Confilosofare in città. Un gioco serio tra arte e silenzio

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Mario De Pasquale

conFILOSOFARE IN CITTĂ€ Un gioco serio tra arte e silenzio

Stilo Editrice


Collana Filosofia

978-88-6479-113-5 Š Stilo Editrice 2014 www.stiloeditrice.it isbn

Stampato nel mese di febbraio 2014 presso Arti Grafiche Favia, Modugno (BA).


Sommario I. Perché filosofare?

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1. Vite di corsa 2. Filosofare: partecipare a un gioco serio 3. Da Chi sono? a Cosa voglio essere? 4. Costruire il sé 5. Dal sé alla società 6. Dibattiti in città 7. Cambiare idea 8. Filosofare: da Socrate a Jaspers 9. Oralità vs scrittura 10. Discussione filosofica: oltre il talk show 11. Uno sguardo nuovo

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II. Come filosofare?

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1. Più filosofia per tutti 2. Alla riconquista dell’impero perduto della filosofia 3. Come discutere filosoficamente? 4. I filosofi non mentono 5. Filosofia e scienza 6. Logica ed emozione 7. Paradigmi e narrazione 8. Dalle parole ai concetti 9. Una discussione democratica 10. Gestire l’emotività 11. Quali regole per la discussione filosofica? 12. Le figure della discussione filosofica 13. I linguaggi plurali e il silenzio 14. Giocare

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Bibliografia

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Se la filosofia parla solo di se stessa e del proprio destino nel mondo, in genere trova un simulacro del mondo; al contrario se la filosofia cerca di parlare nella direzione del mondo, allora è costretta a riflettere sulle sue modalità discorsive poiché ritrova la sua forma specifica del discorso nello spazio plurale della comunicazione sociale e finisce coll’avere un problema di identificazione del suo modo di dire. (Papi 1994, p.14) Una vita senza discorso e senza azione… è letteralmente morta per il mondo; ha cessato di essere una vita umana perché non è più vissuta tra gli uomini […]; il rivelarsi del proprio essere è implicito sia nelle parole sia nelle azioni […]. Senza essere accompagnata dal discorso, non solo l’azione perderebbe il suo carattere di rivelazione, ma anche il suo soggetto: non uomini che agiscono, ma robot che eseguono realizzerebbero ciò che, umanamente parlando, rimarrebbe incomprensibile: l’azione senza discorso non sarebbe più azione perché non avrebbe più un attore, e l’attore, colui che compie gli atti, è possibile solo se nello stesso tempo sa pronunciare delle parole. (Arendt 2000, pp. 128-130)


I. PERCHÉ FILOSOFARE?

1. Vite di corsa Le domande relative agli aspetti più importanti della propria vita sono di natura filosofica: sia quelle relative all’esperienza individuale (Che senso ha quello che faccio? Chi sono diventato? Che valore ha per me la scelta che sto per fare o che ho già fatto? Come devo agire con i miei figli o i miei genitori?), sia quelle che riguardano la società in cui viviamo (È giusta la politica economica e sociale che propone questo o quel partito? Che futuro ci aspetta?). Non ritagliarsi nella quotidianità uno spazio di pensiero per riflettere su questi interrogativi porta a risposte parziali, dettate da abitudini, frutto di meccanicismi. Nel migliore dei casi ci si affida al patrimonio di senso comune, al sapere condiviso all’interno di gruppi sociali ristretti (la famiglia, gli amici, i colleghi) e allargati (i concittadini, i connazionali). Ma il tempo della riflessione è esiguo: gli impegni di lavoro e il divertissement quotidiano occupano gran parte delle nostre giornate, ci danno l’illusione di vivere tranquilli e rassicurano ciascuno di noi, ben nascosto dietro le 7


proprie maschere. Qualcuno si limita a lanciare un rapidissimo sguardo dentro di sé davanti alla televisione, nelle pause di pubblicità, vedendo un film o uno spettacolo teatrale, ascoltando musica. Si tratta però di uno sguardo troppo rapido, che non consente la riflessione. La fretta che caratterizza le nostre esistenze, l’esigenza costante di velocità portano all’ipertrofia dell’aspettativa, del costante movimento e mutamento, e, di conseguenza, al restringimento dello spazio dell’esperienza. Il nostro tempo quasi mai è libero da incombenze, e si offre sempre all’interno di ‘giochi di vita’ le cui regole sono già fissate. Viviamo come se guardassimo il paesaggio dal finestrino di un treno ad alta velocità: osserviamo senza impegno, con superficialità. La frenesia e gli affanni quotidiani ci impegnano su questioni molto urgenti e concrete: il lavoro, il futuro, la casa, le tasse, il reddito insufficiente, l’ansia per il domani; eppure, in risposta alla contingenza di queste preoccupazioni ci comportiamo sempre più come acquirenti e consumatori dell’effimero, siamo disorientati da una sfavillante proposta di falsi mondi virtuali, di fronte ai quali diventiamo passivi, come se non avessimo spazio decisionale e fossimo governati da leggi deterministiche. Senza tempo per riflettere su di sé e senza l’assunzione di responsabilità riguardo alle proprie scelte, viene meno perfino la possibilità di una definizione identita8


ria, per cui siamo sempre meno in grado di rispondere alla domanda Chi sono io? Uno spazio maggiore di riflessione e di elaborazione narrativa del sé consentirebbe a ciascuno di individuare le proprie coordinate identitarie, quelle che il filosofo francese Paul Ricœur identifica come medesimezza e ipseità, cioè gli aspetti costitutivi che ci identificano nel tempo e quelli che invece cambiano con l’esperienza1. In molti permane il bisogno, anche se confuso, di autenticità e di verità, di chiarificazione, di assunzione di responsabilità nelle scelte e negli impegni. Ciò richiede una riflessione più approfondita e consapevole, un incontro con l’altro in cui avere fiducia, con cui intrattenere una dinamica di riconoscimento, un tempo liberato dalla funzionalità. Nella società liquida teorizzata da Zygmunt Bauman2, all’apparente disponibilità infinita di molteplici esperienze di vita e di conoscenze corrisponde la solitudine del 1. Cfr. Ricœur 1993, pp. 120 sgg. 2. Cfr. Bauman 2010; Id. 2003, pp. 15, 61; Ricœur 1993, p. 13; Ricœur, Marcel 1998; Lasch 1985; Manfredi 2004, p. 37; Id. 2011. Molti individui respinti nella solitudine e nell’impotenza non rivolgono uno sguardo attento a se stessi né provano attenzione per le altre persone (sul concetto di attenzione in Weil, cfr. Recchia Luciani 2012), per il loro volto (Lévinas 1979; Id. 1984; Id. 1985), per le azioni che intraprendono.

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cittadino, privato della rete delle strutture tradizionali di socializzazione e di protezione. Sembriamo risucchiati in un vortice di esperienze, continuamente in viaggio3, da un contesto a un altro, come tanti Ulysse joyciani. Sono in molti a manifestare un bisogno di filosofia: partecipano a festival, convegni, dibattiti, si interessano alle sezioni della Società Filosofica Italiana sparse per l’Italia, ai caffè filosofici, intervengono nei forum di filosofia per giovani studenti, leggono i testi di collane divulgative che trattano temi filosofici. Cosa cercano? Non sono forse interessati a trovare le risposte alle domande Chi sono? e Che cosa voglio e come devo agire? Non si sforzano di rispondere a questioni identitarie e allo stesso tempo di collocarsi nella società civile? Cercare di impegnarci con noi stessi e nei confronti degli altri e delle istituzioni porta quasi a una seconda nascita: la prima è quella che ci vede gettati nell’apparente determinismo del quotidiano, la seconda quella che scegliamo autonomamente. Per portare a compimento questa rinascita, ciascuno di noi ha necessità di porsi come soggetto narratore e responsabile, come cittadino attivo. La richiesta di filosofia nasce da un desiderio di sapere e di essere, dalla ricerca di autostima, fondata su un’idea

3. A proposito cfr. Caputo 2009, pp. 22 sgg.

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di sé e degli altri e su un progetto per cui impegnarsi4. Il desiderio tiene insieme assenza e presenza. Il cittadino comune ha bisogno di discutere di problemi per la cui soluzione non ha a disposizione sufficienti elementi. Egli ha interesse per un miglioramento della qualità e della dignità della propria vita, individuale e sociale, che evidentemente gli manca, e attraverso cui operare per la defatalizzazione5 del nostro quotidiano e partecipare alle sfide della libera creazione del proprio tempo. Sarebbe esagerato ipotizzare che forse si cerca la filosofia come uno strumento di liberazione dalla logica mercantile della prevalenza dell’interesse e dell’equivalenza dello scambio, dai rapporti di potere, dalla disperazione impotente, dalla coazione a ripetere l’identico quotidiano? Non è forse la filosofia una alternativa alla fuga solitaria nell’immaginazione o alla fruizione solipsistica dello spettacolare? La filosofia va quindi intesa non come dimostrazione di verità inoppugnabili, ma come Appassionata, paziente, giocosa esplorazione di ciò che ancora non è stato visto e neppure immaginato; come ininterrotto, irriverente questionare le abitudini 4. Cfr. Ricœur 1997, p. 40; Caputo 2009. 5. Cfr. Fusaro 2012, p. 166.

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consolidate; come apertura di nuovi scenari, di nuove forme di vita6.

2. Filosofare: partecipare a un gioco serio La filosofia è cercata come uno spazio in cui sospendere il quotidiano rapporto con la realtà, in cui immergersi in mondi possibili e tornare alla realtà con progetti di cambiamento. La riflessione filosofica contemporanea ha dedicato molta attenzione al gioco come modo di essere che favorisca esperienze di filosofia disponibili per tutti, non solo in contesti didattici e divulgativi7. Può darsi che chi cerca la filosofia desideri partecipare a un gioco serio, da cui può aspettarsi cambiamenti per la propria vita, aperture di immaginazione su nuovi modi di vivere e di essere? Le concezioni del gioco sono plurali e diverse, tuttavia sono apparentate da alcuni elementi: sospensione della 6. Bencivenga 2010, p. xv. 7. Il gioco – con prospettive differenti – riveste rilevanza filosofica in vari autori, da Platone a Nietzsche e Schiller, da Gadamer a Fink, da Huizinga a Callois, da Wittgenstein a Marcuse. Per una profonda e ampia disamina e per una bibliografia completa si rinvia a Baldassarra et al. 2011. Cfr. un esempio bello e rigoroso di applicazione didattica in Caputo 2011a; Cambi, Staccioli 2007; De Pasquale 2004, pp. 115-178; De Pasquale 2007.

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realtà, libertà dalle costrizioni, creazione di un tempo in cui la realtà è coniugata ‘al congiuntivo’8. Nel gioco si riconfigurano secondo diverse elaborazioni i contenuti, in modo coinvolgente e leggero; si rielaborano e ridescrivono ambiti di vita, per poi tornare alla realtà in un orizzonte modificato, anche in misura minima. Il gioco, con le sue regole e con i suoi confini, trasmuta in forma l’esperienza e media tra vissuto e progetti, apre nuovi scenari di senso9. Il gioco consente un arresto, una pausa di eternità, non si fa schiacciare dal tempo, non contempla la tensione verso il futuro; i giocatori possono stare dentro e fuori, tra gioco e realtà, concedersi al piacevole rapimento e mantenere una distanza10. Vale la pena chiedersi: perché vi è una richiesta così consistente di esperienze in cui si possa giocare con la filosofia, in cui si possano valorizzare anche narrazioni, visioni, musica, teatro ecc.? Un’evidente tendenza alla riestetizzazione del quotidiano11 e al privilegiamento della modalità estetica di apprendimento delle cognizioni presso le 8. Cfr. Bruner 1988, p. 192. 9. Cfr. Gadamer 2000, pp. 132-168. 10. Cfr. Rovatti 2008, p. x. 11. Cfr. Montani 2002, p. 392.

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nuove generazioni potrebbe spiegare, almeno parzialmente, la richiesta diffusa del gioco e della filosofia. Tuttavia, vi sono chiare analogie tra la dimensione del gioco e quella dell’arte12. L’esperienza estetica diventa un’esperienza di verità, perché consente al fruitore la sperimentazione di altri universi di senso, modi diversi di essere, diverse visioni del mondo, in cui il soggetto può trasformare il suo modo di percepire la realtà, di pensare, di agire13. In fondo la filosofia e l’arte sono anch’esse giochi che coinvolgono il cuore e la mente, la sensibilità e l’intelligenza, in cui le regole e i modi di giocare sono diversi. Anche l’esperienza d’arte sottopone a choc le credenze abituali, sperimenta «vie d’esilio da ciò che è abituale e consueto, che in altre forme di pensiero non sono pensabili»14. 12. Su questo punto, cfr. De Natale 2011, pp. 27-45; Caputo 2011b, pp. 9-24, 47-85; De Pasquale 2004, pp. 115-178. 13. «Egli [il soggetto] fa esperienza di sé appropriandosi di un’esperienza del senso del mondo, che può essergli reso accessibile sia dalla sua stessa attività creatrice che dalla ricezione dell’esperienza dell’altro e che può essere confermato dal consenso di altri. Il piacere estetico, che si attua in questo equilibrio instabile tra contemplazione disinteressata e partecipazione sperimentale, è una modalità dell’esperienza di sé nell’esperienza dell’altro» (Jauss 1987, p. 102). 14. Cfr. Rella 2001; Id. 2002, p. 61; Id. 2004, p. 55; Id. 2006; Nussbaum 2004, pp. 305-356.

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Cosa collega il gioco dell’arte con quello della filosofia? Le esperienze estetiche sono forme di problematizzazione filosofica di per sé non teoretiche, operate non con i concetti, ma con i percetti, con le immagini, con le sensazioni, con i sentimenti, che costituiscono patrimonio di senso materiale anche per pensare attraverso i concetti15. Sia la filosofia sia l’arte sono esperienze di verità, in cui il soggetto sperimenta altri mondi di senso e può trasformare il suo modo di pensare e di agire dopo aver abbandonato le credenze abituali. La filosofia contemporanea cerca contatti con le forme d’arte per ritrovare un rapporto solido e coinvolgente tra pensiero e ‘mondo della vita’, ai fini della conoscenza adeguata della complessità della vita umana e della promozione di una efficace motivazione all’azione morale e civile16, di praticare un pensiero vivente17. Alcuni filosofi intendono riconquistare un modello di ragione che si cali nella storia e nel vissuto dei mondi della vita, che valorizzi la sfera della vita sociale e pubblica, che si apra alla pluralità dei linguaggi attraverso cui si pensa, si comunica, si costruisce conoscenza. Un modello

15. Cfr. Deleuze, Guattari 1996, pp. 113-232. 16. Molti gli esempi, ma in particolare cfr. Nussbaum 2012a, pp. 40 sgg. 17. Cfr. Esposito 2010.

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di ragione capace di afferrare le plurali dimensioni del movimento concreto della vita, messo in opera da un soggetto che si costituisca in relazione con l’orizzonte vitale, con le forme di vita, con la Storia e la politica, con la comunità. Nei tempi bui della crisi della partecipazione democratica, ci si sente attratti da prospettive di partecipazione a giochi di possibili cambiamenti. Michel Tozzi18, creatore del caffè filosofico di Narbonne, sostiene che la pratica degli incontri riscuote successo perché ha da offrire risposte alle esigenze delle persone in tre campi distinti: quello filosofico, quello democratico, quello conviviale. Uno spazio di confronto e di definizione identitaria che sia filosofico consente all’individuo e al cittadino di mettere a fuoco le domande che contano davvero per la sua esistenza, e di cercare delle risposte adeguate19. Le domande cruciali che molti si pongono sono: Cosa desidero e cosa sono in grado di essere e di fare? Quali opportunità cerco di valorizzare per rendere degna la vita?20. La vita è degna di essere vissuta quando, consapevolmen18. Docente emerito presso l’Università 3 di Montpellier, studioso di Didattica della filosofia e di Filosofia nella società. 19. Cfr. Tozzi 1999b. Per gli interventi di Brenifier, Hardy, Mengue, Youlountas, Delsol, Mercier si rinvia al sito www.philotozzi.com. 20. Cfr. Nussbaum 2012a, pp. 28-32.

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te interrogata, autenticamente progettata e agita, consente all’individuo uno sviluppo di capacità fondamentali per la realizzazione di sé e per la ricerca della giustizia21. Alcune delle «capacità centrali» descritte da Nussbaum pongono interrogativi filosofici. Un uomo libero deve poter usare i propri sensi, immaginare, pensare e ragionare in modo ‘veramente umano’, ossia in modo informato e coltivato da un’istruzione adeguata. Deve poter provare consapevolmente sentimenti per persone e cose, essere in grado di esercitare la ragion pratica, di formarsi un’idea di ciò che è bene e di ciò che è male, secondo cui progettare il proprio modo di vita da realizzare insieme agli altri, le proprie scelte umane e professionali, etiche e politiche22. Quando un uomo prende coscienza delle proprie capacità, dei propri desideri, delle proprie scelte etiche e politiche? Che cosa deve conoscere di sé?

3. Da Chi sono? a Cosa voglio essere? Il soggetto della filosofia contemporanea non è più quello teorizzato da Cartesio in poi, astrattamente epistemologico, metafisico, sostanzialistico, statico. 21. Cfr. Ricœur 2000; Caputo 2009, pp. 108-137. 22. Cfr. Nussbaum 2012a, p. 40.

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