Stile Italiano Cultura nel Mondo

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STILE I TA L I A N

Editoriale / Editorial Sommario / Summary Mi chiamo Stefi / My Name is Stefi

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CULTURA NEL MONDO ANNO IV. N.9

La Scuola Grande di San Rocco

A PR I LE - G I U G N O

Viaggi d’autore / Literary Travels

La Cappella Sistina di Venezia / The ‘Venetian Sistine Chapel’

Ma che bel Castello... / What a Splendid Castle! L’esilio nell’antica Roma / Exile in Ancient Rome Mostre & Eventi / Exhibitions & Events News English Version

CULTURA NEL MONDO

La mia terra promessa / My Promise Land

Sartoria Brancato La trama dello spettacolo

Umberto Croppi

il successo culturale romano

2010

h glis t n E ltex d Ful he en at t Euro 10,00 USD 20,00

Caravaggio,

il suo segreto inconfessabile

9

2010

9 77 197 2 4 560 03

La Confraternita di San Rocco. 1478-2010 / The Confraternity of San Rocco. 1478-2010

10009 >

Musica per l’Umanità al Conservatorio / Music for Humankind at the Conservatory

ISSN 1972456X

La trama dello spettacolo / The Plot of the Show

stile ITALIANO

Il successo culturale romano / The Cultural Success of Rome

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB Milano Tassa Pagata/Taxe Perceu/Ordinario

Caravaggio e il suo segreto inconfessabile / Caravaggio and His Unspeakable Secret


Angela Giannini Pagani Donadelli

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Stile Italiano / N. 9-2010

In questi mesi abbiamo cercato di comprendere il motivo per il quale sono ancora molte le realtà come teatri, musei di grande richiamo, dimore storiche, istituzioni che non ricevono l’adeguato sostegno dallo Stato. Tra queste, il Conservatorio di Milano che, con grande rammarico non solo mio ma anche di coloro che ci lavorano, non riesce a gestirsi come sarebbe giusto. Infatti, nonostante sia un’istituzione riconosciuta in tutto il mondo, ad oggi le mancano quelle finanze necessarie non solo per una gestione straordinaria ma anche per quella ordinaria. La sede, con una storia di oltre 200 anni, necessita da tempo di un restauro conservativo, di un ampliamento degli spazi comuni, di nuove aule, di un nuovo organo, di un museo degli strumenti, di un appropriato studio per la digitalizzazione dei documenti (oltre 500.000) che, se eseguito in modo scientificamente corretto e tecnologicamente avanzato, potrebbe rendere il Conservatorio autonomo in termini finanziari. Bisogna però mettere d’accordo un certo numero di persone, come sempre dico io, e che forse hanno ben altro a cuore che la sola salvaguardia di un patrimonio che è dell’umanità. Cosa possiamo fare, mi domando: tentare di essere portavoce di tali mancanze e sensibilizzare chi ha il potere di fare è una strada. Sinceramente, mi sorge anche il dubbio che cercare un aiuto da parte dello Stato forse non sia la strategia corretta, visto che ha destinato alla cultura meno dell’1%. Perché ridurre drasticamente la cifra per il sostegno alla cultura, dal momento che il nostro Paese possiede ben il 58% del patrimonio culturale mondiale? Mi si dice: per “risparmiare”. Ma non è del tutto corretto, dato che potremmo, con un’adeguata visione tecnologica, distribuire al mondo intero contenuti ad alto valore aggiunto che potrebbero essere utilizzati sia per motivi didattici, sia editoriali, commerciali o altro. Questa è una visione di utilizzo commerciale e di “riqualificazione patrimoniale” che ha lo scopo di modernizzare musei, conservatori, archivi, biblioteche che,

nella società della conoscenza e dell’informazione, potrebbero essere organizzati attraverso un’adeguata informatizzazione. Sono anni che se ne parla, anni trascorsi senza aver ancora raggiunto nulla di tangibile veramente. Opere d’arte, disegni, carteggi, testi rari, spartiti musicali e tanti, tanti altri contenuti che in questo momento si trovano statici nella maggior parte dei luoghi preposti alla conservazione, potrebbero essere dinamicamente divulgati sia per una condivisione della cultura a livello globale sia per un incremento delle entrate delle istituzioni stesse, una strategia che poteva essere già stata messa in atto da molto tempo. Per questo “mi chiedo come mai” l’Italia non si sia organizzata, visto che altri paesi che hanno meno patrimonio culturale sono più avanti di noi. I contenuti devono essere messi nelle condizioni di rendere di per sé, sia con un’esposizione adeguata e contemporanea sia con una comunicazione culturale e museale che solo tecnici esperti insieme a critici d’arte possono garantire. In un museo si entra per acquisire vera ricchezza: quella del piacere della conoscenza, del piacere di contemplare un’opera d’arte e di emozionarsi al punto da rimanere immobili davanti a qualcosa che abbiamo vicino a noi. Ai molti turisti che fanno lunghi viaggi per visitare il nostro Paese diamo la soddisfazione di acquisire e conoscere le eccellenze dell’Italia, sia per come vengono accolti sia per la completezza dei nostri siti museali. L’Italia ha il vero “petrolio bianco”, il suo patrimonio culturale, ebbene estraiamolo come si deve per farne un vero bene comune per tutto il Paese. Pensate che l’Italia da sola attira 240 milioni di turisti (dati ENIT-FEDERALBERGHI 2009). Organizziamo il nostro Paese e facciamo della cultura e di tutto l’indotto che ne deriva il principale business Italiano. English version on page 140

Editoriale

E E… che la musica cambi!


Sommario / Summary N.9 / 2010

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Editoriale / Editorial

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Sommario / Summary

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Mi chiamo Stefi / My name is Stefi

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Viaggi d’autore / Library Travels

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Caravaggio e il suo segreto incoffessabile / Caravaggio and His Unspeakable Secret

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Il successo culturale romano / The Cultural Sucess of Rome

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La trama dello spettacolo / The Plot of the show

72

Musica per l’Umanità al Conservatorio / Music for Humankind at the Conservatory

82

La Confraternita di San Rocco. 1478-2010 / The Confraternity of San Rocco 1478-2010

88

La Cappella Sistina di Venezia / The ‘Venetian Sistine Chapel’

102

La mia terra promessa / My Promise Land

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Ma che bel Castello... / What a Splendid Castle!

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L’esilio nell’antica Roma / Exile in ancient Rome

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Mostre & Eventi / Exhibitions & Events

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News

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English Version

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Stile Italiano / N. 9-2010

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Stile Italiano / N. 9-2010

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Mi chiamo

Stefi

Nata nel 1969 sulle pagine del “Corriere dei Piccoli”, la protagonista di tante avventure ritorna con una mostra e un libro che parla cinese, inglese, arabo per insegnare a tutti l’integrazione. Un’idea nata dalla matita di una “ragazza” del 1931, Grazia Nidasio...

S

a cura della redazione di stile italiano foto © 2010 caminito

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Stile Italiano / N. 9-2010

Si chiama Stefi ed è lo straordinario personaggio nato negli anni settanta dalla fantasia di Grazia Nidasio. Dal “Corriere dei Piccoli” che l’ha resa celebre e amata, la Stefi oggi ritorna di grande attualità e accompagna i ragazzi nella comprensione delle lingue e nell’integrazione, temi ancora più sentiti grazie a una mostra itinerante e a un libro di fumetti multilingue e giochi dal titolo “Mi chiamo Stefi e tu?”. I giochi sono ideati da Carlo Carzan dell’Associazione Culturale “Così per Gioco”. E tra domande impertinenti e allo stesso tempo semplici, tra critiche a un mondo di adulti fatte con la testa di un bambino che sa ragionare, ecco nascere un percorso pensato per far dialogare i bambini di etnie differenti e farli interagire sul rapporto con i coetanei e con gli adulti, attraverso un percorso di “alfabetizzazione emotiva”. Stefi nasce nel 1969 sul “Corriere dei Ragazzi”, comprimaria nelle avventure di Valentina Mela Verde, ciclo di fumetti durato fino al 1976. Da questa data in poi, Stefi “diventa grande” e appare sul “Corriere dei Piccoli” da sola con le sue “striscie” e da allora il suo dialogo con i ragazzi, ma anche con gli adulti, non si è mai interrotto, anzi si è svolto attraverso diverse forme dal fumetto al diario, dalla posta sceneggiata all’avventura ecologica, dal TG Zero al telegiornale di notizie narrate per i bambini. “Mi sono immaginata in un cinema, a vedere un film in arabo” – racconta Grazia


STEFI E GLI ALTRI. LITIGIO Il papà e la mamma di Stefi stanno litigando, e da un bel po’. Anche i genitori degli altri bambini litigano in questo modo? Stefi chiede ai suoi compagni e scopre che certi non litigano, ma rimangono una settimana senza parlarsi. Oppure che non litigano perché il papà non è mai a casa. Uno dei suoi compagni, poi, il papà non ce l’ha nemmeno... Dopotutto, qualche discussione non è male. Specialmente se dopo mamma e papà fanno la pace. (Spagnolo)

SCATTI FAMILIARI Nuvolari, storico campione del motociclismo e dell’automobilismo, per ottenerlo ci ha impiegato una vita. O meglio, ha messo in gioco la sua intera vita per sfidare la velocità. Una sfida continua con se stesso da

quando a 2 Nuvolari, storico campione del motociclismo e

Stile Italiano / N. 9-2010

STEFI E LA CURIOSITà “C’è un mucchio di cose che i bambini non possono fare: cambiare canale all’ora del telegiornale, prendere l’ascensore da soli, prelevare soldi in banca, restare alzati fino a tardi, guidare l’auto, votare, andare in discoteca, sposarsi...” Stefi fa un rapido calcolo: le mancano 3640 giorni per compiere 18 anni. E a voi quanti ne mancano? (Spagnolo)

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FUMETTI, LIBRI & RACCONTI Oltre al catalogo della mostra Mi chiamo Stefi e tu? con tavole di Grazia Nidasio e Carlo Garzan e a cura di Ivan Giovannucci, di Stefi sono apparsi due volumi: Ciao, sono la Stefi e Ciao, sono sempre io, la Stefi pubblicati nel 1979 e nel 1980 dalla Rizzoli, oltre a una serie di albi. Nel 1990 Mondadori ha pubblicato Parliamo di ecologia con Stefi, con il patrocinio della Regione Lombardia, libro che è stato tradotto anche in caratteri braille per l’Istituto dei ciechi. Le avventure di Stefi-ecologica sono state pubblicate in Gran Bretagna in edizione per la scuola dell’obbligo, in Spagna in lingua castigliana e catalana in albi illustrati e all’interno di sussidiari scolastici, in Grecia e in Turchia, nel giornale per ragazzi “Cocuc”. In Francia, è entrata in programmi di insegnamento linguistico. Info: www.caminito biz

La Stefi nasce all’interno di un altro fumetto di Grazia Nidasio: Valentina Mela Verde la cui prima apparizione sul “Corriere dei Piccoli” è del 12 ottobre 1969. Nel fumetto appare anche zia Dina: “è una disegnatrice, è molto in gamba”, dice Valentina e la zia Dina è ovviamente l’autrice.

inglese. Ognuna “parla” una lingua, ma tutte hanno la traduzione in italiano o in inglese, in modo che siano comprensibili a tutti. Stefi è stata pubblicata in albi e periodici di diversi paesi europei e extraeuropei: Belgio, Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Israele, Grecia, Turchia, Brasile e Argentina. Attraverso l’edizione inglese patrocinata dalla British Telecom per la MB, è stata pubblicata in Svezia e Norvegia. Ma chi è la Stefi? Stefania Morandini è una bambina di 8 anni, che vive in una realtà urbana in un quartiere popoloso di una grande città. Della città intorno lei non avverte che il rumore, il traffico, e l’affollamento. La bambina vive una realtà di quartiere in cui conosce molte persone, vicini, negozianti, famiglie, vigili e mendicanti, oltre a molti coetanei anche di Paesi lontani e diversi. La famiglia è modesta, la madre, Maria, fa la casalinga, mentre il padre, Amedeo, è un impiegato. Stefi ha un fratello 9

Stile Italiano / N. 9-2010

Nidasio – “Non capivo nulla e a un certo punto sento un suono familiare: spaghedi. Spaghedi? Spaghetti! Una parola che conosco, sai come ti rincuora? Così ho pensato di fare qualcosa di simile per tutti i bambini che parlano altre lingue. Per farli sentire un po’ a casa. È un piccolo segno di accoglienza”. La “ragazza” del 1931 che ha avuto questa idea è proprio Grazia Nidasio, la creatrice di Stefi e di Valentina Mela Verde, personaggi che hanno attraversato il fumetto italiano, che sono tuttora pubblicati in tanti Paesi, dalla Spagna alla Turchia e che vivono ancora oggi nelle pagine della Cultura del “Corriere della Sera”. La disegnatrice per il suo progetto ha scritto 40 storie per altrettante tavole in 5 lingue: italiano, cinese, arabo, spagnolo,

VALENTINA MELA VERDE


Viaggi

d’autore

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Il Garda testimone quieto e creativo di Virgilio, Catullo, Goethe, Kafka, Mann, Gide, Nietzsche, D’Annunzio… Scrittori e poeti di ogni tempo hanno amato il Benaco, il suo territorio, i borghi pittoreschi, il clima piacevole e l’atmosfera di pace…

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RIVA DEL GARDA Il Benaco visto dalla sponda del Trentino Alto-Adige

a cura della redazione di stile italiano foto Š caminito

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a cura di NICCOLò MAGNANI foto © 2010. ARCHIVIO FAI, ISTITUZIONE MALCESINE, Fototeca Ingarda Trentino, Il VITTORIALE DEGLI ITALIANI

Q Stile Italiano / N. 9-2010

Quanto vorrei i miei amici accanto per godere insieme del panorama che mi si presenta dinanzi! Avrei potuto essere fin da questa sera a Verona ma mi si prometteva allo sguardo un’opera ammirevole della natura: il meraviglioso lago di Garda. Così Goethe descrive l’emozione nell’osservare il magnifico panorama del Benaco, altro nome con cui è conosciuto il lago di Garda. L’amore e la creatività, il riposo e la tranquillità qui non sono semplici parole, sostantivi vuoti e privi di senso, ma rappresentazioni delle differenti emozioni ed esperienze che il lago di Garda riuscì a suscitare in grandi personalità della letteratura, che, come unico fil rouge tra loro, si lasciarono affascinare dallo spettacolo naturale del Benaco. Johann Wolfgang von Goethe rimase incantato dai paesaggi di Malcesine e Torbole, sulle rive del lago, dopo il viaggio che compì nel 1787 nel suo “Grand Tour”.

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Goethe in realtà cercò una fuga di alcuni mesi dal lavoro come ministro a Weimar che aveva soffocato la sua creatività e in questo percorso trovò una sorta di profondo cambiamento e rinnovamento interiore. Il viaggio, all’inizio previsto di pochi mesi, alla fine rappresentò un “momento di fuga” di quasi due anni. Più che un viaggio in Italia fu un nuovo capitolo della sua esistenza: si fermò in vari luoghi della Penisola, trovò finalmente pace e cominciò a interessarsi anche alla vita italiana. Durante il suo soggiorno sul Garda e a Verona, Goethe subì un profondo e significativo mutamento, ne è prova anche la scoperta, a 37 anni, dell’amore, quello reale e fisico, con una donna che, col nome forse immaginario di Faustina, spesso ricorre nelle poesie di quel periodo. Oltre a dipingere continuamente (ritornò in Germania con più di mille disegni), ricominciò a


LA STANZA DI AMORE Luogo incantato alle pendici del monte Vignola, il Castello di Avio domina la valle dell’Adige. Il nucleo originario, costituito dal Mastio esagonale, risale all’XI-XII secolo; le prime notizie certe relative al Castellum Ava risalgono infatti solo alla prima metà dell’XI secolo, anche se è probabile che vi fossero insediamenti già in epoca preromana. Gli storici datano al 1214 circa la costruzione, attorno al Mastio, di una prima cinta fortificata detta “castello superiore” mentre nella metà del secolo furono realizzate le mura meridionali, o “castello inferiore”, e il Palazzo baronale. Al centro del complesso sorge il piccolo edificio della Casa delle Guardie: conserva nelle sue stanze affreschi trecenteschi sul tema della guerra e delle arti militari. Anche il Mastio, perfettamente integro, custodisce un raffinato ciclo di affreschi trecenteschi e nella celebre Camera di Amore spicca la divinità di Amore, appunto, che, raffigurato con grandi ali rosse e zampe da rapace, monta un cavallo in corsa; alla sua sinistra una dama con cagnolino e un cavaliere trafitto dalla freccia (foto di questa pagina) Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Malcesine sul lago di Garda, andato distrutto nell’incendio del castello di Immendorf, vicino a Vienna, nel 1945

Orari di apertura Da marzo a settembre: ore 10-18 CASTELLO DI AVIO Sabbionara di Avio (Trento) • Tel. e fax 0464 684453 • e-mail: faiavio@fondoambiente.it 19

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MALCESINE Una veduta di Malcesine (a sinistra). Qui nel 1913 Gustav Klimt ha dipinto due quadri “a paesaggio”: La chiesa a Cassone custodito a


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Caravaggio e il suo segreto 28

inconfessabile


VOLTI PRESI DAL POPOLO I Bari, particolare, 1595-1596 olio su tela 90 Ă— 112 cm Kimbell Art Museum Fort Worth (Texas)

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C Stile Italiano / N. 9-2010

a cura di CLAUDIO STRINATI (per gentile concessione di palaexpo) Approfondimenti a cura della Redazione di Stile italiano foto © 2010 PALAEXPO E © 2010. Tutte le immagini delle soPrintendenze per gentile concessione DEL MIBAC - Ministero per i Beni e le Attività Culturali

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Ci sono momenti della storia in cui il grande artista riduce e condensa la produzione scegliendo altre modalità. Rispetto ai manieristi che facevano chilometri quadri di affreschi a volte belli a volte brutti ma comunque mal visibili e giudicabili, Caravaggio dipinge quaranta quadri nella sua vita. E avrebbe potuto dipingerne molti di più. Certo, a parte il pittore maledetto, ebbe una sorte dura. Fuggito da Roma dopo avere assassinato un attaccabrighe famoso come il Tomassoni, forse per una faccenda di donne, per una lite sui punti al gioco, oscilla sempre tra trionfi e cadute. I principi Colonna lo proteggono, la marchesa di Caravaggio lo protegge: è uomo dal grande fascino e dal grande carisma. A Napoli è portato in trionfo, a Malta diventa cavaliere e come tale si firma nell’unico quadro “segnato” di tutta la sua vita, la Decollazione del Battista, firmato col sangue dalla testa decollata. A Malta fu incarcerato e coinvolto in risse e violenti contrasti. Fu incaricato

da importanti confraternite siciliane e produce opere eccezionali anche se non bellissime come il Seppellimento di Santa Lucia a Siracusa o la Resurrezione di Lazzaro a Messina, opere che fanno paura e sembrano generate dalla morte. Viene malmenato e ridotto quasi in fin di vita presso la locanda del Cerriglio a Napoli. Muore in circostanze misteriose mentre si portava dietro certi quadri suoi a Porto Ercole (1610). Non si capisce mai se lavora da solo o ha collaboratori e seguaci. Certo è che l’unitarietà del suo stile è assoluta, ma vi sono momenti in cui non si capisce bene se agisce da solo o assistito fino a delegare. Le innumerevoli versioni della Incredulità di San Tommaso, tutte belle e tutte antiche, fanno riflettere. Le varie versioni della Cattura di Cristo nell’orto pure fanno pensare. Alcuni soggetti sono molto replicati, altri mai. Non si sa molto del giro di copie nella Roma del tempo ma è chiaro che ci dovette essere una attività frenetica in tal senso e


“C’è anche un Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose. [...] la sua pittura è fuori discussione” (K. van Mander, “Il libro dei pittori”, 1604) Alle Scuderie del Quirinale a Roma una grande mostra presenta venti unici capolavori di Michelangelo Merisi per i 400 anni dalla morte dell’artista: dalla “Canestra di frutta” al “Bacco”, dalla “Deposizione” alla “Conversione di Saulo” fino alla “Cena in Emmaus” della National Gallery

LUCI E OMBRE Incredulità di San Tommaso particolare, 1600-1601 olio su tela 107 × 146 cm Bildergalerie, Potsdam Il quadro (a sinistra) raffigura l’apostolo San Tommaso nel momento della sua incredulità con un dito nella ferita del costato di Gesù e altri due apostoli che osservano la scena. Le figure formano una croce, o una spirale. La luce proviene solo da sinistra e illumina le fronti corrugate dei tre uomini. L’estremo realismo della scena scandalizzò non poco il committente, il Marchese Vincenzo Giustiniani Decollazione di San Giovanni Battista, particolare, 1608

olio su tela, 361 × 520 cm Concattedrale di San Giovanni, La Valletta Grazie a questa opera (sotto) Caravaggio ottenne l’onore della Croce di Malta. Il Santo è colto negli ultimi spasmi di vita e veste l’abituale pelle di montone (suo emblema). Nominato Cavaliere di Grazia, Caravaggio si firmò in tutta la sua vita solo in questo quadro. La firma nasce dal sangue della testa del Santo: “F(rà) Michelangelo” (ma l’ultima parte è illeggibile a causa di una caduta di colore). Questo particolare, assieme alle grandi dimensioni (le più grandi dell’opus caravaggesco) rende l’opera più che unica

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Umberto Croppi

Il successo culturale romano

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Quando la cultura si fa impresa, Umberto Croppi, Assessore alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma, racconta l’esperienza positiva e di successo... “vivere i musei con spirito nuovo”. Un incremento superiore al 10% per il Sistema Museale Romano

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Intervista a Umberto croppi a cura di Angela Pagani Ritratti © 2010. MANUELA GIUSTO foto © 2010. Assessorato alle politiche culturali e della comunicazione del comune di roma

Roma e i romani – per me che vivo a Milano – sono sempre una meraviglia e una sorpresa. E i turisti che visitano l’Italia si ricordano sempre della bellezza della Capitale e dello “stile” unico dei romani. Si può andare a Venezia, si può visitare Firenze, ma il “romano de Roma” chi se lo scorda? Non per nulla sono nate canzoni bellissime sulla “Città eterna”, da Arrivederci Roma di Renato Rascel alla famosa Roma nun fa’ la stupida stasera tratta dal musical Rugantino di Garinei e Giovannini. Così se penso alla Capitale ricordo un grande amico che ebbe l’occasione di suonare nell’orchestra dello scià di Persia, Reza Pahlevi, e mi raccontò che quando lo scià dovette lasciare l’amatissima Soraya, per gli obblighi a tutti noti di discendenza, la principessa dagli “occhi tristi” chiamava gli orchestrali a tutte le ore del giorno e della notte chiedendo loro di suonare Arrivederci Roma, per ricordarsi di quando con il principe risiedeva sull’Appia Antica e “viveva” le notti romane della Dolce Vita. Dunque nel bene e nel male siamo “tutti romani” per gli stranieri, e Roma è la città nel loro cuore. Fortunato, quindi, Umberto Croppi che dai suoi uffici dietro al Teatro Marcello, si occupa, e bene, di cultura come

Assessore del Comune. Mentre noi “poveri” Milanesi, di ricchezze ne abbiamo tante, ma non sono poi così visibili. Dai navigli a Santa Maria delle Grazie con il suo Cenacolo che sta lì dentro, ben protetto, certo, abbiamo anche il Castello, simbolo della Milano degli Sforza, che ora è spesso utilizzato anche per le foto dei matrimoni dei giapponesi, dei cinesi, degli orientali... e non dimentichiamoci che Leonardo da Vinci alloggiò lì e che la nostra tanto amata Madonnina, che domina la cattedrale, fu realizzata proprio grazie a questo grande casato lombardo. Ora parliamo dell’incontro con Umberto Croppi. Ritrovo Umberto dopo un paio di anni e lo rivedo con molto piacere, oggi come allora, nulla in lui è cambiato: modi cortesi, quieti, pacati, con una naturale capacità di mettere le persone a proprio agio. Anche il tempo che mi ha dedicato è stato un momento di sincera amicizia e di stile, quello “stile italiano” che mi dà sempre una grande gioia ritrovare nelle persone. Una qualità importante per un uomo, ancora di più se ricopre una carica politica e istituzionale. Croppi è la persona al posto giusto per la sua competenza e passione per la cultura tutta, una passione che da sempre lo accompagna

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anche prima di essere Assessore; forse è per questo che ha portato nella Capitale una ventata di rinnovamento. Parliamo subito delle manifestazioni in programma per questo 2010. Con l’insediamento della nuova Amministrazione c’è stato un cambio di orientamento culturale? “Il cambiamento c’è stato. In particolare l’avvio di una politica di incentivazione dei diciotto musei civici attraverso forme ad hoc di animazione e aperture serali straordinarie. Grazie a iniziative di questo genere, il Sistema Museale Romano, gestito da Zètema Progetto Cultura, ha registrato un aumento delle presenze dei visitatori nell’anno appena trascorso, a fronte di un calo nei musei italiani in generale. Passiamo da oltre 1 milione e 300 mila visitatori del 2008 a 1 milione e 450 mila del 2009, con un incremento superiore al 10%. Questo dato controcorrente ci dà soddisfazione perché frutto di operazioni di marketing e iniziative per vivere i musei con spirito nuovo. Posso qui ricordare ‘La Notte Europea dei Musei’, ‘Musei di Sera’, ‘Racconti di Storia dell’Arte’ e ‘Musei in Musica’. Ma anche l’attività dell’Auditorium - Parco della Musica ha visto aumentare i partecipanti alle sue numerose iniziative”. Esistono delle eccellenze in ambito museale? “I Musei Capitolini si confermano il fiore all’occhiello del Sistema Musei Civici con il 15% di visitatori in più: i 457 mila del 2008 diventano 526 mila nel 2009. Un successo dovuto alla capacità di attrarre un pubblico sempre più ampio grazie a mostre di rilevanza e spessore come quelle dedicate a Beato Angelico e a Michelangelo Buonarroti. Planetario e Museo Astronomico e il Museo Civico di Zoologia hanno avuto rispettivamente 9 mila e 7 mila visitatori in più nel 2009. Questi sono solo due esempi del successo di pubblico riscosso da iniziative e attività legate alla didattica per bambini e ragazzi e dal prolungamento degli orari di apertura, con operazioni di marketing che hanno puntato ad allineare sempre più due musei di ‘nicchia’ a quelli di tutto il sistema. Non va dimenticata poi l’attività di musei che, in termini di afflusso di visitatori, sono considerati minori come il Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese, con 6 mila visitatori in più nel 2009, e la Centrale Montemartini su via Ostiense con 7 mila visitatori in più, che hanno beneficiato, oltre che di mostre sempre più accattivanti, della vitalità di

CASA FUTURISTA La casa in cui il pittore futurista Giacomo Balla trascorse trent’anni di vita diventerà fruibile “almeno per gli studiosi”. È quanto assicura l’Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma Umberto Croppi. “È un oggetto d’arte straordinario” – ha detto estasiato l’Assessore –

“pieno di decorazioni e dove la maggior parte dei mobili sono stati costruiti dalle mani dell’artista. Un valore incalcolabile perché praticamente si tratta di un’opera d’arte tridimensionale” (in alto Umberto Croppi all’interno di Casa Balla)


Giacomo Balla (Torino, 18 luglio 1871 - Roma, 1 marzo 1958) è stato un pittore, scultore, scenografo e autore di “paroliberi”. Fu tra i primi protagonisti

del divisionismo italiano. La sua attività creativa fu intensa nei primi anni dieci del Novecento in termini di analisi sia del dinamismo sia della luce, giungendo nel 1915 a una nuova fase di ricerca pittorica fortemente sintetica. Fu esponente di spicco del Futurismo, firmando – assieme a Marinetti e gli altri futuristi – i manifesti che sancivano gli aspetti teorici del movimento. Secondo Severini: “Fu Giacomo Balla, divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla tecnica moderna del divisionismo senza tuttavia insegnarcene

le regole fondamentali e scientifiche. Balla era un uomo di assoluta serietà, profondo, riflessivo e pittore nel più ampio senso della parola. [...] Fu una grande fortuna per noi di incontrare un tale uomo [...] . L’atmosfera della pittura italiana era a quel momento la più fangosa e deleteria che si potesse immaginare; in un simile ambiente anche Raffaello sarebbe arrivato appena al quadro di genere!” (G. Severini, Tutta la vita di un pittore, 1946) 51

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GIACOMO BALLA “Nel groviglio delle tendenze avanguardiste, siano esse semifuturiste, o futuriste, domina il colore. Deve dominare il colore poiché privilegio tipico del genere italiano” (Manifesto del colore, Giacomo Balla, 1918)


trama dello spettacolo La

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Dalla Scala di Milano all’Opéra di Parigi, dal San Carlo di Napoli al Teatro Real de Madrid, la vita e il lavoro di Eufemia Brancato e la sua “opera” di sartoria che ancora oggi continua con il figlio e il nipote, Mario e Roberto

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SAN CARLO DI NAPOLI L’abito indossato da Katia Ricciarelli in Roberto Devereux nell’interpretazione eseguita al Teatro San Carlo di Napoli nel 1987. Regia e costumi Pietro Zuffi

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In questa pagina Ambrogio Maestri nel Falstaff di Giuseppe Verdi al teatro San Carlo di Napoli, 1987. Regia di Arnaud Bernard, costumi Carla Ricotti Un intenso profilo della signora Eufemia Brancato

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Incontro mario e roberto brancato a cura di giuseppe ursini foto © 2010. Valentina Pagani donadelli E © 2010. Archivio Brancato Fotografi Esquibel, Luciano Romano, Alfredo Tabocchini, Andrea Tamoni, Priamo Tolu

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Accadono cose strane anche in una città come Milano dove le giornate spesso sembrano tutte uguali. Il tempo di parcheggiare l’auto, dare la caccia all’omino del biglietto di sosta, e sono già all’indirizzo che mi sono segnato sul taccuino: Sartoria Brancato, via Solari 11. Ci accoglie il custode, un omone grande e fiero; deve avere la stessa età dell’edificio che mi pare degli anni trenta. è gentile e ci indica dove andare. Con me c’è Valentina con la macchina fotografica in mano e che successivamente si occuperà di impaginare quello che stiamo andando a realizzare. Di colpo, lasciataci la porta alle spalle, tutto cambia. Veniamo ricevuti da un coloratissimo comitato di accoglienza, inaspettato quanto

inusuale: ballerine, principi e principesse, dame, angeli e poi ancora celebrità, streghe, folletti e danzatori. Sono tutti lì, fissi da non so quanto tempo, sulle loro grucce, ma eleganti e curiosi della nostra presenza. Il gioco, per me, è immaginare i loro volti e i copricapi. “Entrate”, dice una voce dal fondo e tutto sembra ancora di più un sogno. Chissà chi avrà detto “entrate”… ci chiediamo… un po’ distratti dall’odore di stoffa e polvere che ci entra nel respiro. È un odore che sa di buono… Poi, tra quelle figure immobili sbuca una delle assistenti che ci accompagna al piano superiore. La strada è come un percorso di un parco dei


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Musica per l’Umanità Stile Italiano / N. 9-2010

al Conservatorio

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Da duecento anni tradizione e innovazione convivono in armonia per l’amore e la professionalità dei suoi docenti e per il talento dei suoi musicisti famosi in tutto il mondo


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INCONTRO CON FRANCESCO SAVERIO BORRELLI E BRUNO ZANOLINI a cura di Angela Pagani FOTO DEL CONSERVATORIO © 2010. RICCARDO MOCCI FOTO CONCERTO © 2010. AGENZIA FOTOGRAMMA FOTO del coro del collegio ghislieri © 2010. Ghislieri Musica

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Avevo incontrato il presidente del Conservatorio “G. Verdi” di Milano, Francesco Saverio Borrelli in altre due circostanze; la prima per un evento che avrà come protagonista Gerry Mulligan, il grande e indimenticato saxofonista americano. Un progetto che stiamo realizzando insieme alla moglie del maestro, la contessa Franca Rota Borghini Baldovinetti Mulligan e che prevede, oltre al concerto, la mostra dei suoi disegni inediti. Il nostro secondo incontro è avvenuto in occasione del concerto “Musica in cattedrale” che si è tenuto nel Duomo di Milano lo scorso 28 gennaio, dove il coro e l’orchestra del Conservatorio, diretti dal maestro Donato Renzetti, hanno interpretato il Requiem K 626 di Wolfgang Amadeus Mozart; il coro era composto da oltre 250 ragazzi tra voci bianche e studenti. L’opera Amao omi di Giya Kancheli ha aperto la serata, protagonisti il coro del Collegio Ghislieri di Pavia diretto dal Maestro Giulio Prandi e l’Italian Saxophone Quartet, composto da Federico Mondelci, Marco Gerboni, Mario Marzi e Massimo Mazzoni. Oggi il nostro incontro, invece, è per raccontare che cosa significa essere presidenti del Conservatorio di Milano e quali sono le problematiche di questa istituzione. “Ho avuto delle perplessità ad accettare l’incarico di presidente” – sottolinea Borrelli – “mi sono chiesto cosa avessi a che fare io con un’istituzione come questa. Non ho esperienza manageriale e non sono la persona che ha la capacità di portare finanziamenti; sono un uomo abituato

a un determinato rigore di comportamento e al concetto di legalità, qualcosa che credo debba essere sempre tenuto presente in tutti i settori e a tutti i livelli”. Il suo mandato è in scadenza, cosa potrebbe succedere se lei non fosse riconfermato? (Ed ecco la sorpresa ahimè amara. Il presidente è stato licenziato dal Ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini ed è stato nominato come successore l’editore Arnoldo Mosca Mondadori, figlio di Paolo Mosca uomo che ho conosciuto e che considero persona cortese. Sicuramente Arnoldo Mosca è un professionista preparato: sia nella produzione di programmi per la televisione sia come editore. Ma sinceramente, per ricoprire una carica come quella di presidente del Conservatorio di Milano mi aspettavo un “nome” equivalente al personaggio di Francesco Saverio Borrelli che sebbene quando venne nominato, si chiese perché proprio lui fosse stato chiamato a ricoprire quel ruolo, in questi anni ha ben guidato, portato avanti e sviluppato il Conservatorio sia in Italia sia all’estero, nonostante le molte difficoltà, non certo causate da lui. Esiste un’estetica, esiste in una società dove l’immagine è predominante, dunque, anche se personalmente non ho nulla contro il neo presidente, sicuramente la sua estetica sia per età sia per immagine non è quella di una figura come Borrelli. Ora continua la nostra intervista senza alcuna modifica.)


LA VOCE DI MARIO MARZI Mario Marzi con il sax porta il suo straordinario talento musicale nelle più importanti orchestre internazionali: “Sono arrivato al Conservatorio all’inizio degli anni novanta e mi sono subito confrontato con musicisti di prim’ordine. Oggi insegno al Conservatorio e spesso ho la sensazione di ricevere di più dai ragazzi di quanto io dia loro. Tutto ciò mi fa riflettere sulla fortuna che ho avuto nell’intraprendere questo lavoro. Mi auguro da sempre che il Conservatorio possa continuare ad avere quel prestigio che merita anche in ambito internazionale. In questo senso la vera crisi non è quella del portafoglio, come ci viene fatto credere, ma quella delle coscienze”. Mario Marzi è uno dei più grandi sassofonisti internazionali, collabora con le più importanti ensemble ed è stato vincitore del Premièr Prix et Medaille d’Or a l’unanimité Pagina a fianco da sinistra Angela Pagani, amministratore di I.M.T. Srl società che ha organizzato il concerto “Musica in cattedrale” insieme al Presidente del Conservatorio di Milano Francesco Saverio Borrelli. A fianco il direttore del Conservatorio Bruno Zanolini ancora insieme a Borrelli

DIRETTORE DEL CONCERTO Donato Renzetti e i musicisti del Conservatorio durante la serata del 28 gennaio scorso (sotto). Renzetti è tra i direttori d’orchestra italiani più affermati nel mondo. Ha ottenuto numerosi e importanti riconoscimenti internazionali. Ha diretto alcune tra le “MUSICA IN CATTEDRALE” Il concerto del 28 gennaio scorso diretto da Donato Renzetti è stato organizzato dalla I.M.T. Srl di Milano con il sostegno dell’architetto Ernesto Brivio e l’ospitalità della Veneranda Frabbrica del Duomo. Il concerto è stato patrocinato dall’Istituto Internazionale di Studi sui Diritti

più importanti orchestre ed è stato invitato nei principali Teatri Lirici: Opera di Parigi, Covent Garden di Londra, Grand Theatre di Ginevra, Staatsoper di Monaco, Capitol de Toulouse, Carnegie Hall e Metropolitan di New York, Lyric Opera di Chicago, Teatro Bunka di Tokyo. Dal 1982 al 1987 è stato Direttore dell’Uomo di Trieste Membro Consultivo dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa, per iniziativa del vice presidente Tullio Cappelli Haipel di concerto con il presidente onorario on. Franco Frattini, Ministro degli Esteri e il presidente dell’Istituto Giacomo Borruso. Per l’occasione il presidente onorario Franco Frattini ha

Principale dell’Orchestra Internazionale Italiana, dal 1987 al 1992 Direttore Principale dell’Orchestra Regionale Toscana, dal 1993 al 2001 Direttore Principale dell’Orchestra Stabile di Bergamo. Dal 2004 al 2007 è stato Direttore Principale Ospite dell’Orchestra Sinfonica Portoghese

mandato un messaggio scritto di solidarietà e di aiuto alle popolazioni di Haiti: “in tal senso nell’ambito del diritto alla ‘tutela della salute’ l’Istituto si attiverà per portare un aiuto di professionalità e concretezza specie per le necessarie protesi alle numerosissime amputazioni subite da quella popolazione, bambini compresi...”.

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La Confraternita di

San Rocco

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Il Guardian Grando Franco Posocco: “Un’anima civile e religiosa si incontrano nella nostra Confraternita... Oggi come ieri, oltre alla continua attività culturale e museale, siamo attivi nell’aiuto dei bisognosi con una commissione apposita che individua le persone che maggiormente necessitano”

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GUARDIAN GRANDO L’architetto Franco Posocco, attuale Guardian Grando della Scuola Grande di San Rocco


Scuola Grande di Santa Maria della Carità (oggi Accademia delle Belle Arti) La Scuola rappresenta una delle più antiche tra le istituzioni laico-religiose veneziane: la data di fondazione è, infatti, nel 1260 e fu la prima ad avere l’appellativo di “grande”.

Scuola Grande di San Marco (oggi Ospedale Civile) L’anno di fondazione risale al 1260 e la Confraternita era nei pressi della chiesa di Santa Croce ben lontano dall’attuale luogo dove i fedeli si spostarono invece nel corso del XV secolo (1437).

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Scuola Grande di San Giovanni Evangelista Fondata nel 1261 la Scuola ricevette la massima notorietà nel 1369, quando il Guardian Grande, Andrea Vendramin, riceve la Reliquia della Croce a lui pervenuta dal patriarca di Costantinopoli.

Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia Fondata nel 1308 nel progetto del Sansovino avrebbe dovuto oscurare con la propria bellezza qualsiasi altro edificio a Venezia. Purtroppo non venne mai completato a causa di svariate vicissitudini.

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a cura di CRISTINA MARCHESI e ANGELA PAGANI foto © 2010. Scuola Grande di San Rocco e © 2010. immagini tratte dal volume “La Scuola Grande di San Rocco” collana Mirabilia Italiae – Franco Cosimo Panini Editore Spa (Modena)

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La Scuola Grande di San Rocco si è costituita come confraternita, sull’esempio dei Battuti (Disciplinanti), a Venezia, il 27 maggio 1478 e fu subito riconosciuta, dal Consiglio dei Dieci, che la dichiarò Scuola Grande il 31 agosto 1480. Qualche anno più tardi la Scuola era la più ricca e insigne tra le Scuole Grandi tanto che poteva fornire in tempo di guerra alla Repubblica rematori, soldati e denaro. Infine deliberò la costruzione, a ridosso della Basilica dei Frari, di una prima sede (l’attuale Scoletta) e della Chiesa dove il 3 Marzo 1490 fu traslato il corpo di san Rocco. Parliamo di quest’antica Confraternita con l’architetto Franco Posocco, Guardian Grando della Scuola. La Confraternita della Scuola Grande di San Rocco, nata nel Quattrocento come associazione di laici, appare oggi l’incontro di due anime, religiosa e artistica, anche se in passato religione e ragion di stato furono spesso sovrapposte. Come nasce e con quale scopo è stata creata? “è più corretto parlare di un’anima religiosa e un’anima civile. La Confraternita nasce per iniziativa della Repubblica come struttura civile e come una vera e propria articolazione dello stato che coinvolgeva soprattutto il ceto cittadinesco, composto da borghesia, commercianti, tecnici, medici, finanzieri, burocrazia, intellettuali. Lo scopo era

quello di poter soccorrere la città all’epoca della peste. L’attività di carattere civile, basata su assistenza, beneficenza, intervento per i ceti poveri e i malati, s’integrava con quella religiosa, tanto più che all’epoca non erano distinte. Il carattere laico della Confraternita, dovuto alla sua dipendenza dal Consiglio dei Dieci, si conservò durante tutta la Repubblica, rimanendo inalterato anche nei regimi seguenti, a partire da quello napoleonico, passando poi per il dominio austriaco, fino al Regno d’Italia. La Scuola di San Rocco è una delle poche che si salva dalle tempeste d’inizio Ottocento, conservando la sua indipendenza rispetto alle ingerenze dei grandi poteri civili e religiosi”. A quando risale il primo Statuto della Scuola di San Rocco e che cosa prevede? “La Mariegola (lo statuto, che deve il suo nome al fatto di essere una sorta di libro matricola) è di poco successiva alla nascita della Scuola. Lo statuto prevede che la Scuola fosse costituita all’epoca da due livelli: quello dei confratelli capitolari e quello dei confratelli di disciplina. I capitolari erano coloro i quali esercitavano il potere e provenivano dalla borghesia, dalla nobiltà o dalla gerarchia


Scuola Grande di San Teodoro Anche questa Scuola pare abbia origini antichissime: infatti, la sua fondazione viene fatta risalire al 1258; anno in cui la confraternita si stabilisce nella chiesa di San Salvador.

LO STATUTO La mariegola (maior), la cui decorazione fu realizzata da Nicolò da Crose, tra il 1523 e il 1524. Sulla placca della coperta anteriore c’è Cristo, caricato della croce (sotto), è maltrattato da due sgherri. Sulla placca di quella posteriore appare invece San Rocco, venerato dai confratelli e ritratto secondo l’iconografia tradizionale, in abiti da pellegrino e nell’atto di scostare il lembo della veste per mettere in evidenza il bubbone peste

Demetrio Sonaglioni, Vicario della Scuola Grande di San Rocco con Franco Posocco, Guardian Grando

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ecclesiale. I nobili e gli ecclesiastici non potevano ricoprire cariche, riservate solo ai borghesi. I confratelli di disciplina erano degli operai, senza diritto di voto, che prestavano i loro servizi in cambio di aiuto nei momenti di bisogno”. Quante erano le Scuole a Venezia? “Le Scuole, durante il periodo della Repubblica, erano in numero molto elevato, e la gran parte erano di arti e mestieri. Alle Scuole appartenevano gli operatori (associati) che lavoravano in un determinato campo. C’erano le Scuole dei calegheri, dei marangoni, dei fabbri. All’epoca, infatti, per poter esercitare una professione era necessario appartenere a una Scuola. Esistevano poi le Scuole di nazionalità, dei Dalmati, degli Albanesi, dei Bergamaschi, dei Tedeschi ecc. In aggiunta a queste c’erano le Scuole Grandi. Se ne contavano in tutto cinque, diventate sei sul finire della Repubblica”. Qual era la caratteristica principale delle Scuole Grandi? “A differenza delle scuole di mestiere o di quelle di nazionalità, le Scuole Grandi avevano un carattere generale, dichiarate ‘grandi’ dalla Repubblica, in quanto aventi scopi di natura generica e non particolare. Le più antiche Scuole Grandi sono: la ‘Misericordia’, la ‘Carità’ e ‘San Giovanni Evangelista’, seguono poi ‘San Rocco’ e i ‘Carmini’. Con una legge del 1806


SALA DELL’ALBERGO Cristo davanti a Pilato, 1566-1567, olio su tela 515 × 380 cm, Scuola di San Rocco Venezia Il Cristo davanti a Pilato è un autografo del Tintoretto, appartenente alla serie dei dipinti per la Sala dell’Albergo di San Rocco. Probabilmente, in questa composizione, il Tintoretto ha tratto i passaggi più importanti del tema da

un’incisione di Albrecht Dürer: l’artista enfatizza, con una straordinaria forza, la luminosità irradiata dal Cristo, unica figura che riprende la verticalità del colonnato, contrapposta all’ondulata dinamica di tutti gli altri personaggi, sia in ombra, sia in effetto di chiaroscuro. In questo confronto non si legge l’imminente martirio di Gesù, ma viceversa, un dominante vigore spirituale


e la Zonta. La zonta è un’aggiunta che venne fatta per rendere più democratica la struttura, in quanto composta da membri elettivi. Oggi tutti i membri sono elettivi, ma non lo erano all’origine”. Quante sono le cariche e quante persone fanno parte della confraternita oggi? E cosa impone lo statuto come iscrizione di un nuovo confratello? “I membri sono quindici, per un totale di altrettante cariche e i confratelli titolari a oggi sono circa trecentocinquanta e da circa vent’anni ci sono anche consorelle. I confratelli di disciplina sono stati aboliti. Per essere ammessi alla Scuola la proposta d’ingresso viene esaminata dalla Cancelleria e in caso positivo viene sottoposta al voto segreto dell’Assemblea Generale (il Convocato) che si tiene almeno due volte l’anno”. In quanto architetto e storico nella sua funzione di Guardian Grando quali sono gli aspetti che vorrebbe far conoscere di questa affascinante realtà? “Credo che per noi confratelli e consorelle l’aspetto più interessante sia la gratuità, che deriva dalle antiche regole della Repubblica, per cui tutte le cariche erano gratuite. Questo aspetto consente una grandissima libertà di comportamento e di pensiero. Noi discutiamo di tutto ben sapendo che l’unico interesse che ci sta a cuore è la Scuola. Questo motiva anche la compresenza di valori civili e religiosi: un’unicità di valori spirituali. Non c’è per noi differenza tra spiegare Tintoretto da un punto di vista artistico o spiegarlo per i contenuti molto intensi della sua religiosità che esprime in tutti i quadri. L’altro aspetto è la convinzione che Venezia vada servita perchè la venezianità è un valore universale. Vengono a Venezia persone da tutto il mondo, in quanto riconoscono nella città una sorta di oasi dell’arte, dell’accoglienza, dello stare insieme. è una città che si offre, in termini di Umanesimo, a tutti. Venezia va servita anche nelle sue povertà, questo è un dato originario della Scuola e la città lagunare ci ripaga con grande affetto, perché noi sentiamo che ci considera come una parte di sé. I veneziani attribuiscono a San Rocco una sorta di rappresentanza. è un luogo privilegiato: essendo posta vicino a Piazzale Roma e alla ferrovia vanta un grande legame con la terraferma, un luogo ‘ponte’, perché è il primo grande monumento che s’incontra arrivando in città”. English version on page 151 87

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Napoleone abolì tutte le Scuole e tutte le confraternite, così come fece per i conventi e i monasteri e incamerò tutte le loro proprietà. Tra le Scuole Grandi solo San Rocco sfuggì all’applicazione completa del decreto napoleonico, controllata da due guardie messe a vigilare dal principe Eugène de Beauharnais. Delle altre si salvarono i Dalmati e gli Armeni, in quanto stranieri e non circoscrivibili nel territorio di competenza napoleonico. San Rocco conservò tutto il suo enorme patrimonio storico-artistico, quello dei beni immobili e il tesoro evitando la depredazione avvenuta in altre istituzioni cittadine. Tutt’oggi conserva molte opere d’arte e il ciclo completo di Tintoretto. Tra le opere che Napoleone trasferì al Louvre: il Carpaccio della Scuola di San Giovanni Evangelista e il Veronese del Monastero di San Giorgio”. Come operava in passato e come opera oggi la Scuola nel sociale? “Allora agiva tramite delle elargizioni che venivano date ai confratelli di disciplina, ai bisognosi, agli appestati e ai malati. Poteva intervenire armando una galera da mandare in battaglia, non era inusuale che San Rocco, così come altre Scuole, armasse delle imbarcazioni di difesa, vista la natura unitaria dello stato. Oggi, oltre alla continua attività culturale e museale, è attiva nell’aiuto dei bisognosi. C’è una commissione apposita che individua le persone che maggiormente necessitano, come le famiglie dei carcerati o le carcerate con figli che si reinseriscono nella società”. Passiamo alle figure attuali previste dalla confraternita, lei è il Guardian Grando… “Lo statuto vigente è datato 1913, anno in cui fu attuata una modesta riforma del precedente ordinamento. Reca la firma di Vittorio Emanuele III e del capo del governo dell’epoca, Giovanni Giolitti. Le cariche sono rimaste quelle storiche: il Guardian Grando (presidente), il Vicario (vice presidente, oggi l’ingegner Demetrio Sonaglioni), uno Scrivano o Conservatore degli archivi (segretario), un Cancelliere che segue la ragioneria (attualmente le due cariche sono unite nella stessa persona, ma possono essere distinte), poi c’è il Guardian da matin (che si occupava degli ammalati, la mattina), poi ci sono i Decani, i Procuratori di chiesa e gli Aggiunti, tutte queste persone formano la Cancelleria. Il termine aggiunti è interessante perché negli statuti precedenti erano la Banca


SALA SUPERIORE, IL SOFFITTO La decorazione della grande Sala Superiore venne affidata per lunghi anni a dei semplici “canevazzi” dipinti, che venivano di tanto in tanto sostituiti e ridipinti. Solo nel 1574 la Confraternita decise di provvedere alla sistemazione della Sala e nel 1576 Tintoretto donò il dipinto centrale con Il miracolo del serpente di bronzo a cui fece seguito il contratto a vita che permise la decorazione dell’intera Sala

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Venezia

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La Scuola Grande di San Rocco, pilastro dell’arte veneziana con le sue ricchezze architettoniche e i suoi sessantun “teleri” di Tintoretto, che costituiscono il ciclo più completo della sua opera, e si integrano con una costruzione architettonica di alto valore artistico...

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LA SCUOLA E LA SALA TERRENA La facciata della Scuola Grande di San Rocco. La posa della prima pietra avvenne il 25 marzo 1517. Il primo proto fu Pietro Bon e successivamente Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino

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A destra La Sala Terrena. Le tele che decorano la Sala sono dedicate a episodi della vita della Vergine e dell’infanzia di Cristo. Alla sinistra dell’ingresso sono posti alcuni riquadri con i nomi dei membri della Cancelleria in carica e di tutti i Confratelli in ordine alfabetico per nome, secondo l’originaria usanza

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A sinistra Jacopo Robusti detto il Tintoretto, L’Annunciazione, particolare (1583-1587), Sala Terrena

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intervista AL GUARDIAN GRANDO ARCH. FRANCO POSOCCO a cura di CRISTINA MARCHESI E ANGELA PAGANI, ROSSELLA ROSCIANO foto © 2010. Scuola Grande di San Rocco e © 2010. immagini tratte dal volume “La Scuola Grande di San Rocco” collana Mirabilia Italiae – Franco Cosimo Panini Editore Spa (Modena)

Quando, lasciata la terraferma, ci si incammina nel cuore di Venezia, il primo complesso monumentale che si incontra è quello di San Rocco composto dalla Scuola Grande, la scoletta, la chiesa di San Rocco, la casa del prete e il primo condominio sociale costruito per aiutare i meno abbienti, Castelforte, che occupa un campo aperto al passaggio solo un secolo fa. Elegante, raffinata, la Scuola si presenta sulla nostra destra e proprio qui abbiamo incontrato l’architetto Franco Posocco, Guardian Grando della Scuola, per intervistarlo in occasione dell’apertura al pubblico, il 22 maggio, del Tesoro di San Rocco. Parliamo della Scuola Grande di San Rocco come monumento, dalla facciata, alla magnificenza dei saloni che svelano ricchezze artistiche che il mondo ci invidia. “Il campo di San Rocco è una specie di collezione di stili e modi dell’architettura. Per questo è stato, ed è, oggetto di interesse da parte dei pittori, degli architetti di tutto il mondo. Alle absidi in rosso mattone dei Frari si contrappongono la Scoletta, un’architettura dell’Umanesimo e la Scuola Grande un imponente monumento del pieno Rinascimento. La Chiesa però è barocca con un corona-

mento rococò, mentre anche il Romanticismo ottocentesco si rende presente con il giardinetto dei pitosfori, una pennellata di verde intenso davvero straordinaria. La Scuola Grande risente delle diverse mani progettuali, anche se l’apporto principale si deve al genio di Antonio Abbondi, lo Scarpagnino, che applicò le colonne trionfali alla piatta facciata ideata da Pietro Bon. La proporzione dei saloni, tutti armonicamente progettati in sezione aurea e dei portali è completata dai famosi soffitti decorati in foglia d’oro, nei quali sono inserite alcune delle opere più note del Tintoretto”. A rendere unico campo San Rocco, oltre alla Scuola, c’è la chiesa dedicata al santo, la scoletta e il primo condominio costruito a scopo sociale. Un complesso stupefacente di architetture sovrapposte e di tesori d’arte. “Anche la chiesa di San Rocco è un edificio importante, sia nell’architettura, sia nel corredo di pitture e sculture. Da ricordare soprattutto gli affreschi del Pordenone, le pale di Sebastiano Ricci, i quadri di Giovanni Fumiani nel soffitto e sopra i confessionali. Tintoretto ha lasciato una splendida Annunciazione e le grandi tele

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SALA SUPERIORE Gli episodi raffigurati da Tintoretto nella Sala sono tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento e sono suddivisi in tre temi fondamentali rappresentati nelle tre tele centrali del soffitto: Mosé fa scaturire l’acqua dalla roccia (miracolo dell’acqua),

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Il miracolo del serpente di bronzo (guarigione dalle malattie), la manna (miracolo del pane). La sete, le malattie e la fame sono i tre flagelli corporali che affliggono il genere umano e per alleviare i quali San Rocco e la Scuola, che a lui si ispira, hanno rivolto la loro azione.

Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia

In basso da sinistra Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (1576-1577) La raccolta della manna (1576-1577) A destra L’erezione del serpente di bronzo (1575-1576)

La raccolta della manna

Le pareti della sala, invece, sono completate da dossali lignei e da raffigurazioni allegoriche opera di Francesco Pianta il Giovane, celebrato maestro del XVII secolo. Tra tutte spicca la caricatura di Tintoretto, difensore della pittura (a destra in basso)


con i miracoli di San Rocco nel presbiterio. L’altare è forse la scultura più importante della chiesa, ricco com’è di statuette di santi. Nella chiesa verrà ricollocata sulla controfacciata, la ‘grande cantorìa’ in legno progettata dai Fossati verso la fine del Settecento. Sarà così possibile, dopo il restauro, eseguire composizioni della musica sei-settecentesca da Monteverdi a Vivaldi, da Galluppi a Cavalli. La Scoletta poi, un edificio acerbo, ma di perfette proporzioni e le case del Cappellano e del Sacrista (nonzolo) conservano elementi importanti della struttura originaria e un corredo di arredi, decorazioni, pitture murali, davvero rilevante”. La Scuola Grande di San Rocco è vista come la “seconda Cappella Sistina”, come un pilastro dell’arte veneziana con le sue ricchezze architettoniche e i suoi 61 dipinti di Tintoretto, che costituiscono il ciclo più completo della sua opera. Jacopo Tintoretto dedicò buona parte della sua vita artistica alla Scuola Grande. Da che cosa nasce questo attaccamento reciproco tra la Scuola e Tintoretto? E come mai la Confraternita di San Rocco è così fortemente caratterizzata dall’amore per l’arte? “Tutte le Scuole Grandi Veneziane hanno fatto dalla loro nascita una politica di magnificenza cercando quindi di abbellire le loro sedi con opere di artisti contemporanei importanti. Effettivamente San Rocco rappresenta un unicum per l’estensione temporale e l’impegno profuso nell’arte. Anche altre Scuole si sono fregiate di sedi importanti, basti pensare alla Scuola di San Marco, a San Giovanni e Paolo, con la sua straordinaria facciata, o ai Carmini, a San Giorgio degli Schiavoni o ancora a San Giovanni Evangelista, dove in entrambe erano custodite opere del Carpaccio. San Rocco però ha sempre curato l’arte, fin dalla costruzione dell’edificio che l’avrebbe ospitata, affidata ad architetti di prestigio, primo fra tutti lo Scarpagnino che ne realizzò la straordinaria facciata con le colonne trionfali, visibile dal campo. Alla fine del Cinquecento, quando lo scalone completò la sequenza degli aspetti architettonici, ci fu il problema di riempire l’edificio che ancora era spoglio al suo interno. Fu indetto pertanto un concorso di bozzetti aperto ai maggiori pittori dell’epoca, tra cui Tintoretto, Veronese e Palma, per scegliere l’artista cui affidare la creazione delle tele. A vincere fu, per mezzo di

L’erezione del serpente di bronzo


Pavel Kopp

La mia terra promessa

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“Dall’estate 1969 sono passati 40 anni dalla mia prima visita in Italia quando fotografavo la vita che si svolgeva nelle strade, come su un palcoscenico, rimanendo affascinato dalla disinvoltura delle persone, dalla loro empatia, dal loro comportamento, dal loro modo di parlare...�

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VENEZIA Palazzo Ducale, 1975

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N a cura di Pavel Kopp foto © 2010. pavel kopp

Nell’estate 2009 sono passati 40 anni dalla mia prima visita in Italia: era il lontano 1969, nel mio Paese, la Cecoslovacchia, si sentiva ancora l’eco della “Primavera di Praga”; in quegli anni si poteva ancora viaggiare senza troppi problemi, prima della chiusura ermetica delle frontiere durante la “normalizzazione” comunista dei nostri “anni di piombo”. Ero partito da Praga con il treno, grazie al Centro Turistico Giovanile (CTG) di Roma, che mi aveva invitato, dopo che avevo accompagnato un loro gruppo di giovani nel corso di una visita in Cecoslovacchia nel Capodanno 19681969. Una delle prime fermate del treno fu la stazione di Venezia Santa Lucia, dove non resistetti e dovetti scendere, almeno per alcuni minuti, per toccare per la prima volta la “terra italiana”. Uscii dal treno e rimasi senza fiato sulla scalinata della stazione che porta al Canal Grande.

Guardavo le gondole e gli splendidi palazzi veneziani e godevo di quell’atmosfera e del genius loci della città lagunare. Avevo pochissimo tempo, così scattai alcune foto e tornai al treno, ma più ricco di prima, per quest’esperienza unica che non si può dimenticare. A Roma, alla Stazione Termini, mi aspettava l’amico Umberto del CTG, che in macchina annunciò: “Sei per la prima volta a Roma, allora invece di andare in albergo devi vedere il Colosseo di notte!”. E così mi portò in via dei Fori Imperiali, con la bellissima panoramica sulla Colonna di Traiano, sui Fori e sul Colosseo illuminato. In quel momento pensai: “Sarà la mia Terra Promessa”. Forse era un’eco dei geni ereditati da antenati lontani che, secondo le cronache locali della città natale di mio padre – Hory Matky Bozi, sulla frontiera Bavarese – sarebbero arrivati dall’Italia del Nord, nel 1520, forse dalla zona di Trento (Valle dei Mocheni). A quei tempi quando si aprirono le prime miniere d’oro, data la poca esperienza del nostro popolo, il re di Boemia, Ludovico di Jagiellonia, chiamò minatori più esperti dall’Italia. I loro nomi erano di difficile pronuncia per i cèchi, così iniziarono a chiamarli “Minatori d’oro” – in cèco “Zlatokop” – poi solo Kop, e da ciò dovrebbe derivare il cognome della mia famiglia. è anche vero che la lingua italiana mi era molto vicina, quasi familiare, dopo solo un anno di studi già PAVEL KOPP Pavel Kopp è nato a Pilsen nell’ex Cecoslovacchia il 23 novembre 1940, si laurea in ingegneria al Politecnico di Praga, presso la facoltà di elettronica, dove ha poi lavorato come assistente e lettore e più tardi presso il Ministero delle Tecnologie a Praga. Negli anni 1972-1976 ha lavorato a Milano e qui ha iniziato a fotografare l’Italia. Dopo il ritorno a Praga ha organizzato diverse mostre fotografiche e pubblicato tre libri con le sue immagini: Istanti con l’Italia, La strana gioia di vivere e il fotolibro sul ponte Carlo di Praga: Ponte degli alchimisti. In Italia è tornato a lavorare dopo i cambiamenti politici del 1989, nella primavera del 1990, con la carica di Primo Consigliere diplomatico all’Ambasciata Cecoslovacca, e dal dicembre 1992 al giugno 1994 come Ambasciatore della Repubblica Ceca a Roma. è vicepresidente dell’Associazione Amici d’Italia e membro dell’Accademia della Cucina Italiana a Praga. Oggi importa vini italiani in Repubblica Ceca e in Slovacchia


ROMA Piazza Navona, 1973

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Ma che bel

Castello...

L’ho incontrato in una scintillante mattina piena di sole e di profumi, ergersi alto sulla rocca di tufo... sono salita poi lungo le curve....

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a cura di Mariacristina Crotti E Nicoletta Rolla foto © 2010. Castello di San Giorgio E © 2010. Ecomuseo della pietra da cantoni

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Il Castello di San Giorgio l’ho incontrato in una scintillante mattina piena di sole e di profumi, ergersi alto sulla rocca di tufo, amichevole nell’allegria dei suoi rosa, dei suoi verdi e dei suoi grigi: è stato amore a prima vista. Mi è apparso subito in tutta la sua grandiosità, orizzontale, quasi una diga, alto sulla valle che costeggia l’abitato di San Giorgio a meridione, verso Asti. La sua facciata neogotica in rossi mattoni, gli archi acuti delle finestre, ti ispirano sobrietà e rigore, addolciti

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dai potenti raggi del sole che per tutto il giorno lo illuminano. Sali poi lungo le curve della strada costeggiata dalle vigne, attraversi le strette vie del paese e lui lì, sopra i tetti, nel cielo azzurro ti apre le braccia della sua doppia scalinata barocca e ti accoglie nel giardino incantato. Antichi cipressi lo bordano come fossero graffette di un gioiello; vialetti ghiaiosi corrono da un pozzo all’altro posti al centro delle erbose aiole circolari, rose ai lati. Spuntano le chiome dei faggi, dei cipressi,


IL CASTELLO DI SAN GIORGIO Il paesino di San Giorgio Monferrato (in piemontese San Giòrs Monfrà) si concentra tutto attorno al castello che da una piccola altura domina la strada Asti-Casale In queste pagine Il Castello, la scalinata barocca e il giardino “incantato” con faggi, cipressi e roseti. La biblioteca, i saloni e gli scaloni ricordano un ricco e antico passato legato alle grandi famiglie del Monferrato

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L’esilio nell’antica Roma

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a cura di Gilberto fedon foto © 2010. Archivio i.m.t. srl - milano

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Gli antichi Romani erano certo più pragmatici e capaci di realizzare grandi organizzazioni sociali dei meditativi e particolaristici Greci. I discendenti di Romolo sapevano, infatti, apprezzare le altre culture. Con queste cercavano sovente di fondersi e di convivere pacificamente. I Romani erano anche gioviali nel gestire le incombenze di tutti i giorni. I loro dibattiti forensi erano molto vivaci e non di rado privi di ipocrite o furbesche perifrasi. A loro, infatti, piaceva chiamare le cose con il loro nome. Erano stati educati da sempre a badare al sodo. La sintetica lingua latina esplicitava, senza dubbio alcuno, la loro secolare e compiaciuta concretezza. Tuttavia la “stirpe dei Cesari” non era anch’essa immune, in non pochi dei suoi volitivi componenti, da

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vizi comportamentali quali l’invidia e, aggiungiamolo pure, l’ingiustificabile mancanza di sportività per il superiore talento altrui. I Romani possedevano, infatti, un’istituzione giuridica altrettanto spietata quanto l’ostracizzazione greca, per bandire dal consorzio umano, a ragione o in non pochi casi per mero pretesto, i cittadini che violavano gravemente la legge o che, al contrario, si segnalavano per essere fastidiosamente un po’ troppo al di sopra del comune sentire dei rimanenti optimates: ovvero dei potenti oligarchi dell’epoca imperiale. Tale sanzione legale era costituita dal drammatico esilio. Il filosofo Seneca fu, forse, una delle più illustri vittime di tale castigo per aver solamente osato corteggiare una


“Volgiti ai miei fratelli, vivendo i quali non ti è lecito accusare la fortuna. In entrambi hai quanto può allietarti [...] trai sollievo dall’alta posizione dell’uno, dalla vita quieta dell’altro, dall’affetto di entrambi. [...]: uno ha cura della sua posizione sociale per esserti di ornamento, l’altro si è raccolto in una vita tranquilla e quieta per aver tempo di dedicarsi a te...” (“Consolatio ad Helviam”, 18, 2) giovane nobildonna. Tale condanna giudiziaria era del resto considerata una spaventosa sventura. E a ragion veduta. L’esiliato veniva, infatti, relegato in luoghi remoti e perdeva quasi ogni informazione su quanto si tramava e si ordiva in patria e sovente questa immeritata punizione cadeva come un’inesorabile scure su esseri umani ben consapevoli di essere fatti dalla natura, invece, per vivere dignitosamente assieme agli altri. La vita solitaria si poteva eventualmente scegliere come breve e momentanea parentesi per fare chiarezza spirituale nella propria esistenza o per abbeverarsi della sapienza di ammirati scrittori, sia antichi sia moderni. Ma, al di fuori di tali esigue circostanze, escludersi volontariamente dalla vita collettiva costituiva una situazione integralmente priva di significato. A meno che

non si fuggisse l’ingiusto servaggio o l’incompatibilità caratteriale con gli altri. Seneca fu quindi ingiustamente scacciato da Roma, dai suoi affetti più cari e dalla sua amata professione, senza avere, probabilmente, colpa alcuna. Fu principalmente vittima dell’invidia dei suoi patrizi colleghi. Fu costretto a trascorrere monotone, pesanti – sebbene filosofiche – giornate, privo del conforto di parole amiche, della complicità dei familiari, di buone persone a cui poter fiduciosamente confidare i suoi numerosi affanni. Era sottoposto all’occhiuta e intimidatoria vigilanza del potere imperiale di Roma, i cui onnipresenti sgherri gli concedevano gli unici e avarissimi scambi di parole che inframmezzavano il suo opprimente silenzio. Seneca era, infatti, insigne maestro nell’arte dell’eloquenza. Potersi esprimere con la

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LUCIO ANNEO SENECA Seneca, o Seneca il giovane (Cordoba, 21 maggio 4 a.C. – Roma, 65), fu un filosofo, politico e drammaturgo romano. Dopo essere tornato da un viaggio in Egitto iniziò l’attività forense e la carriera politica (divenne dapprima questore ed entrò a far parte del Senato) godendo di una notevole fama come oratore, al punto di far “ingelosire” l’imperatore Caligola. Nel 41, il successore di Caligola, Claudio, lo condannò all’esilio in Corsica con l’accusa di adulterio con la giovane Giulia Livilla, sorella di Caligola. In Corsica Seneca restò fino al 49, quando Agrippina minore riuscì a ottenere il suo ritorno dall’esilio e lo scelse come tutore del figlio, Nerone. Secondo Tacito sarebbero tre i motivi che spinsero Agrippina a togliere dall’esilio Seneca: l’educazione di suo figlio, attirarsi le simpatie dell’opinione pubblica (Seneca era considerato uomo di grande cultura) e avere stretti rapporti con lui per riuscire a impadronirsi del potere. Seneca accompagnò l’ascesa al trono del giovane Nerone (imperatore dal 54 al 68) e lo guidò durante il suo cosiddetto “periodo del buon governo”, il primo quinquennio del principato. Assunse un grande potere politico, che gli consentì di divenire estremamente ricco. Si narra che avesse una collezione di cento tavoli di cedro. Progressivamente, a causa delle intemperanze del giovane imperatore, tale rapporto si deteriorò. Giustificò come il “male minore”, l’esecuzione della madre di Nerone, Agrippina, nel 59, e se ne assunse tutto il peso morale. In seguito, il rapporto con l’imperatore peggiorò e temendo quindi per la propria vita Seneca si ritirò a vita privata, donando a Nerone tutti i suoi averi e dedicandosi interamente ai suoi studi e insegnamenti. Famoso il suo epistolario con Lucilio, al tempo Governatore della Sicilia e finalmente assunse quello stile di vita che andava insegnando, dimostrando di essere un amministratore dei suoi beni e non un amministrato. Tra le sue opere il De clementia, Naturales quaestiones, Epistulae morales ad Lucilium, De providentia, De tranquillitate animi, Ad Helviam matrem de consolatione.


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Time for a change of rhythm! by Angela Giannini Pagani Donadelli Over the preceding months, we’ve done our best to understand why so many institutions such as theatres, museums of major cultural importance, historical residences and so forth still fail to receive adequate support from the State. One such example is the Conservatory of Milano, which, much to my chagrin, and to that of those who work there, is unable to run its activities as it would like and indeed deserves. Despite its international renown, the Conservatory currently lacks the necessary financing not only for its extraordinary administration, but simply for its day-to-day running costs. The building, which dates back over 200 years, has been in need for some time now of conservative restoration work. The common areas need extending, new classrooms and a new organ are required, as well as an instruments museum and an in-depth study pertaining to the digitisation of over 500,000 documents, which, if conducted in a way that is scientifically correct and using the appropriate technologies, could render the Conservatory financially independent. This, however, would require the agreement of a number of individuals, as I always say, whose concerns perhaps have little to do with simply safeguarding a heritage that belongs to the whole of humankind. The question this raises is what we can do to help: trying to bring such shortcomings to the attention of those with the power to do something may be one way. Quite honestly, I suspect that seeking aid from the State may not be the most effective strategy, since it has dedicated less than 1% of resources to culture. Why such a drastic reduction in the figure set aside to support culture, given that our country possesses 58% of the world’s cultural

heritage? “To save money”, we’re told. This, however, does not make 100% sense, because an adequate technological vision would allow us to share high-added value content with the whole world, which could be used for educational, publishing or commercial purposes, to name but a few. This vision, which comprises a commercial use of resources, a sort of “heritage redevelopment”, is aimed at modernising museums, conservatories, archives and libraries, which, in this knowledge and information society of ours, could be effectively organised through an appropriate computerisation process. This is something that’s been mooted for years now, without any tangible results ever having been achieved. Artworks, drawings, correspondence, rare texts, musical scores and a whole host of other material that is currently gathering dust in most of the places in which it is preserved could be given a new lease of life, both to allow the rest of the world to share in it and to boost the income of the institutions it is housed in. This is a strategy that could have already been adopted a long time ago, and I fail to understand why Italy has done so little to organise these resources, considering that other countries able to boast a less significant cultural heritage are well ahead of us. These materials must be adapted in such a way as to properly exploited, both by placing them in an appropriate, contemporary showcase and by ensuring an inter-museum cultural communication network that can only be created with the help of technical experts and art critics. People enter museums in search of the enrichment that can only be derived from the pleasure of knowledge, of contemplating an artwork before us and enjoying the emotions it awakens in us. Large numbers of tourists come a long way to visit Italy: let’s give them the satisfaction of discovering and engaging with the very best our country has to offer, both in terms of the welcome they receive and of the services and resources our museum sites have to offer. Italy’s exceptional wealth lies in its cultural heritage – so let’s make the most of it and turn it into an instrument for the good of everyone in the country. Italy alone attracts 240 million tourists (source: ENIT-FEDERALBERGHI 2009). It’s time to get ourselves organised and to turn culture and all the income that derives from it into Italy’s number one business.

Stile Italiano - a partner for the cultural tourism of local governments Italy’s cultural heritage is unequalled the world over. The way we live today leaves less and less time to appreciate the sheer beauty of human endeavour. It was Plato who said that if knowledge is the fruit of wonder, then wonder is in turn born of knowledge and conscience. For this reason it is important for Italy to feature in Stile Italiano - on both a regional and national level. Local Italian culture is so distinctive and unique, making Stile Italiano simply the ideal partner. The magazine provides the accompaniment to both Italian and foreign tourists in their quest to find their own personal route, journey, itinerary and wonderment. After all, not everything in life can be entrusted to new technology - it is vital that we rediscover the desire to read and be guided towards discovering picturesque villages, hidden gems, little-known facts, tips, suggestions, and real contacts at grass roots level... Stile Italiano represents a way of valuing Italy’s cultural heritage - the main player in a new concept of how we can enjoy Italy’s museums, archaeological sites, natural beauty spots and architectural delights. Stile Italiano accompanies the reader in their discovery of our cultural and natural heritage, and the many smaller, special places - heritage assets which are yet to be valued. The value-added of a renewed cultural tourism is the acknowledgement of individual and unique identities. Stile Italiano is proposing the concept of the “Grand Tour” for modern times - so much a part of the European mindset since the 17th century, when young aristocratic Europeans headed for Italy to complete their cultural education as future leaders of society in their own countries. The future of cultural tourism can be written today by setting out an effective proposal for creating a strong link between the safeguarding, enjoyment, and enhancement of our cultural heritage and the greater wellbeing of the local communities that look after it.


My name is Stefi by editorial staff Readers of the “Corriere dei Piccoli”, where she made her début in 1969, will no doubt remember the adventures of a character that today returns to our attention with an exhibition and a book in which Chinese, English and Arabic offer a helping hand on the road towards integration. All of this springs from the pencil of the seventynine-years-young Grazia Nidasio...

tions, the laws of a certain kind of etiquette, the grown-ups’ obsession with consumerism, their lack of concern for the Planet and the future generations of which she feels part, and so on. There isn’t much she can do to fight the system, however, because she’s too little, and because the world rolls on according to its own rules, its own laws. Stefi’s way of dealing with her condition is humour, an “escape valve” that allows her to temper the ferocity of her criticism, and is especially effective when the object of that criticism is someone she is particularly attached to. This “escape valve” is both a lens through which the world of adulthood is turned upside down, given a grotesque dimension and a means through which she can adapt and thus survive. In both cases, humour is an equally effective expression of the nature of a character that exudes a fundamental optimism, an essentially open attitude to life, friends and everything new that makes up her own little world. The author: Grazia Nidasio (page 15) Born in Milano in 1931, Grazia Nidasio was first an illustrator and then a sub-editor on the “Corriere dei Piccoli”. Also a scriptwriter, she created the characters “Valentina Mela Verde” and “Stefi”, and collaborates with Smemoranda. From 1984 to 1987 she was President of the Illustrators’ Association. She currently lives in Certosa di Pavia. So what books did Grazia Nidasio read as a child? “All sorts... from the Thousand and One Nights to the great classics by Dickens, Stevenson and Scott; Don Quijote, Gian Burrasca, and any magazines and papers I managed to lay my hands on, from the ‘Domenica del Corriere’ to ‘Le Musée de Famille’. I remember when I discovered the books from the school library, with strange, sometimes absurd titles”. What about authors that marked your teenage years, those that helped foster your cultural development? “‘Orlando Furioso’ and the discovery of Ulysses. ‘Le Vite’ (The Lives of the Artists) by Vasari. Or perhaps I should mention the series of books, such as the ‘Medusa’ volumes of my mother’s I was an avid reader of: Sally Salminen, Daphne Du Maurier, K. Hamsun, Pearl S. Buck. And Annie Vivanti. Later, Don Milani, Natalia Ginzburg, Primo Levi, Eco and Calvino, and Englishlanguage writers and humourists – although the two definitions happily coexist in the works of many authors”. Generations of girls have loved Valentina Mela Verde. We know she’s attentive and inquisitive, that she loves music – but what sort of books

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Her name is Stefi, and she is an extraordinary character created in the Seventies by Grazia Nidasio. From the pages of the “Corriere dei Piccoli”, where her exploits thrilled a generation of children, Stefi has taken a leap into the present, where she is offering today’s kids a helping hand with language skills and integration. This project is supported by an itinerant exhibition and a volume featuring multilingual comics and games, the latter created by Carlo Carzan from the “Così per Gioco” (Just for Fun) Cultural Association. The book is entitled “Mi chiamo Stefi e tu?”, and the impertinent, yet wonderfully simple question and criticisms - addressed to the world of adults with the logical only a child is capable of – take us on a journey conceived as a way to get children from different cultures talking. The aim of this dialogue is for them to communicate both with each other and with adults, through a process of “emotional literacy”. Stefi made her début in 1969 in the “Corriere dei Piccoli”, as a character in the adventures of “Valentina Mela Verde”, a comic series that lasted until 1976. It was then that Stefi “grew up” and graduated to her very own comic strip in the “Corriere dei Ragazzi”. Since then she has gone from strength to strength, engaging with children – and indeed grown-ups – through various channels: from comics to diaries, to adventures in ecology, from the TG Zero transmission to the TV news programmes for children. “I imagined myself in a cinema, watching a film in Arabic” - says Grazia Nidasio – “I didn’t understand a word of what was going on, then suddenly I heard a familiar sound: spaghedi. Spaghedi? Spaghetti! Have you any idea of the kick you get out of hearing a word you recognise? And that’s what gave me

the idea of doing something similar for children who speak other languages. Something to make them feel a little more at home. It’s a small gesture of welcome”. Grazia Nidasio, the “girl” pushing 80 who came up with this idea, is the same illustrator who gave us “Stefi” and “Valentina Mela Verde”, Italian comic characters that to this day can be found in numerous countries, from Spain to Turkey, and remain alive within the Culture pages of the “Corriere della Sera”. For the project, Nidasio has written stories for 40 comic plates in 5 languages: Italian, Chinese, Arabic, Spanish and English. Each story “speaks” its own particular language, but all of them are provided with a translation in either Italian or English, so they are accessible to everyone. Stefi has been published in comic books and newspapers in several countries in Europe and beyond: Belgium, Great Britain, Spain, Israel, Greece, Turkey, Brazil and Argentina. Through the English edition, sponsored by British Telecom for MB, Stefi has also been published in Sweden and Norway. But just who is Stefi? Stefania Morandini is an eight year old who lives in a busy quarter of a big city. All she perceives of the city around her is the noise, the traffic, the chaos. The child lives in a neighbourhood where she knows a whole host of people: neighbours, shopkeepers, families, policemen and beggars, as well as many other kids of the same age, some of them from different, far-off countries. She comes from a modest family: her mother Maria is a housewife, while her father, Amedeo, works in an office. Stefi has an older brother and sister; she greatly admires her elder sister Valentina “Mela Verde”, although she is heavily sarcastic towards her, while with her brother Cesare, better known as Miura, she has a rough-and-tumble, affectionate relationship, characterised by the occasional quarrel when he catches her with her nose in his business. As the youngest child, her position in the family means she is excluded from many situations she would like to be part of, so she’s always trying to butt into adult conversations, her brother’s affairs and her sister’s chats with her friends – from which she is invariably sent packing. This is what gives her exploits a twist of adventure, the main feature of the stories together with humour. All Stefi’s adventures derive from her intolerance of the duplicity typical of the adult world, the subterfuges she is determined never to emulate. This is what lies behind her wrangles with her sister: when Valentina displays the formal, conventional attitudes typical of adulthood, Stefi feels betrayed. Her desire is to break down “the system” formed by conven-


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does she most enjoy? “It’s hard to say, but I think she’d have loved Karin Michaëlis and I’m sure she’d have enjoyed ‘The Catcher in the Rye’”. And what about Stefi? “Stefi is only eight, but she reads everything I do”. Do you prefer novels or non-fiction? “First and foremost non-fiction, then the rest. I read Bertrand Russell, Piergiorgio Odifreddi, Giorgio Giorello. I enjoy research into logic, into paradox... History, especially biographies, and politics. I also like English humourists, the Gino & Michele duo, Asterix”. A book for the bedside? “Edward Carr’s “What is History?”. And then – fortunately – there’s always something by Umberto Eco”.

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LITERARY TRAVELS by Niccolò Magnani Virgil, Catullus, Goethe, Kafka, Mann, Gide, Nietzsche, D’Annunzio… writers and poets through the ages have fallen in love with Lake Garda and the surrounding area, with its picturesque little villages, pleasant climate and calm atmosphere.

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How much I wished to have my friends for a moment near me in order that they might rejoice over the view which lies before me! Tonight I might have been in Verona, but there was still a glorious work of nature at my side, a precious spectacle: the Lake of Garda. This is how an author of the calibre of Goethe describes the thrill he experienced as he admired the magnificent view of the Benaco, the other name by which Lake Garda is known. Love, creativity, rest, tranquillity, pleasure: these are not just hollow, empty nouns, devoid of meaning. They represent the whole range of emotions and experiences Lake Garda has been able to awaken in a long list of literary greats, for the spectacular natural allure of the Benaco forms a unique fil rouge that links a host of fine writers down through the ages. Johann Wolfgang von Goethe was enchanted by the landscape around Malcesine and Torbo-

le, on the banks of the lake, after his trip here in 1787 during his Grand Tour. Goethe’s intention was to escape for a few months from his work as a minister in Weimar, which had stifled his creativity, and he hoped this journey would bring about a profound change, a sort of inner renewal. The two-month trip Goethe had originally planned turned into a “getaway” lasting almost two years, and was more than just a journey to Italy: it wrote a whole new chapter in his life. He stopped off in many places throughout the Italian mainland, and began to relax and to take an interest in Italian life. Goethe indeed underwent a profound change here, and particularly significant for him was the discovery, at the age of 37, of true, physical love, thanks to a woman he met during his stay around Garda and in Verona. This woman, by the (perhaps imaginary) name of Faustina, is a recurring theme in his poetry from that period. As well as painting every day (he returned to Germany with over a thousand pictures), he took up writing again, tapping in once more to the creative vein that had been so fertile in his youth. His diary, published in 1829, is a description of the places he visited in Italy, complete with the impressions awakened in him by the views, the people, the landscapes, the cities and the monuments. It is clear from his diary that the setting of Lake Garda, with its gently sloping banks and the houses arranged in a crescent around the gulf, transmitted a sense of harmony and tranquillity to the writer. These are sensations capable indeed of calming and inspiring the tormented, restless heart that beats within some men. Just what is so marvellous, so unique about the Benaco? The landscape; the ancient history; the colours and the fruit “ripening in the sun”. But Goethe was by no means the only writer to travel and to fall deeply in love with this little jewel set amid the peaks of the Alps and towns of great beauty. Equally unforgettable are the Georgics, in which the Latin poet Virgil describes the lake as a stretch of marine water, because of the extent to which it broadens out towards the south: Fluctibus et fremitus adsurgens, Benace, marino (The flow and hum of the sea resonates across Benaco). A walk around the lakeshore reveals to the visitor a series of monuments, castles and historical dwellings, from the Castle of Sirmione to the Palace of Avio, a residence of the emperors Charles V and Maximilian of Habsburg and the Longobard queen Teodolinda. In the rooms of the palace (the Sala delle Guardie and the splendid Stanza di Amore), a number of fourteenth-century fresco cycles can be admired. Some of the most beautiful spots along the shores of Lake

Garda have unwittingly engendered immortal literary works, since many writers remained spellbound by the sensations these places convey: the poetry, the tranquillity and the variety of the landscape are just some of the elements that inspired a wide range of artists to spend time here and to tell stories set against the splendid backdrop of Lake Garda. One of the giants of twentieth-century literature, Franz Kafka stayed on the west bank of the Benaco in 1913, as a guest of the Von Hartungen sanatorium in Riva del Garda (like Thomas Mann a few years earlier). The thoughts of the Czech writer were always characterised by a deep sense of anguish, partly due to his severe, recurrent health problems, and during his stay at the sanatorium he was attracted by the calm and peace the little town of Riva offered. At least temporarily – Kafka later had to move to another sanatorium when his condition worsened suddenly – the atmosphere of Lake Garda was able to represent a point of contact between the author and reality, providing a brief glimmer of serenity and harmony in the tunnel of his deeply tormented existence. As mentioned above, Thomas Mann stayed in the same place several years earlier, and chose the period he spent in the sanatorium to write part of one of his finest works: Tonio Kröger. In a letter from October 1902 to his friend Kurt Martens, Mann wrote: There is something extraordinarily moving when, after a lengthy period of restlessness, the opportunity is offered to slip down into this sunny, softly whispering calm where the waves lap gently around the shore, encircled by the severe, lofty peaks of the mountains. Riva del Garda nestles in the shelter of a beguiling chain of mountains that give the town a Mediterranean climate tempered by the currents of air that cross the lake. This same landscape also provided the philosopher Friedrich Nietzsche, in his twilight years, with some rest and respite from the severe nervous illness he had been struck down with. Over the years, increasing numbers of tourists, attracted here by the beauty of the landscape, have made Riva one of the major resorts in the Garda area. At this point readers may be asking themselves whether the lakeshores are so popular only with foreign visitors. The answer is of course no, and many Italian writers have also found inspiration here. The best known of these is undoubtedly Gabriele D’Annunzio, Il Vate, the Prophet, the leading light of the Novecento, who stayed on the banks of the lake from 1921 until 1938, when, just before his death, he retired to the Vittoriale, the residence he had had built in Gardone Riviera. It was D’Annunzio’s will that this building, declared a national monument in 1925, be left upon his


the time, but it is clear there was a thriving business of this nature, and, centuries later, it is difficult to distinguish the hand of one painter from that of another. We know the names of a number of painters in Caravaggio’s circle: Francesco Parone, Prospero Orsi, Tommaso Salini, Filippo Trisegni, Pietro Paolo Bonzi, but we know very little of the activity they might have carried out alongside Merisi. A few clues do exist, however. The Martyrdom of Saint Matthew features a number of parts that are of poor quality and badly painted, while the Calling in the same chapel is of a sublime beauty. What does this mean? It means that Caravaggio’s great obsession was light, as has been clear to everyone, from the artist’s time right up to our own. But why? Where did this obsession come from? What route did it follow? There is no documentary evidence of this, nor will there ever be. It is said that during Caravaggio’s apprenticeship with Peterzano in Milano, it emerged that Lomazzo - the true master of his time in terms of technique, a formidable, experienced painter and extraordinary character - had gone blind. Despite this handicap, Lomazzo went on working, speaking of his blindness as a new angle on art, a way to explore it with the mind and to combat darkness. The non-sighted are known to have a heightened sense of physicality, all the more so if we are talking about a painter, who perceives physical evidence in a way that is amplified and enhanced. Caravaggio learnt this as Peterzano taught him how to paint. He learnt that a painter can think in the dark, yet at the same time see more clearly and more deeply than anyone else. A blind person who has once had the gift of sight is able to represent the dimension of blindness, darkness and incomprehension with a reverence beyond compare. This is a huge challenge. This is Michelangelo Merisi, better known as Caravaggio. Pages 28-29 The Cardsharps, c. 1596, Oil on canvas, 90 x 112 cm, Kimbell Art Museum, Forth Worth Pages 30-31 The Incredulity of Saint Thomas, 1601-02, Oil on canvas, 107 x 146 cm, Sanssouci, Potsdam Beheading of Saint John the Baptist, 1608, Oil on canvas, 361 x 520 cm, Saint John Museum, La Valletta Pages 32-33 Amor Victorious, 1602-03, Oil on canvas, 156 x 113 cm, Staatliche Museen, Berlin Basket of Fruit, c. 1597, Oil on canvas, 31 x 47 cm, Pinacoteca Ambrosiana, Milan St. John the Baptist, c. 1604, Oil on canvas, 172,5 x 104,5 cm, Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City.

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CARAVAGGIO and his unspeakable secret by Claudio Strinati and editorial staff “There is also a Michelangelo from Caravaggio who is doing extraordinary things in Roma. [...] his painting is unquestionable” (K. van Mander, Het Schilder-Boeck [The Book of Painters], 1604)

The Scuderie del Quirinale in Roma is hosting a major exhibition that presents twenty unique masterpieces of Michelangelo Merisi, to celebrate the 400th anniversary of the death of the artist: from the Basket of Fruit to Bacchus, from the Deposition of Christ to the Conversion of Saint Paul and the Supper at Emmaus from the National Gallery. There are moments in history in which a great artist reduces and condenses his output, choosing to go down other roads. Unlike the Mannerists, who painted kilometre upon kilometre of frescoes – some of them beautiful, others less so, but in any event difficult to make out and thus to judge, Caravaggio painted forty canvases during his life. And he could have painted many more. His reputation as an artiste maudit is unquestionable, and fate was unkind to him. He fled from Roma after killing a notorious brawler, Tomassoni, perhaps over a woman, perhaps over a score at cards, and he spent most of his life teetering between triumph and disgrace. Protected by the noble Colonna family and the wife of the Marquis of Caravaggio, Merisi was an alluring, charismatic figure. He met with the highest of acclaim in Napoli, while in Malta he became a Knight; this title appears at the bottom of the only one of his paintings that bears his name, the Beheading of John the Baptist, which he signed with the blood that flowed from the neck of the decapitated saint. Here on the island he was involved in a series of violent quarrels and brawls, as a result of which he was imprisoned. On commission from a number of important Sicilian confraternities, he produced works of exceptional quality, if not beauty, such as the Burial of Saint Lucy in Siracusa or the Raising of Lazarus in Messina, works that strike fear into the heart of the observer, so strikingly do they appear generated by death itself. He was beaten almost to death in the Cerriglio Inn in Napoli, and died in mysterious circumstances, with a number of his paintings about his person, in Porto Ercole in 1610. It has never been clear whether he worked alone, or whether he had assistants or followers to aid him. What is unquestionable is the unitary nature of his style, but it is not always clear whether his canvases were painted exclusively by his own hand, or if he received assistance, or indeed imparted instructions to other painters. The numerous versions of the Incredulity of Saint Thomas, all of them superb, and all of them from the same period, offer food for thought, as indeed do the various versions of the Taking of Christ in the Garden. Some subjects have been copied on many occasions, others never at all. We know little of the copies that might have been in circulation in Roma at

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death to the Italian state, as a demonstration of his utter devotion to the Italian people and the nation, thus contributing to his legendary image as the Prophet and bard of the Novecento. The aestheticism and hedonism that characterised the Italian artist’s life since his youth were instrumental to the conception and construction of the whole of the immense architectural work, which was thought out and designed with minute attention to detail, starting out from the spectacular natural backdrop to the complex: Lake Garda. The Vittoriale is spread over nine hectares, and boasts a wealth of squares, avenues, fountains and buildings, among them the poet’s house, known as the Prioria, which hosts a library with over thirty-three thousand books. The villa features precise, intentional details throughout that are a clear reflection of D’Annunzio’s style and his theatrical tastes. Love and creativity, rest and tranquillity, pleasure and hedonism: these are the visions that this “corner of Paradise” has evoked in the great names of art and literature, from the romantic, tormented Goethe and the unstable Kafka right on to the decadent aesthete D’Annunzio. Lake Garda is more than just an area that boasts a wealth of superb scenery or characteristic resorts. It is an authentic wonder of nature, a source of inspiration to those who visit it, a landscape that speaks straight to the heart and mind, and a wonderful reflection of the finest Italy has to offer. –– Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c’ha nome Benaco. (High up, in lovely Italy, beneath the Alps that shut in Germany above Tirolo, lies a lake known as Benaco) (Dante, Divina Commedia, Inferno, canto XX, verses 61-63).


STILE

Editoriale / Editorial

ITAL IAN

Frecce puntate verso il futuro / Arrows pointing towards the future In viaggio /Travelling Attraverso l’Italia: Gibbon e Belloc / Travelling through Italy: Gibbon and Belloc

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Ferrovie dello Stato

Frecce puntate verso il futuro

CULTURA NEL MONDO ANNO V N.11

mar z o - M A G G I O

Il piacere della “velocità” / The pleasure of speed

Lo stile italiano diventa teatro / Italian style morphs into theatre Dal 1984 non solo cura / As of 1984, not just cures La crisi dell’euro: minaccia od opportunità? / The Euro crisis: a threat or an opportunity? WOW Mostre & Eventi / Exhibitions & Events News English Version

Optime Opificio

o r t a e t a t n e v

Enoteca Pinchiorri Il gusto della perfezione I De Filippo e il cuore di Napoli

2011

9 7719 72 4 56003

Il gusto della perfezione / The flavour of perfection

che storia!

10011 >

Optime Opificio

Vaticano,

Lo stil e it ali an od i

Vaticano, che storia / The Vatican, what a story!

stile ITALIANO CULTURA NEL MONDO

O mia bela Madunina

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB Milano Tassa Pagata/Taxe Perceu/Ordinario

I De Filippo e il cuore di Napoli / The De Filippo and the heart of Naples

h glis xt n E llte d Fu he en at t Euro 10,00 USD 20,00

trimestrale / NUMERO

11

2011


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