Premio Letterario "Fuori e dentro di me" V edizione

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Fuori e dentro di me V Premio Letterario Biblioteca Intercomunale Ulisse

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Fuori e dentro di me V Premio Letterario Biblioteca Intercomunale Ulisse

COMPONIMENTI INEDITI A TEMA LIBERO

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in viaggio con i libri

Comune di Panicale

Comune di Piegaro

BIBLIOTECA INTERCOMUNALE PANICALE-PIEGARO

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Stampato nel mese di marzo 2015 presso Dimensione Grafica Spello per Società Cooperativa Sistema Museo.

Copyright 2015 Società Cooperativa Sistema Museo, via Danzetta 14 - 06121 Perugia.

Tutti i diritti riservati. Riproduzione vietata. L’editore non si assume alcuna responsabilità in ordine ai contenuti dei testi che restano il risultato della libera creazione degli autori. Con il contributo di

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Scrivere per se stessi, e scrivere per gli altri, è un atto di grande generosità, poiché offre a chi scrive la possibilità di conoscersi e ad altri la facoltà di ri-trovarsi. Ottanta “giovani penne” ci hanno presi per mano nel loro tentativo di indagare la realtà e coglierne i significati profondi. Graziosi e autentici paesaggi interiori si sono colorati di presenze e luoghi fatti di affetti, ricordi, narrazioni fantastiche e avventurose, in un percorso di continuo svelamento.

Un ringraziamento sincero va a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo evento, ma in special modo ai ragazzi che hanno permesso di metterci in ascolto, utilizzando la scrittura come atto di libertà, sfida, conquista e crescita continua.

Cinzia Biani Coordinatrice e curatrice del premio letterario Sistema Museo

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I componimenti inediti premiati e segnalati alla V edizione del concorso per giovani scrittori della Scuola Secondaria di I grado a.s. 2014/15


testi selezionati

I PREMIO A BHEITH CÚRAMACH AR CAD A DEIR TÚ STAI ATTENTA A QUELLO CHE DICI Maeve Brewer III A, Istituto Comprensivo Panicale-Tavernelle II PREMIO EX AEQUO GLI ULTIMI MINUTI Edoardo Nicchiarelli II B, Istituto Comprensivo “Dalmazio Birago” di Passignano e Tuoro sul Trasimeno STORIA DI UN SABATO SERA Sara Salvatori III B, Istituto Comprensivo di Piegaro III PREMIO CARO DIARIO... Erika Bellaveglia II A, Istituto Comprensivo “Dalmazio Birago” di Passignano e Tuoro sul Trasimeno

testi segnalati

LA MIA FAMIGLIA Alessandro Grilli I A, Istituto Comprensivo Panicale-Tavernelle METAMORFOSI Aurora Pitzalis III B, Istituto Comprensivo di Piegaro

NON TI SCORDARE MAI DI ME Chiara Borrazza II A, Istituto Comprensivo Panicale-Tavernelle UN REGALO SPECIALE Ludovica Backer III A, Istituto Comprensivo di Piegaro

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me testi selezionati

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I PREMIO

A BHEITH CÚRAMACH AR CAD A DEIR TÚ STAI ATTENTA A QUELLO CHE DICI La colpa è stata la mia, ne sono certa anche dopo cinque anni. Lo pensavo da tempo, anche mia madre mi aveva avvertita: “Sta’ attenta a quello che dici, perché prima o poi si avvera!”. Suona così un’espressione della mia terra: l’Irlanda. Io non ci volevo credere, eppure ad ogni litigio dei miei genitori lo pensavo, ecco ora si è avverato: si sono separati. Si era appena alzata l’alba e io guardai dalla finestra quello spettacolo di colori. Quello che era il cielo un minuto fa, un semplice foglio bianco, adesso era diventato un’opera d’arte. Il pittore con il suo pennello dipingeva quel cielo con una bellissima striscia rossa con un tocco d’oro. Due pennelli più piccoli lo seguirono con un arancione vivace e per sbaglio una goccia di giallo cadde al 11


centro del foglio. Quella goccia si allargò sempre più grande e luminosa, al punto che dovetti chiudere gli occhi per non accecarmi. Esitai qualche minuto e poi li aprii, ma dovetti aspettare che mi abituassi a quella luce intensa. La goccia gialla aveva conquistato il foglio facendo scomparire l’opera che una volta aveva rovinato. La sfera continuava a salire per far vedere al mondo che è il re, ma lo sanno tutti, non c’è bisogno, come sempre quella sfera egoista non dà retta a nessuno! Girai la testa nella mia stanza buia, senza vita, solo il raggio della palla prepotente emanava un debole filo di luce. Non mi andava di rovinare i miei ultimi giorni di vacanza seduta a fare niente in un angolo scuro della stanza, dove il buio mi nascondeva dalla verità. Mi avvicinai alla porta, mi fecero sobbalzare delle grida: no, no un’altra volta pensai! Quelle urla feroci dei miei genitori mi fecero male alle orecchie, erano così forti che per un attimo fui convinta che due animali feroci fossero entrati combattendo uno contro l’altro. Mia madre urlò un’altra volta e non potei fare a meno che ripetere le stesse parole. “Divorzieranno, divorzieranno…”. E poi silenzio, lanciai un sospiro di sollievo! Aspettai qualche minuto e corsi fuori all’aperto. Un vento fresco mi colpì la faccia, non era una giornata calda come 12


speravo, ma ancora più bella. L’erba era un po’ bagnata e così anche gli alberi, le ragnatele a forma di spirale con delle gocce trasparenti che scivolavano sul terreno bagnato. La piccola goccia fu risucchiata dalla terra, altre la seguirono. Trovai un semicerchio coperto dal sole in un angolo del giardino e mi sdraiai, era l’unica parte asciutta. Chiusi gli occhi e qualche minuto dopo sentii la mia schiena bollire e un brivido mi salì al collo. Mi sollevai e raccolsi un po’ della terra calda che mi scivolò dalle mani come della cioccolata calda lasciandomi un segno rosso. Il mio nome fu urlato da una voce familiare, aspettai: era la mamma. Mi chiamava così solo quando avevo fatto qualcosa di male. Non avevo voglia di litigare e, in più, non sapevo cosa avessi fatto di male. Seguii la voce di mia madre e la raggiunsi dietro casa. Stava seduta su una roccia con le spalle e la testa puntate verso il basso, mio padre stava accanto a un albero con mia sorella che gli stava accanto. Il mio sguardo incontrò quello di mia madre e invece di due occhi lucidi dalla rabbia trovai due occhi senza vita. I due cerchi blu erano senza colore, riempiti di dolore e dispiacere e gli angoli delle sue labbra erano rivolti in basso. Mia sorella continuava a giocare, non capiva, anche io ero abbastanza piccola e non 13


comprendevo la situazione. Guardai il cielo e vidi le nuvole giocare con il sole a pallavolo, mi sembrava così e mi venne voglia di diventare una nuvola per poter giocare anche io. Il mio sguardo tornò a terra, guardai la mamma che iniziò a parlare. Non comprendevo le sue parole, ma non c’era bisogno! Gli occhi di mia sorella esplosero in lacrime e fiumi le scesero sul volto, una spada mi trafisse il cuore. Era troppo doloroso. Guardai il cielo, il mio unico conforto e in quel momento il pittore strattonò il foglio in segno di disprezzo e odio. La sfera pregava il suo maestro di smetterla, diceva che non avrebbe più rovinato le sue opere, ma era troppo tardi!

Maeve Brewer III A, Istituto Comprensivo Panicale-Tavernelle

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II PREMIO

GLI ULTIMI MINUTI Gli ultimi minuti che attendono il suono della gracchiante sveglia sono sempre vuoti, come vegetazione nella arida landa desolata del deserto. Non riesco ad immaginare nulla, forse perché turbato o forse perché la mia mente si rifiuta di pensare ad un sogno paradisiaco che rimarrà tale. Così mi appresto a vestirmi con calma, ma inizio. Poi giungo in bagno per lavarmi i denti e i miei occhi catturano un’immagine familiare: me stesso. Attento come una sentinella fisso i miei stessi occhi; vedo cose appartenute ad un passato lontano, ad uno più recente e penso di rivedere in un flashback la mia intera vita: le immagini scorrono veloci come un treno in folle corsa; sembrano quasi un rullino di cinquant’anni fa dove fuggono, inesorabilmente lente, parole, sensazioni o fatti che si rincorrono in un ciclo continuo che mi distoglie dal 15


mondo attuale e mi porta in un altro, il quale pone il mio cervello alla ricerca di dove e di perché: chi siamo veramente, perché siamo qui, qual è il nostro compito? Domande a cui un “non si sa” è stato scritto fin dai tempi dei tempi dagli uomini. Altre volte invece mi immagino di poter semplicemente varcare una porta di mogano per raggiungere un universo parallelo che confina con noi, che potrebbe essere proprio accanto a noi, senza che occhi furbi e vispi possano cogliere la sua veritiera essenza. A volte sono un medico in Africa, altre volte un neonato nato nel gelido clima artico, o altre volte un semplice ragazzo che ha una sorella e due genitori normalissimi, con uno stupendo e adorabile cane. Poi tutto, ad un tratto, diventa nero, ogni cosa nera come la pece, nera come la notte profonda in cui pure stelle e luna si rifiutano di illuminare, nero che più nero non si può. La pellicola svanisce e si infrange, in minuscoli pezzi, la porta che conduceva ad una vita, diversa ma uguale. Il frastuono dell’orrenda ape del mio vicino: ecco il motivo della mia distrazione. Così, arrabbiato, mi affaccio e guardo fuori dalla mia finestra, ed essa vola via come del resto tutti i colori e le emozioni delle persone. 16


Il mondo per me è in bianco e nero, perché sono colori che non significano nulla, sono vuoti e spenti come l’anima delle emozioni. In tutta la mia vita ho incontrato solo poche persone colorate, i cui passi danno vita alla vita stessa accendendo una luce in un mondo in cui gli uomini brancolano nel buio, una speranza in un mondo mezzo vuoto. Una di queste persone è mia nonna, che ha una tenacia e una forza psicologica imparagonabili: lotta ogni giorno con suo marito, ovvero mio nonno, tra la stanchezza e i suoi acciacchi, normali per la sua età. Anche mia madre e mio padre hanno questa grande forza che ogni giorno li proietta avanti. Poi vedo le macchine, veicoli di un tempo bloccato nella mia mente, e mando avanti ed indietro come in un replay. Di nuovo l’ape che mi distoglie dai miei pensieri più profondi, che solo io conosco, talvolta addirittura celati a me, come un piccolo cucciolo in mezzo ad un prato verde e rigoglioso. Mi appresto ad uscire di casa. In quel mentre una delicata carezza di vento mi sfiora il collo ricordandomi di ritornare al mondo reale. Mugolando di felicità, mi accoglie il mio caro amico 17


a quattro zampe, Vittorio. Poi viene là e mi ride sollevando le due grandi labbra, quello è il miglior suono, oltre a quello degli uccellini, che mi piace udire; mi dà una sensazione di piacere e mi fa scaldare l’intero corpo. Così, immerso sino al capo nei miei pensieri, mi appresto a giungere, per mezzo delle mie gambe, fino a scuola; ma qualcosa mi blocca, così riniziano i flashback: io che rido e scherzo con i miei amici,poi zoomo sui loro corpi, qualcuno colorato, qualcuno in bianco e nero che, anche se si diverte, non riesce a trovare la sua vera felicità. La campanella si appresta a suonare e quindi dalla strada mi precipito a scuola, salutando i miei genitori e varcando la prima porta. Stop. Dentro di me la mente ha già stoppato questo mondo a parte, cosicché io possa osservare nei minimi dettagli ogni cosa caratteristica dei miei compagni: sguardi d’intesa, abbracci accentuati, parole smorzate o sorrisi soffocati tenuti dentro per rimorso o per una semplice burla, in segno di vendetta, di disapprovazione. Go. Tutto riparte, come se non fosse accaduto nulla e io mi appresto a scendere le scale, le solite scale, 18


le scale che mi sono stufato di vedere così spesso, quelle che se ti proponessero X cambieresti immediatamente, quelle detestate, odiate da molti studenti. Una maniglia, una semplice maniglia ti porterà in un nuovo mondo fatto di delusioni o soddisfazioni. Cccccccrrrrrrrrrr… - "Buongiorno Prof." - dico sedendomi sul mio banco. Ci consegna i titoli dei temi e ci spiega i titoli, poi ci augura buona fortuna e partiamo: “Gli ultimi minuti…”. Edoardo Nicchiarelli II B, Istituto Comprensivo “Dalmazio Birago” di Passignano e Tuoro sul Trasimeno

STORIA DI UN SABATO SERA Allora iniziamo. Iniziamo a raccontare. Eh sì, raccontare… questa è l’unica cosa che so fare, raccontare. Bambini, potete dirmi una sola sera in cui non vi ho mai raccontato una storia? Beh, questa sera voglio raccontarvi una delle più belle storie che io abbia mai scritto. La mia vita.

Mi chiamo Luca, e sono uno di quelli che molti di voi chiamerebbero nerd. Sono uno di quei tipi asociali,

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fissati con i libri, con la scuola, con i voti alti e tutto il resto. Sono uno di quelli seduti all’ultimo banco, uno di quelli che piangono per un sei vuoto, che non riuscirebbe a farsi degli amici neanche se la vita glieli sputasse in faccia. In tutto ho cambiato scuola quattro volte (questa sarebbe la quinta), a causa di mio padre, che per lavoro deve continuamente spostarsi. Così mia madre aveva preferito che andassimo tutti insieme in giro per il mondo, piuttosto che rimanere mesi e mesi senza papà. - Un grande gesto d’amore! - diceva sempre lui. Situazione che a me, al contrario, pesava non poco. Ero arrivato nella mia nuova scuola esattamente da un giorno. Il primo giorno fu il solito inferno, tutti gli occhi puntati sul nuovo. Anche perché le novità sono quello che ci attrae di più e un ragazzo mai visto, che ha delle medie così alte, non può che essere una calamita per qualsiasi studente. Nel momento stesso in cui ho messo piede nella mia nuova classe mi sono sentito un agnellino che va al macello. Tutti gli occhi erano su di me, e le gelide mani della professoressa correvano sulle mie spalle. - Diamo il benvenuto a Luca! - gridò entusiasta la giovane professoressa. Aveva dei lunghi capelli biondi raccolti dietro la testa da una spilla marrone, 20


e degli enormi occhiali color canarino che le facevano degli immensi occhi blu. A prima vista sembrava che avesse non più di trentaquattro anni. La reputai comunque troppo inesperta per insegnare. Per sedermi scelsi uno dei banchi delle ultime file, vicino a una ragazza dai capelli rossi. Appena la vidi una sola cosa mi colpì di lei, i suoi occhi. Erano grandi, di un verde intenso che sfumava al nocciola formando dei cerchi di tonalità diverse. Erano bellissimi, ma li vidi solo per un breve istante poiché Anna (questo era il suo nome) li abbassò immediatamente, segno che doveva essere molto timida. Fece un cenno di testa a mo’ di saluto. - Ciao - risposi con un filo di voce. Dopo non ci fu una parola fino alla fine della lezione. A ricreazione i compagni mi accerchiarono e iniziarono a farmi domande. - Di dove sei? - Ti piace la scuola? - È vero che hai dei voti altissimi? - È la prima volta che vieni in questa città? Cercai di rispondere ai loro interrogatori mostrandomi sicuro. La sicurezza è la prima cosa, ed è quello che tutti cercano. Se non fossi riuscito a mostrarmi sicuro mi avrebbero sicuramente 21


lasciato solo. E questa era l’ultima cosa di cui avevo bisogno. Cercai di scorgere tra la folla la mia vicina di banco, che era misteriosamente svanita dal suo posto al suono della campanella. La ritrovai dopo un po’ seduta vicino alla finestra intenta a mangiare un panino da sola. Senza pensarci due volte mi alzai, sottraendomi alla folla di curiosi, e mi avvicinai al banco dove sedeva Anna. - È libero questo posto? - le chiesi. - Sì - mi rispose. Così alzai la sedia e mi sedetti. Ci fissammo negli occhi per quella che mi sembrò un’eternità. Avrei voluto rompere il ghiaccio, ma cosa avrei potuto dirle? L’avevo appena conosciuta e non avevamo nulla in comune di cui parlare. Decisi perciò di rimanere sul vago. - Bella scuola la vostra! - Ehm, grazie - fu la risposta. - Cosa mangi? - ritentai. - Pane e nutella. Tu? - Pane e prosciutto - Sembra buono... - disse Anna con un sorriso malizioso. - Sembra... - e le risposi con lo stesso sorriso. Le sfuggì una risata. Era la prima volta che la vedevo ridere. La sua risata assomigliava vagamente 22


allo squittio di un topo. Ma proprio mentre stavo per riattaccare il discorso, ecco partire lo squillante suono della campanella. Uff! Ma avrei in ogni caso avuto modo di parlarle più tardi. Sì, per la prima volta ci stavo provando con una ragazza. Non so cosa avesse di speciale Anna, ma c’era qualcosa di lei che mi affascinava. Non so se era per colpa di quei capelli rossi o di quegli occhi verde intenso, ma lei mi piaceva. Finì la giornata e io non le rivolsi più la parola poiché la lezione sulle rane aveva meritato tutta la mia attenzione, distraendomi dal mio vero obiettivo. Un vero nerd non cambia mai. Tornai a casa sconsolato e mio padre fu il primo ad accorgersene. - Cosa c’è? - No, niente, sono solo un po’ stanco... - fu la scusa. Il giorno seguente mi alzai di buon umore e più deciso che mai. Anna sarebbe diventata mia amica. Infilai le mie scarpe preferite, quelle con le strisce blu ai lati. Indossarle mi metteva sempre di buon umore. Poi finalmente m’incamminai verso la scuola, ma non ebbi il tempo di entrare che eccola là, seduta in un angolo, mentre si osservava il palmo della mano. - Ciao - la salutai. 23


- Ciao Mi meravigliai del fatto che fosse sola, così d’istinto mi sedetti vicino a lei. - Che fai? - Niente, aspetto - annunciò indicando una staccionata. - Cosa aspetti? - Questo! E in quel preciso momento l’ombra proiettata dalla staccionata si estese sul muro di fronte. Sull’edificio era disegnata una scimmia con due mani sporgenti, quasi volesse aggrapparsi a qualcosa, e congiungendo le due figure si poteva vedere chiaramente il mammifero affacciarsi da una specie di grattacielo. - Wow, è fortissimo! - esclamai. - Grazie, l’ho fatto io - mi rispose arrossendo. Ciò mi colpì moltissimo poiché lei era stata in grado di calcolare la giusta distanza e il tempo che vi metteva l’ombra ad arrivare nel punto che aveva stabilito. In quel momento capii che Anna era come me. Una secchiona. Continuammo così ogni mattina. Mi svegliavo, andavo a scuola e lei era lì ad aspettarmi, che fosse mattina, pomeriggio o sera (il sole non si trovava in quel punto sempre alla stessa ora!). Guardavamo insieme il cammino della staccionata lungo il muro e poi andavamo in classe 24


per iniziare la lezione. Ben presto cominciammo a frequentarci anche fuori dalla scuola, spingendoci in conversazioni sempre più lunghe. Scoprii ch aveva un vero talento per l’algebra: a me piaceva scrivere mentre lei adorava la matematica. Eravamo sempre insieme anche perché noi eravamo lo scarto di tutti, e ci andava bene così. “Io e Luca contro il mondo” diceva sempre Anna. Quello fu il periodo (anno) più felice della mia vita. Infatti, superati gli esami (a pieni voti i miei e un po’ meno i suoi), decidemmo di prendere due scuole diverse. Io scelsi il Classico e Anna prese lo Scientifico. Inutile dire che dovetti nuovamente cambiare città. In quella fase però a fare compagnia alla solita paura di inizio anno c’era una nuova sensazione, una voglia di mettermi alla prova. Nel nuovo liceo mi trovai benissimo. Ero completamente circondato da libri e da teste (per lo più) pensanti. Riuscii perfino a farmi degli amici nella mia e nelle altre classi. Era come se l’amicizia con Anna fosse riuscita a tirare fuori il vero me e a darmi coraggio. Ormai giravo per la scuola con una certa noncuranza, quella di colui che ha capito qual è il proprio posto. Passarono in fretta i cinque anni tra greco e latino, per essere poi catapultato nel mondo dell’università. 25


Frequentai la facoltà di giurisprudenza, ma non per fare l’avvocato, bensì per fare il giornalista, poiché in quegli anni mi ero esercitato molto nell’arte di raccontare e credevo di averci preso la mano. Ma di quel tempo la cosa che mi stupì più di ogni altra fu che un giorno, all’entrata dell’edificio, seduta sulle gradinate c’era una ragazza dai capelli rossi. Indossava un golfino blu, dei jeans molto attillati ed era intenta a guardarsi il palmo della mano. Pensai subito che fosse Anna e mi venne l’istinto di correrle incontro. Mi frenò solo il mio buonsenso, il quale diceva che eravamo molto lontani dalla città in cui avevamo frequentato le medie e non era possibile che per un caso fortuito lei fosse lì. Poi però la ragazza voltò la testa e allora li vidi. Erano diventati di un verde più scuro ma erano rimasti vigili e vispi come una volta. I suoi occhi erano la risposta a tutte le mie domande. Non ebbi più dubbi e andai da lei. - Ciao, non so se ti ricordi di me, sono... - Non ebbi il tempo di finire che mi si gettò tra le braccia. - Luca! - gridò. Rimanemmo in silenzio per un po’, a guardarci, per constatare che non si trattava di un sogno. Prima di lasciarci, le raccontai dei miei ultimi cinque anni e lei dei suoi. Anna e io così potemmo riprendere il 26


rapporto di amicizia che avevamo abbandonato anni prima, fino ad arrivare al nostro matrimonio, tempo dopo. Non era questo che doveva succedere ma fu un inaspettato regalo. Anna mi regalò anche due bellissimi figli, Angelo e Caterina, entrambi dei tigrotti dai capelli rosso fuoco. Fine. Bambini vi è piaciuta? Bene, perché è ora di andare a letto. Sara Salvatori III B, Istituto Comprensivo di Piegaro

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III PREMIO

CARO DIARIO... scusa tutta questa confidenza ma sai, sei un diario, con tutto il rispetto. Allora, di solito per prima cosa ci si presenta, bene: mi chiamo Erika, ho 13 anni compiuti a gennaio. Sono semplice, o forse troppo complicata. Sono dell’idea che vivo per scrivere e scrivo per vivere. Io sono una di quelle ragazze che ci rimane male anche per le piccole cose, che ama i vestiti ma addosso a lei non stanno bene, che prova ad essere piÚ carina truccandosi ma se lo fa peggiora e basta, quella che preferisce uscire con i maschi che con le femmine ma ci esce lo stesso, che ama la musica, la fotografia e il mare. Quella che non riesce ad andare bene a scuola anche se ci prova, che odia deludere i suoi genitori, che vuole tutto o niente, che odia il volume del telefono troppo alto quando arriva un messaggio, che ama le persone che ridono, non 28


che sorridono. Che ama le risate, appunto, quelle a bocca spalancata e rumorose con gli amici. Quella che quando ama, ama tanto. Quella che pensa che gli adolescenti abbiano il diritto di volere, perché siamo adolescenti. E in quanto tali vogliamo il messaggio della buonanotte, del buongiorno. Vogliamo gli abbracci improvvisi, vogliamo le risate fino alle lacrime, vogliamo le scritte sotto casa. Vogliamo ballare, vogliamo l’ansia prima di un appuntamento. Vogliamo gli amori, il solletico, le corse sotto la pioggia. Vogliamo urlare. Perché la vita è una sola. E io la sto vivendo come quella che si affeziona facilmente perché non sa esattamente cosa spinga due persone a legarsi. Ma le piace, forse perché le lega la sintonia, forse le risate, forse le parole. Probabilmente, l’incominciare a condividere qualcosa in più, a parlare un po’ di sé, a scoprire pian piano quel che il cuore cela. Imparare a volersi bene, ad accettarsi per i difetti, i pregi, per le arrabbiature e le battute. O forse accade perché doveva accadere. Perché le anime sono destinate a trovarsi, prima o poi. Forse per questo mi piace. Sono la tipica ragazza che è nel periodo della vita che va dai 13 ai 19 anni, nel quale sei troppo piccolo per fare la metà delle cose e troppo grande 29


per l’altra metà. Dove un giorno ti senti il re del mondo, e il giorno dopo vorresti solo stare a letto sotto le coperte a piangere, finché magari quel viso, quei fianchi, quella pancia non migliorano un po’. Quel periodo dove iniziano gli amori, e i dolori. Vuoi amare e non sai come si fa, vuoi essere a mato e non sai come si fa. I tuoi genitori non ti comprendono e ti senti al guinzaglio continuamente. Sei tutto e niente insieme. La scuola, la stanchezza perenne e il voler semplicemente dormire. Le ore passate al computer. La moda e la massa. I “non ti capisco”. I “sei cambiato”. I “ci vediamo domani”. Gli arrivederci che diventano addii. E i nuovi incontri. Ma la cosa più strana di tutte è che prima o poi tutto questo schifo ci mancherà da morire. Sono quella ragazza strana. Strana, hai presente? Quella che in mezzo agli amici fa la stupida e ride, per tutto. Quella che preferisce piangere in camera da sola e non davanti a tutti. Quella con i momenti di pazzia e quelli paranoici. Quella che dà un senso ad ogni braccialetto che ha al polso. Quella che preferisce scattare la fotografia e non esserci. Quella che conserva tutto ma che perde ogni cosa: chiavi, cuffie, pulman, persone, rispetto. Quella che chiede “scusa” anche quando la colpa non è sua. Quella che vive ogni singolo luogo e libro. 30


Quella che immagina ciò che desidera al suo fianco, ovunque. Quella disordinata. Quella dai pensieri complicati, che nessuno comprende. Quella che ama gli abbracci più dei baci. Quella che adora scrivere e non fumare. Quella a cui, per essere felice, non serve droga ma il sorriso di chi ama. Quella che non cerca le persone per paura di dare fastidio. Quella che non scrive mai a nessuno ma aspetta. Quella che mette prima gli altri e poi se stessa. Quella che dà agli altri ciò che vorrebbe ricevere lei. Quella che vive per scrivere. Insomma, è quella strana. Allora, ce l’hai presente? Ecco, sono io. Non sono come le altre. Non ho nulla di speciale, spesso rimango in silenzio, guardo tutti con occhi curiosi come se non conoscessi niente del mondo e infatti, più o meno, non conosco nulla. Sembro spesso acida, ma in realtà nessuno sa che dentro, tutta la mia dolcezza sta marcendo. Se mi guardi sembro persa nei miei pensieri, e non sbagli, sono davvero persa. Se mi senti parlare sono un treno con i freni rotti e se mi guardi negli occhi non capirai se sono felice o triste. Sono una tipa molto strana. Ci sono giorni che voglio disperatamente un abbraccio ed altri che se mi tocchi ti uccido. Sono cresciuta con la diffidenza stampata nel cuore, ma poi mi 31


aggrappo a chiunque mi dia un briciolo d’amore. Sono malata d’incompletezza e di illusioni. Ho degli sbalzi d’umore assurdi. Ogni volta che cerco di allontanare qualcuno sono terrorizzata dall’idea di riuscirci davvero. Ho tantissimi difetti cuciti addosso. Ho l’estate nel sorriso e l’inverno negli occhi. Odio la primavera, maledetti pollini! Sono sempre stata la ragazza che cerca abbracci, baci sulla fronte e mani intrecciate. Quella che vuole sempre fare la dura, ma che appena ne ha l’occasione si rifugia in camera per starsene un po’ da sola. Quelle come me sono uscite da un fumetto, se gli fai un complimento ti guardano storto e ti chiedono se non le stai prendendo in giro. Se le stringi forte, ancora più forte, hanno più paura di perderti. Se prometti amore, hanno paura di amare troppo, se non amano si sentono perse, ma amano in maniera buffa, che quando sentono dirsi “ti amo”, ti guardano sbalordite e rispondono “sì, ma perché?”. Se le lasci sole, appendono cuori di carta al soffitto e li stanno a guardare, oppure scrivono per finire di non far leggere niente a nessuno. Le guardi e non sai a cosa pensano, ma forse riflettono sulla fine del mondo oppure su un gusto di 32


gelato, e le lasci andare, perché tornano. Non le guardare mai quando non ti guardano, potresti scoprire che hanno paura. Ti raccontano centomila volte la stessa cosa, solo perché raccontandola, forse, fa meno male. E un fumetto sembra buffo, ma non lo è. È uno di quei fumetti che chiedi: “ma la parte comica dov’è andata a finire?”. Quelle come me non so se fanno ridere o disperare, però se le guardi ben bene un sorriso te lo rubano. Che sia uno, piccolo e quasi nascosto, ma se lo fanno regalare. Sono una di quelle persone “difficili” da capire. Con tanto amore dentro da dare, ma da non dimostrare a chiunque. Sono un po’ distante dal mondo, un po’ distrutta. Una di quelle che magari passa per la ragazza a cui non importa nulla delle persone: antipatica, fredda, acida. E beh, le persone si fermano lì, a quello che decido di mostrare. È difficile per gli altri capire che aspetto solo qualcuno che sia in grado di “leggermi dentro”. Dalle persone difficili come me se ne vanno tutti. Okay, direi che mi sono presentata abbastanza. Di solito dopo la presentazione si parla di quello che si pensa o degli obiettivi. Mhmm... La mia filosofia personale è di non intraprendere un progetto se non è innegabilmente straordinario 33


e quasi irrealizzabile. Mi rappresento nel “chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia”. E io sono un unicorno, che vive negli arcobaleni. Un unicorno raro, unico... che poi tutti dicono “non esistono” ma la verità è che non sanno guardare con occhi diversi. Amo le fobie. Io sono una fobia. Io sono pantophobica, ho paura di tutto. Sempre sul chi va là e allo stesso tempo troppo ingenua. Io sono un granello nel bel mezzo di una bufera di sabbia.

Grazie caro diario, sei un buon oratore, anche se non avevi altra scelta. E forse ti starai dicendo “che noia ‘sta ragazza!” oppure “wow, è interessante!”, chi lo sa, dovevo correre il rischio per saperlo... Erika Bellaveglia II A, Istituto Comprensivo “Dalmazio Birago” di Passignano e Tuoro sul Trasimeno

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me testi segnalati

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LA MIA FAMIGLIA La mia mamma è bella e si chiama Loredana. È alta, ha i capelli neri e ricci. È buona. La mia mamma cucina la pasta, fa la spesa, pulisce tutta la casa ed è anche un po’ brontolona. La mamma dorme con Martina. Martina è mia sorella. Martina è birbona, perché mi tira i capelli. Non giochiamo mai insieme, ma litighiamo sempre. Ieri mi ha preso il tablet ed io gliel’ho tolto e lei si è messa a piangere. A Martina piace il riso e ascoltare la musica. Martina è bassa, ha i capelli corti, è testarda, ma è mia sorella ed io le voglio bene. Il mio babbo si chiama Fabio e dorme insieme a me, perché ha paura che cada dal letto. Il mio babbo è alto, è bello ed è brontolone come la mamma. Il mio babbo fa il camionista e a volte vado con lui sul camion. A me piace il camion e stare sul trattore. Sul trattore mi ci porta zio Uliano. Lo zio Angelo, invece, mi porta sulla sua vespa, mentre mio cugino Emanuele mi porta sul motorino. Io ho una bicicletta, ma la mamma non vuole che ci 37


vada, perché ha paura che cado e mi faccio male, ma io ci vado lo stesso. A scuola per camminare uso il deambulatore o mi faccio aiutare dai compagni o dall’insegnante, mentre a casa gattono, perché sono birbone (vagabondo dice la maestra). A scuola mi porta la zia o lo zio, mentre per tornare a casa mi vengono a prendere i miei cugini, a volte Enrico e a volte Emanuele. Enrico ed Emanuele sono uguali, perché sono gemelli. La domenica spesso andiamo da zia Patrizia. Lei abita in montagna, vicino Paciano. Quando vado da lei, salgo sul trattorino per tagliare l’erba: a me piace tanto. A casa abbiamo anche un cane che si chiama Birillo: è carino, è nero e un po’ birichino, perché abbaia spesso. La mia famiglia è bella e mi vuole bene, è un po’ mattarella e divertente e io non la cambierei per niente al mondo! Alessandro Grilli I A, Istituto Comprensivo Panicale-Tavernelle

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METAMORFOSI Che cosa mi sta succedendo? Tutto iniziò con i cambiamenti fisici, e poi, di colpo, cambiò anche il mio carattere. Di cosa sto parlando? Beh, della mia personale metamorfosi: il mio debutto nella cosiddetta adolescenza! Quando gli adulti, gli stessi adulti che prima mi vezzeggiavano a ogni occasione, ora mi definiscono insopportabile, irresponsabile ed egoista. La realtà, però, è che loro non sembrano capirmi veramente e non comprendono nemmeno tutte le ragazze che si trovano nella medesima mia condizione. Genitori che dicono alle loro figlie cosa fare e cosa non fare, cos’è giusto e cos’è sbagliato, riempiendo la loro testa di quelle noiose frasi del tipo: “Hai messo in ordine la tua stanza?”… “Hai finito tutti i compiti?”… “Mi raccomando, torna a casa presto!”… “Attenzione a chi frequenti!”. I genitori certe volte sanno essere proprio pesanti! Anche se molto spesso hanno ragione e il loro intento è quello di volerci indicare la strada più breve per diventare responsabili, perché presto o tardi anche noi saremo adulte. 39


Il nostro maggior difetto? Essere delle “apprendiste della vita” che, in cerca della strada giusta, commettono molti errori. Per questo motivo abbiamo paura di essere giudicate male dalle persone che ci circondano, lasciando che cambino il nostro modo di essere e di pensare. Eppure, noi non diciamo niente, stiamo lì ferme, senza reagire, con la paura di essere giudicate come nullità che non potranno mai appartenere al ristretto e ambìto gruppo di quelle “popolari”. Questo periodo della nostra vita è proprio difficile: ci sono i sentimenti e le emozioni che ci fanno impazzire, che possono farci cambiare umore da un momento all’altro. I primi amori che magari possono durare solo un paio di giorni, e poi c’è la sofferenza: la nostra nemica più grande. Questa nostra sofferenza di solito è dovuta a un insieme di molti fattori: problemi familiari o incomprensioni, amicizie sbagliate o amori finiti ancora prima di cominciare, e noi cerchiamo in tutti i modi di non farla notare agli altri, nascondendoci dietro a un sorriso falso o a uno smile anonimo e insignificante sulle chat o attraverso uno di quei soliti “non ti preoccupare, è tutto a posto”. Ci sono delle ragazze che per non soffrire più iniziano a fumare, a usare droghe e in casi più estremi 40


arrivano addirittura a tagliarsi le braccia perché credono che in tal modo si sentiranno meglio, che procurandosi dolore fisico vada via la sofferenza da dentro, ma non è così, il dolore non passa con altro dolore. E tutto questo lo fanno perché hanno paura, paura di tutto ciò che le circonda, paura delle persone, paura di crescere, paura di ciò che sta cambiando, paura della propria famiglia e così finiscono per vivere in solitudine, lontano da tutto e da tutti. Probabilmente è vero che a questa età abbiamo molti difetti, ma la verità è che nella maggior parte dei casi siamo incompresi dagli adulti e che, invece dei loro continui rimproveri, vorremmo solo qualcuno con cui parlare, qualcuno che capisca cosa ci affligge, qualcuno che a volte, invece di brontolarci, ci dia un abbraccio e ci dica che ci vuole bene; perché noi vorremmo dare il massimo in tutto quello che facciamo anche se a volte non ci è possibile, abbiamo solo bisogno di essere incoraggiati perché noi ragazzi siamo così. Noi apparteniamo a quella nuova generazione che, per fuggire dai problemi, si chiude in camera con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare musica con volume al massimo, isolandosi dal mondo. Il bello di tutto ciò è che possiamo goderci tutto questo 41


perché poi cresceremo, diventeremo adulti e tutto ciò che avremo fatto non si potrà rifare. E poi ci sono i migliori amici, la cosa più bella che ci sia, a loro si può dire tutto, con loro ci si può sfogare, raccontando le cose strane che ci accadono, perché di loro ci si può fidare e si può stare sicuri che non ci lasceranno mai, che ci saranno sempre per noi, in qualsiasi momento, perché l’amicizia è condividere pensieri ed esperienze e, anche se si è lontani, combattere la distanza. Sarà vero quando dicono che il primo amore non si dimentica mai? I ragazzi molto spesso si prendono gioco dei sentimenti di noi ragazze, perché pensano che siamo sensibili, più fragili e noi dobbiamo sopportare tutte le cavolate che fanno per farci arrabbiare, per farci stare male. Il bello, poi, è che se soffri a loro non importa: si sentono possenti, superiori e poi sta a noi decidere se perdonarli o meno. C’è poco da dire, i maschi sono tutti uguali, almeno in questa fascia d’età. Speriamo che cambieranno quando saranno più grandi; di ragazzi seri ce ne sono pochi. Inoltre, dobbiamo sentire i nostri genitori i quali dicono che a quest’età i fidanzati non contano nulla, 42


ma noi ragazze ci pensiamo lo stesso, stiamo male lo stesso, piangiamo sul cuscino lo stesso. Avete presente la solita frase dei nostri genitori “Stai sempre al cellulare!”? Sì, in effetti non la sopporto nemmeno io, però se ci penso bene è come se il telefonino sia una droga. Ormai non riusciamo più a distogliere lo sguardo da quello schermo, aspettiamo ogni singolo momento che ci arrivi qualche messaggio via sms o sui social: beh, se era questo l’obiettivo degli ideatori dei cellulari, allora ci sono riusciti proprio bene! Sono riusciti a creare una vera e propria forma di dipendenza. In questo periodo si cambia talmente tanto che quando ci si guarda allo specchio nemmeno ci si riconosce. Noi ragazze viviamo in un mondo tutto nostro, con delle nostre idee, dei nostri prototipi di vita e di comportamento completamente diversi da quelli che gli adulti si aspettano e sperano di vedere in noi. Siamo libere, a volte fin troppo, e viviamo le giornate senza avere preoccupazioni su quello che potrebbe accadere il giorno, il mese, l’anno dopo. Per noi la cosa che conta di più è la vita al di fuori della scuola come, ad esempio, il bisogno di avere amici che ci sostengano per qualsiasi cosa succeda. 43


Noi ragazze adolescenti abbiamo la volontà di affrontare lo studio per raggiungere gli obiettivi prefissati, ma poi la nostra mancanza di interesse per le discipline scolastiche ci porta spesso a dei risultati insoddisfacenti o comunque al di sotto delle nostre possibilità. A quest’età prendiamo il mondo come una sfida continua, ci sentiamo in grado di affrontare le situazioni più svariate, ma con il crescere non aumenta solo l’età, ma anche la responsabilità; negli anni le persone iniziano ad aspettarsi cose da noi, che non si può far altro che affrontare e superare, ma tutto ciò che si fa, lo si fa per la prima volta, perciò ci si sente confuse, mentre si vede la propria vita cambiare totalmente. Non si capisce più nulla, ma si sa che si deve scegliere la propria strada. Iniziamo a riflettere e a pensare al futuro, così cominciamo a scoprire e a conoscere il mondo degli adulti e i loro vari problemi. Cerchiamo di “staccarci” dalla famiglia, per provare a conoscere noi stessi. È come se si stesse varcando una porta lungo la scala della vita (non so se in discesa o in salita), che divide il mondo degli adulti da quello dei bambini. Da una parte c’è la spensieratezza, i giochi, il divertimento… Dall’altra le responsabilità, il lavoro, il dovere… 44


Questa che stiamo attraversando è la fase in cui si sperimenta cos’è la vita, in cui si dimenticano le Barbie e le macchinine per pensare ai sentimenti, ponendoci le prime grandi domande sui perché dell’esistenza. È in questo momento che si comincia a imparare cos’è la vita, ma, per sapere cos’è, bisogna viverla. Aurora Pitzalis III B, Istituto Comprensivo di Piegaro

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NON TI SCORDARE MAI DI ME Caro nonno, ti scrivo perché sento che in questo momento ne hai bisogno. Mi ricordo che all’asilo c’era una rete, che separava l’area riservata ai bambini dall’esterno, e io volevo sempre attraversarla per darti un’abbraccio. All’epoca ti consideravo “Il Migliore dei Nonni” perché mi portavi sempre le caramelle… Ne ero così ghiotta che la mia domanda più frequente (se ti ricordi) era: “Perché avete venduto il Bar?”. Tu rispondevi: “Perché sennò tu e Federica mangiavate tutte queste porcherie!" Ma io a questa cosa non ho mai creduto!… e quel dubbio mi perseguitava. Sono passati gli anni e ho imparato ad apprezzarti sempre di più. Mi ricordo in particolare una passeggiata, fatta quando avevo sette anni. Ci avevamo messo “47 minuti”! Me lo ricordo perché la mamma era rimasta a parlare al telefono con chissà chi per tutto il tempo, ma noi fortunatamente eravamo distratti da mille cose! 46


Quel giorno siamo arrivati fino alle scuole medie, passando dietro casa mia, e tu mi raccontavi e mi ascoltavi… Ti ricordi?… Purtroppo non penso che sia possibile! Io ricordo che spesso andavamo al mercato insieme, che l’estate ti aiutavo a pulire i tavolini della piscina. Sei stato tu ad insegnarmi a pulire i vassoi ma anche a portare le tazzine con il caffè e poi a pulirle, ma, cosa più difficile, mi hai insegnato a fare il caffè. La cosa buffa è che è successo quattro anni fa e ancora lo faccio come tu mi hai detto… Tra i miei ricordi si insinua poi quello del Natale 2012: ti venne diagnosticato un tumore alla vescica… Solo nove anni… Avevo solo nove anni quando l’ho scoperto… La sera del 26 dicembre, mentre pregavo che tutto andasse bene, sentivo che il mondo mi stava crollando addosso… e avevo ragione perché, anche se il tumore è stato frenato, ti è stato diagnosticato l’Alzheimer. Io questa parola non la conoscevo, non sapevo cosa fosse, non sapevo di cosa si trattasse, non sapevo cosa sarebbe successo… ma avevo paura. Durante quel capodanno sono sempre stata in 47


pensiero per te, temevo che non ci saresti stato per il tuo compleanno e ti guardavo con apprensione: il Capodanno più brutto della mia vita! Ed ora, quando ti guardo e ti prendo le mani, sento che è arrivato il mio turno: ora sono io che devo aiutare te, devo cercare di farti ricordare che bella persona sei e il bene che ti voglio. Tu sei stato un grande maestro per me ed è arrivato il momento di ringraziarti per quello che fai e che hai fatto. Per questo ti ho scritto e ti dico: grazie! Con affetto e gratitudine… Nonno ti adoro! Non ti scordare mai di me! La tua adorata nipote Chiara Borrazza II A, Istituto Comprensivo Panicale-Tavernelle

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UN REGALO SPECIALE 24.07.2013 Il mio compleanno. Mio papà mi chiama da una parte e insieme alla sua compagna mi parlano del mio regalo. Il mio regalo è stato speciale. All’inizio non capivo, mi hanno detto che era una cosa che desideravo da tempo. Beh, io sono un po’ viziata e di cose troppe ne voglio, ma stavolta avevo la mente vuota, poteva essere di tutto. Ho provato a indovinare: un cane? Un gatto? Un cavallo? Un nuovo cellulare? Una camera nuova…? L’ultima domanda poteva pure andare, perché con un neonato la camera nuova era necessaria. Eh sì! A gennaio mi sarebbe arrivato un fratellino, o una sorellina. Se fosse stata femmina si sarebbe chiamata V., se fosse stato maschio G. 26.07.2013 ore 17.06 Mio papà mi manda un messaggio: era maschio! Abbiamo iniziato a comprare le scarpette, l’album da riempire di fotografie, la copertina, la camera. Tutta la famiglia era emozionata, sarebbe arrivato un “nanetto” tutto da coccolare, che dolce! Ero contenta che fosse un maschio, perché prima della 49


fine della scuola avevamo parlato in classe delle dinastie; era venuto fuori che il mio cognome sarebbe finito con me, mancava un erede che avrebbe trasmesso il nostro cognome. Ed eccolo lì, è arrivato dopo una serie infinita di analisi ed ecografie, dolori e sorrisi. Durante la gravidanza ho pensato a tutto ciò che avremmo fatto insieme, i giochi più belli, le risate, le corse. Mi sono avvicinata sempre più alla compagna di mio papà, l’ho conosciuta a fondo e l’ho rivalutata. L’ho considerata come la donna che mi ha cambiato la vita, perché non solo quando è arrivata ha portato il suo pastore tedesco (il mio cane preferito), ma ha iniziato ad aiutarmi a fare i compiti (i miei pomeriggi di studio finalmente passavano più in fretta), poi mi ha fatto provare una gioia immensa: mi ha portato un fratello! Durante i nove mesi io non vivevo sempre con mio papà, ma facevo una settimana da mia mamma e una da mio papà. E quindi mi accorgevo meglio dei cambiamenti, perché non li vivevo giorno per giorno, quando tornavo a casa avevo un sacco di cose da guardare: dai regali per il bambino agli oggetti per attendere la nascita, al passeggino e così via. Ancora mi ricordo una domenica pomeriggio, quando sono arrivata a casa ed ho trovato uno sca50


tolone enorme all’ingresso, avevano comprato il “Trio baby” formato da tre componenti: il passeggino con la seduta normale, l’ovetto per la macchina e la culla. Ci siamo divertiti ad aprire la scatola e a montare il passeggino, che poi ho lasciato in camera mia fino alla nascita. Qualche volta mi divertivo a fare avanti e indietro con il passeggino, anche se era vuoto: vederlo lì mi suscitava un sacco di emozioni! Il 9 gennaio era il giorno previsto per il parto. Eravamo in fermento, mancava poco oramai! In verità il parto è avvenuto il 18 gennaio. Il giorno prima mio papà è venuto a prendermi all’uscita di scuola e, come tutti i giorni precedenti, gli ho chiesto come andava la gravidanza: mio papà mi ha detto che dovevamo tornare a casa il prima possibile, M. stava male. Già al mattino ho capito che era ora; alle sette e dieci, mentre facevo colazione, lei era già sveglia (mai successo!). Appena sono tornata da scuola l’ho vista. Era lì sul divano, con la sua coperta preferita, la pancia sembrava cresciuta tutta d’un botto: la coperta faceva una gobba enorme! Le contrazioni avevano intervalli irregolari, ma non superavano i dieci minuti. Partirono subito dopo pranzo, venerdì 17, beh, come giorno non era il massimo (un po’ sfigato) ma sembrava che tutto 51


andasse bene. Io quella sera avevo karate e, anche se preoccupata, sono andata agli allenamenti. Al ritorno mio papà mi ha chiamata e mi ha detto che le contrazioni erano frequenti, ma ancora niente. Prima di andare a letto ho guardato se avevo chiamate perse o messaggi, ma niente. Avevo paura di non poter ricevere notizie perché erano in sala parto. All’una di notte è arrivato un messaggio di mio papà: le acque erano state rotte manualmente dall’ostetrica. Che vuol dire? Stava partorendo? Io, come tutti i sabati, sono andata a scuola e tra mille domande dei miei amici guardavo il cellulare, di nascosto, per vedere se arrivavano messaggi. Come d’accordo, mia nonna e mia zia sono venute a prendermi alla fine della terza ora perché poi sarei dovuta andare a Roma, da mia mamma. Lungo la strada verso Orvieto (per andare a trovare papà e M.) mi è arrivato un messaggio: 11.15. Era nato! Sono arrivata in ospedale poco dopo, nel corridoio ho visto un’infermiera che portava una piccola culla in camera, l’ho guardato: ero convinta fosse lui! Non mi sbagliavo infatti, è stato un episodio di imprinting, credo... G. è nato di sabato e il lunedì seguente era già a casa! M. faceva un sacco di fatica a camminare e a dargli il latte perché aveva molto dolore. 52


La prima volta che l’ho preso in braccio ho provato un’emozione indescrivibile, ancora non sorrideva purtroppo, ma ero contentissima! Un po’ alla volta ho iniziato ad occuparmi di lui: lo cambiavo, gli davo il latte e quando la mamma e il papà non c’erano, me lo lasciavano! Accudirlo per un pomeriggio è bellissimo. Quando aveva pochi mesi mi divertivo solo perché era un bambolotto vivente, ancora non interagiva molto. Mi ricordo però che quando aveva quattro mesi siamo andati in montagna. Ah, altro che sorrisi: ci siamo divertiti tantissimo! Quando uscivamo io guidavo il passeggino e magari qualche volta correvo per farlo divertire; quando rideva, perché lo facevo divertire, per me era una grande soddisfazione! Adesso vivo sempre con lui, vedo i suoi progressi giorno per giorno. La prima volta che è riuscito a gattonare, la prima volta che è riuscito a tirarsi in piedi ed il primo dente! La mattina, quando vado via di corsa perché sono in ritardo a scuola, magari non passo in cucina a salutarlo, e lui non vuole che vada via senza salutarlo: si mette ad urlare e se esco senza considerarlo si mette addirittura a piangere! G. è molto affezionato a me e quando sto male o sono triste mi viene in braccio e si “accoccola” sulla spalla. Quando fa il pacioccone con me a volte mi 53


emoziono e se mi vede si mette a ridere. Un suo sorriso per me è tutto. Alcuni giochi li facciamo solo noi due: ne vorrei descrivere alcuni... Quando siamo in camera a giocare i genitori sono preoccupati, perché sentono mille urla: un po’ mie e un po’ sue. La sera, dopo cena, mentre i genitori lavano i piatti, noi stiamo sul divano; G. gattona a 1000km/h e va in cucina, a metà strada si ferma e mi guarda finché non gli dico di tornare da me, a quel punto scappa via fino in cucina ed io lo prendo in braccio e lo faccio volare fin sul divano. Oppure leggiamo i giornali, lui strappa le pagine ed io ci faccio le barchette. I nostri giochi li ricorderò sempre perché mi diverto molto con lui. E quando sarà più grande rimpiangerò questi momenti! Adesso non so più come farei senza G. che mi rallegra le giornate con i suoi sorrisi e le sue risate. Sono passati 375 giorni da quando è arrivato, come sarebbero stati questi mesi senza lui? Questa domanda me la sono fatta molte volte e non mi sono mai data una risposta! E non me la darò mai, magari… fra poco… mi risponderà lui.

---------------Ludovica Backer III A, Istituto Comprensivo di Piegaro

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me note della commissione

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COMMISSIONE ESAMINATRICE

Cinzia Biani, Sistema Museo Maria Rita Boccanera Docente di Lettere Francesca Corgna Comune di Piegaro Gabriele Goretti Dirigente Scolastico Giuseppe Moscati Fondazione Brunello e Federica Cucinelli Silvia Prelati Comune di Panicale Silvia Vecchini Scrittrice


Anche quest’anno sono stata invitata a partecipare, come membro della giuria, a questo concorso che diventa sempre più interessante e partecipato. Mi trovo ogni volta a leggere pagine che in un primo momento mi lasciano perplessa ma che poi, sempre, con grande emozione, mi introducono nello straordinario mondo dell’adolescenza. Significa per me rivivere momenti, situazioni che, anche se molto lontane nel tempo, hanno lasciato il segno e tornano alla mia memoria con grande lucidità e mi fanno riflettere su quanto questo sia il momento della vita più importante e difficile, come trapela poi dalle tante storie scritte. Lo specchio diventa protagonista delle quasi quotidiane metamorfosi, le paure, la timidezza, la rabbia, la malinconia, il pianto, la voglia di ricevere e di dare affetto si nascondono dietro forme di insofferenza nei confronti degli adulti, in particolare dei genitori che “sanno sempre ciò che è giusto e cos’è sbagliato”, “cosa fare e cosa non fare”. Il Diario diventa il testimone segreto di tutto questo, le parole diventano strumento per esprimere l’emozione dei primi innamoramenti, la delusione 57


per un’amicizia perduta, la gioia e la consapevolezza di poter contare, in ogni momento, sugli amici, la nostalgia per i nonni, maestri di vita, che continuano ad essere vivi attraverso indelebili ricordi carichi di dolcezza e tenerezza, la famiglia come “porto” sicuro. Sono ancora le parole che trasformano i sentimenti in colori, suoni, odori, che chiudendo gli occhi ti trasportano in una realtà che trasmette, a te che leggi, la voglia che questi ragazzi hanno di vivere, la loro forza di lottare e di non soccombere di fronte alle difficoltà. Maria Rita Boccanera Docente di lettere

L’attenta lettura dei brani proposti da questi giovani studenti delle scuole secondarie ha avuto il potere di evocare in me una gradevole atmosfera di virtuosa complicità nel condividere con loro i turbamenti, le emozioni e le gioie che sono le dominanti connotative dell’età adolescenziale: un tempo sempre vivacemente presente nella 58


nostalgica memoria di ognuno di noi. Pensavo inoltre di trovare una copiosa quantità di racconti ispirati a quelle fantasie mostruose che sono frutto delle mega animazioni dell’attuale cultura cibernetica tanto in voga tra i giovani. Ho incontrato invece, con particolare compiacimento, fresche e piacevoli descrizioni di quell’ordinaria quotidianità di affetti e di sentimenti che esalta ancora di più la sana natura dei nostri giovani di oggi. Meritano, infine, un particolare apprezzamento alcuni di loro, i quali hanno realizzato “a mano libera” lavori veramente interessanti e gradevolmente fruibili: una condizione questa che esalta in verità le loro notevoli risorse espressive, non sempre tuttavia trasferite in altrettanto accurate forme linguistiche. Uno stimolo in più, dunque, per la scuola affinché possa offrire con impegno e con efficacia percorsi formativi adeguati rispetto alle potenzialità creative di questi nostri futuri giovani scrittori. Gabriele Goretti Dirigente Scolastico 59


LIBERAzIONI Se è vero, come profondamente credo, che la scrittura ci libera e che lo scrivere è di per se stesso un atto libero e di liberazione, allora i testi che i ragazzi hanno proposto su sollecitazione di questo benemerito Premio letterario sono creativi strumenti di (auto)emancipazione. Ma emancipazione da cosa? Beh, probabilmente proprio da quelle stesse paure e ansie e angosce a partire dalle quali le giovani penne si sono mosse. Leggendo gli elaborati appare piuttosto evidente - e ricorrente - che vi è tutta una serie di paure alle spalle di questi giovani e giovanissimi. C’è la paura di perdere un legame fondamentale, una relazione intima, o di perdersi; c’è la paura di non venire riconosciuti dal piccolo gruppo, dal gruppo dei pari o, in senso più ampio, da una società che sta lì pronta a giudicare e/o a censurare certi atteggiamenti e certi modi di essere; c’è, ancora, la paura di apparire inadeguati, di non farcela, o meglio di non farcela per come prevede un determinato modello di successo. Dietro o se preferite accanto a tali paure, rinveniamo 60


poi le corrispettive ansie nelle loro varie tipologie: ansie ‘generazionali’, ansia di emergere, ansia da prestazione, ansia ansiogena… Fino ad arrivare, talvolta, a casi di angoscia vera e propria, con un sottofondo che spesso rimanda, neanche tanto indirettamente, a scenografie da film apocalittici e alle esasperazioni dettate dall’enfasi tipica di quella che il filosofo francese Guy Debord ha definito “la società dello spettacolo”. E tuttavia i ragazzi che hanno partecipato alla V edizione di “Fuori e dentro di me” - mi riferisco non solo a chi è stato premiato o segnalato hanno dato, in generale, anche una forte e chiara testimonianza di positività, di solarità, di energia. Offrendo così, specie nel momento in cui la componente emotiva si è felicemente integrata con l’arguzia stilistica, prove brillanti, passaggi gustosi e tracce di rinnovata speranza. In questo senso la scrittura libera chi scrive, ma può anche liberare chi legge. Kafka docet. Giuseppe Moscati Fondazione Brunello e Federica Cucinelli 61


Cari ragazzi e care ragazze, vi dedico questa mia piccola riflessione a sincero ringraziamento dell’arricchimento che è stato leggere i vostri pensieri. Non vi conosco personalmente, siete tutti autori e autrici anonimi, provenienti da scuole diverse, paesi diversi, con età e vissuti diversi. Leggendovi si è generata con voi una sorta di simbiosi, un legame profondo che rimarrà per sempre nel mio cuore, per il quale è come se avessi iniziato a immaginarvi e a conoscervi uno ad uno. Siamo scesi insieme nelle pieghe più profonde, sottili ed intime dell’animo di ognuno di voi, là dove si sono palesate le vostre paure adolescenziali; il conflitto con il vostro corpo che sta cambiando e che percepite come estraneo; vi ho osservato guardarvi come in uno specchio, dove hanno preso forma immagini e ricordi di un passato lontano o più recente, fino agli “ultimi minuti”; ho riflettuto su quanto seri siano, alla vostra tenera età, i primi innamoramenti; e gli amici, irrinunciabili e preziosi, che sono scudo e àncora di salvezza nei momenti difficili; e poi, il dolore e il senso di colpa provato per 62


la separazione dei propri genitori, perché: “sta’ attenta a quello che dici, prima o poi si avvera!”; mi ha emozionato leggere quanti ricordi dolorosi, a tratti nostalgici, avete tratteggiato di affetti cari che, purtroppo, non ci sono più e di cui sentite la mancanza; ho assaporato la dolcezza e la quiete di una fuga verso luoghi ameni, per scappare da un mondo caotico, inquinato, che toglie serenità; ho condiviso la gioia e la trepidazione per l’arrivo di un “nanetto” tanto atteso… Tutto questo siete voi ragazzi… un caleidoscopio di emozioni! Silvia Prelati Comune di Panicale

Leggo sempre con piacere i testi che i ragazzi inviano al premio “Fuori e dentro di me”. Non senza fatica, perché si tratta di dare ascolto a voci, a volte invenzioni, slanci, più spesso esperienze e storie vere, delusioni, dolori. Spero che questo premio prosegua per la sua strada e intercetti più scuole, un gruppo di ragazzi 63


più numeroso e che questi siano lasciati liberi di scegliere cosa scrivere e come, perché guardarsi dentro, cercare fuori, non può essere solo un compito o la traccia di un tema, ma dovrebbe diventare una pratica di scrittura da coltivare, incoraggiare e far crescere nell’ascolto reciproco. A me piace molto lavorare con i ragazzi e scrivere testi dedicati a questa fascia d’età così bella, complessa, sorprendente. Per questo ho pensato di salutarli con una breve poesia inedita.

Avessi un interruttore mio cuore ti spegnerei senza pudore quando voglio riposare da tutto questo daffare che mi dai oppure ti metterei al minimo volume giusto un disturbo un fruscìo, per ricordarmi dove sei, chi sono io.

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Silvia Vecchini Scrittrice


me elenco dei partecipanti

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SCUOLA SECONDARIA DI I째 GRADO ISTITUTO COMPRENSIVO PANICALE-TAVERNELLE

Classe I A - Sede di Tavernelle Giorgia Ferricelli

Classe I A - Sede di Paciano Giovanni Baroni, Mattia Bartilucci, Pietro Calzini, Sara Faleburle, Alessandro Grilli, Simone Mangiavacchi, Desiree Biscaro Parrini, Sofia Plazzotta, Alessia Sforza, Giada Vagnetti

Classe II A - Sede di Tavernelle Filippo Maria Bocciarelli, Benedetta Barlozzini, Chiara Borrazza, Tommaso Lombardi, Camilla Mercanti, Adelina Mustafi, Gabriele Cicero Santalena, Diego Torroni

Classe III A - Sede di Tavernelle Gaia Buso

Classe III A - Sede di Paciano Martina Bacca, Maeve Brewer, Jonela Lehaci, Serena Marzoli, Elisa Tassino

Classe II B - Sede di Tavernelle Alessia Bielli, Federica Borrazza, Martina Mastroianni, Mattia Mencarelli, Ginevra Patalocco, Davide Poggiani, Elena Posti, Raffaele Rossi

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Classe II B - Sede di Paciano Cecilia Ceccantini, Samuele Marchetti, Samantha Mercanti, Chiara Rocchetti, Federica Volpa

Classe III B - Sede di Tavernelle Elisa Martina Andrenacci, Chiara Buono, Alessio Casucci, Giacomo Volpi, Chiara Zugarini

Classe III B - Sede di Panicale Giuseppe Biani, Daniel Plesca, Daniele Pettinari, Filippo Briziarelli

SCUOLA SECONDARIA DI I째 GRADO ISTITUTO COMPRENSIVO DI PIEGARO

Classe I A - Sede di Piegaro Annalisa Barbolini, Francesca Maria Bartolini, Teresa Le Rose, Lola Luna Steinwart

Classe II A - Sede di Piegaro Jenny Angelelli, Gioele Mastroviti

Classe III A - Sede di Piegaro Ludovica Backer, Adile Musli

Classe III B - Sede di Pietrafitta Dennis Abramo, Maria Vittoria Calderini, Alessia Cozzari, Elisa Perella, Aurora Pitzalis, Lavinia Mitocaru, Sara Salvatori, Camilla Terracina, Fabio Trianda

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SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO ISTITUTO COMPRENSIVO “DALMAZIO BIRAGO” DI PASSIGNANO E TUORO SUL TRASIMENO

Classe II A - Sede di Tuoro Erika Bellaveglia, Sebastian Bloj, Tyra Gallastroni, Daniele Pelosi, Mattia Silvestrini, Flavia Titi

Classe II B - Sede di Tuoro Elena Balducci, Lavinia Bianca, Tyra Gallastroni, Edoardo Nicchiarelli, Aurora Paolacci

Classe III B - Sede di Tuoro Chiara Brachetti, Valentina Peverini

SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO ISTITUTO OMNICOMPRENSIVO "ROSSELLI-RASETTI"

Classe III C - Sede di Castiglione del Lago Asia Moorea Billi

---------------SCUOLA SECONDARIA DI I° GRADO ISTITUTO COMPRENSIVO "PIETRO VANNUCCI"

Classe III A - Sede di Città della Pieve Ginevra Civitelli, Melissa Montero Romero

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me indice

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testi selezionati

pag 11

note della commissione

pag 57

testi segnalati

elenco dei partecipanti

Con il patrocinio di

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me


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