Diario d'Inverno - Racconti di Natale

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Giulia Marengo

Il Natale che vorrei La luce che piove dalle alte finestre della sala del consiglio è pallida e lattiginosa, intessuta di gelo. Fuori, si respira un’atmosfera sospesa, titubante, che sospira di neve e di ghiaccio. Rabbrividisco e mi stringo le falde del mantello di morbido velluto, nero come il peccato, che mi cinge le spalle. Anche se la stanza è calda, e un fuoco vivace danza nel camino, sotto al mantello indosso solo un abito leggero di seta bianca, e l’inverno tedesco mi ammanta la pelle di brividi. Sono rinchiusa in questa stanza da ore, per esaminare tutti i provvedimenti che Menno, il viceré, ha elaborato per il nuovo anno. E poi ci sono i documenti da ratificare, le lamentele a cui prestare orecchio, le richieste da onorare. Ho dovuto imparare a domare la mia naturale impazienza, e l’unico segno esteriore del mio desiderio d’evasione è il ritmico tamburellare contro la gamba della poltrona del piede calzato nella morbida pianella. Mentre Menno continua a parlare, incurante della mia disattenzione, il mio sguardo vaga altrove, soffermandosi brevemente sulle persone sedute intorno al tavolo ovale. Se oggi sono qui, in questa sala, a svolgere il compito che mi spetta per diritto di nascita, lo devo a tutti loro. Molte volte ho tentato di esprimere la mia gratitudine, ma le risposte che ricevo più spesso sono una voce gentile e una scrollata di spalle. «Abbiamo fatto solo il nostro dovere», ripetono. Dal mio punto di vista, hanno rischiato tutto per una giovanissima sconosciuta, mettendo il destino di tutti loro nelle mie mani inesperte. Balder e suo figlio Matthias siedono l’uno accanto all’altro, le teste vicine chine su una cartina della città. La rassomiglianza fra loro è impressionante, tanto da strapparmi un sorriso. Christoph, il vecchio consigliere, ascolta Menno con aria corrucciata. Ma Christoph ha sempre quell’espressione, a prescindere dall’oggetto della discussione. Nei mesi passati, ho scoperto che dietro l’aspetto decrepito si cela una mente ancora affilata come la lama di uno stiletto. Indugio, sfiorando con le dita pigre del mio Dominio i suoi pensieri. Come immaginavo, la sua mente tradisce il suo passato militare, organizzata come il piano di battaglia di un generale. Le altre sedie sono vuote. Melusine, per una volta, si è astenuta dal partecipare, e in silenzio tiro un piccolo sospiro di sollievo. Quella donna ha fatto del rendermi la vita un inferno la sua crociata, e ogni minuto strappato alla sua sgradevole compagnia è da considerare raro quanto prezioso. Infine, i miei occhi si posano di nuovo sulla persona che calamita irrimediabilmente la metà dei miei sguardi. Jan è in piedi, di spalle, e osserva pensoso il panorama fuori dalla finestra. Tiene le mani allacciate dietro la schiena, e le lunghe dita aggraziate da musicista accarezzano piano le nocche. Come spesso accade, veste di blu, un morbido maglione di cachemire indossato sopra pantaloni di

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