Labiulm giugno2015

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Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità

ANNO XII

NUMERO III

GIUGNO 2015

www.campusmultimedia.net/labiulm

IULM

news pag 22-23

Milano è mobile La città prepara la sua rivoluzione ecosostenibile: meno auto, più sharing, metro, tram, bus e bicipag 4 - 9 SOCIETÀ DIGITALE

EDITORIALE di GIOVANNI PUGLISI

Morire per scherzo Nella morte di Domenico Maurantonio c’è qualcosa di incredibilmente sconvolgente. Certamente lo sono le circostanze: il corpo di un ragazzo diciannovenne, che resta là, per terra, mezzo nudo, per una notte senza che nessuno sembri aver visto o sentito nulla. Eppure era un albergo! C’è anche una classe di liceali i quali avevano trascorso la giornata e la serata insieme, pare anche in bagordi di

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varia natura, che improvvisamente si eclissano, come fantasmi, nell’oscurità di una notte di maggio, lasciando un cadavere irrigidirsi nel freddo della notte. Ci sono gli insegnanti che avrebbero potuto e dovuto vigilare su questi ragazzi e che, invece, non sembrano svolgere alcun ruolo in questa incredibile vicenda.

segue a pag 24

TRIPADVISOR, FRA CAMPIONI E FALSE RECENSIONI pag 10 - 13 CULTURA

I 40 ANNI DEL FAI: AUGURI AI BENI ITALIANI pag 14 - 15 È FINITA L'ETÀ DELL'ORO? pag 16 - 17 NAVIGLI, ADDIO MUSICA LIVE MAMMA CHE RUGBY!

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La morte di Domenico Maurantonio, fra omertà dei compagni e irresponsabilità dei professori

Una tragedia da cui tutti escono bocciati dalla prima pagina

C’è tutto un mondo, dentro e fuori l’albergo, ma anche dentro e fuori la quotidianità padovana, che sembra brillare per ignavia e indifferenza: la tragica morte di Domenico Maurantonio sembra un incidente più o meno inspiegabile, che l’omertoso silenzio di quanti potrebbero sapere cerca di chiudere più rapidamente possibile. Anzi più si tace e più presto costoro sperano che finisca, che finisca tutto! Non credo invece che possa comunque davvero finire così. Sarebbe una seconda volta che il povero Domenico viene lasciato solo nella glacialità della sua morte. Una morte davvero strana, una caduta davvero inspiegabile, soprattutto per quel particolare – che lentamente comincia, insieme ad altri, ad affiorare – delle mutande accanto ad un corpo senza vita e senza nulla addosso, in un’ala molto distante da quella dove era la stanza assegnata al giovane studente. Alcool, birra, giochi pericolosi, scherzi stupidi sono il mix esiziale che ha portato Domenico sul selciato di quel cortile. Mentre però il giovane studente padovano è rimasto solo lì per ore esanime sul selciato di un cortile, non è verosimile credere che tutto il resto nelle stanze dell’albergo sia stato, come si vuole far credere che sia stato, tranquillità e sonno. Il verosimile è sempre più tendente al vero della stessa verità: nessuno di quanti oggi si interrogano su quella notte

brava sa la verità, ma certamente quanti hanno vissuto quella notte brava è verosimile che ne sappiano tanto o poco, ma comunque ne sappiano quanto basta a fare luce. Rimane inoltre anche alquanto inspiegabile l’atteggiamento degli inquirenti, i quali sembrano tenere, in questa indagine, una linea molto morbida: è comprensibile per una indagine che si muove in un ambiente molto delicato e per i soggetti coinvolti, tutti giovanissimi e quindi teoricamente molto fragili. Pur tuttavia stupisce la mancata – ad oggi – attivazione di tecniche sofisticate di indagine che la Magistratura sa mettere in campo in situazioni come questa e che abbiamo visto attivate, con dovizia di comunicazione pubblica, anche in casi non meno delicati di questo, come quello, per esempio, del piccolo Loris Stival a Santa Croce Camerina in Sicilia. L’intreccio tra indagine e riserbo è certamente un asset importante di questa vicenda: occorre comunque tenere presente che l’eccezionalità della vicenda e l’aneddotica distillata che ha caratterizzato i primi momenti della storia ha reso la questione di forte impatto e attenzione pubblica: la morte di un ragazzo alle porte della maggiore età, in modo così strano e così tragico, non può da un lato non colpire l’immaginario collettivo, come d’altro lato non può non ri-

chiamare in modo chiaro e forte il bisogno di trasparenza nella gestione di tutta questa tragica vicenda. L’omertà che avvolge quelle ore e quei racconti invece è davvero incredibile, sia perché è molto compatta, sia perché è molto resistente. Ciò che colpisce è la giovane età dei soggetti coinvolti in questa brutta, bruttissima storia. Una storia che non potrà consumare la sua dinamica in un’archiviazione. Non si può morire per scherzo in un albergo milanese pieno di persone, dopo una palese notte di bagordi. C’è solo da sperare che la verità faccia leva sul rimorso di chi sa e tace. Sarebbe la migliore conclusione di una storia dove i protagonisti hanno già concluso la loro prova di maturità e, allo stato attuale delle cose, l’hanno conclusa nel peggiore dei modi: bocciati, tutti moralmente bocciati! Rimane loro ancora l’ultimo appello, quello della loro coscienza: il silenzio omertoso e pervicace nel tempo potrebbe distruggere anche chi oggi tace, come quel volo “solitario” quella notte ha distrutto per sempre la vita di Domenico. Lo debbono tutti loro ai genitori di Domenico, ma lo debbono anche e soprattutto a quel loro compagno, che ebbe di loro, in fondo, nel silenzio di quella notte, fiducia fino alla morte. Lo debbono infine alla dignità della loro stessa vita a venire. Giovanni Puglisi

International University of Languages and Media

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QUESTO NUMERO Milano è mobile GIUGNO 15 / SETTEMBRE 15 - N° 3 - A 12 International University of Languages and Media

Diretto da

IVAN BERNI e GIOVANNI PUGLISI (responsabile) Progetto grafico Stefano Scarpa In redazione: Cinzia Caserio, Marco Demicheli, Cosimo Firenzani, Federico Fumagalli, Elena Iannone, Mariella Laurenza, Daniele Lettig, Barbara Montrasio, Adriano Palazzolo, Federica Palmieri, Matteo Palmigiano, Roberta Russo, Stefano Scarpa, Alessandra Teichner, Girolamo Tripoli, Omar Bellicini, Francesca Del Vecchio, Azzurra Digiovanni, Salvatore Drago, Daniele Fiori, Francesca Romana Genoviva, Edmondo Lorenzo Gottardo, Lorenzo Grossi, Lorenzo Lazzerini, Alessandra Parla, Marta Proietti, Claudio Rinaldi, Giulia Ronchi, Carlo Terzano, Federica Zille.

Tra dieci anni Milano sarà una città molto diversa da quella che conosciamo. È questo l’obiettivo di Palazzo Marino che con il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) mira a rivoluzionare il sistema del trasporto pubblico e privato. Lo scopo è incentivare l’utilizzo di metro, bus e tram, rendendoli accessibili sia a coloro che dall’hinterland si recano in città per lavoro, sia a coloro che vivono all’interno della cerchia urbana. Quattro i punti principali: la creazione di nuove linee tramviarie, la progettazione della M6, la diffusione di forme di sharing alternative e l’istituzione di zone 30, piste ciclabili e aree pedonali. La giunta vuole fare di Milano una città a misura di cittadino, ma c’è già chi parla di una nuova “crociata” contro le automobili.

DOSSIER/ MOBILITÀ Milano rivoluziona il movimento

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La strada verso il Pums

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Chi rimarrà con le ruote a terra?

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SPECIALE/ SOCIETÀ DIGITALE via Carlo Bo,1 - 20143 - Milano 02/891412771 tutor.giornalismo@iulm.it

Registrazione Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 Stampa RS Print Time (Milano)

Master in Giornalismo Campus Multimedia In-Formazione Direttore: Giovanni Puglisi Coordinatore didattico: Ivan Berni Responsabile laboratorio redazione digitale: Paolo Liguori Tutor: Silvia Gazzola Docenti

Federico Badaloni (Architettura dell'informazione) Camilla Baresani (Scrittura creativa) Ivan Berni (Storia del giornalismo, Editing e Deontologia) Marco Brindasso (Tecniche di ripresa, luci, montaggio) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Toni Capuozzo (Videoreportage) Piera Ceci (Giornalismo radiofonico) Marco Boscolo (Data Journalism) Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale-TV) Cipriana Dall'Orto (Giornalismo periodico) Luca De Vito (Riprese e montaggio) Giuseppe Di Piazza (Progettazione editoriale e Giornalismo Periodico) Dario Di Vico (Giornalismo economico e finanziario) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Giulio Frigieri (Infodesign e mapping) Marco Giovannelli (Digital local news) Riccardo Iacona (Videogiornalismo) Bruno Luverà (Giornalismo e società) Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Marco Marturano (Giornalismo e politica) Pino Pirovano (Doppiaggio) Andrea Pontini (Gestione dell’impresa multimediale) Marco Pratellesi (Gestione delle imprese editoriali Web) Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza) Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Vito Tartamella (Giornalismo scientifico) Fabio Ventura (Trattamento grafico dell’informazione) Marta Zanichelli (Publishing digitale) Francesco Del Vigo - Lavinia Farnese (Social Media Curation)

"Noi, i campioni di TripAdvisor"

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A Roma, in via Veneto regna la "Pinsa"

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Cenare a casa con gli sconosciuti

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La critica è servita

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Obiezioni e multe: TripAdvisor si difende

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Le recensioni online aiutano anche noi gastronomi

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CULTURA Tanti auguri ai beni italiani

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ATTUALITÀ Compro Oro: il boom è finito?

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Gli orafi: "Regole più severe per il settore"

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Chiude Scimmie: Navigli senza musica

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SPORT Rugby Tacco 13

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Il festival degli amatori della palla ovale

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Per le donne è boom grazie alla Nazionale

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IULM news Anno Accademico 14-15: le relazione del rettore 22 twitter.com/labiulmcampus youtube.com/clipreporter facebook.com/Masteringiornalismo

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IVAN BERNI

Google e le fatiche del monopolista oogle tratta, ed è pronto a condividere con gli editori i ricavi pubblicitari. La notizia è uno scoop della Stampa del 27 maggio e bene ha fatto il quotidiano torinese a richiamarla in prima pagina. Si tratta di una svolta epocale: il gigante di Mountain Wiew, dopo aver reagito alle accuse di monopolismo piombate da più parti in questi anni con evidente fastidio e ostentata supponenza (vedasi la decisione di fermare il servizio Google News in Spagna) ora sembra aver cambiato strategia, scegliendo il tavolo negoziale. Il fatto inoppugnabile, che anche Google non può contestare , è che il motore di ricerca inventato da Larry Page e Serghei Brin è diventato il centro di un sistema globale. Un sistema che orienta e condiziona tutto il web e che ne detta leggi e convenienze. In altri termini: Google non può pen-

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GUIDO FORMIGONI*

Una terza guerra mondiale strisciante? opinione comune che gli ultimi decenni, dopo la fine dell’ordine bipolare della guerra fredda, abbiano visto nel mondo una diffusa instabilità, con la manifestazione di molteplici conflitti e di una sorta di disordine permanente. In realtà questo luogo comune è anche stato discusso: è stato fatto osservare che la guerra fredda aveva congelato una pace del tutto particolare in Europa, ma fuori dal Vecchio continente si era espressa una conflittualità amplissima e a volte devastante , certo da non rimpiangere. Il dato però indubitabilmente nuovo è stato l’emergere di molti conflitti che hanno forma diversa dalle guerre tradizionali tra Stati: si tratta piuttosto di guerre civili, di guerre per bande, di conflitti terroristici, di dissoluzione violenta di Stati «falliti», con una distinzione sempre meno chiara tra combattenti e civili. Abbiamo sotto gli occhi la drammatica situazione di un arco di instabilità che corre dal Golfo di Guinea e dalla Nigeria, attraverso il Corno d’Africa, il Sahel e il Maghreb con il caso libico, per continuare con il sempre infuocato nodo israelo-palestinese e giungere allo Yemen, alla Siria, all’Iraq, al Pakistan e all’Afghanistan. Si è poi aggiunto il ritorno della violenza in Europa, con la persistente crisi ucraina (mentre cova nuova instabilità in Macedonia, Kosovo, Moldova). E basta allargare un poco l’orizzonte, per considerare la violenza diffusa in Centro-America, dal Messico alla Colombia e al Venezuela, tra narcotraffico e lotte di bande criminali: non a caso, i paesi con i più alti tassi di omicidi al mondo.

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sare di cavarsela dalle accuse di comportamenti monopolistici citando, a propria difesa, l’esistenza di qualche altro motore di ricerca come Yahoo e Bing. Non può perché controlla oltre l’80 per cento delle ricerche in rete in Europa e oltre il 70 negli Stati Uniti. Qualsiasi estensione dei servizi offerti da Google, come ad esempio la prossima introduzione di un bottone “Buy” sulla schermata iniziale, si configura come concorrenza sleale nei confronti di altri competitor. Google “Buy”, per il solo fatto di apparire sulla home page del motore di ricerca, parte da una posizione favorita che qualsiasi altro concorrente – poniamo E-Bay, ad esempio – non potrà mai permettersi. La vicenda di Google, inevitabilmente, richiama alla memoria la ragione stessa della nascita dell’Antitrust, ai primi del Novecento. Allora il gigante sotto accusa era la Standard Oil della famiglia Rockfeller, accusata di condizionare il mercato del petrolio al punto da determinarne e controllarne direttamente i prezzi, strangolando i concorrenti. Allora l’Antitrust decise che Standard Oil andava sminuzzata in sette diverse compagnie. Ci fu chi gridò al tradimento degli interessi americani e chi protestò perché, in fondo, era stato il mercato a determinare quella situazione: i Rockfeller, insomma, erano i più bravi. Non bastò a convincere le autorità, decise a spezzare una rendita

di posizione che consegnava a una sola famiglia un potere enorme, in grado di dettare legge agli stessi governi. A più di un secolo di distanza può sembrare eccessivo, e persino fuori luogo, paragonare Google alla Strandard Oil. Ma varrà la pena ricordare che anche allora si era agli albori di una nuova era, quella del petrolio, che avrebbe riscritto regole, abitudini, consumi e valori per decenni. Oggi siamo agli albori di un'altra era, quella digitale. E non deve spaventare il paragone fra miliardari digitali e miliardari petrolieri. Oggi il destino delle generazioni future appartiene molto più a Google, e al suo strapotere, che ai padroni del vecchio e puzzolente oro nero. La disponibilità di Google a trattare con gli editori la condivisione dei ricavi della pubblicità, è il segno che il colosso digitale sta prendendo consapevolezza di non poter gestire una posizione di dominio privatizzando tutti i profitti che il (quasi) monopolio genera. Stando ai conti del primo trimestre, il fatturato atteso da Google per il 2015 è di circa 80 miliardi di dollari, con un utile di oltre 15 miliardi di dollari. Sono cifre paragonabili, per quanto riguarda il volume d’affari, al Pil di un paese come La Serbia. O di Lituania ed Estonia messe insieme. Google vuole venire a patti perché non può perdere la reputazione, pena il rischio di finire a pezzi. Ed è una buona notizia. ■

Papa Francesco ha usato recentemente l’efficace immagine di una «terza guerra mondiale» già iniziata, anche se «a pezzi» e frammentata. Naturalmente è una metafora che va presa per quello che può dare: è difficile analiticamente considerare tutti i conflitti citati rapidamente sopra, in modo certo incompleto, come espressione di un unico scontro. Anzi, spesso i dati ci parlano di una originalità specifica di ogni episodio e ogni contesto, di una sorta di polverizzazione della guerra, che si copre magari di categorie o di etichette più ampie solo per ragioni di visibilità, ma che si radica in micro-interessi e poteri localistici. Papa Bergoglio però insiste soprattutto sul fatto che la condizione di conflittualità diffusa rischia di rendere «normali», quotidiani, la violenza, il terrore, la crudeltà, e magari la repressione e financo la tortura utilizzate da chi combatte il terrorismo. E in questo certamente sembra di vedere il tragico rischio di appiattire tutto il mondo su un livello di inaccettabile e comune regressione. Proprio però per la complessità della situazione, la

frammentazione dei conflitti, il pluralismo estremo delle esperienze e delle dinamiche in gioco, si fa più forte la responsabilità dell’informazione nel contribuire a creare una cultura all’altezza della sfida. Occorre combattere una spettacolarizzazione assurda delle guerre, per cui i protagonisti continuano ad alzare il livello della violenza e della sua rappresentazione (si pensi ai video degli sgozzamenti o alle immagini degli attentati), per contare maggiormente sulla scena mediatica. Occorre reagire a una generalizzazione indebita di categorie schematiche con cui si analizzano gli episodi di conflitto, che rendono facili le reazioni emotive («noi» e «gli altri»), ma non aiutano a capire quello che veramente sta accadendo. Occorre gettare luce sui conflitti dimenticati, far venire allo scoperto le ragioni di chi utilizza la violenza e di chi lucra nascostamente sulla violenza. Distinguere, comprendere, andare a fondo, scoprire i retroscena: è il compito di sempre del vero giornalismo, sempre più delicato e indispensabile. *Docente Storia Contemporane, Iulm

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DOS SIER

MOBILITA'

Milano rivoluziona il movimento La rivoluzione passa per le strade di Milano. Palazzo Marino ha approvato definitivamente il Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile, che punta entro il 2020 a trasformare una città pensata per l’auto in un centro a misura di pedone e di ciclista. Archiviato il progetto di ampliare l'Area C oltre la cerchia dei bastioni, la lotta al traffico e all’inquinamento passa ora per quattro snodi fondamentali: l’istituzione di una DI CARLO TERZANO M@Carlo_theThird

i chiama PUMS e, nonostante ricordi una onomatopea da fumetto, è qualcosa di molto serio, perché riguarderà la vita di tutti coloro che vivono o si recano per lavoro a Milano. Il Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile è forse il progetto più ambizioso della giunta Pisapia, non solo per la sua durata (verrà spalmato nell’arco di tempo dei prossimi dieci anni) e per l’ambito territoriale interessato –terrà conto dei confini della città metropolitana-, ma anche e soprattutto a livello contenutistico, dato che promette di ridisegnare le arterie urbane e innovare profondamente il trasporto pubblico. Ma andiamo con ordine, partendo anzitutto dalla notizia che sta più a cuore ai cittadini: l’allargamento dell’Area C è stato posticipato al prossimo 2022. Questo non vuol però dire che Palazzo Marino abbia deciso di alzare bandiera bianca di

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Low Emission Zone, un forte potenziamento dei mezzi pubblici, la diffusione di car, bike e moto sharing e l’ampiamento delle “zone 30”, che fioriranno un po’ ovunque. L’obiettivo è rendere Milano una città più vivibile, avvicinandola agli standard qualitativi delle capitali del Nord Europa. Ma c’è già chi dice si tratti di una vera e propria dichiarazione di guerra al mercato automobilistico...

fronte al problema del traffico privato e dell’inquinamento: più semplicemente si affronta la questione in un altro modo, così da non rendere necessaria nell’immediato l’estensione dei ticket di ingresso. Se tutto dovesse andare come previsto, un’area C che arrivi a lambire la cerchia delle tangenziali potrebbe persino restare confinata tra gli spauracchi dei milanesi. Ma come intende “muoversi” (mai termine sarà più idoneo) la giunta per non ricorrere alle fa-

Il PUMS è il progetto più ambizioso della giunta Pisapia: promette di ridisegnare le arterie urbane e rinnovare il trasporto pubblico stidiose zone a traffico limitato? Con modo tutto nuovo di affrontare la questione, rubricato sotto l’acronimo L.E.Z. (Low Emission Zone) che punti soprattutto sul potenziamento del trasporto pubblico, sulle possibilità offerte dal car e dal bike

sharing, sull’installazione di telecamere che controllino le categorie di Euro delle auto e le tipologie dei mezzi pesanti in entrata, e sull’apparizione di nuove “zone 30” e di posteggi blu, che dilagheranno un po’ ovunque nel tessuto urbano, anche periferico. I progetti sono dunque molto ambiziosi, soprattutto per quanto riguarda il trasporto pubblico, che subirà profonde trasformazioni. La rete sotterranea, già lunga nel suo complesso 100 chilometri, sarà ulteriormente ampliata verso l’area metropolitana e porterà la M2 da Cologno Nord a Brugherio e da Assago a Rozzano, la M3 da San Donato a San Donato est, la M4 da San Cristoforo a Corsico-Buccinasco e la M5 da San Siro a Settimo. Inoltre, è in progettazione una sesta linea che tagli trasversalmente Milano da Nord-Ovest a SudEst andando a coprire le zone di Certosa-Sempione e Tibaldi-Quaranta anche se in merito Palazzo Marino ci va coi piedi di piombo perché, si legge nel progetto “sul reperimento delle risorse, che per questi investimenti sono sempre state in larga parte statali, il piano non ha titolo per entrare

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LE MAPPE

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nel merito". La vecchia M2 sarà poi modernizzata, sia per sostenere l’allungamento delle sue estremità, sia per far fronte all’annoso problema della risalita della falda, che negli ultimi tempi ha creato all’utenza non pochi disagi. Quanto ai mezzi di superficie, il PUMS prevede invece l’allungamento delle linee tramviarie, soprannominate Linee T, che saranno più veloci (potendo godere di un’onda verde semaforica) e complementari alla metropolitana.

L’allargamento dell’Area C è stato posticipato al 2022. La lotta all’inquinamento e allo smog sarà attuata con strumenti innovativi Nuove “zone 30” (nelle quali il limite di velocità massimo è di 30 km/h) appariranno invece nel tessuto urbano del centro città e faranno il paio con le cosiddette “isole ambientali”, ovvero quartieri caratterizzati dalla presenza di piste ciclabili e percorsi pedonali. L’obiettivo, ha detto l’assessore alla mobilità Pierfrancesco Maran in sede di presentazione, è quello di trasformare Milano in una città «senza più incidenti mortali». Grande importanza sarà rivestita dal car-sharing, declinato per ricomprendere anche biciclette e motocicli. Leggendo in filigrana il piano presentato dalla giunta Pisapia, è possibile notare che le intenzioni dei progettisti sia quella di attuare qualcosa che vada al di là di un semplice maquillage delle principali vie di comunicazione. Si sta infatti tentando

di fare di Milano una città davvero nord-europea, dove il trasporto privato viene scoraggiato se non addirittura bandito non solo dalle zone a traffico limitato, ma anche dalla progressiva espansione dei posteggi a pagamento, che riverseranno parecchia vernice blu sull’asfalto, ribaltando quindi il concetto che il centro urbano debba essere a misura di cittadino e non di mezzo privato. Quando tutto sarà a regime, si prospetta che l’uso dell’auto nelle preferenze dei cittadini subirà un decremento considerevole, dal 30,2 al 22,9%, quello della moto dal 7,3 al 6,9% mentre il trasporto pubblico e le biciclette potrebbero passare rispettivamente dagli attuali 56,7 e 5,7 al 63% e al 7,1%. Tutto ciò dovrebbe contribuire a ridurre le emissioni dei nocivi gas climalteranti del 27%. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che ridisegna non solo la viabilità, ma anche il modo di intendere il nostro rapporto con la città, ecco dunque spiegato perché Palazzo Marino ha deciso di diluire l’attuazione del PUMS nei prossimi dieci anni, non solo per un problema di reperimento di risorse, ma anche per abituare gradualmente i cittadini ai tanti cambiamenti. ■

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Il Piano prevede la realizzazione della Linea Rosa (M6), che collegherà a nord-ovest Baranzate/Molino Dorino con Ponte Lambro/Noverasco a sud-est

Rete ciclabile: in azzurro i percorsi esistenti; in rosso, arancio e giallo quelli da realizzare, in questo ordine di priorità. I cerchi evidenziano i nodi critici

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MOBILITA'

La strada verso il Pums

I cinque punti critici della nuova bibbia del traffico Limiti di velocità, sosta, più mezzi pubblici e sharing STRISCE BLU

ZONE 30 are di Milano un’isola ambientale. Le strategie di Palazzo Marino e dell’Agenzia Mobilità Ambiente e Territorio (Amat) sono assai ambiziose: superare il concetto di Zona 30 per realizzare una Città 30. In altre parole, si tratta di ridurre sistematicamente i limiti di velocità, in tutte quelle strade che non svolgono, a detta degli amministratori, “un ruolo strategico nell’organizzazione generale della circolazione del traffico”. Una rivoluzione che si propone di ribaltare le gerarchie degli spostamenti, abbattendo il predominio del mezzo privato. Il progetto è senza dubbio coerente, giacché prevede un potenziamento della rete metropolitana e tramviaria, nonché un rilancio del bike sharing. I criteri di attuazione del progetto tengono conto del numero di abitanti, della presenza di strutture scolastiche e di attività commerciali, nonché delle specifiche esigenze segnalate dai Consigli di zona. Ci si muoverà secondo una linea di priorità, partendo dalle aree già individuate nel Piano Generale del Traffico Urbano, redatto nel 2003. I primi interventi interesseranno un complesso di quartieri che va da Bellezza a Washington. In un secondo tempo, ci si concentrerà sulle aree poste all’esterno della rete Filoviaria, da Affori-Est al Villaggio dei Fiori. Infine, si farà fronte a settori caratterizzati da problemi specifici, come ad esempio Bruzzano. Poiché gli obiettivi di abbattimento del traffico hanno una valenza estensiva, non si esclude l’inserimento negli elenchi di ulteriori zone. Si va verso una città a misura di pedone. Gli automobilisti sono avvertiti. (o.b.) ■

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resto i milanesi potrebbero vedere tutto blu: l’Amministrazione si ripromette infatti di estendere a macchia d’olio i parcheggi a pagamento, pronti a valicare i confini della cerchia dei bastioni per invadere, come una specie di malattia contagiosa, anche le estreme periferie della città. L’intento è ovviamente quello di scoraggiare l’uso del trasporto privato, ma una simile strategia d’urto potrebbe scontrarsi con la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, la quale, sul punto, ha le idee molto chiare. Gli Ermellini, infatti, hanno in più occasioni enunciato (non ultima nella sentenza n° 18575, del 03.09.2014) la nullità delle multe elevate agli automobilisti per mancata esposizione del ticket nei casi in cui, nelle immediate vicinanze dei posteggi a pagamento, non si trovino luoghi adibiti alla sosta di natura gratuita. L’unica deroga concessa ai comuni riguarda le aree di particolare interesse storico-ambientale, ma sono le amministrazioni stesse a dover provare perché la zona è sottoposta a questo particolare vincolo. Alla luce di ciò, verniciare di blu l’asfalto delle vie meneghine, invece di snellire il traffico, potrebbe avere come unica conseguenza quella di intasare i giudici di pace con i ricorsi degli automobilisti infuriati. (c.t.) ■

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METRO

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ovità in vista sul fronte del trasporto sotterraneo. Il Piano predisposto dall’Amat prevede il prolungamento della Metro 1 in direzione Bisceglie, così da collegare il territorio di Baggio. Inoltre, l’Amministrazione si propone di realizzare la tratta Forlanini-San Cristoforo della Metro 4, nonché di completare la Metro 5, con l’obiettivo di servire i quartieri di Quarto Cagnino e Quinto Romano. Il potenziamento dell’attuale rete della metropolitana consentirà di connettere più efficacemente la Città ai comuni del circondario, appartenenti alla cosiddetta “prima cintura”. Non si intende creare, per il momento, un sesto tracciato (M6). Tuttavia, si è provveduto a individuarne un ipotetico percorso, lungo l’asse SempioneCertosa e sulla connessione Tibadi-Quaranta. Sono anche a progetto interventi di riqualificazione della Metro 2, per risolvere i seri problemi di infiltrazione d’acqua che ne hanno messo a rischio la funzionalità. Le opere indicate promettono di migliorare sensibilmente la mobilità dei cittadini milanesi. Ad ogni modo, non mancano le incognite: il presidente di Atm Bruno Rota, in occasione dell’incontro di presentazione del Pums, svoltosi a Palazzo Marino il 30 marzo scorso, ha segnalato che un eccessivo prolungamento delle linee potrebbe comportare una maggiore insorgenza di imprevisti, così come ritardi significativi, se non si provvedesse all’acquisto di nuove carrozze. La direttrice dell’Amat, Maria Berrini, si è detta scettica sulla possibilità che simili ipotesi si verifichino. (o.b.) ■

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BUS BUS E TRAM l Pums non si concentrerà solo su Milano, ma avrà un respiro ben più ampio, prendendo in considerazione i futuri confini da città metropolitana del capoluogo lombardo. Due le strategie previste: collegare meglio le zone periferiche con il centro e, contemporaneamente, potenziare i servizi tramviari (linee T) che servono la zona interna alla circonvallazione, così da consentire a chi si reca in città per lavoro di utilizzare i mezzi pubblici lasciando l’auto a casa. Quanto alla prima parte del Piano, l’amministrazione si prefigge di incrementare le tratte suburbane (Cadorna–Bovisa–Saronno, crescita dei servizi nel bacino di Monza) e di aggiungere delle linee rapide su gomma (S Bus) lungo i corridoi non coperti dai binari (ad es. l’asse Pioltello–Segrate–Rombon–Lambrate e il collegamento Lainate ed Arese), prevedendo inoltre corsie dinamiche e “salti in coda” per velocizzare invece quelle già presenti (ad es. Vimercate–Cologno e Cusaghese–Bisceglie). Si prevede poi di portare il 24 Ripamonti-Noverasco fino a Poasco. Il restyling coinvolgerà anche la tramvia prevedendo l’estensione Milano–Rozzano fino a Rozzano Humanitas, il prolungamento della metrotranvia Milano–Seregno da Bresso fino a Bignami M5 e la velocizzazione del tram 31 Milano–Cinisello. Il passante ferroviario, ora utilizzato al 50%, dovrà invece raddoppiare la propria offerta entro i prossimi dieci anni, predisponendo 16 treni all’ora per direzione. Quanto ai tram, nei prossimi anni sulle strade meneghine sferraglieranno mezzi nuovi il cui arrivo puntuale alla fermata sarà assicurato da un’apposita onda verde semaforica intelligente che garantirà alle vetture la precedenza agli incroci. (c.t.) ■

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SHARING on solo auto e bici, ma anche scooter. Da giugno il servizio di condivisione dei veicoli che nel giro di un anno ha raggiunto numeri da record con oltre 200 mila iscritti, conoscerà una nuova fase. Oltre al car e al bike sharing, particolarmente potenziati in occasione di Expo con mille biciclette a pedalata assistita e cento auto elettriche (fornite a prezzo variabile per le varie categorie di utenti da Share ‘Ngo), Milano sarà la prima città italiana a sperimentare lo scooter sharing. Le modalità di erogazione del servizio saranno le stesse che hanno convinto un numero crescente di persone a preferire automobili condivise al posto di taxi e mezzi privati. L’utente potrà con il proprio smartphone prenotare lo scooter più vicino, girare liberamente per la città e parcheggiarlo in modalità free floating, ovvero senza un punto di consegna predeterminato. L’azienda che per prima ha accettato la sfida è Enjoy. La società, legata a Eni in partnership con Fiat e Trenitalia, ha annunciato che nella fase inziale metterà a disposizione sulle strade del capoluogo lombardo 150 mezzi a due ruote. Il piano rappresenta una novità assoluta nel panorama internazionale. In Europa solo Barcellona può vantare un servizio di scooter sharing. Nella metropoli spagnola i motorini vengono presi e riconsegnati in apposite stazioni secondo il modello del bike sharing, dunque con limiti ben più rigidi rispetto a quello che approderà a Milano. Non mancano nodi da sciogliere. In particolare ci sono dubbi sul tipo di assicurazione che verrà adottata per la salvaguardia del conducente e sull’igiene relativa all’utilizzo dei caschi in dotazione. Si tratta però di questioni secondarie che difficilmente ostacoleranno “la rivoluzione in sharing”, avviata nel 2013 che tanto sembra piacere ai milanesi. (c.r.) ■

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DOS SIER MOBILITA'

Chi rimarrà le ruote a te

DI OMAR BELLICINI M@OmarBellicini

ellegrini, voi di “Quattroruote” siete stati duri col comune di Milano. Cosa non vi piace di questo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile? «Lo abbiamo sempre detto: non ci piace l’approccio. La gestione del traffico dovrebbe essere una scienza, invece si è detto: “A noi l’automobile non piace, disincentiviamola”. Non siamo d’accordo. Ma non siamo talebani dell’auto, come si vuol far credere».

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Avete scritto che il PUMS punta a un futuro senz’auto. Non le pare eccessivo? «Il problema è la governance. Prima la legge Tognoli, poi Formentini, la Moratti. Infine Pisapia, con il suo referendum sull’ecopass. Non ci sembra giusto che le politiche del traffico vengano cambiate a seconda dell’amministrazione». Non crede che la riduzione del traffico sia un fatto positivo, in termini ecologici? «Senta, quando l’assessore Maran dice: «Abbiamo ridotto del 20% il traffico milanese», dimentica che è calato del 20% in tutta Italia. Stiamo vivendo una crisi che ha portato a un minor utilizzo dell’auto. Ci vorrebbe maggiore onestà intellettuale. L’obiettivo della Giunta è rallentare la circolazione per disincentivarla». Non si tratta di sensibilità ambientale? «In Corso Indipendenza, per costruire le struttu-

non difendiamo l'auto in quanto tale ma non ci piace che gli automobilisti vengano utilizzati come bancomat solo per far quadrare il bilancio re d’appoggio della Metro 4, hanno buttato giù un chilometro e mezzo di alberi. È una sensibilità che vale soltanto quando si tratta di rallentare i privati». Al di là dell’approccio, non pensa che la riduzione del traffico possa portare dei benefici ai cittadini milanesi? «L’industria automobilistica ha registrato un progresso, in termini ambientali, superiore a quello di altri comparti. Andate a chiedere al Comune quanti sono gli autobus Euro3 ed Euro2. Palazzo Marino chiede molto agli automobilisti, dall’Area C alle contravvenzioni. Tutto per far quadrare il bilancio. Poi, però, suggerisce di rinunciare all’automobile. Peraltro senza potenziare i mezzi pubblici». Ma il Piano prevede proprio un potenziamento delle linee tramviarie e della metropolitana. «Lo dicevano anche i piani precedenti. Poi non è stato fatto. A Londra, le decisioni assunte dall’amministrazione vengono demandate a un Traffic Director, che deve trovare gli strumenti per applicarle. Qui, se cambia l’amministrazione, cambia anche ciò che è stato deciso».

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Direttore di “Quattroruote” dallo scorso giugno, 49 anni, ha percorso l’intera carriera nella redazione del mensile della Domus

gian luca pellegrini Non crede che il PUMS trovi attuazione? «C’è un problema politico: la giunta attuale è “un’anatra zoppa”, perché Pisapia non si ricandiderà. La vedo dura. Servirebbe una visione a lungo termine».

calare? «Le immatricolazioni stanno già calando. Ma come si fa a stabilire se sia una scelta dei privati o una conseguenza della crisi? Il mercato dell’auto, in Italia, è crollato».

Tralasciando lo scetticismo sulla fase realizzativa, come ne valuta i contenuti? «L’importante è che non venga fatto sulle spalle degli automobilisti».

Mi consenta una domanda maliziosa. La vostra contrarietà non è dettata dalla paura di perdere dei lettori? Meno gente con la macchina, meno acquirenti di “Quattroruote”. «Noi non difendiamo l’automobile in quanto tale. Diciamo che l’automobile deve essere parte di un sistema integrato. Non ci piace che gli automobilisti vengano utilizzati come bancomat. Parliamoci chiaro: bisogna capire se l’auto deve essere un settore strategico per il Paese».

Non ritiene che sia uno strumento per agganciare Milano ai modelli di “città sostenibile” del Nord Europa? «A Parigi i parcheggi li hanno costruiti. C’è solo un’area, quella del Beaubourg, in cui le macchine sono vietate. A Londra, dove c’è il nostro stesso concetto di Area C, solo una piccola piazza è chiusa al traffico». Come si potrebbe contemperare tutela dell’ambiente e uso dell’auto? «La vera lotta all’inquinamento si fa rinnovando il parco macchine. Bisognerebbe introdurre una tassa di proprietà direttamente proporzionale alla classe d’inquinamento del veicolo». Insomma, non c’è proprio nulla di questo Piano che vi piaccia? «Apprezziamo quel che è stato fatto sul car sharing. Il Comune ha avuto il coraggio di aprire agli operatori privati. Però si dimentica di dire è che il car sharing non è un’alternativa al possesso dell’auto. Perché, guardando le statistiche, chi ne fa uso ha anche la macchina sotto casa». Forse non lo è nel breve termine, ma una volta acquisita una familiarità col servizio, non crede che le immatricolazioni possano

Pensa che il comune di Milano debba rispondere delle strategie industriali dello Stato? «No, ma un tema così non può essere affrontato solo a livello locale». Tornando al PUMS, come valuta l’impatto delle molte Zone 30 previste dal Piano? «Non capisco che cosa si voglia fare. Ridurre l’inquinamento? Diminuire gli incidenti, che sono già pochissimi sulle statali? Per me sono insensate». In conclusione, non sarà anacronistica questa visione dell’automobile? In fondo, non rappresenta più lo status-symbol di un tempo. «È vero che per noi europei decadenti la macchina non ha più il valore che aveva, ma è impossibile farne a meno. Analizziamo cosa succede negli altri paesi: si continua a dire che l’auto è morta, ma alla fine se ne vendono sempre più…». ■

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99 Il cambiamento auspicabile e desiderato invece dai cittadini passa attraverso il riequilibrio: per migliorare la qualità della vita possiamo convincere i milanesi a lasciare l’auto a casa».

arrà con a terra?

Ha citato la questione ambientale. Secondo i critici del Piano, le emissioni inquinanti sarebbero in minima parte da ascrivere alle auto. Cosa ne pensa? «Il comune di Milano ha l’obbligo di adottare politiche per ridurre le emissioni inquinanti. Non deve agire solo sul comparto auto, ma anche su altri settori, come gli impianti di riscaldamento. Ma non si può negare che le auto rappresentino ancora oggi, nonostante le nuove tecnologie, una porzione importante di quelle emissioni».

Amministratore unico di Amat, Agenzia Mobilità Ambiente Territorio di Milano dal 2011. È tra le fondatrici di Legambiente

maria berrini DI CLAUDIO RINALDI M@claudrinald

aria Berrini, il comune di Milano sta per adottare il Pums, che si propone di trasformare la città in modo radicale. Quali sono i suoi principali obiettivi? «Il PUMS è uno strumento di pianificazione previsto dalla legislazione nazionale e sostenuto dalle politiche europee. Si pone l’obiettivo di rinnovare, nell’arco di dieci anni, le strategie per la mobilità urbana, secondo una visione nuova fondata sulla sostenibilità».

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Il Piano è dunque il risultato delle politiche nazionali ed europee in materia di urbanistica e mobilità? «Il Piano asseconda dinamiche nazionali e comunitarie, ma prova a interpretare l’identità della città, rispondendo alle esigenze dei milanesi. La giunta Pisapia lo ha fortemente voluto e presentato alle istituzioni competenti. Oggi è oggetto di un percorso formale di approvazione, che si concluderà, se non ci saranno intoppi, con una delibera del consiglio comunale, entro fine anno». Cosa intende quando parla di dinamiche nazionali e comunitarie? «Mi riferisco alla possibilità, da parte del Comune, di accedere a finanziamenti di vario genere. Nei prossimi anni i fondi strutturali, messi a disposizione a livello statale ed europeo, saranno garantiti solo alle città che hanno approvato piani di mobilità sostenibile. Al momento, in Lombardia, solo Milano sta andando in questa direzione».

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Come sarà finanziato il Piano? «Una parte è già stata finanziata dal Comune. Un’altra parte non ha ancora copertura finanziaria. Si tratta di circa due miliardi e mezzo di euro, da spalmare in dieci anni. Non è certo una cifra faraonica, visto che il Piano è stato concepito secondo un criterio costi-benefici. La spesa potrebbe anche ricadere interamente sul bilancio del comunale, ma è chiaro che la governance cittadina proverà ad attingere il più possibile ai fondi regionali, nazionali e comunitari». A proposito di governance cittadina, il sindaco Pisapia non si ricandiderà. Se la nuova giunta dovesse adottare politiche urbanistiche diverse, cosa ne sarebbe del Piano? «Non mi sono mai interrogata sul punto. Se il piano, come spero, dovesse essere approvato dal Consiglio comunale entro fine anno, diventerebbe uno strumento vincolante; a quel punto qualunque cittadino milanese potrebbe legittimamente fare ricorso contro provvedimenti ostili alle strategie adottate dal PUMS». Come risponde a quanti, come il direttore di “Quattroruote”, Gian Luca Pellegrini, vi accusano di aver messo in campo una «lotta ottusa contro gli automobilisti»? «Il Piano è pensato per le persone, non contro gli automobilisti. Per chiarire, è utile evidenziare alcuni dati. La ripartizione tra auto, mezzi pubblici e bici segnala che sia gli spostamenti interni al Comune (per il 30%) sia quelli di scambio tra Milano e le zone dell’hinterland (per il 57%) siano ancora soggetti all’uso dell’automobile». E dunque? «Credo che una mobilità troppo sbilanciata sull’uso dell’auto produca solo traffico e inquinamento.

Il Piano è attuabile solo entro i confini del Comune. Non sarebbe stato opportuno adottare un unico progetto per tutto l’hinterland? «Quando si è cominciato a pianificare, mancava un ente che coordinasse tutto il territorio. La Provincia era già in fase di dismissione e di scarsa volontà progettuale. Dal primo gennaio 2015 è stata istituita la Città metropolitana: da quel momento il Comune e l’Ente appena nato hanno interloquito, cercando soluzioni che rispondessero alle diverse esigenze. In più va detto che il comune di Milano siederà al tavolo con la Città metropolitana, impegnandosi alla realizzazione, per i prossimi due o tre anni, di un nuovo piano della mobilità sostenibile, che riguarderà tutto l’hinterland». Il Piano attuale non affronta già il nodo della mobilità di scambio tra Milano e i comuni dell’hinterland? «Il Piano tenta di affrontare il nodo attraverso una serie di scelte. Tra queste, la più importante

l'uso eccessivo dell'auto ha creato solo traffico e inquinamento. vogliamo riequilibrare la mobilità attraverso mezzi pubblici e bici risulta essere il prolungamento della metro». Bruno Rota, presidente di ATM, ha espresso alcune perplessità sulla gestione del servizio, in presenza di tratte molto lunghe. «È una tesi che ATM sostiene da anni e che francamente non riesco a cogliere fino in fondo. È chiaro che se si dovessero prolungare alcune linee, andrebbe incrementato il servizio, per esempio con più treni, ma non vedo come questo possa creare intoppi alla circolazione. Naturalmente il discorso cambia per i traporti di superficie, per i quali il rischio di imprevisti aumenterebbe». Il potenziamento del car sharing previsto dal Piano potrebbe disincentivare, nel lungo periodo, l’acquisto di nuove automobili? «Mi piacerebbe. Si è deciso di potenziare il car sharing perché è sembrato l’unica strategia in grado di “demotorizzare” in modo significativo la città, lasciando comunque la libertà di usare l’auto in un’ottica di condivisione sociale». In conclusione, il piano prevede l’allargamento di Area C? «L’allargamento sarà possibile solo nel momento in cui verranno attuate le altre strategie. Dunque, nei prossimi anni saranno altre le priorità». ■

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DOS SIER SOCIETA' DIGITALE

Cene a 20 euro e ambiente cool "Nerino 10" scala la hit dei ristoranti milanesi

"Noi, i campioni di TripAdvisor " DI GIULIA RONCHI

robabilmente non entreranno mai a far parte della guida Michelin ma, grazie alla popolarità in rete e alle recensioni degli internauti, sono riusciti a guadagnarsi una nomea di tutto rispetto: sono ristoranti economici che hanno saputo farsi strada nell'era di Masterchef e dei piatti raffinati. La stessa, d'altronde, in cui convivono Tripadvisor e la cucina accessibile a tutti. La piattaforma leader nelle recensioni online conta ad oggi trecentoquindici milioni di visitatori al mese e duecento milioni di opinioni, relative a quattro milioni e mezzo di alloggi, ristoranti e attrazioni. Se i viaggiatori sono sempre più social, molti locali hanno deciso di trasformare questa opportunità in un vero e proprio strumento di marketing. Uno studio condotto nel 2013 dimostra infatti come una buona gestione della propria presenza sul web aiuti i ristoranti ad accrescere la propria clientela. Per farlo, bastano poche semplici mosse, come postare fotografie accattivanti e rispondere direttamente ai commenti. Ma soprattutto, bisogna avere cura e attenzione dei propri clienti, offrire loro un trattamento esclusivo ad un prezzo comunque abbordabile. Il rischio di incappare in recensioni fasulle, tuttavia, c'è e proprio per que-

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sto, su segnalazione di numerosi utenti, il sito è stato multato dall'Antitrust lo scorso novembre. Ciò nonostante, secondo il vicepresidente di Tripadvisor, Severine Philardeu, "il 50% dei viaggiatori fa sempre riferimento al portale prima di fare una prenotazione". In base ai giudizi, sullo stesso sito è possibile consultare le classifiche delle migliori strutture presenti in una determinata città. Ai vertici di quella milanese spunta la Trattoria Nerino Dieci che offre un ambiente curato e piatti rivisitati, come le code di gambero in tempura accompagnate da un'inedita maionese alla soia. Il conto è tutt'altro che salato, infatti si spendono, in media, dai 20 ai 40 euro a persona. Dentro al locale, aleggiano accenti di mezzo mondo. Molti gli orientali in sala, ma anche

il 50% dI CHI VIAGGIA fa riferimento al sito; è diventato uno strumento di marketing per i locali russi e tedeschi seduti ai tavoli del locale. Hanno l’aria di chi non si fermerà molto a Milano e, dopo un’accurata selezione online, ha scelto di cenare proprio qui. A curare il libro delle prenotazioni invece è un calabrese doc: il proprietario Sandro Caputo. Ad accompagnarlo in questa avventura culinaria c'è l'amico e socio Stefano del Savio, re-

sponsabile della gestione economica e del concept del ristorante. "Ci siamo chiesti più volte quale sia il segreto del nostro successo online - spiega - ma non sappiamo darci risposta. La popolarità dipen-

"la popolarità dipende dagli ospiti sul web le cose cambiano in fretta" stefano del savio, proprietario de dagli ospiti, soprattutto quelli stranieri che usufruiscono del servizio molto più di quanto facciano gli italiani". Del Savio è un manager prestato alla ristorazione. "Mi occupo da sempre di tecnologia - racconta - Quindici anni fa ho incontrato Sandro perché ero ospite fisso di un suo ristorante. Lui è cresciuto in cucina, ha fatto il cameriere e poi lo chef. Da lì è nata l'idea di unire la mia capacità imprenditoriale alla sua passione per la cucina. Così, quattro anni fa abbiamo inaugurato la trattoria di via Nerino. La nostra presenza online ha sicuramente influito sulla clientela, ma non abbiamo mai chiesto ai nostri ospiti di lasciarci un commento". Il portale dedicato ai viaggi però può essere un'arma a doppio taglio. "Siamo sempre in lotta con il sito dichiara Stefano - Abbiamo addirittura minacciato di denunciarli perché danno tantissimo credito ai recensori ma pochissimo ai gestori. Per esempio: una recensione pessima, anche se per un futile motivo, come la tinteggiatura dei muri, fa precipitare

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A ROMA

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In via Veneto regna la "Pinsa" DI MARTA PROIETTI M@MartaProietti88

osa fare se ci si trova a Roma a mezzogiorno e non si sa dove andare a mangiare? Il gioco è semplice: si entra nel sito di Tripadvisor e, senza bisogno di alcuna registrazione, si seleziona la città e il campo di ricerca. A questo punto comparirà la classifica dei migliori ristoranti della Capitale. I più inesperti si limiteranno a leggerla senza un occhio critico ma, facendo più attenzione, si noterà che il numero delle recensioni varia di posto in posto, portando sulla vetta un ristorante che però registra pochissimi pareri da parte degli utenti. Questo sistema potrebbe indurre in errore turisti e non. Se si scorre verso il basso, infatti, si vedrà immediatamente che il primo ristorante con un numero considerevole di recensioni è la “Pinsere Roma”, con oltre 1900 giudizi, guadagnati nell’arco di due anni. Un piccolo locale, di appena 34 metri quadrati e 8 dipendenti, tutti ragazzi giovani, che ha aperto nel marzo 2012 nel cuore della città in via Flavia, a 100 metri da via Veneto. All’interno è possibile consumare la pinsa, che si distingue dalla pizza per due aspetti: la denominazione deriva dall’antica Roma e la forma è ovale. Pensata per differenziarsi dalle classiche pizzerie, non è possibile consumarla seduti ad un tavolino, ma secondo il concetto di street food. Le qualità sono tra le più varie e i forni in cui viene cotta sono a vista del cliente. In soli tre anni questo locale è riuscito a farsi conoscere da un pubblico molto vasto e, per stessa ammissione del titolare Gianni Angelilli, questo enorme successo è dovuto in gran parte a Tripadvisor. Se il portale web è una fonte di aiuto per chiunque cerchi un posto buono per mangiare, è anche vero che lo è altrettan-

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to per i ristoratori, i quali lo utilizzano come vetrina e che sono costretti ogni giorno a fare i conti con le recensioni positive e negative. Angelilli ammette che il sistema crea un sorta di schiavitù continua che obbliga lui, e i suoi dipendenti, a non permettersi errori nei confronti dei clienti: pena il giudizio negativo. «Uno dei maggiori problemi di Tripadvisor», spiega il proprietario, «è che i pareri negativi hanno un peso maggiore rispetto a quelli positivi». Per poter salire in classifica, infatti, è indispensabile accumulare una quantità notevole di opinioni favorevoli, mentre è sufficiente un giudizio poco benevolo per scendere di diverse posizioni. Bisogna poi fare i conti con i pacchetti di recensioni positive che è possibile acquistare attraverso delle apposite agenzie, le quali creano dei nickname falsi con cui cercano di far salire in classifica un ristorante. «Io stesso, non appena mi sono iscritto al sito, ho ricevuto email in cui mi veniva proposto l’acquisto di recensioni per poter migliorare la mia posizione in classifica», svela Angelilli, e aggiunge con tono polemico «Tripadvisor non sostiene il ristoratore, ma asseconda l’utente, vero o falso che sia». I titolari possono, infatti, comunicare con il sistema facendo notare che alcune recensioni potrebbero provenire da nickname falsi oppure essere offensive ma, come lamenta il proprietario de La Pinsere, le richieste di cancellazione spesso non vengono accolte. ■

SOCIAL EATING il rating. Puoi contestarla, ma se il commento non è offensivo, resta". Negli ultimi anni sono emerse poi agenzie che tramite il web vendono recensioni positive a pagamento. Tripadvisor ha negato qualunque tipo di affinità con questo sistema, ma la possibilità di pagare recensori, così come di corrompere clienti, rimane. "Non ci è mai capitato di ricevere queste offerte", assicura il co-proprietario di Nerino che dichiara di aver rifiutato un paio di clienti che esigevano un tavolo pur senza prenotazione. "Ci hanno minacciato dicendoci che avrebbero recensito negativamente il locale, ma a noi non interessa. Abbiamo tempi di attesa lunghissimi. Ci piacerebbe avere cento posti in più, ma

UNA RECENSIONE PESSIMA, ANCHE SE PER LA TINTEGGIATURA DEI MURI, FA PRECIPITARE IL RATING DEL LOCALE al momento non è possibile". In futuro però potrebbe aprire un Nerino due. "Stiamo pensando di ampliarci. Certo, stando ai giudizi in rete, il successo ora sarebbe garantito ma non possiamo basarci su quello. Dobbiamo tenere alta la qualità del locale. Sul web, le cose fanno in fretta a cambiare". ■

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Cenare a casa con gli sconosciuti rriva dagli Usa, è fratello del couch surfing (l’ospitare uno sconosciuto sul divano di casa) e cugino dell’home restaurant (il trasformare casa propria in un ristorante). Stiamo parlando del Social Eating, l’ultima tendenza del web 2.0 che si fonda sul principio della condivisione del cibo, rigorosamente a prezzi low cost, e con delle persone mai viste prime. Attorno a questa nuova filosofia del gusto, sono nati diversi siti sul quale è possibile iscriversi per partecipare ai vari eventi organizzati. Uno dei più conosciuti in ambito milanese è SEM, acronimo di Social Eating Milano, ideato da Sabrina Antenucci e ufficialmente in rete dal 1 febbraio. “Il social eating è un evento, un appuntamento, un modo di ritrovarsi con qualcuno che non conosci. Fai amicizia, fai business, fai networking”, spiega Sabrina. Ma come funziona esattamente? Chi organizza mette a disposizione casa propria, elabora un menu, sceglie una data, fissa un prezzo. Dopodichè si crea una locandina virtuale che viene pubblicata sul sito, e al potenziale cliente basterà inviare un’email di prenotazione e un contributo spese per confermare la propria partecipazione. “I costi delle cene dipendono dagli ingredienti”, dice Sabrina, che in genere preferisce organizzare pranzi, aperitivi e cene economiche privilegiando cibi di stagione e ricette italiane, soprattutto in questo momento in

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cui ospita tanti turisti stranieri in visita ad Expo. Lei, giornalista con la passione per la cucina, insieme ad altri due amici che l’aiutano a curare il sito, ha messo su un vero e proprio bistrot “homemade” che può ospitare al massimo 12 persone. “Non è un vero e proprio lavoro”, tiene a precisare l’Antenucci, poiché i guadagni sono veramente minimi e il contributo dei commensali serve solo a coprire il costo della spesa. Il social eating è qualcosa di più, “qualcosa che permette a perfetti sconosciuti di conoscersi de visu”, una tendenza che in tempi di sharing economy permette a tutti di mangiare in compagnia a prezzi minori rispetto a quelli di un ristorante o di una pizzeria, e il tutto nella maniera più social possibile. (a.p.) ■

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SOCIETA' DIGITALE

La critica è servita I dubbi degli esercenti e dei consumatori per i giudizi falsi Intanto l'Antitrust sanziona il portale per 500mila euro DI ALESSANDRA PARLA M@AlessP90

al passaparola alla tastiera del pc, dal consiglio spassionato di amici e parenti alle recensioni online. Oggi, con la digitalizzazione dell’informazione, anche la scelta di un ristorante passa dal web e si fa con l’aiuto delle community, prima fra tutte quella di TripAdvisor. Il sito, fondato nel 2000, ha cambiato radicalmente le strategie di marketing ma ha

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lA caccia alla reputazione digitale ha permesso la crescita di un vero e proprio "mercato delle recensioni" messo in moto anche una serie di distorsioni che ne hanno vanificato il servizio. L’obiezione principale mossa dagli esercenti a questa piattaforma è la mancanza di un qualsiasi controllo sulle recensioni che vengono pubblicate. “Una grande opportunità per farsi conoscere ma anche il rischio di essere strumentalizzati da un sistema democratico dove è consentito di tutto di più”, ha commentato Stefano Tiberga, portavoce del Codacons di Milano. Secondo le politiche di TripAdvisor infatti, qualsiasi utente è libero di accedere gratuitamente al portale e lasciare un commento o una recensione del tutto casuale su ristoranti, pub e alberghi,

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senza alcun tipo di supervisione. Questo nuovo meccanismo di “pubblicità” però, ha generato una vera e propria caccia alla più alta reputazione digitale che ha permesso la crescita di un vero e proprio “mercato delle recensioni”. Come segnalato dallo stesso Codacons, basterebbe dare un’occhiata ai siti di annunci su internet per trovare richieste di non meglio precisati “collaboratori” a cui affidare il compito di inserire false recensioni sui portali per aumentare la valutazione media di un ristorante. Il servizio in sé dunque, da un lato può essere visto come un ottimo strumento per permettere a tutti di conoscere rapidamente la qualità di un locale grazie ai giudizi di altre persone, dall’altro però, resta il fatto che senza adeguati controlli, i rischi superano i benefici. Condotte di questo tipo erano già finite sotto la lente dell’Antitrust il 19 maggio 2014, quando, dopo diverse segnalazioni di recensioni fasulle sul portale da parte dell’Associazione Unione Nazionale Consumatori, l’Authority aveva avviato una procedura istruttoria contro TripAdvisor per “pratica commerciale scorretta”, al fine di “verificare se la società adottasse misure idonee a prevenire e limitare il rischio di pubblicazione di false recensioni”. L’assoluta libertà dello strumento e soprattutto la possibilità di pubblicazione in forma anonima hanno determinato un uso distorto del sito che anche la Federazione dei pubblici esercizi aveva denunciato nel 2012 con la “Rivolta dei Ristoratori Toscani”. “Avevamo scoperto studenti assoldati

per 400-500 euro che dovevano scrivere su commissione decine di recensioni positive parlando di ambienti, piatti e camini inesistenti”, ha raccontato Aldo Cursano, vicepresidente della Fipe. In quell’occasione, la Federazione aveva segnalato anche l’esistenza di Agenzie di Reputation Line che vendevano pacchetti di recensioni positive con la garanzia di far salire nelle classifiche il proprio ristorante o albergo. “Nei tantissimi incontri fatti con i vertici di TripAdvisor abbiamo affronta-

nonostante le criticità anche i ristoratori riconoscono che tripadvisor rappresenta una grande risorsa to tutte le criticità dello strumento trovando degli interlocutori attenti e interessati ad approfondire una collaborazione con la nostra associazione - ha continuato Cursano - la Fipe non si è mai posta a priori contro questo sito ma ne ha combattuto le devianze e gli usi impropri”. Del resto, come precisa lo stesso vicepresidente, “TripAdvisor è una grande risorsa”, ma è necessario che le recensioni siano spontanee e autentiche perché solo in questo modo il ristoratore potrà conoscere il grado di soddisfazione del cliente e, nel caso, trovare spunti e stimoli per migliorarsi. ■

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LA REPLICA

Obiezioni e multe: TripAdvisor si difende blicazione di un “alert” sul loro profilo. Questo simbolo segnala il tentativo di aver manipolato il loro posizionamento.

DI GIULIA RONCHI

I NUMERI

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milioni i ristoranti recensiti dagli utenti

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milioni le fotografie amatoriali caricate

e da un lato Tripadvisor può aumentare la popolarità di hotel e ristoranti, dall’altro sono molte le obiezioni mosse al sito di recensioni online proprio da parte di albergatori e ristoratori. Ne abbiamo parlato con Valentina Quattro, portavoce italiana della piattaforma online.

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Valentina, recentemente è scoppiato il caso delle finte recensioni a pagamento. Come distinguete le opinioni false da quelle vere? I nostri sistemi e processi sono molto accurati, vogliamo proteggere i consumatori dalla minoranza di persone che cerca di raggirare il nostro sistema. Abbiamo duecentocinquanta specialisti dei contenuti che lavorano sette giorni su sette per individuare i responsabili delle frodi. Per farlo, le recensioni vengono costantemente monitorate attraverso sistemi automatizzati, algoritmi e studiando le attività dei singoli utenti. Quali sono i provvedimenti contro i truffatori? Se abbiamo la prova che una struttura abbia tentato di postare recensioni false, o abbia lavorato con società terze per ottenerle, sarà penalizzata. Le misure previste comprendono la diminuzione del loro indice di gradimento sul sito e la pub-

A dicembre del 2013 Tripadvisor è stato multato dall’Antitrust per omissione di controlli. Da allora, cosa è cambiato? Abbiamo continuato e continueremo a operare come sempre, così come porteremo avanti il nostro impegno verso sistemi efficaci e aggressivi contro le frodi. Riteniamo che la sentenza dell’Antitrust non sia ragionevole. Hanno usato una politica a tolleranza zero: ci avrebbero condannato anche se solo una recensione su un milione fosse stata considerata non accurata. E’ uno standard non compatibile con nessun modello di business, per questo faremo appello. Gli utenti possono suggerirvi di rimuovere un commento, ma spesso le loro richieste non vengono accolte. Come mai? Noi ci limitiamo a cancellare ciò che viola il nostro regolamento: linguaggio offensivo o diffamatorio, opinioni e discussioni di natura politica, etica o religiosa. In ogni caso, noi suggeriamo sempre ai gestori di hotel e ristoranti di rispondere ai commenti. Questo permette loro di fornire la propria versione dei fatti, ma anche di aumentare il coinvolgimento dei visitatori. Scegliere di replicare a un giudizio negativo è la miglior strada per ricostruire la fiducia dei viaggiatori. ■

L'ESPERTO

70

milioni i membri raggiungibili nel mondo

2.6

mila le discussioni postate ogni giorno

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Ma le recensioni online aiutano anche noi gastronomi ripAdvisor e il mondo dell’online hanno cominciato a plasmare la percezione e l’atteggiamento della gente nei confronti della cucina già dal 2008”. Lo dice Valerio Massimo Visintin, giornalista e recensore professionista per il blog del Corriere della Sera, Vivi Milano. A lui abbiamo chiesto di spiegarci in cosa consiste il suo mestiere, ma soprattutto come quest’ultimo si è evoluto dopo l’avvento delle recensioni online.

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Dal 2008 a oggi, quali sono i più grandi cambiamenti che ha notato? Sicuramente la quantità di persone attive e interessate alla critica culinaria. E’ diverso anche l’atteggiamento generale nei confronti del cibo: tutti si fingono giornalisti esperti in questo campo. Sono aumentati siti “specializzati” come blog dedicati esclusivamente al food e portali di recensioni sulla scia di TripAdvisor. Come ha influito tutto questo sul suo lavoro? Ci sono tanti giornalisti che ritengono che questo nuovo interesse legato al food sia soltanto una moda passeggera. Io non sono di questo

avviso, anzi, ritengo che tutto questo clamore attorno al cibo favorisca pluralismo e democrazia. Bisogna però distinguere il nostro lavoro di critici da quello di recensori amatoriali. Di solito, su internet, c’è un atteggiamento di omologazione nei confronti di un certo tipo di cucina o determinati ristoranti. Per questo, come giornalista, cerco di mantenere un certo distacco dalla Rete. In cosa consiste il suo mestiere? Mi comporto come un qualsiasi cliente. Prenoto, mangio e pago. E poi recensisco. Come sceglie quali ristoranti recensire? Mi baso sulle segnalazioni degli utenti, sui comunicati stampa e sulle aperture più recenti. Ammetto che, ogni tanto, prendo spunto anche dalle mode sul web… Sono diminuiti i lettori di Vivi Milano con l’avvento delle recensioni online? No. Il dato empirico dice esattamente il contrario. C’è stata una super esposizione dell’argomento cibo, di conseguenza il nostro sito ha registrato sempre più ‘clic’. ■

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CULTURA FAI

Tanti auguri ai beni italiani Il FAI compie quaranta anni, tutto partì da un scogliera a Panarea... Abbazia di San Fruttuoso Camogli, Genova

Quarant’anni che raccontano la storia di un ideale realizzato grazie alla collaborazione di giovani entusiasti. Attualmente, Andrea Carandini ne è il Presidente, affiancato da Angelo Maramai, Direttore Generale. Marco Magnifico, partito da volontario nell’85, oggi è Vice presidente Esecutivo della Fondazione protagonista nella tutela dei Beni Culturali sul territorio nazionale italiano.

MARCO MAGNIFICO Vice Presidente FAI DI FRANCESCA DEL VECCHIO M@viaggioaoriente

uarant’anni nella storia di una fondazione sono tanti, ma troppo pochi se si pensa al cammino che non è ancora stato percorso. Il Fai (Fondo Ambiente Italiano) festeggia questo importante anniversario proprio quest’anno. Era il ’75, quando la signora Giulia Maria Crespi lo fondò. Nel ’76 la prima donazione da parte di Piero di Blasi: mille metri quadrati di terreno costiero a Panarea, da difendere dalle speculazioni.

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Una lunga storia, la vostra. Quali sono, secondo lei, le tappe principali? «È iniziato tutto con la dirigenza della signora Crespi. Nei primi anni, la sua presidenza era creativa e tumultuosa. I fondi arrivavano dagli amici della Presidenza e questo la rendeva elitaria. Ma il modello di partenza era quello britannico del National Trust. Io sono arrivato nell’85: allora l’organico era ancora come alle origini, poco numeroso. Eravamo pionieri che sognavano, guidati dalla Crespi che era una donna abituata a “fare” più che a sognare. Lei, dal suo palazzo bellissimo, ci dava ordini e noi correvamo come leprotti. Non avevamo affatto la consapevolezza che per raggiungere certi traguardi servisse un meccanismo aziendale. Oggi, alla Cavallerizza (Sede operativa del Fai, ndr) c’è un organico di duecento elementi. Siamo diventati un’azienda, con un bilancio, un direttore generale. È cambiato l’approccio al lavoro, abbiamo un piano operativo triennale. Ma il fatto di essere diventati un’azienda ci ha permesso di far capire che il tema della cultura non è per pochi, anzi, interessa la collettività, specie in un paese come l’Italia. No-

nostante questo, però, non è facile contemperare i ritmi dell’azienda con lo scopo sociale. Ma in questi quarant’anni di storia, posso affermare con certezza che non è cambiata la nostra missione. Eravamo e siamo tutt’ora una fondazione che lavora per la gente: con i meccanismi di un’azienda portando avanti un ideale». Quali sono i cambiamenti più significativi di questi anni? «Nel nostro Paese è cambiato il ruolo del patrimonio artistico e la percezione nelle persone, trent’anni fa, quando ho iniziato a lavorare, era prerogativa di un’élite, di una fascia alta e ristretta della popolazione. La maggior parte non avvertiva il problema della salvaguardia dei beni. Man mano abbiamo assistito ad una crescita dell’interesse da parte delle persone. Abbiamo anche avuto buoni Ministri, non senza sciagure. Oggi abbiamo le code ai musei e questo ci fa capire che l’azione del Fai va nella direzione giusta. Siamo riusciti a trovare un linguaggio che parli ai diversi tipi di utenti: entusiasti, colti, sportivi, scettici. E anche ai bambini, figli di tutte queste categorie». Il rapporto con le istituzioni com’è cambiato? «Paradossalmente è aumentata la consapevolezza da parte della gente, ma è progressivamente diminuito il contributo pubblico, i finanziamenti. Ciò che non è cambiato, tragicamente, è l’incompetenza di chi si occupa di queste cose, dagli enti pubblici al Ministero. È rimasta un’incapacità gestio-

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GIULIA MARIA CRESPI

CASTELLO DI MASINO

LE GIORNATE DI PRIMAVERA

Giulia Maria Crespi, vedova Mozzoni, nasce a Merate il 6 giugno 1923. È un’imprenditrice italiana, discendente da una famiglia di cotonieri lombardi, proprietari di una nota azienda di Crespi d’Adda. A partire dagli anni ’60 gestì, per conto di suo padre, la proprietà del Corriere della Sera. Nel ’73, dopo aver spartito la proprietà con Gianni Agnelli e Angelo Moratti, decise di cedere la quota rimanente all’editore Andrea Rizzoli. Dal 2013 possiede il 2,4% circa delle quote del gruppo L’Espresso. Nel 1975, insieme a Renato Bazzoni, Franco Russoli e Alberto Pradieri, fonda il Fai, di cui ora è Presidente Onorario.

Il Castello di Masino sorge nel comune di Caravino (TO). Fu costruito nel XI secolo per volere deI Valperga. Per la sua posizione strategica, fu conteso tra le famiglie del territorio: Visconti, Masino e Valperga. Venne parzialmente demolito dai francesi nel XVI secolo, per poi essere ricostruito nel 1780. Vanta numerose stanze monumentali e saloni affrescati. Il parco è stato adattato al modello inglese da cui è nata l’idea della Strada dei 22 giri, antico tracciato panoramico immerso nel bosco della collina. Curiosità: il pianoforte della Sala da Ballo fu utilizzato da Rossini nel 1813 quando, in soli tre giorni, compose il Tancredi.

Le Giornate di Primavera del Fai giunte alla 23° edizione, hanno coinvolto finora oltre 7.800.000 italiani. Sono un evento che ogni anno concede l’opportunità di scoprire luoghi normalmente inaccessibili. Una grande festa di piazza dedicata ai beni culturali, un’occasione per riscoprire Chiese, borghi, palazzi, aree archeologiche, castelli e giardini. Sono oltre 780 i luoghi aperti a visite gratuite in 340 località e in tutte le Regioni. Nel 2015 le Giornate Fai di Primavera hanno raccontato luoghi e storie che testimoniano la varietà, la bellezza e l’unicità del patrimonio italiano, anche attraverso una maratona televisiva.

nale, oltre che comunicativa, latente. Ciò che, per fortuna, esiste è la competenza sulle tutele. Fatta eccezione per esempi come il soprintendente che arrivò a Pompei e fece ricostruire il Teatro Romano con i blocchi di cemento. Questi sono peccati mortali. Ma nel terribile marasma in cui ci troviamo, il fatto di avere una maggiore consapevolezza su ciò che va fatto è un passo avanti rispetto alla totale indifferenza. Bisogna solo cercare la strada migliore per farlo. Il Fai ha trovato il modo giusto per coniugare numeri, è il terzo anno che chiudiamo il bilancio in attivo, competenze e professionalità».

vino, pensando di poter operare senza l’interazione col territorio. Questa “arroganza culturale” ci ha fatto perdere molte opportunità. Poi, tre anni fa, abbiamo capito che lavorando accanto alla collettività, alle aziende e alle istituzioni, riuscivamo a integrarci e interagire col sistema. Questa consapevolezza si è tradotta in “Fulcri e Sistemi”. Da ciò deriva un vantaggio nella gestione del bene e una migliore risposta da parte delle persone».

Quale, tra i beni che il Fai vanta nel suo registro, è quello a cui siete più affezionati? «In realtà è difficile dirlo. Io, se potessi scegliere un posto in cui andare a vivere, sceglierei Villa Della Porta Bozzolo, in provincia di Varese. Ma obiettivamente devo riconoscere che ogni bene che recuperiamo ti coinvolge nella sua storia, per la sua unicità, per ciò che rappresenta. È entusiasmante. T’innamori ogni volta di qualcosa di nuovo».

Nel Libro del Fai, il recupero del Castello di Masino è definito come l’impresa più azzardata. Perché? «Eravamo incoscienti, non conoscevamo la situazione e non sapevamo quanto denaro ci volesse per ristrutturare il bene. Oggi, forse, con una maggiore consapevolezza, non prenderemmo un bene del genere, che ha bisogno di così tanti interventi di restauro. Fortuna che nell’88 non ci ponevamo molte domande. L’investimento è stato di circa 10 milioni di euro. Attualmente il Castello di Masino è il fiore all’occhiello del Fai ed è il primo dei monumenti a far parte del progetto “Fulcri e Sistemi”».

La famosa frase di qualche anno fa “con la cultura non si mangia” si rispecchia nei giovani che non trovano riscontro nel mondo del lavoro. Qual è la posizione del Fai sull’argomento? «La nuova generazione è più preparata, rispetto alle precedenti, su certi temi come quello dei beni culturali. Mi vengono in mente esempi di cooperative di giovani che hanno rilevato dei piccoli siti d’interesse artistico, rendendoli fruibili al pubblico grazie ad una gestione fantasiosa e originale tipica della loro età. Questo lavoro si trasforma anche in un introito economico, oltre che in un’opportunità di approfondimento del patrimonio artistico. Ciò è possibile grazie all’intervento dei privati come le cooperative dei giovani».

Il futuro del Fai? «Procederemo ad una visione territoriale delle competenze sempre più capillare. La mole di lavoro diventa sempre più grande ed è difficile gestirla da lontano».

Ci parli di questo progetto. «Quando siamo arrivati al Castello di Masino, da buoni milanesi, ci siamo posti in maniera supponente ed arrogante con gli abitanti del territorio. Non abbiamo mai interpretato il Sindaco di Cara-

Quindi, lei crede all’azione dei privati? «Assolutamente. Anzi, credo sia necessario laddove l’azione statale è carente, se non addirittura totalmente inadeguato. Noi nasciamo come fondazione privata, in fin dei conti».

Come verrà festeggiato il compleanno? «Non verrà festeggiato. Abbiamo tante cose da fare, prioritarie. Festeggeremo i cinquanta. Poi, potrò andare in pensione». ■

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Non è un rischio in zone “delicate”, e mi riferisco ad aree con una forte presenza della criminalità organizzata? «Non è un rischio e si tiene presente fin dall’inizio con chi si ha a che fare. Bisogna essere attenti ai propri interlocutori, che siano al Nord o al Sud, senza pregiudizi geografici. Ovvio che in Sicilia è più difficile, ma il Giardino di Kolymberta, nella Valle dei Templi, funziona benissimo. Quindi sono ottimista».

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ATTUALITÀ

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ITALIA

Compro Oro: il boom è finito?

Negli ultimi tre anni il prezzo del metallo prezioso è crollato: per affrontare la crisi anche le gioiellerie si sono adattate DI LORENZO GROSSI M@Gliago89

primi Compro Oro nascono in Italia a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. L’unico provvedimento in materia è la Legge 17 Gennaio 2000, n.7 relativo alla Nuova disciplina del mercato dell’oro. Negli anni tra il 2012 ed il 2013, i Compro Oro hanno raggiunto il loro picco con oltre 35 mila operatori presenti in tutta la Penisola. Questo numero è stato certamente condizionato dalla profonda crisi economica: le persone, per potere racimolare qualche soldo in più, ci andavano per potere vendere il proprio oro usato. I Compro Oro sono formalmente attività private commerciali. Non servono permessi specifici per aprirne uno, tranne la fedina penale pulita ed una licenza della questura. Per evitare riciclaggio e ricettazione, le regole del settore sono precise: il Compro Oro deve chiedere e fotocopiare il documento d’identità di chi vende l’oro, compilare un modulo d’acquisto di lecita provenienza e il registro di pubblica sicurezza, vidimato dalla questura, in cui indicare acquisti ricevuti abbinandoli agli estremi del documento d’identità, e trattenere la merce per dieci giorni prima di rivenderla in una fonderia o a un centro orafo. L’oro usato può essere pagato in contanti fino ad una somma massima di mille euro. Una volta pas-

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sato questo periodo, il proprietario del Compro Oro può andare ad una fonderia per rivendere il metallo, il quale viene trasformato in lingotti d’oro dai quali poi si ricavano due piccoli campioncini che servono a testare quale sia la purezza dell’oro. Il valore finale effettivo del materiale dipenderà poi dal fixing, ovvero dalla quotazione dell’oro in quel momento. Non sempre però tutti questi meccanismi si svolgono in maniera regolare: la guardia di finanza ha accertato che il 20% degli esercizi di compro oreficeria fosse nelle mani della criminalità organizzata. Il rischio di ricettazione ed evasione fiscale, poi,

i compro oro hanno regole precise per evitare riciclaggio e ricettazione ma la guardia di finanza rilevò che il 20% fosse nelle mani delle mafie è sempre dietro l’angolo: spesso capita che siano gli stessi titolari degli esercizi ad intestarsi direttamente la proprietà dell’oro usato. Senza il documento che certifichi la provenienza, la rivendita dell’oro alla fonderia avviene tutta in nero. Secondo alcuni dati, il numero dei Compro Oro italiani è calato vertiginosamente: dai 35mila quali erano sono arrivati a quota 22mila, con un giro d’affari che è passato da 12 a 5 miliardi di euro. La causa è da ricercarsi nel fatto che, quando la bolla

speculativa è esplosa in borsa, il prezzo dell’oro è precipitato vertiginosamente: se fino a un anno fa l’oro puro si vendeva a 34 euro al grammo, adesso è quotato attorno ai 30. Così i compro oro presenti oggi in Italia hanno registrato un crollo del 140% del giro di affari. Lo scenario ha determinato anche la crisi delle tradizionali gioiellerie che sono state costrette a esporre in vetrina bigiotteria e acciaio. Il mercato risultava così "dopato": le gioiellerie non vendevano, le fabbriche non producevano e le miniere estrattive ne risentivano. Tutta la filiera stava per collassare ed un ritorno del valore dell'oro a livelli più bassi è stato indispensabile per evitare il crollo dell’intero comparto. La situazione attuale è che le gioiellerie hanno dovuto esercitare anche loro l’attività di compro oreficeria usata, nell’attesa dell’approvazione del disegno di legge n.237, volto alla regolamentazione dell’intero comparto dell’oro e chiesto a gran voce da molte associazioni di categoria. Al Banco dei Pegni, invece, si può ottenere un prestito di denaro lasciando a titolo di garanzia un oggetto di valore (in genere oro o argento) il quale viene valutato attentamente da un esperto in materia. Il Banco dei Pegni eroga poi un valore corrispondente ai due terzi del valore reale dell’oggetto. Se il cliente ritiene soddisfacente l’importo, gli viene rilasciata una quietanza che funge da polizza assicurativa dell’oggetto pignorato e che prevede un tasso di interesse che può

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INTERVISTA

Ragno, presidente di Antico: "Regole più severe per il settore" DI LORENZO GROSSI M@Gliago89

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mila Compro Oro in tutta Italia

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oscillare tra il dodici e il quindici per cento. L’erogazione del prestito può durare da tre a sei mesi ed è rinnovabile in caso di mancanza di liquidità per riscattarlo. In Italia, le banche che praticano tale forma di credito sono circa 40 e sono tutte soggette al controllo della Banca d’Italia. A Milano ce ne sono due: quello di Ubi Banca in viale Certosa e quello di UniCredit in via Padova. Quando si impegna il proprio oro al Banco dei Pegni, quello che si ottiene è un vero e proprio prestito con gli interessi.

il banco dei pegni concede prestiti in cambio di oggetti di valore. se la polizza scade, il bene va all'asta Allo scadere della polizza, se non viene riconsegnato tutto quello che è stato prestato (interessi inclusi), il bene viene trattenuto e venduto all’asta, molto spesso ad un prezzo superiore. L’importo eventualmente in eccesso, per legge, è di colui che ha dato in prestito il proprio bene e può venirlo a ritirare entro i successivi cinque anni. ■

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euro Il valore al grammo dell'oro

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per cento Compro Oro chiusi in tre anni

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i Banchi dei Pegni presenti in Italia

ntervista a Nunzio Ragno, commercialista e tributarista, da 4 anni presidente di ANTICO, Associazione Nazionale “Tutela il Comparto dell’Oro”. Dottor Ragno, i compro oro sono veramente in crisi? «Sicuramente c’è stato un calo del numero dei negozi. Il motivo è questo: a marzo 2013 la quotazione dell’oro ha raggiunto il massimo dei picchi degli ultimi 20 anni. L’oro è stato valutato dalla borsa di Londra a 34 euro al grammo. Dopo di che è cominciata la discesa e in otto mesi la quotazione è arrivata a 30 euro al grammo di oro fino. Da un anno a questa parte, per varie concause, gli italiani meno abbienti hanno venduto quasi tutto l’oro tenuto nei cassetti. Questo ha influito sulla diminuzione dei grossi Compro Oro che nell’ultimo anno si attesta intorno al 30-40%». Adesso com’è la situazione? «Non è vero che i Compro Oro siano finiti. Negli ultimi quattro mesi non si stanno registrando ulteriori chiusure, perché il mercato si è rialzato a livello di quotazioni, quindi c’è una maggiore propensione alla vendita degli oggetti da parte di chi ancora li detiene. Il 30% dei proprietari dei Compro Oro era approdato in questo settore solo per fare dei facili profitti. Il mercato si è depurato di questi soggetti ed ecco perché resiste questo zoccolo duro di persone un po’ più professionali». Come si sono comportate le gioiellerie tradizionali? «Il gioielliere, che fino a tre anni fa vedeva di malocchio il Compro Oro, oggi si è messo anche lui a esercitare l’attività di compro oreficeria usata, perché adesso ha delle difficoltà. L’italiano ora non si vergogna più di vendere un oggetto usato o di darlo in permuta per prenderne uno nuovo in termini di tendenza».

Quando sono nati i Compro Oro? «Qualcuno a fine anni ’90 e poi nel 2000 si è preso un po’ più di coscienza di questa operatività ed è iniziata tutta la campagna fino a raggiungere in anni recenti, ma non c’è nessuna legge che li regolamenti». Cosa succede dopo la vendita dell’oggetto usato da parte di un qualsiasi cliente? «L’oro viene consegnato a un altro soggetto che ha altre competenze e strutture aziendali diverse. Vengono assoggettati ad una prima fusione da dove poi si ricava il materiale d’oro che viene ulteriormente trasformato e dai quali si ricavano i lingotti». Le organizzazioni criminali quanto hanno inciso su questi esercizi? «La Guardia di Finanza ha registrato che il 20% dei Compro Oro fosse nelle loro mani. Del resto la delinquenza annida dove ci sono interessi economici. Poi però le forze dell’ordine hanno bloccato il proliferare delle mafie». Un operatore come deve comportarsi per gestire un Compro Oro in maniera onesta? «Attraverso il rispetto del nostro codice deontologico, viene garantita una certa correttezza durante l’operatività sia per il cittadino sia per la transazione: fare una fotografia degli oggetti, rilasciare l’atto di vendita, esporre i prezzi a vista sull’offerta d’acquisto». Qualche consiglio invece per i clienti? «Informarsi sulla quotazione attuale dell’oro, fidarsi solo dei Compro Oro che vi chiedono subito la carta d’identità, non uscire mai da un Compro Oro senza una ricevuta, evitare i Compro Oro che collocano un numero troppo intenso di scritte ed adesivi sulle vetrine che spesso sono pubblicità ingannevole». ■

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ATTUALITÀ MILANO

"La musica live ha perso il futuro" Parla il patron di Scimmie, storico locale dei Navigli "Chiudo dopo 34 anni per colpa dei talent e di Spotify" DI AZZURRA DIGIOVANNI M@azzurradigio

rano gli inizi degli Anni 80. Il cantante di un gruppo che suonava per noi da sei mesi, un ragazzino con i sopracciglioni e i pantaloni corti, venne a chiedere un aumento dell’ingaggio da 30.000 £ a 50.000£. Come gestore del locale cosa potevo fare? Gli dissi di no. Avevano talento, ma dovevo star dietro ai conti. Lui, fermo sulle sue convinzioni, mi disse che senza aumento non sarebbero più venuti. Gli risposi che se non volevano più suonare alle Scimmie, erano liberi di non farlo. Non li rividi più». Il ragazzino con i sopracciglioni era Elio, di Elio e le Storie Tese, mentre l’arcigno gestore era Sergio Israel, ex dirigente Montedison, vecchio esponente di Lotta Continua e “pioniere” dei navigli. Ora 73enne. Nell ’81, con Quinto Fabio Cataldo, Dino Calafiori e Walter Raffagli, dalle macerie di altri due locali, il Macondo e il Babilonia, trasformarono quattro mura di via Ascanio Sforza 49, in uno dei più frequentati posti dalla Milano da Bere. Le Scimmie, nome preso dalla massima di Nietzsche “Una volta eravate scimmie, anche adesso l’uomo è più scimmia di tutte le scimmie”, è stata la prima location, con annesso barcone sul Naviglio Pavese, a proporre la formula ristorante, birreria, pub notturno con musica dal vivo. Artisti come Fabrizio De Andrè, Eugenio Finardi, Pat Metheny, Laurie Anderson, sono saliti su quel piccolo, ma importante palcoscenico. Oggi, dopo trentaquattro anni, delle Scimmie sono rimaste solo le inconfondibili pareti nere. Anche l’insegna al neon è stata tolta. E la magia di quel posto, che per tanti anni ha creato una dipendenza nei suoi frequentato-

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ri, sembra essere svanita. Per sempre. Sergio Israel, perché ha deciso di chiudere? «La chiusura delle Scimmie è il segno dello spreco di risorse che la politica delle amministrazioni sta facendo ai danni dell’Italia. Le attività culturali sono sottoposte alle stesse leggi di mercato e alla stessa burocrazia di altri esercizi. Mi riferisco anche a situazioni analoghe, come quella macroscopica di Pompei. La cultura dovrebbe essere la nostra risorsa principale: ha una valenza economica. Invece è considerata un sottoprodotto».

"GLI ANNI D'ORO SONO STATI DAL 1981 AL 1990. UNA VOLTA ABBIAMO PORTATO IL CONTO A JACO PASTORIUS CHE PER PROTESTA SI è DENUDATO" Quindi la sua scelta è un atto di protesta o una mossa di marketing? «È stato un contrappasso. Fino al 2003 abbiamo registrato un segno più sui registri dei conti, sempre al di sopra delle mode. Ero pimpante, spavaldo nel sentenziare che le attività si potevano autofinanziare. All’epoca ripetevo il nostro motto “La musica si prende e non si paga”». Quando l’aria ha iniziato a cambiare? «Gli anni d’oro delle Scimmie sono stati dall’81 al ‘90. I primi accenni di crisi abbiamo iniziato a sentirli con Mani Pulite, che ha tagliato fuori il sostegno dei socialisti. La Milano da Bere di quegli anni

era costituita anche dai locali e le Scimmie erano un simbolo». Cosa non funziona più? «È arrivata la rivoluzione tecnologica. La musica vive la stessa crisi delle relazioni umane. Come le amicizie sono virtuali, il live è soppiantato da Spotify. Mio figlio è abituato a concepire la musica attraverso la tecnologia. Scarica i Muse dal telefonino: non sente della musica, ma una riproduzione terribile, meccanica. Il live è un’altra cosa». Il live è in crisi? «In profonda crisi. Anche se sono sicuro che tornerà. Le persone, non ascoltando più la vera musica ne sentiranno la mancanza. Poi voglio vedere il bicchiere mezzo pieno». Le Scimmie sono state il trampolino di lancio di artisti come Elio e le Storie Tese, i Bluvertigo, Le Vibrazioni, Irene Grandi. Ora i giovani artisti preferiscono i talent show invece che farsi strada nei locali. «Il musicista di oggi ha un orizzonte più limitato. Tutto passa attraverso una ridondanza comunicativa e, tra l’essere e l’apparire, prevale l’apparire. L’artista viene sfruttato per la sua capacità di andare in tv, fino a quando la sua popolarità non si esaurisce. Non viene più riconosciuto per la sua creatività». Questo ha portato un cambiamento qualitativo nella vostra proposta culturale? «Lo sostengono i nostri denigratori. Ma noi abbiamo sempre proposto gruppi differenti. La Milano da Bere ha lasciato alle masse il desiderio di cimentarsi nella musica. Ora che nessuno ascolta i live non c’è

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Sergio proprie music c


CI HANNO SUONATO

elio e le storie tese

Il barcone di "Scimmie": sui Navigli, location di tanti video musicali

le vibrazioni

Sergio Israel, 73 anni, proprietario del music club "Scimmie"

una preselezione. Chi può dire che un gruppo emergente diventerà famoso? Lo devi scoprire. Se avevo tre gruppi, potevo pensare: Elio è bravo, se vuole può suonare insieme a Piero Cassini, pianista dell’epoca. Devo dargli l’opportunità. Se non avessimo fatto suonare Elio, non lo avremmo scoperto». La formula ristorante con musica dal vivo è ormai “scaduta”? «Il vero problema è internet. Prima c’era curiosità intellettuale: in platea, davanti a un monologo di Mario Mieli, poteva esserci il Ministro francese della cultura Jack Lang, Cesare Romiti, il ragazzino del quartiere Baggio che lo ascoltava per la prima volta. Si andava alle Scimmie perché qualunque personaggio ci fosse, da Elio a Jannacci, il locale era sempre pieno. La gente superava il disagio dello spazio, era disposta a stare gomito a gomito. Oggi, prima vogliono sapere cosa c’è e poi vengono». C’è un erede delle Scimmie? «Non saprei. Molti stanno imitando quella formula, come i centri sociali. Io, in attesa di una nuova location, sto cercando di riproporre, nel locale “Viaggi nel caffè letterario”, la prima programmazione delle Scimmie: quella jazz». I milanesi avrebbero potuto evitare la chiusura? «Loro hanno già fatto tanto continuando a frequentarlo. Quando abbiamo chiuso le Scimmie era ancora strapieno: di sabato il locale era come negli anni d’oro, ma incassavamo un terzo, perché la gente non aveva soldi. Prima potevo dire: “Guarda Ciccio che qui ci sono gli artisti, tu qui consumi. Non paghi il biglietto, ma una maggiorazione sulla prima consu-

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mazione sì”. Ora era diventata una polemica anche sul prezzo». Nonostante il locale fosse pieno nei festivi, avete chiuso in perdita? «Si, sono dieci anni che sono in perdita. Non ho accantonato i profitti perché ho speso tutto per l’azienda e la cultura. Nonostante le maldicenze, la bassa concorrenza di certi colleghi che hanno creato pubblicità negativa. Che non fa poi così male: oggi il turista legge TripAdvisor, e quei siti sono pieni di commenti negativi…». Il vostro slogan “La musica si prende non si paga” non è più realistico? «Aveva i piedi d’argilla, era figlio del ’68. Quando è stato evidente che il costo dei musicisti non rientrava più nelle spese, sono passato alla percentuale. Facevo i cocktail più cattivi di altri? No, perché un cocktail costava 10 euro! Era solo una maldicenza, che traduceva quei nostri vecchi slogan. Dovevamo dare la musica e non rompere le cosiddette». Perché non avete ridotto i prezzi? «Forse questo è stato un mio errore, ma non me ne intendo di margini di contribuzione. Guadagnare meno su una cosa per poterne fare tante non è nelle mie corde. Per accontentarti dovevo fare un supermercato? Forse pecco d’orgoglio. Quando abbiamo portato il conto a Jaco Pastorius, lui è andato in escandescenze, è uscito dal locale sbraitando per poi denudarsi. Ci sentivamo invincibili… »

irene grandi

morgan

Si comporterebbe ancora così? «Oggi sarei io a dirgli “Quanto ti devo dare?”». ■

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SPORT RUBGY

DI SALVATORE DRAGO M@sasadragao

uello che prima non c’era, ora CE! È questo il motto delle Tacco 13, la squadra di rugby femminile di Cernusco sul Naviglio (il CE sta per le prime due lettere di Cernusco), composta da signore over 35. Per il paese sulle rive della Martesana il rugby significa molto, come testimoniato dalla storia dell’Associazione Sportiva Rugby Cernusco, nata nel 1979 e consolidatasi col passare degli anni, fino a diventare una delle più importanti società nel panorama della palla ovale a livello regionale e nazionale. Attualmente si contano circa 450 tesserati tra Prima squadra e Giovanili. Ma non solo. Ci sono anche i Coyotes, la squadra old maschile, e appunto le Tacco 13, un gruppo di 20 signore di età compresa tra i 34 e i 52 anni, la maggior parte delle quali compagne o mogli dei giocatori del Rugby Cernusco, oppure mamme dei bambini che giocano nelle Giovanili, dalle categorie under 6 a quelle under 12. Nella loro normalità le signore del Tacco 13 rappresentano una straordinaria realtà, la prima in Lombardia e tra le poche in Italia. Il nome, Tacco 13, è stato scelto per rappresentare il legame tra il mondo della palla ovale e le donne: dal tacco 12 ai 13 tacchetti delle scarpe da rugby il passo è breve. Tutto nasce nel marzo del 2014, quando da un’idea di Enza Abramonte, capitano della squadra, madre di due bimbi che giocano tra i piccoli e moglie di un rugbista che fa parte dei Coyotes, parte un passaparola che coinvolge altre mamme e sfocia nella realizzazione di un progetto difficile ma non impossibile: mettere in piedi un gruppo abbastanza consistente per formare una squadra e convincere la società a sostenere e approvare il tutto. «Io e tante altre mamme, abituate a seguire i nostri figli

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A Cernusco sul Naviglio sono le mamme a fa

Rugby tacco

Il festival degli amatori della palla ovale

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LA FATICA

LA MISCHIA

al 4 al 7 giugno 2015 a Cernusco sul Naviglio si è tenuto il Milano Rugby Festival. La kermesse, giunta alla sua dodicesima edizione, è ormai da qualche anno uno degli eventi più importanti a livello europeo per quanto riguarda il mondo della palla ovale. Il Festival, come di consueto, è stato organizzato dalla società del Rugby Cernusco che nel suo centro sportivo di via Buonarroti ha ospitato 700 atleti, 48 squadre (seniores, donne e veterans, 16 femminili e 32 maschili) provenienti da tutta Italia e tutta Europa per un totale di 200 partite suddivise in quattro giorni. Nella giornata di giovedì 4 giugno c'è stato un torneo di touch rugby per beneficienza dal nome “#unbacinoperahmed”, dedicata ad Ahmed Barkhia, ragazzo che da otto anni sta lottando contro l’osteonecrosi, una patologia che ha immobilizzato il tessuto osseo del suo bacino. L’obiettivo prefissato era quello di raccogliere i fondi necessari per aiutare Ahmed a sostenere il costo di un’operazione chirurgica in Belgio. Venerdì 5 e sabato 6 si sono giocate le partite utili per stabilire il tabellone dai quarti di finale fino alle finali di domenica 7. Il Festival sarà anche un’occasione per trovarsi tutti insieme (40.000 persone attese) e trascorrere delle serate al ritmo di buona musica, cibo e birra (25.000 litri) come da tradizione rugbistica. ■

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dalla tribuna, volevamo provare cosa voleva dire stare dall’altro lato e cioè in campo. Abbiamo deciso così di avviare una raccolta firme e abbiamo visto che c’è stata una risposta importante a livello numerico, tanto che la società ha approvato l’idea e abbiamo potuto formare la squadra», racconta Enza. Un’idea quindi nata un po’ per caso e per gioco, ma che ha preso sempre più piede e convinzione quando un lunedì sera di marzo, sotto la pioggia battente, ci si ritrova al campo di via Buonarroti per il primo allenamento sotto le direttive dei due coach, Rosario Biunno e Federico Riccardi Sirtori. «Mi è piaciuta fin da subito l’idea di soste-

me a fare meta

co 13 LA PARTITA

"Volevamo provare cosa vuol dire stare in campo. Con una raccolta di firme abbiamo convinto la società a darci via libera" nere questo progetto perché si ha l’opportunità di coinvolgere le ragazze e spiegare qual è lo spirito di questo sport», afferma Riccardo, detto Lolli. Il tecnico si trova a suo agio nel ruolo di guida e sottolinea le motivazioni che hanno spinto le signore del Tacco 13 a cimentarsi in quest’esperienza: «Sono tutte molto attive all’interno della società, ricoprono vari ruoli, dall’accompagnatore alla segreteria. Hanno voluto fare un cambio, provare in prima persona cosa vuol dire entrare in un campo da rugby, mettersi in gioco e provare a giocare». All’inizio si è dovuto puntare molto sull’introduzione al rugby, visto che nessuna di loro aveva mai praticato lo sport della palla ovale. «Abbiamo fatto un lavoro di costruzione partendo dai fondamentali, dalle regole, da come stare in campo. I ruoli li abbiamo decisi soltanto due mesi fa, poco prima della partita di Cogoleto, in base alle caratteristiche fisiche e alle attitudini di gioco di ognuna di

E per le donne è boom grazie alla Nazionale

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loro» spiega ancora Riccardo. L’8 marzo 2015, non a caso la festa della donna, si è giocato infatti il “Mamma sei forte!”, prima storica edizione di un torneo dedicato al rugby femminile over 35. Le Tacco 13 hanno fatto visita in Liguria alle mamme del Cogoleto Rugby. La partita si è suddivisa in due tempi da 20 e 25 minuti ciascuno ed è stato il primo vero banco di prova in un match 15 contro 15 per le signore di Cernusco, visto che prima di allora avevano soltanto giocato a sette a Touch rugby a Monza, variante della disciplina che prevede dimensioni ridotte del campo e una palla più gommata rispetto a quella ordinaria. Nel 3-0 finale in favore di Cogoleto, il 15 di Cernusco ha messo in campo grinta e determinazione, dimostrando di giocare da vera squadra. Ci si chiede se, come in quello maschile, ci siano situazioni di contatto e la risposta è affermativa con una variante: si fanno i placcaggi e le mischie, ma quest'ultime senza spinte. «È stata un’esperienza bellissima, stiamo già organizzando di fare la partita di ritorno in futuro, quando le mamme di Cogoleto ci faranno visita a Cernusco», commenta il capitano Enza. Entusiasmo e voglia di allenarsi e giocare non mancano, unico problema per le mamme di Cernusco è trovare delle squadre da affrontare, come sottolinea Enza: «A noi piacerebbe tanto giocare con più regolarità, ma al momento è difficile trovare altre realtà come la nostra. Il sogno è quello di creare un campionato in cui si possano affrontare più squadre». Attualmente una competizione del genere è ancora poco ipotizzabile, visto che anche a livello della old maschile non esiste ancora nulla di federale. Anche all’esterno le attività delle Tacco 13 stanno riscuotendo parecchio successo, sebbene un po’ di scetticismo iniziale: «La gente all’inizio era un po’ perplessa circa quest’iniziativa, perché si temeva venisse qualcosa di finto, e invece tutte si sono impegnate molto e hanno dimostrato di affrontare quest’avventura con serietà e dedizione», commenta l’allenatore Riccardo. ■

l rugby femminile è considerato sempre più un movimento in crescita in Italia. Sono, infatti, oltre 7.000 le atlete tesserate (dieci anni fa erano poco più di mille) presso la Federazione Italiana Rugby (FIR) e sono tre i campionati ufficiali organizzati: Serie A, Campionato Juniores Under 16 e Coppa Italia. Attualmente sulla penisola italiana ci sono 14 squadre professionistiche di rugby a 15 e 92 di rugby a 7. La nascita dei primi gruppi di donne che praticano lo sport della palla ovale risale al 1978 a Milano, Roma, Treviso e Benevento; il primo campionato nazionale al 1985; il riconoscimento ufficiale della Nazionale Italiana di Rugby Femminile da parte della FIR al 1991. Dietro a questa espansione ci sono sicuramente i recenti risultati ottenuti dalla nazionale. All’ultimo Sei Nazioni, il più importante torneo internazionale di rugby, disputato a marzo 2015, la squadra allenata dal coach Andrea Di Giandomenico è riuscita nella straordinaria impresa di qualificarsi al terzo posto vincendo tre gare su cinque contro avversari prestigiosi del calibro di Scozia, Francia e Galles, dove il rugby è considerato uno degli sport nazionali per eccellenza. Nel palmarès della nazionale femminile si possono contare anche tre titoli europei (2002, 2005, 2006). Attualmente l’Italdonne della palla ovale occupa l’ottava posizione nel ranking dell’International Rugby Board. ■

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news

"Il Campus è completo" La relazione del rettore Giovanni Puglisi per l'inaugurazione dell'anno accademico 2014-2015 l 13 aprile l’Università Iulm ha aperto l’anno accademico 2014-2015 inaugurando il nuovo complesso della Iulm 6, progettato dagli architetti Peluffo e Femia dello studio 5+1AA. La cerimonia si è tenuta nel nuovo grande Auditorium da 600 posti. Nella struttura, che ospita aule e laboratori della Scuola Politecnica di design, ci sono anche la sede del Master in giornalismo Iulm, un secondo Auditorium (la Sala dei 146) una Contemporary Exibition Hall per mostre e installazioni artistiche, la nuova mensa da mille posti, uno smart-bar e, all’ottavo e nono piano della torre arancione, lo “University club Iulm – spazio Frau”, una lounge e un ristorante per i docenti, il personale Iulm e gli ospiti dell’ateneo. Ecco la sintesi della relazione tenuta dal magnifico rettore professor Giovanni Puglisi.

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Innanzitutto mi sia consentito rivolgere un saluto al nuovo Presidente della Repubblica italiana, il prof. Sergio Mattarella, Uomo integerrimo, studioso e professore universitario di lungo corso, siciliano d’antan, ma anche primo siciliano nella storia repubblicana a rivestire la massima carica della nostra Repubblica, amico affettuoso di una vita. La sua storia personale e professionale è un esempio di rigore morale, onestà intellettuale e serietà politica, iniziata per caso sulla scia di una grande tragedia che ha segnato la sua vita e la nostra storia. Al Presidente Mattarella va il rispetto e l’affetto di tutta la Comunità accademica dell’Università IULM, pronta ad accoglierlo a braccia aperte. Il Campus è dunque completo, ma non è terminata la nostra attività di sviluppo e sostenibilità della vita universitaria per docenti e studenti: crediamo profondamente che stare in un’Università non sia solo un’azione fisica e didattico-scientifica, ma anche un modo di vivere e di operare. Abbiamo raggiunto certamente un obiettivo, unico a Milano e in Lombardia, e azzarderei in Italia: ma non basta!

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ASSET CONSOLIDATI I nostri asset scientifico-accademici sono ormai un place consolidato e riconosciuto in Italia e all’estero: dall’interpretariato – la nostra vocazione originaria, nata con la sua Fondatrice, la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori, alle relazioni pubbliche e al marketing, dai nuovi media al cinema, dalla moda ai social media, dall’arte al design, dal turismo alle relazioni internazionali e agli studi culturali, dal complesso mondo delle interazioni interpersonali a quello non certo più semplice del brand e delle sue declinazioni, comprese quelle digitali. I nostri partners istituzionali, che ancora ringrazio, hanno raggiunto un livello di partecipazione e coinvolgimento nelle nostre attività molto alto, mi riferisco alla Triennale di Milano, con la quale cogestiamo la Laurea Magistrale di Arti, patrimoni e mercati, l’ISPI, con il quale cogestiamo la Laurea Magistrale di Studi culturali e relazioni internazionali, e quest’anno la Biennale Arte di Venezia, diretta dal nostro prof. Vincenzo Trione. Anche questo plesso, che oggi abbiamo appena inaugurato, nella sua declinazione urbanistico-architettonica sembra rispecchiare, anzi – direi – è icona di questa modularità scientifica, integrata e autonoma insieme, seppure per segmenti interrelati. Come le nostre laureate e i nostri laureati – un grazie sentito alla nostra Associazione laureati ALIULM, qui presente con il suo Presidente –, anche le nostre allieve e i nostri allievi, il corpo docente vivono e riconoscono questa identità e ne hanno già saputo fare, nel corso dei decenni – in particolare in questi anni più recenti – la loro ragione di essere e di stare in IULM. Abbiamo vissuto, anzi siamo stati protagonisti di una vera trasformazione, direi genetica, da IULM a Università IULM sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole di Milano e del nostro Paese: non è stata solo una mutazione lessicale, ma un cambio di pelle e di cultura e l’adozione della denominazione inglese del nostro nome IULM, International University of Langagues and Media, è il sigillo: ne siamo particolarmente orgogliosi e la crescente do-

manda di approdare nella nostra Università di docenti e studenti, è una costante conferma di tutto ciò. Abbiamo voluto dare al nostro personale ragioni e motivazioni alte e soddisfacenti, rendendoli responsabili dei loro percorsi e delle loro performance, ma dando loro anche la certezza non solo del posto di lavoro, ma della soddisfazione professionale sul loro posto di lavoro. Questo ha riguardato anche la fascia alta del personale amministrativo, i quadri e i dirigenti, dove abbiamo dato risposte di qualità ai bisogni emergenti, a partire dalla nomina di un nuovo Direttore Amministrativo, al quale rivolgo un cordiale augurio di buon lavoro, come pure all’infaticabile Direttore (Direttora?) Esecutivo, congiuntamente ad un sentito ringraziamento all’ex Direttore Amministrativo, oggi Emerito, che continua con noi il suo lavoro e il suo impegno. Il consenso alla nostra offerta formativa nell’anno accademico che andiamo ad inaugurare è stato più che soddisfacente, vorrei dire alto, quasi altissimo. Abbiamo migliorato il nostro successo sia sui primi livelli, le lauree triennali, sia sui secondi, le lauree magistrali. Ma abbiamo avuto eccezionali riscontri anche nei Master, universitari e non, erogati dalla nostra Scuola di Comunicazione, che ringrazio – attraverso il suo Direttore, il dottor Salvatore Carrubba – per la dedizione e l’impegno che mette nella qualità e nel costante monitoraggio dei singoli prodotti erogati. Se la nostra realtà è complessivamente soddisfacente, la situazione che ci circonda – tanto a livello di Paese, quanto a livello di sistema universitario statale e non statale – è, a dir poco, scoraggiante e poco concludente. LA NICCHIA DEGLI ATENEI NON STATALI Le università non statali in particolare sono state relegate in una nicchia di marginalità. Con tutta sincerità non temiamo né la competizione, né la concorrenza, ma ciò che appare intollerabile è da un lato il continuo barare da parte della mano pubblica, sia essa direttamente lo Stato, siano esse le consorelle università statali, palesemente sostenute con continui “aiuti di Stato” , an-

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corché forse davvero insufficienti, dall’altro l’indifferenza che lascia nei responsabili della politica a tutti i livelli, nazionale e territoriale, ogni azione o attività che svolgono le università non statali, blasonate o non che siano. Potrei portare esempi concreti e vicini di quanto affermo, ma oggi è un giorno di festa e non voglio né tediare il gentile pubblico, né aprire ferite per me ancora brucianti. Non chiedo aiuti di Stato al sistema, sia bene inteso! Abbiamo fatto da soli e siamo pronti a fare ancora la nostra parte. Quello che vedete intorno a Voi, qui e fuori, è frutto delle nostre fatiche, delle nostre economie di gestione e dell’aiuto solo di altri privati, le Fondazioni di origine bancaria, che hanno supportato con un fondo immobiliare chiuso, l’investimento– del quale ricordo la nostra Università è il maggiore quotista – per venti anni. Chiedo solo l’innalzamento del livello di attenzione e di sostegno al diritto allo studio dei nostri ragazzi. Milano è la Città universitaria più forte e più qualificata del nostro Paese: voglio dirlo, gridarlo con orgoglio e soddisfazione. Il merito di questo è di tutti, dico di tutti gli Atenei milanesi, statali e non statali. Di questa rete, comunque, la parte non statale è quella che, autosostenendosi, offre anche un esempio di best practices, che nessuno, dico nessuno, ama riconoscere: Università? si dice, sì, ma privata! In questi casi mi sembra di stare in un paese di marziani. L’OCCASIONE DI EXPO Nessun’altra città italiana, dico nessuna, ha avuto l’intelligenza e la cultura d’impresa di allevare nel suo seno ben cinque Atenei non statali, come è accaduto a Milano. Del resto nessun’altra città, alla pari di Milano, ha fatto, nel corso del Novecento fino ai giorni nostri, della cultura d’impresa, privata e pubblica, il suo asset costitutivo e fondante. Come tutte le Università milanesi, signor Ministro, carissimo Maurizio, anche questa Università ha collaborato intensamente nel progetto condiviso di dare all’EXPO un’anima popolare e di massa. Lo abbiamo fatto con azione di vertice, partecipando al Comitato Scientifico dell’EXPO e lo abbiamo fatto attraverso azioni territorialmente diffuse, dalla Lombardia alla Sicilia. Siamo uno dei pochi, pochissimi Atenei italiani selezionati dalla CRUI per presentare un progetto culturale nel Padiglione Italia. Il nostro progetto, realizzato insieme all’Università di Bologna, mira a ricostruire in 3D Piazze, palazzi del potere e mercati del cibo nell’Italia di Dante (Milano, Bologna, Firenze, Verona, Pisa), peraltro nell’anno del 750° anniversario della nascita del grande Poeta italiano. Il nostro coinvolgimento è però ancora più strategico: abbiamo soprattutto sviluppato i contenuti di un cluster. Più nello specifico il Cluster Isole, Mare e Cibo. Un cluster dedicato alla specificità della produzione e del consumo alimentare in una particolare area del mondo, quella delle piccole Isole Stato della fascia tropicale. Parafrasando un passo di un poema di John Donne “No island is an island”, “nessuna isola è un’isola”, nel senso che nessuna isola è realmente isolata, o una realtà a sé stante, senza interdipendenze e interconnessioni con il mondo circostante. Le Isole sono interconnesse tra loro e soprattutto con il resto del mondo. Come scriveva Alexander Pope (1688-1744) “Il mare unisce i paesi che separa”. La specificità delle competenze degli studenti IULM (conoscenze delle lingue, abilità nel marketing e nelle relazioni pubbliche, e nella comunicazione del Food and Wine grazie ai master) ha dato vita a diversi accordi di collaborazione con alcuni Cluster e Padiglioni per la realizzazione di stage dei nostri studenti durante i sei mesi. Tra questi il Padiglione Olanda, il Padiglione Belgio e il Cluster Biomediterraneo. Sono stati già coinvolti circa 50 studenti IULM provenienti da diverse regioni italiane. Infine, anche la IULM, come tutte le altre università milanesi, partecipa al progetto del Padiglione Europa. L’esperienza consolidata nel campo della comunicazione e marketing del food and wine e le numerose ricerche nel campo della comunicazione agroalimentare ha dato vita ad accordi con partner di altissimo valore istituzionale e aziendale. Tra questi un accordo con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, MIPAAF: il Ministero e l’Università IULM, stanno avviando un rapporto di collaborazione sul tema della “Comunicazione dell’Agroalimentare e per ’Agroalimentare italiano” a livello locale, nazionale e internazionale. Quest’anno si conclude il mio mandato rettorale: sono felice e onorato di completarlo, affidando a tutti Voi, alle nostre allieve e ai nostri allievi, alla Città di Milano questa opera, che chiude il cerchio magico di questo Campus, segno del tempo, ma anche cifra della cultura: una cultura che rispecchia l’uomo nella sua storia, ma insieme segna il cammino del suo futuro. Un futuro che, comunque vadano gli eventi degli anni immediatamente a venire, affido con orgoglio e commozione ai più giovani dei miei Colleghi, sicuro che ne saranno all’altezza. Del resto l’anagrafe, inesorabile testimone del tempo matematico, quest’anno segna anche la conclusione della mia vita attiva di professore universitario: sono passati quarantasette anni effettivi di attività didattica e quaranta di Ordinariato, troppi, certamente starà pensando qualcuno di Voi, per chiunque, anche per uno “resistente” come me! Posso assicurare che non mi hanno mai pesato per un attimo, anzi sarei pronto a ricominciare. Da tutti, soprattutto dai miei Allievi e dai miei Assistenti, comunque ho imparato molto, in particolare il piacere dell’insegnamento e l’umiltà dell’apprendimento, binomio inscindibile per un vero docente universitario “senza tempo”. Da tutti, anzi da ognuno ho imparato il rispetto per l’Altro. Come dice Papa Francesco, “chi sono io per giudicare un altro?”: è vero, verissimo, però io so che posso, anzi debbo giudicare me stesso. E con me stesso – posso assicurarlo – sono sempre stato e sono impietoso, ma proprio per questo so di potere dire, chiaro e forte, che mi allontano dalla mia Cattedra con animo colmo di soddisfazioni e di serenità: la soddisfazione per ciò che ho insegnato, insieme a ciò che ho imparato, per ciò che ho fatto per le mie ragazze e i miei ragazzi, e la serenità della mia coscienza! Grazie, grazie davvero a tutti! ■

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EVENTI

Biennale di Venezia, IULM è partner ufficiale a Libera Università di Lingue e Comunicazione è partner ufficiale di “Codice Italia”: mostra sull’arte nazionale che verrà allestita nel Padiglione italiano della 56esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. A curarla Vincenzo Trione, docente e vice preside della Facoltà di “Arti, turismo e mercati” dell’Università IULM. Le sale sono aperte al pubblico da sabato 9 maggio e lo rimaranno fino a domenica 22 novembre 2015, all’Arsenale.

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Presenti opere di artisti quali Alis/ Filliol, Andrea Aquilanti, Francesco Barocco, Vanessa Beecroft, Antonio Biasiucci, Giuseppe Caccavale, Paolo Gioli, Jannis Kounellis, Nino Longobardi, Marzia Migliora, Luca Monterastelli, Mimmo Paladino, Claudio Parmiggiani, Nicola Samorì e Aldo Tambellini. Tutti accomunati, secondo Trione, «dal pensare le proprie opere come luogo d’innovazione dei linguaggi e dialogo problematico con momenti salienti della storia dell’arte. ■

PARTNERSHIP

Iulm ospita Harvard

er il secondo anno consecutivo, l’Università di Harvard collaborerà con la IULM. Dal 22 giugno al 15 luglio, studenti e docenti dell’ateneo bostoniano si insedieranno nelle aule IULM per la Summer School dal titolo “Beauty, Leadership and Innovation”. Cinque studenti dei corsi di laurea Magistrale in Arti,

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patrimoni e mercati e Marketing, consumi e comunicazione potranno confrontarsi con gli studenti e i docenti dell’Ateneo più prestigioso al mondo. La summer school prevede lezioni frontali, sessions, field trip, eventi e visione di film. Agli studenti che parteciperanno verranno riconosciuti 6 crediti come attività formativa a scelta. ■

INIZIATIVE

EXPO, biglietti scontati per gli studenti Università IULM aderisce alla convenzione "Le Università in EXPO”. Tutti coloro che sono regolarmente iscritti all’Anno Accademico 2014/15 hanno l’opportunità di visitare i padiglioni dell'Esposizione universale di Rho-Pero pagando un biglietto agevolato di 10 euro. Il biglietto è non nominativo e a data aperta. Per prenorarlo, gli studenti IULM devono scrivere

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a: expotickets@iulm.it, specificando nome e cognome, numero di matricola e corso di laurea. Sarà possibile effettuare il pagamento tramite bollettino MAV disponibile sulla pagina personale - Servizi online per Studenti - Sezione Segreteria - Tasse, entro due giorni lavorativi dalla richiesta di acquisto. Si riceverà una mail con le istruzioni per il ritiro appena il biglietto sarà disponibile. ■

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