iged.it n°2/13

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GESTIONE DELLE INFORMAZIONI DIGITALI

ISSN 1720-6618

Manifesto per l’Italia digitale

Fatturazione elettronica obbligatoria verso la PA

Transazioni elettroniche nel mercato europeo

Anno XXI - Secondo trimestre 2013 LO/0690/2008

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SICUREZZA, PROFESSIONALITà, PRECISIONE. IN UN COLPO SOLO.

In un mercato che cambia continuamente, la chiave per il successo è essere sempre un passo avanti. Da venticinque anni organizziamo eventi B2B su temi di forte impatto innovativo, come gestione elettronica delle informazioni, front office, biotecnologie, nanotecnologie. e stampa 3D. Non solo: realizziamo seminari specializzati, pubblichiamo riviste professionali e, grazie a un database molto profilato, siamo in grado di confezionare servizi personalizzati per imprese pubbliche e private.

EVENTI

ITER: un punto di riferimento per un mondo in evoluzione.

LIBRI

SEMINARI SEGRETERIA ORGANIZZATIVA DIRECT MARKETING FORMAZIONE PROFESSIONALE RIVISTE

ITER srl Via Rovetta 18, 20127 Milano tel. 02.28.31.16.1 - fax 02.28.31.16.66 www.iter.it - iter@iter.it

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EDITORIALE 02-2013

Editore

ITER srl www.iter.it Direttore Responsabile

Domenico Piazza

“Un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”.

A questo numero hanno collaborato:

Gianmaria Bellucci, Paolo Catti, Paolo Colli Franzone, Alessandra Donnini, Irene Facchinetti, Salvatore Ferro, Stefano Foresti, Andrea Gallo, Riccardo Genghini, Sara Genone, Nello Iacono, Daniele Marazzi, Alessandro Mastromatteo, Germano Paini, Alessandra Poggiani, Francesco Pucino, Claudio Rorato, Benedetto Santacroce, Italo Vignoli e la redazione di iged Responsabile segreteria di Redazione

Petra Invernizzi Redazione

iged.it

Via Rovetta, 18 20127 Milano TEL: +39 02.28.31.16.1 FAX: +39 02.28.31.16.66

iged@iter.it www.iter.it/iged.htm Progetto Grafico

housegrafik info@housegrafik.com www.housegrafik.com Stampa

Ingraph Srl Seregno (MI)

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 157 del 7 marzo 1992. La tiratura di questo numero è di N. 10.000 copie. Pubblicità inferiore al 45%. Non si restituiscono testi e materiali illustrativi non espressamente richiesti. Riproduzione, anche parziale, vietata senza autorizzazione scritta dell’Editore. L’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi lo firma e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comporta alcuna responsabilità per l’Editore.

(Gabriella Giudici) Gentile Lettore, Cara Lettrice, è un momento veramente difficile e per tutti, salvo rare, rarissime eccezioni; ancor più difficile per chi si ostina a cercar di diffondere la conoscenza. Nonostante questo, anzi, proprio per questo è necessario, indispensabile resistere e insistere. Con questo spirito e con la speranza in una pronta ripresa e nell’avvio delle riforme delle quali si parla da tanto (troppo) tempo, lo scorso aprile abbiamo tenuto il consueto appuntamento con OMAT Milano. L’evento ha rappresentato la cornice per la presentazione ufficiale del Manifesto per l’Italia digitale, che la invito a leggere con attenzione su queste pagine e a sottoscrivere (qualora non l’avesse già fatto) su www.omat360.it. Il Manifesto nasce da un’iniziativa del Prof. Benedetto Santacroce che è presente su questo numero di iged.it con importanti aggiornamenti relativi alle norme appena pubblicate in gazzetta. Proprio le recenti norme sono oggetto di un seminari professionale che terremo a Milano il 9 luglio: trova maggiori informazioni all’indirizzo www.iter.it/seminari. E non ci siamo limitati a zappettare il piccolo orticello quasi venticinquennale, ma tutti noi di ITER siamo orgogliosi, di aver avviato un nuovo progetto come makeforum (www.makeforum.it), che vale veramente una sua visita al sito. Ci sono anche interessanti filmati da vedere, acquistandoli. Promuovere l’innovazione e diffondere la conoscenza diventa ogni giorno più difficile, ma noi non intendiamo arrenderci e confidiamo sulla sua attiva partecipazione allo sforzo comune. Grazie Domenico Piazza direttore responsabile iged.it

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Nuove regole per la dematerializzazione dei contratti

Presupposto per gli open data?

Firma elettronica avanzata

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Identificazione elettronica e servizi fiduciari

BENEDETTO SANTACROCE

Avvocato, Studio Legale Tributario Santacroce - Procida - Fruscione Articolo a pagina 06

Docente di Economia Digitale e Marketing all’Imperial College di Londra e all’Università Roma Tre Articolo a pagina 21

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La dematerializzazione è iniziata

1º step: la scansione del documento

Per le transazioni elettroniche nel mercato interno

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Il ruolo dei Media civici

Prospettive di sviluppo

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...perché le nuvole non amano i confini

I commercialisti e le ICT

ALESSANDRA POGGIANI

Migrare LibreOffice

La normativa e l’innovazione digitale Per lo sviluppo economico

Mettere la partecipazione a sistema

Verso il “G-Cloud” 58

Editoria Digitale Scolastica

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Verso un modello innovativo di gestione dei contenuti

Per uscire dalla crisi

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La piattaforma di convergenza

La digitalizzazione

Dall’economia digitale nuove opportunità di crescita per le micro e piccole imprese L’esempio dell’e-commerce

HTML5 64

Dal marketing al franchising Breve storia de L’Ippogrifo®

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Horizon 2020, il futuro dei finanziamenti all’Innovazione

Consigli pratici per ottenere i contributi

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Giocando si impara anche da adulti

Serious Games: progetti di learning by doing per la gestione d’impresa

RICCARDO GENGHINI

Professore, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Articolo a pagina 12

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Lettura ottica, cervello... e data-entry offshore

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Speciale OMAT Milano 2013 40 FRANCESCO PUCINO

CEO di Recogniform Technologies Articolo a pagina 32

Stuxnet 0.5

Il 9% di infezioni dormienti è stato rilevato in Italia

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Firma elettronica avanzata Nuove regole per la dematerializzazione dei contratti DI BENEDETTO SANTACROCE E ALESSANDRO MASTROMATTEO

Firme elettroniche si cambia. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 2013 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 febbraio 2013, in attuazione del CAD - Codice dell’Amministrazione Digitale - , sono state individuate le modalità di sottoscrizione di un documento informatico anche con l’utilizzo di soluzioni di firma elettronica avanzata. Le nuo-

ve regole tecniche adeguano infatti la disciplina delle firme elettroniche alle modifiche apportate al CAD dal decreto legislativo 235/2010, a valle di un iter approvativo che si è rivelato complesso, laborioso e tardivo rispetto al termine di attuazione individuato in dodici mesi dall’entrata in vigore del predetto decreto 235. L’adozione del provvedimento era peraltro molto attesa

dagli operatori, in quanto costituisce un passaggio fondamentale per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema Paese. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di estendere il ricorso alla firma digitale o alla firma elettronica avanzata nella redazione di qualsivoglia tipologia di documento, attraverso un incremento delle tipologie di firme elettroniche utilizzabili e assicurando

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una sostanziale e piena equiparazione con il documento cartaceo. L’ulteriore finalità perseguita è quella di diffondere l’utilizzo di strumenti elettronici di comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, riducendone tempi di risposta e costi correlati. Si tratta quindi di un provvedimento che faciliterà i rapporti fra lo Stato, le imprese ed i cittadini contribuendo ad un’effettiva modernizzazione e razionalizzazione della pubblica amministrazione. Il quadro regolamentare dovrà comunque essere completato con l’attuazione degli ulteriori provvedimenti previsti dal CAD, in consultazione già dal 2011, relativi a documento informatico, conservazione sostitutiva e protocollo informatico.

la firma è infatti tale da consentire di rilevare se i dati stessi sono stati successivamente modificati. In altri termini, a differenza della firma elettronica semplice, quella qualificata realizza un’unione inscindibile tra documento informatico e sua sottoscrizione. La firma elettronica qualificata si declina a sua volta nelle due species della firma elettronica qualificata e della firma digitale. La firma qualificata è infatti una firma avanzata basata su un certificato qualificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro per la creazione della firma. La firma digitale, invece, è un particolare tipo di firma elettronica avanzata basato su un sistema di due

chiavi crittografiche, una pubblica e l’altra privata. Le nuove regole tecniche, nell’abrogare espressamente il D.P.C.M. 30 marzo 2009, ne individuano proprio caratteristiche generali, modalità di generazione e di conservazione e connessi requisiti di sicurezza. LA FEA E LE SUE APPLICAZIONI: LA FIRMA GRAFOMETRICA Piena validità giuridica dei documenti informatici sottoscritti con soluzioni di firma elettronica avanzata: in base al principio della neutralità tecnologica, che informa le disposizioni del CAD, le regole tecniche in materia di firma lascia-

TIPOLOGIE DI FIRME ELETTRONICHE Le firme elettroniche sono classificabili nei due generi della firma elettronica e della firma elettronica avanzata. La firma elettronica consiste solamente in un metodo di identificazione informatica realizzato attraverso l’insieme di dati in forma elettronica, allegati o connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici. Di fatto, utilizziamo la firma elettronica oramai quotidianamente, senza neppure averne la consapevolezza, quando ad esempio digitiamo il codice PIN allo sportello bancomat, oppure quando ci vengono richieste credenziali, quali l’identificativo utente e la password, per accedere alle caselle di posta elettronica. La firma elettronica si associa solamente al documento cui è apposta, restando pur sempre un elemento distinto da questo. Al contrario, l’insieme di dati che caratterizza la firma elettronica avanzata consente non solo l’identificazione del firmatario del documento, ma garantisce anche la loro connessione univoca al firmatario, in quanto creati con mezzi sui quali tale soggetto conserva un controllo esclusivo. Il collegamento ai dati sottoscritti con iged.it 02.2013

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no la massima libertà agli operatori nell’individuazione di soluzioni di firma elettronica avanzata. L’articolo 21 del CAD si limita infatti a disciplinare il valore probatorio di un documento informatico sottoscritto, prevedendo che quando gli sia stata apposta una firma elettronica qualificata o digitale oppure anche una firma elettronica avanzata, acquista di per sé un’efficacia probatoria pari a quella della scrittura privata ai sensi dell’articolo 2702 del codice civile. Costituisce quindi piena prova sino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni di chi l’ha sottoscritto. Solamente gli atti di cui all’articolo 1350, co. da 1 a 12 del codice civile (ad esempio gli atti aventi ad oggetto beni immobili) devono farsi obbligatoriamente per mezzo di firma qualificata o digitale, mentre quelli di cui al numero 13, e quindi quelli che devono farsi per iscritto per previsione di legge, possono essere sottoscritti anche con firma avanzata (tra i quali tutti i contratti di servizi). La firma grafometrica rappresenta una delle soluzioni che si stanno diffondendo rapidamente sul mercato, in quanto permette la sottoscrizione di un documento informatico riproducendo il processo tradizionale di apposizione della propria firma autografa. Il mondo assicurativo e quello bancario stanno realizzando da tempo soluzioni che da un lato garantiscono al cliente di sottoscrivere un documento contrattuale, quale una polizza assicurativa ovvero una distinta di versamento, apponendo la propria firma autografa su un tablet come se stessero sottoscrivendo un documento cartaceo. Di converso, gli operatori hanno come vantaggio quello di gestire esclusivamente in modalità dematerializzata i documenti con la clientela, potendoli non solo produrre in elettronico, ma anche gestire in maniera integrata nei sistemi informativi aziendali, garantendone altresì la conservazione sostitutiva nel tempo.

Non esiste inoltre alcun vincolo tecnologico alla realizzazione di soluzioni di firma avanzata: qualunque soluzione è valida purché conforme alle regole tecniche. La firma avanzata si struttura infatti attraverso un processo rispetto a cui è necessario accertare, caso per caso, se sono soddisfatti i requisiti indicati dalla norma, quali le caratteristiche del sistema di apposizione della firma, le modalità attraverso cui l’utente appone la firma, le modalità di memorizzazione dei parametri biometrici della firma, la possibilità di verificare che il documento non abbia subito alterazioni dopo l’apposizione della firma e la possibilità per il firmatario di ottenere evidenza di quanto sottoscritto. Occorre in particolare garantire l’identificazione del firmatario del documento, la connessione univoca della firma al firmatario stesso ed il controllo esclusivo di questo sul sistema di generazione della firma. Deve essere inoltre possibile anche verificare che il documento non ha subito modifiche dopo l’apposizione della firma. Il firmatario deve ottenere evidenza di quanto sottoscritto, ad esempio attraverso la notifica di un messaggio di posta elettronica con allegato il documento firmato. LE NUOVE FRONTIERE DELLA FATTURAZIONE OBBLIGATORIA VERSO LA PA DOPO IL DECRETO 55/2013 La fatturazione elettronica obbligatoria verso la Pubblica amministrazione, dopo una lunga attesa, diviene finalmente operativa con un calendario variabile il cui primo appuntamento è fissato a giugno del 2014. Infatti, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 22 maggio 2013, del decreto ministeriale n 55 del 3 aprile 2013, sono finalmente in vigore le regole tecniche per la gestione dei processi di fattura elettronica verso le amministrazioni statali. Più in dettaglio, la tempistica di

decorrenza dell’obbligo è fissata in dodici mesi dall’entrata in vigore del regolamento (la data attenzione è il 6 giugno 2013) per ministeri, agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e assistenza sociale; in 24 mesi per le altre amministrazioni incluse nell’elenco ISTAT, ad eccezione delle amministrazioni locali, per le quali la data di decorrenza, entro 6 mesi dal 6 giugno 2013, sarà determinata con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, d’intesa con la Conferenza Unificata. Il decreto appena approvato permette quindi l’avvio a regime degli obblighi dettati dall’articolo 1, commi da 209 a 214 della Legge 244 del 2007. Attenzione che, sulla base del predetto calendario, tutte le amministrazioni destinatarie non potranno né accettare le fatture emesse o trasmesse in forma cartacea né procedere (questo con altri 3 mesi di ritardo) al pagamento, neppure parziale, sino all’invio del documento in forma elettronica. I fornitori delle amministrazioni pubbliche dovranno invece gestire il proprio ciclo di fatturazione esclusivamente in modalità elettronica, non solo nelle fasi di emissione e trasmissione, ma anche in quella di conservazione. PERIMETRO SOGGETTIVO Tra le pubbliche amministrazioni destinatarie di fatture elettroniche sono ricompresi tutti i soggetti anche autonomi che, a norma dell’articolo 1, comma 2 della legge n. 196 del 2009, concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale e che sono inseriti nel conto economico consolidato ed individuati entro il 30 settembre di ciascun anno nell’apposito elenco pubblicato da ISTAT. L’elenco è abbastanza corposo ricomprendendo non solo amministrazioni centrali quali organi costituzionali e di

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DOCUMENTO INFORMATICO E FIRME ELETTRONICHE LA TRASMISSIONE E LA CONSERVAZIONE DEI DOCUMENTI INFORMATICI MILANO, 9 LUGLIO 2013 Il corso è finalizzato all’analisi del quadro normativo in materia di documento informatico e firme elettroniche. L’analisi, focalizzata sul Codice dell’Amministrazione digitale, avrà ad oggetto i diversi tipi di firme elettroniche, con particolare riguardo alla firma elettronica avanzata. Tema particolarmente rilevante considerata la recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle regole tecniche in materia di firme elettroniche. Sotto questo aspetto, particolare attenzione sarà riservata all’analisi degli obblighi posti in capo ai soggetti erogatori delle soluzioni di firma elettronica avanzata. Si passerà quindi all’analisi del valore probatorio dei documenti informatici firmati elettronicamente. L’analisi sarà affiancata da un approfondimento avente ad oggetto le più recenti modifiche normative e le principali pronunce giurisprudenziali emesse in materia. Il corso, inoltre, è finalizzato all’analisi del quadro normativo in materia di conservazione e trasmissione dei documenti, al fine di valutarne l’impatto sui processi di digitalizzazione. L’analisi sarà affiancata da un approfondimento avente ad oggetto le principali problematiche giuridiche sottese all’eventuale esternalizzazione dei processi di conservazione sostitutiva.

DOCENTI Prof. Avv. Giusella Finocchiaro Titolare e fondatrice dello Studio Legale Finocchiaro, è professore ordinario di diritto di internet e di diritto privato nell’Università di Bologna. Avv. Annarita Ricci L’Avv. Annarita Ricci è dottore di ricerca in diritto civile e assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Bologna, dove dal 2007 è professore a contratto di diritto privato dell’informatica.

PROGRAMMA • La dematerializzazione dei processi. Il quadro normativo • La nozione di documento informatico • La sottoscrizione con modalità informatiche • Le firme elettroniche • La firma elettronica avanzata: una nuova opportunità per la digitalizzazione dei processi • La firma elettronica avanzata nelle regole tecniche di cui al d.p.c.m. 22 febbraio 2013 • Il valore giuridico dei documenti informatici: efficacia probatoria e idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta • La conservazione dei documenti informatici tra regole consolidate e vincoli privacy • La trasmissione dei documenti informatici • La posta elettronica certificata

SONO PREVISTE QUOTE RIDOTTE E AGEVOLAZIONI PER ISCRIZIONI MULTIPLE PER MAGGIORI INFORMAZIONI:

ITER – VIA ROVETTA 18, 2017 MILANO – TEL 02.28.31.16.1 – FAX 02.28.31.16.66 – WWW.ITER.IT – ITER@ITER.IT Focus_Santacroce1_h.indd 5

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rilievo costituzionale, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministeri ed Agenzie fiscali, ma anche Enti di origine, natura e compiti alquanto diversificati tra loro. Si va infatti dagli organismi di regolazione dell’attività economica, come AIFA ed ARAN, agli enti produttori di servizi economici come Anas S.p.A., ENAC, FIT e Gruppo Equitalia, alle Autorità amministrative indipendenti come AGCM, AVCP, AGCOM, AEEG e Garante per la protezione dei dati personali. L’obbligo grava infine anche su Enti a struttura associativa come ANCI, UPI ed UNIONCAMERE nonché su Enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali, quali Accademia della Crusca, CRI, CONI e su Enti e Istituzioni di ricerca, quali Agenzia spaziale italiana – ASI, CNR, ENEA, INFN, INGV, ISFOL e ISPRA. Tra i primi destinatari dell’obbligo, e quindi tenuti a ricevere fatture elettroniche entro il 6 giugno 2014, e cioè entro 12 mesi dall’adozione del decreto, vi sono, oltre ai Ministeri e alle Agenzie fiscali, gli Enti nazionali di previdenza ed assistenza sociale tra cui non solo INPDAP, INAIL ed INPS, ma anche le casse dei professionisti, quali Cassa forense, INARCASSA, Cassa del notariato, dei dottori commercialisti – CNPADC e dei ragionieri e periti commerciali – CNPR. Entro giugno 2015, l’obbligo sarà esteso a tutte le amministrazioni pubbliche come indicate nell’elenco ISTAT.

essere trasmesse, anche per il tramite di intermediari, solo attraverso il sistema di interscambio – SDI, gestito dall’Agenzia delle Entrate che ha individuato in Sogei S.p.a. il soggetto tecnologico deputato alla sua realizzazione. Attraverso lo Sdi la fattura che conterrà, come vedremo, una serie di informazioni necessarie ovvero opportune, verrà ridistribuita in automatico sulla base di un indice delle pubbliche amministrazioni (IPA) agli utenti pubblici. Questi ultimi dovranno conservare in modo elettronico le fatture ricevute. Il Decreto per gestire i diversi adempimenti è strutturato con cinque allegati che contengono le regole che informano l’intero sistema. In particolare, nell’allegato “A” viene definito il formato della fattura elettronica. L’allegato fissa, in particolare, il contenuto informativo della fattura, imponendo oltre ai dati fiscali una serie di informazioni che abilitano la Ragioneria dello Stato e l’Agenzia delle Entrate per il monitoraggio della formazione della spesa pubblica, nonché per verificare la corretta liquidazione della relativa Iva. In effetti, il contenuto informativo può essere dalle parti contraenti anche ampiamente

personalizzato con la possibilità di inviare tramite SDI anche degli allegati. L’allegato “B” contiene le regole tecniche di emissione e trasmissione delle fatture elettroniche. Tali regole tecniche si presentano, forse un po’ più rigide rispetto a quanto disciplinato dal 1 gennaio 2013 dal Dpr 633/72. Tale maggiore rigidità è, comunque, giustificata dalle specifiche finalità di controllo che sono sottese allo strumento. L’allegato “C” riporta le linee guida che le pubbliche amministrazioni devono seguire, per l’adeguamento delle procedure interne interessate alla ricezione e alla gestione delle fatture elettroniche. Questo allegato costituisce anche un valido strumento di armonizzazione procedurale tra le diverse strutture pubbliche. Si tenga presente che il Decreto, sotto questo profilo, stabilisce (art. 5 comma 2) che le pubbliche amministrazioni possono costituirsi quali intermediari nei confronti delle altre pubbliche amministrazioni. L’allegato “D” contiene le regole da seguire per l’identificazione univoca degli uffici pubblici destinatari della fattura elettronica. L’identi-

In ogni caso, a decorrere dal termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, il Sistema di Interscambio viene comunque reso disponibile alle amministrazioni che, volontariamente o sulla base di specifici accordi con tutti i propri fornitori, intendono avvalersene per la ricezione delle fatture elettroniche. CONTENUTO DEL DECRETO Il decreto prevede chiaramente che le fatture emesse elettronicamente dai fornitori della PA dovranno

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ficazione costituisce un elemento fondamentale e necessario per emettere e trasmettere la fattura allo SDI. In effetti, solo così lo SDI sarà in grado di inviare correttamente le informazioni al destinatario. L’allegato “E” individua i servizi di supporto di natura informatica che il sistema mette a disposizione delle piccole e media imprese per la trasmissione diretta delle fatture. GLI IMPEGNI PER I FORNITORI DELLA PA Le imprese fornitrici delle pubbliche amministrazioni devono già da oggi prepararsi all’applicazione delle nuove regole relative alla fatturazione elettronica. Infatti emettere, trasmettere e conservare obbligatoriamente in formato elettronico le fatture destinate alle pubbliche amministrazioni non completa gli impegni a tal fine richiesti ai fornitori, chiamati invece a realizzare tutta una serie di attività operative che, oltre ad interessare il ciclo attivo di fatturazione, incidono anche sulla fase di attivazione e gestione dei correlati rapporti contrattuali. Il Decreto e i suoi allegati, come sopra indicato, impongono infatti l’acquisizione di una serie di informazioni, già in fase di stipula dei contratti di fornitura, ovvero in un momento successivo per i contratti già attivati, che risultano necessarie per una corretta gestione, emissione, contabilizzazione e pagamento delle fatture. Il fornitore deve innanzitutto verificare da quando decorre l’obbligo di emettere fatture elettroniche prima individuato. Verificata la decorrenza dell’obbligo, il fornitore è chiamato a ristrutturare le proprie modalità interne di gestione delle fasi di emissione, trasmissione e conservazione delle fatture. Innanzitutto, a differenza di quanto previsto in via generale dall’articolo 21 del D.P.R. 633 del 1972, per fattura elettronica si intende un documento informatico in formato XML (eXtensible Markup

Language), sottoscritto con firma elettronica qualificata o digitale. Quindi, mentre nei rapporti tra privati la fattura elettronica può anche consistere in un allegato pdf ad una email trasmessa, una fattura destinata ad una pubblica amministrazione deve avere un formato strutturato in xml con sintassi e caratteristiche informatiche che saranno rese disponibili entro 30 giorni dalla data di pubblicazione del decreto sul sito del Sistema di Interscambio www.fatturapa.gov.it. La fattura elettronica deve inoltre avere un contenuto informativo ben definito: il set di informazioni di natura fiscale, individuate agli articoli 21 e 21-bis del D.P.R. 633 del 1972, va integrato, innanzitutto, da informazioni ritenute indispensabili ai fini di una corretta trasmissione della fattura elettronica al soggetto destinatario.

Ulteriore adempimento da realizzare è quello di trasmettere le fatture attraverso il sistema di interscambio, anche avvalendosi di intermediari: si possono a tal fine utilizzare sistemi di posta elettronica certificata o analoghi sistemi che certificano data e ora dell’invio e della ricezione, sistemi su rete internet con protocollo HTTPS, la rete SPC - sistema pubblico di conntettività - oppure la trasmissione dati tra terminali remoti basato su protocollo FTP. Le piccole e medie imprese potranno utilizzare i servizi informatici di generazione, trasmissione e conservazione messi a disposizione gratuitamente dal portale www.acquistinrete.pa.it

Si tratta delle indicazioni circa il trasmittente e i destinatari, questi ultimi identificati da un codice univoco assegnato dall’IPA - Indice delle Pubbliche Amministrazioni. Occorre inoltre indicare informazioni utili per la completa dematerializzazione del ciclo passivo, integrando il documento fattura con i sistemi gestionali e/o con i sistemi di pagamento. Tali informazioni, definite nel rapporto contrattuale tra le parti, sono l’ordine di acquisto, il contratto, la ricezione dei beni e servizi e le fatture collegate. Infine, possono essere indicate eventuali ulteriori informazioni di interesse per esigenze informative concordate tra cliente e fornitore ovvero specifiche dell’emittente, con riferimento a particolari tipologie di beni ceduti e prestati, ovvero di utilità per il colloquio tra le parti, quali contatti, dati di riferimento dei SAL - stati avanzamento lavori - e dei documenti di trasporto. La maggior parte di queste informazioni non vengono ad oggi gestite dai sistemi informativi dei fornitori, i quali il più delle volte non ne dispongono affatto.

BENEDETTO SANTACROCE

Avvocato, Studio Legale Tributario Santacroce - Procida - Fruscione

ALESSANDRO MASTROMATTEO

Avvocato, Studio Legale Tributario Santacroce - Procida - Fruscione

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Identificazione elettronica

e servizi fiduciari

Per le transazioni elettroniche nel mercato interno DI RICCARDO GENGHINI

La Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio “in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno”, pubblicata dalla Commissione europea il 4 giugno 2012, si propone la realizzazione di alcuni ambiziosi obiettivi. Tra i primi, senza dubbio, quello dell’identificazione elettronica, basato sull’articolo 114 del TFUE e relativo all’adozione di disposizioni atte a eliminare le barriere esistenti al funzionamento del mercato interno. La Sezione 3.3.2, Capo II della Proposta di Regolamento, infatti, si propone di stabilire criteri univoci e affidabili per l’identificazione elettronica di persone fisiche, giuridiche e siti Web. Una proposta normativa così ambiziosa non è certo scevra da problemi, sia di tipo giuridico/informativo - si pensi solamente al vasto tema del trattamento dei dati personali - che di tipo tecnologico, come l’effettiva fruibilità delle tecnologie e dei processi immaginati. Ancor più fondamentali le questioni, attualmente non risolte, che riguardano il concetto stesso di identità e di identificazione elettronica sulle reti aperte. Tuttavia, nonostante le molteplici problematiche irrisolte, non deve prevalere uno spirito di rinuncia. Nelle difficoltà si nasconde sempre l’opportunità. E in questo momento l’Europa ha bisogno di nuove opportunità. Di fatto, non vi è dubbio che qualora

si riuscisse a trovare una giusta formulazione delle norme, anche tecniche, nonché delle implementazioni tecnologiche di valore, un impianto normativo e tenoclogico di questo tipo costituirebbe, per i cittadini e per le aziende europei, un incredibile passo in avanti nella direzione voluta dalla Proposta di Regolamento . Si arriverebbe, finalmente, alla costituzione di un’infrastruttura di sicurezza e di certezza capace, da un lato, di ridurre i costi delle transazioni giuridiche, dell’identificazione e certificazione dei soggetti coinvolti oltre che del rischio di contenzioso legale e, dall’altro, di stimolare e promuovere un sistema economico europeo maggiormente competitivo rispetto a tutti gli altri sistemi eonomici e giuridici del mondo, Stati Uniti su tutti. Viceversa, se la Proposta di Regolamento sull’identità e sull’identificazione elettronica risultasse eccessivamente burocratica, troppo rigida rispetto ai reali processi economici o, ancor peggio, tecnologicamente non attuabile, tutto ciò si tradurrebbe in un reale danno economico e in un peso probabilmente insostenibile per i cittadini e le aziende europei. Il secondo importante obbiettivo che si prefigge la Proposta di Regolamento, riconosciuto come strategico e su cui si è raccolto un generale consenso da parte di quasi tutti i rappresentanti degli Stati membri, è la creazione di

una nuova categoria di Trust Services (Servizi Fiduciari), appositamente disciplinati dal punto di vista tecnico e giuridico. L’articolo 3 della Proposta di Regolamento distingue tra Trust Services e Qualified Trust Services. I primi riguardano “qualsiasi servizio elettronico che consiste nella creazione, verifica, convalida, nel trattamento e nella conservazione di firme elettroniche, sigilli elettronici, validazioni temporali elettroniche, documenti elettronici, servizi elettronici di recapito, autenticazione di siti web e certificati elettronici, compresi i certificati di firma elettronica e di sigillo elettronico”; i secondi attengono, invece, a “un servizio fiduciario che soddisfa i requisiti pertinenti di cui al presente Regolamento”. Va detto fin da subito che definizioni così ampie e vaghe - in particolare laddove si fa riferimento al documento elettronico - finiscono per riguardare qualunque tipo di operatore nel settore informatico, dai gestori di caselle di posta elettronica, a Google o Facebook. Per tale motivo, il dibattito tra i rappresentanti degli Stati membri è attualmente molto acceso. In realtà, la ragione di definizioni così ampie è data dal fatto che non si è voluto escludere nessun soggetto dalla possibilità di autodefinirsi “erogatore” di Trust Services e, quindi, di assogettarsi a quell’attività di monitoraggio e controllo da parte degli Stati membri prevista dalla Proposta di Regolamento. Spetterebbe a questi ultimi, infatti, garantire che ciascun erogatore

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di Trust Services operante in Europa sia effettivamente in possesso di quei meccanismi di protezione e sicurezza che rendano ragionevole e possibile affidargli la gestione di transazioni e documenti elettronici. Il dibattito in questo momento è abbastanza confuso sul punto: vi sono coloro che vorrebbero estendere il più possibile il monitoraggio e la supervisione del Trust Services, coloro che vorrebbero limitarli il più possibile. La mia opinione sul punto è che il modello avrà successo solo se si configurerà come uno schema di certificazione della qualità volontario e non come un nuovo adempimento amministrativo che aumenta la rigidità ed i costi delle aziende europee, rendendole meno competitive. Con riferimento all’attività di monitoraggio e controllo da parte degli Stati membri, l’orientamento è nel senso di far interagire direttamente gli erogatori di Trust Services con gli Organismi di Vigilanza che rientrano nella disciplina della Direttiva 1999/93/CE. In sostanza, lo Stato scrive le regole e controlla i controllori, lasciando che siano gli erogatori di Trust Services e gli Organismi di Vigilanza a monitorare e controllare, in modo continuativo e sistematico, il rispetto delle norme tecniche e delle misure di sicurezza minine. Altro tema, strettamente connesso all’identificazione elettronica, è quello della Firma Elettronica , la cui efficacia giuridica la Proposta di Regolamento intende estendere - similmente a quan-

to fatto in Italia per la Firma Elettronica Avanzata (FEA) - prevedendone livelli di qualità intermedia. Per la Firma Elettronica Qualificata, invece, si prevede la possibilità che sia realizzata mediante l’utilizzo di dispositivi telefonici mobili o, remotamente, tramite server. Per entrambe le soluzioni di firma, la Proposta di Regolamento stabilisce criteri e condizioni minime di qualità e sicurezza. Un’altra importante novità riguarda la creazione degli Electronic Seal (Sigilli Elettronici) distinguendo, come per i Trust Services, tra Electronic Seal, Advanced Electronic Seal e Qualified Electronic Seal, quali strumenti di certificazione dell’origine e dell’integrità dei documenti elettronici, sia che provengano da Enti giuridici pubblici che da privati. Sul piano tecnologico, l’Electronic Seal si configura come una firma apposta mediante Hardware la cui sicurezza è certificata secondo un Protection Profile dei Common Criteria, solo che del target di sicurezza non fa parte l’esclusivo accesso da parte del titolare (requisito essenziale, invece, per lo strumento di firma sicura per le persone fisiche). Il relativo certificato di firma ha tutte le caratteristiche formali e di sicurezza del certificato di firma qualificato, solo che è emesso a favore di un ente giuridico e non di una persona fisica. Per quanto riguarda l’Electronic Delivery Services (Eervizio Elettronico di Recapito), la PEC italiana costituisce

sicuramente il modello di riferimento cui la Proposta di Regolamento si è ispirata. Questo, nonostante la PEC si caratterizzi da sempre per un’estrema specificità del modello operativo e tecnico, concepito come sostitutivo della notifica effettuata a mezzo di Ufficiale Giudiziario in cui si ha un’autenticazione forte sia del mittente che del destinatario. In passato ho avuto modo di esprimermi in modo critico della limitatezza della soluzione scelta in Italia. Infatti, esistono diversi tipi di notifica: si pensi alla raccomandata postale o alla raccomandata semplice senza ricevuta di ritorno. La Proposta di Regolamento, in pratica, intende rendere possibili tutte queste altre forme di comunicazione certificata, ampliando il modello di PEC e consentendo anche tipologie di PEC più “amichevoli” rispetto al modello italiano. Quanto, infine, alla Website authentication (Autenticazione dei siti Web), la Proposta di Regolamento vuole semplicemente riconoscere le best practices in atto a livello internazionale, con particolare riferimento alle soluzioni tecnologiche messe a punto nella collaborazione tra ETSI e CA/ Browser Forum. Ci sono numerosi altri aspetti che meriterebbero un approfondimento e una disucssione ma che, dato lo spazio ristretto di questo contributo, non mi consentono di entrare nel merito. Tuttavia, sono certo che ci saranno altre occasioni, tra convegni e contributi, per analizzare una serie di problemi normativi e tecnici che mertitano particolare attenzione. Articolo integrale con note a piè di pagina al link www.iged.it

RICCARDO GENGHINI

Professore, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

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I commercialisti e le ICT

Prospettive di sviluppo DI PAOLO CATTI E CLAUDIO RORATO

Parlare di Commercialisti, occorre ricordarlo, significa parlare di Impresa. Il Commercialista è, infatti, interlocutore privilegiato delle aziende, affiancandosi agli imprenditori nei momenti delicati della gestione dell’impresa. Proprio questo motivo rende interessante occuparsi di Commercialisti, perché anche attraverso di loro è possibile trasferire elementi di valore alle imprese – in particolare a quel non trascurabile circa 97% di imprese definibili “micro”, che rappresentano il tessuto economico del nostro Paese - aiutandole a “fare il salto” verso una maggiore “cultura informatica” che porti a un’adozione più spinta e consapevole delle tecnologie informatiche, come base su cui creare efficienza ed efficacia di business – e non come strumento sporadico di ottimizzazione “puntuale”.

• Circa 1 Commercialista su 4 non intende investire in tecnologia perché: “la clientela non sarebbe in grado di apprezzarne l’utilità” (24%), “non ha sufficienti disponibilità finanziarie” (22%), “ha altre priorità di investimento” (19%), “perché disinteressata alla tecnologia” (15%). In questo caso è evidente che non viene riconosciuta alla tecnologia la capacità di contribuire a “fare business”, cioè non si percepisce il suo contributo alla creazione di valore. • Inoltre, circa 1 Commercialista su 4 si dice certo di investire in tecnologia entro i prossimi due anni, mentre poco più di 2 Commercialisti su 4 dichiarano, invece, che probabilmente investiranno in tecnologia nei prossimi due anni.

Dalla Ricerca dell’Osservatorio ICT&Commercialisti della School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con il Consiglio Nazionale e l’Istituto di Ricerca dei Dotori Commercialisti e degli Esperti Contabili, emerge che le tecnologie informatiche e, in particolare, quelle legate alla dematerializzazione sono poco impiegate negli Studi. Alla luce di questa evidenza, è stato chiesto ai Commercialisti (si veda la Figura 1) di indicare la propensione a investire in ICT e le soluzioni verso le quali vorrebbero orientare i loro investimenti in tecnologia. Dai risultati emerge che:

Proprio quest’ultimo dato rappresenta la vera sfida per la categoria e gli operatori ICT: quanti probabili investitori diventeranno reali investitori? E, soprattutto, dove investiranno? L’orientamento dichiarato (si veda la Figura 2) prefigura questo scenario:

Figura 1 – La propensione a investire in tecnologie e le motivazioni del mancato investimento

• il 65% investirà in PC e stampanti; • il 50% investirà nei software per l’archiviazione documentale; • il 32% investirà in Conservazione Sostitutiva e in siti Web. • La chiara prevalenza di PC e stampanti testimonia, ancora una volta, la difficoltà a innovare il business, che rimane concentrato sulle attività tradizionali, svolte con strumenti anch’essi tradizionali, ma solo più performanti • Le motivazioni che incoraggiano a investire in ICT (Figura 3) sono “l’aumento della qualità del lavoro” (46%), “l’incremento della redditività dello Studio” (35%) e “l’esistenza di agevolazioni fiscali/contributi/incentivi” (34%). Invece le motivazioni che frenano gli investimenti sono “l’indifferenza dei Clienti verso nuovi servizi” (40%), “la mancanza di agevolazioni fiscali/contributi/incentivi” (40%) e “la scarsa redditività che ne può derivare” (38%). • È curioso notare che le agevolazioni, se esistono, stimolano gli investimenti, ma la loro mancanza ha un potere ancora più forte e riesce a frenarli (si veda la Figura 3).

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Figura 2 – La destinazione degli investimenti in ICT nei prossimi due anni

categoria con comportamenti di tipo collaborativo, ma anche con il ricorso a partnership più o meno formali con operatori tecnologici e banche, che innovano la propria offerta e gravitano, anch’essi, attorno al mondo delle imprese. Unire competenze diverse può, infatti, sviluppare interessanti sinergie, in grado di favorire l’ampliamento della gamma di servizi offerti, per fidelizzare i Clienti esistenti e per acquisirne di nuovi. In tutto questo le ICT, in particolare quelle dedicate alla dematerializzazione, possono svolgere un ruolo più che importante, a patto che venga riconosciuto il contributo che possono fornire alla generazione di valore e alla capacità competitiva.

Giunti a questo punto, sembra emergere chiaramente il profilo medio di un’intera categoria. Il Professionista, sulla base della propria storia, delle sue esperienze pregresse e dell’ecosistema in cui la propria attività si è sviluppata, percepisce se stesso come se operasse all’interno di un sistema chiuso, permeabile alle sollecitazioni esterne solo se legate a dispositivi di legge (Law Driven) e, solo marginalmente (più in modo reattivo che proattivo), a quelle in grado di innovare il suo business; percepisce una limitata esigenza di investire in soluzioni informatiche; tende a vedere le ICT come uno strumento per continuare a fare ciò che già fa, magari solo un po’ più velocemente e non per innovare o innovarsi (si veda la Figura 4). Figura 4 – L’evoluzione del contesto in cui operano i Commercialisti

Figura 3 – Le motivazioni che incoraggiano o frenano gli investimenti in ICT

All’interno del Report, disponibile nella versione completa sul sito www.osservatori.net, è possibile comprendere come le dinamiche competitive e quelle evolutive del sistema Paese in ambito tecnologico, spingano i Commercialisti verso un modello operativo più aperto alle sollecitazioni esterne. In particolare perché associate a una crescente - e per il Professionista “nuova” - dimensione di concorrenza. Quest’ultima può essere affrontata con modelli operativi di alleanze, non solo all’interno della

PAOLO CATTI

CLAUDIO RORATO

Osservatorio ICT&Commercialisti, School of Management Politecnico di Milano

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La normativa e l’innovazione digitale Per lo sviluppo economico DI BENEDETTO SANTACROCE

L’entusiasmo con cui tutti (esperti, imprese di settore e aziende pubbliche e private) hanno accolto l’emanazione in rapida successione sulla Gazzetta Ufficiale delle rego-

le tecniche sulla firma elettronica e sulla fattura digitale obbligatoria verso la pubblica amministrazione è la più semplice risposta alle sollecitazioni che negli ultimi mesi

avevano spinto le autorità politiche e amministrative ad affrontare il tema della digitalizzazione del Paese con un nuovo impegno e con maggiore risoluzione.

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L’impasse che si era creata non era assolutamente giustificabile ed era necessario un vero e proprio colpo di reni deciso e puntuale. Certamente, l’emanazione dei predetti provvedimenti è solo una prima risposta alle esigenze concrete che il paese attivo si attende da chi oggi dirige e governa l’agenda digitale italiana. Già nel corso del mese di Aprile dal palcoscenico di OMAT 2013, insieme ad alcuni compagni di viaggio con i quali da anni condivido le ansie, le speranze e gli sforzi, ho avuto modo di lanciare “il manifesto per l’Italia digitale” un documento che non si proponeva alcuna forma di rivoluzione, ma metteva in evidenza come è necessario liberare rapidamente alcuni fattori normativi abilitanti che erano ad allora impantanati in qualche ufficio. La richiesta di allora era di approvare in tempi rapidi i seguenti provvedimenti: • le regole tecniche del Cad su firma elettronica, documento informatico, conservazione elettronica e protocollo informatico; • il secondo decreto sulla fatturazione elettronica obbligatoria verso la Pubblica amministrazione; • il decreto fiscale sulla conservazione elettronica dei documenti che sostituirà il Dm 23 gennaio 2004. Oggi, con grande orgoglio, possiamo dire che le richieste che allora avevamo formulato adesso hanno trovato nei provvedimenti appena emanati le prime risposte concrete. Aspettiamo ora che tutti i provvedimenti richiesti siano emanati in tempi ridottissimi. L’approvazione di tutti i provvedimenti richiesti aiuterebbe il sistema a ripartire con slancio, senza bisogno di aiuti finanziari che molto spesso si perdono nei meandri dei bilanci dei singoli beneficiari.

Questi effetti di sviluppo, però, si individuano anche con riferimento ai primi decreti emanati. In particolare, in relazione alla firma elettronica avanzata, l’emanazione delle regole tecniche in primo luogo ha dato delle certezze agli operatori del settore (cosa che di questi tempi è sempre più raro trovare); in secondo luogo, ha per le imprese ampliato notevolmente la possibilità di introdurre processi più semplici e flessibili per la conclusione di transazioni e contratti anche verso i consumatori finali con soluzioni del tutto virtuali; infine, per le pubbliche amministrazioni consentirà di attuare importanti innovazioni di processo con riduzione di costi e di tempi per l’utenza.

se sia la panacea di tutti i problemi che si agitano in Italia, ma è certo che l’introduzione di strumenti più rigidi e disciplinati favorisce la trasparenza, riduce i costi e migliora l’efficienza delle procedure e l’efficacia della macchina amministrativa. Di questo spero si parlerà nei prossimi giorni nelle diverse sedi, per dare all’Agenda digitale un giusto ruolo con adeguata priorità di attuazione.

In relazione, poi, al nuovo obbligo di fatturazione elettronica verso la PA la pubblicazione del secondo decreto, oltre ad avere il merito di aver fissato un calendario di attuazione della specifica riforma, consentirà allo Stato di monitorare con più tempestività la formazione della spesa pubblica, nonché la relativa liquidazione dell’Iva, e genererà per il mercato un processo virtuoso di modernizzazione dei connessi rapporti commerciali. In riferimento a questo specifico Provvedimento è subito, però, importante ricordare che entro 6 mesi è necessario emettere un ulteriore provvedimento che definisca il calendario dell’estensione dell’obbligo anche agli enti locali. Questo ulteriore passo è necessario per imporre a tutte le autorità una presa di coscienza sull’importanza del documento fattura che costituisce il perno intorno al quale si misurano i lavori eseguiti, ovvero i beni ceduti e la corretta liquidazione dei pagamenti. Fatturazione e pagamenti sono la vera sfida per rendere trasparenti percorsi attualmente del tutto opachi e molte volte fonte di violazioni penalmente rilevanti. Con ciò non voglio certamente dire che la digitalizzazione del pae-

BENEDETTO SANTACROCE

Avvocato, Studio Legale Tributario Santacroce - Procida - Fruscione

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La Digitalizzazione per uscire dalla crisi DI PAOLO CATTI, DANIELE MARAZZI, IRENE FACCHINETTI

Per salvaguardare la competitività “complessiva” del nostro Sistema Paese – con riferimento sia alle organizzazioni pubbliche sia alle imprese private – occorre recuperare produttività e crescere in efficacia. Lo strumento più adatto per raggiungere questo obiettivo è quello di semplificare, ridisegnandoli ovunque sia possibile, processi e procedure. Uno degli strumenti chiave attraverso cui è ottenibile e governabile questa spinta innovativa è la consapevolezza nelle opportunità offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). E tra queste, un ruolo di rilevo su processi e procedure è ricoperto proprio dalle soluzioni per la dematerializzazione e la digitalizzazione dei processi. Questo ambito, in tutte le sue declinazioni, è stato affrontato dall’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione del Politecnico di Milano (i risultati completi delle Ricerche sono disponibili su www. osservatori.net). I lavori – documentati nei 6 Rapporti pubblicati a oggi – hanno evidenziato in maniera inequivocabile come vi siano ormai da tempo tutte le condizioni necessarie per poter procedere con progetti di Conservazione Sostitutiva, Fatturazione Elettronica e, più in generale, Interscambio di documenti del Ciclo dell’Ordine in formato elettronico strutturato. Pur nell’alveo di un unico macro-tema non si può non riconoscere che i modelli adottabili sono tra loro profondamente diversi e caratterizzati da livelli di diffusione non omogenei (si veda la Figura 1).

Le opportunità di miglioramento legate all’adozione dell’ ICT consapevole, pervasiva, integrata e strategicamente legata al business possono rappresentare, infatti, non più un mero differenziale competitivo di breve-medio termine – per muoversi in modo più efficiente in un contesto noto – quanto piuttosto un nuovo paradigma organizzativo per affrontare con consapevolezza le evoluzioni e i potenziali rischi del futuro. Si tratta di un percorso necessario per passare da organizzazioni “chiuse” – orientate alla creazione di efficienza prevalentemente nei propri processi – a imprese “aperte” agli ecosistemi in cui operano: in grado di creare vantaggi competitivi nell’integra-

zione e nella collaborazione, sia con clienti e fornitori sia – in alcuni casi – con i “competitor”. Digitalizzare i processi significa progettare e gestire in modo integrato e collaborativo i processi interni (per esempio, che coinvolgono più funzioni nella stessa organizzazione) ed esterni (verso clienti o fornitori), idealmente attraverso la condivisione delle logiche di gestione di ciascun processo e delle principali informazioni che lo caratterizzano (in forma elettronica strutturata elaborabile). Un’analisi congiunta condotta da diversi gruppi di Ricerca afferenti agli Osservatori ICT & Mana-

Figura 1 – La diffusione dei principali modelli di Digitalizzazione

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presenta

DOCUMENTI DIGITALI Nel 2008 veniva pubblicato Dal Documento all’Informazione, volume a più mani con il quale abbiamo cercato di offrire un primo strumento di lavoro per quanti, a diverso titolo, si trovavano alle prese con le problematiche connesse alla gestione della documentazione amministrativa nel difficile momento della transizione dal cartaceo al digitale. il gradimento incontrato ci ha spinto a ripensare completamente il volume, sia nei contenuti che nella strutturazione logica dei contributi, aprendo ad un confronto con la situazione dei paesi europei limitrofi e ponendo anche l’accento sulla formazione delle figure professionali e sugli strumenti di ricerca delle informazioni.

ROBERTO GUARASCI è professore ordinario di Documentazione presso l’Università della Calabria e Consigliere per l’Innovazione del ministro della Pubblica Amministrazione.

ANTONIETTA FOLINO è ricercatore presso l’Università della Calabria per il settore scienze del libro e del documento.

45,00 € Un’iniziativa: ITER S.r.l. Via Rovetta, 18 20127 Milano (MI) tel. +39 02 2831161 fax +39 02 28311666 www.iter.it

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informazioni strutturate, così come alle molteplici soluzioni che rendono tra loro interoperabili standard diversi.

Figura 2 – I risparmi dalla Digitalizzazione per la PA e per i fornitori della PA gement ha portato a stimare che una decisa accelerazione verso una “Italia digitale” permetterebbe alla Pubblica Amministrazione italiana di ottenere risparmi pari a circa 20 Miliardi di €/anno e alle imprese di risparmiare altri 20 Miliardi nei loro processi di interazione con la Pubblica Amministrazione e altri circa 160 Miliardi nei processi interni e di relazione verso clienti e fornitori (60 Miliardi di €, per esempio, dalla “sola” adozione estesa dei modelli di Digitalizzazione del ciclo OrdinePagamento). Questi benefici sono essenzialmente legati a un recupero di produttività del personale che – se anche non fosse impiegato per ridurre realmente i costi – potrebbe generare un enorme bacino di “capacità” per migliorare l’efficacia dei processi a parità di risorse operative. In altre parole, si potrebbero liberare la creatività e la capacità di innovazione che, invece, sono oggi imbrigliate nell’esecuzione di attività a scarso/nullo valore aggiunto (si veda la Figura 2). ITALIA DIGITALE: UN PERCORSO GIÀ AVVIATO In alcuni casi le imprese guardano ancora con scetticismo alla Digitalizzazione dei processi, sia interni sia esterni. Il timore di fare qualcosa di “non coerente con la normativa”, la presenza di regolamenti aziendali

spesso obsoleti o addirittura l’usanza di ricorrere a prassi operative consolidate ma mai realmente definite, portano spesso a chiudere le porte alle opportunità della Dematerializzazione e della Digitalizzazione. Tuttavia, il quadro normativo – e lo andiamo affermando, come Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, con sempre maggior convinzione ormai da diversi anni – risulta, nel suo insieme, completo e tendente a un livello di armonizzazione crescente, già in grado di consentire la dematerializzazione di moltissime tipologie di documenti, con poche peculiari eccezioni, insignificanti per il business. Naturalmente, a variare da caso a caso è la complessità dei diversi progetti necessari per realizzare una completa Digitalizzazione dei processi. La gran parte degli strumenti informatici abilitanti è, infatti, disponibile da tempo, pienamente affidabile e accessibile. Si pensi, per esempio, alla firma digitale, alla marca temporale, ai sistemi di gestione massiva dei documenti, agli storage sicuri, alle soluzioni di scansione, ai software di riconoscimento automatico e data capturing, ai molteplici canali di comunicazione utilizzabili e spesso già utilizzati (EDI, Extranet, PEC ecc.), agli standard esistenti e significativamente adottati per lo scambio di

Esempi concreti di questo profondo cambiamento culturale emergono proprio da quanto si sta già facendo – con velocità diverse – nel nostro Paese, per abilitare modelli organizzativi altamente dematerializzati e processi digitali integrati. È il caso, per esempio, della crescente diffusione dell’integrazione in alcune filiere del nostro Paese (oltre 8.000 imprese coinvolte per decine di Milioni di documenti interscambiati annualmente), dell’adozione dell’eProcurement in alcuni contesti pubblici (per quasi 10 Miliardi di € acquistati), dell’informatizzazione spinta portata avanti dall’Agenzia delle Dogane, dello sviluppo della Conservazione Sostitutiva di Libri e Registri (quasi 100.000 imprese italiane), dei primi interessanti progetti bancari di dematerializzazione per la gestione delle relazioni agli sportelli (migliaia di filiali coinvolte).

PAOLO CATTI

DANIELE MARAZZI

IRENE FACCHINETTI

Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, School of Management del Politecnico di Milano

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Dall’economia digitale nuove opportunità di crescita per le micro e piccole imprese L’esempio dell’e-commerce DI ALESSANDRA POGGIANI

Le imprese di piccolissime dimensioni rappresentano il fulcro del sistema produttivo italiano: le microimprese (con meno di nove addetti) rappresentano il 95%1 delle aziende in Italia. Se consideriamo anche i professionisti, possiamo affermare che oltre il

98% del sistema produttivo italiano è strutturato in micro-attività. Queste imprese, e di conseguenza la maggioranza del sistema produttivo italiano, scontano un ritardo digitale molto significativo che dipende so-

stanzialmente da tre fattori: l’insufficienza delle infrastrutture, la carenza di politiche industriali di sistema rivolte all’innovazione e la scarsa propensione all’innovazione tecnologica e di processo del sistema produttivo italiano.

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Questo ritardo si traduce, nella difficile fase di trasformazione economica attuale, in un’estrema debolezza competitiva. In quei paesi che sfruttano intensamente il potenziale di Internet, infatti, l’economia digitale contribuisce in misura rilevante al PIL nazionale. In Svezia e nel Regno Unito, ad esempio, il contributo diretto dell’economia digitale al PIL è superiore al 5%2, senza contare i benefici aggiuntivi in termini di creazione netta di posti di lavoro o di sviluppo delle esportazioni. In Italia, le stime3 più recenti ci indicano che l’impatto diretto dell’economia digitale sul PIL nel 2011 era ancora fermo al 2%, ben al di sotto di quello di molti altri paesi dell’OCSE. Nel frattempo, l’economia digitale sta trasformando in maniera profonda il contesto di mercato, e - nonostante le difficoltà del macro-scenario soprattutto europeo - offre alle aziende, anche e soprattutto le micro-imprese e le PMI, nuove strade per la creazio-

ne di un vantaggio competitivo. La digitalizzazione, infatti, promuove e genera nuovi servizi, e al contempo permette il miglioramento di quelli esistenti. Sono proprio le micro e piccole imprese quelle che potrebbero più avvantaggiarsi di una delle principali caratteristiche dell’economia digitale: l’abbattimento delle barriere d’ingresso ai mercati internazionali “consumer”. Nell’economia “tradizionale” - infatti - l’accesso alla distribuzione e alla commercializzazione su nuovi mercati era troppo costoso per i piccoli artigiani o per le micro-imprese. Un esempio illuminante di opportunità non sfruttata e che potrebbe invece aprire a nuove frontiere alle piccole e micro imprese italiane - soprattutto quelle artigiane - è quello dell’e-commerce. L’e-commerce è largamente sottosviluppato in Italia. I dati parlano chiaro: le imprese italiane sono terzultime in Europa per fatturato in e-commerce, meno del 4% delle aziende italiane vende online, contro un 15% della media europea4 .

Tuttavia, le statistiche dimostrano che i pochi che vendono online hanno un fatturato estero significativamente più alto rispetto a chi vende offline. Eppure la domanda, anche interna, esiste. Nel 2012 il numero d’italiani che hanno acquistato online è cresciuto del 33% rispetto all’anno precedente: sono oramai circa 12 milioni gli utenti di e-commerce. Soprattutto, l’e-commerce B2C continua a crescere nonostante il rallentamento dei consumi dovuto alla crisi economica e, mentre i consumi in generale calano, gli acquisti in rete degli italiani crescono dell’18%, arrivando a quasi 11 miliardi di euro nel 2012. Solo il 38% del valore complessivo della spesa in e-commerce degli italiani avviene però verso siti italiani. Questo significa che il saldo della bilancia commerciale (Export-Import) resta negativo (-1.37 miliardi di euro); e peggiora (-1.27 miliardi nel 20115). Oltre alla consistente potenzialità della domanda interna, bisogna tenere in considerazione quella esterna

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Un’iniziativa: ITER S.r.l. Via Rovetta, 18 - 20127 Milano (MI) tel. +39 02 2831161 - fax +39 02 28311666 www.iter.it

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DALLA CARTA ALLE NUVOLE

L’informazione a portata di mano. Sempre. Ovunque. Anche questo nuovo libro di Giancarlo Butti è un lavoro che nel mio orizzonte professionale trova non frequenti riscontri bibliografici. È un pozzo XXL di informazioni, spazia infatti da come creare e gestire documenti di varie modalità, alla ricerca tramite parole chiave o parametri, alla business intelligence, per rituffarsi nell’integrazione con gli ERP, senza dimenticare le normative cogenti, i modelli di fornitura dei servizi informatici e direi ovviamente la sicurezza delle informazioni, il tutto con una dovizia di dettagli e particolari da mettere in seria difficoltà il lettore impreparato a tale valanga di informazioni specie se qualche argomento è stato lasciato alle spalle da qualche tempo.

SILVANO ONGETTA, PAST PRESIDENT AIEA

Associazione Italiana Information Systems Auditors

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L’AUTORE

GIANCARLO BUTTI LA BS7799, LA ISO IEC 27001, CRISC, ISM Master di II livello in Gestione aziendale e Sviluppo Organizzativo presso il MIP-Politecnico di Milano. Si occupa di ICT, organizzazione e normativa dai primi anni 80, ricoprendo diversi ruoli: analista di organizzazione, security manager ed auditor presso gruppi bancari. Consulente in ambito documentale, sicurezza, privacy… presso aziende di diversi settori e dimensioni. Ha all’attivo oltre 600 articoli su 20 diverse testate (è stato per anni membro del Comitato tecnico della rivista iged.it) e 17 fra libri e white paper, alcuni dei quali utilizzati come testi universitari. Tiene corsi e seminari, è docente presso ITER e ABI Formazione in ambito privacy, audit ICT e audit normativo. È socio e proboviro di AIEA (www.aiea.it) e socio del CLUSIT (www.clusit.it). Partecipa ai gruppi di lavoro di ABI LAB sulla Business Continuity, di ISACA-AIEA su Privacy EU ed è membro del Comitato degli esperti per l’innovazione di OMAT360.

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(l’e-commerce è per sua natura “globale”), che solo in Europa prevede - entro il 2015 - oltre 200 milioni di acquirenti on-line, pari a circa il 50% della popolazione (con tassi ancora più alti in Gran Bretagna e Germania6). E sono proprio questi numeri che dimostrano come il ricorso all’ecommerce potrebbe rappresentare un eccellente strumento di “difesa” verso quella contrazione del mercato interno che sta facendo soffrire le piccole imprese e gli artigiani italiani. Comprendere questi dati ci da la misura di come, nonostante - e anzi forse proprio grazie - al ritardo accumulato, l’e-commerce rappresenti un potenziale terreno di crescita per le aziende italiane. Sotto il profilo della customer value proposition, l’e-commerce e le tecnologie digitali forniscono nuove e molteplici opportunità per la creazione e distribuzione del valore mediante la differenziazione del proprio prodotto o servizio, a costi e investimenti compatibili con piccole dimensioni. La differenziazione può avvenire secondo diverse vie: Personalizzazione del prodotto/ servizio: le tecnologie digitali consentono alti livelli di personalizzazione del prodotto a costi molto inferiori; Variazione delle modalità di distribuzione, sia attraverso la disintermediazione permessa dal canale on-line, sia per certi tipi di prodotto, mediante la digitalizzazione del prodotto/servizio o di parte di esso; Modulazione delle politiche di pricing, abilitate dalla vendita diretta on-line, che riduce i costi riguardanti l’infrastruttura d’intermediazione distributiva; Miglioramento del livello di qualità del servizio pre e post-vendita: le nuove tecnologie consentono di fornire servizi di customer care più puntuali e di seguire i clienti nel loro processo di acquisto a costi contenuti. Ed infatti l’utilizzo dell’e-commerce può avere un ruolo cruciale anche

sull’elemento “relazione con il cliente”. L’interattività favorisce il miglioramento del rapporto con il cliente, aiutando a comprendere e indirizzare il comportamento d’acquisto. Il digitale, e la massiccia diffusione dei social media, permette di avviare nuove dinamiche relazionali, in grado di utilizzare la conoscenza accumulata nell’osservazione dei consumatori per la definizione delle strategie di marketing e di innovazione. La possibilità di raccogliere, memorizzare, classificare ed elaborare le informazioni sui clienti, abilitata dalle tecnologie digitali, permette alle imprese di creare i presupposti per costruire un’offerta personalizzata. Tutto questo era appannaggio solo di grandi aziende e multinazionali. I canali digitali permettono anche alle imprese artigiane e alle piccolissime di pianificare e mettere in campo strategie di marketing e di relazione con il cliente di alto profilo. C’è bisogno, quindi, di un piano straordinario per portare microimprese, artigiani e piccoli operatori economici italiani in questa nuova frontiera. I ritardi infrastrutturali del sistema paese non aiutano, e neanche la mancanza di politiche industriali destinate alla promozione dell’innovazione di processo e non solo tecnologica. È importante sottolineare come le misure a sostegno dell’economia digitale non possano esaurirsi nell’incentivazione di imprese di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi tecnologici. L’economia digitale, infatti, vede le tecnologie spesso non come prodotto o servizio finale, ma come abilitatore di nuovi processi e di nuovi modelli di business. Il prodotto o servizio finale può essere “analogico”, ma acquista nuovo e ulteriore valore dall’adozione delle tecnologie digitali nel contesto di uno o più elementi del proprio modello di business. Si pensi, ad esempio, alle iniziative imprenditoriali nel settore agricolo che possono utilizzare le tecnologie digitali per la tracciabilità dei prodotti e per la loro commercializzazione.

Il prodotto finale rimarrà un bene alimentare, ma cambierà la catena del valore e la competitività dell’impresa. Oppure a un artigiano del vetro che può proporre e vendere i suoi oggetti unici in tutto il mondo. L’oggetto prodotto rimane un bene fisico e tradizionale, ma le tecnologie renderanno possibile la sua esportazione diretta e la penetrazione in mercati impensabili da raggiungere senza una filiera distributiva “internazionale” fino a pochi anni fa. Queste sono le priorità da inserire in “agenda” per il nuovo Governo se si vuole affrontare con una prospettiva lungimirante la crisi delle piccole imprese italiane. C’è bisogno di infrastrutture e c’è bisogno di accompagnamento e alfabetizzazione. Ma oltre alle politiche, c’è bisogno di maggiore consapevolezza nei protagonisti dell’economia. Sono proprio i micro-imprenditori italiani che per primi devono fare un salto. Non aver paura di cambiare. Abbracciare l’economia “digitale” significa darsi una chance in più per una (ri)crescita felice, consapevole e strategica. NOTE:

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Fonte Eurostat McKinsey Global Institute, Internet Matters: The Net’s sweeping impact on growth, jobs and prosperity, 2011 3 DAG, Sviluppare l’economia digitale in Italia, 2012 4 Digital Agenda EU Scoreboards, 2011 5 Nettcom – Politecnico di Milano, Osservatorio e-commerce, 2012 6 Fonti: Forrester Research, 2012; Commissione Europea, 2012 2

ALESSANDRA POGGIANI

Docente di Economia Digitale e Marketing all’Imperial College di Londra e all’Università Roma Tre

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Horizon 2020, il futuro dei finanziamenti all’Innovazione Consigli pratici per ottenere i contributi DI ANDREA GALLO

Horizon 2020 è un nome che Enti di Ricerca, Università, Aziende e Ricercatori devono tenere bene a mente per quando cercheranno fondi per sviluppare i loro progetti e le loro idee. Nondimeno, sarà opportuno che tali progetti siano conformi alle misure che il nuovo programma quadro per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea, appunto Horizon 2020, finanzierà nel corso dei prossimi sette anni, ovvero dal 2014 al 2020. Si tratta di finanziamenti erogati direttamente dalla Commissione europea, senza passare quindi per la burocrazia dei Ministeri e delle Regioni italiane, per i quali sono state

stanziate risorse pari a 80miliardi di euro. L’aumento, rispetto ai fondi del periodo precedente, ovvero i 50 miliardi di euro del “7th Framework Programme” (2007-2013), è considerevole, ma ciò non significa che il vecchio continente potrà accontentare tutte le richieste che pervengono alla Direzione Generale Ricerca della Commissione UE. Inoltre, anche se è prevista una semplificazione delle procedure, i progetti che potranno beneficiare dei contributi Horizon 2020 dovranno generalmente essere presentati da partenariati internazionali, costituiti da almeno 3 soggetti giuridici appartenenti a diversi stati membri o associati dell’Unione. Le iniziative

da inoltrare a Bruxelles sono quindi caratterizzate da una complessità organizzativa e da una dimensione europea che non rende agevole l’accesso ai fondi. L’approccio da utilizzare per ottenere i finanziamenti diretti UE dovrà pertanto essere ancora più strutturato e sistematico di quello usato nei confronti dei bandi nazionali e regionali. La burocrazia europea, non molto più leggera di quella italiana, non consente infatti di affacciarsi alle call di Horizon – gli inviti a presentare proposte - senza aver pianificato con largo anticipo attività propedeutiche, programmi di sviluppo e progetti.

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COMMISSARIO GEOGHEGAN-QUINN Rappresentato da John Bell, Capo di Gabinetto Conferenza su “La ricerca in Italia: stato di avanzamento e prospettive”; Roma 19 Marzo 2013 ...dall’avvio del 7th Framework Programme, nel 2007, in totale sono stati concessi ai partecipanti dei bandi in Italia 2.6 bilioni di Euro. Va comunque sottolineato che il risultato italiano – ovvero la percentuale di domande di applicazione al FP7 che vengono finanziate in seguito al concorso – si attesta al 18,2%, ovvero alcuni punti sotto alla media europea del 21%. Questi finanziamenti hanno un impatto significativo sulla ricerca italiana. Non solo Università e Centri di Ricerca, ma anche società private che svolgono attività di ricerca si affidano al FP7. Gli attori principali restano comunque le Università e i Centri di Ricerca, mentre la partecipazione delle Piccole e Medie Imprese (16,2 %) è in linea con i valori della media europea (19,9%). In particolare, i candidati italiani hanno ottenuto ottimi risultati nel campo dell’ICT, dei trasporti, delle nanotecnologie, delle biotecnologie, delle infrastrutture di ricerca e delle azioni Marie Curie.

La novità di maggior rilievo consiste nel fatto che il nostro legislatore, con l’obiettivo di incrementare il numero dei progetti italiani finanziati da Bruxelles, ha finalmente varato un piccola riforma degli incentivi alle imprese (il Dl Sviluppo 83/2012 ha istituito il Fondo per la crescita sostenibile, con una dotazione iniziale di 600milioni di euro), dove si legge che i programmi da finanziarsi attraverso appositi bandi saranno quelli coerenti con le priorità e gli interventi stabiliti da Horizon 2020. Il programma quadro europeo diventa in questo modo il principale protagonista anche della futura pianificazione finanziaria nazionale. L’ex ministro Profumo ha infatti sottolineato la necessità di allineare i programmi di ricerca e innovazione italiani a quelli europei, soprattutto a livello di tematiche e regole, in quanto “ciò creerebbe una grande palestra virtuale per le nostre imprese” e allargherebbe il varco di ingresso ai

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Scanner Kodak i2900 e Scanner della Serie i3000 La vostra prima scelta per uno scanner A3, con un controllo intelligente degli inceppamenti, che garantisce alta produttività , versatilità e il supporto che solo Kodak può offrire.

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FASI.BIZ è interessata a conoscere e pubblicare progetti di successo realizzati nel Mezzogiorno finanziati direttamente dalla Commissione europea. Gli esperti che hanno contribuito possono inviare tutti i dettagli a redazione@fasi.biz

finanziamenti UE.* Horizon 2020 finanzierà, con contributi variabili dal 50% al 100% dei costi di ricerca, progetti di sviluppo a) di tecnologie abilitanti fondamentali per la “Leadership industriale”: 1. tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC); 2. nanotecnologie; 3. materiali avanzati; 4. biotecnologie; 5. fabbricazione e trasformazione avanzate; 6. spazio. b) di ulteriori tecnologie dirette al raggiungimento degli obiettivi previsti dalla priorità “Sfide per la societa”, per: 1. migliorare la salute e il benessere della popolazione; 2. migliorare la sicurezza e la qualità dei prodotti alimen tari e favorire lo sviluppo di bioindustrie sostenibili e competitive; 3. realizzare la transizione verso un sistema energetico affidabile, sostenibile e competitivo; 4. realizzare un sistema di trasporti intelligenti, ecologici e integrati; 5. consentire la transizione verso un’economia verde grazie all’innovazione ecocompatibile. I consigli per avere successo con le proposte, nella speranza che la poli-

come viene percepita la proposta. La soluzione migliore è comunque quella di cercare di aggregarsi ad un consorzio/progetto dove sono già presenti dei partner esperti da cui è possibile imparare le regole non scritte del gioco. Anche dei bravi consulenti potrebbero rappresentare un supporto concreto, ma purtroppo in Italia non se ne trovano molti adeguatamente preparati sui finanziamenti diretti UE.

tica italiana aumenti la sua influenza su Bruxelles, si basano sull’esperienza del precedente periodo di programmazione, il 7mo programma quadro. È necessaria: • adeguatezza delle capacità tecnico-scientifiche agli obiettivi del progetto; • complementarietà nelle competenze e copertura di tutti i ruoli necessari al raggiungimento degli obiettivi (no a ridondanza); • disponibilità di infrastrutture adeguate allo svolgimento della ricerca; • compatibilità del progetto con gli obiettivi strategici (e politici) del workprogramme/call; • distribuzione geografica dei soggetti partecipanti su almeno 4 paesi; • coinvolgimento di stati membri nuovi, o candidati, o paesi in via di sviluppo; • consorzio bilanciato tra industria ed enti accademici; • un coordinatore (capo progetto) esperto e preparato. Non è consigliabile presentare progetti “last minute”, il cui unico risultato sarebbero il tempo e il denaro sprecati. È peraltro di fondamentale importanza partecipare agli eventi - Infoday - e alle consultazioni organizzate dalla Commissione Europea, generalmente 2 mesi prima della scadenza del bando. Qui si incontrano i potenziali partner e i funzionari della Commissione Europea, si può discutere il progetto e si possono ottenere importanti informazioni su

ANDREA GALLO

Direttore Responsabile, FASI.biz

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Giocando si impara anche da adulti Serious Games: progetti di learning by doing per la gestione d’impresa DI SARA GENONE

I meccanismi della competizione e del gioco applicati a contesti “seri” quali quelli lavorativi e dell’alta formazione favoriscono l’apprendimento di competenze complesse, ad esempio quelle legate alla gestione aziendale. Lo dimostrano la diffusione e l’utilizzo del “Serious Game” per la formazione sia da parte delle Università nei corsi post-laurea o nei Master, sia la loro presenza in ambito Business per la formazione del middle e del top management. Il Serious Game (lett. “gioco serio”) è una simulazione virtuale interattiva che ha lo scopo di sviluppare nell’utilizzatore abilità e competenze da applicare nel mondo reale, attraverso l’esercizio in un ambiente simulato e protetto. Nell’ambito della formazione aziendale il “Business Game”, mediante la riproduzione di situazioni reali in contesti digitali virtuali, mette i partecipanti nelle condizioni di dovere prendere delle decisioni per raggiungere un obiettivo definito, attraverso l’impiego di conoscenze specifiche e l’attuazione di strategie condivise. Che si tratti di un manager in carriera, o di uno studente a un passo dal mondo del lavoro, la sostanza non cambia: oggi i mercati si muovono velocemente e sono in continua evoluzione. Le aziende devono, di

conseguenza, adattarsi e adeguarsi ai cambiamenti, per restare competitive. Questo richiede un costante aggiornamento di competenze e la necessità di ottenerlo senza distogliere le persone dalle loro attività lavorative per seguire lunghi (e spesso tediosi) corsi di formazione. La conoscenza deve essere acquisita in tempi rapidi, e altrettanto rapidamente deve essere interiorizzata, per divenire competenza. I Business Games digitali si presentano come soluzione innovativa: un nuovo modo per aumentare la motivazione e la partecipazione attiva ai processi di apprendimento. Essi fondono tecnologie per la simulazione e fondamenti del gioco, al servizio della formazione manageriale/ imprenditoriale. Il partecipante assume il ruolo di “decision maker” in un esercizio di decisioni sequenziali strutturate all’interno di un modello che simula l’andamento di una realtà economica, sia essa microeconomica (azienda), o macroeconomica (mercato). A sostegno di questa metodologia anche un famoso proverbio ci ricorda che “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. Ed è proprio sulla dimensione del “fare”, in termini di

dovere conseguire un obiettivo, interpretare un ruolo, prendere delle decisioni e valutarne le conseguenze, che si fondano i Business Games. Perché usare un Business Game per la formazione manageriale? Quali sono le caratteristiche innovative e di successo che motivano l’adozione di questa scelta? La traduzione di un “modello complesso” in un “gioco semplice” aumenta la percezione della complessità del reale (aziendale, di mercato, …) e consente di assumere diverse prospettive per la risoluzione dei problemi. Durante il gioco i partecipanti assumono diversi ruoli aziendali e questo pone in evidenza la relazione esistente tra le diverse funzioni, o addirittura tra le diverse aziende (si pensi ai contesti di filiera), e allo stesso tempo crea consapevolezza del proprio ruolo e degli effetti delle proprie decisioni e di quelle degli altri (colleghi, aziende, …). Il Business Game stimola il pensiero strategico, la capacità di analisi, di sintesi e di valutazione, in una parola, a prescindere dalle conoscenze economico/aziendali oggetto di studio, sviluppa competenze trasversali legate al problem solving, iged.it 02.2013

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al critical thinking e, data la sua natura digitale, anche competenze legate all’utilizzo delle tecnologie informatiche. Questo insieme di caratteristiche lo rendono particolarmente adatto al contesto lavorativo attuale che richiede sempre più competenze sia verticali, sia trasversali, in una prospettiva di formazione continua (life long learning) che accompagni l’individuo lungo tutta l’intera vita professionale. L’aspetto ludico caratteristico di questa modalità di apprendimento ha un ruolo fondamentale, attivando una sana competizione tra squadre, sviluppando le dinamiche di team building tra i giocatori, e rendendo il gioco interattivo, coinvolgente, divertente. Il CETIC (Centro di Ricerca per l’Economia e le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) della LIUC - Università Cattaneo

ha sviluppato YourBusiness Game: un simulatore in grado di creare Business Games digitali personalizzati, a seconda delle organizzazioni e delle specifiche competenze richieste dalle esigenze formative dei giocatori. Si gioca via web o in presenza, su più turni di gioco, prendendo decisioni tattiche e strategiche che ad ogni turno determinano il valore dell’impresa e la sua posizione rispetto ai concorrenti. Per vincere bisogna riuscire a massimizzare il valore della propria azienda rispetto alle variabili obiettivo. Per visualizzare una demo del gioco è disponibile un breve video all’indirizzo web http://vimeo. com/19162570. Per fare una partita di prova e vedere come funziona in pratica, è possibile contattarci scrivendo a cetic@liuc.it . Si tratta di strumenti destinati alle imprese per consolidare conoscenze

e competenze al loro interno e presso i partner, ai professionisti, agli studenti, a chi vuole apprendere e applicare, in contesti mutuati dal mondo reale, i principi generali del funzionamento di un’impresa. Dal 2007 ad oggi il CETIC ha curato la realizzazione di differenti modelli di gioco che hanno visto coinvolti migliaia di utenti appartenenti a diverse categorie professionali, oltre che studenti universitari e delle scuole superiori. I progetti realizzati hanno visto la creazione di modelli di gioco che simulano la gestione di imprese di tipo industriale (ad es. tessile e manifatturiero), realtà artigianali (ad es. falegnamerie, pasticcerie) e società di servizi (ad es. asili nido). La versatilità del “generatore di simulazioni” sviluppato dal CETIC consente inoltre di adattare i modelli esistenti a differenti realtà

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sona singola/squadra gioca contro il sistema online, ovvero il software di simulazione senza alcun servizio aggiuntivo, se non la presenza di un Tutor remoto di supporto; a scenari più complessi, dove un insieme di persone/squadre competono simulando la gestione della loro azienda in un mercato, utilizzando un modello di gioco costruito ad hoc per rispondere alle esigenze formative del committente. Da un costo minimo a partecipante nel caso del primo scenario si passa ad un costo a “progetto” per azienda nel secondo.

aziendali e a differenti obiettivi formativi, oltre che la creazione di nuovi modelli basati su specifiche esigenze aziendali. Nello sviluppo di un nuovo Business Game collabora un team di professionisti che comprende: gli esperti dei contenuti specifici del gioco, che forniscono le specifiche dell’azienda da simulare; gli esperti di didattica attraverso questa metodologia innovativa, che ottimizzano il sistema all’interno dei diversi percorsi formativi; gli sviluppatori del modello matematico, che traducono le specifiche in linguaggio di programmazione funzionale e gli informatici, che si occupano dello sviluppo del software necessario. Le esperienze realizzate negli ultimi anni comprendono il “Collaborative Fashion Game”, lanciato [insieme al Lab#ID] nel corso del recente Trace ID Fashion 2013 e rivolto agli imprenditori e professionisti del settore tessile; “Gioca oggi per vincere domani” a supporto della formazione di giovani imprenditori di imprese artigiane; “BE CEO for A DAY: Scegli il vento giusto” per studenti universitari o neo-laureati; “CREA LA TUA IMPRESA” un

progetto patrocinato dal MIUR e sviluppato in collaborazione con la LIUC, destinato agli studenti delle Scuole Superiori Italiane (Istituti Tecnici e Licei) che, dal 2008 ad oggi, ha coinvolto più di 1000 studenti all’anno, provenienti da tutta Italia. Attraverso questa lunga e articolata esperienza in contesti così diversi si è potuto verificare che simulazioni e Serious Games offrono una opportunità unica per porre il discente al centro dell’esperienza formativa e rendere la formazione un flusso di esperienze significative, sia per il singolo che per il gruppo. I Serious Games forniscono un ambiente protetto che attiva una riflessione critica a lungo termine, trasformando errori ed emozioni in elementi di apprendimento preziosissimi e riducendo il fattore ansiogeno nell’apprendere come affrontare nuove situazioni, migliorando le proprie conoscenze comportamentali attraverso l’aumento della consapevolezza del proprio ruolo. I costi di un Business Game variano molto a seconda delle configurazioni di gioco: si va, ad esempio, da uno scenario più semplice in cui una per-

Proprio grazie a queste caratteristiche, le possibili applicazioni dei Serious Games sono numerose e diversificate: dalla formazione per la gestione d’impresa, come nei casi sopra citati, al supporto alle funzioni Marketing e Comunicazione, alla ricerca e selezione del personale, fornendo un valido strumento alla funzione HR in azienda anche per lo sviluppo del team building. È proprio il caso di dire… non si finisce mai di imparare, meglio se giocando.

SARA GENONE

Project Manager, CETIC - LIUC - Università Cattaneo

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Lettura ottica, cervello e data-entry offshore DI FRANCESCO PUCINO

Cosa hanno a che fare tra loro lettura ottica, cervello umano e data-entry offshore? In queste breve articolo cercheremo di svelare l’arcano… Sintetizzando al massimo, possiamo dire che un classico sistema di riconoscimento ottico del testo (OCR/ ICR), partendo da ciascun pixel contenuto nell’immagine, cerca di identificare i singoli caratteri, dividendo quelli attaccati e mettendo insieme i frammenti di quelli spezzati, per poi ricostruire la sequenza delle parole che eventualmente vengono validate utilizzando un dizionario, preferibilmente contestualizzato. Questo approccio, che possiamo definire analitico, è sostanzialmente diverso dall’approccio usato comunemente dal cervello umano, che possiamo invece definire olistico. Infatti, quando un adulto legge un testo, non analizza ogni singolo carattere, ma guarda la forma e la lunghezza dell’intera parola, riconosce il primo e l’ultimo carattere, identifica la presenza e la posizione approssimativa delle eventuali lettere che si allungano verso l’alto (ascenders) e verso il basso (descenders). Riesce così a comprendere le singole parole in modo molto veloce, semplicemente identificandole morfologicamente tra quelle note e validando semanticamente le possibili alternative con il contesto. Con questo sistema, che viene messo in atto inconsciamente, si può leggere tanto più velocemente e correttamente quanto più si è allenati a farlo, quante più parole si conoscono e quanta più competenza si ha

Fig. 1 – Se si legge questo testo velocemente, non si fa caso al fatto che alcuni caratteri all’interno delle parole sono nella posizione errata!

sull’argomento di cui tratta il testo esaminato. Mettiamo quindi di evidenziare quali possono essere le implicazioni di tutto ciò. Innanzitutto è chiaro che, nel momento in cui si deve effettuare del data-entry, bisogna leggere il testo da digitare. Se allora per fare il

Fig. 2 – Una tipica infrastruttura per il data-entry offshore ubicata in India in cui lavora manodopera locale a basso costo.

data-entry da documenti italiani ci si affida ad aziende offshore, di solito indiane o rumene, il fatto di utilizzare persone di lingua diversa, che tendono ad usare inevitabilmente l’inconscio meccanismo di lettura di cui sopra, potrebbe essere fonte di scarsa accuratezza dei dati! Ciò è ancor più probabile quando gli operatori di data entry, come capita nella maggior parte dei casi, vengono retribuiti in base alla produttività, e quindi cercano di essere più rapidi possibili. Viene così a cadere una delle motivazioni che, talvolta, tendono a far preferire il data-entry offshore in luogo della lettura ottica, ossia l’idea che si possono ottenere risultati perfetti a fronte di costi certi. Di contro, i moderni sistemi di lettura ottica, come la piattaforma Recogniform Reader, possono essere progettati cercando di prendere spunto dal modello di funzionamento del cervello umano, così da essere sempre più performanti ed universali. Ad esempio, guardando il carattere di fig.3, ci rendiamo immediatamente conto che un sistema ICR non sbaglierebbe se interpretasse questo carattere manoscritto come una lettera “S”. Tuttavia, andando a recuperare l’intera sequenza di caratteri da cui è stato estratto, visibile nella prima parte della fig.4, ci rendiamo subito conto che non si tratta della lettera “S”, ma del numero “5”. La motivazione che sta a base di questa differente interpretazione è il fatto che abbiamo analizzato il contesto, ossia abbiamo verificato che prima e dopo ci sono

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ader che, a fronte dell’acquisto della licenza d’uso, non richiede rinnovi di licenza annuali e non è limitato né in velocità né nel numero di documenti processabili. Fig. 3 – Un carattere che, preso da solo, può essere riconosciuto come una lettera esse.

altre cifre e che l’intera parola è verosimilmente un importo. Ma la cosa interessante è che possiamo avere facilmente conferma comunque che il medesimo carattere può rappresentare anche la lettera “S”, così come si può vedere dalla seconda parte della fig. 4. Dunque un sistema di lettura ottica in cui è implementato questo tipo di “ragionamento” è una soluzione molto efficace per sopperire a

Fig. 4 – La stessa “forma” della figura precedente, presa insieme al contesto, viene riconosciuta come numero ”5” nella prima stringa e come lettera “S” nella seconda.

qualsiasi servizio di data-entry, in particolare se offshore: è affidabile, non si stanca, lavora notte e giorno, consente di ottenere enormi economie di scala, in particolare se è come il nostro prodotto Recogniform Re-

FRANCESCO PUCINO

CEO di Recogniform Technologies, membro IEEE ed AIIM, svolge attività di ricerca nel settore imaging dal 1990


SPECIALE OMAT MILANO 2013 Dopo due giorni di lavoro intenso e grandi novità, si è conclusa la 42° edizione di OMAT Milano, l’evento dedicato alla gestione delle informazioni digitali e dei processi aziendali. Come da tradizione, OMAT ha rappresentato un appuntamento fondamentale per tutti i professionisti del settore IT, un’importante occasione per promuovere iniziative e trattare tematiche legate all’innovazione. L’evento si è svolto il 17 - 18 aprile presso l’Atahotel Executive.

Tra i numerosi ingredienti che hanno reso particolarmente importante questa edizione, due meritano una menzione speciale: • dal lato organizzativo, la main sponsorship di HP, sviluppatasi attraverso una presenza strategica in area espositiva e un importante contributo al programma culturale • dal punto di vista istituzionale, il lancio del Manifesto per l’Italia Digitale (promosso

da Benedetto Santacroce), un progetto nato con l’obiettivo di aiutare lo sviluppo e la digitalizzazione del nostro Paese. È possibile sottoscrivere il manifesto all’indirizzo www.omat360.it/manifesto-digitale. Le due giornate sono state strutturate in sessioni di conferenze e laboratori, che hanno trattato le principali tematiche legale alla gestione dei contenuti digitali, tra cui: digitaliz-

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OPEN-MINDED

Riflessioni di Flavia Marzano OMAT Milano si è concluso con una bella proposta che ha già portato i primi frutti. Il primo frutto è stato il Manifesto per l’Italia Digitale, presentato dal Prof. Benedetto Santacroce e firmato da moltissime altre persone, che intende rendere effettivo e concreto l’obiettivo di “traghettare l’Italia verso un mondo sostanzialmente digitale, con più efficienza, meno sprechi e più opportunità per tutti”. Il secondo frutto, ancora più succoso, è stata la “pubblicazione in rapida successione delle regole tecniche sulla firma elettronica e sull’obbligo di fatturazione verso la PA. Questo è un successo per tutti noi che da anni ci battiamo per questi obiettivi. È un primo successo di un percorso che porterà alla modernizzazione del sistema” dichiara Santacroce. E proprio a partire dal concetto di “più opportunità per tutti” OMAT ha esordito con la conferenza “Il digitale per rimettere in moto il business”, in cui si sono confrontati imprenditori, giuristi, professori universitari per capire come le recenti normative europee e nazionali abbiano “annaffiato” i semi dell’innovazione per aprire nuovi mercati e nuove occasioni di business. Senza nascondere le difficoltà del momento (nazionali e internazionali), si sono analizzate le opportunità che il digitale può portare in tutti i settori e si sono valutate so-

luzioni, idee, progetti, nuovi sviluppi e nuove opportunità di innovazione.

Ha presentato Il tablet business HP Elite Pad 900, l’Ultrabook aziendale HP Elite Book Folio 9470m, L’innovativa gamma di stampanti inkjet HP Officejet Pro X A partire dall’eSeries, La stampante HP Laser Jet quazione “innovaMFP 575 flow, Thin Client re = alterare l’ordine HP.

delle cose stabilite per fare cose nuove”, ritengo che per fare davvero innovazione siano necessari tre ingredienti: tecnologie, creatività e organizzazione. Ma oltre a questi ingredienti considero davvero essenziale un requisito: accettare il diverso come valore! Perché dal diverso si impara e con il diverso si cresce. Come ci insegnava Darwin, senza diversità genetica, ogni specie rischia l’estinzione per incapacità di adattarsi alle variazioni dei parametri dell'ecosistema e il processo di crescita di un ecosistema è il risultato delle diverse strategie dei singoli attori (stakeholder). E questo processo può essere influenzato ma non guidato. È un processo determinato dallo sforzo di combinazione di singoli interessi, che possono essere sempre, al tempo stesso, convergenti ed antagonisti. Penso che il mondo si divida in due tipologie di persone: innovatori e conservatori. E gli innovatori a loro volta si dividono in due categorie: quelli che ci vogliono

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speciale Omat Milano 2013 La sessione “Applicazioni e testimonianze - gestire in modo intelligente, proficuo e sicuro le informazioni aziendali” ha fornito una panoramica sulle nuove tecniche di data mining e i più innovativi metodi per la gestione di dati complessi. Altro argomento di grande interesse è stato il tema dell’identità digitale, affrontato dal punto di vista giuridico grazie all’intervento di Giusella Finocchiaro.

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zazione, gestione delle informazioni aziendali, posta elettronica certificata, firma grafometrica, cloud computing, byod, fatturazione elettronica, dematerializzazione, agenda digitale e sicurezza dei dati, identità digitale, big data. I lavori si sono aperti con la sessione plenaria intitolata “Il digitale per rimettere in moto il business”, nel corso della quale au-

torevoli rappresentanti del mercato e delle istituzioni hanno analizzato come le recenti normative europee possano aprire nuove opportunità di business. Si è inoltre discusso sui vantaggi che il digitale può portare nella società e nelle realtà aziendali. Il pomeriggio ha invece ospitato un articolato programma di conferenze e laboratori.

Ha presentato lo scanner portatile P-208 con alimentatore automatico da dieci fogli e un’incredibile velocità di scansione fronte/retro che può arrivare fino a 16 immagini per minuto.

nere) e, come tali, incapaci di condividere e di garantire partecipazione.

In aumento il numero di partecipanti con ruoli manageriali, dirigenti, funzionari e le figure che influenzano direttamente il processo d’acquisto. mettere sopra il cappello e quelli che condividono il loro ombrello. I signori del cappello sono innovativi, bravi ma "prime donne" (o “tenori” se vogliamo garantire la parità di ge-

I signori dell'ombrello, non sempre grandi guru, hanno invece la grande capacità di accogliere persone e idee, di coinvolgere e mediare con persone di diversi mondi e diverse competenze, di rinunciare a un po' di visibilità in cambio di una squadra efficace e coesa che lavora con passione per raggiungere obiettivi comuni. Si tratta di un lavoro lungo e faticoso, pieno di insidie, ma è il solo modo per garantire un’innovazione profonda e duratura. È il solo modo che mi convince, è il solo modo che mi piace e che considero davvero efficace per innovare ma soprattutto per “sopravvivere” in termini darwiniani! Ovviamente la strada non è in discesa, e a OMAT è stato in diversi modi evidenziato. Non sempre è facile trovare la propria strada, non sempre è facile attivare nuovi mercati, non sempre si riesce a garantire continuità al proprio business.

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speciale Omat Milano 2013 ormai ha definitivamente abbattuto i limiti fisici dell’ufficio. A seguire, due laboratori dedicati rispettivamente alla gestione integrata delle fatture fornitori (a cura di Indicom) e ai nuovi modelli di relazione per imprese e PA (a cura di School of Management - Politecnico di Milano).

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Ha presentato le proprie soluzioni per la gestione elettronica dei dati, che permettono di integrare dati e documenti in formato nativo, mantenendo tutte le informazioni nella stessa banca dati anche con formati diversi.

Infine, la sessione plenaria di chiusura ha approfondito i temi della sicurezza dei dati e la tutela della propria identità digitale, con il contributo dell’hacker di fama mondiale Fabio Ghioni. In sintesi, anche quest’anno OMAT ha proposto un focus di altissimo livello sullo stato dell’arte dell’information management e sugli sviluppi che la tecnologia vivrà nel prossimo futuro. Senza dimenticare che, in tempi come quelli che stiamo attraversando, la nostra forza deve nascere dalla collaborazione, dalla creatività e dalla capacità di innovare e rinnovare.

In seguito, si sono tenuti due laboratori: il primo dedicato alla PEC (a cura di Infocert) e il secondo dedicato alle soluzioni di grafometria in ambito aziendale (a cura di Olivetti e Wacom). Non meno importanti le tematiche della seconda giornata, a partire dai temi del Cloud computing e del byod, argomenti sempre più di attualità in un contesto professionale che

Archiviata con successo l’edizione milanese, l’organizzazione è già al lavoro in vista di OMAT Roma 2013, che si terrà il 13 e 14 novembre. Per maggiori informazioni e aggiornamenti, si rimanda al portale www.omat360.it.

STEFANO FORESTI

Marketing communication, ITER

GIANMARIA BELLUCCI

Marketing communication, ITER

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Ha presentato www.chicodocs.com, il nuovo sistema di cloud documentale; la nuova versione di chicoimage con la gestione delocalizzata dei lotti di produzione per i centri servizi e con il supporto della pec per la fatturazione elettronica.

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speciale Omat Milano 2013

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tecnologica). Gli imprenditori di domani saranno quelli che oggi curano questa sindrome con la medicina del PFE (Proudly Found Elsewhere).

Ha presentato XINO S700, uno scanner da back office ad elevata performance per la prima volta sul mercato italiano.

Abbiamo visto l’avvicendarsi di proposte e soluzioni su cloud computing, information management, flussi di lavoro, firma grafometrica, processi aziendali, big data, identità digitale, posta elettronica certificata, BYOD… il tutto condito dalla normativa esistente, dalle difficoltà ad applicarla, dalle opportunità che attiva. Tra una tecnologia e l’altra, tra un dibattito e l’altro, tra domande e risposte che si accavallavano tra relatori e platea, la domanda che spesso trapelava (direttamente o indirettamente) era: dobbiamo coltivare nuove sementi o dobbiamo abbattere l’albero, estirpando le vecchie radici? La risposta non può essere univoca ovviamente, ma il sentire di molti era chiaro: siamo a una svolta, viviamo un’era storica dalla quale usciremo con un mondo diverso e sta a tutti noi uscirne con un mondo migliore. Non si tratta solo di adottare nuove tecnologie, ma dobbiamo anche imparare a liberarci dai vecchi condizionamenti e dal vecchio modo di affrontare il mercato perché è arrivato il momento di fare un salto di qualità e di approcciare il business in modo diverso. La conoscenza oggi non è più appannaggio di pochi: le tecnologie sono spesso disponibili e reperibili (o quanto meno identificabili facilmente) per tutti. Le aziende possono sicuramente basarsi sulle proprie competenze e i propri skill, sui propri asset e i propri brevetti, sui propri tecnici e sui propri ricercatori, ma, come diceva Newton, possono, anzi devono, imparare a vedere più lontano: “Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti”. Devono quindi imparare a condividere le innovazioni, a prenderle laddove già sono, senza essere afflitti dalla terribile sindrome NIH (Not Invented Here), che a nulla porta se non a inventare nuovamente la ruota (se pur

Oggi la rete e le tecnologie ci permettono di condividere e trasferire le informazioni in maniera così facile che non pare davvero possibile che esista ancora qualcuno in grado di arrestarle. In questo contesto, il modo migliore per trarne profitto è aprirsi alla condivisione delle informazioni e diventa strategico per le aziende, oltre a “cedere” e diffondere proprie informazioni, capire quante e quali informazioni esterne portare al proprio interno per utilizzarle a proprio vantaggio. Questo si chiama Open Innovation, questo è il giusto modo di crescere, cambiare modelli, sviluppare nuovi mercati e nuovi business per garantirsi un ritorno sugli investimenti davvero efficace ed efficiente. Allora pare che la metafora dell’albero sopra citata faccia pensare che sia più saggio non abbattere i vecchi alberi, ma partire dalla solida base degli alberi secolari innestandoli con nuovi virgulti, inventati da noi o raccolti altrove, sperimentando nuove metodologie di coltivazione e nuovi incroci… E se l’analisi del vecchio albero ci permette di individuare gli errori del passato, è proprio da lì che dobbiamo partire perché, per dirla con Rodotà, “il passato non può essere trasformato in una condanna che esclude ogni riscatto”, e il riscatto arriverà dall’innovazione che sapremo cercare, trovare e applicare alla “coltivazione” dei nuovi virgulti innestati trovando tuttavia anche le necessarie competenze per valutare, individuare e sfrondare tempestivamente i rami che, nel crescere, si mostreranno non adatti al rinnovamento e allo sviluppo e che rischierebbero, crescendo, di compromettere lo sviluppo complessivo. Open innovation quindi e condivisione della conoscenza perché “nessuna conoscenza, se pur eccellente e salutare, mi darà gioia se la apprenderò per me solo. Se mi si concedesse la sapienza con questa limitazione, di tenerla chiusa in me, rinunciando a diffonderla, la rifiuterei” (Lucio Anneo Seneca)

FLAVIA MARZANO

Presidente Stati generali dell’innovazione e coordinatrice Comitato esperti per l’innovazione di OMAT360

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www.omat360.it/manifesto-digitale È indubbio che nell’ottica dello sviluppo del Paese la digitalizzazione è un obiettivo (uno dei pochi) sicuramente condiviso da tutti e espresso sotto diverse forme dalle nostre autorità, dalle imprese, dai professionisti, da tutte le amministrazioni pubbliche e dagli enti non commerciali. Le voci dei protagonisti dell’economia nazionale sono poi rafforzate dai numerosi documenti internazionali (di singoli Stati o di grandi organizzazioni) che da anni si battono senza tregua per rendere possibile a tutti l’utilizzo ampio e facilitato delle infrastrutture elettroniche di comunicazione e di scambio di informazioni. La condivisione di questo obiettivo, che può essere confermato da innumerevoli documenti di varia natura e importanza, trova le sue radici in semplici ragioni evidenti e statisticamente provate. La digitalizzazione, che si realizza sotto diverse forme e con declinazioni operative e di processo del tutto adattate alle singole realtà, è voluta da tutti perché crea efficienza in quanto: • evita che informazioni importanti si perdano nei meandri degli archivi individuali di singole strutture; • rende possibile (ovvero semplifica) l’integrazione di processi che, in altra maniera sono frammentari e dispersivi perché lasciati alla volontà dei singoli operatori umani; • riduce enormemente i tempi di attesa relativi a qualunque forma di processo complesso, eliminando i tempi morti riconducibili al mancato coordinamento di uomini e strutture; • riduce notevolmente i costi che sono connessi ai processi che attualmente sono realizzati in forma tradizionale; • limita l’intervento discrezionale dell’uomo che per varie ragioni potrebbe creare rischi di errori, inutili ritardi ovvero (cosa che è più grave) effettive discriminazioni soggettive; • rispetta le regole di eco sostenibilità; • abbatte le barriere che ostacolano per i soggetti più deboli l’accesso a opportunità e a conoscenza.

L’elenco potrebbe continuare ed essere documentato con dovizia nei singoli settori con esempi e con puntuali elementi statistici e numerici di palmare evidenza che ci sembrano - proprio perché evidenti e facilmente reperibili - poco utili allo scopo che ci proponiamo con questo documento. Lo scopo che ci muove e che scaturisce dagli elementi sopra ricordati è quello di: RENDERE EFFETTIVO E CONCRETO L’OBIETTIVO CHE TUTTI VOGLIONO: “TRAGHETTARE L’ITALIA VERSO UN MONDO SOSTANZIALMENTE DIGITALE” CON PIÙ EFFICIENZA, MENO SPRECHI E PIÙ OPPORTUNITÀ PER TUTTI. Ma vi è anche un secondo obiettivo, ancora più importante: la struttura digitale di base consentirà di riprogettare una nuova amministrazione in chiave di efficacia, puntando a risultati veramente utili per il cittadino e da lui ritenuti tali. Lo scopo è chiaro e per la sua realizzazione è ambizioso, ma non utopico e cosa più importante può essere realizzato con gradualità, in modo dedicato, rispondendo con puntualità alle specifiche esigenze delle diverse strutture e dei singoli settori economici e sociali. In effetti, proprio in questo campo la politica dei piccoli passi confortata dagli sforzi di tutti è l’unica politica possibile e di sicuro successo. Ovviamente la sua realizzazione deve fare i conti con l’attuale situazione economica e finanziaria in cui il Paese, l’Europa e il mondo intero si trova, nonché con il conseguente ”immobilismo” che queste condizioni naturalmente creano in tutti i settori economici e sociali. Proprio per questo noi crediamo che le istanze che sono state formulate da più parti per ottenere dalle istituzioni risorse finanziarie e di diversa specie (pur essendo del tutto lodevoli negli intenti) siano sostanzialmente inidonee al raggiungimento di un obiettivo globale e soddisfacente. Noi riteniamo che

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il miglior aiuto che l’Italia possa avere nell’immediato è di ottenere che alcuni fattori abilitanti siano resi finalmente disponibili. Non è più possibile accettare ritardi in processi decisionali in cui esiste una condivisione assoluta e convergente. È necessario, al contrario, che questi processi siano snelliti al massimo e, con percorsi del tutto trasparenti, portino in modo tempestivo a decisioni operative e non solo a regole programmatiche, dall’attuazione incerta. Tra questi fattori abilitanti riteniamo che un posto di sicuro interesse e di rango assolutamente primario lo abbia l’attuazione di riforme normative e regolamentari che da anni sono in attesa di un’emanazione da parte delle singole autorità preposte alla regolamentazione del settore. Anche qui, senza voler essere esaustivi nell’esposizione, ma chiedendo un’immediata attuazione di tutti i provvedimenti che da anni circolano in bozza, si ritiene che per lo specifico scopo sia ormai improcrastinabile l’emanazione dei seguenti provvedimenti: • Regole tecniche di attuazione del CAD per quanto riguarda: firme elettroniche, documento informatico, conservazione sostitutiva e protocollo informatico (provvedimenti messi in consultazione fin dall’estate del 2011 e che ad oggi, non rispettando in alcun modo i tempi fissati dalla legge, non sono stati ancora emanati); • Norme regolamentari di attuazione della fattura elettronica verso la PA di cui all’art. 1 commi da 209 a 214 della L 244/2007 (di cui si attende la pubblicazione del secondo decreto attuativo che dovrebbe, finalmente, dare il via libero operativo a un obbligo esistente per ora solo sulla carta); • L’aggiornamento del Decreto fiscale (Dm 23 gennaio 2004) sulla conservazione elettronica dei documenti. Provvedimento che presenta molte criticità e che contiene regole che non tengono più conto delle modifiche già intervenute nel CAD. Il fattore normativo che in passato è stato visto come un freno allo sviluppo digitale del Paese e che negli ultimi mesi ha avuto un’accelerazione (almeno programmatica) molto gradita nel Dl 179/2012 (decreto crescita 2.0) può divenire un fattore abilitante e un vero e proprio volano per la digitalizzazione del Paese. È certo che il “digital divide” passa sicuramente per altri canali, ma il forte segnale che l’approvazione dei predetti provvedimenti potrebbe avere è anche questo una certezza condivisa da tutti. Tra l’altro essa avrebbe il merito di far cadere una serie di alibi

sollevati da chi non vuole rendersi conto che il processo di digitalizzazione è irreversibile e che è inutile rimanere ancorati a posizioni del tutto obsolete che portano il nostro Paese a perdere anche e soprattutto sul piano internazionale in termini di competitività e di credibilità. Più in dettaglio e sempre con funzioni esemplificative e non con obiettivi esaustivi la loro attuazione: • per quanto riguarda la fattura elettronica verso la PA contribuirebbe a rendere più trasparenti alcuni processi che sono fonti di pericolosi fenomeni di frode e di evasione fiscale; contribuirebbe a favore delle imprese a ridurre tempi e costi di attestazione dei crediti risolvendo così problemi di regolamento delle singole transazioni; contribuirebbe a fornire modelli condivisi che faciliterebbero la progettazione e la realizzazione di sistemi di gestione dello specifico documento; contribuirebbe a semplificare significativamente il rapporto tra imprese e amministrazione finanziaria, riducendo un importante numero di adempimenti che attualmente rappresentano un costo e anche un freno alla produttività soprattutto delle PMI; • per quanto riguarda le regole tecniche renderebbe possibile l’attuazione di numerosi progetti di firma elettronica avanzata; creerebbe le condizioni per migliorare e integrare gli attuali processi di creazione, gestione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; potrebbe, finalmente, dare il via libera alla formazione dell’albo dei conservatori accreditati. L’Italia digitale non può più aspettare, perché l’attesa è solo fonte di pregiudizi e di danni per tutti. Ne siamo così convinti che chiediamo a tutti coloro che vogliono appoggiare questa iniziativa di sottoscrivere questo documento e di contribuire con nuove idee e proposte per far sì che la politica dei piccoli passi possa dare quotidianamente concreti risultati. Il Comitato promotore • • • • • • • • • •

Benedetto Santacroce Pierluigi Ridolfi Maria Guercio Stefano Pigliapoco Giusella Finocchiaro Flavia Marzano Domenico Piazza Alessandro Mastromatteo Annapia Sassano Andrea Caccia

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Stuxnet 0.5 Il 9% di infezioni dormienti è stato rilevato in Italia A CURA DELLA REDAZIONE

Un recente studio di Symantec ha scoperto la più antica versione conosciuta dell’ormai famoso malware Stuxnet. La storia di questo malware è contenuta in un withepaper che racconta come questo worm sia stato scoperto nel luglio 2010 da Symantec e come si sia evoluto nel corso del tempo. Stuxnet rappresenta il primo caso di minaccia informatica utilizzata come cyber-arma. Il worm è stato specificamente progettato per assumere il controllo di macchinari industriali, facendoli operare al di fuori dei loro parametri di sicurezza o delle normali prestazioni, causando danni nel processo. Stuxnet, un worm così complesso che ha richiesto molti mesi per essere analizzato, è stato il primo nel suo genere nella storia dei malware.

Come per la versione 1.001, Stuxnet 0.5 è un pezzo complesso e sofisticato di malware che ha richiesto livello analogo di abilità e uno sforzo equivalente per essere prodotto. Questa prima versione di Stuxnet è stata progettata per chiudere le valvole utilizzate per alimentare gas esafluoruro di uranio in centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Un tale attacco potrebbe causare gravi danni alla centrifughe interessate e al sistema di arricchimento dell’uranio nel suo complesso. Non è chiaro se Stuxnet 0,5 abbia avuto successo, ma le sue versioni successive sono state sviluppate utilizzando un diverso framework di sviluppo, sono diventate più aggressive e hanno assunto una diversa strategia

di attacco. È nota l’esistenza di altre versioni di Stuxnet, ma non sono mai state trovate. Nonostante l’età e la datazione di questa prima variante della minaccia, i sensori di Symantec hanno tuttavia individuato un piccolo numero di infezioni dormienti (ovvero file di Stuxnet 0,5 trovati all’interno di file di progetto STEP 7) presenti in tutto il mondo, durante lo scorso anno. Di questi, il 9% è stato rilevato in Italia. (vedi Figura 1) Questa presenza di infezioni dormienti nel nostro Paese conferma lo scenario di minacce nei paesi europei e mediterranei. Secondo l’ISTR XVII di Symantec (Internet Security Threat Report), nel 2011 si è verificata una crescita del 81% nel numero degli attacchi malevoli e degli attacchi mi-

La prima variante nota di Stuxnet era la versione 1.001 creata nel 2009. Questo fino ad oggi. Il Symantec Security Response di Symantec ha recentemente analizzato un campione di Stuxnet che precede la versione 1.001. L’analisi di questo codice ha rivelato una importante scoperta: la versione 0.5, la più antica versione conosciuta di Stuxnet. In funzione tra il 2007 e il 2009, Stuxnet versione 0.5 presentava un meccanismo di attacco completamente diverso rispetto ai suoi ormai noti successori, e probabilmente era in servizio già nel 2005.

Fig. 1 - Infezioni dormienti rilevate lo scorso anno

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Rimani connesso tutto l’anno, iscriviti alla omat community OMAT360, il portale dedicato ai professionisti dell’information management. OMAT360 nasce con l’obiettivo di diffondere la cultura relativa alla gestione elettronica di documenti, informazioni e processi aziendali. Grazie a un’esperienza ultra ventennale nel settore, una redazione specializzata e contatti con aziende, istituzioni e associazioni, il portale costituisce un punto d’incontro fondamentale tra chi cerca e chi offre soluzioni per gestire al meglio il patrimonio di dati proprio di ogni organizzazione.

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rati avanzati che colpiscono le aziende di tutte le dimensioni e i dipendenti. Nel dettaglio, il numero di attacchi mirati giornalieri è salito da 77 a 82 nel corso del 2011. Gli attacchi mirati, che utilizzano tecniche di social engineering e malware personalizzati per riuscire ad avere un accesso non autorizzato alle informazioni sensibili e che solitamente erano concentrati sul settore pubblico e sul government, tuttavia nel 2011 si sono diversificati. Va sottolineato che gli attacchi mirati non sono più circoscritti alle grandi aziende. Oltre il 50% di questi attacchi ha colpito aziende con meno di 2.500 dipendenti, e quasi il 18% ha colpito aziende con meno di 250 dipendenti. Queste aziende potrebbero esser state prese di mira in quanto appartenenti alla supply chain o all’ecosistema dei partner di una grande azienda e in quanto meno protette rispetto alla grande azienda. Inoltre, il 58% degli attacchi ha colpito dipendenti che non ricoprono cariche dirigenziali, come gli addetti alle risorse umane, alle pubbliche relazioni e i venditori. I singoli individui che ricoprono questi ruoli potrebbero non avere accesso diretto alle informazioni, ma potrebbero servire come collegamento diretto con l’azienda. Si tratta di persone facilmente identificabili online da parte degli attaccanti e abituate a ricevere richieste ed allegati da parte di sconosciuti.

In particolare, Stuxnet e gli attacchi come Nitro e Duqu prendono di mira i fornitori di infrastrutture critiche, ovvero quelle organizzazioni che appartengono a settori che sono di tale importanza che, se le loro reti informatiche venissero attaccate con successo e disabilitate, questo si tradurrebbe in una minaccia reale alla sicurezza nazionale. Questo ci fa capire come aziende e governi di tutto il mondo dovrebbero adottare una politica molto aggressiva negli sforzi per promuovere e coordinare la protezione delle reti informatiche dei settori critici. Ci sono, infatti, diversi consigli che si possono seguire per garantire una maggiore protezione nel caso di attacchi mirati: ad esempio, sviluppare ed applicare policy IT e automatizzare i processi di conformità, dando priorità ai rischi e definendo policy valide per ogni installazione; le aziende possono far rispettare le policy definite integrando automazione e workflow e possono non solo identificare le minacce, ma anche rispondere tempestivamente agli incidenti o prevederli. O ancora, proteggere proattivamente le informazioni mediante una strategia information-centric, adottando un approccio content-aware alla protezione delle informazioni per sapere chi detiene le informazioni, dove risiedono i dati sensibili, chi può accedervi e come proteggerli in ingresso o in uscita. Gestire i sistemi implementando ambienti operativi sicuri, distribuire e rafforzare i livelli di patch, automatizzando i processi per migliorare l’efficienza, monitorando lo stato dei sistemi e producendo i relativi report. Proteggere l’infrastruttura tutelando gli endpoint, gli ambienti Web e la messaggistica. Inoltre, è di fondamentale importanza difendere i server critici interni e implementare backup e ripristino dei dati. Garantire disponibilità 24x7 e implementare test che non abbiano impatto sull’operatività e che possano ridurre la complessità, automatizzando la risposta alle interruzioni di servizio. Gli ambienti virtuali dovrebbero essere trattati come quelli fisici,

dimostrando l’esigenza per le aziende di adottare un maggior numero di strumenti interpiattaforma e interambiente, oppure standardizzarsi su di un minore numero di piattaforme. Infine, sviluppare una strategia di gestione delle informazioni comprensiva di un piano e di policy per la conservazione dei dati. Le aziende devono usare i backup come archivi operativi e legali, ed implementare la deduplica ovunque per liberare spazio, adottare sistemi di archiviazione completi e dotarsi di tecnologie di DLP (Data Loss Prevention). Oltre alle aziende anche i governi dovrebbero promuovere la protezione delle infrastrutture critiche, continuando a dedicare risorse sufficienti per stabilire programmi di protezione adeguati. I governi dovrebbero collaborare con associazioni di settore e gruppi di aziende private per distribuire informazioni atte a sensibilizzare le aziende sui piani CIP (Critical Infrastructure Protection). Informazioni specifiche dovrebbero indicare come reagire di fronte ad un cyber attacco su scala nazionale, quale sarebbe il ruolo del settore pubblico, quali sarebbero i contatti specifici per i vari settori a livello regionale e nazionale, e come verrebbero condivise le informazioni tra governi e aziende private in caso di emergenza. I governi dovrebbero sottolineare come la sicurezza non sia sufficiente a garantire resilienza di fronte ai cyber attacchi attuali. Inoltre, i fornitori di infrastrutture critiche e le aziende in genere dovrebbero garantire che le loro informazioni vengano conservate, copiate, organizzate e sistemate in ordine di priorità e che siano implementati processi di controllo delle identità e degli accessi.

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Migrare LibreOffice Presupposto per gli open data DI ITALO VIGNOLI

Oggi, tutti parlano di open data, ma solo in pochi affrontano il tema di come si possa arrivare in modo strategico ad avere un’infrastruttura di information technology in grado di portare in modo naturale a formati standard e aperti dei documenti, ovvero a una delle condizioni di base degli open data. Infatti, pubblicare - per esempio elenchi di informazioni in formato XLS, proprietario e controllato da una singola azienda, se da una parte è un passo in avanti, dall’altra è una operazione discutibile, perché costringe all’acquisto di un software proprietario che non solo è particolarmente costoso, ma perpetua nel tempo un concetto sbagliato - perché intrinsecamente limitato - di open data. Il problema dei formati standard dei documenti è relativamente recente, e abbastanza complesso. Purtroppo, coloro che hanno interesse a promuovere i formati standard non hanno lo stesso potere economico di chi - invece - ha interesse a creare confusione per proteggere i propri formati proprietari, oppure a promuovere dei formati standard che sono tali solo di facciata. LA GENESI DEI FORMATI STANDARD E APERTI Negli anni ‘90, i formati proprietari dei documenti - sviluppati da una singola azienda senza rendere note le specifiche - come quelli di iged.it 02.2013

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debole, fino a scomparire del tutto. Internet ha portato in modo abbastanza naturale a una crescita dell’interesse per il software libero, a codice sorgente aperto, in quanto questo porta con sé - in modo del tutto naturale - l’uso di tecnologie standard e aperte, ed è basato sugli stessi principi di base che hanno permesso a Internet di diventare la piattaforma di riferimento per la comunicazione e la condivisione delle informazioni a livello globale. All’epoca, però, non esisteva nessun formato standard e aperto per i documenti, per cui c’erano degli standard “de facto” che non erano altro che i formati proprietari della suite più utilizzata: DOC, XLS e PPT. Formati non documentati, sotto il controllo di una sola azienda, che poteva cambiare - e lo faceva - le specifiche in base alle sue esigenze e non a quelle degli utenti. Più o meno in quegli anni, gli sviluppatori di StarOffice (poi OpenOffice.org, e poi Apache OpenOffice e LibreOffice) hanno incominciato a lavorare a un nuovo formato aperto basato su XML per le loro applicazioni. Altre aziende, intravedendo l’opportunità che si apriva nell’area delle suite di produttività per ufficio, sono partite da questo lavoro per sviluppare un formato dei documenti che potesse essere trasformato in uno standard, e hanno incominciato a lavorare intorno al progetto sotto gli auspici dell’Organization for the Advancement of Structured Information Standards (OASIS). Microsoft Office, IBM SmartSuite e WordPerfect Office, erano la norma per le applicazioni da ufficio. Naturalmente, tutte le suite supportavano il formato dei documenti di Microsoft Office, che dominava il mercato con una quota prossima o addirittura superiore al 90%, anche se il supporto - realizzato attraverso il reverse engineering (che possiamo tradurre con “sviluppo alla rovescia”) - aveva

sempre qualche problema. L’esplosione di Internet - basata su standard aperti - ha fatto comprendere a un numero sempre più ampio di persone il valore della trasparenza, e la forza della collaborazione e dell’intelligenza condivisa. Il paradigma secondo cui la soluzione migliore era quella sviluppata da un’azienda - in quanto questa riusciva ad aggregare le risorse più valide - è diventato sempre più

In questo modo, dal formato basato su XML dei file di OpenOffice.org sono nate le specifiche del formato Open Document Format, che nel corso del 2006 è stato ratificato come standard ISO/IEC (International Organization for Standardization / International Electrotechnical Commission) 26300. Un formato dei documenti basato su XML ha diversi vantaggi rispetto a un formato binario di tipo proprietario, a partire dal fatto che è

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progetto e organizzazione

ROMA, 18.19.20 SETTEMBRE 2013 Sapienza UniversitĂ di Roma FacoltĂ di Ingegneria Civile e Industriale via Eudossiana 18 www.nanoforum.it

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dard solo di facciata, in quanto ha almeno due versioni riconosciute - “transitional”, che contiene elementi proprietari, e “strict”, che dovrebbe rispettare lo standard, ma probabilmente non è stata mai implementata, nemmeno dalla versione più recente di MS Office - che inficiano il concetto stesso di standard. L’adozione del formato Open Document Format è avanzata a livello governativo: Belgio, Brasile, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Malesia, Norvegia, Olanda, Polonia, Russia, Slovacchia, Sud Africa, Svizzera e Uruguay prevedono che lo scambio dei documenti debba avvenire utilizzando ODF, e la NATO lo mette tra i formati obbligatori. In Italia, la situazione non è uniforme. L’adozione di ODF è legata a diversi fattori, tra cui si possono elencare l’accesso a medio e lungo termine, le funzionalità, i vantaggi e l’affidabilità delle applicazioni per ufficio che supportano il formato, il costo e il supporto degli standard, a cui si aggiunge la crescita molto rapida delle suite per ufficio open source.

trasparente e quindi relativamente facile da implementare all’interno delle applicazioni, e che è facile da gestire con gli strumenti XML disponibili sul mercato. Questo rende più semplice il lavoro delle terze parti: le aziende che sviluppano applicazioni che producono e consumano, oppure si interfacciano, con i documenti da ufficio. Nonostante questi vantaggi, Microsoft ha reagito in modo lento all’esigenza di sviluppare il suppor-

to per un formato basato su XML all’interno di MS Office, e poi ha deciso di seguire la strada della proposta di un proprio standard, che è stato ottenuto con un processo che ha suscitato moltissime polemiche ed è sfociato nel formato Office Open XML (OOXML), approvato prima da ECMA International (European Computer Manufacturers Association) e poi da ISO/ IEC come standard 29500. Office Open XML è uno stan-

QUALI SONO I VANTAGGI DI OPEN DOCUMENT FORMAT? ODF è basato su XML, e questo significa che è possibile leggere il contenuto dei documenti usando un programma standard per la lettura del formato XML o un text editor. Questo rende i contenuti dei documenti infinitamente più accessibili rispetto a quelli dei formati binari, come quelli utilizzati dalle vecchie versioni di MS Office e a quelli RTF. L’accesso attraverso software di tipo standard ha implicazioni enormi per i sistemi di gestione dei contenuti e per ogni altro processo automatico o semiautomatico per l’accesso ai contenuti dei file. Per esempio, è possibile scrivere un programma che verifica se un docu-

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mento è conforme a una struttura standard, o uno che inserisce degli elementi ricorrenti di testo in posizioni predefinite all’interno di un documento, e poi li aggiorna anche all’interno di più documenti quando cambiano. È possibile estrarre i contenuti e convertirli in un altro formato per la visualizzazione, e tutto questo senza aver bisogno dell’applicazione con cui sono stati creati i documenti. Inoltre, la disponibilità della documentazione sul formato e il fatto che questo sia basato su un linguaggio standard come XML permette di accedere ai dati anche nel caso in cui - con il passare degli anni - il formato aperto e standard sia stato superato, in quanto è comunque possibile sviluppare un software per la conversione dei dati. Insomma, si arriva senza alcuno sforzo ad avere gli open data. MIGRARE A LIBREOFFICE LibreOffice è la suite libera per ufficio che ha raccolto l’eredità di OpenOffice.org, quando il futuro di questo software sembrava compromesso dall’acquisizione di Sun da parte di Oracle. È sviluppata da una fondazione indipendente, The Document Foundation, che combina gli interessi di diverse aziende - Canonical, Google, Intel, Red Hat, SUSE - e quelli della comunità, garantendo l’indipendenza del progetto da qualsiasi forma di ingerenza di una singola azienda. LibreOffice è nato nel settembre del 2010 dal codice sorgente di OpenOffice.org, e da allora ha continuato a progredire con l’aggiunta di funzioni e la soluzione di problemi in modo regolare, con una versione “maggiore” ogni sei mesi e una versione “minore” ogni mese. Oggi, è alla versione 4.0, che ha rinnovato i due terzi del codice sorgente - sette milioni di linee su dodici - per recuperare un debito tecnologico di anni, ed è pronta per integrare nuove funzionalità.

Dall’inizio del 2012, LibreOffice è la suite libera per ufficio di riferimento per tutte le migrazioni da MS Office (e in alcuni casi da Openoffice.org). I principali progetti sono quelli del Governo Francese, che sta migrando a LibreOffice circa 500.000 PC presenti nell’amministrazione centrale e nei ministeri, e quello della città di Monaco di Baviera, che sta migrando 15.000 PC a Ubuntu.

In Italia, stanno migrando o sono migrate a LibreOffice la Regione Umbria - insieme alla Provincia di Perugia, all’Azienda Sanitaria e al Consorzio dei Comuni, la Provincia di Cremona, la Provincia di Milano, il Consorzio dei Comuni dell’Alto Adige, l’Azienda Sanitaria Locale di Bolzano, e moltissimi comuni. Ovviamente, nell’elenco ci sono anche aziende private, ma queste sono più difficili da coiged.it 02.2013

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l’importazione e l’esportazione dei dati da e verso altri formati “speciali”, come quelli utilizzati - per esempio - dai software di rappresentazione cartografica dei dati.

noscere perché la migrazione da software proprietario a software libero avviene con minore enfasi. La migrazione da MS Office a LibreOffice, che offre funzionalità analoghe (ma in molti casi non identiche), è un processo complesso, che può generare meccanismi perversi di resistenza al cambiamento che vanno affrontati con una strategia di comunicazione appropriata. Prima di tutto, bisogna chiarire che la migrazione non ha l’obiettivo di sradicare il software proprietario dal 100% delle postazioni, ma di massimizzare il numero di PC su cui viene usato solamente il software libero, compatibilmente con l’utilizzo e le modalità operative dell’utente. In quest’ottica, è indispensabile comunicare in modo trasparente le motivazioni e gli obiettivi del progetto, per evitare che LibreOffice venga considerato come una soluzione “povera”. Nel 95% dei casi, LibreOffice si comporta nello stesso modo di MS Office, e offre lo stesso risultato, per cui i problemi di tipo tecnico - che potrebbero sembrare più difficili da risolvere - sono quasi sempre più facili da gestire rispetto

a quelli di tipo psicologico legati alla resistenza al cambiamento, che rischiano di trasformarsi in dinamiche di gruppo tese a rigettare qualsiasi tipo di novità. LibreOffice utilizza il formato standard ISO/IEC 26300, detto anche Open Document Format (ODF), ma anche in formato PDF e nei formati proprietari di MS Office (verso i quali la compatibilità è in fase di continuo miglioramento). Per questo, è fondamentale che l’utente sappia gestire i file nel formato più corretto in relazione all’interlocutore e all’utilizzo che quest’ultimo deve fare del documento. In ogni caso, il formato nativo di LibreOffice è di tipo standard, aperto e documentato, per cui garantisce l’apertura dei contenuti - gli open data di cui parlavamo all’inizio - sia verso chi utilizza altre suite per l’ufficio (in quanto il formato ODF viene supportato da tutte, compresa MS Office) sia verso chi deve utilizzare questi dati per l’integrazione all’interno di altro documenti, in quanto è facile “pescare” i dati. Inoltre, la natura open source di LibreOffice permette di sviluppare con facilità delle estensioni per

Quindi, un aspetto collaterale - e importante - della migrazione da software proprietario a software libero è quello della compatibilità “naturale” con il concetto di open data, che semplifica i processi di apertura del patrimonio di informazioni presenti all’interno delle istituzioni pubbliche verso i cittadini, senza obbligare questi ultimi ad acquistare dei programmi proprietari e costosi per accedere o utilizzare i dati. Infatti, una caratteristica accessoria - ma in questo caso fondamentale - del software libero è la gratuità della licenza, che nasce per difendere la libertà degli utenti. Quindi, software libero e open data rappresentano la soluzione logica, e ideale, al processo di democratizzazione del nostro patrimonio di informazioni.

ITALO VIGNOLI

Consigliere dell’Associazione PLIO con Delega al Marketing

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La Dematerializzazione è iniziata! 1° step: la scansione del documento DI SALVATORE FERRO

Non è facile esporre in modo esaustivo e propositivo quelli che possono essere considerati i segnali del mercato, i più forti e rappresentativi. Desidero sfruttare questa possibilità per dare il mio contributo al dibattito che riguarda questo settore, da sempre caratterizzato da innovazione di prodotto e di processo, definiti da tutti come i pilastri per il rilancio

dell’economia italiana. Vorrei andare in controtendenza rispetto al comune sentire, i segnali positivi ci sono, sono evidenti ed è arrivato il momento di coglierli attraverso l’elaborazione di strategie ed investimenti che abbiano come base la qualità e l’innovazione di prodotto e di processo. Ovviamente, e questo intende essere

Fig. 1 - B- Scamax 433 CD

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un primo spunto importante, è utile approfondire cosa si intende per segnali positivi. A questo proposito, per dare il mio contributo di imprenditore che ha sempre respirato l’aria dei Service, ho deciso di utilizzare come esempio ciò che è accaduto e sta accadendo alle forniture sulle quali ho struttu-

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rato il mio progetto imprenditoriale. Infatti, negli ultimi anni, con il mio gruppo di lavoro abbiamo avuto modo di osservare non solo come si sono evoluti i flussi di lavoro che si basano sul processo di scansione massiva, ma anche come, allo stato attuale, emerga la necessità della qualità e fruibilità delle immagini ottenute. Oggi, in modo sempre più dirompente e forte, il mercato richiede prodotti di qualità a prezzi competitivi, richieste impegnative motivate dalla volontà di rivedere la gestione del flusso di lavoro, e l’eliminazione definitiva di numerosi colli di bottiglia. Colli di bottiglia che rappresentano le diseconomie e le inefficienze che hanno bloccato l’evolversi del mercato e la partenza, definitiva, della tanto desiderata ed agognata dematerializzazione. Da questa constatazione ho preso spunto per dare il titolo a questo ragionamento, titolo che afferma che il 1° Step per la partenza definitiva della dematerializzazione è la Scansione. Un titolo, quello scelto, che ha motivazioni profonde e che oggi, dopo anni di false partenze, trova la sua consacrazione come condizione naturalmente necessaria ed esclusi-

va. Mancate partenze determinate da strategie, rispettabili, fondate su investimenti in tecnologie standard e con ritorni a brevissimo. A mio modesto parere la tendenza sembra essersi invertita, oggi nessun Service o potenziale cliente intende valutare tecnologie che non soddisfino in pieno i requisiti di affidabilità, produttività elevata e, ultimo ma non per ordine di importanza, la qualità delle immagini, materia prima preziosissima da fornire ai software di elaborazione ed ai gestionali di archiviazione evoluti. A questo proposito, come nel mio stile di vita, inserisco all’interno del ragionamento che sto sviluppando per Voi lettori un esempio pratico e reale, per alcuni aspetti esemplificativo. Un nostro importante cliente, da prima molto diffidente nei confronti delle tecnologie da Noi proposte, nel giro di pochi anni ha completamente rinnovato il suo parco Scanner, investendo sull’innovazione e sulla qualità. L’investimento effettuato ha permesso di raggiungere numeri importanti, una media di 49 Milioni di documenti a macchina, senza aver avuto nessun fermo macchina significativo e con l’utilizzo minimo di materiali di consumo, i famosi consumabili, il terrore dei centri servizi.

Fig. 2 - M06 Parti di usura

Ho voluto fare questo esempio, a corollario di questo ragionamento, per evidenziare come, partendo dalle esigenze “potenziali” e non accolte, spesso la tecnologia innovativa e di qualità riesca a definire le condizioni concrete per la creazione del valore aggiunto, variabile necessaria per uscire dallo stallo e conquistare nuovi mercati. Oggi, il mercato richiede Scanner robusti e che necessitano di attività minime di manutenzione. Tutti i centri servizi sono desiderosi di sviluppare nuovo lavoro, cogliendo nuove opportunità, attraverso un utilizzo più efficiente delle risorse interne. L’idea è quella di organizzare meglio il lavoro, dedicando risorse alle attività che creano valore e riducendo al minimo quelle poco utili, come la manutenzione ordinaria sulle parti usurabili. Mi sento di dire, come imprenditore che crede nel suo progetto, che in un momento dove ogni singolo investimento deve necessariamente essere soppesato e valutato attentamente in termini di ritorno economico, il settore dei service e le loro attività di dematerializzazione dovranno necessariamente rivolgersi a fornitori di tecnologie di qualità, efficaci ed efficienti. Noi fornitori dobbiamo affrontare questa sfida insieme ai service, impegnandoci ad affiancarli nell’analisi delle loro reali esigenze per ciò che concerne le Tecnologie idonee, e supportarli nella elaborazione delle loro scelte. L’epoca della vendita spot fine a se stessa, strumentale alle vecchie strategie dei service, è definitivamente tramontata. Oggi l’erosione dei margini di guadagno, l’aumento dei tempi medi di durata delle singole trattative ed il loro costo medio commerciale, richiedono un lavoro di affiancamento da parte del fornitore e di adesione a quelle che possono essere tutte le esigenze e le criticità che il potenziale Cliente esprime ed esterna. In quest’ottica, grazie all’attività commerciale di gestione del cliente e di ascolto delle sue esigenze econo-

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mico-operative, abbiamo riscontrato che oggi è forte la propensione ad investire valutando i ritorni sul breve periodo, preferendo di gran lunga il noleggio della tecnologia comprensiva del servizio. L’idea è quella di offrire la Tecnologia e tutti i servizi post vendita, manutenzione e supporto logistico, attraverso lo strumento finanziario del Noleggio operativo di medio periodo. Noi di CGK, in stretta collaborazione con i fornitori, crediamo che il rilancio delle attività e lo start-up definitivo della dematerializzazione preveda la possibilità di fare investimenti con uno scenario temporale di breve periodo. Siamo convinti che il Noleggio operativo possa rappresentare la soluzione giusta per poter investire in una innovazione di prodotto e di processo. La soluzione prevede anche i servizi a valore aggiunto, strategici per potersi concentrare sull’attività produttiva e sulla gestione efficace ed efficiente delle risorse interne.

Noi di CGK ci sentiamo di proporre questo strumento innovativo perché è uno strumento che, per investimenti di un certo rilievo, ha necessità di tecnologie di qualità, affidabili, con alta produttività e soggette ad usura minima, così da mantenere inalterata nel tempo la funzionalità della macchina ed il suo valore operativo. Il Nostro Scamax M06 ha in sé quel mix di caratteristiche tecniche e di servizi post vendita che lo rendono il prodotto ideale da proporre attraverso lo strumento del Noleggio operativo.

tutte le criticità che riguardano in particolare le righe sugli stessi ed i conseguenti esosi costi necessari alla loro sostituzione. Lo Scamax è una tecnologia che soddisfa il requisito di garantire un giusto e soddisfacente ritorno dell’investimento, permettendo di guardare al futuro con ottimismo e con la tranquillità necessaria.

Infatti Scamax riduce al minimo l’attività manutentiva partendo dal concetto che, minori sono i punti di usura, minori sono le parti usurabili, decisamente ridotto sarà il tempo ed il costo della sostituzione di esse. Nel rapporto tra la gestione del documento all’interno della macchina ed usura parti, evidenzio con piacere che lo Scamax M06 è l’unico scanner che non possiede vetrini tra le due camere, eliminando di fatto

SALVATORE FERRO

Fig. 3 - Percorso carta scamax

Amministratore Unico, CGK Solutions Unipersonale

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Mettere la partecipazione a sistema Il ruolo dei Media civici DI NELLO IACONO

DA MODA A REGOLA Nell’ultimo anno si è accentuata l’attenzione da parte dell’opinione pubblica nei confronti della partecipazione alla vita politica attraverso strumenti e ambienti di partecipazione online. Certamente hanno contribuito le enfasi poste dai media giornalistici su queste “strane novità” di partecipazione, dalla consultazione sulla spending review del governo Monti alle “parlamentarie” e poi alle “quirinarie” del Movimento Cinque Stelle, dall’ideario del Miur sull’Agenda Digitale all’utilizzo di Liquid Feedback del candidato alla regione Lombardia Ambrosoli, per citare solo i casi che hanno avuto un’eco maggiore. Ed è certamente vero che questo aumento di attenzione non è legato a fenomeni estemporanei, quanto ad una sempre più radicata e profonda esigenza da parte dei cittadini di essere coinvolti nelle scelte di azione politica, sia per esserne consapevoli, sia per criticare, sia per poter proporre, sia per poter influenzare. Come mostrano gli esempi recenti del referendum bolognese sulle politiche della scuola e del referendum sull’acqua pubblica, l’auto-organizzazione su centrali temi politici diventa sempre più una prassi che ha successo e che mostra quanto la partecipazione sia un diritto preteso ed esercitato. Gli strumenti della rete, inoltre, che sempre più abilitano alla proposta attiva e tempestiva, sembrano sollecitare a forme di confronto sempre meno episodiche tra cittadini, politici, istituzioni e sempre più parallele al formarsi delle decisioni.

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Di contro, nonostante queste esperienze, le modalità di partecipazione alla vita politica rimangono sostanzialmente invariate negli anni, e sembra accentuarsi il divario tra esigenze e aspettative (amplificate dalla percezione delle potenzialità inutilizzate delle tecnologie) e possibilità reali, modalità affermate e codificate. Rimangono, così, due aspetti che simboleggiano più degli altri questo divario: 1. la bassa quantità di partecipanti alle iniziative di partecipazione in rete; 2. l’episodicità delle esperienze, poiché manca una regolamentazione che obblighi a seguire percorsi di partecipazione strutturata con il coinvolgimento dei cittadini. Aspetti che è necessario affrontare per cogliere appieno l’opportunità che viene dalla disponibilità di diversi strumenti e ambienti di partecipazione, ma anche soprattutto per allineare la prassi politica a quella “democrazia continua” di cui Stefano Rodotà ha definito i contorni diversi anni fa (in “Tecnopolitica”, Laterza 1997) “Parlando di democrazia continua si fa riferimento a strumenti che si differenziano da quelli di tipo rappresentativo perché vengono adoperati dai cittadini senza ricorrere ad alcuna mediazione[..]. L’accento viene posto sulla fine dell’intermittenza del processo politico per quanto riguarda la presenza dei cittadini, e sul fatto che la nuova continuità non è resa possibile da impulsi o stimoli provenienti dall’alto, ma è affidata anche, o soprattutto, all’iniziativa diretta degli interessati. Ma la continuità non riguarda soltanto la dimensione temporale. Si distende nello spazio, dove le reti creano, appunto, la fine delle interruzioni determinate dalla distanza, aprendo la prospettiva di una face-to-face democracy senza più confini. Proprio questo continuum spazio temporale individua la dimensione istituzionale dell’agire politico e della costruzione della cittadinanza”. Ed è qui che si pone il tema, in modo dirimente: se questo è il processo politico che si pone come irreversibile, ecco che la piena realizzazione della

democrazia continua diventa un obiettivo da perseguire, stabilmente ed evolutivamente, ma certamente al di fuori dell’ambito sperimentale e all’interno di quello delle regole della nostra democrazia e della cittadinanza moderna. La disponibilità e l’utilizzo degli strumenti e degli ambienti di partecipazione alla vita politica (i media civici) per questa stessa ragione non sono un tema informatico e tecnologico, ma interessano le condizioni stesse dell’esercizio democratico. IL FRAMEWORK METODOLOGICO I media civici sono pertanto, secondo il recente studio svolto per il Senato dalla Fondazione <ahref “I media civici in ambito parlamentare” (e reperibile sul sito web del Senato), quegli strumenti e ambienti tecnologici “esplicitamente progettati, più o meno efficacemente, per il loro uso nei processi di partecipazione alla vita politica” e la loro connotazione specifica è che tendono a corrispondere “alle strutture di una collettività generale che costituisce un terreno comune nel quale possono incontrarsi tutte le minoranze per arrivare a decidere insieme in base a regole e metodi condivisi per ciò che attiene la convivenza civile”. Il framework di riferimento c’è già, è stato descritto dall’OECD nel 2001 (OECD, “Citizen as Partners”), e definisce tre aree della partecipazione e del coinvolgimento dei cittadini e delle organizzazioni della società civile: informazione, consultazione, processi deliberativi. Ancora oltre, il recente studio già citato ha fornito una importante sistematizzazione sul tema, inquadrando gli strumenti e gli ambienti di partecipazione lungo quattro aree di coinvolgimento: 1. la mobilitazione, in cui si collocano le piattaforme che consentono l’aggregazione e la mobilitazione delle comunità come MeetUp o MyBarackObama, intesa come “la partecipazione da parte di cittadini mirata a influenzare la selezione della classe dirigente, sia tramite il

consolidamento delle posizioni della classe dirigente attuale sia tramite spinte al rinnovamento”; 2. l’informazione, in cui si collocano piattaforme come Factchecking, OpenPolis o anche CommentNeelie, intesa come la forma che consente ai cittadini non solo di essere informati sulle iniziative politiche ma anche di poterle commentare al punto di produrre “informazione ugualmente rilevante”; 3. la consultazione, in cui si collocano piattaforme come Petitions (del Parlamento Europeo), WeThePeople (della Casa Bianca), Ideascale, e che include, oltre ad attività di consultazione anche su larga scala, attività che vanno dalla presentazione di petizioni o di proposte di legge, alle nuove pratiche di relazione facilitate dalle tecnologie digitali, come la raccolta di idee e suggerimenti dalla cittadinanza, la possibilità per la cittadinanza di segnalare problematiche specifiche; 4. la partecipazione attiva nei processi deliberativi, che si può articolare, seguendo lo studio <ahref, in tre pratiche: forma di legislazione partecipativa (supportata da piattaforme come ARS e-democracy, della Regione Sicilia), di bilancio partecipativo (supportata da piattaforme come PiùCultura del Centro Studi Democrazia Partecipativa) e di cambiamenti in chiave partecipativa del processo deliberativo nel suo complesso (supportata da piattaforme come le note OpenDCN, LiquidFeedback e Airesis). Tra l’altro, come mostra anche lo studio di Fiorella De Cindio, annesso a quello della Fondazione <ahref, queste piattaforme possono anche supportare più di un’area e ad esempio OpenDCN, LiquidFeedback e Airesis possono essere utilizzati anche per la fase di raccolta di idee, insieme ad Ideascale, che nasce invece proprio come “ideario”. Allo stesso tempo, non è a mio avviso da sottovalutare il ruolo di ambienti di partecipazione orizzontali-trasversali come il wiki, che possono essere iged.it 02.2013

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introdotti a supporto di specifiche attività di coprogettazione. Il modello che si ottiene consente di specificare le funzionalità richieste alle piattaforme rispetto allo specifico utilizzo (non è utile forzare l’uso al di fuori dell’ambito progettato) e, per la sua ampiezza, permette di avviare un percorso di definizione di un approccio organico nazionale parlamentare e istituzionale, di linee guida per la partecipazione attiva dei cittadini, sulle quali definire delle norme che la integrino nel sistema legislativo e che la facciano passare da volontà delle amministrazioni a diritto dei cittadini. Sarebbe quindi

il caso che fosse avviata una forma di sperimentazione come quella auspicata dallo studio più volte citato. Ma in questo ragionamento possiamo e dobbiamo spingerci a qualche spunto di riflessione ulteriore.

lizzazione delle modalità di partecipazione (sulle tre aree “istituzionalizzabili”: informazione, consultazione, processi deliberativi) e alla messa a fattor comune delle esperienze già realizzate.

UN PERCORSO PER LA MESSA A SISTEMA Tornando ai due aspetti di divario che abbiamo identificato inizialmente, è certamente necessario progettare un percorso che preveda di avviare, in parallelo, due azioni di grande respiro: • una finalizzata all’alfabetizzazione alla partecipazione; • l’altra indirizzata alla forma-

L’alfabetizzazione alla partecipazione non riguarda solo i cittadini, ma naturalmente anche i politici e i rappresentanti delle istituzioni, che devono essere in grado di definire e mantenere il “patto partecipativo” su cui deve fondarsi la partecipazione. Dal punto di vista dei cittadini l’alfabetizzazione ha come condizione di base l’acquisizione delle necessarie

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competenze digitali e deve considerare pertanto come dato di partenza quanto affermato nel primo Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (www.misuredelbenessere.it) realizzato da Istat e CNEL, in cui si afferma che solo il 54% della popolazione italiana utilizza Internet, ben 16 punti sotto la media europea (con un divario accentuato soprattutto nel Mezzogiorno, verso gli anziani, le donne e le persone con bassi titoli di studio). Necessario quindi senz’altro un programma nazionale per lo sviluppo della cultura digitale, con il supporto della RAI, con la disseminazione sul territorio di luoghi di assistenza e formazione (piazze telematiche, punti di accesso pubblici assistiti) e la definizione di eventi di comunicazione e confronto sui temi attivi per la partecipazione, integrando l’uso in rete delle piattaforme con momenti di discussione pubblica che sostengano e favoriscano la partecipazione in rete. Considerando il ruolo centrale che possono avere le Scuole e le Università se adottano per prime queste piattaforme come strumenti di formazione alla cittadinanza. Dal punto di vista dei politici e dei rappresentanti delle istituzioni l’alfabetizzazione passa da una formazione specifica sui processi partecipativi e sulle esperienze italiane (soprattutto in ambito di reti civiche e di raccolta di idee) e internazionali (inglesi, spagnole, statunitensi). Questo allo scopo non solo di renderli in grado di attivare e gestire i processi lanciati istituzionalmente, ma anche di contribuire alla diffusione della cultura della partecipazione in rete, rispetto alle proprie comunità di riferimento e alle proprie iniziative. Fondamentale, da questo punto di vista, la spinta verso la pratica integrata tra la partecipazione in rete e in presenza e la presenza nelle Assemblee, nel governo centrale e locale, di facilitatori e di tutor formativi in grado di sostenere metodologicamente le diverse esperienze, con l’efficacia dimostrata ad esempio dal

gruppo di supporto costituito in ambito Miur nel corso del 2012 (e che speriamo non rimanga caso isolato). La formalizzazione delle modalità di partecipazione deve invece condurre a trasformare le diverse isolate esperienze in una sperimentazione organica a livello Paese, facendo rete e valorizzando i risultati già ottenuti anche dalle organizzazioni della società civile. Con l’obiettivo di realizzare l’inquadramento organico di un sistema di partecipazione formalmente definito, in cui possono inserirsi, naturalmente, percorsi di avanguardia e sperimentazione, ma dove gli elementi di base vengono garantiti comunque. La via che sembra più idonea è quella della definizione di piattaforme ad hoc (seguendo la scelta del Parlamento Europeo, del governo del Regno Unito, della Casa Bianca) che consente di configurare meglio il loro uso secondo il processo definito e di accogliere supporti specifici e pillole formative in grado di accompagnare i cittadini nell’ambiente di partecipazione. La definizione del processo di partecipazione diventa, infatti, una delle condizioni di base per la sua formalizzazione e messa a sistema, oltre che per la definizione del “patto partecipativo” tra cittadini, politici, istituzioni in cui si chiarisce esplicitamente in che modo i contributi e le proposte dei cittadini influiranno sul risultato finale. Questo significa, ad esempio, prevedere per ciascuna area (informazione, consultazione, deliberazione) i criteri per definire: • l’attivazione del processo (le condizioni e i contesti per cui si attiva obbligatoriamente la piattaforma); • il responsabile del processo (chi espliciterà il patto e ne curerà l’attuazione); • i risultati che si vogliono ottenere, anche in relazione con la fase successiva di elaborazione/decisione (e che sono da esplicitare nel dettaglio nel patto partecipativo);

• gli attori coinvolti (potrebbe essere opportuno in alcuni casi procedere ad inviti espliciti, in altri invece puntare ad un elevato, e misurabile, livello di coinvolgimento); • le modalità di coinvolgimento (dal piano di comunicazione al tipo di supporti da mettere in pratica in coerenza con il tipo di attori che si vogliono coinvolgere); • i tempi stabiliti per l’attività (il periodo deve essere sempre coerente con lo scopo della fase, ma anche con il livello di coinvolgimento atteso); • le modalità di gestione, facilitazione, monitoraggio e le risorse coinvolte. Un percorso ibrido potrebbe prevedere la sperimentazione e l’affinamento del processo attraverso l’uso delle piattaforme già esistenti (privilegiando quelle realizzate da Università e Associazioni e quelle comunque open source), così da pervenire alla sua formalizzazione e regolamentazione legislativa in concomitanza con la definizione di più precise specifiche tecniche per le piattaforme da realizzare ad hoc. In ogni caso diventa sempre più urgente aprire un cantiere di progettazione all’interno del più ampio tema dell’Open Government dove istituzioni (centrali e locali), parlamentari e organizzazioni della società civile possano ritrovarsi per l’avvio del percorso di messa a sistema di questa “nuova” partecipazione dei cittadini alla vita politica. La società civile è pronta, il governo faccia il passo necessario.

NELLO IACONO

Stati Generali Innovazione

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Verso il “G-Cloud” ...perché le nuvole non amano i confini

DI PAOLO COLLI FRANZONE

3.800 data center “o quasi” (forse almeno 2.000 sono “sale server” non propriamente definibili data center); quasi 60 mila server. Questa è l’infrastruttura IT della pubblica amministrazione e della sanità italiana secondo dati Netics del 2012 (anno di ultima rilevazione disponibile ad oggi). Per un costo complessivo (tra costi del personale, ammortamenti, servizi di manutenzione esternalizzati, spese per l’alimentazione e il raffreddamento) stimato intorno ai

2,16 miliardi di Euro, sempre da dati Netics. In pratica, il 40% circa della spesa IT complessiva (compresi i costi interni) di PA e Sanità in Italia. Nel frattempo, si parla sempre più concretamente di un “piano data center”, già dotato (perlomeno sulla carta) di un primo “tesoretto” di 161 milioni di Euro riservato alle Regioni firmatarie del Piano d’Azione (Calabria, Basilicata, Sardegna e Molise). Il piano complessivo ipotizza la realizzazione di 40 data center lungo l’intera penisola, un’infrastruttura

dimensionalmente, ma anche politicamente, “importante”. Non tutti questi quaranta data center verranno costruiti “partendo da zero”: l’Agenzia per l’Italia Digitale parla di “un ruolo importante per le Regioni” e di “valorizzazione dell’infrastruttura esistente, laddove adeguata”. L’obiettivo è giungere alla “rottamazione” dell’infrastruttura IT pubblica attuale e alla realizzazione di una sorta di “cloud privato federato” cui afferiscano i sistemi informativi di Stato, Regioni, enti locali e sanità.

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Si tratta, evidentemente, di un programma ambizioso e dalle dimensioni significative sia in termini di investimenti necessari, che di risultati attesi. Piano che, con ogni probabilità, arriverà al suo pieno compimento nel giro di non meno di 6-8 anni. L’occasione è buona, e non solamente per i venditori di hardware e di tecnologie: il cloud computing, infatti, “rischia” di essere la “buona scusa” per rivedere, standardizzando-

li tutti laddove possibile, i processi di produzione dei servizi da parte della PA e della Sanità. Dando finalmente un senso alla parola “riuso” e aprendo un mercato per cloud services provider capaci di soddisfare i bisogni di una “nuova” domanda. Occasione che può trasformarsi in “problema serio” per tutti i software vendor che non sapranno dare vita a modelli di business un pochino meno antiquati del “un tanto per la licenza d’uso, un tanto per la manutenzione annuale”.

“Licenziamo le licenze”, verrebbe da dire. Sembra facile, ma non lo è: ancora troppi vendor (a partire dai piccoli e piccolissimi ISV) fanno fatica a mandare in pensione un business model basato fondamentalmente sul “lock-in”: “diventi mio cliente, e farò di tutto per non farti andare via rendendoti la vita difficile allorquando deciderai di abbandonarmi”. È evidente che l’obiettivo di tenersi un cliente a vita è “sacrosanto”. Solo che il cliente bisognerebbe riuscire a tenerselo con la qualità del servizio fornitogli e non col “ricatto”. Non che tutti i software vendor facciano così, certamente. Molti sono già riusciti a “riconvertirsi”, sposando la logica del servizio e del coinvolgimento proattivo del cliente. La realizzazione del “G-Cloud” potrà dare la spallata definitiva ai “furbetti del quartierino”, anche grazie alle raccomandazioni dell’AGID e del Garante, fortemente orientate alla tutela del cliente acquirente di servizi sul cloud e dei suoi dati. Sempre sull’onda dell’ottimismo, il piano di azione per il “G-Cloud” potrà – una volta per tutte – mettere fine alla mai dichiarata rivalità tra Stato e Regioni in materia di sistemi informativi della PA. Perché le nuvole non amano i confini e non si possono circoscrivere. Che sia, quindi, un G-Cloud federato, ma federato sul serio. Cooperativo, collaborativo, coeso. Orientato alla generazione di valore per il “cliente finale”: il cittadino e l’impresa, destinatari dei servizi della PA e della Sanità. Sarebbe un successo. Lo sarà?

PAOLO COLLI FRANZONE

Direttore generale, Netics

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Editoria Digitale Scolastica Verso un modello innovativo di gestione dei contenuti DI GERMANO PAINI

La mancanza di un Piano organico capace di portare la scuola a sostenere lo sforzo dell’Italia nella competizione con il mercato globale costituisce il nodo problematico a cui si può ascrivere il nostro ritardo rispetto agli altri paesi. Un Piano strutturato dal punto di vista metodologico, che consideri in un’ottica innovativa tutte le più

rilevanti questioni aperte, inquadrandole in una prospettiva strategica, di confronto tra i soggetti coinvolti, e di sostenibilità economica. Tra le questioni più critiche, anche per le implicazioni che apre sul fronte culturale, pedagogico ed economico, va collocata la questione dell’editoria digitale scolastica, alla definizione del

cui ruolo concorrono - oltre al quadro normativo - le istanze formative di una scuola 2.0 in crescente evoluzione e risposte di mercato eccessivamente caute, orientate alla gestione digitale, secondo logiche proprietarie, di contenuti concepiti per il cartaceo. Lo slittamento dei temi dell’editoria digitale scolastica, nonostante il qua-

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dro normativo1 di questi anni e le indicazioni del Piano Nazionale Scuola Digitale2, ha comportato e comporta una mancata corrispondenza alle esigenze della scuola che impone una riflessione di ampio spettro e una proposta articolata che tenga conto di almeno tre ambiti di analisi critica (ermeneutico, pedagogico, economico) svincolati da implicazioni di natura tecnologica. RIFLESSIONE ERMENEUTICA La prima riguarda la possibilità di un approccio di tipo ermeneutico3 al testo scritto che, superandone la struttura espositiva, metta in campo la ricchezza dei rimandi reticolari e connettivi sottostanti. In tutte le forme, dall’antichità fino ai nostri giorni, un simile approccio interpretativo è stato infatti funzionale alla possibilità di recuperare e attivare le estensioni reticolari sottese al testo, in una costante ‘spinta’ a superare la ‘chiusura’ del sapere determinata dalla stampa. Non si intende ovviamente negarne il ruolo di veicolazione democratica e culturale del sapere, ma recuperare e riattualizzare le possibilità di estensione ed implementazione aperta e collaborativa del testo che la stampa stessa ha, in qualche modo, sacrificato. Valga per tutti il richiamo a quel che è possibile definire come il “Paradosso 2.0 di Erasmo da Rotterdam” che

disponeva, in quanto studioso del suo tempo, della possibilità di interagire con il testo e con gli altri lettori attraverso le ‘glosse’ (i post) in maniera analoga a quel che un utente di oggi attua nella sua azione come prosumer di contenuti nel web 2.0. È oggi possibile disporre di una rilevante opportunità culturale, orientata allo sviluppo condiviso della conoscenza, ad una semantica socialmente definita e ad una reale accessibilità ai contenuti da parte di un’ampia fascia di popolazione, senza vincoli sociali o di carattere spaziale e temporale. RIFLESSIONE PEDAGOGICA Nelle sue implicazioni pedagogiche, la riflessione sull’ermeneutica del testo offre una rilevante opportunità alla didattica per competenze. Competenze intese, già nel 2008, nell’ambito del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente come “comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo personale e professionale” 4, secondo una definizione cui si è recentemente allineato - con alcune peculiari estensioni di senso – anche il Sistema nazionale della certificazione delle competenze nel definirne segnatamente le caratteristiche come “comprovata capacità di utilizzare – in situazioni di lavoro, di studio e nello sviluppo profes-

sionale e personale – un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale ed informale”5. Nella pratica didattica e nella tradizionale prassi elaborativa e selettiva dei contenuti dei libri di testo, il ricorso da parte dei docenti a ‘collazioni’ integrative con parti desunte da autori diversi, citazioni, elaborazioni personali, oltre a consentire agli studenti di disporre di intrecci e rimandi reticolari tra gli elementi, si configura come condizione attuativa di un processo sociale di arricchimento e di ri-organizzazione assimilabile, a tutti gli effetti, ad una logica che colloca il ‘testo dentro al testo’. Al fine di favorire l’acquisizione della ‘competenza’ di usare le conoscenze è necessario che gli studenti dispongano di contenuti scomponibili, ri-componibili e modulabili per poterli gestire liberamente (senza vincoli anacronistici) nell’esercizio di ricostruzione delle relazioni che ne caratterizzano l’intrinseca ricchezza. A fronte di questo bisogno formativo, le ‘soluzioni digitali’ che conservino lo schema ‘chiuso’ del libro stampato, che non consentano cioè di utilizzare liberamente e senza vincoli i contenuti, non corrispondono alle attuali esigenze della didattica e della scuola. Quali sono le possibilità che devono essere garantite dall’editoria digitale e quali opportunità può offrire il digitale? Attraverso quali passaggi è necessario gestire il percorso di evoluzione dalle forme tradizionali di editoria cartacea (in cui il testo è strutturalmente chiuso) a quelle in formato digitale (in cui il testo può aprirsi al valore interpretativo degli intrecci e delle connessioni reticolari)? L’inquadramento del percorso deve muovere in primo luogo dalle esigenze della scuola e della formazione (che rappresentano la domanda del mercato) e dall’interazione con l’offerta editoriale, che rappresenta un rilevante, ma - come è ormai evidente - non univoco, fornitore dei contenuti. La scuola ha bisogno di contenuti di qualità, provenienti da più fonti, iged.it 02.2013

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disponibili in forma disaggregata e modulare, manipolabili secondo le esigenze della ‘progettazione didattica’, utilizzabili senza vincoli restrittivi e indipendentemente da singole piattaforme editoriali proprietarie. Contenuti che si prestino a sperimentare ed elaborare forme di libro ‘esteso’ o ‘aumentato’, ovvero integrabili con altri contenuti raggiungibili sul web, prodotti dagli stessi protagonisti della formazione con modalità individuali, aggregative e organizzative da fonti diverse e/o resi disponibili da una pluralità di editori. L’abbonamento a contenuti editoriali liberi da vincoli Dobbiamo guardare alla problematica con occhi e approcci innovativi considerando l’ipotesi di utilizzare forme di abbonamento che consentano a docenti e studenti, nel riconoscimento dei diritti di valorizzazione autoriale, di accedere a contenuti sufficientemente disaggregati e, soprattutto, liberi da vincoli restrittivi sull’uso e il ri-uso. Agiscono in senso limitativo, in un simile scenario, le criticità e le problematiche non ancora risolte dalla scuola, oltre alla preoccupazione degli editori rispetto alle posizioni di mercato. Dal canto suo, l’istituzione scolastica deve attuare un ripensamento efficace dell’organizzazione complessiva del

‘sistema scuola’, operando in termini di ridistribuzione degli spazi e dei tempi, di potenziamento della connettività e della dotazione di device (one to one computing), nonché di sviluppo di comunità di pratica orientate all’ottimizzazione di soluzioni comuni di gestione dei contenuti e degli abbonamenti stessi. RIFLESSIONE ECONOMICA Uno sguardo a contesti diversi dal mercato editoriale, - come per es. quello del comparto musicale, - chiamato ad affrontare, negli ultimi anni criticità e trasformazioni epocali - consente di inquadrare ed affrontare anche la dimensione economica tra i piani di riflessione critica sollecitati. Il settore musicale ha dovuto fronteggiare e subire l’inarrestabile affermarsi della scomposizione dei contenuti e la libertà d’uso da parte degli utenti, rappresentata dalle pratiche di sharing illegale di file MP3. Dopo il passaggio a forme diverse di vendita legale di contenuti frazionati e di ‘pay for use’, sta ora affrontando, nel suo percorso evolutivo, nuovi possibili salti paradigmatici. Emblematico, in questo processo, è il caso di iTunes Match, un servizio lanciato da Apple nel corso del WWDC 2011 ed approdato in Italia all’inizio del 2012 per affrontare – guadagnan-

do e facendo guadagnare i discografici - il problema della pirateria e la crisi del mercato. Con iTunes Match l’utente paga un canone di abbonamento di 24,99 € all’anno, attraverso il quale può caricare e conservare sulla sua iCloud fino a 25.000 brani singoli, inclusi quelli prodotti dai cd, acquistati on line e quelli acquisiti illegamente con il file sharing, per poi gestirli in libertà utilizzando fino a 10 dispositivi diversi (computer, lettore mp3, smartphone, ecc.). Apple mette disposizione la possibilità per gli utenti di regolarizzare i brani illegalmente acquisiti e anche la possibilità di disporre di brani di maggiore qualità, qualora fossero disponibili sull’iTunes Store. Cosa cambia nel mercato musicale Oltre al superamento delle logiche di acquisizione illegale dei contenuti, diventa possibile un recupero delle relative perdite, attraverso - come emerge dallo studio di alcuni dei dati disponibili sul tema - un incremento dei guadagni non indifferente per le case discografiche. Nelle diverse soluzioni oggi disponibili il guadagno delle case discografiche è pari al: • 54% per la vendita di un CD; • 47% per ogni brano distribuito dall’iTunes Store; • 62% per ogni anno di abbonamento iTunes Match. Nel caso di iTunes Match, la percentuale del canone di 24,99 € a disposizione delle case discografiche è maggiore rispetto a quanto distribuito dal mercato tradizionale, anche in considerazione della ricorsività dei guadagni che gli abbonamenti annuali garantiscono nel tempo. L’incremento del guadagno dei discografici contribuisce inoltre al recupero delle cifre non percepite a causa della pirateria.

Figura 1 - La distribuzione dei ricavi del mercato musicale

RIFLESSIONI CONCLUSIVE E PROPOSTE AGLI EDITORI Il contesto è certamente diverso: nel mercato editoriale non siamo di fronte ad una situazione di ingovernabilità come quella in cui si è trovato il mercato musicale e non si

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intende prospettare una soluzione strettamente corrispondente a quella di iTunes Match che, peraltro, non è la sola in un mercato dei contenuti in forte evoluzione. Tuttavia, la necessità di ricorrere a modelli innovativi per favorire il transito della scuola italiana verso l’editoria digitale, senza scontri di posizione e battaglie pregiudiziali, appare improcrastinabile. Un ulteriore ritardo nel considerare in prospettiva le trasformazioni possibili e nel mettere in campo gli attori coinvolti nel processo per una riflessione aperta e innovativa - prima che qualche grande player del mercato globale scenda in campo a giocare una partita dai contorni monopolistici - potrebbe rivelarsi infatti esiziale. La sfida proposta intende affrontare insieme un ribaltamento di paradigma che sappia corrispondere alle necessità dell’innovazione della scuola, offrire una proposta funzionale alla gestione ermeneutica dei testi e consentire di cogliere le nuove opportunità del mercato. Una sfida anche a collaborare per sostenere lo sviluppo culturale, sociale ed economico del Paese. NOTE

Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici (Legge 9 gennaio 2004, n. 4) - (G.U. n. 13 del 17 gennaio 2004) h t t p : / / w w w. c a m e r a . i t / p a r l a m / leggi/04004l.htm Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (D.L. 112/ 25 giugno 2008, art. 15 - Costo dei libri scolastici) - (G.U. n. 147 del 25 giugno 2008, S.O.) convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, art. 15, comma 3, lett. a) e b) – Caratteristiche tecniche e tecnologiche dei libri di testo - (G.U. n. 195 del 21-8-2008, S.O.) h t t p : / / w w w. c a m e r a . i t / p a r l a m / leggi/08133l.htm MIUR - D.M. 41 dell’8 aprile 2009, art. 2, All. 1, punto 1/C – Caratteristiche tecnologiche per i libri di testo nella versione on-line e mista 1

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/ web/istruzione/dm41_09 MIUR - C.M. 18 del 9 febbraio 2012 - Adozione dei libri di testo per l’anno scolastico 2012-2013 - Indicazioni operative h t t p : / / h u b m i u r. p u b b l i c a . i s t r u z ione.it/a lfresc o/d/d/work sp ac e/ SpacesStore/6378aafa-f585-4609-a817b02ba57c3758/cm18_12.pdf Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese (D.L. 179/ 18 ottobre 2012, sez. III, art.11 - Libri e centri scolastici digitali) (G.U. n. 245 del 19-10-2012 - S.O. n. 194) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 - (G.U. n. 294 del 18-12- 2012 – S.O. n. 208). h t t p : / / w w w. g a z z e t t a u f f i c i a l e . it/atto/serie_generale/caricaD etta g lioAtto/orig inario ?atto. dataPubblicazioneGazzetta=2012-1218&atto.codiceRedazionale=12A13277 MIUR - Normativa 2013 – Prot. AOODGOS 378 del 25 gennaio 2013 - Adozione dei libri di testo per l’anno scolastico 2013-2014 – Indicazioni operative http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/ web/istruzione/prot378_13 MIUR - D.M. 209 del 26 marzo 2013, art. 1, All. 1, 1-2 http://hubmiur.pubblica.istruzione. it/alfresco/d/d/workspace/Spa cesStore/bf04103c-2308-48a1-9505d19fc596d40b/cs260313_all1.pdf

neutica_(Dizionario-di-filosofia)/ http://prezi.com/9puij1rqdt4y/ermeneutica-delleditoria-digitale-20130428/ Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF) - Raccomandazione 2008/C 111/01 Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio, 23 aprile 2008, p. 11, Allegato 1 http://ec.europa.eu/education/pub/pdf/ general/eqf/broch_it.pdf 4

Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del Sistema nazionale di certificazione delle competenze, a norma dell’articolo 4, commi 58 e 68, della Legge 28 giugno 2012, n. 92.
- (D. lgs. 13/16 gennaio 2013, p. 5, art. 2, comma e) - (G.U. n. 39 del 15 febbraio 2013) h t t p : / / w w w. g a z z e t t a u f f i c i a l e . it/atto/serie_generale/caricaD etta g lioAtto/orig inario ?atto. dataPubblicazioneGazzetta=2013-0215&atto.codiceRedazionale=13G00043& elenco30giorni=true 5

2 http://www.agenda-digitale.it/agenda_di-

gitale/images/documenti/piano_nazionale_scuola_digitale.pdf http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/ web/istruzione/piano_scuola_digitale http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/ web/istruzione/piano_scuola_digitale/ editoria_digitale_scolastica Rapporto OCSE/OECD: Avvisati, F., Hennessy, S., Kozma, R.B., Vincent-Lancrin, S., Review of the Italian Strategy
for Digital Schools, OECD Education Working Papers, No. 90, OECD Publishing, 2013 h t t p : / / w w w. ke y 4 b i z . i t / f i les/000218/00021896.pdf ermenèutica s. f. [dal gr. ἑρμηνευτική (τέχνη), propr. «arte dell’interpretazione»; v. ermeneutico]. – Arte, tecnica e attività d’interpretare il senso di testi antichi, leggi, documenti storici e simili […] http://www.treccani.it/vocabolario/ermeneutica/ http://www.treccani.it/enciclopedia/erme3

GERMANO PAINI

Data Science, Cultura dell’innovazione, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale Università di Milano-Bicocca

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HTML5

La piattaforma di convergenza DI ALESSANDRA DONNINI

Il 31 maggio scorso, a Pisa, ho partecipato all’evento organizzato dal W3C su CSS3 & HTML5 (www. w3c.it/events/2013/css3html5), mentre l’anno scorso a Roma, sempre a cura del W3C, a quello per seguire lo sviluppo del linguaggio di markup HTML5 e del CSS3. HTML5 è lo strumento per unificare le piattaforme di esecuzione delle applicazioni e in questo articolo spiego le motivazioni che portano alla realizzazione di una piattaforma di convergenza come HTML5. Mi permetto una premessa in stile Blade Runner: in qualità di paleoinformatica ho visto molte rivoluzioni nel mondo dell’informatica, ho visto nascere i database relazionali, il web, e in particolare le architetture software client-server, con client thick1, cioè spesso, per le quali ho sempre nutrito un certo ribrezzo, dato che non c’era nessun criterio per stabilire quanto dovesse essere “thick” il client. Queste architetture inoltre invecchiavano rapidamente: negli anni passati, la caratteristica di queste ultime era infatti che tutti i componenti venivano sviluppati ad hoc, per cui le evoluzioni naturali del software di base, ovvero la nuova versione di un sistema operativo o di un database, avevano impatto su tutta l’architettura che si basava su ingranaggi e interazioni delicate, quasi mai standard: bastava poco e non funzionava più niente. Ho visto progetti (anche abbastanza recenti) della Pubblica Ammini-

strazione che sono diventati molto velocemente obsoleti a causa di scelte architetturali infelici, con conseguenti sprechi di denaro pubblico: magari solo perché il responsabile tecnico del progetto, il cosiddetto software architect, rinunciava a realizzare una applicazione web “perché con il browser non si può fare tutto”, e cadeva nella trappola dell’architettura client-server, client thick e protocollo di comunicazione proprietario. L’architettura web, la standardizzazione di formati e protocolli a cura del W3C, hanno messo un po’ di ordine alla confusione generale, e questo processo sta raggiungendo uno degli obiettivi più alti con la definizione e la standardizzazione di HTML5. HTML è il linguaggio di markup che serve per creare i documenti su Internet, le cosiddette pagine web. Il linguaggio HTML è evoluto nel tempo ed è stato formalizzato dal W3C che ha prodotto una Reccomendation che descrive come si devono comportare i browser nell’interpretazione del linguaggio. Fino ad HTML4 il linguaggio ha descritto l’organizzazione del documento da presentare su browser: in HTML4 sono presenti informazioni del tipo “questo è un titolo”, “questo è un elenco di informazioni”, “questa è una immagine” ecc… Per animare i documenti web, successivamente, sono nati i linguaggi client come javascript e le sue evoluzioni, come jQuery, AUI: il client

è diventato un po’ più thick, infatti, con questi linguaggi, sono state fatte quelle parti delle applicazioni web che animano i siti e i portali internet, come gli slider (le immagini che scorrono sul video), i pannelli che si aprono e chiudono con un click. Fino ad arrivare di nuovo a veri propri client thick, come ad esempio quelli sviluppati con il framework http://backbonejs.org/. Nel frattempo, i dispositivi per la fruizione sono cambiati, siamo passati dal desktop ai portatili e, infine, sono arrivati gli smart device e i tablet, con diversi sistemi operativi e con sensori più specifici come il GPS che permette di geolocalizzare il dispositivo, il touch screen, l’accelerometro che ne definisce la posizione nello spazio, la fotocamera per fare video e fotografie. Con smart device e tablet sono arrivate le APP ed è stato il trionfo dell’architettura client-server con client thick. Per tutti quelli che devono fornire un servizio più o meno collegato a

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Internet, attualmente fare un’APP è una specie di dovere, anche se l’APP non usa nessuno dei sensori locali, anche se invia solo una email o permette di solo di leggere o scrivere qualche informazione. Fare un’APP vuol dire avere uno spazio e un logo sull’iPad, sull’iPhone (con sistema operativo IOS) o sul tablet Android dell’utente, insomma vuol dire esserci. L’entropia aumenta a dismisura, 50 miliardi di APP scaricate dall’App Store della Apple e, naturalmente, quello che funziona su iPhone e iPad non funziona su Android, o almeno non automaticamente. Tutto questo potrebbe finire semplicemente con HTML5. HTML5 infatti non è più solamente il linguaggio per la definizione dei documenti, ma rappresenta lo sforzo di standardizzazione delle funzionalità del client, comprese le funzionalità degli smart device. Questo processo di unificazione viene dichiarato anche nel logo di HTML5 in cui compare la scritta One Web for All: perché HTML5 è la piattaforma di convergenza. HTML5 è la piattaforma che potrebbe eliminare (ancora una volta) la proliferazione dei client thick. Il condizionale è d’obbligo: gli interessi in gioco, come si intuisce, sono enormi e la convergenza lontana. HTML5, infatti, non è ancora uno standard, attualmente esiste una release candidata che è in fase di test, ma il processo di standardizzazione è definito e alla fine del 2014 verrà prodotta una Reccomendation.

Nel frattempo è possibile valutare quanto è conforme con HTML5 allo stato dell’arte il browser che stiamo utilizzando al sito http:// html5test.com/: i più importanti browser come Chrome, Firefox, Opera e, in ultima analisi, anche Internet Explorer, si stanno infatti adeguando velocemente al futuro standard.

browser, cosa possiamo fare? Possiamo usare HTML5, ad esempio, per realizzare un portale della Pubblica Amministrazione? Sembrerebbe sensato dire di sì, al fine di investire i soldi della PA in nuove tecnologie invece che in tecnologie che vanno verso l’obsolescenza, purché lo si faccia usando costrutti “stabili” e rispettando i requisiti di accessibilità.

Cosa vuol dire che è una piattaforma di convergenza? Che tutte le APP potrebbero funzionare tranquillamente su browser, e quindi sui nostri smart device e tablet potrebbe esistere tranquillamente un’unica applicazione: il browser. Di contro i browser saranno sempre più potenti, perché devono gestire i sensori locali degli smart device, come la telecamera e il GPS. Infatti, il linguaggio di markup HTML5 è molto più potente del suo predecessore. Con HTML5 si può dire al browser: “fai partire il microfono e registra anche vocalmente l’input per questa form”, “quando l’utente preme il bottone fai partire la telecamera”, “prendi le coordinate geografiche della posizione dell’utente” e tante altre cose di questo genere.

In realtà il nuovo decreto sull’accessibilità dei siti della Pubblica Amministrazione dice che sono ammissibili tecnologie di base definite da: … le Recommendation del W3C relative al linguaggio HTML nella versione 4.01 e successive e al linguaggio XHTML nella versione 1.0 e successive …

L’obiettivo è veramente immenso, infatti HTML5 si propone come linguaggio per disaccoppiare il software dalla piattaforma hardware su cui viene eseguito e promette di unificare TUTTE le piattaforme su cui può essere eseguito un browser, che a questo punto non si limiteranno più agli smart device e i tablet, ma includeranno le televisioni, le piattaforme di gioco e, addirittura, le automobili.

Questo esclude HTML5 che, come indicato sopra, diventerà Reccomendation solo nel 2014 e quindi non è compreso fra le tecnologie di base utilizzabili: forse l’Agenzia per l’Italia Digitale dovrebbe rivalutare questo aspetto. NOTA:

1

Fat client (chiamato anche heavy, rich o thick client) in una architettura client/ server è il client che esegue il grosso delle operazioni. I dati Rimangono comunque salvati sul server. Nonostante il termine venga spesso utilizzato in riferimento al software, può essere utilizzato anche per computer di reteparticolarmente potenti. (fonte WWW.PC-FACILE.COM)

Scrivendo il client in HTML5 questo sarà compatibile e quindi funzionerà su tutte le piattaforme che lo supportano, e il client potrà essere un po’ thick, ma sarà comunque standard, il che garantirà l’investimento nel tempo anche se cambieranno le versioni del software sottostante. Ma nel frattempo, prima della fine del 2014 e dell’adeguamento dei

ALESSANDRA DONNINI

Direttore Tecnico, Etcware

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Dal marketing al franchising Breve storia de L’Ippogrifo® A CURA DELLA REDAZIONE

L’Ippogrifo® è un’agenzia specializzata in marketing e comunicazione B2B fondata nel 1996 a Trieste dai fratelli Andrea e Nevio Zucca. Con una specializzazione ultradecennale nei processi di marketing e commerciali del mercato business to business, L’Ippogrifo® offre strategie di comunicazione globali, al fine di offrire ai clienti un unico interlocutore che permetta di raggiungere più rapidamente gli obiettivi prefissati. “Sono passati parecchi anni - dichiara Andrea Zucca, CEO de L’Ippogrifo® - dal lontano 1996. In tutto questo tempo abbiamo raggiunto traguardi significativi che ci hanno permesso di ampliare notevolmente il nostro giro d’affari e il nostro portafoglio clienti. Oggi L’Ippogrifo® può vantare altre due sedi a Milano e a Roma e una rete capillare di consulenti affiliati in franchising sparsi lungo tutta la penisola per servire le PMI italiane”. Grazie a progetti di marketing operativo che integrano varie discipline strategiche quali direct marketing, web, pubbliche relazioni e comunicazione tradizionale, i clienti che si rivolgono all’agenzia sono in grado di aumentare le vendite e sviluppare il proprio business in tempi rapidi.

La passione e il piacere di condividere con i clienti progetti nei quali con il marketing e la comunicazione buone imprese e prodotti vengono resi eccellenti per i mercati, sono i valori e le leve che permettono all’agenzia una crescita costante nel tempo ed un portafoglio in continuo aumento. Nei progetti in cui il cliente ha l’obiettivo di far crescere la sua impresa, L’Ippogrifo® focalizza un solo parametro: il ROI, la redditività degli investimenti intrapresi. Spesso si tende a confondere le azioni pubblicitarie come qualcosa di difficilmente controllabile in termine di risultati ed effetti prodotti: la cultura dell’agenzia e la tipicità dei mercati B2B rendono questa credenza lontana dalla realtà. Tutti i progetti realizzati hanno l’obiettivo di generare profitto per il cliente, ritorni misurabili degli investimenti effettuati, aumento della clientela e delle vendite. La fase iniziale di approccio e conoscenza tra un nuovo cliente e l’agenzia é caratterizzata generalmente da uno studio di fattibilità e da una consulenza nella quale si definiscono gli obiettivi e si individuano le possibili azioni strategiche. Il cliente, in questo step, si interfaccia con un consulente di marketing che provvede ad un check up

ANDREA ZUCCA

NEVIO ZUCCA

CEO de L’Ippogrifo®

Direttore di produzione de L’Ippogrifo®

gratuito dell’azienda propedeutico alla chiara identificazione di bisogni e opportunità; successivamente, se ci sono i presupposti, l’agenzia presenta un progetto che, se approvato, dà inizio alla collaborazione e all’investimento. Nel contesto delle agenzie sono poche le realtà specializzate nel business marketing B2B che possono offrire un ventaglio così completo di servizi. Collaborando con L’Ippogrifo®, infatti, il cliente trova un interlocutore che conosce perfettamente i processi di vendita nei mercati business to business e riceve quindi progetti in cui l’applicazione di consolidati modelli e procedure operative determinano la sicurezza della resa degli investimenti. La situazione che fa esprimere al meglio le potenzialità de L’Ippogrifo® è quella in cui l’impresa cliente sposa in toto un progetto di crescita costruito assieme all’agenzia. Dove l’obiettivo finale sia la costruzione di un’immagine ed un posizionamento forti, L’Ippogrifo® offre tutta la sua pluriennale esperienza integrando diversi servizi e attività. L’applicazione di questo modello operativo, denominato Marketing & Sales Suite®, si sviluppa in un progetto, confezionato ad hoc per ogni azienda, nel quale vengono adottate tutte le leve di marketing ritenute necessarie per il raggiungimento degli obiettivi finali. Oltre al Marketing & Sales Suite®, da qualche tempo è attivo anche L’Ippogrifo World®, un set completo di servizi per cogliere le opportunità di crescita e sviluppo sui mercati esteri, allo scopo di favorire il processo di internazionalizzazione delle imprese. “Si tratta di un insieme di servizi completo - dichiara Andrea Zucca - in grado di offrire una vera risposta ai bisogni di mercato. La crescita del nostro know-

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how ci ha permesso di abbracciare anche servizi nell’area vendite che permettono un reale aumento di competitività all’interno di un mercato purtroppo ancora in crisi. La nostra lunga esperienza e le centinaia di case history trattate, oltre alle peculiarità dei mercati B2B, permettono all’agenzia di offrire garanzie di risultato per ogni progetto svolto”. Un approccio diverso, invece, regola le partnership di respiro pluriennale. Dove siano presenti le condizioni, L’Ippogrifo® applica l’innovativa clausola Formula ROI Garantito®, garanzia per il cliente di “protezione” degli investimenti effettuati. “È un’innovativa clausola contrattuale - spiega Nevio Zucca, direttore di produzione de L’Ippogrifo® - attraverso la quale garantiamo ai clienti la resa dell’investimento effettuato. La applichiamo nei progetti in cui condividiamo con il cliente una partnership importante, di medio periodo, e dopo una fase di analisi e di fattibilità in cui vengono valutate tutte le variabili del piano”. Formula Lead Garantito®, invece, garantisce nei progetti di lead generation il numero di lead che il cliente deve ottenere dalla campagna. “La forza dell’agenzia - continua Nevio Zucca - sta comunque nella trasversalità delle esperienze maturate e nella diversa tipologia di clienti trattati, un patrimonio acquisito negli anni che mettiamo a disposizione dei nostri partner per soddisfare qualsiasi richiesta o esigenza”. Il valore aggiunto che L’Ippogrifo® offre ai suoi clienti è pertanto il know how acquisito negli anni grazie anche a clienti importanti quali Insiel Mercato, Boscolo Group, ANSA, Esa Software, Impresa24, Innovare24 - Gruppo 24 Ore, Banca Sella, Came Cancelli, Zest Gaming Inc., Domotecnica, Pavanello Serramenti, Sportler, Siseco, Yarix, Stefano Tacconi, G’ala Gelaterie, Studio Martelli & Partners. Nel 2009, con la nascita de L’Ippogrifo LAB®, arriva la svolta. “Sentivamo che era il momento giusto afferma Andrea Zucca - per intraprendere un progetto innovativo al quale stavamo pensando da tempo: la creazione del primo franchising italiano di

marketing e comunicazione per il settore B2B. Ed è stato così che abbiamo cominciato a vendere i nostri servizi attraverso un network di affiliati presenti in tutte le regioni della penisola. Da allora - prosegue Zucca - in netta controtendenza rispetto al periodo di congiuntura internazionale e al mercato, L’Ippogrifo® si è rivelato un vero e proprio fenomeno d’eccezione all’interno del settore marketing e comunicazione. Da gennaio 2009 a oggi, infatti, il network di affiliati è riuscito a conquistare il consenso di un vasto settore del mercato, costituendo un’efficace risposta ai bisogni della PMI”. Ma come funziona il progetto franchising de L’Ippogrifo LAB®? Grazie all’instancabile dinamismo commerciale del team di consulenti di marketing e comunicazione (i franchisee) in grado di cogliere le innumerevoli opportunità di business offerte dalle oltre cinque milioni di imprese italiane. Dal canto suo, l’agenzia supporta la rete dei franchisee con azioni mirate di marketing e commerciali, funzionali allo sviluppo del business dell’affiliato. Un call center lavora con costanza per le attività di lead generation sulle imprese clienti potenziali, un piano di formazione completo viene programmato anno per anno, azioni di brand awareness (web site, ufficio stampa, fiere ed eventi, pr) sono costantemente programmate da L’Ippogrifo LAB® per aumentare la notorietà del marchio all’interno del mercato. “Ad oggi - prosegue Zucca - i clienti reclutati dagli affiliati su tutto il territorio nazionale sono oltre 150, e contribuiscono a confermare la solidità del progetto e la costante crescita delle quote di mercato de L’Ippogrifo LAB® in Italia. Dall’informatica al settore alimentare, insieme ad altre numerose tipologie merceologiche, sono sempre più le aziende che hanno scelto di affidarsi ai servizi proposti dalla nostra rete e avviare con loro una partnership di lungo periodo fondata in primis sulla fiducia, ma soprattutto sulla redditività degli investimenti effettuati. Il nostro obiettivo - conclude Zucca - è di raggiungere nel giro di qualche anno il numero di 50 affiliati”. Attualmente, il comparto del franchising è uno dei pochi sistemi che continuano a crescere e dare risultati positivi

nelle percentuali di aumento dei volumi d’affari. Far parte di un network di franchising significa per gli affiliati avere maggiori garanzie di crescita e successo professionale. La rete è più forte dell’imprenditore autonomo, fa sistema, garantisce migliori perfomance agli affiliati e ai clienti finali. Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere l’affiliato ideale per il progetto L’Ippogrifo LAB®? “Il franchisee de L’Ippogrifo LAB® - spiega Nevio Zucca - è un professionista preparato, un consulente commerciale autonomo, che fa da interfaccia tra il cliente e l’agenzia, con un buon network relazionale personale e tanta voglia di crescere. Il suo compito è quello di affiancare il cliente e seguirlo in una partnership di lungo periodo, offrendogli, dalla consulenza all’operatività, tutti i servizi di marketing e comunicazione di cui necessita. Le attività operative vengono invece realizzate dal team dell’agenzia, fatto di professionisti con anni di esperienze e progetti alle spalle”. L’ambizione principale del progetto Franchising de L’Ippogrifo LAB® è quello di promuovere la cultura del marketing e della comunicazione verso il maggior numero di imprese possibili. Sembra paradossale, ma ancora oggi la maggioranza delle aziende italiane non colgono le potenzialità delle leve del marketing e restano ancorate a schemi commerciali obsoleti e ad una pianificazione di breve periodo, senza cercare di determinare attivamente i risultati del proprio business. Per questo motivo il percorso di crescita de L’Ippogrifo LAB® non potrà che continuare a lungo, consolidandosi in questo modo come progetto vincente. Per ulteriori informazioni visitate i siti www.ippogrifogroup.com e www.ippogrifolab.it

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Con Recogniform Invoices puoi estrarne automaticamente i dati, minimizzando le operazioni di data-entry manuale, con notevole risparmio di tempo e denaro. Contattaci per una demo gratuita!

LETTURA OTTICA

il tassello che manca al tuo documentale/gestionale/erp/bpm/work-flow

Carte d’identità Patenti di guida Passaporti

Recogniform ID Processor è la soluzione per elaborarli in modo semplice e veloce, automatizzando le operazioni di registrazione. Recogniform ID Processor è disponibile anche come SDK, così da integrarsi con il tuo gestionale.

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Recogniform Technologies SpA è

l’azienda italiana leader nello sviluppo software dedicato all’elaborazione immagini e al riconoscimento ottico. L’ampia gamma di strumenti di sviluppo (SDK) ed applicazioni ready-to-use, si rivolge sia ad utenti finali che a sviluppatori ed integratori di sistemi.

Per maggiori informazioni scrivici all’indirizzo info@recogniform.it

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