Intervento Ilaria Boiano, avvocata associazione Differenza Donna

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Prostituzione e tratta. Quali visioni e quali politiche. Giovedì 16 aprile 2015, sala conferenze Partito Democratico. Comunicazione di Ilaria Boiano, avvocata associazione Differenza Donna La relazione controversa che passa tra corpo, sessualità e diritto si è composta nel corso della modernità seguendo linee irregolari e concorrenti con altre categorie come la libertà individuale, l’autonomia e l’autodeterminazione, ma anche la sicurezza, il controllo e il potere, tutte linee che si intrecciano a formare la fitta trama dei rapporti sociali tra i sessi. Il discorso pubblico in tema di prostituzione e di tratta risuona di queste categorie, giustapposte l’une accanto all’altro, ma nessuna viene approfondita né si tenta di immaginare una visione politica incentrata sui diritti delle donne. Tutte sono state e sono tutt’oggi utilizzate per giustificare la rinuncia della politica ad affrontare la sessualità nella sua dimensione di realizzazione esistenziale degli individui, così come a interrogarsi sul valore di quest’ultima nei rapporti di potere che determinano le relazioni tra i sessi e le disparità di genere. Le donne della mia generazione dovrebbero essere impegnate a raccogliere i frutti, ricchi e gioiosi, delle lotte iniziate dalle compagne e attiviste a partire dagli anni Settanta per una piena e libera autodeterminazione esistenziale, sessuale, riproduttiva ed economica di tutte e tutti, e invece si ritrovano a raccogliere i cocci di uno stato sociale frantumato, nel quale ci è negata la tutela della salute, il diritto al lavoro e ad una vita libera e dignitosa. Colpisce che in un paese come l’Italia nel quale il sistema dei consultori è oramai smantellato, dove le donne e gli uomini insieme non godono della piena tutela del diritto alla salute riproduttiva e sessuale, come dimostra la disapplicazione della legge 194/78 e le battaglie giudiziarie condotte per smantellare la legge 40/2004, la questione della tutela della salute sessuale sia utilizzata per riproporre controlli sanitari che si rifanno al sistema di schedatura e trattamento sanitario obbligatorio vigente nel secolo scorso, con l’aggiunta del certificato di “idoneità psicologica” al certificato di sana e robusta costituzione. A quali servizi sanitari pubblici potranno poi rivolgersi le donne per tutti i traumi sessuali, fisici e psichici patiti, a prescindere dall’autonomia della loro scelta? A quelli ormai smantellati in nome del pareggio del bilancio pubblico? In questo contesto sociale e politico, ispirato a chiare logiche liberiste che si nutrono dello sfruttamento e delle disuguaglianze, prima tra tutte di quella di genere, ci sembra inaccettabile che rappresentanti del legislatore propongano la regolamentazione della prostituzione quale politica di affermazione della libertà di autodeterminazione sessuale ed economica delle donne, abdicando completamente al loro obbligo costituzionale di rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale, che,


limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese di tutti, uomini e donne. Ogni indagine sul valore simbolico che per la società contemporanea ha l’accesso a pagamento da parte di determinati soggetti, in genere maschili, ai corpi di altri soggetti, per lo più delle donne, viene ridotta alla diatriba sull’opportunità o meno di regolamentare la prostituzione sulla base dell’assunto per cui essa sarebbe da assimilare a qualsiasi attività lavorativa. Dietro questa facciata liberale si rinvengono però finalità che di liberale hanno molto poco: la regolamentazione dell’accesso al corpo delle donne è riproposta come strategia per garantire il decoro delle città, come strumento di salvaguardia della “morale delle famiglie per bene”, riattualizzato dai disegni di legge depositati nel cosiddetto “diritto alla tranquillità”. Si rinuncia ad un percorso di cambiamento culturale e sociale, mentre prendono piede dispositivi di controllo e di governo dei rapporti sociali che non solo non si conciliano con il concetto di libertà e autodeterminazione individuale, ma che sono palesemente modellati intorno a delle finzioni utili a non contestare l’attuale ordine di genere della società. Tra le varie finzioni, invitiamo a riflettere sull’inquadramento della prostituzione in una dimensione puramente economica e commerciale. Essa come tale sarebbe da regolamentare giuridicamente, fiscalmente e a livello previdenziale al fine di sottrarre i soggetti che vi si dedicano agli arbitrii tipici del mercato senza regole. La prostituzione viene così neutralizzata e normalizzata come libero scambio di servizi sessuali tra soggetti autodeterminati, come esercizio di libertà che l’ordinamento deve garantire. Su tale finzione, che non tiene conto del concreto margine di libertà delle singole e dei singoli individui, sulle quali così si fa ricadere nei termini di scelta quella che prima era stigmatizzata come colpa “di persona perduta”, si articola il modello regolamentarista contemporaneo, comunque funzionale esclusivamente alla tutela della sicurezza e della salute pubblica. Prevale quindi un approccio che si propone come “pragmatico” e al contempo risolutivo di una questione spinosa che affligge la nostra società, ma nei fatti altro non è che istanza marcatamente neoliberista e sessista che compromette il conseguimento dell’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne. Non si può trascurare infatti che, costruita come qualsiasi attività commerciale, la prostituzione si consolida nella struttura di un mercato in cui i diversi attori, in particolare i procacciatori e i protettori, entrano in relazione perseguendo l’obiettivo di accrescere il proprio mercato e di massimizzare i profitti. Ciò in un contesto marcatamente definito da sistemiche disuguaglianze di genere.


A nostro avviso la mistificazione della prostituzione nei termini di prestazione lavorativa non può che contribuire ad alimentare queste disuguaglianze. L’inquadramento della prostituzione come attività lavorativa, è stato massimamente perseguito in Germania, con esiti fallimentari. Le donne non sono state assunte dai “sex centres” con il contratto predisposto e, peraltro, questo contratto si è rivelato di difficile strutturazione: la libertà sessuale di ciascuno e l’autodeterminazione individuale sono difficili da piegare alle logiche contrattuali sia in termini teorici sia in termini pratici. I tenutari dei sex centres non assumono perché non voglio le responsabilità dei datori di lavoro. Le donne dal canto loro non vogliono che vi sia traccia ufficiale dell’attività di prostituta. Nonostante il largo impiego di donne nei sex centres come lavoratrici autonome, il benessere economico delle donne coinvolte nella prestazione di servizi sessuali non ha registrato nessun incremento: le donne non risultano detenere automobili, appartamenti, attività commerciali né conti in banca in Germania e nei paesi di origine. La medesima situazione è stata denunciata in Olanda. La finalità di garantire la libera autodeterminazione degli individui appare chiaramente una finzione se si leggono nel dettaglio le disposizioni del d.d.l. 1201: l’articolo 5, ad esempio, introduce un meccanismo di autorizzazione che richiede certificato di “idoneità psicologica” e presuppone la comunicazione al Ministero dell’interno, che di certo non concorrerà a liberare dallo stigma e dal controllo pubblico i soggetti coinvolti in attività di prostituzione. L’autorizzazione è subordinata al pagamento anticipato di una tassa di 6000 euro per un impiego full time e di 3000 euro in caso di attività condotta in part time. Il compenso pattuito, di conseguenza, non potrà essere inferiore a trenta euro secondo i calcoli riportati nella relazione introduttiva. Eccoci di fronte ad un’altra contraddizione: pur invocando la libertà e inneggiando a libero incontro della domanda e dell’offerta, lo Stato impone anche il prezzo minimo, peraltro non aggiornato a quello di mercato, ben al di sotto delle 30 euro a prestazione. In definitiva, non si riesce ad essere coerenti neppure con la filosofia del laissez faire che dovrebbe ispirare le politiche libertarie. Allo stesso modo incoerente con la prospettiva che ispira il d.d.l. è la previsione dell’obbligo di usare il preservativo: non solo tale obbligo sarà infatti di facile negoziazione economica nell’incontro tra domanda e offerta (i clienti sono disposti a pagare di più senza l’uso del profilattico), ma per di più, pur volendo ipotizzare l’accesso della prostituta/ del prostituto alla tutela giudiziaria, appare chiaramente l’estrema difficoltà, se non l’impossibilità, di provare processualmente il mancato utilizzo del profilattico. Una finzione risulta anche la conciliabilità di un sistema prostitutivo regolamentato con le finalità di prevenzione della tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale.


Sia in Olanda sia in Germania si è registrata infatti non solo la crescente riluttanza a denunciare le violenze che si subiscono nell’esercizio della prostituzione, ma anche l’aumento del traffico di donne migranti ai fini del loro sfruttamento sessuale. Generalizzata inoltre risulta la diffusa difficoltà ad accedere alla tutela adeguata della salute. Inoltre, si rileva che nell’insieme i servizi di supporto promessi al momento della regolamentazione non sono stati mai effettivamente potenziati, le risorse promesse per le azioni di prevenzione dello sfruttamento non sono state mai allocate, i servizi sanitari non sono stati garantiti. Oggi per noi la questione centrale e non più eludibile è la domanda, e con domanda non intendiamo semplicemente l’acquisto di servizi sessuali. Riteniamo infatti che non sia il sesso oggetto dello scambio prostitutivo, bensì il potere su un'altra persona. Il compratore, il cliente non acquista il sesso, ma il potere di disporre di un corpo, la signoria sulla volontà di un’altra persona, la facoltà di dirigere e comandare un’attività che dovrebbe essere la meno soggetta alla coercizione ed è certamente la più soggetta, come si legge tra le righe del disegno di legge, a vergogna e tabù moralistici. Lo schema riproposto dal disegno di legge non ha nulla di innovativo, tanto meno di progressivo, per di più propone modelli e soluzioni che sono state già ampiamente sperimentati in altri paesi europei e con esito del tutto fallimentare, rivelandosi per quello che sono, delle finzioni, eludendo invece la questione della domanda, che è il parametro rispetto al quale si definisce e si modifica il mercato sessuale e le traiettorie dei traffici di donne e di bambini ai fini di sfruttamento sessuale. Non ci poniamo come in Svezia la questione dell’opportunità o meno per l’ordinamento italiano di criminalizzare la domanda di servizi sessuali nella sua totalità, ma ci poniamo la questione della necessità di una visione politica che contesti sul piano simbolico e materiale che la donna possa essere ancora moneta di scambio. La prostituzione non è il mestiere più antico del mondo, ma è il fossile della nostra struttura sociale che ci ricorda le epoche in cui le donne erano moneta corrente tra gli uomini quando il sistema monetario non c’era. Richiediamo l’avvio di un percorso di costruzione di una politica del diritto che rinunci alla neutralità e non legittimi normativamente le dinamiche di potere sottese alla pretesa di accedere arbitrariamente al corpo delle donne, che prenda le distanze dalla concezione patriarcale dei rapporti tra uomini e donne, che rigetti una costruzione della sessualità come luogo per eccellenza di sfruttamento del vantaggio di cui gli uomini hanno goduto storicamente in quanto uomini. Si impone un percorso di rinnovamento giuridico e culturale condiviso volto a spezzare il continuum esistente tra violenza e sesso e ridefinire le relazioni tra i generi a partire dalla libera manifestazione della sessualità. Quest’ultima, se sottratta al binomio


dominio-oppressione avrebbe spazio per manifestarsi nella sua pienezza, in un perenne divenire non misurabile e non traducibile nel linguaggio dell’economia di mercato. Roma, 16 aprile 2015 Ilaria Boiano Per le informazioni riportate sugli altri ordinamenti e per un quadro sugli studi e le prospettive di nostro riferimento si produce bibliografia.


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