Colloquio di lavoro manuale pratico

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COLLOQUIO DI LAVORO manuale pratico per uso scolastico

Prof. Sergio Sapetti


ISTITUTO DI ISTRUZIONE SUPERIORE “GIOVANNI CENA” VIA DORA BALTEA 3 – 10015 IVREA (TORINO)

INDICE 1. origine psicologica della collaborazione............................................................................2 2. attuale contesto socio-culturale.........................................................................................3 3. Differenza tra ricerca di reddito e ricerca di lavoro............................................................4 4. Colloquio di lavoro..............................................................................................................6 4.1. ansia............................................................................................................................6 4.2. Rapporto gerarchico....................................................................................................7 4.3. Domande tipiche.........................................................................................................8 4.4. Conclusione del colloquio............................................................................................9

1. origine psicologica della collaborazione L’essere umano è per sua natura sociale e collaborativo. Nelle epoche preistoriche, la capacità di parlare in modo da condividere e divulgare la conoscenza, la predisposizione a vivere in “branchi” costituiti da individui con affinità e progetti comuni, il rispetto della gerarchia all’interno del gruppo, sono stati degli elementi fondamentali per evolvere l’intelligenza e portarci all’attuale grado di evoluzione civile. In tutti noi, fin dalla nascita, vi è il concetto di “collaborazione”, parola che esprime il concetto di lavorare insieme per un progetto comune. Decidendo di collaborare insieme, le parti si impegnano a svolgere dei compiti per ottenere lo stesso obiettivo, rinunciando ad un risultato esclusivamente personale e quindi accettando di rispettare delle regole comuni. Quando si collabora si crea automaticamente un “patto” perché le parti si accordano per riunire le proprie caratteristiche, amalgamandole e orientandole in un’unica finalità. Il prodotto della collaborazione ha una sua precisa connotazione ed ha una sua peculiare natura. In campo lavorativo due parti si incontrano e stipulano un contratto per realizzare un progetto comune che risponda alle reciproche aspettative. L’imprenditore titolare d’impresa e il dipendente lavoratore subordinato sperano entrambi che l’azienda in cui lavorano sia redditizia, produttiva, vincente sul mercato. La speranza nel successo della ditta è quindi comune, anche se il titolare può assumere un dipendente perché lo ritiene la persona migliore per cercare di produrre un certo risultato economico, mentre il dipendente può accettare l’incarico perché ritiene che quella impresa sia la migliore opportunità per ottenere un reddito tale da poter garantire il soddisfacimento dei propri bisogni. Anche l’impresa stessa ha una sua peculiare realtà, si pensi ad esempio a quelle società sportive o quei gruppi di pensiero (politici, musicali, sociali) in cui si immedesimano e per cui si appassionano numerosi tifosi: se il dirigente e i dipendenti lavorano secondo la natura e la filosofia del gruppo, i sostenitori sono soddisfatti, se invece l’organizzazione o il lavoro snaturano l’ideale sociale, chi si immedesima in quel gruppo è scontento.

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2. attuale contesto socio-culturale A questo punto occorre prendere in considerazione la situazione attuale del nostro mercato lavorativo, senza entrare in dettagli socio-economici, ma con un’attenzione particolarmente volta ad ampliare la panoramica in cui si svolge l’incontro tra domanda e offerta. Che vi sia una situazione globale di recessione e di difficoltà economica è palese, inoltre alcune statistiche attendibili confermano che il tasso di disoccupazione è elevato; d’altro canto però, è anche vero che molte persone provenienti da zone del mondo ben più disagiate emigrano nel nostro paese proprio perché esso offre loro maggiori possibilità di sviluppo e sopravvivenza. Da ciò si deduce che chi è originario di questi luoghi non accetta o non può accettare alcune delle possibilità lavorative offertegli in loco. Così, allo stesso modo, per quanto la congiuntura sia negativa, ogni giorno i negozi vendono merci, le industrie ne costruiscono, gli enti, gli uffici, le scuole, gli ospedali, ecc. forniscono servizi; ogni giorno treni, autobus aerei viaggiano, e per farlo un’enorme quantità persone lavora per fornire tali servizi agli utenti. Nonostante le difficoltà, la vita si sviluppa e continua, richiedendo che in tutte queste strutture operino milioni di lavoratori. Quindi si deduce che, anche se purtroppo ci sono delle difficoltà ad ottenere e mantenere un regime di vita adeguato, dignitoso e civile, è pur vero che l’offerta di lavoro esiste ed ha un bisogno continuo di selezionare persone adatte e preparate per svolgere al meglio le funzioni richieste dal sistema in cui sono inserite. Prendiamo ora in considerazione la visione della posizione dirigenziale, manageriale, imprenditoriale. L’attenzione degli imprenditori è soprattutto volta allo sviluppo aziendale, essendo la loro mansione direttamente connessa con l’ottenimento degli obiettivi del gruppo. Se l’imprenditore è virtuoso e di mentalità moderna, cerca di migliorare al massimo l’efficienza del fattore lavorativo di sua competenza, selezionando e assumendo i dipendenti che meglio rispondono ai bisogni aziendali, offrendo loro delle mansioni idonee perché possano esprimere in modo ottimale le proprie abilità, cercando di promuovere e inserire in posizioni più prestigiose quelli di loro che posseggono una maggiore affidabilità, competenza ed esperienza nel settore. Il luogo comune della “raccomandazione” per poter trovare lavoro è sempre valida, essendo un concetto molto radicato nel contesto socioculturale nostrano, ma se si è dirigenti di un’azienda che cerca di sopravvivere o addirittura crescere in un mercato globale, il titolare, per quanto possa essere influenzato da amicizie e parentele, per vincere una concorrenza sempre più potente e spietata, cercherà di ottimizzare le sue risorse, con un occhio di riguardo a quelle umane perché sono le più

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costose ma anche le più importanti per la crescita aziendale. Quindi potrà sempre esserci un atteggiamento clientelare ma, in special modo nell’ambiente privato, esso dovrà necessariamente essere un fattore marginale, pena il fallimento d’azienda. Oltre alla selezione viziata da favoritismi, vi possono essere altre cause che rendono stonata e imperfetta la selezione aziendale. Spesso tra domanda e offerta si instaurano dei comportamenti non sempre idonei per poter accordarsi al meglio, infatti, dal lato imprenditoriale, si rileva che in molti casi i dirigenti si accorgono solo in ritardo della necessità di incrementare il personale o di aver bisogno di un fattore umano con delle specifiche competenze ed attitudini; in un mondo che si evolve e cambia con una rapidità mai accaduta prima, non essere preveggenti in tal senso può portare a dover ricorrere a mezzi selettivi frettolosi o inadeguati, perdendo magari l’occasione di poter contattare chi è più adatto e disponibile per quella data mansione. Dall’altra parte, nella nostra società, si nota un diffuso deterioramento dell’unione famigliare e, con la separazione dei genitori, spesso vengono a mancare i punti di riferimento genitoriali in cui la figura paterna determina i “limiti” e la figura materna “sostiene e accetta”. Se ne deduce che molti giovani delle ultime generazioni non si rendono conto di quali sono realmente le proprie potenzialità, esibendo magari comportamenti esuberanti che mascherano una scarsa autostima ed una difficile accettazione di se stessi. Così il giovane che cerca lavoro lo fa con un atteggiamento che può rivelarsi inadatto ad incontrare il favore delle imprese. Si può notare come durante i colloqui chi è alla ricerca di un lavoro riveli che i suoi obiettivi prioritari siano esclusivamente: “quanto guadagno?”, “quante ore lavoro al giorno?”, “non sono disposto a lavorare fino a tardi!”, “non sono disposto a lavorare nei weekend e durante le festività”, ecc. Tali frasi magari non sono dette esplicitamente, ma il selezionatore le intuisce dall’esame. Ripetiamo che il rapporto di lavoro è come una famiglia composta da due genitori (dirigente e dipendente) e un figlio (impresa), ognuno di questi tre elementi ha i suoi obiettivi e le sue caratteristiche personali, ma per trovare un accordo tutti devono rinunciare ad una visione egocentrica del rapporto, mettendosi a disposizione per realizzare un profitto che sarà condiviso tra tutti.

3. Differenza tra ricerca di reddito e ricerca di lavoro Se ci fermassimo al concetto così come è stato ora esposto, di sicuro molti obietteranno che quelli sono gli unici veri obiettivi di tutti coloro che cercano lavoro, quindi proprio per coerenza ed onestà, sarebbe bene manifestarli. Invece proprio qui sta l’errore. La richiesta suddetta (tanti soldi per poco lavoro), “non è una domanda di lavoro ma di denaro”! Il lavoro, nella sua realtà psicologica, è una passione è un tutt’uno con l’essenza della persona, il lavoro, quello vero, è un’arte che ci accompagna per tutta la vita. L’anziano falegname del villaggio di montagna, non ha interesse ad andare in pensione a sessant’anni, anzi, teme la vecchiaia perché gli impedirà di continuare a gioire per la creazione delle sue opere d’arte. Egli dopo decenni si ricorda ancora quali erano le venature da seguire per levigare al meglio un tronco, estraendo fregi che adornano balconi, travi che sostengono tetti, assi che sostengono carichi enormi senza schiantarsi. Dalle sue scelte è dipesa la salute e la sicurezza dei suoi compaesani, che lui conosce ad uno ad uno da una vita, con cui ha condiviso emozioni, difficoltà, eventi piacevoli e dolorosi. Anche in una catena di montaggio di una grande industria o in un bugigattolo di ufficio in un anonimo grattacielo un operaio o un impiegato potrebbero eccezionalmente

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avere la medesima dedizione e immedesimazione nel proprio lavoro, ma certo è che il contesto rende rarissimi tali “missionari”, la stragrande maggioranza degli attuali lavoratori dipendenti si reca nelle imprese per la necessità di guadagnare denaro, non per passione. Invece un imprenditore, per essere vincente e integrato nel progetto produttivo, utilizza intuito, creatività, senso di appartenenza, in modo simile all’antico artigiano; il suo approccio al lavoro è decisamente più orientato alla crescita aziendale che non al mero soddisfacimento del benessere personale, quindi il un confronto di intenti con un dipendente, può spesso generarsi attrito o delusione, avendo le due parti una predisposizione diversa a sacrificarsi per la medesima azienda. Invece che rimanere legati agli ambienti dell’industria e del terziario, supponiamo che il rapporto di lavoro sia relativo ad un importante società sportiva. La squadra per tradizione ha una natura, una costituzione, una caratteristica che la distingue da ogni altra e che la fa prediligere dai sostenitori. Il presidente-dirigente per gestirla al meglio dovrà quindi rispettare questa peculiarità, assumendo come allenatore e giocatori quegli elementi che meglio incarnino lo spirito della squadra nel lavoro di gruppo. Un allenatore può essere bravo a preparare i suoi atleti in un certo modo, ma questa modalità potrebbe non essere in sintonia con la personalità della società, quindi non è adatto ad ottenere gli obiettivi. Lo stesso dicasi per gli atleti, magari essi sono dotati di ottime qualità individuali, ma potrebbero non essere intenzionati a metterle a disposizione per quella squadra. La selezione quindi non deve solo tenere conto delle attitudini e delle capacità dei dipendenti, ma deve prendere altrettanto in considerazione quanto queste persone sono caratterialmente disposte a sacrificarsi per un obiettivo comune, accettando senza remore dei “limiti” che ne riducono l’autonomia. Così, proprio nello sport, si assiste di frequente al caso del grande campione che, cambiando squadra, sembra non essere più in grado di esprimere le sue capacità, oppure dell’allenatore vincente che ad un certo punto registra solo dei fallimenti. In questi casi il selezionatore ha scelto delle alternative che non erano facilmente integrabili con lo spirito del gruppo. Ciò che è stato detto per lo sport è applicabile a qualsiasi impresa, così come l’atleta ambisce per passione di poter essere selezionato da quella squadra o per quella gara perché gli piace partecipare ad una attività che lo soddisfa, indipendentemente dal guadagno, altrettanto chi domanda lavoro dovrebbe chiederlo a quell’impresa e per quel ruolo che sa essere di sua soddisfazione e competenza. Invece in molti distribuiscono curriculum e rispondono ad annunci, senza neanche conoscere quale sia la natura dell’impresa in cui dovrebbero essere assunti o quali siano le richieste reali dell’azienda, questo perché, come abbiamo detto sopra, stanno cercando un reddito, non un mestiere. Non prendere in considerazione l’aspetto emotivo, caratteriale, psicologico del rapporto di lavoro è sintomo di superficialità. Superficialità nel selezionare i lavoratori, più di frequente nel domandare lavoro. Superficialità scaturita da un sistema di vita che per vari motivi crea confusione fin dall’infanzia, non fornendo più delle figure genitoriali ben definite e che stimolino lo sviluppo di un individuo maturo che si autostima, esprimendo un comportamento responsabile, etico, concreto, duttile, accogliente, umile ma nello stesso COLLOQUIO DI LAVORO (MANUALE PRATICO PER USO SCOLASTICO)

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tempo consapevole delle proprie potenzialità e passioni. Superficialità da parte dell’imprenditoria nel ritenere che: “se hanno bisogno di lavorare accetteranno anche contro voglia!”, sì certo, ma alla prima occasione si riprenderanno tutto quello che avrai estorto loro quando li hai tartassati nel momento del bisogno, quindi l’azienda diventa un ambiente corrotto e infido anziché una famiglia in cui crescere insieme. Superficialità da parte di chi chiede di essere assunto che, cercando di barcamenarsi in un’attività a lui non consona pensa: “subito mi presento umile e premuroso, poi, una volta assunto, grazie alle leggi, mi astengo dal lavorare il più possibile e mi faccio pagare stando a casa!”. Questi sono modi di approccio nefasti, non giovano alla nostra società e sul lungo periodo sono sempre gravemente deleteri anche per chi li ha adottati. Negli ultimi decenni si è quindi instaurato un modo di fare nel quale il selezionatore sa di dover affrontare un compito difficile, cercando di discernere alla svelta coloro che fanno richieste di lavoro apparentemente virtuose ma che in realtà cercano di essere assunti per poi poter giovare di vari benefici senza dare un adeguato corrispettivo, dall’altro, moltissimi giovani partono scoraggiati e disinformati su ciò che li attende al colloquio, presentandosi in modo inadeguato, rispondendo in maniera farraginosa, ambendo a degli obiettivi illusori. Purtroppo, dopo vari tentativi falliti, magari senza capire veramente il motivo per cui si è stati esclusi, ritenendosi, erroneamente, preparati e adeguati alle richieste, molti si scoraggiano e rinunciano a migliorarsi, cercando soluzioni di ripiego che magari, a venti o trent’anni, possono dare un minimo di benessere, ma che si riveleranno sterili come scelte di lungo periodo.

4. Colloquio di lavoro Ora, supponendo che il selezionatore sia stato preparato adeguatamente e abbia acquisito la necessaria esperienza per svolgere il suo delicato compito, soffermiamoci sull’atteggiamento e sulle parole che il selezionato può manifestare per cercare il miglior approccio in un colloquio di lavoro.

4.1.ansia Primo problema da affrontare è dato dall’ansia, si è di fronte ad un esame, non importa quanto si creda in quell’opportunità di lavoro o nelle proprie capacità, quando si è di fronte ad un’autorità che ci giudica l’ansia è presente. Se poi chi è in cerca di lavoro non ha mai affrontato degli esami al di fuori del mondo scolastico, il dubbio di essere scartati e di dover comunicare il fallimento a coloro che ci attendono a casa, può ridurre la capacità di dimostrare spontaneamente le proprie abilità.

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Il consiglio è di mettersi in gioco il più possibile anche nel quotidiano, già a partire dall’ambiente scolastico. Già a scuola si possono innescare le strategie vincenti per il lavoro che ci accompagnerà nella vita. Una verifica scolastica la si può ignorare, “tagliare”, copiare oppure studiare, tutti questi metodi sono validi nell’ambiente infantile, ma tra adulti si pagano cari: i rimedi basati sulla falsità ci pongono di fronte al rischio di dover vivere una vita di disonestà e rischio (prima o poi i “conti in sospeso” si pagano con gli interessi), evitare gli esami è un metodo infruttuoso se non è accompagnato da un’adeguata tattica. Non basta studiare l’argomento della verifica, occorre intuire quale sia quale tipo di linguaggio e quale forma ci è richiesta in quel contesto dall’insegnante. I problemi da svolgere si possono affrontare con un particolare riferimento alle proprie caratteristiche, ad esempio: molti affrontano prove su più punti, iniziando dagli argomenti più semplici, poi, quando sono già stanchi, passano a quelli difficili e, essendo stanchi, li sbagliano. Viceversa, potrebbe essere conveniente iniziare proprio con i problemi più ostici, quindi passare via via ai più semplici che, anche se con meno energie a disposizione, saranno affrontati agevolmente, sia perché li si conosce meglio, sia perché si ha il morale più alto, avendosi già tolto il grosso del lavoro. Molti di noi possono citare degli esempi in cui il solo fatto di aver cambiato un insegnante ci ha modificato sostanzialmente il voto in una certa materia, quindi è molto importante conoscere non solo la materia ma anche l’insegnante e le sue richieste specifiche. A scuola non si dovrebbe andare per studiare degli argomenti o per obbligo, ma per fare “palestra” di vita, in modo da sviluppare il proprio metodo di successo nella vita. Se fin da bambini e poi da ragazzi ci si abitua ad affrontare le sfide e accettare le sconfitte, l’ansia del colloquio di lavoro può essere compensata dall’esperienza acquisita in anni e anni di esami quotidiani. Quindi il problema dell’ansia non lo si risolve il giorno del colloquio, bensì lo si scioglie giorno per giorno, accettando e affrontando ogni impegno quotidiano già dalla scuola.

4.2.Rapporto gerarchico Eccoci al problema della gerarchia, abbiamo sottolineato come l’essere umano abbia in sé la dote di rispettare un ordine di importanza nei rapporti sociali. Anche se i titoli permettono a qualcuno di avere un ruolo di comando e altri di dovergli essere subalterni, in chi è presente in un certo ambiente da più tempo, si instaura la credenza di essere gerarchicamente superiore all’ultimo arrivato, anche se ha una capacità o un titolo più elevato. In pratica, come si dice nell’ambiente militare: “l’anzianità fa grado”. Questo rapporto inconscio tra individui è presente nel colloquio di lavoro, ma l’esaminatore attento sa che se l’esaminato dovesse essere assunto, dovrà affrontare il medesimo problema, ben più amplificato, fin dai primi giorni (cioè dalla “gavetta”). Perciò, nell’esaminato si cerca l’umiltà di accettare e uniformarsi alle regole preesistenti: egli deve chiedere permesso, salutare

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cortesemente, sedersi solo se è espressamente invitato, deve evitare toni e contegni altezzosi o presuntuosi. Questi atteggiamenti, oltre ad essere utili in qualsiasi rapporto umano, ancor più sono all’attenzione dell’esaminatore che proprio da questi primi approcci inizia a delinearsi l’idea di chi sia lo “sconosciuto” che ha di fronte.

4.3.Domande tipiche Spesso con la prima domanda l’esaminatore chiede al candidato di presentarsi, di parlare di se stesso. Tale richiesta serve a creare un clima favorevole in cui l’esaminando può esprimersi liberamente. L’attenzione nella risposta va però orientata a contestualizzare la descrizione di sé in modo da inserire le proprie caratteristiche personali nell’ambito dell’offerta di lavoro che l’azienda sta proponendo. Al selezionatore non è d’interesse sapere i fatti personali di decine o centinaia di aspiranti lavoratori, bensì, dato per scontato che tutti i richiedenti abbiano dei curriculum di esperienza più o meno simili, egli deve capire quali siano le reali caratteristiche e potenzialità che l’aspirante potrà in futuro esprimere se fosse inserito in quel contesto aziendale. Il passato ha fatto sì che offerta e domanda di lavoro si trovassero, nel presente invece si deve scegliere come la vita futura del lavoratore potrà svilupparsi in diretta connessione con un’altrettanto prospero sviluppo aziendale. Il colloquio non serve a selezionare il passato, bensì serve per costruire le basi per il futuro. L’esaminando dovrà perciò orientare la descrizione di sé, non per raccontarsi, ma per pubblicizzarsi. Allo stesso modo, se il discorso, come spesso accade, verte sul perché si desidera cambiare lavoro (in caso che il richiedente stia già lavorando in altro luogo), oppure perché si sia rivolto proprio a quella peculiare offerta, sempre rimanendo in linea con il profilo inerente al ruolo per cui si richiede l’assunzione, il candidato farà bene ad improntare il discorso sul argomenti relativi allo sviluppo, alla crescita, al miglioramento, evitando di portare l’attenzione sui problemi che può aver vissuto in precedenza: “nell’azienda attuale mi trovo male, nessuno mi considera, mi pagano poco, ho turni massacranti” – eventuale risposta pensata dall’esaminatore: “problemi tuoi! Arrangiati, noi vogliamo uno che sia appassionato e volenteroso, che si prenda rischi e responsabilità, chi ha così tanti problemi è perché vede solo il lato peggiore della situazione, quindi non fa per noi”. Idem nel caso in cui si faccia domanda per il primo lavoro: “ho presentato tanti curriculum ma nessuno mi ha mai risposto, aspetto da troppo tempo che mi chiamino” – l’esaminatore può pensare: “per farti notare e rispettare devi prendere iniziative oculate, adottare strategie adeguate, interessare con volontà le persone giuste, hai scelto noi perché nessuno ti vuole, ma noi non siamo l’assistenza pubblica: arrangiati!”.

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Ovviamente per quanto concerne le domande specifiche relative al ruolo e ai compiti che si richiedono per quel lavoro, il candidato dovrà essere perfettamente preparato, la concorrenza è spietata. Quindi, prima di presentarsi al colloquio, occorre conoscere bene per quali esatti compiti è richiesto il lavoro, quale sia la struttura aziendale, su quali strategie si basa, quale immagine propone sul mercato ecc.

4.4.Conclusione del colloquio Infine, anche nel terminare il colloquio occorrono quelle forme e regole educative che si devono applicare all’ingresso, sottolineando l’attenzione da porre allo sguardo, al tono di voce, al modo in cui si saluta. Come le prime impressioni di un colloquio possono essere pregiudizievoli per il prosieguo del rapporto, così quando ci si lascia, le ultime fasi sono tra le più facili da essere ricordate in futuro, quindi per l’esaminato è necessario di uscire dall’esame con un contegno che evochi ottimismo e fiducia. Dare l’impressione di non sentirsi all’altezza delle richieste non è un bel modo per farsi “ricordare”, ma ancor più deleterio è mostrarsi distratti, annoiati o presuntuosi, come se il partecipare alla selezione sia stato un peso, non un’opportunità di vita. In conclusione, quello che maggiormente conta è la dimostrare di avere passione per quell’attività, di generare la volontà di superare gli ostacoli, di esprimere un carisma importante nel rapportarsi con gli altri, rispettando le gerarchie e di possedere la padronanza nell’utilizzare gli strumenti richiesti dalla mansione. Buon “lavoro".

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