Il voto alle donne

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Voce alle donne! di Simona Sforza

Il voto alle donne significa affermare e sancire che le donne sono pienamente cittadine, al pari degli uomini. Sono passate solo 7 decadi da quando le italiane hanno raggiunto questo traguardo, hanno potuto esprimere il proprio voto ed essere elette. Ciò che oggi diamo per scontato è stato frutto di tante lotte che non dobbiamo assolutamente dimenticare. Non è facile racchiudere in poche righe, sintetizzando, il cammino delle donne italiane per i diritti di cittadinanza. Si tratta di una strada lunga e tortuosa, fatta di piccoli tasselli, che piano piano ci hanno portato ad aver voce. La lotta per il suffragio femminile attraversa l'intera storia dell'Italia unita. Le italiane iniziarono a rivendicare il diritto al voto nel 1861, chiedendo l'estensione a tutte le donne di tutti i diritti che erano già concessi nei territori in cui vigeva il codice austriaco (era previsto il voto per procura. Non si approdò a nulla e quindi le "emancipazioniste" diedero vita al movimento suffragista italiano. Ricordiamo la figura di Elisa Agnini Lollini http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/elisaagnini-lollini/ che fu attiva anche nel Comitato pro suffragio. Nel 1906 i comitati pro voto (con una petizione di Anna Maria Mozzoni, sottoscritta da oltre 10.000 donne) promossero l'iscrizione delle donne aventi i requisiti di censo e capacità imposti dalla legge alle liste elettorali, appellandosi al fatto che lo Statuto Albertino non vietasse esplicitamente il voto alle donne. «Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi». Tutte le richieste venivano bocciate dalla magistratura. Vi fu un'unica eccezione, quella della Corte d'Appello di Ancona, presieduta da Ludovico Mortara, basandosi sul fatto che lo Statuto prevedeva che uomini e donne dovessero pagare le tasse, senza eccezioni. La Cassazione di Roma emise una sentenza che dichiarò inammissibile l'iscrizione delle donne alle liste elettorali, in quanto lo Statuto non aveva ritenuto necessario specificare l'esclusione delle donne, in quanto la considerava implicita. Nel 1912, anno dell'approvazione del suffragio universale maschile, Anna Kuliscioff dichiarò: "Ormai l'italiano per essere un giorno cittadino non ha che una sola precauzione da prendere: nascere maschio". I tempi non erano maturi? A giudicare da certe affermazioni forse sì. Giolitti sosteneva che "la donna insomma era in un certo modo verso l'uomo ciò che è il vegetale verso l'animale o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé". La legislazione dell'epoca sottometteva le donne, equiparandole ai minori, nella società, nella famiglia e nel lavoro. Le fondamenta della concreta realizzazione del suffragio femminile furono poste con la promulgazione del decreto legge luogotenenziale del 25 giugno 1944, n. 151, con il quale si stabiliva che alla fine della guerra si dovesse eleggere una Assemblea Costituente a suffragio universale diretto e segreto, per scegliere la nuova forma di Stato e preparare la nuova Carta costituzionale. Uomini e donne erano stati privati dei diritti politici durante il Ventennio, c'era un'intera generazione cresciuta senza poter esercitare questi diritti e senza conoscere altre formazioni partitiche al di fuori di quella fascista. C'era da "alfabetizzare" un intero popolo alla politica, alla partecipazione, all'espressione delle proprie istanze, alla democrazia rappresentativa. Ancora più importante diventava la formazione delle donne, escluse da sempre, ritenute non idonee alla politica e alla vita pubblica. Segregate per anni nel ruolo di madri e spose dal Duce, che


inizialmente le aveva illuse con la legge Acerbo che dette il voto alle amministrative solo ad alcune categorie di donne: quelle decorate, alle madri dei caduti, quelle che avevano studiato. Ricordiamoci però che le libere elezioni furono soppresse. Nel 1944 venne fondata a Roma l'Unione donne italiane (Udi), tuttora attiva e impegnata, per riunire donne di diverso orientamento politico e spingere le italiane alla partecipazione, aiutando le nuove elettrici. L'Udi nacque su iniziativa di alcune esponenti dei gruppi di difesa della donna (GDD) tra le quali Marisa Rodano, Rita Montagnana, Giuliana Nenni. L'obiettivo era convincere quante più donne dell'importanza di andare a votare: tutto era da ricostruire, anche la democrazia, la voglia di impegnarsi era immensa. Togliatti stesso intuì l'importanza di un apporto attivo delle donne, senza il quale non si poteva avviare una ricostruzione in senso democratico del Paese. Bisognava creare nuovi luoghi politici di partecipazione civile. Successivamente anche le donne cattoliche decisero di fondare una propria organizzazione, il Centro italiano femminile (Cif). Queste due associazioni formarono il Comitato pro voto (ricordiamo l'opuscolo "Le donne italiane hanno diritto al voto", redatto dall'insegnante e partigiana Laura Lombardo Radice), nell'ottobre del 1944 e presentarono al CLN una petizione per la concessione del diritto di voto alle donne, ricevendo in risposta un impegno formale. La questione arrivò all'esame del Consiglio dei ministri a fine gennaio 1945 e nonostante le perplessità di repubblicani, liberali, azionisti, si promulgò il decreto luogotenenziale n° 23 (il decreto Bonomi) che prevedeva il suffragio attivo, con esclusione delle prostitute schedate che esercitavano fuori dalle case chiuse. Per la concessione dell'elettorato passivo dovremo attendere il decreto n° 74 del 10 marzo 1946. Le donne votarono per la prima volta alle amministrative del 10 marzo 1946, ma le elezioni politiche del 2 giugno 1946 (si votò contemporaneamente per il referendum monarchia/repubblica e per l'elezione dell'Assemblea Costituente) assunsero un valore simbolico enorme. Oltre l'89% delle donne aventi diritto (più di 14 milioni) si recò a votare. Così ricorda Giovanna Maggi di Gussola (Cremona): "La prima volta che sono andata a votare mi è sembrato di andare in paradiso, avrei abbracciato tutto il mondo lì dopo tanti anni di oppressione (...), sembrava di essere in un altro mondo, c'era aria di libertà. (Ardenti, 2006, pag. 55). Alle 21 donne che vennero elette all'Assemblea Costituente (di cui solo 5 parteciparono alla commissione ristretta dei 75 che elaborarono la Carta) dobbiamo gli articoli che parlano della parità uomo-donna (Artt. 3-29-31-37-48-51). Vorrei citare la risposta che Nilde Iotti diede a distanza di anni dall'approvazione della Costituzione, alla domanda su quale fosse secondo lei la più grande conquista realizzata dalla Carta del 1948. Iotti sottolineò la centralità dell’articolo 3 della Costituzione, quale criterio ispiratore del documento. "Il principio di eguaglianza a me sta particolarmente a cuore (…) è la sanzione solenne, costituzionale dell’ingresso delle donne nella vita politica. Avevano votato per l’Assemblea Costituente. La Costituzione con quell’articolo afferma il loro essere cittadine alla pari con tutti gli altri cittadini. Per me è un punto che fa della Costituzione italiana ancora adesso una Costituzione moderna". Alle Parlamentari che seguirono dobbiamo alcune leggi importantissime, per citarne alcune: la Legge Merlin (1958), che poneva fine alla prostituzione di stato e alla divisione tra "donne per bene" e "donne per male", la tutela delle lavoratrici madri e i congedi parentali (1971), il divieto di licenziamento per causa di matrimonio (1963), eliminazione dello ius corrigendi, che dava al marito il diritto di picchiare la moglie rea di aver commesso qualche errore (a suo insindacabile giudizio, basta che non andasse contro la morale comune) (1963), l'accesso delle donne in Magistratura e a tutte le altre professioni (1963), la riforma del Diritto di famiglia (1975), l'abrogazione del delitto d'onore (1981), la violenza sessuale come reato contro la persona (1996) e tutte le norme sulla violenza di genere http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/normativa-nazionale/223-violenzacontro-le-donne-, la Legge 194 - Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza (1978), la legge Golfo-Mosca (2011). L'allargamento del suffragio ha aperto la strada delle lotte per i diritti e per le pari opportunità. Ci auguriamo che queste lotte non si interrompano e non si affievoliscano. Ma


per questo dobbiamo crederci e continuare a trasmettere l'importanza dei diritti conquistati tanto faticosamente, per permetterci di avere voce e di poter essere cittadine. Rinunciare al voto, non votare significa non decidere, significa lasciare che altri decidano per noi. L'astensionismo è un segnale di un indebolimento degli anticorpi democratici e non va sottovalutato. Pensare che la partecipazione attiva alla vita politica del proprio Paese sia inutile e ininfluente è un errore. I diritti vanno difesi, non sono per sempre. Non permettiamo a nessuno di riportarci al silenzio e di prendere le decisioni al nostro posto. Il futuro è ancora nelle nostre mani, lamentarsi non cambia le cose, il cambiamento passa per l'esercizio attivo dei nostri diritti di cittadinanza e per la nostra partecipazione viva alla vita politica. Non facciamoci inghiottire dall'indifferenza e dalla rassegnazione. Esiste la passione politica, quella autentica, quella praticata giorno dopo giorno, costantemente, non solo in occasione delle tornate elettorali. Il lavoro politico è spesso inquinato da coloro che adoperano la politica per propri fini, guardando solo ai propri interessi. Noi donne dovremmo dare il buon esempio e rompere con certe cattive prassi, ma purtroppo non sempre è così. Dobbiamo fare la "differenza"e per questo c'è bisogno di trasparenza, di un ritorno al lavoro per la collettività. Dobbiamo portare la nostra visione di genere nelle Istituzioni, perché ce n'è bisogno, l'importante è che sia autentica e non posticcia. Non è il rosa fine a se stesso che risolve i problemi delle donne. Alle ragazze che si apprestano a votare per la prima volta auguro lo stesso entusiasmo e la stessa emozione di quelle donne che si recarono alle urne nel 1946, con il vestito della festa e si sentirono libere, parte di un mondo nuovo, tutto da costruire, nel migliore dei modi. Oggi come allora non chiediamo una posizione "speciale", distinta, la riserva da specie protetta e privilegiata, bensì uguale dignità e valore rispetto agli uomini, parità, pari accesso e opportunità, una rappresentazione paritaria. E soprattutto nessuno deve parlare al nostro posto o dettarci come e quando far sentire la nostra voce. Consiglio le seguenti letture: - Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Marie-Olympe de Gouges del 1791, http://www.consiglieraparitaroma.it/public/files/De%20Gouges%20stralci%20della %20Dichiarazione%20dei%20diritti%20delle%20donne.pdf in cui rivendicava l'uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna. - La soggezione delle donne, 1869, di John Stuart Mill e sua moglie Harriet Taylor, sulla condizione femminile e sull'estensione del diritto di voto alle donne e dei diritti politici. - Teresa Mattei - Intervento all'Assemblea costituente, seduta pomeridiana del 18 marzo 1947 "(…) È nostro convincimento, che, confortato da un attento esame storico, può divenire certezza, che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile; e per emancipazione noi non intendiamo già solamente togliere barriere al libero sviluppo di singole personalità femminili, ma intendiamo un effettivo progresso e una concreta liberazione per tutte le masse femminili e non solamente nel campo giuridico, ma non meno ancora nella vita economica, sociale e politica del Paese. (…). Non vi può essere oggi infatti, a nostro avviso, un solo passo sulla via della democrazia, che non voglia essere solo formale ma sostanziale, non vi può essere un solo passo sulla via del progresso civile e sociale che non possa e non debba essere compiuto dalla donna insieme all’uomo, se si voglia veramente che la conquista affermata dalla Carta costituzionale divenga stabile realtà per la vita e per il migliore avvenire d’Italia. Ma una cosa ancora noi affermiamo qui: il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova Costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai se considerassimo questo un punto di arrivo, un approdo. (…) Anche ammesso, come speriamo, che il futuro ordinamento giudiziario sia ben migliore di quello vigente, noi non possiamo ammettere che alle donne, in quanto tali, rimangano chiuse porte che


sono invece aperte agli uomini. Sia tolto ogni senso di limitazione e sia anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto delle donne ad accedere, in libero agone, ad ogni grado della Magistratura, come di ogni altra carriera. (…) Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma dell'articolo 7* nel seguente modo: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che limitano «di fatto» - noi vogliamo che sia aggiunto – la libertà e l'eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana”. Voi direte che questo è un pleonasmo. Noi però riteniamo che occorra specificare «di fatto». Vogliamo qui ricordare quello che avviene in altri paesi democratici. Si dice che l'Inghilterra sia un paese democratico: ebbene, nella democratica Inghilterra le donne hanno conquistato formalmente il riconoscimento della parità assoluta dei diritti circa trent'anni fa, nel 1919. Ma ancora oggi in questa libera e democratica Inghilterra, dove le donne dovrebbero godere di tutti i diritti come gli uomini, poco si è fatto, perché ci si è limitati a sancire formalmente una conquista, che poi nessuno ha voluto realizzare nella pratica. (…) Mazzini, e tutti i nostri grandi che hanno pensato ed operato per l'avvento nel nostro Paese della Repubblica, ci hanno insegnato che la pietra angolare della Repubblica, ciò che le dà vita e significato, è la sovranità popolare. Spetta a tutti noi (…) di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica per rendere effettiva e piena questa sovranità popolare. Ma, perché questo accada veramente, occorre che accanto ai cittadini sorgano, si formino, lavorino le cittadine, fatte mature e coscienti al pieno adempimento di tutti i loro doveri, da quelli familiari ai civili, dal normativo ed educativo godimento dei loro pieni diritti. Aiutateci tutti a sciogliere veramente e completamente tutti i legami che ancora avvincono le mani delle nostre donne e avrete nuove braccia, liberamente operose per la ricostruzione d'Italia, per la sicura edificazione della Repubblica italiana dei lavoratori." *l'attuale art. 3

COSTITUZIONE ITALIANA Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 29 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. Art. 31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.


Art. 37 La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Art. 48 Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tal fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione della Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri stabiliti dalla legge (1). Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.

(1) Il comma 3 è stato introdotto dall’art. 1 della l. cost. 17 gennaio 2000, n. 1. Art. 51 Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini (2). La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

(2) Comma così modificato, con l’aggiunta della seconda frase, dall’art. 1 della legge cost. 30 maggio 2003, n. 1.


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