il foglio di yorick_numero uno

Page 1

per

(ciò che è scomodo dire?),

il foglio di yorick più che

dare più

chiede-

risveglio le regole,

ventare

ta di ris-

etzsche, proposte che qui si ten-

fare proposte “in-

articolare in papresente, per dovrebbe dire

forse il momento leto, la sua voce

secondo quello della “realtà”.

importanza a ciò che non è o non è ancora è vivere secondo il “senso della possibilità”,

va perchè mai “si dovrebbe dare più importanza a ciò che è, che a ciò che non è”. per lui,

di una moltitudine di folli. la follia è definita solo dalla prospettiva di ciò che detta di ciò che “domina”. Musil lo chiama “il senso della realtà”, e già quasi un secolo fa si

ciò che ancora non è? ma per fare ciò, ci vuole un po’ di follia; anzi, c’è bisogno del

vegliare la sua voce. perchè dovremo rimanere confinati in ciò che è e non provare ad in-

Ni-

ad di si

inizi a parlare? è per provare role e pensieri un’altra idea dire ciò che forse non

nel senso di po... utopiche,

è

za interna ed invisibile. Non che anche in noi, come in Am-

attuali” fuori tem-

si

come una risonan-

ha mai avuto voce; egli

yorickthefool@gmail.com

parla nelle voci altrui, qua-

Yorick dunque, di per sè, non

numero uno, ottobre ‘10 idee da leggere inoltrare stampare

http://www.yorickthefool.blogspot.com


il progetto_tre esperimenti

Che cos’è “il foglio di yorick”, questa cosa che avete appena “aperto” (già, ma senza sfogliarlo!) e che, forse, vi apprestate a leggere? Si potrebbe cominciare dicendo che non è una “cosa” ben definita. È piuttosto “più cose” alla ricerca di una sintesi, di una forma nuova. Dunque è anche un tentativo, una prova: appunto, un esperimento. Proviamo a mettere un po’ d’ordine.

Primo esperimento.

Cosa ci troveremo dentro. Aprire uno spazio critico. “il foglio di yorick” vorrebbe essere un luogo per molte voci, luogo del pluralismo dello sguardo sul nostro tempo. Ma vorrebbe anche andare oltre la presentazione delle molte voci: non vorrebbe arrestarsi ad una generica condanna del nostro presente, alla denuncia e all’informazione; vorrebbe anche essere uno spazio in cui lo sguardo e la critica del presente assumono una prospettiva progettuale, sforzandosi di tracciare i contorni di un futuro possibile. Uno spazio di critica e di proposta, quindi; un foglio a partire dal quale parlare, discutere. Perché la critica mutila se stessa se non diviene (pro)positiva e non favorisce l’incontro.

Secondo esperimento.

Forme intermedie. Carta o schermo. Libro o e-book. Lo scenario del presente è un’intersezione di modi e supporti comunicativi, nessuno dei quali è ancora risultato vincente. Lanciare una sfida. Far interagire questi modi antagonisti in maniera virtuosa, complice. Il sottotitolo dice: idee da leggere inoltrare stampare. Leggere: il formato A4 orizzontale rende agevole la lettura a schermo intero (ctrl+L), rimanendo funzionale anche alla stampa su carta nel formato più tradizionale. I links attivi, colorati, permettono inoltre di usare “il foglio di yorick” come un ipertesto, collegandolo alla rete e aprendolo oltre i suoi stessi confini. Inoltrare: la diffusione de “il foglio di yorick” sarà gratuita e a portata di mouse, facile per tutti i suoi lettori. Stampare: forse la scommessa maggiore. Ogni articolo sarà un piccolo “foglio” autonomo, con tutti i riferimenti e le indicazioni presenti sul giornale. L’idea è quella dello “stampa e diffondi”: ogni lettore potrà stampare l’articolo che più gli è piaciuto o che ritiene più importante, lasciandolo poi nei luoghi dove potrà essere letto da altre persone che entreranno così in contatto con il mondo di yorick. Autobus, uffici, aule studio, piazze…. Ovunque. Stampare, insomma, per seminare le idee su terreni che forse sono fertili ma che non conosciamo nemmeno. E qui arriviamo ad una ulteriore scommessa.

Terzo esperimento.

Un nuovo lettore. Creare partecipazione, condivisione, allargare la cerchia del dibattito. Un nuovo lettore, che non si limiti a rilanciare con un clic di mouse. “stampa e diffondi” vuol dire anche scegliere luoghi da colonizzare, territori incerti verso i quali aprirsi, territori intorpiditi da scuotere. Un modo, anche, per uscire dalla virtualità telematica, per ricreare una agorà fatta di voci, di sguardi, di toni, di sostanza. Passare nelle mani di una persona un’idea per il nostro presente è occasione di parole, di conoscenza, di scambio che non sempre un “inoltra” garantisce. Un lettore che partecipi, dunque, all’opera di informazione e di proposta. Un lettore che diventi anche autore, rispondendo agli articoli e inviandone di propri. Tutto questo è in movimento, si nutre di idee scambiate tra amici a volte migliaia di km lontani. Assomiglia molto ad una avventura, e come ogni avventura non sa dove andrà a finire e chi incontrerà, né che mezzi adopererà. L’unica cosa di cui noi siamo convinti è che abbiamo bisogno di nuove forme per poter continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto: pensare.


clicca sull’immagine

scelto dalla redazione Camminando per le nostre città, sfogliando riviste di ogni tipo o accendendo la televisione, colpisce come gli spazi pubblici e i canali televisivi siano “intasati” da immagini ricorrenti che ritraggono una donna dalle forme generose, dall’atteggiamento provocatorio e la cui perfezione sfiora l’irreale. Di fronte a questi messaggi ci si chiede dove siano finite le donne “vere”, quelle che non si spaventano di essere come sono, e così vogliono essere accettate e considerate. Esse finiscono per essere le spettatrici di una progressiva regressione culturale che strumentalizza corpi e donne, contro la quale tuttavia sembrano mancare gli strumenti per un’indignazione collettiva. Questo documentario di 25 minuti vuole essere una spinta al risveglio. Realizzato nel 2009 a cura di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi, Cesare Cantù. Vi invitiamo, cari lettori, a guardare il video e a visitare il blog www.ilcorpodelledonne.net. Buona visione!

3


indice ... editoriale

Dopo l’esperimento del “numero zero”, eccoci qui pronti a lanciare il numero uno della nostra newsletter. “il foglio di yorick” è in perenne metamorfosi, si nutre dei consigli e delle idee di tutti... perciò, non esitate a farci avere la vostra opinione, a scriverci, a darci suggerimenti. sarà bello far crescere assieme questo esperimento. un grazie a tutti coloro che ci hanno sostenuto con mail di incoraggiamento dopo il numero zero: è anche grazie a loro che abbiamo cominciato a credere a questa avventura un po’ di più. e ora... buona lettura (ma non solo)!

Quell’immenso cimitero sommerso p.6

La camera da presa ci restituisce l’immagine di un mare tranquillo, mosso da leggere onde, blu e immenso. Poi si ferma su un’immagine: è l’immagine di un vecchio pescatore di Mazara del Vallo che, come è consuetudine ormai da molti anni, sale a bordo del suo peschereccio per andare a pescare.

di Alessandra Garda Emergenza educazione civica p. 9

Tutti gli anni, all’inizio di settembre e a metà giugno, i giornali parlano dei “problemi della scuola”. Garantito; tanto quanto è garantito che in estate trattano del caldo “al di sopra delle medie stagionali” e che in inverno almeno una testata titolerà “L’Italia nella morsa del gelo”. Poi passa.

di Gracco Spaziani Riflessioni su un’esperienza con Libera p.11

Qualche mese fa avevo raccontato, per Ctm altromercato, l’esperienza estiva di campo scout trascorsa con Libera- associazioni, nomi e numeri contro le mafie (parte di questo articolo riprende quanto già pubblicato sul sito www.altromercato.it), ma in quest’occasione volevo andare oltre, cercando di aprire nuovi orizzonti di riflessione.

di Laura Battistella 4


indice ... editoriale

Sudafrica, oltre i mondiali? p.14

Il Sudafrica del 2010 sarà ricordato in Italia come il Paese in cui la nazionale di calcio ha fatto una pessima figura sportiva ai Mondiali. I mega-eventi sportivi di questo genere hanno l’incredibile capacità di mettere un intero Paese al centro dell’attenzione internazionale per qualche settimana, per poi relegarlo di nuovo nella penombra che lo avvolgeva precedentemente.

di Francesco Gastaldon Tirocini e precariato. Bamboccioni è ora di organizzarsi p.17

Nel diritto del lavoro italiano esistono delle categorie ben definite per gli apprendisti e i contratti di formazione e lavoro, o simili forme di lavoro/apprendimento che permettono al lavoratore di fare esperienza, senza avere la stessa retribuzione di un lavoratore ordinario. Queste categorie sono tutelate, giuridicamente e nella pratica, con limiti agli orari, regole sulla retribuzione, sulla possibilità di eventuale assunzione.

di Stefano Panozzo Nasce la prima associazione antimafia a Verona p.20

Come si legge sullo statuto della neonata associazione di promozione sociale, le finalità principali sono la promozione della cultura antimafia, soprattutto tra le giovani generazioni, mettendole in guardia dalle infiltrazioni mafiose che ormai hanno raggiunto il Veneto e la sensibilizzazione della popolazione tramite incontri, convegni e conferenze con esperti del settore, volti ad approfondire la conoscenza diretta del fenomeno; in tal senso molta attenzione sarà dedicata alla valorizzazione delle storie di tutte quelle vittime di mafia ormai dimenticate.

comunicato stampa Lettera aperta al Sindaco Flavio Tosi p.21

G. le Sindaco Flavio Tosi, Le scrivo questa lettera aperta dopo aver meditato sui recenti fatti che hanno coinvolto, e che stanno tuttora coinvolgendo, la Lega Nord nel comune di Adro; e soprattutto dopo aver pensato a quello che Lei ha sostenuto, poche sere fa, durante la trasmissione “Otto e Mezzo”, in cui questo argomento è stato messo a tema.

comunicato di redazione Per portare avanti la nostra iniziativa abbiamo bisogno di voi… quindi “leggi inoltra e stampa!”, come dice il nostro motto. Se ogni lettore lo invia ad anche solo 5 persone, in un batter d’occhio arriviamo ad una “tiratura” di 1000 copie! Aspettiamo i vostri commenti e i vostri consigli, le vostre lettere, le vostre segnalazioni, e ovviamente i vostri articoli… non esitate a scriverci, vogliamo continuare a ragionare e pensare assieme; facciamo crescere le idee! 5


alessandra garda http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

quell’immenso cimitero sommerso

La camera da presa ci restituisce l’immagine di un mare tranquillo, mosso da leggere onde, blu e immenso. Poi si ferma su un’immagine: un vecchio pescatore di Mazara del Vallo che, come è consuetudine ormai da molti anni, sale a bordo del suo peschereccio per andare a pescare. Davanti a lui c’è un piccolo monitor di bordo nel quale sono indicate le rotte che utilizza per orientarsi in mare; prestando attenzione a questa mappa nautica digitale ci si rende subito conto che è costellata di simboli ricorrenti. Sono moltissimi e tutti uguali: si tratta di teschi. Stanno lì per indicare al vecchio pescatore, che utilizza per la pesca il metodo “a strascico”, i punti in cui è meglio non gettare le reti, i punti da evitare per non avere strane sorprese, per non rischiare di trovare, impigliato nelle reti, qualche cosa che pesce non è.

È da qualche giorno, dalla sera in cui sono stata in una famosa libreria di Bruxelles per la presentazione dell’ultimo libro di Gabriele Del Grande “Il mare di mezzo”, che questa immagine è fissa nella mia mente. Credo sia la prova tangibile della trasformazione che il nostro mare (nostro e dei nostri vicini!) ha subito in questi ultimi anni. Le onde nascondono una verità che la comunità internazionale in primis e il nostro governo hanno interesse a tenere sommersa. Una verità che invece persone come Gabriele Del Grande lavorano ogni giorno per far riemergere. Parlo di un immenso cimitero, quello dei senza identità (in quanto vengono respinti o imprigionati o ancora uccisi senza che in alcuni casi venga accertata la loro provenienza nonché il loro status giuridico), dei senza diritti, dei senza nome, dei dispersi in mare. Quel cimitero si chiama Mediterraneo. Gabriele Del Grande è un ragazzo di 26 anni, un mio coetaneo, che ha girato in lungo e in largo il Mediterraneo alla ricerca di racconti, di storie, di voci che potessero testimoniare quello che sta accadendo in questi anni al largo delle nostre coste. Ha trascorso quattro anni tra la Sicilia e la Libia, tra

Lampedusa ed Algeri. Ha visitato carceri, “centri di accoglienza” e centri di identificazione ed espulsione. Ne ha viste e sentite di ogni genere. Ha raccolto poi tutto questo materiale in vari libri ed ha fondato un sito internet, “Fortress Europe”, un osservatorio online sulle e per le vittime dell’emigrazione. Sì perché migliaia di emigrati provenienti dalla Libia, dall’Algeria, dal Marocco durante gli anni duemila sono morti nelle acque del nostro mare. Dal 1988 almeno 14.995 giovani sono morti tentando di espugnare la “Fortezza Europa”. Questa questione è complessa e i fattori da considerare sono molti. Di sicuro il grosso problema è rappresentato dal fatto che il mare è una frontiera ben diversa dai confini territoriali. Questi ultimi sono linee che dividono in maniera netta due Stati: da una parte vige il diritto di uno Stato ed immediatamente dall’altra parte le regole da applicare sono quelle dello Stato confinante. Non è così semplice quando il confine è rappresentato dal mare; o meglio, dalla zona grigia del mare. Oltrepassate le poche miglia di acque territoriali ci si trova in acque internazionali dove per l’appunto vige il diritto internazionale

6


il foglio di yorick con la conseguenza che risulta complicato accertare la responsabilità degli Stati per le azioni ivi compiute. E i respingimenti spesso avvengono in acque internazionali! Di fronte a tutto questo si assiste ad una totale indifferenza da parte della comunità internazionale e del nostro governo, che si trasforma in complicità di noi tutti verso quello che è un vero è proprio crimine contro l’umanità. Nel 2008 l’Italia ha siglato con la Libia degli accordi, a cui si stava lavorando in realtà già all’epoca del governo Prodi, con lo scopo comune di chiudere il contenzioso coloniale e allo stesso tempo combattere l’immigrazione clandestina. Si tratta di accordi di cooperazione tra forze di polizia e politiche in nome della sicurezza e della lotta contro il terrorismo. Insieme all’Italia anche l’Europa in generale sta cercando la collaborazione del colonnello Ghedda-

fi nella “guerra contro l’immigrazione illegale”, senza preoccuparsi troppo del rispetto dei diritti umani dei migranti respinti e poi bloccati in Libia o delle vite dei tanti che, pur di fuggire da situazioni terribili, sfidano la morte avventurandosi nelle acque del Mediterraneo diretti verso Lampedusa piuttosto che verso la Francia o la Sardegna. Tale complicità si allarga poi al mondo dell’informazione che alimenta il clima di terrore che vuole gli immigrati come il capro espiatorio nonché l’origine di tutti i nostri mali, gli autori di ogni episodio di cronaca nera che ormai riempie le pagine di quotidiani di ogni colore politico. Con il sostegno della stampa e dei mezzi di informazione, sta avvenendo una vera e propria strumentalizzazione di questi fatti (che dal mio punto vista faremmo meglio a definire come veri e propri crimini) da parte della propaganda operata da certi partiti italiani. È vero, se guardiamo le stime c’è stata una riduzione dei richiedenti asilo e le persone sbarcate sulle coste siciliane sono diminuite; ma a che costo? Dove sono finiti? Forse non sono partiti? Sono stati arrestati o respinti? Hanno cambiato rotta? Spesso questi immigrati

vengono respinti quando ancora sono in mare, prima ancora che raggiungano le nostre coste. Ma dove andranno? Finiscono nuovamente nei territori dai quali sono scappati. Vengono respinti senza che ci si curi minimamente se nel Paese d’origine o di transito sia garantito un rispetto minimo dei diritti umani. In tema di asilo si applica la Convenzione di Ginevra, la quale impone agli Stati di garantire protezione internazionale ai rifugiati. La Convenzione vieta agli Stati di respingere dei richiedenti asilo in uno Stato, anche se solo di transito, che non abbia ratificato tale Convenzione e che quindi non preveda uno standard minimo di rispetto dei diritti umani. A questo proposito mi chiedo: come conciliare questo divieto con la pratica italiana ormai consolidata di respingere barconi carichi di immigrati eritrei e somali verso la Libia (la quale non fa parte dei paesi firmatari della Convenzione), senza a volte neppure controllare se queste persone siano o meno destinatari di protezione internazionale? In generale in Italia basta accendere la televisione o aprire un quotidiano per rendersi conto di quanto il lessico usato per trattare queste questioni sia

7


retti di queste storie di emigrazione. C’è qualcos’altro al di là della sicurezza, questo termine in nome del quale ogni giorno autorizziamo con il nostro silenzio tali crimini. Perché molte cose non ci vengono dette, sono “sommerse” appunto. E come farle emergerle? Dando ad ognuno un nome, una storia, dando ad ogni cifra un volto, una voce. Sembra una semplice operazione, eppure porta con sé una forza rivoluzionaria. Ci permette di immedesimarci in Mérouane pieno di sogni e di speranza che saluta un padre che non rivedrà più per dirigersi verso quella che crede essere “la terra promessa”, oppure in Isaias rinchiuso in un container per ore ed ore per essere trasportato da una prigione all’altra, o ancora in Ikram morto in mare per andare in Francia a sposarsi. Tutto questo per cosa? Per quale reato? Sarà forse un reato quello di sognare, di ricercare una vita migliore, di avere il coraggio di lasciare tutto e salire su una barca per solcare un mare intero senza nessuna certezza di ciò che c’è al di là? Perché, diciamocelo, per decidere di venire in un Paese come il nostro, credo che per come si sta mettendo la situazione oggigiorno si debba avere un gran coraggio...

1 Il decreto flussi è l’atto normativo con il quale il governo stabilisce ogni anno quanti cittadini stranieri non comunitari possono entrare in Italia per motivi di lavoro; è stato approvato con cadenza annuale in base alla legge n°40/1998 Turco-Napolitano.

torna all’indice

assolutamente non appropriato e distorca la percezione del problema, essendo anzi strumentale ed alimentando un clima di paura e terrorismo psicologico assolutamente a vantaggio delle politiche repressive della classe dirigente. I termini utilizzati fanno sempre riferimento alla sicurezza, alla protezione dei cittadini, e poco si parla invece di tutela dei diritti umani o protezione dello status di rifugiato; si discrimina tra viaggiatori in buona fede e non, quasi ci fosse una differenza tra buoni e cattivi. Questo approccio contribuisce alla solidificazione sempre maggiore delle frontiere, non solamente di quelle fisiche ma prima di tutto di quelle nelle nostre menti. Ci sentiamo ripetere che gli immigrati devono essere cacciati. In realtà sono i governi che ogni anno, per mezzo del Decreto flussi1, stabiliscono il volume delle entrate, ossia il numero di immigrati che il Paese è in grado di assorbire; in poche parole la quantità di forza lavoro a basso prezzo che il mercato “richiede”, di cui il mercato necessita. Questo significa che lo Stato italiano ha bisogno di un certo numero di immigrati. Sono convinta che sia fondamentale ascoltare le voci dei protagonisti di-

Ci sentiamo spesso ripetere che il problema è in parte risolto in Italia in quanto, secondo alcune stime, si assiste ad una diminuzione degli immigrati irregolari. Ma, mi chiedo, a che costo? Che fine hanno fatto? Sono nelle carceri libiche? O forse nei centri di identificazione ed espulsione italiani? Sicuramente molti di loro sono rappresentati da quei teschi sul monitor del vecchio pescatore siciliano. La macchina da presa ritorna sul pescatore. Quel vecchio ne ha viste tante per mare. Lo schermo che lampeggia davanti ai suoi occhi è il simbolo di un’evoluzione. Il suo mare si sta trasformando in un cimitero..un immenso cimitero sommerso.


gracco spaziani http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

emergenza educazione civica

Tutti gli anni, all’inizio di settembre e a metà giugno, i giornali parlano dei “problemi della scuola”. Garantito; tanto quanto è garantito che in estate trattano del caldo “al di sopra delle medie stagionali” e che in inverno almeno una testata titolerà “L’Italia nella morsa del gelo”. Poi passa. Io insegno da venticinque anni e stavolta vorrei pronunciarmi anch’io sui problemi della scuola. Non parlerò dei tagli: l’hanno già fatto in molti. Non parlerò della Gelmini che, assieme al presidente del consiglio, è andata in visita ufficiale al Cepu, da lei evidentemente ritenuto un’istituzione universitaria esemplare. No, il mio tema è l’educazione civica. Ma prendo il discorso un po’ alla larga. Comincio dallo scontro politico in atto all’interno della coalizione di destra. Dice: ma che c’entra con l’educazione civica? Ci arrivo. Dunque, in agosto abbiamo assistito a un aspro conflitto tra due concezioni di-

verse di come dev’essere un partito di destra oggi. Al di là dei contrasti su specifici temi, si nota soprattutto la differenza di linguaggio. Da una parte ragionamenti complessi, riferimenti alla Costituzione e alle istituzioni dello stato. Dall’altra, urla scomposte e slogan ripetuti in maniera martellante. Chi vincerà? E in quale sede si andrà a definire il punto di arrivo? In sede elettorale, direi. Nel breve termine è possibile che tutto si risolva con un decoroso compromesso o, chissà, forse anche con un indecoroso scambio di favori. Ma nel lungo termine la partita tra due visioni alternative del concetto di destra rimarrà comunque aperta. E la sede in cui si deciderà chi ha vinto e chi ha perso non sarà la direzione di un partito, o un vertice di maggioranza: sarà, prima o poi, nel 2010 o nel 2011 o nel 2013, l’espressione della volontà popolare. La sovranità appartiene al popolo, come afferma la Costituzione (che subito dopo

9


torna all’indice aggiunge: il quale la esercita nei limiti e nei modi, ecc.), e al popolo spetterà la scelta. Ora, i sondaggi attualmente dicono che l’elettorato di destra in massima parte è sensibile al fascino delle urla e degli slogan più che al richiamo dei ragionamenti articolati. C’è da meravigliarsi? Una buona fetta dell’opinione pubblica quando sente parlare di equilibri istituzionali, di separazione dei poteri, di indipendenza della magistratura, di differenza tra assoluzione e prescrizione, di conflitto di interessi, di leggi ad personam, di autonomia dell’informazione, NON CAPISCE DI COSA SI STA PARLANDO, lo considera linguaggio oscuro, politichese, burocratese, latinorum per imbrogliare il popolo, quel popolo che parla come mangia, che dice pane al pane, tasse alle tasse e bingo-bongo ai bingo-bongo. Ed eccoci al problema dell’educazione civica. E’ evidente che in questo cam-

po la formazione del cittadino italiano medio è inferiore a quella dell’europeo medio; o no?? E chi dovrebbe insegnare l’educazione civica se non la scuola? Su tanti altri temi, dal bullismo, all’educazione sessuale, alle buone maniere e così via, si assiste spesso a uno scaricabarile tra scuole e famiglie; ma sulla preparazione in fatto di meccanismi istituzionali di una democrazia, beh, non c’è santi: è un compito della scuola. Mettiamoci una mano sulla coscienza, noi insegnanti, e chiediamoci: QUANTO spazio diamo a questo settore? Non ce la possiamo cavare dicendo “qualche cenno l’ho fatto, ma i programmi delle materie vere sono così vasti... c’è poco tempo...”. No, l’educazione civica è una priorità; è un insegnamento che dev’essere non solo impartito, ma anche approfondito; non solo sviluppato nella conoscenza esatta di una serie di nozioni (il di-

ritto è materia di precisione, come si sa), ma anche chiarito, esplicitato nel senso storico che sta dietro a quelle nozioni, nell’utilità effettiva di certi meccanismi istituzionali. Insomma, è anche un insegnamento di valori. Va evitato, e rigorosamente, ogni riferimento in termini di polemica o di elogio a partiti e uomini politici attuali: non è compito del docente indirizzare i futuri cittadini riguardo alle scelte elettorali. La scuola deve rimanere neutrale nella competizione tra partiti per il governo della cosa pubblica. Ma deve fornire ai giovani tutti gli strumenti mentali necessari per orientarsi in maniera responsabile e cosciente in un settore così delicato, che richiede ponderazione e non pressapochismo.

10


laura battistella http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

riflessioni su un’esperienza con Libera

Qualche mese fa avevo raccontato, per Ctm altromercato, l’esperienza estiva di campo scout trascorsa con Libera- associazioni, nomi e numeri contro le mafie (parte di questo articolo riprende quanto già pubblicato sul sito www.altromercato.it), ma in quest’occasione volevo andare oltre, cercando di aprire nuovi orizzonti di riflessione. Ho iniziato a riflettere sui contenuti di questo articolo a pochi giorni dall’attentato al procuratore di Reggio Calabria Salvatore Di Landro e dopo aver letto l’articolo di don Ciotti presidente di Libera, apparso su Il Manifesto il 27.08.2010, in cui ci chiama a trasformare la solidarietà in corresponsabilità: perché le mafie, sfondo di questo mio articolo, si possono vincere attraverso una mobilitazione collettiva che passi attraverso la condivisione, la consapevolezza e la

associazioni, nomi e numeri contro le mafie.OSARE PER CRESCERE

conoscenza del fenomeno mafioso. Questo concetto, ben esplicitato da don Ciotti nell’articolo di pochi giorni fa, suona come un’esplicitazione dell’esperienza di campo estivo vissuta con il mio clan (gruppo scout AGESCI Soave 1) a fine giugno, proprio in uno dei beni confiscati alla mafia siciliana, bene che ha iniziato da poco il suo percorso di “riabilitazione” proprio grazie alla volontà d’azione di Libera- associazioni, nomi e numeri contro le mafie. La nostra esperienza di campo estivo si è inserita all’interno del progetto E!STATE LIBERI di Libera- associazioni, nomi e numeri contro le mafie; un viaggio- per noi che l’abbiamo vissuto- alla riscoperta del concetto di cittadinanza. Libera è nata nel periodo successivo alle stragi di Capaci e via d’Amelio e di quelle del 1993, che hanno colpito Firenze, Roma e Milano, dandosi come obiettivo lo sviluppo di una cultura antimafia basata sui diritti, un’antimafia che possiamo definire “sociale” e che lavora a fianco di quella istituzionale, assicurata con determinazione ed efficienza dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. La prima azione che Libera ha realizzato in questa direzione è stata la mobilitazione a favore dell’ap-

provazione della legge 109/1996 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie: una presa di posizione importante, poiché questa legge riconosce il ruolo “antimafia” che la società civile, il mondo dell’associazionismo, della cooperazione sociale, hanno e devono avere nel nostro Paese. Libera, facendosi portavoce della legge 109/1996 sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, non ha fatto altro che affermare la necessità irrinunciabile di una lotta alla mafia che si concretizzi in politiche sociali di educazione alla legalità e di lavoro, soprattutto in quei territori del nostro Paese in cui alle organizzazioni mafiose è permesso garantire un posto di lavoro. Quindi è grazie a questa legge e ai suoi sviluppi successivi se è stato possibile il nostro campo estivo. Noi, piccolo clan di un gruppo scout di paese, volevamo semplicemente vivere un’esperienza di servizio che ci permettesse di rinsaldare il nostro piccolo gruppo... abbiamo vissuto molto di più: ci siamo riscoperti cittadini. Perché attivarsi nella lotta antimafia è segno di protagonismo reale ed espressione del più alto valore dell’essere cittadino. Anch’io che, in quanto capo scout di questi miei ragazzi, che si affacciano

11


il foglio di yorick al diritto di voto e scalpitano di volontà di affermazione della propria identità, dovrei essere già in possesso di una certa consapevolezza e maturità, sono tornata alla mia realtà quotidiana di cittadina del Nord Italia con nuove prospettive sulla realtà che mi circonda. Le nostre egoistiche aspettative di vivere un’esperienza che fosse significativa dal punto di vista delle relazioni interpersonali, sono state scalfite ed abbattute per lasciare spazio all’assunzione di una responsabilità, senza compromessi, di rendere, con azioni concrete, “il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”... Baden Powell, fondatore dello scoutismo, ci aveva visto veramente lungo! Ed oggi, posso affermare con certezza di prova empirica che non c’è miglior servizio, elemento caratterizzante di uno scout, di quello che ti permette di metterti in gioco in quanto cittadino.

Ma come è stata possibile questa nostra piccola, ma tanto importante, rivoluzione culturale? Belpasso (CT), Cooperativa “Beppe Montana”, la neonata cooperativa di Libera nella regione Sicilia: uno dei dodici beni confiscati alle mafie che, per tutta l’estate, hanno proposto dei campi di volontariato e studio a giovani e adulti di ogni provenienza, associazionistica e non. Non avevamo ben chiaro che cosa significasse sporcarsi le mani in un terreno confiscato e lasciato a se stesso da circa dieci anni quando siamo sbarcati a Belpasso. L’abbiamo scoperto in una settimana di sveglie all’alba per falciare, rastrellare e rimuovere tutto ciò che quei lunghi dieci anni di abbandono avevano causato: bruttura. I 16 ettari del terreno di Belpasso sono stati confiscati ai Riela, famiglia mafiosa legata al clan Santapaola e un tempo proprietaria del Riela Group, che deteneva il monopolio degli autotrasporti in Sicilia. Belpasso: un agrumeto vasto, così vasto da sembrare sconfinato, così bisognoso di ritrovare i colori dei frutti maturi... E’ stata la visione degli alberi senza frutti a darci lo slancio per scardinare il nostro personale obiettivo

iniziale a favore di uno nuovo: restituire dignità e sicurezza all’agrumeto, per contribuire a restituire a noi tutti, cittadini d’Italia, un bene che ci è stato tolto dalla mafia. Quest’anno, a dieci anni dalla confisca del terreno di Belpasso, Libera- attraverso un concorso pubblico che ha dato vita alla cooperativa “Beppe Montana”lo ha restituito alla società.Molti sono i lavori di bonifica da realizzare, non solo quelli di natura agricola sull’agrumeto, ma anche su tutta la struttura immobiliare che un tempo costituiva la residenza del custode del terreno e le stalle dei cavalli, sfruttati nelle corse clandestine.Contribuire a quest’opera di bonifica ci ha permesso di sentire il terreno di Belpasso veramente nostro: ci siamo resi conto di non aver investito energie ed impegno su cosa d’altri. Quest’esperienza ci ha concretamente fatto capire che i beni confiscati sono cosa nostra!Belpasso però non è stata soltanto un’esperienza di lavoro di bonifica e, nello specifico, di bonifica dei confini dell’agrumeto; è stato soprattutto luogo di incontri significativi che ci hanno reso più consapevoli di quanto una logica di condivisione di

12


torna all’indice intenti ed ideali possa essere vincente contro il mostro che la mafia rappresenta. L’ascolto del vissuto di vittime di mafia, magistrati, volontari di Libera e, soprattutto, la condivisione del lavoro con i membri della cooperativa ci ha dato prova, chiara conferma, del fatto che “la società civile detiene una forza ineguagliabile nel preservare i valori della democrazia, quanto mai necessari oggi che assistiamo ad una crisi della legalità che nel nostro Paese ha raggiunto livelli ormai imbarazzanti” (Don L. Ciotti). Questo è solo un piccolo racconto di un’esperienza di vita, me ne rendo conto e mi scuso con voi lettori se non sono stata in grado di riassumerlo in modo efficace o sufficientemente accattivante o esaustivo. Vuole essere però il segno che se è vero, e lo è, che bisogna saper trasformare il proprio senso di solidarietà verso fatti, fenomeni e dinamiche sociali che viviamo o che semplicemente sfiorano la nostra esistenza in corresponsabilità, è altresì vero che è necessario sviluppare una

coscienza di solidarietà corresponsabile offrendo ed offrendosi l’opportunità di esperienze, occasioni, incontri che ci spingano ad attivarci, a conoscere, a riflettere per poi a decidere da che parte stare. Non ci si può attivare senza consapevolezza, senza la minima idea di cosa significhi assumersi delle responsabilità. C’è bisogno di osare il proprio futuro, la propria esistenza, c’è bisogno di mettersi in gioco. In quanto educatore, ora voglio rivolgermi a chi, in varie forme, si ritrova a ricoprire un ruolo simile al mio: puntiamo in alto con i nostri ragazzi, spingiamoli oltre il limite delle loro e delle nostre aspettative, affinché costruiscano un loro percorso in quanto cittadini responsabili ed attivi, anche se a me piace definirli attenti. Cresceremo insieme. E, insieme a noi, la realtà che ci circonda. Perciò vi lascio con una breve riflessione, scritta al termine di questo viaggio e che riassume la nostra volontà di non fermarci a Belpasso:

Siamo partiti. Un viaggio lungo, come meta una terra a noi lontana, esattamente dalla parte opposta del nostro stivale. Terra di sole, di mare, di persone isolane nell’anima. Terra di gelsi, terra di Magna Grecia, terra colta. Terra di grano, mandorle ed agrumi. Terra di poeti, scrittori e filosofi. Terra di vulcani, di Mezzogiorno... terra di isole. Terra che lotta. Terra di terre... strappate a chi si sostituisce allo Stato, macchiata di abusi e terrore. Terra impedita del suo domani... il nostro domani. Terra nostra: vicina. Siamo partiti.

13


francesco gastaldon http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

sudafrica. oltre i mondiali?

Il Sudafrica del 2010 sarà ricordato in Italia come il Paese in cui la nazionale di calcio ha fatto una pessima figura sportiva ai Mondiali. I mega-eventi sportivi di questo genere hanno l’incredibile capacità di mettere un intero Paese al centro dell’attenzione internazionale per qualche settimana, per poi relegarlo di nuovo nella penombra che lo avvolgeva precedentemente. È vero anche che il Sudafrica non è un Paese qualunque. Nell’immaginario di molti europei è lo Stato africano che “ce l’ha fatta”, dove una lunga e brutale storia di segregazione ha lasciato il posto alla realizzazione del sogno della “nazione arcobaleno”. Ma purtroppo la realtà non è quella rappresentata nel film “Invictus”, dove una partita di rugby riesce a far superare sofferenze, ingiustizie e

disuguaglianze. Le frotte di giornalisti, inviati e commentatori che si sono riversate all’estrema punta del continente africano hanno raccontato un Sudafrica un po’ disorganizzato, ma comunque in grado di gestire il mastodontico carrozzone della FIFA World Cup. A detta di molti, questo Mondiale è stato un evento la cui rilevanza va al di là di quella sportiva. Il governo sudafricano ha puntato moltissimo su questa Coppa del Mondo per riuscire a mostrarsi come un Paese africano diverso dagli altri, lontano dai drammi che affliggono le altre nazioni del continente. Il risultato è ancora incerto: si vedrà se questo investimento in immagine riuscirà a riportare nelle casse dello Stato un po’ dei 33 miliardi di rand (circa 3,5 miliardi di euro)

per costruire e rinnovare gli stadi e le infrastrutture sportive. Per ora, finita l’euforia di giugno e luglio, i cambiamenti positivi che il Mondiale avrebbe dovuto portare faticano a mostrarsi. Spenti da appena due mesi i riflettori internazionali, il Sudafrica è già alle prese con i suoi drammatici problemi sociali. Pochi giorni fa (l’articolo è giunto il 21/settembre, n.d.r.) si è concluso uno sciopero, che per settimane ha bloccato scuole, ospedali e servizi pubblici, dei lavoratori del settore pubblico, delusi dagli aumenti salariali troppo ridotti. E proprio in questi giorni il movimento Abahlali baseMjondolo, che riunisce circa 10 mila abitanti di baraccopoli fra Durban, Cape Town e alcune altre cittadine, sta promuovendo una settimana di sciopero dei baraccati per costringere il governo a rendersi conto delle condizioni di vita nei cosiddetti “insediamenti informali”. Secondo alcune stime recenti delle Nazioni Unite, circa il 28% della popolazione urbana sudafricana vive in condizioni “informali”, e cioè in una baraccopo-

14


il foglio di yorick li, in un edificio occupato e fatiscente (come succede spesso nel centro di Johannesburg) oppure è senza tetto. Il sogno di una “vita migliore per tutti”, che era uno dei principali slogan dell’African National Congress (ANC) di Mandela alla fine dell’apartheid, si scontra con la dura realtà quotidiana di un Paese in cui le differenze fra neri e bianchi sono ancora fortissime. Secondo i dati dell’OCSE, la disuguaglianza economica nel Paese è aumentata dal 1993 ad oggi, la povertà urbana è cresciuta e secondo uno studio dell’Università di Cape Town il Sudafrica è la nazione con le più grandi disuguaglianze di reddito del mondo. Fra i ricchi non ci sono più solo i bianchi (eredità del regime segregazionista) ma anche una nuova classe di neri con importanti connessioni con il mondo politico, che

si è arricchita con rendite minerarie e altre attività. Il governo di Jacob Zuma, in carica dal maggio 2009, non è riuscito a gestire lo scontro fra ANC e ala sinistra della coalizione di governo e si sta muovendo senza troppa convinzione per contrastare la pandemia di AIDS, in un paese in cui ci sono più di 5 milioni e mezzo di persone che vivono con HIV su una popolazione totale di circa 50 milioni. Inoltre, nonostante le illusioni iniziali, Zuma non è riuscito a ricomporre il conflitto fra l’ANC, i sindacati e il South African Communist Party né ad affrontare in modo serio i malumori popolari degli strati più poveri della popolazione. Il Sudafrica non è nuovo alle proteste popolari: fra gli attori principali di queste nuove lotte ci sono le comunità delle ex township, gruppi anti-privatizzazione, organizzazioni di poveri in lotta per i servizi pubblici, contadini senza terra, occupanti abusivi e abitanti delle baraccopoli. Negli anni recenti, l’anno 2009 è stato caratterizzato da un numero elevatissimo di

proteste, molte delle quali particolarmente aggressive ed eclatanti, per il mancato o deficitario service-delivery, e cioè la fornitura di servizi di base (in particolare acqua, luce, infrastrutture, servizi igienici, trasporti) alle comunità e alle aree residenziali più povere. Nel panorama delle proteste degli ultimi anni, Abahlali baseMjondolo è uno dei più rilevanti movimenti sociali di base attivo nel Sudafrica contemporaneo. Nato in alcune baraccopoli di Durban nel 2005 per iniziativa di alcuni residenti poveri della zona di Clare Estate, al momento il movimento conta circa 10.000 membri regolarmente iscritti nel 2010 distribuiti in circa quaranta insediamenti informali sparsi fra le città di Durban, Cape Town, Howick, Eshowe, Pinetown e Pietermartizburg. Abahlali rivendica il diritto dei poveri a vivere in città, il diritto a ricevere una casa, la fornitura di servizi fondamentali (acqua, elettricità, servizi igienici) agli insediamenti informali, il coinvolgimento dei baraccati nelle decisioni

15


torna all’indice che riguardano le politiche urbane legate agli insediamenti. Nel maggio 2010 tre attivisti di Abahlali sono stati in Italia per incontrare movimenti, associazioni e cittadini nell’ambito della campagna “Mondiali al Contrario” organizzata dal settimanale Carta insieme ai missionari comboniani di Castelvolturno e altri amici. Nel loro viaggio a bordo di un furgone, i membri del movimento hanno raccontato in varie città italiane quello che i Mondiali di calcio avrebbero realmente significato per la popolazione del Sudafrica, al di là della retorica pubblicitaria. Oltre agli stadi, il governo sudafricano ha investito anche in polizia, sicurezza, autostrade, aeroporti, linee ferroviarie di lusso. Il Paese aveva bisogno di “far cambiare la percezione del Sudafrica nel mondo”. Questa esigenza ha spinto le autorità a tentare di nascondere le contraddizioni che affliggono il paese. La triste abitudine di “ripulire” le città in vista dei mega-eventi non ha trovato nella “nazione arcobaleno” una eccezione. Le politiche “anti-poveri”

che il governo sudafricano sta attuando da molto tempo hanno subito una intensificazione e trovato una giustificazione nella retorica della Coppa del Mondo. Le aree centrali delle città, in particolare zone turistiche e vicine agli stadi, sono diventate “zona rossa” per i venditori di strada (un’attività che in Sudafrica dà lavoro a quasi un milione di persone); a Cape Town il famigerato campo di transito di Blikkiesdorp, una città di lamiera simile ad un campo di prigionia, è diventato la discarica dove la municipalità ha trasferito tutti i soggetti sgraditi, come senza tetto, bambini di strada, abitanti di baraccopoli sgomberate; nelle città in cui si sarebbero giocate le partite, le zone vicino agli impianti sportivi hanno visto salire il valore degli immobili e i proprietari hanno sfrattato gli inquilini (abusivi o regolari) che vivevano negli edifici. Le manifestazioni organizzate per protestare contro lo sperpero di denaro pubblico in vista della Coppa del Mondo sono state proibite o represse.

Secondo l’arcivescovo Desmond Tutu, questo Mondiale avrebbe dovuto portare orgoglio e unità ad una nazione divisa. In realtà, pare ne abbia evidenziato con più forza le profonde contraddizioni.

16


http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

tirocini e precariato.bamboccioni è ora stefano panozzo di organizzarsi

Nel diritto del lavoro italiano esistono delle categorie ben definite per gli apprendisti e i contratti di formazione e lavoro, o simili forme di lavoro/apprendimento che permettono al lavoratore di fare esperienza, senza avere la stessa retribuzione di un lavoratore ordinario. Queste categorie sono tutelate, giuridicamente e nella pratica, con limiti agli orari, regole sulla retribuzione, sulla possibilità di eventuale assunzione. I tirocinanti non sono minimamente considerati in questo ambito. Moltissimi corsi di laurea all’università prevedono tirocini obbligatori per laurearsi, ma pochissimi danno una mano agli studenti per trovarne uno decente che sia realmente formativo. Spesso ci sono elenchi di imprese intenzionate a risparmiare un po’ senza fornire in cambio prepara-

zione. Ma, nonostante i tirocinanti, in molti casi, non si limitino ad un’attività formativa e lavorino quanto persone con contratti regolari, non gli si da la dignità di lavoratori, li si considera studenti e per questo non si pensa sia necessario provvedere a garantirne i diritti. La legge 196 del 1997 (scritta dal ministro di centrosinistra Treu), che regola questa categoria, stabilisce garanzie minime per i tirocinanti, limitandosi a tutelarli in caso di infortunio sul lavoro, a porre un limite di un anno per la durata dei tirocini e a porre limiti sul numero di tirocinanti in rapporto al numero di dipendenti con contratti a tempo indeterminato. La legge 196/97 in teoria prevedrebbe (all’Art.18 Par.1): “Al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, attraverso iniziative di tirocini pratici e stages (…)”. Ma, se per alcuni tirocini, in effetti si ha un’esperienza formativa effettiva secondo le linee illustrate, per molti altri si ha un lavoro vero e proprio, a tempo pieno (anche più di 40 ore settimanali), senza retribuzione, senza rimborsi spese, senza promesse di assun-

zione. In alcune realtà il tirocinio sta diventando un vero e proprio affare per gli enti o le imprese coinvolte. In particolare gli stage internazionali presentano costi proibitivi per chi vuole fare domanda, anche in casi di enti pubblici. Il Tirocinio Mae-Crui organizzato dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane assieme al Ministero degli Affari Esteri, che invia studenti a lavorare per 3-4 mesi in ambasciate, consolati e rappresentanze, non prevede il minimo rimborso spese, e ovviamente nemmeno l’ombra di uno stipendio, per studenti che passano mesi all’estero. Questo tirocinio, uno dei pochi accessibili per chi vuole farne un’esperienza all’estero, è strutturato in maniera nettamente classista, escludendo a priori moltissimi studenti da questa possibilità. Questi tirocini spesso valgono pochissimi crediti formativi come uno o due esami, anche se durano dei mesi. Dall’art. 34 della Costituzione: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”

17


il foglio di yorick Nell’attuale mercato del lavoro, in particolare in determinati ambiti, il tirocinio è una parte integrante del percorso di formazione e non averne svolto uno preclude molte possibilità lavorative. Molte offerte di lavoro richiedono di avere esperienza nel settore, acquisibile solo come tirocinanti o in posizioni analoghe. Se questo genere di “formazione” è indispensabile per la carriera deve essere considerato compresa nello scopo dell’art.34 della Costituzione e, di conseguenza, un diritto per tutti. Su questo punto è difficile ottenere dati chiari, in quanto la richiesta di “esperienza pregressa” spesso non specifica il tipo di contratto e può capitare di sentirsi dire ad un colloquio “ma lei ha fatto solo un tirocinio”. Svariati studenti ottengono finanziamenti per i tirocini dalla loro università o dalla loro regione. C’è da dubitare della equa ripartizione territoriale di questi finanziamenti. Tutte le regioni hanno

studenti desiderosi di opportunità per farsi valere ma ovviamente le regioni più ricche avranno più risorse per concedere queste opportunità. I diritti degli studenti dovrebbero essere tutelati, semmai, in base al reddito, loro o dei loro genitori, non in base alla regione di provenienza. Si forniscono le opportunità migliori soltanto agli studenti che possono essere mantenuti dalla propria famiglia. Si costringono i giovani a rimanere per mesi senza diritti o retribuzione svolgendo un lavoro spesso paragonabile, se non superiore a quello di un lavoratore retribuito, si ritarda ancora di più l’emancipazione individuale ed il raggiungimento dell’indipendenza dalla famiglia, dalla quale si deve essere mantenuti sistematicamente per anni. Il numero di tirocinanti in Italia è certamente in crescita, anche se non è facile ottenere dati in proposito. La “Repubblica degli stagisti”, un conosciuto Blog che si occupa di questo tema, lamenta appunto la mancanza di dati chiari sul numero di tirocinanti degli enti pubblici. Per quanto riguarda il settore privato, esiste uno studio del Sistema Informativo Excelsior (realizzato in collaborazione da Unioncame-

re, Ministero del Lavoro e Unione Europea). Da questo studio risulta che nel 2009 c’erano circa 320000 tirocinanti che lavoravano in aziende e che il 14,8% delle imprese ha ospitato tirocinanti.1 Inoltre questo studio afferma che soltanto l’11,6% dei tirocinanti del 2009 è stato assunto o sarà assunto al termine del tirocinio.2 È rilevante notare che, da questi dati, risulta che il NordEst, spesso citato come “modello” negli ultimi anni, è l’area del Paese con la percentuale più elevata di aziende che fanno uso di tirocinanti (18,6%) e soprattutto è l’area con la percentuale più bassa di assunzione al termine del tirocinio (9,5%). Considerata l’incidenza di questo problema è indubbiamente necessario fare qualcosa. Ma cosa fare e come agire? È estremamente difficile che un tirocinante si ribelli o anche banalmente chieda un rimborso o qualche minimo diritto. La totale assenza di promesse di assunzione, la necessità di non “bruciarsi” agli occhi di un possibile futuro datore di lavoro, o anche la speranza di una buona lettera di referenze o infine il timore di essere considerato un piantagrane nel futuro ambiente lavorativo, sono disincentivi sufficien-

1 Rapporto Sistema Informativo Excelsior 2010 Volume 2 p.105. http://excelsior.unioncamere.net/web/Excelsior_2009_Nazionale2.pdf 2 Ibidem p.106

18


torna all’indice ti per la maggior parte delle persone. Bisogna considerare inoltre che i sindacati stanno adattandosi adesso a rappresentare queste nuove categorie, occupandosi comunque più dei “co.co.co.” e di altre categorie di Lavoratori con la L maiuscola che non di studenti che non si iscriveranno certo in massa al sindacato. Un altro problema è l’esistenza di contratti di tirocinio di tipologie estremamente eterogenee, perfino all’interno dello stesso luogo di lavoro. Questo ostacola il crearsi di un “comune sentire” tra i tirocinanti che affrontano in molti casi problemi diversissimi. Considerato che moltissimi stage durano pochi mesi, pochi ritengono che valga la pena di condurre una battaglia, difficile e rischiosa che difficilmente produrrà risultati in tempi brevi, si preferisce subire con la convinzione che tanto sarà per poco. Il “per poco” in molti casi è un concetto fuorviante. In certi ambiti lavorativi gli studenti e i neolaureati passano da uno stage all’altro per anni prima di venire assunti sul serio.

Uno degli attori che si sta movendo su questo tema è il NIDIL-CGIL, il sindacato Nuove Identità DI Lavoro, che comprende tirocini, co.co.co., co.co.pro. e in generale le nuove categorie di contratti precari. Analoghi gruppi stanno creandosi anche nella CISL e nella UIL. Ma anche questi nuovi soggetti hanno grosse difficoltà ad agire. Uno dei problemi è come organizzare i lavoratori precari, se in organismi di rappresentanza dei precari in generale oppure in organismi comprendenti tutti i lavoratori, precari e non, di un settore (es. i metalmeccanici). Inoltre anche all’interno dei sindacati il peso dei precari è ovviamente ridotto rispetto a categorie più tradizionali di lavoratori, di conseguenza i problemi del precariato possono essere sottorappresentati. È necessario promuovere la sindacalizzazione dei precari, in particolare dei tirocinanti, in modo da condurre la lotta alla precarietà, per fare contare di più questo genere di realtà all’interno del sindacato stesso, per renderlo più consapevole delle problematiche più

recenti. In generale bisogna stimolare i giovani a pensare “a lungo termine”. Se è vero che mobilitarsi per migliorare le condizioni di un breve tirocinio può non servire a breve termine, è anche vero che moltissimi giovani passano per anni da un tirocinio all’altro e una mobilitazione per migliorare le condizioni generali dei tirocini beneficerà, prima o poi, anche loro.

19


torna all’indice

http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

nasce la prima associazione antimafia comunicato stampa a verona

E’ stata costituita ieri a Verona l’Associazione Antimafia “Giuseppe e Paolo Borsellino, imprenditori vittime innocenti della mafia”. Come si legge sullo statuto della neonata associazione di promozione sociale, le finalità principali sono la promozione della cultura antimafia, soprattutto tra le giovani generazioni, mettendole in guardia dalle infiltrazioni mafiose che ormai hanno raggiunto il Veneto e la sensibilizzazione della popolazione tramite incontri, convegni e conferenze con esperti del settore, volti ad approfondire la conoscenza diretta del fenomeno; in tal senso molta attenzione sarà dedicata alla valorizzazione delle storie

di tutte quelle vittime di mafia ormai dimenticate. Punto molto importante e più volte sottolineato durante l’assemblea è la “stimolazione” delle altre associazioni presenti sul territorio ad occuparsi e a partecipare alla promozione della cultura antimafia come elemento fondante di ogni società che vuole definirsi libera; a tal proposito saranno organizzate periodiche tavole rotonde e incontri con altre realtà associative vicine al tema. I dodici soci fondatori hanno eletto come presidente Benny Calasanzio, 25 enne nipote degli imprenditori Borsellino, cui è dedicata l’associazione. Suo vice sarà invece Stefano Pippa, giovane studente di Filosofia. “La nascita di un’associazione sfacciatamente antimafia in un territorio come quello veronese è sicuramente un segnale per le persone per bene, ma anche un pessimo presagio per coloro che hanno intenzione di massacrare il territorio e il tessuto so-

ciale tramite le infiltrazioni mafiose” ha detto il neo presidente. “La mafia ormai è una solida realtà su tutto il versante del lago di Garda, infiltrata com’è nelle speculazioni edilizie e nell’acquisizione di aziende in dissesto economico, e gestisce da anni il traffico di droga di tutta l’Europa; la stessa droga che quotidianamente passa dal nostro territorio. La nostra associazione vuole essere un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono fare qualcosa contro quella che ormai è una pericolosa realtà quotidiana” ha concluso Calasanzio. L’inizio delle attività è previsto per la fine di settembre: è già in cantiere un grande incontro con personaggi importanti del mondo della Giustizia. Per tutti coloro che fossero interessati, il sito dell’associazione è www.giuseppeepaoloborsellino.blogspot.com e l’indirizzo mail associazioneborsellino@gmail. com

20


comunicato di redazione http://www.yorickthefool.blogspot.com/

il foglio di yorick

lettera aperta al sindaco flavio tosi

Questa lettera è stata inviata in data 1/10/10 al sindaco di Verona Flavio Tosi da uno dei componenti della redazione, su iniziativa autonoma. Con decisione unanime abbiamo deciso di pubblicarla in apertura di questo numero de “il foglio di yorick” come editoriale di redazione per esprimere la nostra preoccupazione verso un fatto che, seppur sembri isolato e circoscritto, a nostro giudizio deve essere interpretato come paradigmatico di un certo clima e di una certa situazione attualmente respirabile in alcune parti d’Italia, segnatamente al nord. Questo nostro gesto vorrebbe d’altra parte essere anche uno sprone per tutti ad utilizzare le armi democratiche- cioè a dire, in primis, il dialogo e il dibattito- per problematizzare, discutere e se il caso confutare, le decisioni e le posizioni che i nostri rappresentanti politici assumono in particolari circostanze. Riavvicinarsi alla politica è anche e soprattutto riappropriarsi del dialogo e del dialogo con le istituzioni; è “chiedere conto”, costantemente, dei “sì” e dei “no” che i nostri rappresentanti proferiscono e non proferiscono; è chiedere loro di assumere e argomentare quei “sì” e quei “no”. Se la democrazia non deve limitare se stessa al solo momento del voto, allora il dialogo con le istituzioni deve essere costante e costante il dibattito attorno all’operato delle istituzioni; e se se le istituzioni vogliono essere pienamente democratiche, e rispettare la democrazia di cui sono espressione, non possono negare la risposta ai propri cittadini. Ad oggi, due settimane dopo l’invio, gli interrogativi espressi in questa lettera non hanno ancora avuto risposta. Chiediamo a tutti coloro che condividono la posizione che qui esprimiamo di inviare a loro volta questa lettera al sindaco di Verona, firmandola con il proprio nome (per copiare/incollare il testo: http://yorickthefool.blogspot.com/2010/10/lettera-aperta-al-sindaco-flavio-tosi.html ), in modo da sollecitarne la risposta. Se non la otterremo, questo non potrà che gettare un’ombra sulla democraticità delle nostre istituzioni.

G. le Sindaco Flavio Tosi, Le scrivo questa lettera aperta dopo aver meditato sui recenti fatti che hanno coinvolto, e che stanno tuttora coinvolgendo, la Lega Nord nel comune di Adro; e soprattutto dopo aver pensato a quello che Lei ha sostenuto, poche sere fa, durante la trasmissione “Otto e Mezzo”, in cui questo argomento è stato messo a tema. Le scrivo perché, in quanto cittadino veronese, vorrei avere dei chiarimenti su come Lei intende la vita democratica, la cui dialettica, in cui io credo fortemente, in quanto Primo Cittadino Lei ha il dovere, credo, di proteggere e tutelare. Ho avuto modo di ascoltare le sue parole sulla vicenda, che in parte mi hanno confortato: Lei sostiene che il sindaco di Adro abbia esagerato e ha assicurato che a Verona un episodio simile non accadrà. Questo mi rincuora, perché se io avessi un figlio o una figlia in quel comune, non potrei manderli a scuola fino a quando quei simboli (come tutti i simboli, riferibili in un modo o nell’altro a qualche formazione politica) non venissero tolti. E scriverei ogni giorno al Presidente della Repubblica affinché intervenisse immediatamente. Mi sento


dini, e che sarà di nuovo sottoposto al giudizio popolare tra qualche tempo; i cittadini valuteranno il suo operato, vicenda in questione compresa, e quindi potranno rivotarlo o meno. Questo discorso non prevede minimamente una tutela delle minoranze durante un mandato. Dice semplicemente che, se la maggioranza della cittadinanza voterà di nuovo il sindaco in questione, questo sancirebbe automaticamente la bontà del suo operato. E questo discorso, in quanto cittadino veronese, mi spaventa. Mi spaventa perché non riesco a capire perché, allora, Lei pensi che il sindaco di Adro abbia “esagerato”; e anche perché non mi riconosco nel Suo modo (se è effettivamente questo) di vedere la democrazia. Io, che sono un semplice cittadino ma che credo nei valori democratici, credo che la democrazia trovi la sua definizione più piena non come governo della maggioranza, ma come rispetto e tutela della minoranza da parte della maggioranza. Ma di questo nel Suo ragionamento non c’è traccia; ma allora perché il sindaco di Adro avrebbe esagerato? In base a cosa?

torna all’indice

dunque tranquillo. Tuttavia l’ho sentita dire, prima di ammettere quello che ha ammesso (e cioè che Oscar Lancini avrebbe esagerato), che quel simbolo, in fondo, è un simbolo culturale; che “il sole delle Alpi” si incontra sui monti della nostra terra. Sebbene questo possa essere vero, non posso non ritenere questa esternazione un insulto al buon senso. Tanti simboli politici del passato e del presente (ad esempio la svastica, ad esempio la croce celtica) sono simboli culturali; ma quando sono assunti da una fazione politica diventano simboli politici, e quando sono usati da un sindaco leghista, essi sono usati in senso politico. Come cittadino veronese, mi sono sentito preso in giro da questa Sua precisazione, chiaramente demagogica e artificiosamente semplificatrice. Ma Lei stesso sa che questa distinzione tra simbolo culturale e politico esiste, come implicitamente la sua ammissione successiva che il sindaco di Adro avrebbe “esagerato” lascia in qualche modo intendere. C’è un’altra cosa che però mi lascia perplesso. Lei ha sostenuto che il sindaco in questione è stato eletto dai citta-

Credo di avere diritto a un Suo chiarimento su questo punto, perché un Cittadino ha il diritto di sapere che cosa può aspettarsi, e perché, dal suo Primo Cittadino, che è la sua prima garanzia. Se Lei crede, come me, che l’esposizione di un simbolo politico in un ambiente pubblico sia una violenza alla neutralità dell’educazione, e un sopruso per la minoranza che nel simbolo non si riconosce, mi piacerebbe che lo rendesse noto. Che lo dicesse, a me e a tutti i miei concittadini. E che, di conseguenza, facesse qualcosa perché la situazione si sblocchi. Ogni silenzio non è in fondo una implicita connivenza?

22


il foglio di yorick

grafica

coordinatore

redazione

gracco spaziani

stefano panozzo

laura battistella

francesco gastaldon

alessandra garda

simone valerio

marta sartori

stefano pippa

staff

collaboratori

vi dĂ appuntamento fra tre mesi


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.