di 200 posti letto ed ha perduto quell’aspetto di vecchio sordido ricovero, per trasformarsi in un magnifico luogo di cura, che non ha nulla da invidiare ai più rinomati reparti di grandi città”. Durante la II Guerra Mondiale, essendo situato l’ospedale troppo vicino agli impianti industriali che erano bersaglio di continui bombardamenti aerei, ne fu deciso il trasferimento a Montopoli nella Villa Belvedere, dove il prof. Torchiana continuava a curare ammalati o feriti militari e civili. Nel settembre del 1944 il Lotti ritornava nella sua sede storica di Via Roma e fu “l’unico posto sicuro, dove la travagliata umanità trovava conforto alle carni martoriate e sollievo alle innumerevoli pene morali” come sottolineava il sindaco della Liberazione Ferdinando Caciagli. Nel dopoguerra il giovane presidente Giacomo Maccheroni fece ampliare e migliorare i servizi del “Lotti”, inaugurando il nuovo reparto di medicina (prof. Mario Cilotti), oculistica (prof. Eraldo Marconcini), radiologia (prof. Renzo Pasquinucci), ginecologia e ostetricia (prof. Renzo Cilotti) e otorino (dott. Edoardo Vensi). Si dovettero ampliare e riorganizzare i servizi ed i reparti per renderli più idonei alle nuove esigenze sanitarie: il Consiglio di Amministrazione diede pertanto l’incarico a due illustri docenti della Facoltà di Architettura di Firenze, Giuseppe Gori e Rolando Pagnini, di progettare il nuovo ospedale. “La soluzione progettuale ideata fu geniale: il “Lotti” era sorto e si era sviluppato come un ospedale a padiglioni o palazzine-reparto, cioè pensato e costruito con corpi separati. L’idea del progettista era invece quella di unificare questi corpi e reparti separati, creando un efficace collegamento fra i reparti ed i servizi generali. Fu realizzata una struttura “a pettine” con un’unica grande galleria che collegava i vecchi ed i nuovi padiglioni: la galleria, su due piani, consentiva al piano di sotto un collegamento di servizio ed al piano di sopra l’accesso al pubblico, che veniva meglio regolato e controllato”. I nuovi locali, i medici ed i ricoverati ebbero l’onore di essere visitati dal neo eletto Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, in una delle sue prime uscite pubbliche. Passarono pochi anni che il “Lotti”, come gran parte della popolazione e della città, fu colpito e devastato dalla terribile alluvione del 4 novembre 1966: il personale riuscì a fare in tempo a mettere in salvo tutti i ricoverati che si trovavano nei piani bassi, ma gran parte delle attrezzature, degli infissi e degli arredamenti furono sommersi, distrutti e portati via dalla corrente del fiume in piena. Con l’abolizione del sistema mutualistico e l’avvio della riforma sanitaria (legge Mariotti del 1968), cambiava e si rinnovava profondamente il ruolo degli ospedali: non solo la cura, ma anche la prevenzione, la riabilitazione, l’educazione sanitaria, la medicina sociale e del lavoro divenivano attività qualificanti del nostro ospedale, che dimostrava ancora una volta di essere all’altezza dei tempi ed in taluni settori anche all’avanguardia. Infatti il “Lotti” in questi ultimi anni si è distinto anche sul piano dell’innovazione organizzativa, mettendo in atto il modello assistenziale “per intensità di cura”, secondo i modelli e l’esperienza organizzativa degli ospedali più avanzati. Anche dal punto di vista delle strutture l’ospedale si è ancora una volta rinnovato con l’apertura di nuovi padiglioni e servizi: nel 2010 è stata inaugurata la nuova e modernissima Radiologia, con i più avanzati strumenti diagnostici. A seguire, come sottolineava la direttrice Maria Teresa De Lauretis durante l’inaugurazione delle nuove strutture, è stato ampliato, riorganizzato e potenziato il Laboratorio di Analisi, con l’introduzione della cartella clinica unica elettronica per la gestione dei dati clinici e tante altre innovazioni tecnologiche. Ma la stessa immagine o cartolina del “Lotti” è stata rinnovata e resa nel contempo più funzionale: un atrio avveneristico, che è oggi la porta d’ingresso e il biglietto di presentazione dell’ospedale, rende bene l’idea nel cittadino-utente di una accoglienza e di una attività a livelli di eccellenza.

“Fin dal 1876, essendo morto alcuni anni prima Felice Lotti, cittadino Pontederese, ed avendo egli destinato le sue ingenti sostanze a speciale opera di beneficenza, sorse in Pontedera, e precisamente nell’antico Convento dei Cappuccini, donato dal Governo al Comune in seguito alla legge di soppressione di corporazioni religiose, il primo nucleo di assistenza ospedaliera, che, conformemente alla volontà dell’estinto, funzionò inizialmente, con rendite patrimoniali proprie, pel mantenimento e la cura dei vecchi miserabili cronicamente ammalati od impotenti per senilità, appartenenti al Comune medesimo. Tale ospedalizzazione, con le stesse finalità, fu poi estesa ai malati cronici di qualsiasi altro Comune che si fosse obbligato a corrispondere le relative rette di spedalità, come pure del Comune di Pontedera, ed a suo carico, qualora il numero dei posti disponibili secondo le potenzialità del bilancio a carico dell’Opera Pia, fosse risultato al completo, oppure che per qualche cronico, pur meritevole di accettazione dal punto di vista sanitario, non si fossero verificate tutte le condizioni atte a conferirgli il diritto di mantenimento a spese dell’Opera. Ma intanto, mentre da una parte i locali dell’antico Monastero, migliorati ed ampliati secondo il progetto del chiaro Architetto Comm. Ing. Bellincioni, sembravano anche esuberanti di fronte allo scopo, d’altra parte la cittadinanza di Pontedera ed i paesi limitrofi cominciarono a sentire il bisogno di fruir maggiormente e più da vicino dei progressi dell’assistenza ospedaliera, la quale, per i progressi delle scienze biologiche in genere, e in special modo delle discipline medico-chirurgiche, già fin dagli ultimi decenni del secolo scorso si era incominciata ad affermare non più come semplice opera di carità, ma come parte integrante ed assolutamente indispensabile dell’assistenza sanitaria. Fu così che il Comune di Pontedera, fedele interprete dei desideri della popolazione, chiese ed ottenne che le Tavole di fondazione dell’Opera Pia venissero modificate, in modo che fosse possibile accogliere nel Pio Istituto non soltanto casi di malattie croniche od incurabili, ma eziandio casi di malattie acute che avessero necessità non del solo ricovero a scopo umanitario, ma di vere e proprie cure mediche o chirurgiche, impossibili ad eseguirsi a domicilio. E fu così che nel Novembre del 1883 venne firmato il relativo Decreto Reale col quale fu sanzionata per lo Spedale Lotti la istituzione di una sezione per «malati acuti», escludendo d’altronde per essa l’accoglimento di malattie infettive a carattere contagioso”1.   Ospedale Lotti in Pontedera, Prof. Francesco Casagli Direttore Generale, L’Ospedale Lotti avanti, durante e dopo il periodo della guerra. Discorso pronunciato nell’occasione dell’inaugurazione di nuovi locali e del nuovo impianto di termosifoni, presenti le Autorità cittadine e Prefettizie a dì 7 Gennaio 1923, Tipografia Editrice Cav. F. Mariotti, Pisa 1923

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Silvio Ficini 1924, Ospedale Lotti 1902, Ricoverati dell’Ospedale Lotti - Ore d’ozio. Ed. Pettinelli e C. - Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.)

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La Misericordia e La Pubblica Assistenza

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ra le cartoline che le collezioni ci hanno “restituito” meritano un discorso a parte quelle che hanno prodotto le istituzioni e le associazioni meritorie della nostra città. Esse erano realizzate per particolari “occasioni”. Il 9 agosto 1899 per il decennale dell’associazione la Pubblica Assistenza di Pontedera editò una cartolina, spedita quattro giorni dopo, che servì a due importanti scopi: quello celebrativo e quello benefico. La Compagnia di Pubblica Assistenza era nata il 28 febbraio 1882 come speciale sezione della Società dei Reduci delle Patrie Battaglie e Fratellanza Militare raggiunse l’autonomia nel 1889. Dieci anni dopo per festeggiare l’anniversario si pensò di organizzare una Cartolinata di Beneficenza per “l’istituzione di un forno di disinfezione, col quale la biancheria, gli indumenti, i mobili appartenuti o appartenenti al tubercoloso o colpito da altre malatttie epidemiche possono essere liberati dai germi fatali costituenti tale flagello sociale. A raggiungere la meta indicemmo una cartolinata di beneficenza. Nessuno rifiuti l’acquisto della cartolina ricordo che da oggi emettiamo, quale biglietto d’ammimssione ai locali dove avrà luogo la festa sociale del 13 Agosto, e a poco a poco, in breve lasso i tempo, potremo effettuare il disegno progettta e che devesi imparziabilmente riconoscere cosa di somma utilità pubblica, non solo per la nostra Città, ma anche per i Paesi e le Campagne circonvicine. Ciascuna cartolina, lavoro finissimo in fotoincisione, eseguita su disegno del concittadino Sig. Vincenzo Ceccanti, che gentilmente prestò l’opera sua, costa 10 centesimi e concorre alla vincita di un premio consistente in un vitello vivo, dono della Compagnia1. Nello stesso anno la Pubblica Assistenza provò a formare una squadra di pompieri anche perché in città non erano infrequenti gli incendi soprattutto ai locali stabilimenti, tre solo in quell’anno. Non sappiamo l’anno di costituzione ma la Sezione Pompieri nacque come testimonia la cartolina qui riprodotta. Nel 1900 toccava alla Misericordia festeggiare il secondo centenario con l’emissione di un ricordo cartaceo. A dire il vero anche oggi è ignota la data esatta di fondazione, ed il lieto evento è convenzionalmente fissato nell’anno 1700. Nel 1906 la Pubblica Assistenza stampa la cartolina relativa al patronato scolastico. La Società operaia della Rotta invece nella sua ricorda la data della costituzione 3 giugno 1877 e l’inaugurazione della bandiera il 3 ottobre 1899. Non abbiamo reperito nessuna cartolina, ma non possiamo escludere la loro esistenza, di altre associazioni o istituzioni cittadine che hanno contribuito e contribuiscono alla crescita e al benessere di Pontedera. 1

1906, Compagnia di Pubblica Assistenza di Pontedera. Sezione Patronato Scolastico. Charitas. Ed. Garzini e Pezzini - Milano (A.M.B.)

Pubblica Assistenza di Pontedera - Sezione Pompieri (in azione). Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera (A.S.V.)

Roberto Cerri, Pontedera tra cronaca e storia 1859-1922, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 1982, p. 84

R.V. Arciconfraternita di Misericordia di Pontedera. Festeggiamenti secondo centenario. Maggio-giugno MDCCCC

Società Operaia La Rotta. N° 2274. Costituzione 3 giugno 1877. Inaugurazione della Bandiera 3 ottobre 1899 (A.M.B.) 13 agosto 1899, Compagnia di Pubblica Assistenza di Pontedera. IX Agosto MDCCCXCIX. X Anniversario (A.M.B.)

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LA FILARMONICA VOLERE È POTERE Io suono in banda, io sono in banda ilarmonica Volere è Potere: l’anima musicale della Città di Pontedera. Dal 1835 la Banda incarna il senso più popolare di musica, intesa come la musica della gente, vicina alla gente. Pontedera e la Banda sono intimamente legate. In 178 anni si sono susseguiti alla sua guida 22 presidenti e 19 maestri alternando momenti di crisi e di grande gloria: premi internazionali a Torino (1902), a Cannes (1904) e a Lussemburgo (1959 e 2010), concerti a Torino, Rimini, Firenze, a Pontedera e nelle piazze delle più remote frazioni. Tutto questo è la Banda, un’Associazione che ben coniuga in sé tre grandi valori: passione per la musica, aggregazione sociale e formazione dei giovani. La banda riesce innanzitutto a trasmettere a tutti la voglia di fare musica, sottolineando i momenti più importanti della vita cittadina, sia civili che religiosi: la Festa della Repubblica, la Festa di San Faustino, l’inaugurazione della Fiera ed il Concerto di Natale, per citarne alcuni. Coinvolgimento sociale perché la Banda accomuna nella stesso contesto bambini, giovani, adulti ed anziani di diverse estrazioni sociali che in altri ambienti avrebbero obiettivi e interessi magari contrapposti. Nella Banda bambini alle prime note e giovani ottantenni si guardano negli occhi per cercare l’intesa prima e durante il concerto e si ritrovano alla fine nella soddisfazione dello stesso applauso. Spirito di collaborazione che si traduce nella grande capacità di coinvolgere e farsi coinvolgere da altre associazioni del territorio sia con finalità culturali che solidali. Cultura e solidarietà uniti nello stesso percorso. La passione per la musica e l’aggregazione sociale assumono un carattere pedagogico quando si trasformano in una scuola di musica, fatta, come la vita, di regole, di attenzione, di rispetto, raggiungendo l’armonia quando “tutti” ed “ognuno” interpretano bene la propria parte, sia che essa sia di primo o di secondo piano. Suonare in banda non significa dunque semplicemente “suonare”, ma “suonare insieme”. Far parte di un gruppo, di una squadra, di un sogno. Un sogno concreto fatto di musica sinfonica, jazz, moderna, swing tutta costruita artigianalmente con il fiato dei polmoni e guidata dal 2008 dal Direttore Artistico M° Stefano Gatti. La Banda significa “Sognare di fare qualcosa insieme domani”. Eugenio Leone

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La nostra musica cittadina, diretta dal bravo maestro Falorni ha ottenuto al concorso internazionale di Torino il 1° premio nella gara di esecuzione e l’altro 1° premio nella gara d’onore, guadagnando cosi due medaglie d’oro, L. 950, due bandiere d’onore e il dono artistico del Re. Un vero trionfo! La bella notizia fu accolta con giubilo da questi cittadini che esultanti di nobile orgoglio, prepararono a quei valorosi una festosa accoglienza. Da Torino essi partirono lunedì fra l’entusiasmo di quel popolo gentile che tributò loro una dimostrazione di simpatia, e qui giunsero martedì, aspettati da una folla immensa di popolo plaudente, da tutte le associazioni cittadine, dal Sindaco, dalla Giunta comunale, dal Deputato del Collegio, nonché da diverse musiche pervenute dai paesi vicini. La citta era imbandierata, le fabbriche e i negozi si chiusero in segno di festa, le campane suonavano a distesa in segno di lieta esultanza. Al passaggio dell’interminabile corteo lungo la via Vittorio Emanuele e sulla Piazza Umberto I, le signore dai balconi sventolavano i fazzoletti e gettavano i fiori. La commozione invase gli animi di tutti e la gioia raggiunse il colmo. La città rimase animatissima fino ad ora tarda ed alla sera tutte le strade e piazze erano fantasticamente illuminate. Si partano dal mio cuore tanti rallegramenti a quei bravi giovani che ancora una volta fecero onore al proprio paese e che seppero di fronte agli stranieri tenero alto il nome Italiano. Il Ponte di Pisa, Anno X n. 27, Sabato-Domenica 5-6 luglio 1902

Il ritorno della Filarmonica di Pontedera dal nuovo trionfo di Cannes. La manifestazione delle operaie. Ed. Pettinelli e C., Foto Ricci (A.M.B.). Le operaie pontederesi festeggiano la vittoria della Filarmonica a Cannes nel 1904

6 aprile 1904, Torino - Prima Esposizione d’Arte Decorativa Moderna. II. Concorso Internazionale di Musica. Ed. Carlo Amato - Torino (A.M.B.). In primo piano il maestro Giovanni Falorni

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LE FRAZIONI Montecastello

Paolo Morelli, La comunità di Montecastello fra conti, vescovi e città (secoli XI-XIII) in Statuti et ordini di Monte Castello contado di Pisa pubblicati per cura di Giuseppe Kirner in Bologna (1890), ristampa anastatica a cura di Michele Quirici, Biblioteca Toscana XXXIII, Tagete Edizioni, Pontedera 2012 2 Gli statuti curati dal Kirner sono stati ripubblicati nella collana Biblioteca Toscana (XXXIII) da Tagete Edizioni nel 2012 e curati da Michele Quiric 3 Pier Luigi Gorini, Montecastello. Storia, cronaca, leggenda, FM edizioni, San Miniato 2002, p. 91 i 1

Montecastello nasce probabilmente come castello vescovile1. I documenti attestano che a cavallo tra il X e l’XI secolo il conte Gherardo di Lucca dona all’abbazia Serena, situata tra Siena e Volterra, il territorio della Pieve di San Gervasio tra cui il castello di Vicinatico che poi cambierà nome in Montis de Castello quando nel XII secolo saranno apportate migliorie. Nel 1119 il castello passa in pegno, per una permuta di beni, al vescovado di Lucca che poi lo acquista nel 1158 allargando il suo territorio sulla riva sinistra dell’Arno. Nel corso del XII e del XIII secolo Montecastello, come gli altri castelli delle Colline Pisane e della Valdera, è conteso prima tra Pisa e Lucca, poi tra Pisa e Firenze. Dopo la pace del 1256 i castelli di Montopoli, Pratiglione, San Gervasio Montecastello e Palaia sono riuniti in una sola provincia sotto la giurisdizione vescovile lucchese a cui gli abitanti giurano fedeltà. Tornerà pisana solo nei primi anni del Trecento quando anche la chiesa intitolata a S. Lucia assurgerà al titolo di pieve e poi fiorentina quando nel 1406 Firenze pacificherà l’intera Toscana sotto la sua supremazia. Dopo le alterne vicende Montecastello risulta spopolato e povero così intorno alla metà del XV secolo una quarantina di famiglie provenienti dalla Lunigiana ripopola il territorio ottenendo dal governo fiorentino sgravi fiscali. Sono di questo periodo gli statuti ripubblicati poi da Giuseppe Kirner nel 18902. Con la definitiva vittoria di Firenze del 1509 e il dominio mediceo, Montecastello si trasforma in feudo con terreni a mezzadria e nel corso dei secoli vi succedono famiglie dell’aristocrazia pisana e fiorentina. Vestigia dell’antica rocca, dato lo spessore delle sue mura, è probabilmente il campanile3, minato e distrutto dai tedeschi in ritirata durante la seconda guerra mondiale, ricostruito poi nel 1967 con i dettami architettonici del razionalismo dell’epoca e nel 2006 nuovamente ristrutturato. Oggi Montecastello è zona residenziale circondato dalla tipica campagna collinare toscana ma le sue strade lastricate, l’arco dell’antica porta, le mura del castello sono impregnate della sua antica storia. Valentina Filidei

La Comunità [di Pontedera n.d.a.] contiene una popolazione di circa 7590 individui divisa in 171 famiglie coloniche, e 1220 famiglie abitanti nei paesi di Pontedera, Monte Castello, la Rotta, le Fornacette e Gello di Lavaiano; le famiglie però dei contadini sono numerose d’individui, essendovene fino di 24 persone. Il carattere dei contadini è docile e rispettoso, molti sanno leggere e scrivere, son diligenti ed assidui nel lavoro, e molto industriosi nel traffico del bestiame; anche, le donne vangano e zappano, e fanno le altre rusticali faccende, meno il potare. Il nutrimento loro in generale è pane di saggina, fave e granacciata; poche famiglie mangiano la carne due volte la settimana, e non tutte una volta; negli altri giorni si cibano di erbaggi del podere, civaie, formaggio, ed anche di salumi. Bevono il vino stretto e l’acquerello, e conservano il vino buono per l’estate al tempo delle raccolte dei cereali, per eseguir le quali, siccome raramente bastano gli individui della famiglia, sono obbligati a gravi spese per supplire a tali faccende. Il loro vestiario si potrebbe dire elegante anzichè no, specialmente nelle donne. I capitali di mobilia, attrezzi rusticali ed altro, appartenenti alle famiglie coloniche, possono valutarsi fino a lire 1600; vi sono però delle famiglie povere che non arrivano ad averne per lire 5oo1. Luigi Bagnoli Estratto di un articolo comunicatoci dal sig. Luigi Bagnoli in continuazione di quello pubblicato nel fascicolo XI° del presente Giornale contenente le Notizie Agrarie della Comunità di Pontedera in Giornale Agrario Toscano, anno 1830, numero XIV, Giornale Agrario Toscano compilato dai sigg. Raffaele Lambruschini Lapo De Ricci e Cosimo Ridolfi volume IV, al Gabinetto Scientifico e Letterario di G. P. Vieussseux editore, tipografia di Luigi Pezzati, Firenze 1830 pp. 216-127

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Treggiaia Un documento della Biblioteca del Convento di S. Caterina a Pisa ci permette di ricostruire un momento della vita del Castello di Treggiaia nel 1313 e la sua conformazione urbanistica: si tratta di atti, rogati da notaio, contenenti notizie e aspetti significativi della vita di Treggiaia nel medioevo, sia per quanto riguarda la gestione del Comune, sia per quanto riguarda i rapporti con Pisa. Da esso si evince che Treggiaia era un borgo fortificato, sviluppato intorno ad un castello, e capoluogo di una Capitania, quindi dimora e sede di un capitano. Il centro strategico era il “castello”, che ancora oggi esiste, solo parzialmente modificato. Qui era una piazza (oggi piazza Milazzo) dove si riunivano a parlamento gli uomini. Su di essa si affacciavano la chiesa dedicata a S. Lorenzo, la “domus ecclesie” sulla cui facciata era un pergolato, un palazzo, sede del capitano, con in facciata archi e un portico. Ancora oggi la situazione è simile: la chiesa di S. Lorenzo, diventata di S. Bartolomeo, è ancora là con gli ampliamenti seicenteschi, la casa del prete è stata sostituita dal palazzo/fattoria Passerini, mentre la casa del capitano (già fattoria Lazzerini e oggi proprietà Ceccotti) mostra, intatta, la sua qualità architettonica con la bella facciata in cotto e gli eleganti loggiati ad arco. In merito a quest’ultima, in una veduta del territorio tra Pontedera e La Rotta del 1606 (ASP Fiumi e Fossi 162.1185) è possibile vedere in un disegno schematico di Treggiaia la chiesa, il palazzo del capitano con gli archi simili a quelli attuali. Treggiaia non appare molto cambiata nel ’600 dal punto di vista urbanistico, mentre da quello politico è passata dal dominio pisano a quello fiorentino e dalla Diocesi di Lucca alla nuova Diocesi di S. Miniato. Il borgo, da castello di frontiera si è trasformato in un centro agricolo. In questo periodo i Ceuli, nobili pisani, costruiscono un palazzo/fattoria di fianco alla chiesa appoggiandosi sulle mura castellane; i Quarantotti di Pisa ereditano dai Vernagalli una casa padronale con alloggio per i contadini appena fuori dalle mura verso ovest; il palazzo del capitano, persa la sua funzione politica, diventa anch’esso fattoria. Nel settecento i palazzi Quarantotti e Ceuli ora Passerini verranno ampliati fino a raggiungere l’attuale dimensione e importanza. Anche la chiesa, ora dedicata a S. Bartolomeo, inserita nella nuova Diocesi di S. Miniato, è ristrutturata alla fine del ’600 adeguandola al nuovo gusto barocco e alle disposizioni tridentine; resta dell’antica fabbrica, la facciata (per restauri recenti) e la bellissima statua lignea quattrocentesca di San Bartolomeo del Valdambrino, allievo di Iacopo della Quercia. L’ultima grande trasformazione risale al 1802 quando Lucrezia Quarantotti, ultima di questa famiglia e sposata Monti, realizza un nuovo accesso al borgo con ciclopici interventi: taglio della collina per la nuova strada e realizzazione di un ponte cavalcavia che le consentono di arrivare con la carrozza in piazza Monti, che da privata diviene pubblica, come si legge sulla lapide posta sulla facciata del palazzo. Treggiaia conserva ancora oggi il fascino di un piccolo borgo non deturpato dalla modernità, immerso nella campagna, sonnolento testimone di un passato più fulgido.

Il Castello di Treggiaia (…) è abitato da 500, persone in circa, e vi è aria ottima, ed acque buonissime, di modo tale che molti Cavalieri Pisani consumano villeggiarvi d’estate. Fui assicurato, che in questo Castello nello spazio di tre anni non era morto alcuno, e che molti vi giungevano all’età di 100 anni. Egli era una volta maggiore di circuito, per quanto si conosce dalle rovine che vi sono attorno, e lo trovo nominato Tragiaria fin del 1126 in una Cartapecora pubblicata dal Muratori1. Giovanni Targioni Tozzetti Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa dal dottor Gio. Targioni Tozzetti, edizione seconda con copiose giunte, tomo primo, nella stamperia Granducale per Gaetano Cambiagi, Firenze 1768 pp. 132-133

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Riccardo Gonnelli

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Gello

1955, Chiesa e campanile di Gello prima del restauro Alla distanza di circa tre miglia ad occidente da Pontedera in un luogo denominato Gello di Lavaiano, nella diocesi di S. Miniato, nei confini della pretura di Pontedera, esiste in mezzo ad una bassa pianura colmata dalla fiumana Cascina e dalla Fossa Nuova, un podere designato col nome «la Badia» attinente alla fattoria che ha in quella località il Nobil Uomo Sig. Cav. Priore Mario Mori-Ubaldini Conte Degli Ailrerti. In questo podere a poca distanza dalla strada comunale trovasi una sorgente, dalla quale viene versata in copia (Barili 18 al giorno) una eccellente acqua salino-purgativa, la quale appena scoperta fu cura dell’egregio proprietario del fondo di fare rinserrare. intanto che ne commetteva‘ al sottoscritto l’analisi quali-quantitativa, che veniva eseguita colla maggiore precisione possibile, onde sodisfare all’onorevole incarico affidatomi. E siccome il luogo d’onde ha scaturigine l’acqua rammentata appellasi, come dissi di sopra, Gello, cosi stabilivo doversi chiamare quest’acqua salino-purgativa «Acqua di Gello»1. Relazione dell’Analisi quali-quantitativa dell’acqua Salino-Purgativa di Gello con indicazioni delle principali proprietà mediche eseguita dal prof. Andrea Cozzi, Stamperia sulle Logge del Grano, Firenze 1853 p. 9

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Fattoria (Archivio Gabriele Meini - Gello)

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Gello di Pontedera, o più precisamente Agello, (dal latino Ager, che significa piccolo podere) ha origni antichissime. Già in età preistorica, la favorevole posizione geografica e idrografica del territorio ha favorito l’instaurarsi di insediamenti stabili. Non ci sono ritrovamenti riferibili al Neolitico, ma è attestato un insediamento di due ettari in località Casa Nova (si intende nelle vicinanze della fattoria del paese). Il villaggio è vissuto per almeno tre secoli (5.350-5.000 anni fa) in una zona asciutta in prossimità di una foresta e lungo un antico corso fluviale. Numerose sono le tracce di frequentazione in epoca etrusco-romana con i poderi di Casanova e del casone di Gello, quest’ultimo in età imperiale sostituito da una grossa fattoria romana. Le prime tracce storiche documentate di Gello sono dell’807 dove si attesta che il villaggio e la villa di Agello erano di proprietà della pieve di S.Maria e S.Giovanni di Ducenta (Ponsacco). Inoltre in un altro atto dello stesso secolo, il vescovo Gherardo di Lucca allivellava una casa padronale con corte e podere annesso, posta “in loco ubi dicitur Lavajano prope Agello”, casa che era di pertinenza della chiesa di S. Frediano di Lucca. Da documenti parrocchiali del 1260 esisteva già la prioria di S. Lorenzo Martire anticamente sotto il gius patronato della nobile famiglia Strozzi di Firenze che possedeva anche la fattoria di Gello e quella di Camugliano. Dopo numerosi conflitti fra la famiglia Strozzi e la famiglia dei Medici per il dominio della città di Firenze, uscendone vincente il Gran Duca di Toscana, tutti i beni della famiglia Strozzi furono confiscati e il gius patronato della chiesa e della villa passarono conseguentemente al Gran Duca Ferdinando II dei Medici. In quel tempo, nel piccolo borgo di Gello erano dislocati ben tre edifici ecclesiastici: la prioria di S.Lorenzo Martire, la cappella di S.Martino vescovo dell’ordine di S. Stefano, nella località di Lavajano e il complesso monastico delle monache Camaldolesi edificato a Gello di Pozzale. Il convento a Gello di Pozzale faceva parte come tutt’oggi dell’Arcidiocesi di Pisa, mentre le due chiese di San Lorenzo M. e San Martino a Lavajano facevano parte dell’arcidiocesi di Lucca, fino all’anno 1622 quando venne eretta da papa Gregorio XV la Diocesi di San Miniato al Tedesco. La chiesa di S. Lorenzo Martire e la fattoria furono donate dal granduca Ferdinando II al sergente generale Niccolò di Alessandro Dal Borro nobil Marchese per essersi mostrato un valoroso combattente durante le battaglie nell’esercito fiorentino. Dovendo quest’ultimo provvedere al mantenimento del priore Marco Marchi della chiesa di S. Lorenzo Martire, il 9 maggio 1677 regalò pio in perpetuo alla parrocchia un appezzamento di terreno di trentatre pertiche intorno alla chiesa e canonica, con l’onere di due messe settimanali ai defunti della famiglia Dal Borro. Alla morte di Niccolò Dal Borro (1690), non avendo eredi diretti, l’eredità del gius patronato della chiesa e della fattoria passarono al fratello Marco Alessandro Dal Borro e alla moglie Penelope di Niccolò Fantoni Ricci. Nel 1830 il Cav. senatore Vincenzo Capponi, erede dei Dal Borro, dopo essere caduta in miseria la sua famiglia, si trovò a dover vendere la fattoria al Conte Leon Battista Degli Alberti di Firenze. Non potendo più sostenere gli oneri di manutenzione della chiesa il Cav. Capponi cedette nel 1835 il gius patronato di San Lorenzo all’episcopio di San Miniato. La chiesa parrocchiale di San Lorenzo M., nel piviere di Ponsacco, riuniva sotto la sua amministrazione anche la chiesa di san Martino di Lavaiano dell’ordine dei cavalieri di Santo Stefano e aveva il diritto delle decime su un territorio che si estendeva fra Fornacette e Ponsacco. Il 18 dicembre 1676 nel convento di S. Maria sopra Minerva di Roma venne concessa la facoltà di fondare, nella comunità di Gello, la Compagnia del Santo Rosario. Tale compagnia venne resa autonoma da quella presente a Ponsacco per la distanza, come riporta una pergamena del tempo “…con la dispensa sopra la distanza delle due miglia dalla suddetta compagnia a quella di Ponsacco”. Annualmente, nella comunità di Gello si doveva celebrare la festa del Santo Rosario la prima domenica del mese di Ottobre. Negli anni successivi, grazie all’aumento delle offerte e donazioni per la Compagnia, la chiesa conobbe un periodo di continui lavori che modificarono il suo aspetto iniziale di stile romanico. Dalle cronache parrocchiali del tempo l’interno della chiesa si presentava semplice e con un solo altare, un antico ambone in legno di castagno veniva utilizzato per le prediche ma fu distrutto con i lavori di realizzazione della porta della nuova sacrestia. La chiesa di Gello è così dominata da uno stile barocco e costituita da un altare centrale per la mensa e due altari laterali (uno dedicato alla Madonna del Rosario e l’altro a S. Giuseppe) e due confessionali. Anche il fonte battesimale non è più quello originale ma proveniente dalla chiesa di Ponsacco. La comunità di Gello ebbe un notevole sviluppo nei primi del novecento con l’acquisizione della villa da parte del Cav. Calogero Ciaccio, ricco agricoltore siciliano trasferitosi in Toscana nel 1870, che apportò innovazioni importanti nella coltivazione della vite e dei cereali. Gabriele Meini

La Cava 173


La Rotta

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he il suo nome derivi da un “dirottamento” d’Arno, dico del suo corso, o da una sua “rottura” d’argine; oppure che in quell’ansa di fiume sia andato in “rotta” uno degli eserciti contendenti, forse pisano, forse fiorentino come vuole una vulgata storica, La Rotta prende comunque il proprio nome da un evento traumatico, protagonisti l’Arno, l’acqua, la motiglia delle alluvioni destinata a divenire argilla e a incrociarsi con il fuoco. Con l’argilla depositata dal fiume, formata e cotta nelle fornaci costruite in loco (nell’Ottocento se ne contano ben quattordici) si sono difatti identificate per secoli l’economia e la stessa vita comunitaria dei Rottigiani. Lavoro pesante durante l’intero anno. Fabbricanti di laterizi, fornaciai e mattonai sono stati, sin dall’undicesimo secolo, praticamente tutti i Rottigiani, donne e uomini. Ma non tutti trovavano lavoro nell’ansa d’Arno di casa. A primavera La Rotta si spopolava. In vecchie foto conservate al Museo dei Mattonai de La Rotta, la folla in attesa del treno alla stazione fa pensare a un esodo: i disoccupati partivano per le fornaci della Pianura Padana. Là impastare, modellare, asciugare, cuocere, sfornare laterizi era ancora più duro che nelle fornaci di casa. Al rientro, in autunno, i lavoratori stremati portavano in dono ai bambini fischietti e campanelle, e si festeggiava il ritorno. A quei poveri ninnoli si intitola oggi la Fiera dei Fischi e delle Campanelle, che si tiene per ricordare l’attività lavorativa e, in definitiva, la cultura tradizionale e popolare del paese. Dove non si fabbricano più laterizi dopo l’incendio che bruciò le fornaci locali, nel 1968. Ma il lavoro artigianale era ormai esaurito, soppiantato dalla produzione industriale. Nella vecchia fornace Braccini a fuoco continuo (una delle prime con il sistema Hoffmann fu impiantata a La Rotta nel 1872 da Capecchi), il gruppo culturale Il Mattone ha realizzato il Museo dei Mattonai, appunto. Sopravvissuta all’incendio, la straordinaria e bella fornace è una galleria ovoidale voltata, dove si cuoceva “a catena” poiché si muravano diversi settori e si alimentava il fuoco dall’alto. Vi sono raccolti una quantità di manufatti in laterizio e i documenti visivi che, con grafici e pannelli informativi, consentono di conoscere compiutamente la faticata “epopea” dei mattonai e fornaciai de La Rotta. Nicola Micieli

La Rotta (Pisa). Centro

1923, La Rotta. Panorama dalla destra dell’Arno

La Rotta, il cui nome vuolsi che derivi dalla rottura dell’Arno per farsi strada al bacino pisano, è conosciuta per le sue fornaci di eccellenti mattoni che si conducono per acque a Livorno, ove si imbarcano per lontani paesi1. Nuovo Dizionario Universale Tecnologico o di Arti e Mestieri e della Economia Industriale e Commerciante compilato dai signori Lenormand, Payen, Molard Jeune, Laugier, Francoeur, Robiquet, Dufresnoy, ecc. ecc. Prima traduzione Italiana,, Tomo LII, Nell’I. R. Privilegiato Stabilimento Nazionale di Giuseppe Antonelli, Venezia 1854 p.247

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Lunedì di Pasqua 1926, Il battesimo del barone L’Invidiata a La Rotta. Foto Leone Bartoli (Archivio Privato Sauro Lami - La Rotta)

1906, La Rotta. Chiesa Parrocchiale

11 luglio 1901, Stazione de La Rotta

Art IV. Sarà inoltre la Società obbligata ad acquietare avanti di por mano ai lavori nella sezione compresa fra Pontedera e Empoli tutti I proprietarj delle fornaci della Rotta, i quali abbiano diritto ad essere rilevati indenni non tanto per l’occupazione del suolo, quanto per l’impedimento che la strada ferrata potrebbe arrecare all’esercizio della loro industria. E allorquando per qualsiasi ragione non riescisse di acquietare i detti proprietarj di fornaci, siccome l’industria a cui verrebbe opposto impedimento è esercitata dalla intiera popolazione di quel castello, così la Società sarà obbligata a rinunziare al progetto di tenere la strada ferrata sulla striscia di terreno compreso fra le fornaci ed il fiume, o costruendo due punti per passare e ripassare l’Arno sopra e sotto la Rotta, o adottando altro conveniente provvedimento che resti approvato dal consiglio degli ingegneri1. Capitoli approvati da S. A. I. e R. per lo stabilimento di una strada a rotaie di ferro da Firenze a Livono, Linea della strada ferrata da Firenze a Livorno in Annali Universali di Statistica, ecc. ecc. Bollettino di notizie italiane e straniere e delle più importanti invenzioni e scoperte, o progresso dell’industira e delle utili cognizioni, fascicolo di Aprile 1841, Notizie Italiane, Nuove Comunicazioni per mezzo di Canali, di Bastimenti a vapore, di Strade e Ponti di ferro in Annali universali di Statistica economia pubblica, storia, viaggi e commercio, volume sessantesimottavo, Aprile, Maggio, Giugno 1841, presso la Società degli Editori degli Annali Universali delle Scienze e dell’Industria, Milano 1841 p. 105

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1925, Stazione de La Rotta

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La Rotta - Panorama con il curvante Arno veduto dal campanile (Archivio Privato Sauro Lami - La Rotta)


PONTEDERA ALLA LUNA “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna?” Chiedeva Leopardi nella celebre poesia “Canto di un pastore errante dell’Asia”. L’immortale, “solinga, eterna peregrina” luna protagonista dei versi leopardiani osserva gli uomini e la terra dal silenzio del cielo. E se il tempo scorre, le generazioni umane si susseguono, le città si modificano, la luna no, rimane ad osservare. Ed ha osservato in silenzio anche le trasformazioni e i cambiamenti della nostra Pontedera. La vediamo sonnacchiosa e silente in questa serie di cartoline notturne dove la luna fa capolino e osserva. E se i nomi delle strade sono cambiate, le ciminiere ormai scomparse, molti palazzi ottocenteschi distrutti dalle bombe della Guerra, la luna uguale fa compagnia alla nostra città e continuerà ogni notte a specchiarsi sui due fiumi, l’Era e l’Arno, che come lei da sempre hanno accompagnano le alterne vicende, scrigni e depositari di una lunga storia che ha visto tante trasformazioni e cambiamenti. E allora, alla fine di questo viaggio, lasciamoci accompagnare dalla luna verso il futuro. Valentina Filidei

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Luna o tu, che pur volgi il tardo giro Al monte antico, ov’è tua viva spene Com’è diletto ai miseri lor pene Mostrar altrui, deh guarda il mio martiro. Vedi come piangendo io qui m’aggiro Notturno e solo in quest’ombre serene, Tutto rivolto a contemplar quel bene, Che a me fu un batter d’occhi ed un sospiro1 Pietro Balbiani Ottobre 1864, Alla sorella Alice e all’avvocato Franceso Buonamici professor di diritto commercial nella R. Università di Pisa e notizie sulla vita e le opera di Pietro Balbiani offre nel giorno delle loro nozze l’Avv. Felice Tribolati, Edizione di soli Cento Esemplari da distribuirsi in dono, Tip. Citi, Pisa 1864 p. 13

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Luigi Giani, Belladimai - Quella Pontedera che non c’è più”, CLD libri, Pontedera 2004, 3° capitolo, p. 30

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Belladimai (dall’omonimo quartiere francese a Marsiglia Belle de Mai) era un enorme caseggiato con cortile interno, costruito alla fine del XIX secolo dalla famiglia Leoncini su un terrapieno davanti all’Era, secondo gli allora moderni dettami dell’edilizia delle città industriali del Nord. Racconta Luciano Boschi nato a Belladimai nel 1921 “il rione era abitato da gente umile e semplice: operai, manovali, piccoli artigiani, un po’ di sottoproletariato e tanti, tanti ragazzi (…) era un quartiere molto popolare ma non malfamato, anzi i suoi abitanti si stimavano fra di loro e vi era fra essi molta solidarietà” 1 Nal gennaio 1944 Pontedera fu bombardata e molti edifici furono completamente distrutti, tra questi anche Belladimai. Insieme alle mura, ai mattoni, alle pareti furono cancellate atmosfere e ricordi della “vecchia” Pontedera che poi ha fatto posto ad una città diversa, sicuramente più moderna, ma diversa. Valentina Filidei Luigi Giani, Belladimai. Quella Pontedera che non c’è più, CLD Libri, Pontedera 2004, pp. 32-33

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Belladimai Il mio primo impatto con ciò che restava di Belladimai, distrutta in parte dai bombardamenti del 1944, ed in parte completamente rasa al suolo dalle ruspe degli alleati per ampliare con le macerie l’aeroporto, fu verso le sei del pomeriggio. Giocavamo nel terreno dove è oggi Piazza Giovanni Gronchi in una di quelle partite che cominciavano alle due e finivano al tramonto. Noi piccoli giocatori affamati e ghiotti vedemmo arrivare un carretto da via Verdi. L’omino scaricò della roba bianca, qualche cassetta di indecifrabili “caramelle” e se ne andò. Finito di giocare la curiosità ci portò dove era stato scaricato il carretto. Le caramelle erano caramelle ma anche col foglio sembravano ciucciate. L’oggetto bianco si rivelò essere ciò che rimaneva di un antico ed abbondante torrone, variegato di giallo e di marrone. Ci guardammo pensierosi: attirava. Con un coltellino ripulimmo bravamente l’oggetto da ogni concrezione pericolosa, credendo così di renderlo di nuovo commestibile. Tutti ne presero un pezzo e cominciarono a sgranocchiarlo, chi a cavalcioni dei muri rimasti di Belladimai e chi andando a casa. Una settimana dopo avevo all’inguine l’ingrossamento di un ganglio linfatico che aumentava di ora in ora, come un uovo covato. Mamma “Nunziata” chiamò il dottor Zoli, che venne, vide e disse: bisogna tagliare, può diventare pericoloso ed enorme. La poveretta non si capacitava del perchè; ma era dotata del sesto senso delle mamme e stava a lambiccarsi il cervello di come il suo ultimo nato, Luigino, avesse potuto prendere quell’infezione. Aveva però anche delle semplici cognizioni di impiastri e di impacchi. “Prima di tagliare – disse l’Annunziata al dottore – mi faccia provare qualche giorno con gli impacchi e gli impiastri di lino”; lui, sempre burbero ma cordiale, rispose: “Prova”. Era martedì, ritornò venerdì. Gli impiastri e gli impacchi avevano fatto il miracolo; ma l’Annunziata si chiedeva ancora perchè il suo Gigi, quella peste, aveva avuto l’infiammazione, quell’“ovo” insomma, all’inguine. Lo chiese al dottore il quale rispose che l’infezione al ganglio linfatico poteva essere venuta da un’escoriazione o ferita mal disinfettata e curata. “Meno male - pensò Gigi - non mi sono avvelenato col torrone!” per soprammercato non ero andato a scuola per un mese e mezzo, c’era la fiera e sia pure da lontano sentivo tutte le canzoni: “Serenata celeste”, “Solo me ne vo per la città” ecc. e ripensavo ai ruderi di Belladimai, contenitori di ogni cosa1. Alle foci dell’Era nell’Arno. Belladimai si specchia nell’acqua del fiume

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Luigi Giani

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PER SAPERNE DI PIù

CHI È?

Breve bibliografia per curiosi

Via Felice Lotti. Ed. Pettinelli e Co. - Pontedera, Foto Ricci (A.M.B.)

Via Felice Lotti. Ed. Vincenzo Pettinelli - Pontedera (A.M.B.)

1914, Via Felice Lotti. Ed. Pettinelli e Leoncini, Foto Dante Giusti - Cascine di Buti, Foto Ricci (A.M.B.)

Aspetti di Pontedera dagli inizi del ’900, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 1976 Adriano Marsili, Antonino Bova, Una memoria per il futuro: storia urbanistica della città di Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 1985 Mario Montorzi, Luigi Giani, Pontedera e le guerre del contado: una vicenda di ricostruzione urbana e di instaurazione istituzionale tra territorio e giurisdizione, Pacini, Ospedaletto 1994 Delia Giannini, Adriano Marsili, Trasformazioni urbane di Pontedera dal 1900 agli anni ’60: una lettura attraverso le cartoline illustrate, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 1995 Nello Chetoni, Albergo Armonia, Storia, personaggi, aneddoti, Bandecchi &Vivaldi, Pontedera 1998, Michele Quirici, Enrico Agonigi, Pontedera e le strade ferrate: il tram e il treno, Edizioni L’Ancora, CLD libri, Fornacette 1999 Michele Quirici, Enrico Agonigi, Fausto Condello, La Lucca-Pontedera-Volterra: i progetti delle strade ferrate in Valdera, Valdinievole e la Pontedera-Livorno, Edizioni L’Ancora, CLD libri, Fornacette 1999 Federico Bracaloni, Adriano Marsili, Norci Elisabetta, Elizabeth Jane Shepherd, Ecofor, Pontedera 2000 Michele Quirici, Paolo Gori, L’Aeroscalo di Pontedera: i dirigibili italiani, Edizioni L’Ancora, CLD libri, Fornacette 2000 Enrico Agonigi, Luigi Bellincioni (1842-1929): ingegnere e architetto del nuovo stile, Edizioni L’Ancora, CLD libri, Fornacette 2001 Per Andrea da Pontedera: antologia di scritti e cronache dedicati al grande scultore e architetto in occasione dell’inaugurazione del suo momento in Pontedera il 27 settembre 1908 a cura di Michele Quirici e Paolo Gori, Edizioni L’Ancora, CLD libri, Fornacette 2002 Paolo Morelli, Federico Andreazzoli, Adriano Marsili, Le fortificazioni medievali di Pontedera, Tagete Edizioni, Pontedera 2005 Ilaria e Lisa Bisori, La città delle ciminiere: archeologie industriali a Pontedera a cura di Cristiana Torti e Michele Quirici, Tagete Edizioni, Pontedera 2006 Un futuro sostenibile: 1966-2006: quarantennale dell’alluvione del 4 novembre a Pontedera a cura di Valentina Filidei e Michele Quirici, Tagete Edizioni, Pontedera 2006 Marco Barabotti, Marco Lupi. L’aeroporto a Pontedera: primati, protagonisti, produzione, Tagete Edizioni, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2007 Eraldo Andrea Bellincioni, Da Pontedera a Palmi: la missione della Pubblica Assistenza del 1908, Pontedera 1909, ristampa anastatica a cura di Michele Quirici e Laura Martini, Biblioteca Toscana XXIII, Tagete Edizioni, Pontedera 2008 Elisa Della Bella, Laura Martini, Enrico Agonigi,Il Teatro di Pontedera: storie di Accademie, compagnie, attori e luoghi dal XVIII secolo al 1944 a cura di Michele Quirici, Tagete Edizioni, Pontedera 2009 Callisto Dal Pino, La Fiera di Pontedera nell’Ottobre del 1880, Tip. del R. Istituto sordo-muti, Genova 1881, ristampa anastatica a cura di Michele Quirici e Laura Martini, Biblioteca Toscana XXVII, Tagete Edizioni, Pontedera 2009 Arturo Petessi, Memorie storiche di Pontedera: Conferenza letta il 4 maggio 1907 all’Associazione pro-cultura in Pontedera, Tip. L’Ancora, Pontedera 1907, ristampa anastatica a cura di Michele Quirici e Laura Martini, Biblioteca Toscana XXV, Tagete Edizioni, Pontedera 2009 Riccardo Minuti, Ponte ad Era inCanto: la sua alba e la sua sera, Tagete Edizioni, Pontedera 2010 Callisto Dal Pino, Per il monumento ai pontederesi caduti nelle patrie battaglie: 11 giugno 1876, Pisa 1876, ristampa anastatica a cura di Michele Quirici e Laura Martini, Biblioteca Toscana XXXII, Tagete Edizioni, Pontedera 2011 Statuti et ordini di Monte Castello, contado di Pisa pubblicati per cura di Giuseppe Kirner: saggi introduttivi di Andrea Landi, Paolo Morelli, Michele Quirici, prefazione di Maria Luisa Ceccarelli Lemut, Romagnoli-Dall’Acqua, Bologna 1890, Biblioteca Toscana XXXIII, ristampa anastatica a cura di Michele Quirici, Tagete Edizioni, Pontedera 2012 Mario Lupi, Pietro Kufferle scultore dello zar, Centro studi e documentazione Andrea da Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2012

Renato Camilli è nato a Civita Castellana (VT) il 3 Aprile del 1956. Nel 1978 arriva a Pontedera, dove inizia a coltivare la passione per la fotografia, dedicando a questa città molti scatti del suo personale archivio fotografico. Cultore di storia locale, ha dato vita al sito www.storiapontedera.it, portale che è diventato in breve tempo un vero archivio storico, con oltre ottomila immagini della Valdera, dal 1876 ad oggi. Residente a Calcinaia, ha ideato altresì per questo Comune il sito www.storiacalcinaia.it, consolidando una collaborazione con l’Amministrazione Comunale, fatta di reportage e mostre fotografiche. È infatti del Marzo 2011 la prima esposizione di scatti, realizzata presso la Torre degli Upezzinghi, a cui ha partecipato l’artista Paolo Grigò. L’attività di Renato Camilli è presente anche su Youreporter, dove ha superato in breve tempo il tetto dei centomila contatti Michele Quirici

Silvio Ficini: La storia dell’ospedale “Lotti” di Pontedera: dalla pubblica carità alla assistenza sanitaria. (18621952). Bandecchi & Vivaldi, editori in Pontedera. Silvio Ficini: La storia dell’ospedale “Lotti” di Pontedera: dai primariati di specialità alla istituzione delle USL. (1954-1981). Bandecchi & Vivaldi, editori in Pontedera.

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Martina Baldelli, nata a Pontedera (PI) il 11 settembre 1983 e residente a Pontedera (PI) in Via dei Salici, 18. Architetto, iscritto all’Albo agli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Pisa, n.1117. Dopo aver conseguito il diploma presso il liceo Scientifico XXV aprile di Pontedera, si iscrive all’università di Architettura di Firenze che frequenterà dal 2002 al 2009. Presso l’Università di Architettura di Firenze consegue nel 2007 una prima laurea triennale in Scienze dell’Architettura, sulla riqualificazione di un’area nella città di Bologna con la progettazione di un edificio integrato commerciale e residenziale (titolo di Tesi: ‘Riabitare la Bolognina: progetto di edificio integrato commerciale/residenziale’, relatore: Prof. Arch. Claudio Zanirato, votazione 103/110); e successivamente, nel 2009, una seconda laurea Magistrale in Architettura, con il progetto di Restauro del Palazzo Pretorio della città di Pontedera compresa la piazza antistante e l’ingresso secondario attestato su Via Lotti. Dopo aver fatto stage presso vari studi di Architettura della provincia di Pisa, adesso pratica la libera professione principalmente sul territorio collaborando anche con studi professionali. Il professor Stefano Bertelli, nato a Pontedera il 30 gennaio 1949 e deceduto a Pontedera il 25 aprile 2012, era un uomo dotato di una grande intelligenza, di una cultura immensa, di una grande passione per l’insegnamento, al quale aveva dedicato la propria vita come una missione. Ha insegnato Diritto ed Economia all’ITCG E. Fermi ed alla Scuola Infermieri di Pontedera. È stato consigliere del Circolo Giovanni Gronchi, consigliere dell’Associazione Italiana di Cultura Classica, consigliere della Fondazione del Teatro di Pontedera, promotore di Una Penna a Pontedera, coordinatore responsabile della Biblioteca del Duomo alla quale ha dedicato quasi totalmente il suo tempo libero. Il 25 ottobre 2011 l’Amministrazione Comunale di Pontedera gli ha dedicato un premio alla carriera scolastico/culturale, come riconoscimento di quanto ha svolto e promosso nella sua amata Pontedera e non solo. Moreno Bertini è nato a Capannoli dove abita e vive ancora adesso. Bibliofilo e collezionista di cartoline d’epoca, fonda nel 1995 il gruppo collezionisti della Valdera, sodalizio del quale è l’anima e il Presidente ininterrottamente fino ad oggi. Si diletta nella ricerca storica del proprio territorio, passione che gli ha permesso di dare alle stampe alcune pubblicazioni frutto delle sue indagini e dei suoi studi: La provincia perduta (Nuova Provincia Editoriale, 1996), Saluti dai Bagni di Casciana (Tagete Edizioni, 2004), Capannoli e il suo territorio. Genti e luoghi della memoria (CLD libri, 2006), Scripta Manent. Autori ed opere di una Valdera da riscoprire (CLD libri, 2009). Suoi contributi sono infine presenti in almeno un’altra ventina di volumi di storia locale. Giuliano Boldrini è nato a Castelfiorentino il 6 settembre 1927 ma ha passato la sua gioventù a Montecalvoli, nel comune di S. Maria a Monte. Dal 1954 abita a Pontedera. Si è diplomato perito edile nel 1947, ed esercitando la libera professione ha contribuito allo sviluppo urbanistico della città. Dal 1980 si diverte a scrivere in vernacolo pisano. Oltre ad alcuni librettini fatti ’n casa ha pubblicato fra gli altri: Da Bocca d’Era, sonetti e altre rime in v.p. Quaderni d’Er Tramme, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera; Pontedera e i suoi rioni, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera; Festa di piccole ’ose, poesie in v.p. Quaderni d’Er Tramme, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera; L’amori delle donne di

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Puccini. Sogno di una notte di primavera, ETS, Pisa; Una passeggiata per la città. Briciolini di storia pontaderese, Tagete, Pontedera; Da Pontedera artre piccole cose, Tagete, Pontedera; Una passeggiata per la periferia. Briciolini di storia pontaderese, Tagete, Pontedera. Roberto Boldrini è pubblicista ma archivista per formazione. È attratto dalle vicende storiche del suo territorio e dalle persone che lo hanno abitato, da ciò ha tratto spunto per una ventina di pubblicazioni. Trovandosi spesso alle prese con documenti del passato è di spirito conservatore, anche se è interessato al presente, soprattutto al presente del mondo delle arti, con una curiosità che tuttavia non è mai diventata vera e propria competenza da connaisseur. Luigi Bruni (Rieti 1938 - Pontedera 2010) Geologo professionista ha vissuto e lavorato a Pontedera. Dopo esperienze giovanili in campo giornalistico ha pubblicato libri di storia locale di carattere scientifico oltre a numerosi racconti ed articoli divulgativi sugli stessi temi. Nel 1962 si laurea in Geologia presso l’Università di Pisa. Dopo una borsa di studio in Belgio, della durata di due anni in un centro di ricerche, ed un altro anno presso i laboratori Euratom di Ispra in Varese, Luigi Bruni torna nel 1966 a Pontedera dove, alternando l’insegnamento alla libera professione, apre il suo studio di geologia. Il 30 Aprile 2011, dedicato al Geologo Luigi Bruni sì è tenuto a Pontedera una tavola rotonda dal titolo: “Il Canale Scolmatore del Fiume Arno. Funzioni attuali e Prospettive d’impiego nel quadro delle politiche territoriali delle Province di Pisa e Livorno” L’iniziativa ha voluto proseguire la discussione avviata con il convegno dell’8 maggio 2010 quando, sollecitati dal geologo Luigi Bruni a cui è stato intitolato il convegno alla memoria, è stato affrontato il tema del Canale Scolmatore e lo stato dell’arte del progetto e dei suoi importanti finanziamenti. Roberto Cerri, cultore di storia locale, ha scritto articoli e saggi sulla storia socio-economica di Pontedera tra Ottocento e Novecento. Si occupa da sempre di biblioteche e di archivi storici di enti locali, nonche dei loro faticosi processi di modernizzazione. Per questo volume ha tracciato una brevissima sintesi dello sviluppo industriale di Pontedera tra fine ’800 e metà Novecento. Fausto Condello, architetto, previsore meteo A.M., disaster manager in protezione civile. Lavora presso il Comune di Pontedera dove riveste il ruolo di responsabile dell’urbanistica, dell’ambiente e della protezione civile. Coltiva da sempre la passione per il trasporto su rotaia e sull’argomento ha scritto numerosi articoli di storia di tecnica nelle riviste del settore; oggi collabora con la testata “I Treni” di Salò. Nel 1999 con Michele Quirici ed Enrico Agonigi ha scritto “La Lucca-Pontedera-Volterra - I progetti delle Strade Ferrate in Valdera, Valdinievole e la Pontedera-Livorno” (Ed. L’Ancora), dedicando la ricerca in particolare alla ferrovia Lucca-Pontedera. Nello stesso anno ha collaborato alla stesura del libro “Le Tranvie a vapore della Toscana” (Ed Alinea). Silvio Ficini, docente di Italiano e Storia nei Licei di Pontedera, Montopoli e San Miniato ha pubblicato numerosi studi di storia locale e militare, fra cui: Il Comprensorio del Cuoio nella bufera: dalla rivoluzione al regime (1918-1922), Pontedera 1998; Montopoli nella seconda metà dell’Ottocento, Pontedera 1996; Storia dell’Ospedale Lotti (2 voll.); Fra

cielo e nevi eterne: Massimiliano Majnoni con gli alpini del Val d’Intelvi sui ghiacciai dell’Adamello, Udine 2004; La Grande Guerra del nazionalista Gualtiero Castellini, Udine, 2008; Gregorio Soldani: dal fronte del sangue e della pietà. Il diario di guerra di un capitano medico nella Grande Guerra, Udine 2001; Dagli Ospedali degli infermi e degli esposti all’Ospedale Riunito di San Miniato, Udine 2013. Valentina Filidei nasce a Pontedera il 18 ottobre 1971. Si laurea nel 1996 all’Università di Pisa in Storia della Letteratura moderna e contemporanea con una tesi sul “Discorso diretto libero in Pier Paolo Pasolini”. Dopo una breve esperienza come pubblicista in alcuni giornali locali, da sempre appassionata di libri, è approdata nel mondo dell’editoria e dal 2003 conduce con Michele Quirici la casa editrice Tagete specializzandosi in ricerche e pubblicazioni di storia locale. Ha curato centinaia di pubblicazioni e come autrice… A fianco dell’attività editoriale da ormai una decina di anni si occupa di organizzare eventi e festival letterari in tutta Italia, previlegiando i bambini e i ragazzi e le case editrici indipendenti. Paolo Gori, laureato in Lettere Moderne all’Università di Pisa, con una Tesi in Storia Militare sulle spedizioni polari del Gen. U. Nobile. Ha condotto ricerche e pubblicazioni sull’attività dirigibilistica italiana negli anni 1913-1929 e sugli aeroscali per dirigibili. È stato Collaboratore del Museo Storico dell’Aeronautica di Vigna di Valle (Roma) e del Centro Studi “Umberto Nobile”. Insegna presso l’Istituto Comprensivo “A. Pacinotti” di Pontedera. Athe Gracci, nata a Livorno nel 1922, è scomparsa a Pontedera nel gennaio 2013. Ha vissuto tra Livorno, la Sicilia, Pontedera e Firenze, spostandosi con il marito Enolo Biasci a Biella, durante la guerra, e a Fourchambault, in Francia, dove la Piaggio aveva dislocato la produzione della Vespa 400. Ritornata in Italia all’inizio degli anni ’60, si è fatta promotrice col marito del gemellaggio tra Fourchambault, dove nel 2005 ha ricevuto la cittadinanza onoraria, e Pontedera. Dopo una lunga carriera da insegnante si è dedicata al volontariato, rivolgendosi in particolar modo ai carcerati. Nel 2004 è stata nominata Cavaliere della repubblica e nel 2007 il comune di Pontedera l’ha onorata del titolo di “cittadina esemplare”. Amante della scrittura e dell’autobiografia ha sempre scritto di sé. Molti dei suoi racconti e diari sono diventati libri e innumerevoli sono i premi che ha vinto, in Italia e all’estero. Ha pubblicato tra gli altri “Diario in treno”, “Fili Blu”, “La piazza dei miei ricordi”, “i miei studenti reclusi”, “bisogno d’amore”, “Cittadina del mondo”, “La mia vespa”, pubblicato postumo. I suoi scritti e documenti sono conservati in archivi pubblici, tra cui quello di Pontedera, l’archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, quello dell’istituto storico della resistenza di Firenze. Eugenio Leone, 40 anni compiuti da qualche anno, in Toscana da 25 anni, un figlio, una laurea in ingegneria delle telecomunicazioni all’Università di Pisa, responsabile marketing e vendita in una grande azienda informatica e telecomunicazioni. Amo il territorio in cui vivo e mi impegno molto nel sociale organizzando dal 2007 la Colletta Alimentare in Valdera/Valdarno/Valdicecina (35 supermercati) per condividere il bisogno di chi ha meno. Vicepresidente di ToscanaIN, associazione nata per allargare la rete relazionale e aumentare le opportunità professionali. Presidente della Filarmonica Volere è Potere

dal 2009 con obiettivo di diffondere la cultura musicale a tutti, portando la musica tra la gente e per la gente. Mario Lupi, è nato e risiede in Pontedera. Diplomato in discipline pittoriche, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Firenze. Abilitato all’insegnamento di: Disegno e Storia dell’Arte e Discipline Pittoriche, ha esercitato a lungo la sua professione in scuole di vario ordine e grado. Nel 1958 ha iniziato la carriera di pittore e grafico, allestendo mostre personali e collettive e ottenendo riconoscimenti e premi. Le sue opere fanno parte di collezioni private e pubbliche. Nel 1960 ha iniziato la sua ricerca artistica in campo fotografico conseguendo, in questo ambito, un’altra abilitazione con una tesi su:”Il processo fotografico come strumento didattico nell’identificazione e analisi delle forme”. Ha organizzato laboratori fotografici in varie scuole d’Italia e ha diretto uno studio televisivo in una scuola cittadina. Ha fatto parte del gruppo fondatore della Sezione Didattica del Museo di San Matteo di Pisa. Ricercatore nel campo della comunicazione ha pubblicato articoli e saggi critici sulla produzione artistica e libri sulla storiografia dell’immagine. È stato tra i fondatori del Centro Arti Visive del Comune di Pontedera, fondatore del “Centro Studi e Documentazione Andrea da Pontedera” e del “Centro di Documentazione Fotografica del Comune di Pontedera e del Territorio della Valdera”. Nel 2005 è stato premiato dalla Regione Toscana per la Cultura. Marco Mannucci, docente di Filosofia e Storia al Liceo “Montale” di Pontedera, collabora stabilmente con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Firenze ed è autore di numerosi saggi nell’ambito della Didattica e delle metodologie di insegnamento. Mario Mannucci si dichiara orgogliosamente nato all’ombra del castello longobardo di Alica di Palaia. Ha poi vissuto sempre a Pontedera, cambiando sette volte casa e toccando tutti i quartieri. Laureato in lettere, abbandonò l’insegnamento per i giornalismo, diventanto il primo giornalista professionista operante in città (prima bisognava emigrare). È appassionato di storia, che ha cercato di trasferire dai libri ai giornali, di ciclismo boschivo e di fiumi, tanto da diventare comandante-guida del battello comunale sull’Arno. Adriano Marsili, architetto, si occupa di progettazione urbanistica, architettonica e paesaggistica (parchi urbani e giardini). Molte sono le sue realizzazioni sul territorio di Pontedera. Da vari anni ha affrontato i temi dell’edilizia passiva, urbanistica sostenibile e utilizzo delle fonti rinnovabili. Cultore dell’ambiente e rispettoso dei suoi valori, amante della storia locale, ha pubblicato testi e articoli sulla storia urbanistica di Pontedera fin dal 1985. In questo volume si è occupato di tracciare molto in sintesi l’evoluzione della città di Pontedera e la storia del suo ponte. Laura Martini, nata nel 1979 a Pontedera, dove vive tutt’ora. Laureata in lettere con una tesi in archeologia industriale dedicata alla storia dello stabilimento Crastan, si occupa frequentemente di ricerche storiche sul territorio, ed ha una particolare predilezione per le “curiosità storiche”. Ha scritto e curato diversi libri editi da Tagete Edizioni, molti dei quali dedicati a Pontedera, città la cui storia si intreccia con quella della sua famiglia: “Il teatro a

Pontedera. Storie di accademie, compagnie, attori e luoghi dal XVIII secolo al 1944”, “La fiera di Pontedera nel 1880”, “XI giugno MDCCCLXXVI: per il monumento ai Pontederesi caduti nelle patrie battaglie”, “L’ Eco dell’Era: gazzettino democratico, politico, letterario, quindicinale”. Lavora come bibliotecaria per la Rete Bibliolandia, la rete documentaria della provincia di Pisa, occupandosi anche della biblioteca dell’ospedale F. Lotti di Pontedera. Dal 2010 è approdata alla cronaca e a “La Nazione”. Gabriele Meini è nato il 20 Marzo 1986 a Pontedera. Ha vissuto i primi anni della sua vita a Gello, attualmente vive a Le Melorie, sposato da alcuni mesi con Sibilla Orsini. Ha conseguito il diploma presso il Liceo Scientifico XXV Aprile di Pontedera. Appassionato di storia locale, questa è la sua prima pubblicazione. Docente, critico d’arte e curatore, Nicola Micieli ha compiuto un diffuso lavoro ricognitivo sul primo e secondo Novecento toscano e italiano e sulla contemporaneità. Ha pubblicato saggi e monografie, tra le quali Annigoni, Baj, Bartolini, Bodini, Corpora, Dollhopf, Dova, Gentilini, Kaute, Larraz, Manzù, Masoni, Moreni, Nespolo, Perez, Possenti, Sciavolino, Tilson, Turcato, Vacchi,Vangi, Viviani, Zancanaro, Zavattini. Ha fondato con Romano Masoni il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Villa Pacchiani a Santa Croce sull’Arno. Ha curato per Jaca Book la collana “Parola d’artista”. Ha curato rassegne e monografiche in musei e gallerie in Italia e all’estero. Tra le altre, Plurale 11. Continuità italiana a Parigi, Palazzo Paolina, Viareggio; Interlocuzioni. Scultura Scultura, Castello Ducale, Aglié; Subsidenze. Maledetti e romantici. Fieschi Francese Moreni Perez Vacchi, Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno; Mario Luzi critico d’arte, Museo di Doccia, Sesto Fiorentino; Poesia visiva: voci e anticorpi in una collezione privata, Certosa di Padula; Ex voto per il Millennio, Museo Nazionale della Certosa di Calci; Giovanni Testori al Castello di Grotti, Fondazione Vacchi, Ville di Corsano; Franco Franchi. Incontri mediterranei, Museo Archeologico, Firenze; Vanni Viviani. Pom aria, Palazzo Te, Mantova.

Alessandro Spinelli, nato a Pisa il 24 gennaio1951. Autore di: Immagini dal Parco. Itinerario fotografico nel parco naturale Migliarino, S. Rossore, Massaciuccoli, Giardini, Pisa; Conoscere S. Rossore, la flora, la fauna, l’ambiente, Felici, Pisa 1999; Uno sguardo dietro l’argine, CLD, Fornacette 2004; Era Un fiume che scorre tra storia e natura, CLD, Fornacette 2006; Pontedera 1940 anno XVIII dell’era fascista, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera2007; Pontedera 1941 anno XIX dell’era fascista “E venne il tempo degli orti di guerra”, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera 2009; Sotto tiro. San Biagio in Cisanello, estate 1944. Un eccidio dimenticato, Felici, Pisa 2012. Michela Vivaldi nasce a Pontedera nel 1982. Si laurea in Architettura con indirizzo in Restauro nel dicembre del 2009 e nel 2011 si abilita all’esercizio della professione di Architetto. Già da prima della laurea collabora con professionisti del settore in provincia di Pisa. Nel 2011 si trasferisce a Vienna dove collabora con lo studio SGLW Architekten. Rientrata da Vienna inizia a lavorare per un azienda internazionale nel campo del Design approfondendo anche le tematiche del marketing non convenzionale e del Retail; contemporaneamente a Milano, presso il Polidesign, segue un corso di Alta Formazione Specialistica in Temporary Space & Exhibition Design: design per l’innovazione degli spazi espositivi e temporanei, esponendo alla Triennale di Milano e al Salone Internazionale del Mobile 2012. Attualmente insegna e collabora con studi tecnici.

Riccardo Minuti, nato a Pontedera (PI) il 30 agosto 1952, dove vive con la moglie e due figli. È un Pontaderese di Fuori del Ponte da più generazioni. È attivo e impegnato da sempre nel volontariato in ambito politico, sociale e culturale, con ruoli e incarichi diversi. Già autore di alcuni libri: Una vita in pugno, La boxe nell’anima, il volume in versi Ponte ad Era inCanto tradotto in rappresentazione teatrale. Cultore appassionato della memoria Pontaderese, scrive e collabora nei progetti di diffusione e divulgazione. Cecilia Robustelli, nata Pontedera, è docente di Linguistica italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia. Si è laureata in lettere classiche a Pisa e ha condotto attività scientifica e didattica in Inghilterra (Università di Reading, Master e PhD) e USA (Cornell University, Fulbright Visiting Scholar). Ha pubblicato studi filologico-linguistici sull’italiano antico, sul rapporto tra lingua e genere e sulla politica linguistica europea. Collabora con l’Accademia della Crusca, è vicepresidente dell’Associazione per la Qualità degli Atti Ammnistrativi, e componente del gruppo di esperti della Rete di Eccellenza per l’Italiano Istituzionale, del comitato direttivo della European Federation of National Institutions for Language, dell’European Network for Women in Leadership (https://unimore.academia.edu/CeciliaRobustelli).

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Ricordo di Pontedera 19 ottobre 1929 Ed. Gino Dani – Pontedera


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