Santu Lusurgiu. Dalle Origini alla "Grande Guerra" - Società e Cultura

Page 295

Emilio Chessa

zone vicine facendo ottimi affari»79. Non è escluso, per esempio, che l’aggiunta di semi di finocchio selvatico (mattafiluga), nota tipica dell’acquavite lussurgese, sia da ricercare nell’abitudine dei francesi di aromatizzare i liquori80. L’acquavite lussurgese, oltre agli apprezzamenti dei commentatori storici del Regno, riceveva una significativa attenzione da parte di noti e apprezzati studiosi del settore vitivinicolo. In primo luogo, giova ricordare l’ingegnere Giovanni Battista Cerletti, fondatore della prima Scuola Italiana di Viticoltura e di Enologia a Conegliano. Il consulente del Ministero dell’Agricoltura segnalava con enfasi, nelle note sull’industria e il commercio del vino in Sardegna, pubblicate nel 1889, le rinomate acquaviti di Villacidro e di Santulussurgiu81. Analoghi apprezzamenti, per il distillato di Santulussurgiu, furono espressi, una decina d’anni dopo, dal professor Sante Cettolini, già assistente e collaboratore di Cerletti, Il direttore della Regia Scuola di Viticoltura e di Enologia di Cagliari non mancava di rimarcare, negli Annuari della Scuola, il carattere distintivo delle acquaviti ottenute nei paesi di «monte» e tra queste «l’ottima acquavite di Santulussurgiu» caratterizzata da un profumo speciale ben marcato e da un retrogusto finissimo, che richiamava le rinomate acquaviti di frutta del Settentrione d’Italia82. La tendenza ad aromatizzare i distillati, con essenze diverse, si diffuse, oltremisura, in molte parti della Sardegna, con risultati non sempre apprezzabili. Cettolini, trovava che la pratica dell’aromatizzazione, in molti casi, aveva lo scopo di mascherare i difetti di distillazione e di rendere più gradita la bevanda. L’osservazione critica, rifletteva lo sforzo intrapreso dalla Scuola Regia, per migliorare la qualità dei prodotti della vinificazione e la cultura della distillazione sarda83. Cettolini scrivendo sulla situazione vitivinicola del circondario di Oristano tornava sulle «larghe tradizioni» della distillazione a Santulussurgiu, sottolineando come l’ottimo vino prodotto nel comune costituiva un’eccellente materia prima per la distillazione, per questo «[...] a S.Lussurgiu si produce un ottima acquavite, che opportunamente invecchiata, nelle botti di quercia, da un buon cognac»84. In gran parte della Sardegna si producevano i distillati con alambicchi artigianali, di piccola dimensione per uso domestico. A Santulussurgiu, la distil-

79

80

81

82

83 84

CHERCHI PABA, Santu Lussurgiu, cit., p. 7. Per quanto riguarda l’ubicazione del laboratorio, N. MIGHELI, (comunicazione personale), riportando le cronache locali, individua la casa degli alambicchi (sa domo de sos limbicos) in sos Lachittos, vicino a piazza San Giovanni. Secondo N. MIGHELI (comunicazione personale), il gusto dell’acquavite lussurgese richiama, gli aromi e il sapore di alcuni liquori francesi molto diffusi nell’ottocento come il Marie Brizard e il Pastis a base di anice. G. B. CERLETTI, Notes sur l’industrie et le commerce du vin en Italie avec une carte vinicole, Roma 1889. Dello stesso autore cfr. Impressioni sull’enologia della Sardegna, in «Avvenire di Sardegna» 15/01/89. S. CETTOLINI, Annuario della Regia Scuola di Viticoltura e di Enologia di Cagliari, Conegliano 1890-91, pp. 138-139. Ibid. Ibid.

532

La distillazione del vino

lazione veniva realizzata con semplici apparecchi (sos limbicos) costituiti dalla caldaia (sa brocca), dal cappello (sa pùbula) e dall’apparato refrigerante (sa conca ‘e su limbiccu). Questi alambicchi, costruiti in rame, rappresentavano il modello più semplice del sistema di distillazione per ascensum. Il procedimento prevedeva il riscaldamento del vino che, trasformato in vapore, percorreva in via “ascensionale” (verso l’alto) il sistema refrigerante che condensava i vapori alcolici, riducendoli allo stato liquido85. L’arte paziente della distillazione, spesso affidata alle donne, riproponeva antiche procedure scandite da regole osservate scrupolosamente nelle diverse fasi della distillazione. I momenti della trasformazione del vino in distillato sono delineate, negli appunti dell’archivio del Centro di Cultura Popolare, curati da F. Salis e dai suoi collaboratori: Nell’alambicco comunemente usato (a Santulussurgiu) il vino si versava nel recipiente in quantità tale che il suo livello massimo risultasse di circa 5 cm. al di sotto della base del timpano: questo accorgimento evitava la fuoriuscita del vino e degli eventuali semi di anice o di finocchio (mattafiluga) durante l’ebollizione e, nel medesimo tempo, assicurava il vuoto superiore, necessario per l’accumulo dei vapori alcolici. […] Il recipiente col suo contenuto veniva sistemato su un treppiedi di ferro, sotto il quale ardeva un fuoco vivo. Subito dopo sul recipiente si innestava il condensatore e si provvedeva a sigillare ermeticamente, con pastetta di farina, la fessura attorno al punto di incastro fra i due contenitori, così da evitare anche il minimo sfiato. Quindi si riempiva d’acqua fredda, o di neve, il condensatore in modo da assicurare alla sottostante calotta conica di rame una bassa temperatura, funzionale alla condensazione dei vapori. Questa bassa temperatura veniva conservata costante nell’arco dell’intera distillazione facendo defluire, di tanto in tanto, dal condensatore, attraverso l’apposito tubo di scarico, l’acqua intiepidita, sostituendola con acqua fredda versata dall’alto dell’imboccatura. Il fuoco ben attizzato e vivo permetteva l’ebollizione sollecita del vino e l’immediata formazione dei vapori alcolici nello spazio di accumulo, nonché la successiva condensazione di essi all’interno della calotta di rame. Quando dal beccuccio cadevano le prime gocce di distillato, era necessario ridurre il calore del fuoco eliminando la fiamma ed allargando sotto il treppiedi il letto di brace: in questo modo si assicurava una temperatura costante e una distillazione regolare. C’è da evidenziare che le prime evaporazioni sono costituite da alcool metilico, assai dannoso per l’organismo, per cui si aveva cura di eliminare la testa del distillato (sa conca ‘e sa limbiccada) che generalmente corrispondeva al decilitro iniziale. Si procedeva, quindi, al completamento della distillazione, tenendo presente che, di regola, da 5 litri di vino si poteva ottenere un litro circa di buona acquavite. Perciò nel caso del nostro piccolo alambicco il litro di distillato veniva considerato acquavite di prima qualità. Le seguenti evaporazioni costituivano la cosiddetta “coda” del distillato (abbardente modde); questa veniva tenuta da parte e il più delle volte riutilizzata mediante nuova distillazione86.

L’espansione della coltura della vite nei primi decenni dell’Ottocento e l’abbondante produzione di vini leggeri, ottenuti con uve non completamente mature, incoraggiarono la produzione di acquavite, facendo di Santulussurgiu uno dei maggiori produttori di distillato di vino, nella provincia di Cagliari e

85 86

A. DAL PIAZ, cit. Archivio del Centro di Cultura Popolare, Manoscritto “La distillazione”, s.a.

533


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.