FOPPA_Novembre 2022

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Novembre 2022 sala&cucina n. 64 novembre 2022Poste Italiane SpaCN/BOEdizioni Catering srl –Via Margotti, 8 –40033 Casalecchio di Reno (BO)contiene I.P.costo copia euro 3,50 Alessandro Pipero L’autoironia è sinonimo di intelligenza Il cibo, il clima, lo spreco: è necessario diventare consapevoli Marco Cicchelli: questo è il momento in cui è indispensabile lavorare bene Cronache dal 6° Cateringross Food Summit questa rivista è offerta da TASTE SUPPORTER

Lemady è la miscela a base di pasta madre essiccata di frumento ideale per strutturare tutti i tipi di impasto per pizza, in particolare quelli in cui si ricerca una spiccata alveolatura, maggiore volume in cottura, lunga conservabilità dell’impasto, profumi e sapori esaltati.

Modalità di utilizzo: da 2 a 20 g/kg di farina, in base alle necessità. Richiede l’aggiunta di lievito di birra.

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Mario

presidente Edizioni Catering srl

Imprenditore nel settore della distri buzione alimentare, gestisce con il fratello Oscar l’azienda di famiglia a Cavriana (MN), dove ha svolto anche l’incarico di sindaco.

Le competenze maturate sul piano professionale e su quello am ministrativo lo hanno portato alla convinzione che il principio della condivisione sia la miglior modalità di crescita. Molte sue iniziative, anche all’interno del gruppo Cateringross (che detiene la titolarità della casa editrice), di cui è consigliere d’amministrazione, vanno in questa direzione. A questo affianca una forte sensibilità per ogni azione che dia valore al suo territorio.

Luigi Franchi

Direttore responsabile

Prima fotografo di cibo e territori, poi comunicatore, autore di numerosi libri di enogastronomia e di turismo enogastro nomico. e infine giornalista di enogastro nomia. Tra le sue principali pubblicazioni, scritte e/o coordinate: La prima edizione della Guida al turismo del vino in Italia, per conto del Movimento Turismo del Vino, (1997), I parchi e il turismo enogastronomico (2004), Il marketing delle Strade del Vino edi zioni Agra – Rai Eri (2005), Atlante Alimentare Piacentino, con Valentina Bernardelli (2007), “cuo chi, due anime in cucina”, con Alessandra Loca telli, GL.Editore (2009), Dalle Terre Traverse al Po, GL.Editore (2010), ide atore e coautore dei Maestri del lievito madre, Edizioni Catering (2014), coautore della guida online dedicata alla ristorazione Meglio Prenotare, Edizioni Catering, Le interviste (2018) editore Mediavalue. Co-direttore di Food & Book, festival nazionale di editoria enogastronomica luigifranchi@salaecucina.it

Marina Caccialanza

Redazione

Milanese, un passato come traduttri ce, da diversi anni giornalista e redat trice per riviste del settore alimentare rivolte al mondo dell’artigianato e all’industria, in particolare nel campo della ristorazione, del dettaglio specializzato e della ricerca. Con tribuisce alla realizzazione di importanti libri di comunicazione gastronomica in Italia e all’estero diretti ai professionisti e ai con sumatori. Collabora con le redazioni di sala&cucina, Ecod e Trenta Editore.

marina.caccialanza@gmail.com

Giulia Zampieri

Redazione

Ricorda con esattezza il profumo del primo pane preparato all’età di sette anni.

Forse il suo primo traguardo e, soprat tutto, l’inizio di una grande passione: per le cose semplici, per la genuinità, per gli alimenti che crescono e prendono forma. Dopo la Laurea in Scienze Gastronomiche, la specializzazione in comunicazione enogastronomica, e un perio do di alternanza nelle cucine, ha chiara la missione: scrivere per comunicare. Come? Utilizzando gli strumenti di oggi e la curiosità di sempre. Gionalista pubblicista, collabora anche con le guide del Gambero Rosso e Identità Golose.

giuliazampieri@salaecucina.it

Simona Vitali

Redazione

Laureata in filosofia, ha lavorato nella comunicazione e organizzazione di grandi eventi a Parma. Ha ricevuto una prima inconsapevole educazione al gusto per il cibo grazie all’ indimenticato oste dell’Osteria di Felino (PR), il nonno materno Massimino. Con gli studi umanistici è poi arrivata seconda, consa pevole, educazione al gusto per l’utilizzo delle parole secondo il loro significato. La usa a piene mani anche per chi di parole non ne riceve mai troppe. La sua amorevole attenzione va alla linfa della ristorazione, il mondo delle scuole alberghiere, e in generale alle storie intrise di valori e buoni esempi. s.vitali@salaecucina.it

Gabriele Adani Grafico

Modenese, appassionato di arte figura tiva, fotografia e linguaggi di comunica zione visiva.

Nel 1992 inizia il suo percorso professio nale presso una casa editrice. Lavora poi in uno studio grafico e fonda una piccola agenzia di comunicazione in cui ricopre il ruolo di direttore creativo per 18 anni.

Viaggiatore, utilizza i frequenti viaggi a Londra e nel Sud Est asia tico per arricchire il suo bagaglio culturale e placare la sua innata curiosità per le altre culture.

Dal 2019 lavora in proprio, occupandosi di fotografia, grafica e con sulenze nel campo della comunicazione.

grafica@salaecucina.it

benhurtondini@salaecucina.it
LA REDAZIONE
4 | novembre 2022

7 LETTERA APERTA

9

10

La bellezza e l’integrazione | Luigi Franchi

EDITORIALE

Il cibo, il clima, lo spreco: è necessario diventare consapevoli | Benhur Tondini

PARLIAMO CON

Alessandro Pipero | Luigi Franchi

15 VENDI CON SUCCESSO

Salt BAE ed il marketing che manca | Lorenzo Dornetti

17 OSPITALITÀ

Gli scenari internazionali influenzano anche i mercati turistici | Martina Manescalchi

19 L’OLIO AL CENTRO

Arriva l’olio nuovo, approfittiamone | Luigi Caricato

21 DIGITAL TRANSFORMATION

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26

30

La settimana dell’ospitalità | Claudia Ferrero

EVENTI

Cronache dal 6° Cateringross Food Summit | Guido Parri

FARE RISTORAZIONE

Mangiare a tu per tu con l’arte, la bellezza, la cultura | Giulia Zampieri

EVENTI

Una crociera al sapore di cioccolato | Simona Vitali

34 IN SALA

Marco Cicchelli, questo è il momento in cui è indispensabile lavorare bene | Luigi Franchi 38

FARE RISTORAZIONE

Mantova, due volti e un’unica identità | Marina Caccialanza 44

FARE RISTORAZIONE

Premiate Trattorie tra Gran Tour e buone nuove | Simona Vitali 47

RITRATTI

Il pluripremiato salame di Venzi a firma Angelo Dedomenici | Simona Vitali 50 FARE RISTORAZIONE

L’Altopiano di Asiago, una meta in cui addentrarsi| Giulia Zampieri 54

FARE RISTORAZIONE

Come il racconto del cibo ha cambiato la cucina | Luigi Franchi 56

FARE RISTORAZIONE

Roberto Costa, la cucina italiana a Londra | Luigi Franchi 58

PERSONE

Quando la vite va in sposa all’acero | Bruno Damini 62

PRODUZIONE

Bayernland, latticini e formaggi di qualità | Marina Caccialanza 64

PRODUZIONE

I salmoni pregiati de La Nef | Guido Parri 66

PRODUZIONE

Il grissino pensato per la ristorazione | Giulia Zampieri 68

PRODUZIONE

Surf&Turf, il trend che unisce carne e pesce | Guido Parri 69

EVENTI

Pizza Challenge, torna la competition più verace e filante della tv | Guido Parri 72

PIZZERIE

Il Ristorante? Da vivere in Relax | Marina Caccialanza 74

PRODUZIONE

Il Prosciutto Magico Crudo Stagionato Salumi Reali | Guido Parri 76

NOVITÀ

Cateringross food summit 2022

Un’opportunità all’insegna delle relazioni | Silvia Pilotto

N° 64 novembre 2022

EDITORE

Edizioni Catering srl Via Margotti, 8 40033 Casalecchio di Reno (BO) Tel. 051 751087 – Fax 051 751011 info@salaecucina.it - www.salaecucina.it

PRESIDENTE Benhur Mario Tondini benhurtondini@salaecucina.it

DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Franchi luigifranchi@salaecucina.it

COLLABORATORI ESTERNI Paolo Baracchino, Luigi Caricato, Bruno Damini, Lorenzo Dornetti, Oscar Galeazzi, Elena Monte verdi, Guido Parri

FOTOGRAFIE

Archivio sala&cucina, Matteo Cavalleri, Marco Didonato, Arturo Rinaldi, Lido Vannucchi, Fausto Mazza. * L’editore è a disposizione per eventuali crediti fotografici di cui si ignora la fonte

RIVISTA PARTNER dell’Associazione

PUBBLICITÀ Tel. 331 6872138 marketing@salaecucina.it www.salaecucina.it

PROGETTO GRAFICO

Gabriele Adani - www.gabrieleadani.it STAMPA EDIPRIMA s.r.l. – www.ediprimacataloghi.com

TIRATURA E DISTRIBUZIONE – 28.900 copie Ristoranti, trattorie e pizzerie 20.700 – Bar, pub e birrerie 4.000 – Hotel 3.100 – Grossisti e distributori f&b 1.100

Costo copia mensile: 3,50 euro abbonamento annuo 30,00 euro Per abbonarsi: info@salaecucina.it

SOMMARIO Novembre 2022 sala&cucina 64 novembre 2022 Poste Italiane Spa CN/BO Edizioni Catering Via Margotti, 40033 Casalecchio Reno (BO) contiene I.P. costo copia euro 3,50
Pipero L’autoironia è sinonimo di intelligenza Il cibo, il clima, lo spreco: è necessario diventare consapevoli Marco Cicchelli: questo è il momento in cui è indispensabile lavorare bene Cronache dal 6° Cateringross Food Summit
Alessandro
5| novembre 2022

Tutta la buona cucina gira intorno a un grande olio.

Un olio che sa legarsi a ogni ingrediente e che sa legare insieme gli ingredienti di ogni piatto. Che sa legare esperienza e creatività, passione e professionalità. Un olio che ha una storia familiare che unisce insieme tradizione e innovazione, vecchie abitudini e nuove tendenze. Nasce dalle materie prime migliori ed è frutto della ricerca e dell’esperienza. Un grande olio è un olio che fa parte di una grande famiglia, quella di Olitalia. Una famiglia affidabile, sempre presente nelle migliori cucine di tutto il mondo. E da oggi anche nella tua.

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La bellezza e l’integrazione

Ci sono città, troppe, in Italia che hanno lasciato tra sformare le loro parti storiche, non i centri storici, in quartieri abbandonati, occupati solo da extracomu nitari o da emigrati di altre parti d’Europa. Perché è accaduto questo?

Perché non è possibile convivere oggi in questo Paese?

Certo con altre culture, altre abitudini, altri linguaggi: solo in questo modo si potrà tornare a far rivivere ogni parte della città e a rendere questo Paese veramente moderno.

Solo con la capacità di convivere si cancelleranno ‘i mostri’, le brutture, la sporcizia, riportando la città alla propria naturale bellezza.

Se ci fate caso nelle piccole comunità queste differen ze non ci sono, o sono limitatissime, la convivenza è un fatto reale e si vive tutti bene, ci si aiuta a vicenda, l’integrazione è stata realizzata.

Lo sto pensando proprio ora, dopo aver letto una no tizia terribile: l’altra notte una barca di pescatori è affondata perché è stata speronata da un’altra imbar cazione, che trasportava inerti. È accaduto al largo di Ravenn e sono in corso le indagini. I pescatori si sono salvati per miracolo ma il danno è ingentissimo. La barca era di un pescatore di origini tunisine, Khaled Khayat il suo nome, che si è perfettamente integrato nella comunità di Cesenatico, con la sua famiglia, con i suoi parenti, prendendo addirittura dei nomignoli ti pici della Romagna.

Questa integrazione gli salverà l’esistenza perché è già scattata una gara di solidarietà con quest’uomo che della solidarietà ha fatto una bandiera della sua

vita aderendo, fin dal suo arrivo in Italia, all’associa zione Tra cielo e mare fondata da Nevio Torrisi, un altro pescatore di Cesenatico che, ogni giorno, mette al centro della propria vita l’aiuto a chi ne ha più bi sogno. Khaled e Nevio e tanti altri utilizzano il cibo per raccogliere i fondi che servono per queste azioni di sostegno.

Ancora una volta il cibo! Quello che preparano Nevio e i componenti della sua associazione è pesce pescato nel loro mare, l’Adriatico, e servito nelle manifesta zioni che organizzano a Cesenatico e ovunque li chia mano. Il loro è anche un progetto culturale che vuole portare l’attenzione sui problemi della pesca in Italia. Ed è il cibo il motore di tutto, un cibo buono, da pesca sostenibile veramente; sono piccole le loro barche, non fanno danni al mare.

Se questa integrazione avviene nei paesi di provincia perché nelle città si sono preferiti dei ghetti lascian do in mano alle imprese immobiliari la struttura dei quartieri, perché le amministrazioni non si prendono a cuore tutta la città, non solo i bellissimi centri sto rici?

Sono semplicemente domande che, però, necessitano di risposta altrimenti il degrado non si potrà arrestare mai. Un degrado che non è dato da chi abita in questi quartieri bensì da chi, proprietario di immobili, prefe risce affittarli a poco costo anziché fare le opere neces sarie, trasformando quei luoghi in ghetti. E quando le persone vivono in un ghetto cosa si può chiedere loro? Di starci bene? Di non sentirsi cittadini di serie B? Il cibo, i ristoranti, lo dice Tommaso Melilli in questo numero della rivista, hanno contribuito a cambiare il volto dei centri storici negli ultimi vent’anni. Questa strategia cominciamo ad applicarla anche nei quartie ri ghetto delle città italiane!

luigifranchi@salaecucina.it
LETTERA APERTA 7| novembre 2022

I nostri salmoni non sono pescati all’amo… ma allevati con amore! Ogni giorno ci impegniamo responsabilmente per migliorare le condizioni dei nostri allevamenti secondo i più rigidi criteri di sicurezza. Tutti i salmoni Re Salmone crescono secondo alti standard qualitativi, sono lavorati senza coloranti, additivi e senza mai ricorrere a processi di congelamento. Perché garantire la salute e la genuinità dei nostri salmoni è anche un gesto d’amore per il nostro benessere.

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Re Salmone è un marchio di proprietà di La Nef S.p.A.

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Il cibo, il clima, lo spreco: è necessario diventare

consapevoli

Parliamo di cibo, scriviamo di cibo, distribuiamo cibo ma è ancora troppo poca l’attenzione che mettiamo nel ruolo che il cibo ha sulla sostenibilità, sul clima, su tutto quello che impatta in maniera negativa sul futu ro del nostro pianeta.

Ben vengano, dunque, convegni come quello svoltosi a Roma poche settimane fa, a cura della Società Italiana delle Scienze per il clima: Cibo e clima, una sfida per il pianeta.

Durante il convegno sono usciti dati molto interessan ti che ci devono far riflettere; il primo di questi dati riguarda le emissioni di gas serra che, lungo tutta la filiera alimentare – il Farm to Fork di cui si sta occu pando la Comunità Europea -, corrispondono a circa il 37% del totale. Il settore alimentare emette circa 15 miliardi di tonnellate di CO2, l’identica quantità del settore elettrico globale.

Il secondo dato riguarda lo spreco alimentare: è enorme! Circa il 40% del cibo prodotto in Europa fi nisce nelle pattumiere delle case (per il 61%), poi nei servizi di ristorazione (per il 26%), infine nella grande distribuzione (per il 13%). Quest’ultimo è però un dato falsato se pensiamo che l 61% nelle case è proprio, in stragrande maggioranza, cibo che arriva proprio da gli acquisti in grande distribuzione. La prima cosa da fare sarebbe ridurre la spesa promozionale, i tre per due, gli acquisti d’impulso. Se si facesse pagare il cibo

al prezzo giusto, anziché usarlo come prodotto civetta gran parte di questo spreco verrebbe ridimensionato. Così come se mangiassimo uno yogurt anche se scadu to da pochi giorni non starebbe male nessuno, e forse anche il pianeta ne trarrebbe qualche beneficio. Un altro tema che la ristorazione sta prendendo in seria considerazione riguarda la stagionalità dei pro dotti, l’acquisto di cibo locale, o comunque che non ne cessita di grandi spostamenti per arrivare sulle tavole dei ristoranti; questa tendenza deve essere presa in considerazione da tutti, dai distributori, dai ristorato ri, dalle aziende di produzione perché è un fenomeno che prenderà sempre più piede e non dobbiamo farci trovare impreparati. Il nostro Paese, lo sappiamo da sempre, non ha le ri sorse né gli spazi agricoli sufficienti per soddisfare il bisogno alimentare della sua popolazione, l’agricoltu ra ormai è ridotta a pochi punti del PIL, quindi il rap porto con altri paesi produttori è e sarà indispensabile ma occorre stabilire le regole di questo rapporto: la globalizzazione ci sarà ancora, questo è certo e utile, ma non potrà più essere incondizionata, senza regole, capace di creare dipendenza (come nel caso del gas). Sarà necessaria una politica che permetta al Paese di essere interlocutore autorevole sui mercati. Queste le riflessioni che anche quel convegno ha ge nerato: le parole sono importanti, ancora e sempre, se contribuiscono a far riflettere, a prendere decisio ni che forse non riguarderanno noi ma i nostri figli, i nostri nipoti, a cui non possiamo lasciare un pianeta distrutto. Tocca a noi, in questo presente, affrontare questioni che sembrano troppo grandi per noi piccoli uomini ma se ognuno farà una piccola parte cam bieremo davvero in meglio questo bellissimo pia neta.

benhurtondini@salaecucina.it
Benhur Tondini presidente sala&cucina
EDITORIALE 9| novembre 2022

PARLIAMO CON

DA ROMA

Alessandro Pipero

L’autoironia è sinonimo di intelligenza

Parliamo con… Alessandro Pipero, patron di Pipero Roma, il più cosmopolita dei ristoranti della Città Eterna, tra i fondatori di Noidisala, l’associazione che lavora per riportare il servizio di sala al ruolo che merita all’interno della ristorazione Autore: Luigi Franchi www.piperoroma.it
10 | novembre 2022

L’autoironia, è risaputo, è un sinonimo di intelligenza perché prender si in giro è un affare impegnativo anche per i più saggi. Con l’autoi ronia rigiriamo come un calzino i nostri caratteri, le nostre tendenze, i nostri comportamenti; l’autoironia non ce ne libera, ma permette di giocarci e questa è decisamente una prospettiva migliore. Perché parliamo di questo?

Conoscere Alessandro Pipero significa capire dove può portare questa capacità di autoironizzare su sé stessi; “Vengo da Albano Laziale, da una famiglia che aveva una lavanderia. Ero e sono piccolo di statura, grassoccio, amo visceralmente il cibo e ho sempre pensato che quello sarebbe stato il mio lavoro, ma per stare in cucina non avevo ‘le physi que du rôle’, in sala probabilmente ancor meno, però volevo, con tutto me stesso, fare del cibo un mio business. Ho deciso di puntare sulla simpatia, ho imparato, in tutti questi anni, che le persone al ristorante ci vanno per due motivi: mangiar bene, e questo è ovvio, e star bene, questo è già più complicato. Cosa significa star bene? Ogni persona è un mondo, fatto di mille e mille strade; imparare a capire quale strada quel determinato ospite ha intrapreso quella sera in cui siede al tavolo del mio ristorante è uno degli esercizi più difficili; per questo ho deciso di puntare sull’autoironia anche in sala. Divertire me stesso significa mettere in condizione l’ospite di guardare le cose da una prospettiva diversa; non è più lui al centro dell’attenzione e questo lo porta a rilassarsi. Difficile da capire, ma il risultato è vincente; oggi c’è troppa austerità nei locali di un certo tipo, anche quando si parla di divertimento nel cibo ci si trova, a volte, a dover fare degli esercizi intellettivi che stancano l’ospite ancor prima che inizi la cena”.

Un pensiero decisamente originale che, probabilmente, nasce proprio dalla tua capacità di creare un’empatia immediata, ma cominciamo dall’inizio: tu hai deciso, fin da piccolo, che avresti fatto del cibo e dell’ospitalità la tua vita professionale. Raccontaci come… “Ho scelto, da subito, l’indirizzo di sala all’alberghiero. Erano gli anni tra il 1988 e il 1990, non c’erano ancora tutti i programmi televisivi sul cibo e la mia scelta era dettata dal desiderio di stare a contatto con le persone. Nelle cucine, a quei tempi, si facevano vite da inferno, in sala si viaggiava già allora con la mente. Quando l’ospite del ristorante ordinava la steak tartare lo faceva non solo per la bontà del piatto ma per vedere il cameriere all’opera. E già allora avevo capito una cosa: ci vuole intelligenza per capire le persone nel loro quotidiano. Mi han no aiutato in questo i vari stage che ho fatto nei grandi alberghi di Roma, con una clientela internazionale; lavorare in posti come questi si impara molto più in fretta. L’emozione più grande è stata parteci pare, da protagonista, all’apertura del St. Regis di Roma. Poi un anno a Londra per imparare l’inglese per quello che mi serve. Al ritorno sono andato a lavorare da e con Antonello Colonna, ci sono rimasto sei anni; un periodo molto importante perché lì ho conosciuto tutti, la stampa di settore, i politici e i grandi manager, mi sono costruito una mailing di contatti che ancora oggi tengo costantemente aggiornata. Da Antonello ho imparato il valore delle relazioni. Poi una donna è entrata nella mia vita e, con lei, ho aperto il mio primo ristorante nei Castelli Romani chiamandolo subito Pipero. Usare il proprio nome o

11| novembre 2022

cognome nell’insegna è una cosa ormai rara ma è impor tantissima, serve a metterci la faccia e a far crescere la voglia di non sbagliare. Ho iniziato così il mio percorso imprenditoriale, nel 2008 ho poi aperto Pipero al Rex e, nel 2017, Pipero Roma nel cuore della città”.

Tu hai, per primo, qualche anno fa, portato l’attenzio ne sui problemi del servizio di sala, sull’abbandono di questa professione. Cosa è cambiato in questi anni? “Credo maniacalmente in quello che faccio ogni giorno e vedere il servizio di sala svilire mi fa stare troppo male ma, a volte, mi sembra che sia una battaglia contro i mu lini a vento. Ti faccio un esempio: se va via lo chef dalla cucina devo chiamare tutte le guide e ricominciare quasi da zero. Quando se ne va il maître non se lo fila nessu no! È necessario cambiare diverse cose, le guide, la bu rocrazia, il carico fiscale ma soprattutto è indispensabile affermare un concetto basilare: l’identità e la naturalezza con cui si approccia a questo bellissimo mestiere. Sono le due cose fondamentali, prima ancora della tecnica, pri ma ancora del facile mitico sorriso, che io chiedo a chi lavora con me, a chi vuole cambiare in meglio questa professione. Non ti sei mai fatto la domanda del perché i camerieri, a differenza dei cuochi, raramente aprono un ristorante? Ecco, questa domanda ha bisogno di una ri sposta per fare in modo che ci sia più forza, più volontà tra le persone di sala! Pochi giorni fa ho partecipato a un convegno e il mio intervento l’ho fatto precedere dal la canzone degli 883: la dura legge del gol. Siamo in questa condizione, facciamo un grande lavoro, facciamo

guadagnare di più il ristorante con un bel servizio ma non ci viene mai riconosciuto il gol!”

Quindi cosa occorre fare?

“La crisi del settore è data da tanti fattori: in primis la mancanza di visibilità, sappiamo tutti il nome degli chef, quasi mai sappiamo il nome di chi ci accompagna per tutta la cena. Poi il cambiamento che va troppo a rilento, in ogni situazione. Prendiamo come esempio Noidisala, l’associazione che ho fondato con altri colleghi: abbiamo realizzato una guida originale, bellissima, che parla del ristorante attraverso il servizio prima che i piatti, colla boriamo con Intrecci, la scuola di alta formazione dell’o spitalità, ma la morale è che cerchiamo ancora oggi i ca merieri. Occorre accelerare i processi di cambiamento, è necessario uscire dalla nicchia, fare in modo che i ragazzi vivano bene questa professione, fargliela conoscere per quello che è, che ti dà; puoi conoscere davvero il mondo restando in sala, capire le differenze culturali, imparare tutto delle abitudini delle persone e, attraverso questo, capire l’evoluzione di una società. Ma per rendere age vole questa lettura dobbiamo anche saper ascoltare: c’è un modello nuovo di lavoro che si sta imponendo dopo la pandemia, non è scarsa voglia di lavorare, è desiderio di una qualità della vita dove il lavoro è solo una componen te. Di questo dobbiamo tenere conto. Questo è un lavoro serio che fa fatto allegramente altrimenti è meglio lasciar perdere”.

Pipero Eventi: in cosa consiste?

12 | novembre 2022

“Pipero Eventi è una parte molto importante della mia attività imprenditoriale. Prendi la stella, gli eventi, so prattutto in una città particolare come Roma, con le sue terrazze fulcro di molte decisioni, ne sono una conse guenza. Per noi è il pret-a-porter dell’esperienza che i nostri ospiti fanno nel ristorante, per parafrasare un ter mine dell’alta moda. Andiamo ovunque ci chiamino ed è molto richiesta la formula Pipero a casa tua dove io e lo chef Ciro Scamardella o il restaurant manager e chef sommelier Achille Sardiello andiamo a fare il ser vizio. Poi faccio consulenza per nuove aperture, adesso sono impegnato con due ristoranti pop-up. È una seconda forma di guadagno e, di questi tempi, si rivela assoluta mente necessaria se voglio mantenere alto lo standard di Pipero Roma”.

Parliamo di Roma: a settembre c’era l’88% di camere occupate, un dato mai conseguito prima, nonostante l’aumento delle tariffe che, a volte, ha toccato il 30% in più: cosa significa per un ristorante come il tuo questo flusso di turisti così elevato?

“Siamo invasi dagli americani, perché con il cambio hanno molta più facilità e interesse a visitare l’Italia. Da me vengono perché sono inserito tra i ristoranti stellati della guida Michelin e perché molti hotel ci consigliano per vivere un’esperienza gastronomica eccellente e per l’umanità che esprimiamo. Il Covid ha cambiato molte cose, abbiamo ritrovato un cliente molto più diretto, che sa quello che vuole e prevale l’intelligenza nel compor tamento e nelle scelte. Dobbiamo approfittare di questa positiva onda lunga, è il momento di fare squadra tra noi per mantenere questi risultati positivi e crescere ancora di più in qualità”.

Hai di recente introdotto tre menu degustazione al po sto della carta, perché hai fatto questa scelta radicale? “Potrei dirti che è per far vivere un’esperienza totalizzan

te al cliente e, in parte, con il menu degustazione si va in questa direzione. Però voglio darti la risposta vera, anche se è più prosaica: siamo in una condizione dove il tavolo ha un costo preciso ogni sera, dato dal food-cost, dall’affit to, dal personale, dagli arredi. Quel tavolo, se in una sera in quattro, mi rendono solo quattro carbonare, non copre i costi. Con il menu degustazione, oltre a incontrare una richiesta che va in quella direzione, soprattutto da parte degli stranieri, mi aiuta anche in senso economico e am bientale perché non ho sprechi elevati”.

Mi piace la tua sincerità nel raccontare una visione della ristorazione non banale: un’ultima domanda, cosa ti piace di più di questa professione? “Non ho cambiato idea rispetto a quando ho iniziato: mi piace sempre, molto, ogni giorno, avere persone di tutto il mondo con cui interagire, raccontando loro cosa può offrire Pipero Roma o Pipero Eventi e raccogliendo le loro storie”.

Carne bovina irlandese da allevamenti al pascolo: Buona per Natura

Irlanda, il nuovo Standard Bord Bia per la carne bovina Grass Fed

Quando si parla di carne bovina, i consumatori di tutto il mondo sono oggi alla ricerca di un prodotto naturale, sostenibile e di prima qualità. Grazie ai nostri pascoli rigogliosi e verdeggianti, il clima mite e la lunga tradizione di allevamento all’aperto, l’Irlanda è perfettamente in grado di soddisfare la crescente richiesta di carne bovina Grass Fed di prima qualità. E da oggi possiamo dimostrarlo.

Il nuovo Grass Fed Standard per la carne bovina irlandese, sviluppato da Bord Bia – Irish Food Board, ente governativo dedicato allo sviluppo dei mercati di esportazione dei prodotti alimentari, bevande e prodotti ortofrutticoli irlandesi, è il primo protocollo al mondo che verifica in modo indipendente la carne bovina Grass Fed, garantendo una carne proveniente da bovini nutriti per almeno il 90% ad erba o foraggio a base d’erba, che pascolano all’aperto per buona parte dell’anno per tutta la loro vita. è la garanzia di quanto abbiamo da sempre saputo: è l’erba l’ingrediente fondamentale che rende il manzo irlandese una carne di prima qualità.

I dati utilizzati per garantire la dieta a base di erba di ciascun animale sono raccolti nel corso di controlli effettuati nell’ambito del Programma Nazionale di Qualità e Sostenibilità Assicurata per la carne bovina e ovina (Sustainable Beef and Lamb Assurance Scheme), sviluppato da Bord Bia.

Solo la carne dei bovini allevati nel rispetto di questi standard, può vantare il marchio Grass Fed. L’Irlanda, quindi, grazie ai suoi allevamenti al pascolo, produce carni bovine di prima qualità, naturalmente gustose e nutrienti.

Carne bovina irlandese Grass Fed, prodotta in armonia con la natura.

Per saperne di più, visitate la pagina: irishfoodanddrink.com/manzo-irlandese

www.irishbeef.it

Salt Bae e il marketing che manca

Si fa chiamare  Salt Bae, che significa mettere sulla bi stecca il sale (Salt) “prima di chiunque altro” (Before Anyo ne Else). Ma il suo vero nome è  Nusret Gökçe, 39 anni, di origini turche, diventato famoso nel 2017 a seguito di una serie di video e meme virali incentrati su come con dire e servire la carne. In Italia di “Salt Bae” si parlava già nel 2020, quando il ‘re della carne’, avvistato a Mila no, sembrava intenzionato ad aprire un locale all’ombra della Madonnina, nel quadrilatero della moda, in Piazza San Babila. La pandemia lo ha costretto a rimandare, ma una data di massima ora c’è: il 2023.  La conferma è ar rivata un po’ sussurrata in un video su Instagram. Non entro nel merito del valore della proposta culinaria e del suo posizionamento (super luxury). Nessuno sa se avrà successo in Italia come ha avuto in altri paesi del mondo. Una riflessione però è giusto condividerla. Il Salt Bae evi denzia come il nostro mondo della ristorazione, escluso alcuni rari casi, non investa sul proprio brand. Molti stu di hanno dimostrato che un marchio, al di là del settore, sia un magnete per il cervello. I consumatori comprano i marchi nello stesso modo in cui approcciano una fede religiosa. Ecco le principali analogie con cui i marchi co struiscono il loro potere attrattivo sul cervello dei clienti.

1. Senso di appartenenza. Se sei appassionato di un certo marchio ti senti parte di un club, di un grup po, di una famiglia, esattamente come si sente parte della comunità cattolica chi crede in Cristo o della comunità mussulmana che crede in Allah.

2. Missione chiara. Apple vuole “aiutare le persone a pensare diversamente, l’uomo è creatore del cam biamento in questo mondo e come tale deve essere sopra i sistemi e mai subordinato ad essi”. Come tutti i credo religiosi hanno uno scopo sulla terra, hanno una missione legata a specifici valori.

3. Potere sopra gli avversari. Avere una fede significa spesso vedere le altre religioni come diverse. Basta guardare la cronaca della guerra di religione tra Occidente e Islam per convincersi. Questa mentali tà “noi contro loro” è ugualmente diffusa in tutto il mondo del consumo. Coca contro Pepsi. Visa contro Mastercard. Apple contro Microsoft.

4. Fascino sensoriale. Quando entri in una chiesa sei immediatamente colpito attraverso tutti i sensi. L’in censo, le campane, l’organo, la luce che passa tra i vetri a mosaico. Tocchi l’acqua con cui ti fai il segno di croce prima di entrare. I brand cercano di fare la stessa cosa usando profumo, gusto, vista, olfatto e tatto, cercano di imprimere nel cervello la “firma della marca”. I negozi cercano di essere sensorial mente identificati come templi commerciali.

5. Storytelling. Torah, vangelo o Corano sono identi ficate con una forte impalcatura di storie e racconti. Pensa a quello che i vangeli riportano su Gesù, la sua vita, i suoi miracoli, i suoi discepoli, la sua resur rezione. Anche i brand hanno le loro storie. Google, due amici da un garage arrivano a conquistare il mondo. Steve Jobs che rientra in Apple dopo essere stato cacciato dall’azienda che aveva lui stesso fon dato è qualcosa di mistico.

6. Icone. I simboli sono presenti in tutte le religioni. La croce, la colomba, gli angeli, la corona di spine ri assumono in un’immagine l’essenza della religione cattolica. La mela della Apple, gli archi di McDonald, il baffo della Nike. Questi segni non sono solo im magini, si associano ad esperienze, valori e prodotti.

7. Diffusione. Le religioni si diffondono tra le persone e resistono nel tempo. Chi crede sente di aver rice vuto un dono, di essere cambiato (convertito). Il cre do religioso consente di poter partecipare ai riti. La mail di Google inizialmente era solo su invito, Ame rican Express ha creato la Black card senza limiti di credito data non solo ai più ricchi, ma anche agli utilizzatori più fedeli.

I brand utilizzano gli elementi propri delle religioni per creare un legame indissolubile con i propri consumatori. La domanda che ti pongo è: il tuo ristorante è solo un posto dove si mangia o un brand? Cosa stai facendo per creare senso di appartenenza, fascino, storie e diffonder lo? I brand possono permettersi di alzare i prezzi, gli altri solo di sopravvivere.

VENDI CON SUCCESSO 15| novembre 2022

Legumi, cereali, verdure: una linea completa di cotti a vapore, che garantisce agli chef ingredienti di alta qualità, genuini, buoni e pronti da utilizzare, senza sprechi e senza perdite di tempo.

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Gli scenari internazionali influenzano anche i mercati turistici.

vendita orientata in maniera specifica a questa nicchia (o nicchie) profilata. Analizzare i dati di quello specifico periodo può generare anche delle sorprese. Si può profilare infatti lo scenario di una tipologia di utenza totalmente diversa da quella a cui si è abituati. Si tratta anche di potenziali clienti nuo vi o comunque nuove manifestazioni di interesse su cui lavorare.

I dati relativi alla navigazione del sito web di questo pe riodo, mentre la guerra in Ucraina sta tristemente scon volgendo i mercati, oltre che le vite di tutti, potranno essere molto utili anche per il futuro. In questo periodo è molto probabile che i dati relativi agli utenti che na vigano sul sito dell’hotel e ai followers sui social siano sensibilmente cambiati rispetto ai trend a cui gli hotel sono abituati, anche nelle modalità di comportamento. Conviene analizzarli a fondo, dal momento che dopo il fenomeno della pandemia i target potrebbero non essere, in parte o del tutto, gli stessi, almeno per un po’ di tempo (penso soprattutto ai tanti hotel che sono abituati a lavo rare con una maggioranza di clienti stranieri). Comincia re a definire una strategia basata sui dati garantirà un vantaggio competitivo nell’immediato futuro.

I dati relativi al traffico del sito non sono mai stati così preziosi. Certo, a confrontarli con quelli dell’anno scorso si può essere colti dallo sconforto, ma per la ripartenza è molto importante conoscere la tipologia di utente che, in questo periodo, ha navigato sul sito, magari pensando al futuro. Non bisogna smettete mai di monitorare. Teniamo in considerazione questi particolari utenti: ana lizziamone la provenienza, i dati demografici disponibili e le modalità di navigazione. Quali pagine hanno visita to? Quale percorso hanno effettuato? Sia nell’immediato che per il futuro occorrerà pensare a una strategia di

Questo è un momento cruciale per studiare i trend di ri cerca, perché certamente avranno subito e continueran no a subire grandi mutamenti e anche lo scenario SEO potrebbe risentirne. Cosa hanno cercato gli utenti nei mesi scorsi, cosa stanno cercando adesso e, soprattutto, cosa cercheranno nell’immediato futuro? Lo scenario po trebbe cambiare molto. A proposito di SEO, tenendo conto anche dei dati forniti da Google Analytics relativamente alle preferenze degli utenti, è importante rivedere i testi del sito, aggiornarli e rinnovarli tenendo conto della nuova pianificazione delle keywords di cui sopra. Confrontiamo i dati di navigazione del sito con quelli dei social – Insights per Facebook e Analytics per Insta gram – per conoscere meglio le abitudini di navigazione di questo periodo, quali sono i contenuti che gli utenti prediligono e, soprattutto, se il target di sito e social coin cide (se vengono dalle stesse città, se appartengono alla stessa fascia di età, se si comportano allo stesso modo per capire a chi indirizzare le strategie future).

Valutiamo di attivare campagne di remarketing indiriz zate agli utenti che hanno visitato il sito recentemente. Potrebbe trattarsi proprio di persone che hanno cercato la struttura per valutare un soggiorno una volta finita l’e mergenza. Analizziamo i dati e se questi utenti si sono dimostrati coinvolti e hanno generato traffico di buona qualità, perché non cercare di acquisirli come clienti? Insomma, tutto quello che è accaduto sul sito web dell’ho tel durante un periodo di crisi può essere estremamente utile per comprendere trend di ricerca e nuove tipologie di clienti. Abbiamo a disposizione tantissimi dati e infor mazioni da sfruttare non soltanto adesso, ma anche nel futuro.

Martina Manescalchi
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17| novembre 2022
E le abitudini di ricerca sul web.

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Arriva l’olio nuovo, approfittiamone

L’olio è come il vino, diverso ma uguale. Diverso, per ché nel primo caso abbiamo a che fare con una bevan da, nell’altro con un alimento. E c’è grande differenza anche nel proporre qualcosa da bere rispetto a qual cosa che va mangiato e gustato insieme con altri in gredienti e non in solitaria. Non c’è la stessa immedia tezza e il medesimo approccio. L’olio tuttavia è uguale al vino perché ogni anno arriva la nuova produzione e c’è tanta curiosità. Si parla di vendemmia, quando si ha a che fare con il vino, e di olivagione, invece, con l’olio ricavato dalle olive. Ci sembra tutto chiaro, eppure non si colgono ancora tutte le opportunità che l’olio extra vergine di oliva appena franto offre al ri storatore. Mentre per il vino esiste (seppure non si sia ancora affermato del tutto) il vino novello, posto ben in evidenza sui tavoli, l’olio al contrario sembra qua si un soprammobile, collocato a caso qualora servisse all’occorrenza. L’errore sta qui, nel non dare la giusta collocazione e un ruolo di primo piano. Se c’è una dif ferenza sostanziale tra vino e olio sul termine “novel lo”, questa va intanto chiarita. Il vino novello è frutto di una complessa elaborazione e si produce infatti con una tecnica, la macerazione carbonica, diversa rispet to alla classica produzione del vino, e come tale resta appunto un prodotto diverso. La Francia ha saputo cre are una solida tendenza di consumo con il Beaujolais nouveau. Ma il vino novello ha vita breve, a differenza del vino nuovo, che invece è destinato a invecchiare, avendo ben altra struttura. Il vino novello va consu mato subito, e in questo somiglia molto all’olio novello. L’olio appena franto va consumato infatti entro pochi

giorni - qualche settimana, non di più - perché non essendo filtrato dopo un po’ si notano i sedimenti sul fondo della bottiglia, con le particelle d’acqua e il velo dei frammenti residui di buccia dell’oliva. Non è uno spettacolo bello da vedersi, ma, soprattutto, quel fondo di residui è fonte di inquinamento per l’olio, in quanto contribuisce alla sua ossidazione, con esiti sensoria li sgradevoli. Ecco allora la necessità di gestire l’olio novello in tempi ristretti, beneficiando di tutta la sua immediatezza e bontà tipica dell’olio appena franto. Nei frantoi c’è la consuetudine, oltre che di annusar lo e gustarlo in purezza (una quantità esigue, appena un sorso di 10-12 ml, giusto per valutarne la qualità estratta) di assaporarlo sul pane, il più delle volte an che sul pane caldo, perché si amplificano le sensazioni e si apprezza nel contempo la croccantezza del pane posato sulla piastra calda. Una vera bontà. Anche i ri storanti possono fare altrettanto, quale saluto di ben venuto nei confronti dell’ospite in attesa che legga il menu e scelga cosa ordinare. Sarebbe una iniziativa perfetta, lodevole, perché premia il lavoro di chi l’olio lo ha prodotto e suscita nel contempo curiosità. L’olio novello esprime, su chi lo prova, il fascino della novità, perché ci fa capire come si presenta la nuova oliva gione. È quasi un rito. Anzi, deve diventare un vero e proprio rito, destinato a essere celebrato ogni anno. Per questo è necessario che ci sia la volontà e l’impe gno da parte del ristoratore. Può diventare l’occasione per organizzare cene speciali. Quanto alla differenza tra vino e olio novello, questa è sostanziale. L’olio è un succo di oliva estratto tal quale e il processo produtti vo è il medesimo di ogni olio, ma mentre l’olio novello (o nuovo) si consuma subito, l’olio destinato a essere consumato nel corso dei mesi successivi viene lascia to tranquillo a sedimentare e, attraverso il processo di filtrazione, viene pulito da ogni particella residua in sospensione, ottenendo così un prodotto durevole, più stabile, in grado di mantenere a lungo l’integrità delle proprie caratteristiche sensoriali, nutrizionali e fisico-chimiche: una vera bontà.

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19| novembre 2022

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La settimana dell’ospitalità

Si è da poco conclusa a Rimini una settimana ricca di eventi e appuntamenti fieristici per gli operatori dell’ospitalità e del travel.

Dopo due anni di edizioni piuttosto scarne a causa del le restrizioni Covid, quelle del 2022 saranno ricordate non solo per l’alta affluenza ma per l’interesse con cui visitatori ed espositori hanno rivitalizzato stand e sale convegni.

Sono proprio le persone che insieme ai temi legati alla sostenibilità e all’innovazione hanno caratterizzato le manifestazioni di quest’anno: Hospitality Day al Pa lacongressi e TTG in Fiera Nonostante le incertezze e le prospettive drammatiche per il prossimo inverno, ha avuto la meglio l’entusia smo degli operatori nel tornare a ritrovarsi in presen za, a respirare quell’energia che si può cogliere solo col contatto umano.

Perché anche i grandi eventi, come al ristorante o in hotel, vivono ancora (e per fortuna) di questo: siamo tutti esseri sociali e come tali non possiamo farne a meno.

Si è molto discusso anche di sostenibilità, non solo di quella ambientale - che dovrebbe essere scontata ma che purtroppo non lo è ancora visto che l’Italia sulle politiche Green è ancora fanalino di coda rispetto agli altri Paesi europei.

Questa volta l’accento è inevitabilmente sulla soste nibilità economica e soprattutto sociale. Il percorso verso la consapevolezza del peso che l’horeca ha su questo tema è lungo, ma il primo passo è stato fatto: si comincia a parlarne!

Una ventina di panel sono stati dedicati a questo tema oltre a vedere sempre più aziende e start up andare verso questa direzione.

Tuttavia i temi legati all’innovazione tecnologica e al digitale hanno monopolizzato gran parte degli in terventi, in particolare quelli legati alla vendita e alla gestione delle esperienze. Se il Metaverso risulta alla maggioranza degli operato ri un mondo ancora molto controverso quanto compli cato da realizzare, tutti concordano invece sul fatto che la definizione tra mondo reale e virtuale sarà sempre meno marcata, soprattutto per le nuove generazioni. Del resto, che lo si accetti o meno, già da un po’ di tempo conviviamo in un contesto in cui, di fatto, online e offline si fondono. Con i clienti che prenotano una camera o un tavolo dal loro smartphone per poi recarsi in struttura e pagare il conto sempre tramite il proprio telefonino. E con lo stesso dispositivo condividere una foto del loro piatto preferito sui social network. Oppure scrivere una recensione. Questi sono solo alcuni degli esempi che ci dimostrano che l’integrazione è ormai già avvenuta.

Il concetto di hotel o ristorante phygital (fisico + digi tale) cerca l’unione di queste realtà. Mescolando il fisi co con il digitale. Generando esperienze che iniziano, proseguono. O si concludono attraverso l’intrecciarsi di questi due mondi. Dove la tecnologia è l’elemento conduttore che rende possibile la perfetta convergenza visto che viviamo in un mondo iperconnesso. E che negli anni a venire lo sarà ancora di più grazie allo sviluppo delle tecnologie 3D che renderanno gli ambienti virtuali totalmente immersivi e quindi anco ra più reali.

DIGITAL TRANSFORMATION 21| novembre 2022

Cronache dal

Renato Bosco, Mariano Guardianel li, Mario Ferrara, Vivien Reimbelli, Gaetano Ragunì, Danilo Angè, Die go Pattarino, Giuseppe Buscicchio, Andrea Gamberini, Antonio Cuo mo, Constantin Nechifor Razvan e Luca Santini, vicepresidente nazio nale FIC, sono solo alcuni tra i pizza ioli e gli chef che hanno portato le loro esperienze al 6° Cateringross Food Summit che si è svolto venerdì 14 e sabato 15 ottobre al Palacongressi di Rimini.

Un evento b2b che, ogni due anni, favorisce l’incontro tra le principali aziende dell’agroalimentare operanti nel food service e i distributori appartenenti al gruppo Cate ringross, il secondo gruppo italiano per fatturato, con tutta la loro forza vendita. In questa edizione erano 95 le aziende che esponevano e oltre 500 gli agenti e i soci del gruppo che hanno partecipato agli incontri.

Come è andata

“Un’edizione vivace, sotto tutti i punti di vista. – commenta Andrea Marchi, presidente di Ca teringross e titolare di Marchi spa, una delle 39 aziende che formano il gruppo – Gli incontri,

EVENTI
22 | novembre 2022
Autore: Guido Parri

nella giornata di venerdì 14, sono stati decisamente proficui, con un dialogo tra industria e distribuzio ne che è andato ben oltre la discussione sul prezzo, anzi di quello non si è proprio parlato e questo è un segnale importante di come stia cambiando il mondo dei consumi fuori casa e il nostro ruolo di distributo ri. Negli incontri si sono fatte riflessioni sui prodotti, sulle materie prime, sulle tipologie di carne e pesce, si sono affrontati i temi della sostenibilità e dell’etica; su come i nostri agenti devono approcciare il ristoratore, su quale importante contributo possono apportare alla crescita del locale proponendo il meglio delle produ zioni, quello che serve per ottimizzare il lavoro nelle cucine e nelle sale dei ristoranti”.

Un approccio decisamente diverso, quindi. Infatti, mai come in questo momento, il rapporto tra distributore e ristoratore deve tenere conto delle variabili che stan no profondamente modificando il comparto ristorati vo: costi incontrollabili causati dal caro energia, una clientela profondamente cambiata dopo il periodo pan demico, la carenza di personale che porta i ristoratori ad utilizzare sempre più spesso prodotti con un eleva to grado di servizio devono portare l’agente a conosce re molto bene il ristorante ancor prima della visita per saperne individuare i bisogni reali.

“In questo abbiamo uno strumento, il magazine sa la&cucina, che può dare ai nostri agenti molte indi

cazioni sull’evoluzione della ristorazione, diventando un validissimo aiuto anche per la loro professione” racconta Andrea Marchi. “ Volevo complimentarmi per l’organizzazione, le pre senze e i contenuti; a mio parere sono stati due giorni molto costruttivi in termini di lavoro e relazioni svi luppate. Demetra cercherà di essere un partner col laborativo e pro-attivo con la vostra organizzazione. Di nuovo complimenti e … alla prossima edizione”, queste sono le parole che Romolo Verga, marketing manager di Demetra ha rivolto all’organizzazione del Cateringross Food Summit ed è solamente uno dei tanti messaggi di soddisfazione che le aziende del food service hanno inviato, anche con qualche critica costruttiva che aiuterà l’organizzazione a migliorare ancora di più la prossima edizione.

Il ruolo degli chef

Mai come in questa edizione si è evidenziato l’im portante ruolo degli chef, siano essi promoter del le aziende, o testimonial coinvolti, o ancora investiti di un ruolo istituzionale. Tutti quelli presenti si sono rivelati indispensabili per parlare in modo competen te delle produzioni alimentari: sia che si trattasse di pasta ripiena come di salumi sulla pizza, di olio o di pesce, uova, carne, panna o pomodoro. Solo chi uti lizza, ogni giorno, nelle proprie cucine i prodotti può

23| novembre 2022
Andrea Marchi Benhur Tondini

davvero coglierne tutti i pregi e contribuire al miglio ramento costante delle produzioni.

Un fitto calendario di show-cooking ha caratterizza to questa edizione di Cateringross Food Summit, con bravi chef e pizzaioli che si sono alternati sul palco per presentare le loro ricette con i prodotti di diverse aziende, raccontando come un determinato utilizzo del prodotto, una particolare cottura, una modalità di servizio che quel prodotto offre può accrescere la qua lità in cucina.

Altrettanto importante è stato l’intervento di Luca Santini, vicepresidente nazionale FIC – Federazio ne Italiana Cuochi, nella giornata formativa di sabato 15 ottobre. Tra le tante cose interessantissime che ha raccontato alla platea composta da oltre 500 agenti, un’affermazione ha colto nel segno: “Non veniteci a trovare nei nostri locali con un volantino promoziona le sui prezzi; non ci interessa più di tanto. Veniteci a parlare dei prodotti, raccontateci il modo migliore di utilizzo, la loro storia, le tecniche, gli abbinamenti, stimolate la nostra fantasia, di noi cuochi che, molte troppe volte, non abbiamo il tempo di muoverci dalla cucina, di andare in giro a scoprire le cose, siate i no stri occhi sul mondo”.

Come sta cambiando Cateringross

La giornata di sabato 15 ottobre ha radunato nella grande Sala dell’Anfiteatro del Palacongressi di Rimini tutti gli agenti e i titolari delle 39 aziende che compon gono il gruppo Cateringross. È stata l’occasione per fare il punto sul mercato del fuoricasa, su come un

gruppo solido, con quarant’anni di storia sulle spalle, con una solidità finanziaria data da una forte patrimo nializzazione, deve affrontare le nuove sfide.

Andrea Marchi, il presidente di Cateringross, ha aperto i lavori con una relazione dove al centro c’era no parole come condivisione, opportunità di sviluppo, di crescita, di marketing, fiducia, volontà. Prima della relazione si è proceduto all’assegnazione di numerosi riconoscimenti alle persone che hanno favorito lo svi luppo delle aziende associate, su parametri che vanno dal maggior fatturato alla fedeltà, fino all’acquisizio ne di nuovi clienti o alla bravura negli acquisti. Ad essi si sono aggiunti i riconoscimeni per la fedeltà ai prodotti a marchio di Cateringross per l’azienda Ni gro Catering, alla fedeltà per gli acquisti diretti per l’azienda Marchi spa, alla fedeltà in numero di lettori di sala&cucina per l’azienda Faic. “È fatto di queste parole il futuro del nostro gruppo. Di opportunità che abbiamo solamente noi. Un esempio sui tanti: la nostra è una rete fatta da imprese presenti in tutte le regioni italiane, dall’Alto Adige alla Sicilia; grazie a questa capillarità siamo in grado di conoscere alla perfezione il territorio, la grande biodiversità del nostro paese e, di conseguenza, poter offrire prodotti di assoluta qualità di ogni parte d’Italia, contribuendo alla difesa delle produzioni, alla salvaguardia di pro dotti che altrimenti farebbero fatica a essere sui mer cati. O ancora, avere aziende e non filiali presenti sui territori significa conoscere di persona quali tipologie di offerta fanno i ristoratori con il risultato di servirli nel modo migliore. Per fare queste cose è necessario

24 | novembre 2022

fare formazione continua, avere agenti motivati nelle loro giornate di lavoro, essere un preciso punto di ri ferimento per gli chef e i ristoratori. Solo la forza del gruppo permette di avere un posizionamento su un mercato così competitivo”.

Dopo Andrea Marchi che ha presentato al pubblico an che i dipendenti di Cateringross: “Queste sono le per sone che, ogni giorno, parlano con voi, sono a vostra disposizione per ogni richiesta, è da loro che vogliamo emerga la visione d’insieme di Cateringross”.

Poi è stata la volta di Benhur Tondini, presidente di sala&cucina, che ha presentato l’evoluzione del la rivista che, tra cartaceo e digitale, raggiunge più di 86.000 operatori della ristorazione, “il 54% della ristorazione italiana riceve sala&cucina” ha detto, ribadendo il grande lavoro che svolge la piccola reda zione, “cinque persone, il direttore Luigi Franchi, le giornaliste Marina Caccialanza, Simona Vitali, Giulia Zampieri, il grafico Gabriele Adani, che ogni giorno elaborano notizie di grande interesse pubblica te sul sito, fanno un podcast quindicinale e una rivista che, oggi, è una delle più apprezzate nel mondo del la ristorazione. E si occupano anche delle attività di marketing del gruppo come l’organizzazione di questo Food Summit”.

Luigi Franchi, interagendo con Tondini, ha poi presen

tato le numerose partnership di sala&cucina e il pro getto di Amodo, la rete dei ristoranti etici.

Il quarto intervento è stato di Luca Santini, di cui ab biamo scritto sopra, e le conclusioni sono state affi date ad un acclamatissimo Lorenzo Dornetti, ceo di Neurovendita, che ha coinvolto la platea anche con divertenti e utili esercizi fisici.

“Vi parlerò di alcune cose importanti da fare ogni gior no per fare in modo che il vostro lavoro sia sempre più bello e produttivo; il prezzo dei prodotti che cresce con l’inflazione chiede qualcosa in cambio, un servizio personalizzato; nell’instabilità, come quella che stia mo vivendo, ci si affida alle persone che ci danno più fiducia. Sono due dei numerosi esempi che rendono il vostro lavoro più stimolante. Le cose da non fare men tre siete da un cliente. Evitare di rispondere al cellula re, anche solo per dire che richiamate, al cliente dove te dare la massima attenzione; prestare attenzione agli algoritmi aumentano solamente le nostre frustrazioni. Rimandate di 24 ore le risposte quando siete arrabbia ti: il 78% delle persone si pente dopo aver mandato una mail mentre era arrabbiato. Leggete, leggete, leggete: leggere alza la quantità media di beta, ovvero le onde cerebrali della performance. E voi avete per le mani uno strumento importante che vi aiuta nelle vostre performance. Si chiama sala&cucina!”

25| novembre 2022
Lorenzo Dornetti ceo di Neurovendita

Mangiare a tu per tu con l’arte, la bellezza, la cultura

Mettere in sinergia l’arte, la bellezza, la cultura e la scienza, con il cibo e l’accoglienza, è un’impresa che vale molto. Ma è anche una sorta di flusso spontaneo da cui consegue un lin guaggio armonico, speciale, coinvolgente, che però richiede un’elevata comprensibilità.

È inevitabile, tirate fuori queste parole, che tornino alla mente i pensieri del Maestro Gualtiero Marchesi. Ne La mia via, la tesi presentata in occasione della Laurea Hono ris causa in Scienze Gastronomiche, con seguita nel 2012 all’Università di Parma, scriveva:

“Nella cucina e nella gastronomia la bel lezza dev’essere buona e l’interpretazio ne non deve distruggere, ma valorizzare la materia. Mai come oggi bisogna rida re alle cose il gusto che hanno pur acco gliendo la cucina e la gastronomia nelle quali vige la pratica dell’artefare il natu rale non tanto nel senso di produrre ciò che non vi è in natura, ma in quello di “fare arte”. La cucina e la gastronomia cosa sono se non arte, nel senso più ampio, profondo e vero del termine? Arte è sinonimo di bellezza”. Dopo aver parlato con alcuni ristoratori impe

FARE RISTORAZIONE
Autrice: Giulia
26 | novembre 2022
Scampi Liguri di Luigi Taglienti. Foto: Fausto Mazza Studio

gnati in in questo particolarissimo intreccio tra arte, cultura e cucina mi rendo conto che i loro progetti denotano le stesse analogie raccontate da Marchesi: la ricerca di semplicità, il valore della bellezza, la fruibilità dell’arte e della cucina. Li vediamo in sieme.

Elena Paci e Angiolo Barni al Centro Pecci

Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato è un luogo che meriterebbe molta più fama. Si tratta di una struttura particolarissima, che ricorda un’astronave, composta da due parti: una progettata negli anni Ottanta dall’architetto Italo Gamberini, l’al tra ideata dallo studio Maurice Nio / NIO architecten di Rotterdam. È un centro polifunzionale che ospita attività di raccolta e valorizzazione di opere con temporanee e i cui spazi possono anche essere affit tati per altri eventi o esposizioni. La ristrutturazione si è conclusa nel 2016 e, in concomitanza, Elena Paci e Angiolo Barni, compagni anche nella vita privata,

hanno aperto al suo interno, in un’ala dedicata, il ri storante gastronomico Myo. “È un nome che hanno fortemente voluto i nostri figli. Myo, nella cultura orientale, esprime un concetto di me raviglia e di vita. Come l’arte. Noi non siamo qui per caso: l’arte ci ha sempre colpiti, attratti, e svolgere il nostro lavoro a contatto con l’arte è bello e stimolante” ci racconta Elena Paci che in Myo è responsabile di sala, sommelier e si occupa di tutta la parte gestionale. Ne abbiamo approfittato, a questo punto, per chiederle cosa significhi per lei l’arte. “Bellezza prima di tutto. L’arte è bellezza. Poi direi che è un modo per rispecchiarsi, o ritrovarsi. L’arte può essere anche un elemento di aiuto. È uno spazio di sogni”. Il legame con l’espressione artistica diventa, al Myo, non solo ideale, anche materico. Da quando hanno aperto, infatti, il menu riporta alcune opere per rimar care la connessione con il luogo ospitante. In quanto alla cucina, sono due le possibili strade gastronomi che, cioè a la carta o a degustazione, ma unica è l’i dea di fondo: dare al cliente piatti comprensibili, che si rifanno alla tradizione ma trasferiscono anche un pensiero personale. Angiolo utilizza materie prime lo cali, molte coltivate in regime biologico o biodinamico nell’orto di proprietà, e crede nella regola del ‘senza eccessi’.

“Nessun eccesso, mentre la sinergia con il contesto è fondamentale” sottolinea Elena, aggiungendo: “Il Cen tro Pecci può crescere molto, diventare sempre più meta anche per il pubblico straniero. Ci auguriamo che ci sia una crescita costante di visitatori e che anche il Myo con la sua proposta possa dare il suo contributo”.

Elena Paci e Angiolo Barni Gli interni di Myo
27| novembre 2022
Il centro Pecci di Prato

Luigi Taglienti a Piacenza, un nuovo progetto Se si vuole cogliere il valore dall’incontro tra arte, cul tura e ristorazione, non si può non interpellare Lui gi Taglienti, dalla scorsa estate dedito ad un nuovo ambizioso progetto a Piacenza. IO, questo il nome del ristorante, nasce dal recupero della falegnameria an nessa alla chiesa sconsacrata di Sant’Agostino, luogo molto sentito dai piacentini, che si allunga, nel perio do estivo, anche su un affascinante cortile. È un posto dal patrimonio storico notevole, unico per atmosfera e architettura, che si incrocia ulteriormente all’arte grazie a Volumnia, l’esposizione dedicata al design storico italiano diretta e curata da Enrica De Micheli. “Il ristorante, Volumnia e il luogo in cui ci troviamo viag giano su piani autonomi ma paralleli, legandosi in molte affinità. La prima riguarda la ricerca: da un lato Enrica con i suoi straordinari pezzi di design storico, dall’altro il nostro progetto di ristorazione che si basa sull’interpreta zione della cucina italiana, attualizzandola attraverso una visione personale. Il tutto in un contesto di bellezza assolu ta, che riempie gli occhi di chi gli fa visita e di chi ci lavora” spiega Taglienti.

Ci tiene, dunque, ad approfondire la particolarità del

rapporto arte-cucina.

“Arte e cucina unendosi danno vita ad un nuovo format di accoglienza e ristorazione. Penso che in realtà si tratti di una genesi spontanea: è difficile che se si parla di bellezza e cultura non si voglia allungare il passo sulla cucina. Così come la cucina ha netti rimandi all’arte, alla bellezza”.

Dopo aver visitato la mostra è spontaneo che molti de cidano di fermarsi a pranzo o a cena; o, viceversa, che si decida di visitare la mostra dopo aver apprezzato la cucina di Taglienti. La proposta gastronomica, un po’ come lo sono le esposizioni artistiche, conferisce totale libertà all’ospite: si può scegliere da un menu a la carta oppure affidarsi al menu degustazione. L’ita lianità, però, è il centro. “Abbiamo pensato a una cucina italiana più schietta, non banale, che racconti il mio percorso professionale at traverso la mia interpretazione, ma rimanga comunque sia, di facile lettura per l’ospite che si siede alla nostra tavola. La démarche è di rendere attuale la memoria gustativa e il patrimonio gastronomico italiano. Credo fortemente che proporre in carta una lasagna o un filetto alla salsa Rossini sia per un cuoco un banco di prova notevole. Questa sin dall’inizio ci è sembrata la

28 | novembre 2022
Luigi Taglienti. Foto: Fausto Mazza Studio Vista della cupola e del presbiterio dalla navata centrale. Foto: Fausto Mazza Studio

strada giusta per entrare in sintonia con la meraviglia che ci circonda. Nella semplicità… la bellezza”.

L’esperienza di Stefano Cerveni

La Triennale è uno dei perni culturali del capoluogo lombardo. Qui “accadono” settimanalmente le cose: mostre, eventi e convegni che abbracciano l’arte, la moda, il design, il cinema… La versatilità di questo luogo, trasferitosi a Milano nel 1933 (dieci anni prima è stata fondata a Monza), è uno degli elementi da tene re subito in considerazione,. Lo sa bene Stefano Cerveni, chef bresciano titolare del ristorante Due Colombe, che dal 2015 si occupa del comparto food per gli spazi di ristorazione della Triennale.

Da poco, per cambio stagionale, hanno chiuso Caffè in Giardino - uno spazio verde davvero incantevole, attiguo allo stabile, aperto a pranzo e a cena - e at tualmente la proposta di ristorazione della Triennale è concentrata su Design Cafè

“Lavorare in un museo, in un teatro o in una mostra, richiede un impianto completamente diverso, dire quasi opposto rispetto alla ristorazione tradizionale. Innanzi tutto bisogna essere reattivi, capaci di recepire gli stimo li e di lasciare andare alcune abitudini da ristorazione classica” - spiega subito Cerveni.

“I tempi, i modi, le scelte sono diverse. Vi faccio l’esem pio pratico: chi vuole fare sosta in un luogo come questo difficilmente ordina più di due piatti. Con tutta probabi lità dopo aver già impiegato molta concentrazione nella visita non ha voglia di impegnarsi mentalmente anche a tavola. Vuole qualcosa di buono, accomodante, con una porzione giusta, soddisfacente, a un prezzo accessibile. L’altra considerazione necessaria riguarda il servizio:

deve essere veloce, anch’esso reattivo, non macchinoso né lezioso. In altre parole ‘dinamico”. Sottolineavamo prima la versatilità della Triennale di Milano, una struttura che si modula in funzione dell’e vento ospitante. E, anche di questo, la ristorazione deve tener conto.

“Da quando lavoro per la Triennale ho capito che flessi bilità qui è la parola chiave. Flessibilità nei piatti pro posti, negli orari di apertura, nella modalità di gestione delle richieste degli ospiti. Il menu cambia ogni mese. Accoglie le fondamenta della tradizione come il risotto alla Milanese, i ravioli del plin, il baccalà alla venezia na ma anche svariate proposte per vegetariani o vegani. A volte proponiamo dei piatti speciali per accompagnare alcuni eventi”.

Non siamo i primi a parlare di ristorazione all’interno di musei, gallerie d’arte e luoghi di grande valenza sto rica e culturale. Ed è importante che si faccia, che se ne parli. Investire in questo dialogo può garantirci una grande riconoscibilità, anche a livello interna zionale, e aiutarci a promuovere forme di bellezza pressoché inarrivabili.

Stefano Cerveni
29| novembre 2022
Gli interni di Design Cafè

Una crociera al saporedi cioccolato

La speciale settimana dei 7 vizi capitali su Costa Toscana

Quante volte diciamo a noi stessi di avere bisogno di staccare e in automatico pensiamo a soluzioni estre me, assolutamente contrapposte a quello che stiamo vivendo, come la classica isola sperduta, nel senso di luogo di silenzio e pace assoluti, senza considerare però che in quelle situazioni i pensieri andrebbero con ogni probabilità amplificandosi!

Avete mai pensato invece di andare in crociera, ossia calarvi in una dimensione altra rispetto a quella della terraferma? Comunque la si prenda, qualunque preferenza si abbia, il risultato è assicurato: lì si vive il qui ed ora di una vita parallela, sgravata dello zaino che quotidianamente ci portiamo appresso. Sarà che la nuova dimensione ha le sue regole che ci chiedono di imparare in fretta, saranno le non po che distrazioni a portata di mano ogni volta che lo vogliamo come pure gli spazi di intimità assoluta con il mare, fatto sta che non appena si mette piede sulla nave ci si sintonizza su quella frequenza.

È una full immersion sul cioccolato di un’intera settimana, che ci ha portato sulla rotta di Costa Toscana, la nave ammiraglia di Costa Crociere, con all’attivo nemmeno un anno di vita e quindi nuo vissima. Una crociera speciale, realizzata in collaborazione con Barry Callebaut, leader mondiale nella realizzazione di prodotti a base di cacao e cioccolato di alta qualità, a potenziare un’offerta talmente ampia da essere certi di non annoiarsi. Un’esperienza che fuoriesce dai canoni di vacanza tradizionale, non immaginabile finché non la si sperimenta. Per questo intendiamo darne qualche spaccato.

EVENTI
30 | novembre 2022
Costa Toscana

Ritratto di Costa Toscana

Iniziamo col dire che questa nave di ultima generazione, a cui sono state applicate soluzioni sostenibili e concetti di di economia circolare, è lunga 337 mt, si sviluppa su ben 17 ponti (così vengono chiamati i piani) e può arri vare a contenere fino a 6730 passeggeri. È quindi imma ginabile come possa essere l’approccio per chi vi mette piede per la prima volta, pur avendo avuto già da terra la possibilità di raccogliere informazioni utili, grazie ad una app scaricabile e consultabile anticipatamente, e pur ri cevendo all’arrivo indicazioni del caso e cartina illustrata per orientarsi, giusto nella fase iniziale.

Individuata la propria cabina si tratta di trovare la prime coordinate: in che parte della nave ci si trova tra prua, corpo centrale e poppa e quali sono i tre ponti dove si concentrano bar, ristoranti, negozi e i due dedicati al be nessere e alle attività sportive. A poco a poco si impara a

Ibiza, Valencia e Marsiglia. All’arrivo ad ogni porto la possibilità di aderire a tuor tematici organizzati o sempli cemente di usufruire della navetta messa a disposizione per una visita in autonomia alle città toccate. Inframezzo a queste tappe la proposta di Costa Toscana di un programma ricchissimo e ogni giorno diverso, co municato sull’informativa “Oggi a bordo” dove trovare tutte le iniziative della giornata, tra attività, spettacoli – il cui cuore è in uno spazio al centro della nuova ammira glia, dislocato su tre ponti – e pure feste in discoteca per gli appassionati. Le distrazioni sono talmente tante che in quella “bolla in mezzo al mare con tutti i confort” i pensieri svaniscono e la testa si svuota incredibilmente.

La valenza del cibo nella scelta di una crociera È tuttavia innegabile che, oggi come oggi, l’esperienza gastronomica rappresenti un momento estremamente importante per migliaia di ospiti in vacanza. E qui vogliamo soffermare il nostro sguardo, per com prendere l’organizzazione di cucine che devono lavora re sulla quantità (dicevamo che la massima capienza è di 6730 passeggeri) e che riescono a standardizzare la qualità dei propri piatti, come abbiamo sperimentato noi stessi.

Ne parliamo con Marco Refrigeri, Food & Beverage di rector - che ha il compito - in sintonia con l’Hotel direc tor - di armonizzare, meglio, eliminare i gap che emer gono nel comparto -, il quale ci informa che sono 245 le persone che lavorano per tutte le cucine della nave (incluso ristoranti a pagamento e per l’equipaggio).

muoversi e soprattutto a individuare i propri punti fermi, continuando ogni giorno a fare nuove scoperte, in un’e splorazione che sembra non avere fine. E per fortuna, così non si conosce la parola noia!

Sulla nave si sale leggeri, perché i bagagli vengono ri tirati al porto all’arrivo e recapitati direttamente nella cabina assegnata, e pure ci si muove leggeri. La stessa card che dà accesso alla camera rappresenterà l’unico “documento” da portare con sé, con funzione anche di “portafoglio” dove caricare contanti o agganciare la pro pria carta di credito, per quegli acquisti non previsti nel pacchetto.

Senza dover spostare la propria valigia, si farà tappa nel le diverse città in programma secondo l’itinerario, che in questo caso prevedeva una settimana nel Mediterraneo occidentale alla scoperta di Civitavecchia/Roma, Napoli,

La valorizzazione delle migliori tradizioni d’Italia nei menù e il privilegiare il rifornimento del cibo fresco (frutta, verdura, pesce) acquistandolo dove possibile nei porti di scalo, rappresenta certamente la scelta prio ritaria di Costa Crociere, che è pure attenta a valorizza re sapori e gusti internazionali delle terre che incontra. C’è un altro aspetto che ci ha fatto piacere conoscere ed è un progetto antispreco, piuttosto strutturato e attivo già da anni, che passa attraverso la quantificazione del la produzione degli scarti in tutte le fasi di preparazione per attivare azioni di miglioramento, la sensibilizzazio ne dei passeggeri al consumo responsabile e il recupero e la gestione delle eccedenze alimentari, ossia dei pasti non serviti a bordo, in accordo con il Banco Alimentare. Azioni concrete, non indifferenti, che hanno visto nel corso del tempo il coinvolgimento di più partner. Insieme a Marco Refrigeri abbiamo visitato le cucine immense, per molti aspetti all’avanguardia e strabilian ti per l’organizzazione. Qui le ricette sono tutte codifi cate, per garantire una qualità costante, e pure l’esteti ca dei piatti deve rispettare un modello ben preciso, con tanto di prove campione. Per riuscire in tutto questo si lavora, a turni, 24 ore al giorno.

31| novembre 2022

Il risultato è che i piatti arrivano in tavola caldi, ben presentati e ben cucinati. Tutto questo su una nave in mezzo al mare, con un carico di persone equivalente a un paese. La prova del nove è il piatto più semplice (perché gli altri hanno il coraggio di essere più elabo rati): gli spaghetti al pomodoro con bottarga. Cottura perfetta, pomodoro senza punte di acidità, quindi otti ma scelta di prodotto, calibrato nella giusta quantità per avvolgervi bene la pasta. Un tuffo al cuore inaspet tato.

C’è poi la possibilità di sperimentare, fuori dal pac chetto, ristoranti tematici, se si vuole fare altre esperienze, dalla pizzeria Pummid’Oro, al Sushi no al Teppanyaki fino al ristorante per eccellenza, Archipelago, concepito sotto la guida esperta di tre chef stellati di calibro mondiale: Bruno Barbieri, Hélène Darroz e Ángel León. Tre i menù proposti, uno per chef, che contemplano ciascuno cinque piatti pensati per esplorare quella parte di mare che si sta navigando e una diversa storia di sostenibilità, moti vo ispiratore di questo luogo che per ambientazione, servizio e particolarità dei piatti ha tutti i crismi di uno stellato.

Riccardo Bellaera e

La punta di diamante:

la

sua concezione di Alta Pasticceria

Entrato in Costa Crociere nel 2012, Riccardo Bellae ra, in qualità di Corporate Chef Pastry & Baker di Costa Crociere, ossia di colui che detta la linea di pasticceria, pane e pizza non solo su Costa Toscana ma sull’intera flotta della compagnia, ha letteralmente rivoluzionato il mondo della pasticceria di bordo, che per molti anni è stato basico.

Un progetto ambiziosissimo - partito una decina di anni fa e oggi riuscito - supportato da Iginio Massari, suo mentore - di innestare la qualità, l’estremo rigore, in un certo senso il perfezionismo dell’Alta Pasticceria, sulla quantità, in direzione di una specializzazione: il dessert al piatto.

Già allievo del Maestro nella prima fase del suo percorso lavorativo, lo ha ritrovato in occasione delle collaborazio ni di Costa con CAST Alimenti, e ne ha seguito le orme introducendo materie prime di assoluta qualità (e quindi ricercando aziende fornitrici di primissimo livel lo), chiedendo di investire in alta tecnologia (nel labora torio di pasticceria di Costa Toscana sono presenti 2Qbo, dressatrici, temperatrici e due macchine per il taglio ad

Riccardo Bellaera Il Dessert Lussuria di Riccardo Bellaera La Pizzeria Pummid’Oro

acqua) e nella

formazione del personale

.

Nel 2019 è stato selezionato dallo stesso Iginio Massari tra i primi 20 chef di avanguardia nel mondo della pastic ceria internazionale. Questo è Riccardo Bellaera, perspi cace, puntuale, rigoroso nel suo mestiere, instancabile ricercatore di equilibrio fra croccantezza, morbidezza e acidità nei suoi dessert, eccelsi, che finiscono per restitu ire un bella immagine della sua stessa persona. Provate a pensare di avere, lungo tutta la durata del viag gio, l’opportunità di concedervi simili dessert che non vi capita così spesso di assaggiare, se non quando andate in un certo ristorante o in una certa pasticceria, e di po ter scegliere quale ogni giorno. Se vi state chiedendo se questo sia il paradiso dei golosi la risposta è sì. Difficile trattenersi a fronte di certe tentazioni!

La settimana del cioccolato.

Tema: i sette vizi capitali

Ci mancava solo che nell’arco di quest’anno venissero programmate quattro crociere speciali dedicate all’Al ta Pasticceria, come la settimana del cioccolato, che ha avuto luogo a inizio ottobre in collaborazione con Barry Callebaut, leader mondiale nella realizzazione di prodot ti a base di cacao e cioccolato di alta qualità e partner di Costa Crociere da tempo che, forte delle sue 24 Cho colate Academy distribuite in tutto il mondo, ha potuto dispiegare le proprie carte migliori.

Dalla stretta collaborazione fra Riccardo Bellaera e Al berto Simionato, direttore della Chocolate Academy di Milano, sono emersi infatti i nomi di 7 protagonisti di fama mondiale per questo viaggio nel gusto, provenienti da diversi Paesi (Philippe Bertrand , Carmelo Sciampa gna, Antonia Mayunke., Loretta Fanella, Ramon Morato e naturalmente Riccardo Bellaera e Alberto Simionato), che hanno incontrato i passeggeri, svelato qualche segreto e presentato il dessert, dedicato a ciascuno dei vizi capitali, da loro appositamente studiato per la cena. Notevole sco

perta di un nuovo cioccolato con il cremoso presentato da Antonia Mayunke, direttrice dell’Academy di Colonia, realizzato con Ruby - il cioccolato rosa con sentori di frutti di bosco - ribes nero e meringa al lampone. Ad ogni incontro, abilmente condotto dalla professiona lissima Irene Colombo, l’assaggio di un gusto di gelato diverso, a tema cioccolato, preparato per l’occorrenza dalla gelateria della nave, la gelateria Amarillo. Il più sorprendente quello realizzato con la polpa del frutto del cacao, un sorbetto molto fresco e delicato, con una leggera e piacevole acidità, tipico dei frutti esotici (come il cacao), nato proprio nella Chocolate Academy di Milano.

Le stesse cucine della nave, nell’intento di onorare il cioc colato, si sono allineate al tema ispiratore - sotto la guida di Antonio Brizzi – Corporate Executive Chef della flotta Costa Crociere - proponendo, sempre ogni giorno, un pri mo o un secondo a base di cioccolato da scegliere nel già ampio menù, come pure i bar (e sono ben 19 sulla nave!) hanno studiato un cocktail a tema.

A completare l’offerta una serie di attività (degustazioni di cioccolato fuso e pure trattamenti al cioccolato nella SPA...) studiate per l’occorrenza. Sentirsi viziati e felici di esserlo, senza nemmeno fare lo sforzo di mettersi alla ricerca di qualcosa di buono, come di solito accade, rappresenterà, se viene il caso, anche l’ottavo dei vizi capitali, ma se tutto si circoscrive all’ar co temporale di una settimana non vale neanche la pena farsi problemi!

Gli studi dicono che il cioccolato, quello fondente in par ticolare, infonda buonumore.

La settimana del cioccolato ha fatto di più, ha regalato a tutti i passeggeri conoscenza, professionisti veri a porta ta di parola e raffinatezze difficili da dimenticare. Ora sapete che, volendo, ci sono anche le crociere speciali e avete qualche elemento in più per scegliere e valutare se questa è l’esperienza che può fare per voi!

da sinistra Alberto Simionato, Riccardo Bellaera e Irene Colombo

Marco Cicchelli, questo è il momento in cui è indispensabile lavorare bene

Il restaurant manager di Locanda Perbellini ai Beati ci racconta la sua visione della sala

Marco Cicchelli è ancora molto giovane, si è diplomato all’alberghiero di Stresa nel 2008, ma può vantare una carriera solida che oggi lo vede nel ruolo di restaurant manager alla Locanda Perbellini ai Beati, una delle ul time acquisizioni di Giancarlo Perbellini. In questa veste lo abbiamo intervistato e lui ci ha svelato un po’ di cose utili, molto utili, per chi vuole svecchiare la sala di un ristorante.

Raccontaci un po’ di te, dagli esordi post-diploma ad oggi Marco… “Una cosa voglio anticipare prima di parlare di me, un piccolo consiglio per tutti quelli che hanno esperienza di direzione di un ristorante e per tutti i ragazzi che stanno approcciando a questa professione: non incenti vate i ragazzi appena usciti dalla scuola a fare la prima esperienza in un ristorante bi o tristellato. Non fate un buon servizio al mondo della ristorazione perché quei ragazzi partono con la convinzione di essere già arriva ti. E ai ragazzi dico: meglio mille passi in una trattoria per imparare dalle basi, è una condizione necessaria per crescere. Ci tenevo a questa precisazione perché lo vedo tutti i giorni questo problema e l’ho pure provato sulla mia pelle. Perché è sicuramente stimolante lavorare in una sala dove gli ospiti pretendono la bellezza in ogni

cosa, dove ci sono molti stranieri tra questi ospiti e tutto ciò ti permette anche di approfondire la conoscenza di una lingua, indispensabile oggi per chi intende lavorare in sala, però, bisogna conquistarselo quel posto, con im pegno e dedizione, non può arrivare quando ancora non si sa cosa si farà da grandi”.

Un’ottima riflessione la tua: ora spiegaci qual è stato il tuo percorso per arrivare fin qui… “C’era un mio zio che aveva un panificio, a me piaceva stare in quel posto, assaporare il profumo del pane, capir ne le tecniche. Probabilmente è stato quello il motivo che mi ha portato a frequentare la scuola alberghiera con in dirizzo di cucina. Mi sono diplomato a Stresa nel 2008. Il primo anno di scuola ho fatto una stagione al Frà Diavolo, un ristorante in provincia di Varese gestito da una signo ra tedesca, Marion il suo nome, che mi ha dato una prima lezione pratica su cosa significa lavorare in un ristorante. Però la visione di cosa significhi aver a che fare con un ospite l’ho ricevuta dal signor Molinari, al Souvretta di St. Moritz dove sono andato come miglior allievo del ter zo anno. Da lì il Forte Village in Sardegna il quarto anno e, appena terminati gli studi sono stato assunto alla Casa degli Spiriti sul Lago di Garda. Ho lasciato il ristorante nell’anno in cui prendeva la stella Michelin per venire a

IN
SALA
34 | novembre 2022
Foto: Arturo Rinaldi e Marco Didonato

lavorare con Giancarlo Perbellini, con cui è nata da su bito un’autentica amicizia e, anche se poi ho cambiato ancora, per me lui è sempre stato il punto di riferimento. Ho lavorato, nel 2017, al Dopolavoro a Venezia sotto la sua direzione, dove sono diventato restaurant manager, poi ai Quadri dei fratelli Alaimo e alcuni mesi alle Calan dre, il tre stelle degli Alaimo. Lì sono passato dal ruolo di restaurant manager sotto la direzione di Perbellini a porta-vassoi, ma l’ho fatto consapevolmente, per acqui sire ancora esperienza. Fino al 2021 quando Perbellini assume la gestione dei Beati, a Garda, un locale storico del lago che, in un solo anno, abbiamo letteralmente ri voluzionato! Qui sono ritornato al mio ruolo di restaurant manager”

Infatti i Beati appare come un luogo di delizie non appena si parcheggia e si rivela tale quando si entra. Qual è stata la strategia e l’obiettivo che vi siete posti? “Cominciamo dal cambio parziale del nome che è diven tato Locanda Perbellini ai Beati. Con il nome di Perbellini abbiamo dato la prima sferzata creando la percezione immediata che qui si mangia bene di certo. Poi la sen sazione di essere in una casa accogliente; i lavori di ri strutturazione, soprattutto della terrazza da cui si vede il panorama lacustre, sono stati eseguiti con notevole maestria e il risultato sono le persone che si dilungano tantissimo nel nostro locale. La pandemia ha lasciato, ancora oggi, un certo timore a venire al ristorante: noi dobbiamo aiutare gli ospiti a superarla e il modo migliore è creare un ambiente positivo, luminoso, dove si è accolti con professionalità ma soprattutto con un atteggiamento di amicizia. Ci si deve fidare di noi, questa è la scommes sa più importante che dobbiamo vincere: nei momenti di instabilità, come quelli che ancora stiamo vivendo come società, la fiducia è la migliore delle cure! L’ospite, da noi, deve trovare semplicità, nei piatti, nelle persone, una semplicità vera, non fittizia. Solo in questo modo riuscirà a vivere I Beati come un’esperienza. E la parte più intri gante del nostro lavoro è veder cambiare gli atteggiamen ti degli ospiti sotto i nostri occhi. In questo ci è d’aiuto sia la carta che il menu degustazione; lo consideriamo come se si andasse a casa di amici a cena. In quel caso nessun ospite chiederebbe cosa offre il menu!”

In sala sappiamo che ci sono problemi, in quasi tutte le sale dei ristoranti, perché è passato il concetto sba gliato di un mestiere che si riduce a portapiatti: come si fa a rendere nuovamente attrattiva la professione di sala secondo te?

“La formula probabilmente non ce l’ha neppure un mago. In più si aggiunge la carenza di personale che si è manifestata con l’effetto Covid. Però spetta a tutti noi, manager e titolari di servizi di ristorazione, dare rispo ste efficaci a questo che altrimenti rischia di diventare il problema più grande per il nostro settore. Le prime ri

35| novembre 2022
Marco Cicchelli

sposte che mi vengono in mente e che stiamo mettendo in pratica, come azienda Perbellini, riguardano gli orari e il tempo libero. Nel locale che Giancarlo aprirà a Milano tra breve i giorni di chiusura sono sabato e domenica. La seconda risposta risiede nel realizzare la doppia brigata, ma questa cosa è possibile solo con un intervento che riveda la fiscalità delle aziende: un cameriere al ristora tore costa quasi tremila euro al mese, ma in tasca gliele vanno meno della metà. Non sarebbe meglio poterli pa gare di più? Il concetto di portapiatti; c’è sempre stato, ma prima c’era una professionalità che distingueva il settore e che era rispettata anche dal cliente. Ora ci sono clienti nei ristoranti che trattano i camerieri come pezze da piedi, ma se venisse trattato in quel modo nell’ambito del suo lavoro il cliente in questione come reagirebbe? C’è troppa cattiveria oggi nelle persone! Cosa chiedo ai ragazzi che lavorano con noi? Passione, passione, passio

ne! Con la passione si possono cambiare molte cose, ci si rende conto più velocemente che fare un servizio di sala è come aprire un’enciclopedia, conoscere un sacco di persone, scoprire il mondo senza viaggiarlo. A loro chiedo di esprimere tutto quello che hanno dentro, tutte le idee che gli frullano in testa perché è con il confronto che si cresce”.

Come vedi il futuro della ristorazione in Italia? “Sono convinto che tanta gente che ha lasciato in que sti mesi tornerà, perché se hai passione questo rimane il lavoro più bello del mondo. Questo è il momento in cui è indispensabile lavorare bene: ci sarà una selezio ne naturale e quelli che oggi lavorano bene saranno premiati. E poi è necessario un ritorno alla semplicità nel piatto, al ristorante non bisogna essere intellettua li ad ogni costo”.

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Mantova, due volti e un’unica

identità

Circondata dall’acqua, ricca di opere d’arte, Mantova è l’antica terra dei Gonzaga e ne tramanda la storia, il retaggio e la cultura culinaria, che non dimentica ma proietta nel futuro

Una gastronomia prettamente padana, con qualche influsso veneto ed emiliano, fatta di condimenti generosi e salumi intensi, addol cita da prelibatezze come la zucca, accompa gnata da vini schietti. La cucina mantovana presenta un profilo morbido, un mosaico di sa pori che nascono dalla campagna e si trasfor mano in specialità dall’identità ben delineata: i tortelli di zucca, la mostarda di mele, solo per citarne alcuni. L’abbraccio dei laghi ha protetto Mantova, è ancora l’antica capitale dei Gonzaga e lo scor rere del tempo non sembra averla scalfita. L’impronta della dinastia è ben evidente: pare che ai piaceri della vista - e le opere d’arte e l’architettura ne sono l’esempio – affiancasse ro quelli del gusto, lasciando ai posteri ricette ineguagliabili come i risotti, le paste ripiene, le carni saporite. Non dimentichiamo che le prime coltivazioni di riso nella zona risalgono al periodo di Federico II Gonzaga, nella prima metà del 1500. L’attribuzione di Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ottenuto nel 2008, è espressione e testimonianza di un tessuto urbano che conserva le sue caratteristiche e la sua cultura. Qualcosa si muove, in sordina, in questo panorama apparentemente integro; nuove aspirazioni, stili che mirano a intraprendere itinerari inesplorati. È una Mantova giovane che avanza, nel rispetto del retaggio ma in cerca di espressione, cresce e si afferma.

La tradizione si respira, si gusta e si vive Chi entra a Il Cigno, Trattoria dei Martini, si immerge nella storia di Mantova. Qui, tra le mura cin quecentesche di una dimora nobiliare, si può respirare la Mantova dei Gonzaga, essere circondati dalla familiarità confortante di un’ospitalità matura e raffinata che non punta all’apparenza ma vive dell’in canto e del fascino rassicurante della concretezza.

Gaetano Martini e sua moglie Alessandra sono i custodi di un passato glorioso che incanta e accoglie, e lo mantengono vivo e vibrante.

“Viviamo in un luogo magico che mi piace definire ‘approdo gustoso’ – racconta Tano Martini – e vogliamo preservarne i valori e trasmetterli ai nostri ospiti. È questo che cercano quando vengono da noi e li accontentiamo. Non so come si interfacciano col resto del mondo i miei colleghi ristoratori, so che io amo conservare la cucina di tradizione integra delle sue caratteristiche perché credo che ciò sia importante”.

FARE RISTORAZIONE
38 | novembre 2022

Il Cigno è il tempio della tradizione mantovana. Lo è per ché i Martini la conoscono bene e sanno come trasmet terla.

“Mantova è una città molto legata alla sua tradizione e alla sua cultura – spiega Martini - e la cucina mantovana ha radici antiche che, per poterle replicare, vanno inter pretate correttamente. Ci provano in tanti ma non sono sicuro che tutti sappiano esattamente cosa significhi co municare la storia di un piatto. La cucina di tradizione bisogna saperla fare, non basta utilizzare materie prime del posto, è solo metà del lavoro; e non basta riprodurre una ricetta, bisogna riprodurla esattamente rispettando ne l’identità. È evidente che oggi non si cucina più come 40 anni fa, ci sono metodi diversi perché ci sono diverse esigenze, ma è importante saper trasmettere l’identità del piatto rendendolo riconoscibile; lo puoi aggiornare ma devi mantenere la sua identità”. Eppure non è soltanto il menù ad attrarre gli ospiti de Il Cigno. È l’atmosfera che si respira, rassicurante, pa cata. E non sono soltanto i tradizionalisti inguaribili a frequentare la tavola di Tano e Alessandra Martini: “I no stri clienti sono tanti e diversi, italiani e stranieri, perché offriamo insieme alla classicità la stabilità, quella sicu rezza che tranquillizza, che placa e conforta. Il cliente da noi viene perché è riconosciuto dal cameriere – che non cambia continuamente ma è con noi da anni – e conosce il suo nome, i suoi gusti. Il cliente ritrova nel menù, sem pre uguale se non nella stagionalità, quella tranquillità che è data dalla conoscenza. Non ci sono sorprese, non ci sono insicurezze o stranezze. Trasmettiamo, insieme a sapori e gusti ben noti, la rassicurazione calda e confor tante di sentirsi a casa. La buona cucina è anche questo: ospitalità”.

Mantova è così, come i tortelli di zucca di Tano Martini,

una vera icona; come il suo piatto più famoso, l’insalata di cappone, ricetta storica di Bartolomeo Stefani, celebre cuoco alla corte dei  Gonzaga durante il Rinascimento, che Martini scovò in un antico testo e decise di riprodurre esattamente. Mantova è un caldo abbraccio.

Il nuovo che avanza non calpesta ma percorre la via tracciata

Una scelta nata per caso, un locale che valorizza il luogo dove si trova, un giovane chef che propone una visione nuova e stimolante nel rispetto della tradizione. France sco Zamboni, poco più che ventenne, torna nella natia Mantova dopo aver cercato la sua strada altrove. Un po’ per scelta – non mi piaceva lavorare a Milano – un po’ per casualità – il covid mi aveva lasciato di fatto senza lavoro – ma anche per caso, poiché in quel periodo si era reso disponibile un locale in pieno centro storico, alle spalle della basilica di Sant’Andrea, apre Laboratorio, cocktail bar e ristorante innovativo. A Mantova arriva un nuovo tipo di ristorazione e conquista. È l’altra faccia di una città apparentemente assopita; è quell’impulso che indirizza verso il futuro, perché non può esserci innovazione senza tradizione e la via è tracciata, basta saperla percorrere. “Vengo da una famiglia di ristoratori – racconta France sco – mio padre ha un ristorante tradizionale da molti

Tano e Alessandra Martini
39| novembre 2022
Una sala de Il Cigno

anni, La Cucina, e sono cresciuto con l’idea di continuare questo mestiere. Il locale in piazza Alberti si è presenta to come un’occasione da non perdere. In pieno periodo covid ho voluto seguire il mio istinto e, quasi per gioco, l’ho rilevato dandogli un’impostazione un po’ insolita per il contesto: un cocktail bar con cucina a cui ho dato nome Laboratorio perché, per me, rappresenta un esperimen to, in cui credo, una formula che mancava a Mantova e che ha incontrato il favore del pubblico”.

In una città dove il 90% della ristorazione è tradizio nale, l’8% etnica, restava quell’1% che oggi si identifi ca col Laboratorio di Francesco Zamboni

Spiega Francesco: “Il cliente mantovano punta sulla tra dizione; è legato alla tipicità e non ha, in genere, un buon rapporto con le novità, che sfugge. Mantova è una città bellissima ma chiusa e, proprio per questo, ho intuito che

non avrei avuto concorrenza, valeva la pena di provare. La piazza, ristrutturata da poco è un sogno, e Laboratorio ci sta proprio bene”.

Francesco Zamboni ha risvegliato l’attenzione dei man tovani con una filosofia di cucina moderna ma non ec centrica, piuttosto orientata al no spreco e alla naturalità: “Utilizziamo tutta la materia prima, nella sua interezza. Per esempio, la faraona diventa un piatto di petto, uno di coscia, uno di alette; cerco ortaggi di origine biologi ca, molto difficile nel circondario ma non impossibile; i cocktail vengono realizzati utilizzando le tecniche com plesse della cucina e, pertanto, posso proporre marinatu re, estratti, sottovuoto: facciamo un cocktail di kombucha, un tipo di fermentazione. Insomma, cerchiamo di portare un soffio di novità creando una collaborazione ideale tra cucina, sala e bar. Il locale si chiama Laboratorio anche per questo”.

Pochi ingredienti costituiscono la base delle ricette, uno diventa il protagonista e identifica il piatto, sempre in un’ottica ideale di no allo spreco; piuttosto con l’intento di stupire, coinvolgere l’ospite senza esagerazioni. Sono piatti equilibrati, mai scontati.

Francesco Zamboni ha infranto il muro della tradizione e vi è riuscito perché non ha forzato la mano; quella mano, l’ha presa e accompagnata dolcemente verso una zona confortevole e costruttiva. Conclude Zamboni: “Giovani e meno giovani hanno capito. Sono persone che rispettano, come me, la tradizione, ma hanno visto il mondo e ac quisito un’apertura mentale che permette di apprezzare quel pizzico di novità che non stravolge, semmai arric chisce”.

Francesco Zamboni
40 | novembre 2022
Gli interni di Laboratorio
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Premiate Trattorie Italiane tra Grand Tour e buone nuove

Se dovessimo emettere un bollettino medico circa le Premiate Trattorie Italiane diremmo che godo no di un ottimo stato di salute.

Ad un giovane presidente, Federico Malinverno, si è avvicendato un altro giovane presidente, Simone Circella; la compagine associativa sta crescendo con solidità e il recente evento annuale, ospitato e impeccabilmente organizzato da uno dei soci, Mimmo De Gregorio dello Stuzzichino di Massa Lubrense, è riuscito nel migliore dei modi, mostrando tutta la capacità di coesione di cui il gruppo è capace.

L’hanno denominato Grand Tour delle Premiate Trattorie Italiane, ad evocare quella che nel no stro immaginario è una piacevole dimensione di viaggio e così Mimmo De Gregorio lo ha pensato,

FARE RISTORAZIONE
44 | novembre 2022
Le Premiate Trattorie Italiane

confezionando per i colleghi e i clienti provenienti da tutta Italia una due giorni in quel di Massa Lubrense. A partire dal quotidiano, dove offre esperienze a tutto tondo ai suoi ospiti, che non si limitano a vivere la dimensione enogastronomica in trattoria ma possono accedere al suo orto, l’orto Ghezi con laboratorio atti guo e pure spingersi a scoprire quanto offre il mare e fermarsi qualche giorno in più, approfittando delle camere messe a disposizione, Mimmo De Gregorio ha dato vita all’evento annuale più importante della Premiate Trattorie Italiane. Quest’anno toccava a lui ospitare tutti a casa sua. Era il suo turno.

Un programma ricchissimo che ha trovato un territo rio molto collaborativo, che ha saputo esserci nono stante l’impegno più grande sia spettato a lui. Un viaggio nella bellezza, tra momenti conviviali e vi site volte a mettere in risalto la biodiversità di questa terra, che ha saputo portare una bella energia in un gruppo già affiatato. “Nelle mie intenzioni – racconta Mimmo De Gregorio- attraverso questo evento dove va emergere, in modo ancora più forte, l’identità che ci connota. Ad accomunarci c’è autenticità, tra dizione, famiglia, territorio, qualità... Qualcosa evi dentemente è successo perché mi stanno scrivendo e chiamando diverse trattorie, poco fa anche una dalla Sardegna, che mi chiedono come possono fare doman da di ingresso nelle Premiate Trattorie”.

Entriamo ora nel merito dell’associazione, che dà se gnali di un nuovo vigore, e lo facciamo con il neopresi dente Simone Circella della trattoria La Brinca di Né (GE), insediato da otto mesi.

Un altro giovane alla guida delle Premiate Trattorie italiane. Com’è che sei stato scelto?

“Perché contano sull’energia che corre alla mia età ma più di tutto perché, dal momento che lavoro “solo” in cucina e non ho la responsabilità diretta della gestione del locale di famiglia, posso dedicare più tempo all’as sociazione che, ora come ora, vive tanto dell’impegno e dell’esperienza dei singoli ma deve arrivare a creare una pianificazione più organica. C’è poi tutto l’aspetto relativo alle relazioni, all’importanza di essere presen ti ai diversi momenti che riguardano anche noi, di cui mi chiedono di avere cura”.

Intenti che devono farci pensare a un nuovo corso dell’associazione?

“Il periodo che ci lasciamo alle spalle ci ha scottato nel profondo e ha fatto scattare in noi la volontà di dare un nuovo slancio, un nuovo respiro all’associazione. Basta guardare al fatto che solo nell’arco di quest’anno ci sono stati quattro nuovi ingressi, che è un quarto della base associativa, tutti assolutamente rispondenti a quei principi che da sempre ci ispirano. In questo

senso rimarremo assolutamente fedeli alla linea”. Chi sta pensando di fare domanda di ingresso nell’associazione cosa deve sapere?

“Deve sapere che apprezziamo la candidatura spon tanea, perché implica un’informazione e una consa pevolezza maturata ma soprattutto deve sapere che chiediamo partecipazione. Quest’appartenenza non dev’essere una mera targa sulla porta. Le trattorie che aderiscono all’associazione sono premiate dal tempo, dagli anni, dalla clientela vale a dire operano sotto la stessa gestione da tanti anni, in modo conti nuativo. E questa è una delle condizioni fondamenta li. Ci sono poi regole secondarie cioè che la cucina sia territoriale, di tradizione, che l’insegna rappresenti un riferimento nel territorio, una buona carta dei vini, l’utilizzo del tovagliato e altro ancora, contenuto in un puntuale decalogo, che è un è un po’ come la nostra bibbia. In ogni modo a chi ci inoltra richiesta inviamo un modulo con domande che serve per cono scerci. Il passaggio successivo è quello di far visita alla trattoria per approcciare l’oste e la sua cucina. I nostri clienti hanno imparato a muoversi serenamen te fra gli indirizzi della rete delle Premiate Trattorie e questo è il livello che dobbiamo garantire nelle no stre selezioni”.

Il polso dei clienti, che riempiono numerosi le vostre trattorie, ce l’avete. Dal tuo punto di vista qual è il ruolo della trattoria nell’immaginario degli ita liani?

“Parto da una premessa importante: siamo figli di una generazione in cui la trattoria era considerata un luo

go di convivialità dove andare con la famiglia a fare festa, però aveva come caratteristica importante la possibilità di mangiare tanto e spendere poco, magari non badando alla qualità. Oggi deve essere sempre un luogo di grande convi vialità e condivisione ma anche dove si fa cultura. È questo il messaggio che dovrebbe far passare chi fa comunicazione al popolo dei non addetti, che in tratto ria ci si va a fare un’esperienza e anche ad arricchirsi, venendo a conoscenza -per esempio- di storie di persone e di prodotti di cui nemmeno si sapeva l’esistenza. Quindi, e vado alla domanda che mi è stata posta, per chi ha già fatto questo tipo di percorso la trat toria è il luogo che meglio esprime la cucina italiana, per tutti gli altri dev’essere una scoperta sia dal punto di vi sta enogastronomico che da un punto di vista più alto”.

C’è un’identità ben precisa che avvolge e connota cia scuna delle trattorie che aderiscono a Premiate Tratto rie Italiane, un’identità mai urlata ma sempre coltiva ta singolarmente e poi confluita armonicamente nella base comune.

Dalla nascita ad oggi quest’associazione ha curato tantissimo le fondamenta, senza fare l’errore di voler crescere troppo in fretta, finché non ha raggiunto una sua solidità. Ora è pronta, pronta a crescere, pronta a parlare, pronta a difendere a diritto un’italianità che promuove ogni giorno. È iniziato un nuovo corso per le Premiate Trattorie Ita liane, non perché è cambiata la presidenza ma perché tutti, insieme, hanno capito che il tempo giusto per fare un passo avanti è adesso.

46 | novembre 2022
Simone Circella. Foto di Lido Vannucchi

Il pluripremiato salame di Varzi a firma Angelo Dedomenici

Tutto sta nel rispetto rigoroso di principi senza tempo

Accade, e non è infrequente, che la vita ci imponga la strada da intraprendere, senza darci nemmeno la possibilità di pensarci. E accade anche, con stupore nostro e di chi ci circonda, di scoprirci tagliati per quella stra da, come se l’avessimo scelta.

Questa è la storia di Angelo Dedomenici, maestro salumiere del salumificio artigiana le Dedomenici di Casanova Staffora - nell’ap pennino pavese che è zona di produzione del pregiato salame di Varzi - noto ai migliori palati per i pregiati e pluripremiati salami, frutto di un’antica tradizione tramandata in famiglia dal 1799. Per non parlare di altri salumi di sua esclusiva invenzione, che ha brevettato e che ancora vende nella storica bottega.

Primo di due fratelli, aveva solo 14 anni quando la mamma lo ha messo al corrente che da quel momento sarebbe toccato a lui il mestiere che stava portando avanti suo padre (macellazione e lavorazione dei maiali). “E pensare che – Angelo Dedomenici lo ricorda ancora adesso che a 82 anni è nel pieno della sua attività, più scattante di un ragazzinotra me e mio fratello Francesco il più adat to, guardando alla sua costituzione fisica e alla curiosità che lo animava, sarebbe forse stato lui, che non perdeva occasione per en trare nel macello che avevamo qui a fianco.

Eppure è toccato a me, il primogenito, il più magrolino e meno interessato. Ho lascia to quindi la scuola che stavo frequentando a Voghera e ho iniziato ad affiancare i mei due cugini Emilio e Angelo, che dal nonno avevano imparato l’arte della macellazione e lavorazione delle carni, per poter entrare a

RITRATTI

poco a poco nel mestiere. Ricordo che in quel periodo, essendo che il lavoro non impegnava 365 giorni l’an no, andavo anche un po’ in campagna a curare le viti.

Intanto la mamma mandava avanti la bottega, dove oltre a carne e salumi si è sempre venduto un po’ di tutto. Quella era la bottega della valle”.

A 16 anni arriva la prima esperienza fuori casa, pres so una salumeria di Voghera e a 18 finalmente la pa tente, che consente ad Angelo di avere più contatti con la città. La passione matura lenta in Angelo e pian piano inizia ad emergere con la volontà di approfon dire la sua conoscenza per migliorare la produzione. Intanto si allargano i suoi contatti con albergatori e negozianti, a cui comincia a vendere i salumi. La par tecipazione alla festa del salame di Varzi fa il resto. “In quel periodo - ricorda Angelo Dedomenici - ho scoper to di essere portato per la vendita. Il pubblico gradiva il mio modo di approcciare e dimostrava di apprezzare la qualità del prodotto”. Poi arrivano gli inviti a par tecipare a fiere e manifestazioni enogastronomiche e, visto il successo del prodotto, la decisione di realizzare un sito internet, segnale di grande lungimiranza nei primi anni ’90. Sempre in quel periodo, precisa mente nel 1996, Angelo è parte attiva nella fondazio ne del Consorzio di tutela del salame di Varzi. Ma è solo l’inizio: le soddisfazioni iniziano ad arrivare copiose, fra le altre cose, con gli ottimi piazzamenti, a partire da un primo posto, al Campionato Italiano del salame, nella sezione del salame dolce magro del nord Italia, per non parlare di altri riconoscimenti au torevoli.

Salame pregiato: perché?

Ci sono principi che per Angelo Dedomenici, pro fondo cultore della tradizione, sono irrinunciabili nel

la preparazione dei suoi, è il caso di dirlo, rinomati oltre che pregiati salami e contemplano innanzitutto la scelta del suino di almeno un anno di età e un peso superiore ai 200 kg, rigorosamente allevato in un piccolo borgo dell’Oltrepò Pavese con prodotti na turali (crusca, orzo grano ed erba) e macellato nella zona di produzione (15 comuni dell’Oltrepò Pavese montano della provincia di Pavia). Segue poi la scelta di tutte le parti nobili della sua carne - la coscia, la spalla, il lombo e il filetto - motivo per cui su parla di salame pregiato. Non solo, come indicavano i nonni, ogni salame deve contenere la carne di uno stesso suino. La concia per la preparazione della pasta del salame è fatta solo con sale, pepe, infuso di aglio, vino rosso locale e un pizzico di salnitro. Non ci sono altri conservanti, antiossidanti o additivi. I salami, insaccati a mano (è ai longobardi che si ri conduce la tecnica, poi affinata, di insaccare in budelli animali) stagionano in modo naturale, in cantina, non in celle a stagionatura forzata.

Principi che a un certo punto sono diventati una forma mentis per quest’uomo che opera con estremo rigore in ogni singola fase di preparazione di ciascuna tipo logia di salame che produce: il salame di Varzi Dop e il salame tradizionale Dedomenici, in tre pezzature che abbisognano di diverse stagionature, dalla Filzetta alla Filzettona fino alla specialità del Cucito, per cui l’insaccatura avviene in un doppio budello cucito a mano.

Come si degusta una fetta di salame di Varzi

Nel discorrere con il maestro salumiere ne approfit tiamo per farci rilasciare qualche utile consiglio per valutare noi stessi la qualità di un salame di Varzi,

48 | novembre 2022
Angelo Dedomenici

secondo il gusto degli abitanti della zona.

“Dobbiamo mettere in azione tutti i nostri sensi - si raccomanda Angelo Dedomenici - a partire dal tatto. Prima di affettare il salame verifichiamo se sia, come dev’essere, di media stagionatura, ossia un po’ più che morbido. La fetta dev’essere va tagliata in obliquo, non risultare troppo sottile (5/6 mm, c’è chi dice anche di più: dovrebbe restare in piedi senza cadere) e deve ap parire omogenea, con il 70% di carne magra, di un ros so vivo ben mescolato ad un grasso bianco distribuito (impasto a grana grossa: macinatura con una trafila da 12mm). A quel punto si porta la fetta vicino al naso e si inspira due volte. Il profumo che ne esce dev’essere dolce, gradevole, senza un minimo sentore di rancido. Al palato deve risultare dolce e delicatamente sapido, con quella fragranza tipica di una buona stagionatura in un ambiente come si deve”.

Inventare salumi e brevettarli

Avere una marcia in più non significa fare al me glio, apportando certamente migliorie, il lavoro di chi ci ha preceduto nei secoli e di cui abbiamo raccolto il testimone, ma essere innovativi, avanzare con del nuovo. Del resto la tradizione si disegna proprio così, di generazione in generazione. Innescando quel nuovo che magari diventerà tradizione esso stesso. Così Angelo Dedomenici ci ha sorpreso con diverse invenzioni di altri salumi, così unici e particolari da meritare di essere registrati presso l’Ufficio Marchi e brevetti a Roma. È il caso della Bondiola, coppa di suino fatta macerare, da fresca, dieci giorni nel vino rosso e massaggiata giornalmente; del Salame rosa, un salame “cotto” nobile che non contiene cotenne e grassi tendinei. Altra particolarità è il Filetto delica to, un intero filetto di suino, privato di tutto il grasso e senza spezie ma potremmo parlare anche del Salame senza salnitro e altro ancora.

L’azienda rinnova solo l’immagine, Angelo Dedomenici non cambia

Nel 2019 il salumificio De Domenici rinnova il suo abito, con un restyling dell’immagine e del marchio a cui segue un buon lavoro di comunicazione sui social e pure un e-commerce per l’acquisto di prodotti onli ne, grazie al contributo dei due nipoti di Angelo, Ma nuela ed Alessandro, presenti in modo defilato ma concreto alle dinamiche dell’azienda di famiglia, che conoscono bene. Lo zio Angelo lo descrivono come “un innamorato della Valle Staffora, della sua gente. In ogni cosa che fa o a cui prende parte la sua tensione continua è quella di volerli valorizzare, portare in alto Trova sempre modo di mettere in risalto anche gli altri che, come lui, hanno radici in questa valle. È una persona vulcanica, piena di interessi che coltiva da una vita, ma la sua più grande passione, perché

scelta in totale libertà, è lo sci. Preso il suo brevetto come maestro di sci, ha spesso frequentato Cervinia, ma non ha perso occasione per valorizzare/sostenere un piccolo comprensorio nella zona di Pian del Poggio. Ancora oggi non ha ancora appeso gli sci al chiodo! Lui le passioni le vive in modo molto profondo, totaliz zante. È sempre stato un ballerino, di più, un Pr che organizzava serate. E suona pure, recentemente ha composto una canzone dedicata alla Valle Staffora. Da seriale pluricollezionista quale è, nel 2013 lo zio è riuscito a realizzare il sogno ad inaugurare il Museo del salumiere dove trovare foto, poster, vecchi docu menti, attrezzature curiose come uno dei primi trita carne inventati ma anche ambientazioni storiche del la bottega del salumiere e della cantina. Nel 2017 ha pubblicato Racconto, il contadino e il maslèin dove ripercorre la storia di un mestiere antico “sperando –come si augura lui stesso - che un domani un giovane, magari leggendo proprio questo racconto, possa avere voglia di imparare”.

Ciò che l’uomo produce con le sue mani è l’espressio ne della sua energia, ne ha il sapore, quel particolare sapore. I salumi di Angelo Dedomenici racchiudono tutta la forza di un uomo che ha fatto un patto col tem po e con la sua valle. Un vero atto d’amore capace di partire da quel piccolo paesino di poche anime e arri vare molto lontano.

49| novembre 2022
Salame di Varzi

L’Altopiano di Asiago, una meta in cui addentrarsi

Due maître, Jgor Tessari e Enrico Maglio, ci parlano di questo luogo mite e inconfondibile, sospeso tra due quote, che vale la pena di conoscere a fondo

Ammetto di non essermi stupita troppo quando, alla vista di un quadro dell’artista Marco Ronga, ho vo luto fare la prova del nove chiedendogli quale fosse il paesaggio ritratto. Non c’erano dubbi: si trattava dell’Altopiano di Asiago, in tutta la sua sinuosa e mite particolarità.

Merito della bravura e sensibilità dell’artista, natu ralmente, ma anche della morfologia di questo luogo meraviglioso situato a nord della provincia di Vicenza. Un paesaggio che difficilmente si confonde e che spes so genera una certa malinconia al momento del con gedo. Sì, perché entra dentro con ritmo lento, silenzio so, concedendo accoglienza con le sue malghe, i suoi rifugi, gli straordinari prodotti caseari, gli umori del sottobosco, e tanto altro.

Oltre la cartolina

L’Altopiano di Asiago, o Altopiano dei Sette Comuni, possiede un’unicità intrinseca: non profuma di alta

quota, di collina, e neppure di pianura, ma mostra una prosa tutta sua, originalissima. È fatto di distese verdi che si susseguono disegnando dolci sali e scendi; di abeti, rossi o verdi a seconda del periodo, che spun tano sullo sfondo; di luci naturali che cambiano in un batter d’occhio, scandite dalle nuvole a intermittenza; di mulattiere e malghe che diventano fortunati pun ti di riferimento e di sosta quando si è in cammino; di conche belliche che, pur facendo riaffiorare ferite aperte di una fase storica atroce, generano un bel mo vimento sull’intera scenografia.

Il tutto compone un quadro pressapoco perfetto… ma mai uguale a se stesso: l’altipiano muta di stagione in stagione, giorno in giorno, ora in ora, ospitando colori, sfumature e profondità sempre nuove. C’è un errore però che non si dovrebbe commettere. Fermarsi a questa cartolina, stare fermi all’uscio go dendosi solo il panorama da qualche spiazzo. Nell’Alto piano di Asiago bisogna addentrarsi. Ospita un centro urbano ben organizzato, tante strutture alberghiere,

FARE RISTORAZIONE
Autrice: Giulia Zampieri
50 | novembre 2022
Alpine Hut dell’artista Marco Ronga

ristoranti affermati - di cui due stellati - e agriturismi, che consentono gradevoli soggiorni, ma nasconde doti e angoli che solo chi lo abita riesce a raccontare. Noi abbiamo chiesto a due maître di accompagnarci in questo paesaggio, un po’ come fanno tutti i giorni con i loro clienti.

Jgor Tessari, la Stube Gourmet di Asiago

Chiedere a Jgor Tessari, maître de la Stube Gour met di Asiago dell’Hotel Europa Residence, cos’ha di speciale l’altopiano, è un’impresa. “Tutto!” risponde in prima battuta, con quell’adrenalina che difficilmente si intercetta in chi è nato in una località e ci lavora da otto anni.

“Va bene, provo ad essere più preciso. È un posto in cui si sta bene, mi piace definirla un’isola verde a mille metri d’altezza. Ma c’è modo e modo di stringergli la mano: per capire Asiago bisogna avere una buona pro pensione all’esplorazione, non ci si può fermare al cor so principale della cittadina (che vale comunque sem pre la pena di frequentare, non solo perché c’è il nostro ristorante!). Bisogna addentrarsi nei boschi, intrapren dere i sentieri, puntare alle montagne che nascono ai bordi dell’altopiano. Abbiamo oltre duecento malghe, di cui alcune gestite da giovanissimi. E poi alpeggi, pa scoli, una ricchezza naturale di cui probabilmente non si conosce ancora tutto: ospitiamo una biodiversità che in pochi si immaginano e merita di essere avvicinata”.

L’altipiano Jgor lo conosce bene non solo perché il pa dre è guida alpina, e lui è nato e vive qui, ma anche perché fa esercizio quotidiano. Appena può si immerge nei boschi, ci trascorre del tempo, e lo fa anche il resto della brigata de la Stube: Andrew Lunardi e Fabio Falsetti, dalla scorsa estate alle redini della cucina, e gli altri ragazzi, anche della sala, vanno spesso in avanscoperta per curiosità, ispirazione e piacere. “Essere nati in un territorio - continua Jgor - è sicura mente vantaggioso se lo si vuole raccontare, ma non in dispensabile. La maggior parte dei ragazzi del nostro ri storante non è originaria di Asiago eppure ha sviluppato un grande interesse per queste zone al punto da sentire il bisogno di frequentarle. Prendono e vanno perché vo gliono conoscere l’altopiano. È un po’ quello che accade anche ai nostri clienti: giungono qui per un fine gastro nomico e poi dimostrano interesse anche per tutto ciò che c’è intorno. Per le passeggiate, le attività produttive, i siti museali. Questo genera benessere, piacere, per gli ospiti e in primis per noi. Si parla molto di territorio in un’ottica turistica, ed è importante, ma è fondamentale anche ricordarsi quanto sia importante la piacevolezza di un luogo per la qualità della vita di chi ci lavora”.

A proposito di territorio, negli ultimi mesi la Stube Gourmet ha intrapreso un cambio di passo deciso nel

la proposta. Ce lo racconta. “Territorio è una parola abusata, è vero, ma bisogna ve dere come la si interpreta. Noi stiamo investendo molto in sala e in cucina affinché ci sia un costante scambio tra il mondo interno e quello immediatamente fuori al ristorante. Lo fanno i ragazzi in cucina lavorando sul le erbe, con i prodotti caseari locali, rievocando gli usi popolari, e lo facciamo noi adottando con i clienti un linguaggio che non ha codici ma contenuti. Nell’arco di una cena sono tante le occasioni di racconto del territo rio e non mancano neppure le richieste espresse dagli stessi clienti, curiosi di capire cosa c’è qui attorno”.

Raccontare e promuovere, però, sono sempre attività che denotano responsabilità. “Chi si occupa di accoglienza ha l’occasione di promuo vere un territorio ma deve essere cauto ad esprimere termini come chilometro zero, biologico, e via dicendo…

51| novembre 2022
Jgor Tessari

Dopotutto le nostre parole generano ricordi, pensieri, talvolta spostamenti. Dobbiamo anche avere l’accortez za, tutti, di distribuire adeguatamente il flusso turistico. L’altopiano grazie ai suoi percorsi, che vanno dalla sem plice passeggiata al sentiero per l’escursionista esperto, facilita la dislocazione dei visitatori. E grazie alle sue risorse, come le malghe che io porto su un palmo di mano, è un luogo attrattivo ma mite”.

Enrico Maglio, La Tana Gourmet

Ci allontaniamo di poco, di circa tre chilometri dal cen tro di Asiago, per incontrare un’altra figura di sala che non nasconde affatto il suo sentimento per l’Altopia no: Enrico Maglio responsabile di sala a La Tana Gourmet.

“Asiago è un posto singolare, permeato di calma, silenzi e verde. La vita qui è una vita di pace, di assenza di rumore. Convivere con il silenzio, dico sempre ai miei ragazzi, non è facile, anche perché al giorno d’oggi è dif ficile trovarlo. Qui invece è alla portata di mano, basta risalire di pochi metri un bosco, allontanarsi dai picco li centri, e lo si incontra. Questo per il turismo e per il settore della ristorazione non è un limite. Non signifi ca che non ci siano opportunità e ci sia desolazione ad Asiago. Significa che qui c’è una buona convivenza tra uomo e natura. Ma dobbiamo essere bravi, bravissimi, a preservare questa dote ‘silenziosa’, distesa, pur facen do conoscere questo luogo che a noi da anni sta dando tantissimo”.

Anche Enrico tesse una bella narrazione di quello che lo circonda.

“I territori non hanno bisogno di classifiche, di incasel lamenti radicali. Non è necessario dire se si preferisce la montagna al mare o viceversa, escluderebbe molti luo ghi. E l’altopiano non è una via di mezzo, come dicono alcuni, ma uno spazio con una sua identità che stimola un turismo amante della natura, del trekking, dei pro dotti buoni. È un polmone verde irrorato di sentieri, piste ciclabili, di cui molte poco conosciute. C’è poi l’Osserva

torio Astronomico a Pennar, con il telescopio Galileo, di cui tanti scoprono l’esistenza solo venendo qui. Ma Asia go è soprattutto una terra che ha interiorizzato i resti della guerra e questo è doveroso raccontarlo agli ospiti, spiegando cosa ha attraversato questo territorio e quali siti possono visitare per capirlo, per esempio il Sacrario Militare di Asiago, i musei di guerra. Sono visite difficili, certo, ma narrano un passaggio storico cruciale, deter minante, per questo luogo.

Enrico lavora braccio a braccio con Alessandro Dal Degan, che si occupa della cucina. Il loro è un risto rante gastronomico con un percorso in ascesa, oggi con un menu unico, pensato per tutto il tavolo, frutto di un’intensa sperimentazione e di una ricerca costan te nel territorio. Molti intraprendono il viaggio per Asiago per provare La Tana o per l’attigua Osteria. E alcuni decidono anche di prolungare la sosta. “Alcuni clienti ci chiedono: dove andiamo domani? Dove potremmo mangiare? Sono domande che prolungano la permanenza e danno un senso ulteriore al nostro lavoro. Se non vengono poste dall’ospite stesso la sala dovrebbe essere in grado di stimolarle. Mi reputo soddisfatto per quel che riguarda la ‘rete’ delle attività di ristorazione di Asiago. C’è una buona collaborazione ed è importante. Al di là dell’esperienza nel nostro ristorante, che voglia mo sia sempre delle migliori, dobbiamo tener conto an che di ciò che accade prima e dopo. È il modo giusto per valorizzare un territorio”.

Questa doppia intervista mi ha stupita per un fatto. Enrico e Jgor lavorano in ristoranti diversi e con lo stesso target (se avessimo una visione antiquata di ristorazione potremmo definirli concorrenti). Oltre ad aver espresso stima reciproca hanno, alla cieca, espo sto la stessa visione, le stesse priorità sul territorio. Un atteggiamento che fa bene, più di quanto si creda, ad un luogo, alle sue attività e alle sue prospettive di crescita.

52 | novembre 2022
Enrico Maglio

Alla Triennale di Milano la rivista Studio ha organizzato, nelle settimane scorse, un interessante dibat tito su CiboFuturo, con una parte dedicata al racconto del cibo su cui si sono confrontati, moderati dal giornalista Mattia Carzaniga, Francesco Cerea, del ristorante Da Vittorio, Tommaso Melilli, scrittore e chef, e Carlotta Panza del blog Lapanzapiena.

Posizioni distanti quelle dei tre ma tutte assolutamente degne di essere ascoltate e prese in considera zione per la loro capacità di suscitare ri flessioni sul futuro della ristorazione e su come le giovani generazioni vivranno un cambiamento epocale che è alle porte in questo settore.

Il dibattito

Mattia Carzaniga ha gestito in maniera impeccabile il ruolo di moderatore, con domande stimolanti come la prima che ha fatto: “Dal momento che il racconto ha contribuito a cambiare l’immaginario le gato al cibo portandola da un piano sociale e culturale all’immagine dello chef star e del cibo instagrammabile, vi chiedo cosa è cambiato, nei vostri rispettivi ambiti, sulla visione del cibo?

Francesco Cerea, per primo, ha risposto così: “Ho sempre vissuto, con la mia fami glia, un processo di identificazione molto forte sulla materia prima, studiandola, sapendola scegliere, trasformare e gestire nel piatto per gli ospiti. Passaggi che erano molto importanti fino a qualche anno fa, prima dell’avvento dei social, e ritengo che lo siano tuttora, ma il mondo cambia rapidamente e, di conseguenza, anche il racconto del cibo prende strade diverse, più articolate, più numerose. Ecco, più numerose è il termine adatto: una delle strade, forse la più frequentata, è quella della socializzazione del

FARE RISTORAZIONE
Come il racconto del cibo ha cambiato la cucina Ne parlano Francesco Cerea, Tommaso Melilli e Carlotta Panza
Carlotta Panza Tommaso Melilli
54 | novembre 2022
Francesco Cerea

cibo, un processo, quello dei social, che coinvolge tutti i settori, dalla moda al turismo, e che nel cibo ha trovato la sua massima espressione. Non potevamo restare in dietro, soprattutto con la posizione che ha assunto il no stro ristorante, con le tre stelle Michelin, e tutte le attività del nostro gruppo. Ma da questo a realizzare i piatti in funzione di una foto su Instagram ce ne passa e noi non abbiamo bisogno di piatti belli da fotografare. La ristora zione ha bisogno di ospiti che varcano la soglia dei locali per capire cosa c’è dietro a un piatto buono, l’impegno di tutti nel ricercare il meglio, i costi che questo comporta, un servizio che metta a proprio agio, il racconto in presa diretta, senza intermediazioni gestite da altri. I social ci hanno reso più vitali, questo è certo, ma io faccio parte ancora della schiera che deve assaggiare, capire, vivere la realtà. Oggi ci si sta focalizzando troppo sull’immagi ne, senza capire cos’è un tartufo, cos’è un pesce, cos’è la carne, quali passioni stanno dietro alle produzioni, quale impegno per portarle al meglio della qualità. Si vive tutto con troppa leggerezza e velocità, invece ci sarebbe biso gno di condividere davvero, ma non un post o una stories di pochi secondi, bensì le modalità che consentono quella qualità nelle produzioni e nei ristoranti”.

“La pandemia ha avuto un impatto significativo sulle pro spettive delle persone: ad esempio c’è un forte legame di fiducia con le persone a noi più vicine. – afferma Carlot ta Panza - Ci ha portato al ritorno alle radici e i media ripropongono questo bisogno. Fino a qualche tempo fa Chef’s Table era lo specchio ideale, oggi si parla molto di più di street food”.

Tommaso Melilli ha reagito con queste parole: “sono d’accordo solo in parte con Francesco perché in questi anni è davvero cambiata la visione della ristorazione: ad esempio io fruisco la cucina contemporanea e universale tramite Instagram, ne scopro la storia, i piatti, le vite di cui non sarei mai potuto venire a conoscenza. È in questo modo che si è affermata una delle tendenze più attuali, ovvero lo street food”.

Mattia Carzaniga passa alla seconda domanda: “Trovo molto frustrante non assaggiare il cibo e le trasmissioni televisive non mi hanno certamente aiutato a superare questo limite. Tornando al racconto del cibo, chiedo a Carlotta Panza e poi agli altri come percepiscono questa contraddizione tra il cibo assaggiato e il cibo guardato sui social, in tv?”

“Il cibo è il mio lavoro, la mia passione, però ti confes so che faccio fatica a guardare troppi contenuti sul cibo perché il cibo che cucino io e che propongo sul mio sito è sempre reale, assaggiato, perché solo assaggiandolo rie sco a raccontarlo bene. Non riesco a guardare e a capire come si possa spiegare su TikTok una ricetta in dieci se condi. Pertanto la quantità di immagini che ci scorrono davanti non corrispondono alla realtà del cibo che è fatta

di impegno, tempo, attenzione”, dice Carlotta Panza. A cui controbatte Tommaso Melilli: “Anche a me pia ce assaggiare, ma quello che mi interessa davvero come cambia il cibo, le produzioni, la percezione, nella ristora zione e non solo. In Italia l’agricoltura vale solo il 3% del PIL, insignificante nella crescita economica del Paese, e le persone ormai vivono in maggioranza in ambienti urbanizzati, nelle città che sono cambiate moltissimo, a partire dal terzo millennio. Questo è il cambiamento più significativo degli ultimi anni ed è avvenuto grazie ai locali che hanno aperto, ai negozi che hanno sostituito gli agglomerati industriali. Ora è importante che questa nuova visione delle città e dei locali assuma il ruolo rile vante che le spetta; questo si interfaccia con il racconto del cibo, perché i luoghi di consumo sono tanti, possono offrire un racconto a migliaia di persone, far crescere l’attenzione anche culturale intorno al cibo, indipenden temente dall’assaggio”.

Francesco Cerea riprende il discorso ribadendo che questa crescita ha generato “Più controlli in agricoltura, sul personale dei ristoranti, su tutto quello che ruota at torno al settore e questo è giusto. Però voglio ritornare sul tema cibo assaggiato, cibo osservato: noi siamo presi dalla voglia di guardare un piatto bello ma ancora di più dal desiderio di assaggiarlo. Rimane quindi fondamen tale, e lo dico da una posizione privilegiata di chi sta dietro le quinte di un ristorante, vedere quando arriva no i prodotti, che siano dei magnifici carrè o cassette di bellissimi porcini, e pensare al lavoro dei cuochi che li manipoleranno per renderli ancora più buoni al nostro palato. Quindi, dalla mia parte, vi dico che qualsiasi cu cina, si farà nel futuro dovrà avere presente non tanto la vista bensì la sostanza, la ricerca, il profumo perché noi siamo fatti per mangiarla quella cucina, non per guar darla e basta”.

55| novembre 2022

Roberto Costa, la cucina italiana a Londra

Sei ristoranti aperti a Londra sono tanta roba

Quali sono le differenze tra l’Italia e gli altri paesi del mondo per quello che riguarda la ristorazione?

Ci siamo posti questa domanda nel momento in cui abbiamo ascoltato l’intervento di Roberto Costa all’ultima edizione di Hospitality Day a Rimini e abbiamo pensato che farne una rubrica di sala&cucina poteva essere un’ottima idea.

Cominciamo proprio da lui: Roberto Costa, ceo di RC Group, una realtà imprenditoriale che conta sei ristoranti a Londra sotto l’insegna Macellaio RC – The Butcher’s Theatre, aperti tra il 2014 e il 2018, e un’Academy dove formare i dipendenti.

RC Group è stata ideata da Roberto Costa, genovese, e Mariella Radici, bergamasca, con ruoli molto ben definiti.

Roberto Costa ama definirsi un cameriere e, a volte, lo si trova proprio in questa veste in uno dei suoi ri storanti, “per capire se siamo sulla strada giusta è necessario il contatto diretto con la clientela” afferma, ma lui è il CEO del gruppo, l’anima essenziale.

Mariella Radici, con una decennale e internazionale esperienza in M&A, è il partner ideale per l’espan sione e la crescita di RC Group, anche con nuovi format.

Le differenze tra Italia e Inghilterra

“Prima del Covid una era la differenza principale: la meritocrazia! A Londra si lavora tanto, si lavora sodo ma se sei bravo vieni premiato, indipendentemente dal tuo status sociale. - spiega Roberto Costa - La Brexit prima, la pandemia poi hanno leggermente modificato questo stato di cose; si fa fatica anche qui a trovare manodopera e questo porta il servizio ad un livello di professionalità inferiore. Nella ristorazione resiste comunque un modello di lavoro ben diverso da quello italiano; soprattutto sul piano fiscale dove la differenza della pressione contributiva (in Italia quasi al 110%, in Inghilterra al 45%) consente all’imprenditore di creare una struttura ben più organizzata, di pagare meglio i dipendenti, di farli turnare, lavorare meglio, renderli più motivati”.

In Italia, invece, la ristorazione e, con essa, il turismo sono categorie molto più frammentate, pic cole per dimensione e questo fattore non riesce a dare opportunità di crescita ai dipendenti e se a questo si aggiungono le motivazioni che, dopo il Covid, hanno spinto molte persone a scegliere la qualità della vita rispetto a turni di lavoro malpagati di 12/14 ore si capisce che qualcosa dovrà per forza cambiare.

“Anche a Londra è successo. Quando abbiamo riaperto non c’era più nessuno che voleva lavorare nella ristorazione. È scattata la gara a chi offriva economicamente di più e questo ha favorito una mancanza di professionalità. – continua Roberto Costa – Noi, invece, abbiamo puntato sulla nostra Matooro Academy, che sta formando complessivamente 250 ragazzi per farli lavorare nelle nostre strutture. Una formazione che mette l’accento sull’importanza della gestione amministrativa di

FARE RISTORAZIONE
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un ristorante. Negli alberghieri non si tiene mai conto di questo elemento, importantissimo per imparare a gestire un ristorante. La biodiversità italiana è fanta stica ma se non ne viene compreso il dato economico può rivelarsi un disastro. Senza conoscere l’incidenza del food-cost i ragazzi che intendono approcciare alla ristorazione non impareranno mai a diventare impren ditori”.

La passione per il lavoro di sala e di cucina

“A me piace fare il cameriere e, ogni volta che faccio il servizio, dico sempre ai ragazzi di non avere sog gezione, di trattarmi alla pari, come uno di loro. Per riuscirci e per motivare davvero le persone che lavo rano in RC Group utilizzo la massima trasparenza, li coinvolgo negli aspetti economici. Se un tavolo è stato generoso lo dico al ragazzo che ha avuto in custodia quel tavolo per una sera intera: gli dico grazie perché è proprio grazie al suo impegno e alla passione che ci ha messo se quel tavolo è stato così magnanimo. Infine sono convinto che in ogni ristorante, d’ora in avanti, si dovrà puntare su produzione e tecnologia per consen tire ai ragazzi di lavorare meno, avere più tempo per la propria vita e i propri interessi. Con queste pratiche

siamo riusciti, a differenza di altri, a non cadere nel baratro della mancanza di professionalità che si era aperta pochi mesi fa”.

I sei ristoranti di RC Group

Macellaio RC è una realtà in crescita, ben oltre i sei ri storanti che Roberto Costa ha aperto a Londra in quattro anni. La pandemia ha solo rallentato questa crescita ma non ha messo in discussione il modello vincente. Ogni ristorante ha le sue specificità ma in comune la stessa storia. La carne viene macellata davanti al cliente; ogni altro cibo preparato direttamente e cu cinato internamente dagli chef di RC Group. Nei sei ristoranti si trova la classicità della cucina italiana in tutta la sua semplicità, apprezzatissima dalla clientela internazionale: “Devo essere in grado di fare un ottimo ragù o un pesto perfetto, perché questo è quello che vogliono i miei clienti: ritrovare un angolo dell’Italia che hanno visitato e amato durante le vacanze nella loro città, vale per i londinesi e per tutto il turismo in ternazionale che qui gravita” racconta Roberto Costa. I nomi dei sei ristoranti targati Macellaio RC sono: Fi tzrovia, Soho, South Kensington, Exmouth Mkt, Union Street e Battersea, a Londra. Fateci un viaggio!

Roberto Costa e Mariella Radici

Quando la vite va in sposa all’acero

Appassionato al vino nella parte di chi lo beve, Andrea Polidoro non avrebbe mai pensato che la vita l’avrebbe condotto a lavorare sul versante della vigna e in cantina. Dopo gli studi universitari in relazioni internazionali, si trasferisce a Bordeaux per un semestre ma finisce per rimanerci tre anni. Si affina come assaggiatore, poi si avvicina alla produzione, suo desiderio segreto, quando conosce Lionel Cousin dell’azienda agricola biologica Cupano, a Montalcino, di cui oggi è direttore. Dieci anni fa, quando ne ha venticinque, gli monta dentro il desiderio di fare il vino nel territorio del nonno, in quel di Sarnano, Macerata, a ridosso dei Monti Sibillini. Il nonno Sante

PERSONE
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La resistenza al cambiamento climatico col recupero di antiche tradizioni agricole

era un mezzadro, non poteva lasciargli terra, quindi lui inizia dei sopralluoghi alla ricerca di appezzamenti adat ti alla viticoltura. Non vede tracce di vigneti ma scopre che la viticoltura tradizionale in questa zona “maritava” le viti facendole arrampicare su alberi campestri. Questa pratica, che si fa risalire al tempo degli etruschi, diffusa nell’Italia centrale fino al primo dopoguerra, era stata completamente abbandonata. Fortuitamente finisce per imbattersi in un campo in stato d’abbandono da trent’an ni, completamente imboschito, con viti centenarie che si erano allungate fino a otto, dieci metri di altezza lungo gli aceri, generando grappoli bellissimi nei punti meglio esposti. Così fa una prima raccolta, stupito dal fatto che dopo tanti anni di abbandono quelle viti fossero sorpren dentemente produttive con uva sanissima nonostante non avessero mai subito potature e trattamenti. Così fa la seconda scoperta: la loro capacità di resistenza era dovu ta al fatto che erano “franco di piede”, avevano cioè il pie de originario della vitis vinifera europea pre-fillosserica. La traccia genetica di queste viti le rivela come varietà autoctona di Malvasia Bianca di Candia, forse Malvasia di Sarnano come risulta dal registro vitivinicolo della re gione Marche. È fatta: Polidoro finisce per prender casa e terreni nel paese del nonno, e comincia a fare il vino nella neonata azienda agricola Contrada Contro. Alla scoperta del mondo “franco di piede” lo conduce un altro incontro fortunato, quello con l’enologo e produtto re bordolese Loïc Pasquet. “Al di là delle mode, al di là del tempo” è il motto di questo visionario che a Landi ras, zona a sud del Graves, ha voluto ricreare il gusto del Bordeaux all’epoca del primo classement di Napoleone

III nel 1855, ricostruendo la mappa del bordolese pre-fil lossera piantando 20.000 viti franco di piede per ettaro, da ciascuna delle quali oggi ricava un piccolo grappolo, e inizia a produrre il Liber Pater, vino che in pochi anni è diventato una mitica rarità. Grazie a lui Polidoro, in rappresentanza di Contrada Contro (Marche)e Cupano (Montalcino), entra a far par te dell’Associazione Francs de Pied (Ungrafted Vines) nella veste di segretario. Si tratta di un drappello in via d’espansione di vignerons resistenti europei, custodi di vigneti di varietà autoctone non innestati su piede ameri cano, che vogliono difendere e promuovere la tradizione e il gusto dei vini ottenuti da viti a piede franco tramite la creazione di un marchio e chiedendo il riconoscimento da parte dell’UNESCO come patrimonio di 8.000 anni di storia della vite, impedendo ogni futuro espianto di viti gni franchi perché ritenuti poco produttivi. Oltre a lui e al presidente Pasquet, aderiscono all’associazione Egon Müller (Mosel), vicepresidente, Gocha Chkhaidze della principale azienda vinicola georgiana, Askaneli; Thibault Liger-Belair (Borgogna); Chartogne-Taillet (Champagne); Feudi di San Gregorio (Campania); Tenuta San Francesco (Tramonti, Costiera Amalfitana); Vida Peter (Ungheria); Gio. Jos. Prüm (Germania); Dominio de Es (Spagna); Arte mis Karamolegos (Grecia); St. Jodern Kellerei (Svizzera); Filipa Pato (Portogallo).

La viticoltura arcaica

Andrea Polidoro dunque riscopre e rivaluta la viti coltura arcaica del nonno, così intelligente perché nata dalla necessità dei contadini di avere colture promiscue

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con tutto ciò di cui c’era bisogno nello stesso campo. Per questo piantavano la vite in maniera sparsa “maritando la” agli aceri, mantenendo al centro mais, grano, segale, che apportano azoto al terreno. Così potevano contare su alimenti di base che includevano anche il vino, così im portante dell’alimentazione dei contadini a quei tempi. Era un sistema funzionale a una agricoltura che si rivol geva più all’autoconsumo che al mercato. Questa viticoltura era legata anche al contesto climatico. Le viti di Contrada Contro sono tutte oltre i 600 metri con i monti Sibillini alle spalle e ci sono anni in cui si fa la vendemmia della Malvasia mentre i monti presenta no uno scenario innevato che mozza il fiato. Questa forte escursione termica, pur mitigata dall’acero-tutore, è im portantissima perché consente la fissazione dei sapori, aromi e colori. La resistenza al cambiamento climatico ci porterà verso evidenze che già oggi sono chiare perché ad esempio le fasi fenoliche delle viti franche rispettano sempre un ciclo regolare nella vendemmia mentre la vita innestata ha la tendenza ad accorciare i tempi dove il cli ma è molto caldo.

Per le potature annuali ha adottato una modalità di ri spetto, di accompagnamento della pianta con tagli molto lunghi perché queste viti hanno bisogno di spazio per trovare loro il proprio equilibrio, adottando gli insegna menti di Marco Simonit e Pier Paolo Sirch (grandi mae stri potatori di viti). Tutte accortezze che consentono di avere delle longevità straordinarie. Quest’anno Andrea è arrivata alla quarta vendemmia, la più bella che gli sia capitato di fare a Contrada Contro arrivando a raccogliere anche 100-120 kg di uva da una singola pianta, acini che sono un miracolo di complessità aromatica e di colori, a fronte di una stagione estrema mente torrida.

Con la vite a piede franco maritata la qualità organolet tica dell’uva cambia tantissimo, il vino che se ne ricava

necessita di più tempo per esprimersi ma, garantisce il nostro vigneron, ha una “vibrazione” inconfondibile. Dalla sua coltivazione biologica con alcune ispirazioni biodinamiche, nel 2020, prima vera annata, ha prodotto solo 450 bottiglie, stesso discorso per la seconda, mentre quest’anno ne dovrebbero risultare circa 800. Anche se aumenteranno negli anni con nuovi impianti, sempre a piede franco, rimane un progetto piccolo ma ambizioso ed esemplare per il lavoro di recupero messo in atto. Il Vino di Sante lo vende al mondo della ristorazione e a raffinati appassionati, centellinandolo per riuscire a farlo assaggiare a più persone possibile, inclusa la clientela all’estero, dall’Austria agli Stati Uniti al Regno Unito, con richieste da Danimarca, Canada e dalla Catalogna. Questa storia è la realizzazione di un sogno. Quando nel 2016 c’è stato il terremoto la comunità ha molto soffer to, tuttora molte case sono abbandonate, i centri storici non sono ancora tornati alla vitalità del passato, complice anche l’invecchiamento della popolazione perché tutti si sono spostati verso la costa o le città. Questo sogno è nato anche con l’auspicio di ridare nuova centralità a un’agri coltura a torto considerata superata, con un omaggio alla memoria di nonno Sante che non gli ha lasciato terra ma un segno della memoria capace di concretizzare sogni.

Azienda
andrea@contradacontro.it
Contrada Contro
Agricola Biologica dei Monti Sibillini

Bayernland, latticini e formaggi di qualità

Dalla Baviera all’Italia le eccellenze di un territorio ricco di tradizioni e culla di genuinità

Il latte e i sapori di Bayernland hanno origine in Ba viera, territorio ricco di tradizioni e culla della genu inità tedesca. Qui, allevamenti all’avanguardia hanno portato all’eccellenza nella produzione di latticini e formaggi di qualità.

Bayernland Italia nasce nel 1970 a Vipiteno, portando la qualità tedesca nel Bel Paese. In poco tempo quali tà e competenza si fanno strada verso il centro e sud Italia, vengono gettate le basi per la distribuzione con un deposito a Mantova e uno in provincia di Bergamo. Questi verranno dismessi negli anni a favore del mo derno centro logistico a Verona, inaugurato nel 1998. Il core business dell’azienda sono 3 linee di prodotti con le quali Bayernland vuole identificarsi: Formaggi duri da taglio e a fette Mozzarelle innovative Panne e burri

Tutti rigorosamente made in Baviera. Grazie al vasto assortimento di prodotti caseari dispo nibili in vari formati e grammature, Bayernland è in grado di fornire prodotti sia per il settore foodservice/ HORECA che per il libero servizio.

Soluzioni studiate per l’Ho.re.ca

Incontriamo Thomas Siller – direttore commerciale, che ci accompagna alla scoperta di Bayernland e delle sue specialità.

Quali sono le principali soluzioni per il mondo ho.re.ca in generale e quali vantaggi aggiungono al lavoro del professionista?

“Offriamo una vasta gamma di formaggi che vanno dai freschi ai semi-stagionati, anche in versione già affet tati, per arrivare alle vere e proprie forme di formag gio stagionato. Siamo quindi in grado di soddisfare

PRODUZIONE
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le esigenze di bar, pizzerie, self-service, catering con soluzioni e tipologie di prodotti che ottimizzano i tem pi di lavorazione e offrono praticità di utilizzo mante nendo inalterate le qualità organolettiche. I nostri for maggi, infatti, sono facilmente porzionabili, o venduti già porzionati, in modo da agevolare le preparazioni in cucina”.

Quali sono le soluzioni studiate per le pizzerie e a quale scopo?

“Il mondo della pizzeria richiede prodotti ad alto li vello di servizio per facilitare il compito dell’operato re. Nel comparto delle mozzarelle innovative possia mo ritenerci leader di settore: dal taglio a julienne al cubettato, dal filone alle fette per arrivare al classico bocconcino che proponiamo anche in versione senza lattosio. In questo modo le pizzerie possono facilmen te scegliere il formato di mozzarella che più fa al caso loro per un’ottimizzazione dell’uso della materia pri ma”.

Oggi si punta molto sul concetto di sostenibilità; qual è la vostra idea di sostenibilità?

“Siamo un’azienda al passo coi tempi e con un occhio che guarda al futuro, che di questi tempi fa rima con “green”: abbiamo già lanciato una linea di formaggi af fettati con packaging ecosostenibile che è già presente negli scaffali. Ma non ci fermeremo qui: Bayernland fa rima con tradizione e innovazione. Il nostro latte vie ne lavorato in loco in stabilimenti produttivi altamente efficienti, tra cui uno inaugurato proprio quest’anno”.

Come gestite il rapporto diretto coi vostri clienti? Fornite suggerimenti di utilizzo?

“Abbiamo in programma un calendario di eventi di showcooking presso alcuni dei nostri grossisti per spiegare al meglio gli usi dei nostri prodotti ai loro clienti. Non per ultimo saremo in TV con il famoso pizza-ricercatore Renato Bosco che utilizzerà la nostra mozzarella nelle puntate della sua trasmissione ‘Na pizza’ in onda su SKY uno”.

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Thomas Siller

I salmoni pregiati de La Nef

La Nef nasce dall’intuizione di Giordano Palazzo, pre sidente e fondatore dell’SpA marchigiana, che oltre trenta anni fa, nel 1989, a Osimo, in provincia di Anco na, iniziò a proporre salmone affumicato nella storica salumeria di famiglia, in un’epoca in cui tale varietà era ancora considerata una prelibatezza per pochi intenditori. Cresciuto nel mondo della gastronomia di alta qualità, da sempre appassionato gourmet ed esploratore del gusto, Giordano si imbarcò in questa nuova avventura, immaginando che solo al timone di un grande veliero avrebbe potuto affrontare una na vigazione tanto ambiziosa, al punto che il suo sogno imprenditoriale si concretizzò nel progetto aziendale “La Nef” (veliero in francese antico). È così che da piccola realtà familiare, La Nef inizia ad affermarsi come distributore locale di salmone affu micato e specialità ittiche conservate. Nel 2009 nasce il primo dei sei brand che oggi fanno capo al gruppo, Re Salmone, che in poco tempo diventa un marchio riconosciuto e apprezzato dai consumatori. Grazie a questo lancio, le vendite iniziano a crescere in modo sostanziale e l’azienda si trova a dover rispondere in tempi brevi a una richiesta sempre più forte.

L’entusiasmo e la voglia di allargare gli orizzonti di un percorso di grande sviluppo, spingono La Nef a com

piere un ulteriore passo avanti. A seguito di un’attenta analisi, La Nef decide di perseguire la propria voca zione e di dare vita a nuovi brand. Forte del successo di Re Salmone e della crescente fiducia riconosciuta dei consumatori, nel 2011 presenta la linea Bottega del Mare, un brand premium che racchiude un ampio assortimento di prodotti di alta gamma. Oggi La Nef, guidata da Giordano Palazzo e dal figlio Nico nel ruolo di vice presidente, è una realtà solida e consolidata, leader in Italia nella distribuzione di salmone affumicato con 47 milioni di euro di fattu rato (dato 2020), 30 dipendenti, oltre 100 tra agenti e collaboratori sul territorio e 2000 clienti. Nel 2019 (dati Nielsen) ha raggiunto l’apice della classifica delle aziende italiane champion, sia per valore di vendita sia per quote di mercato, registrando una crescita del 35% rispetto all’anno precedente, e dal 2011 al 2017 (fonte Corriere della Sera) si è classificata tra le prime 500 imprese italiane con un fatturato compreso tra i 20 e i 100 milioni di euro, che si sono distinte per la miglior performance.

Ad aprile 2022 La Nef si è trasferita in una nuova e più ampia sede che si estende su 4.000 metri quadra ti, in Ancona, con grandi spazi per la comunicazione e aree a temperatura controllata ad alto contenuto

PRODUZIONE
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tecnologico. “È un passo molto significativo, segno tangibile dell’evoluzione che ci ha contraddistinto in questi anni. Possiamo contare su grandi spazi dedica ti alla comunicazione aziendale, che ci permettono di pianificare degustazioni, show cooking, masterclass e conferenze – dichiara Nico Palazzo, e conclude – Sono inoltre disponibili celle frigo e ambienti a temperatura controllata e ad elevato contenuto tecnologico. Siamo una delle poche aziende ad avere una cella in grado di raggiungere una temperatura di -40°C per altre eccel lenze ittiche.

La filosofia La Nef Ricerca, esperienza e innovazione sono gli elementi che da sempre contraddistinguono La Nef. Giorno per giorno la Nef lavora per consolidare la pro pria mission, rivolta ad una costante ricerca di prodot ti che mettono la qualità al primo posto. Questa esigenza di comunicazione è in linea con i cambiamenti che sta vivendo questo settore, le ricer che di mercato evidenziano che i consumatori italiani sono diventati sempre più esigenti e sanno riconosce re le caratteristiche di qualità del salmone affumicato. “Oggi le aziende che vogliono parlare di innovazione in questo settore devono tenere fede con costanza e dedizione a dei requisiti qualitativi imprescindibili. La vera innovazione è nella trasparenza verso il consu matore e nella qualità delle proposte”, afferma Nico Palazzo, Vice Presidente di La Nef.

In Italia La Nef è stata precursore di un nuovo modo di lavorare questo prodotto, il salmone La Nef nasce da materia prima fresca e non viene mai congelato in nessuna fase del processo, neanche a lavorazione ter minata. Un salmone lavorato senza coloranti e additi vi, il cui processo di salatura e affumicatura è molto delicato. La ricetta La Nef è unica nel mercato, anni di esperienza e dedizione hanno permesso all’azien da di migliorare il sapore per intercettare il gusto del consumatore.

I valori e il Sistema La Nef: un impegno certificato Freschezza della materia prima, ricerca della massi ma qualità, cura per il dettaglio e rispetto dei più alti parametri di sicurezza, sono i principi cardine che gui

dano e incoraggiano l’azienda marchigiana. La fiducia sempre crescente dei consumatori è testimonianza dell’impegno, della costanza e della determinazione di La Nef verso il proprio obiettivo: la continua ricerca dell’eccellenza.

Per garantire un elevato standard qualitativo, la filiera La Nef è interamente tracciata e sottoposta ai più rigidi criteri di sicurezza. Dal monitoraggio delle condizioni degli allevamenti, al benessere dell’ambiente e dei pe sci; dalla selezione della migliore materia prima, dalla lavorazione alla distribuzione, ogni fase del processo produttivo è costantemente controllata, nel minimo dettaglio. In ciascun passaggio del flusso logistico la massima attenzione è rivolta al rispetto della catena del freddo per portare sulle tavole dei consumatori un prodotto sempre sano, sicuro e gustoso. Un’ulteriore componente strategica è rappresentata dall’ottimizza zione del processo logistico che, nel rispetto di speciali accorgimenti e procedure, consente di assicurare una forte limitazione degli sprechi. La merce raggiunge la sede aziendale in piccoli e frequenti carichi, per evi tare uno stoccaggio eccessivo e ogni giorno i prodotti che raggiungono l’azienda vengono subito distribuiti alla rete di clienti, a garanzia di un elevato livello di freschezza, velocità di consegna e riduzione delle rot ture di stock.

Il grissino pensato per la ristorazione

Valledoro, azienda specialist nei prodotti da forno, ci racconta la sua gamma di referenze ideate per le tavole dei ristoranti

Valledoro rappresenta in tutto e per tutto la capacità di al cune famiglie italiane di convertire una piccola attività artigianale in una grande azienda Tutto è cominciato nel 1954 con Rina Consoli, Ferruccio Zubani e… i Bibì Bobò, dei panetti bitostati dal sapore dolce pensati per nutrire in modo sano e naturale i più piccoli. Per dedicarsi alla produzione di questi originali prodotti da forno Ferruccio e Rina hanno trasformato la forneria di famiglia in un laboratorio artigianale. Sicuramente allora non si sarebbero mai aspettati che 68 anni dopo l’azienda avesse questo profilo: una delle realtà leader nel settore dei prodotti da forno con un mercato attivo in Italia e all’estero.

L’artigianalità valore fondante

Le due generazioni successive, rappresentate prima da Giorgio Zubani (oggi Presidente), poi dai figli Giulio, Da

rio e Marco pur lavorando in un’ottica di crescita, amplia mento e diversificazione della gamma produttiva, non hanno mai perso di vista il valore fondante di Valledoro: rispettare un metodo di lavorazione artigianale. Un metodo che negli anni si è affinato, stando al pas so con i tempi. Oggi è basato su una attenta  selezione dei grani, al fine di ottenere  farine di qualità, e su un’accurata formulazione degli impasti, indispensa bile per ottenere produzioni equilibrate e sane. Ciascun ingrediente scelto per le produzioni Valledoro oltre a es sere selezionato dai migliori fornitori, è garantito da un rigoroso sistema di rintracciabilità.

Ma oltre a sottolineare ciò che c’è, è necessario dire ciò che non c’è: ogni referenza Valledoro è priva di grassi animali (strutto, burro), conservanti e additivi chimici. Un plus oggi sempre più rilevante agli occhi del consu matore consapevole.

PRODUZIONE
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La gamma produttiva

Sono cinque le linee di produzione attive nello stabili mento di Brescia da cui nascono grissini, panetti croc canti, snack e altri prodotti da forno. Grazie all’atten zione alla qualità, al rispetto dei principi di sicurezza alimentare e di territorialità e non per ultimo alla cen tralità sull’etica - elemento che si persegue in ogni fase aziendale - Valledoro si è candidata a partner di tantis sime attività del settore Horeca.

Il prodotto che più mette in connessione l’azienda con le attività ristorative - si tratti di ristoranti, pizzerie, hotel, bracerie - è senza dubbio il grissino

Ma è un errore definirlo al singolare: sono tante le pro poste Valledoro pensate per accompagnare la tavola e il commensale, qualunque sia lo stile del locale, il menu proposto, il momento di consumo, e quindi supportare il ristoratore nella buona accoglienza dell’ospite.

La linea per la ristorazione

Che ruolo ha il grissino sulla tavola di un ristorante?

Il grissino “intrattiene” chi è seduto, in attesa dell’or dine o dell’arrivo della pietanza, lo stuzzica, ma lo può anche accompagnare nel corso del pasto dando il giusto intervallo tra una portata e l’altra. Non è da sottovalutare anche la valenza estetica (di cui par leremo anche nelle ultime righe): posizionato con cura e inventiva sul tavolo, o in un contenitore apposi to, il grissino annuncia che c’è già un pensiero per chi prenderà posto. Su tutto questo ha ragionato Valledoro studiando prodotti e packaging adatti alle varie ti pologie di ristorazione.

La linea premium di grissini per la ristorazione ospi ta referenze eleganti, moderne, pensate per l’utilizzo esclusivo nel settore fuori casa.

Di questa linea fa parte il Satinè, un grissino ondulato e salato in superficie, contenuto in una confezione argenta ta satinata. Il Deluxe, avvolto da una confezione dorata, ha invece un gusto più deciso grazie alla maggiore per centuale di olio nell’impasto.

Ancora, il Gourmet: un grissino stirato, dal sapore più neutrale, non salato in superficie, in involucro nero, per fetto per una tavola che offre percorsi gastronomici. E poi non si possono non citare, sempre per il fuori casa, i Rustici classici artigianali, contenuti in una busta bian ca con rifinitura dorata. Una novità degli ultimi tempi in casa Valledoro è rappre sentata dai Saltelli integrali, grissini ottenuti da farina 100% integrale, salati in superficie; un prodotto di forte identità, grazie alla presenza esclusiva di farina inte grale, che conferisce un gusto deciso e riconoscibile, in sintonia con le tendenze attuali legate al prodotto inte grale.

Valledoro presta attenzione a tutte le tipologie di ristora zione, comprese le tavole calde, le bracerie, le pizzerie. E dunque parliamo dei Birrini: dei golosi grissini salati in superficie ispirati al classico bretzel. Nella forma, nel gusto e nella confezione richiamano la specialità tedesca e sono perfetti per accompagnare apertitivi, serate a base di carne alla griglia, nonché qualsiasi boccale di birra… lo dice anche il nome!

Una scelta di stile

Marco Zubani, responsabile commerciale dell’azienda, ci ha narrato nel dettaglio le referenze sottolineando al cuni aspetti.

“In questi anni Valledoro ha lavorato per stare al passo delle esigenze del mercato. Esigenze sempre più specifiche sia in termini di prodotto, sia in termini di confezione. La qualità delle nostre referenze è garantita dal nostro metodo produttivo, dalla nostra competenza in materia di farine e di tecnica dei prodotti da forno. Sul fronte estetico, mi riferisco ora a quello della confezione, vogliamo offrire a ciascun ristoratore un’ampia possibilità di scelta per avva lorare la propria tavola. La scelta di adottare colori elegan ti per la linea premium destinata alla ristorazione è una direzione chiara: le attività che amano curare il proprio stile possono avvalersi di un prodotto da forno sano, buono e anche bello”.

Surf&Turf, il trend che unisce carne e pesce

Surf&Turf, che tradotto significa letteralmente “mare e monti”, è un modo per esprimere l’apprezzamento dell’unione tra carne e pesce riferito alla cucina

È un’espressione lessicale che si riferisce all’abitudine in voga negli anni’20 nelle steakhouse del Nord America: gli uomini d’affari intenti a siglare i loro accordi e inde cisi tra carne e pesce, forse guidati dallo spirito di esa gerazione tipico dell’epoca, ordinavano un piatto con en trambi gli ingredienti. Un modo per risolvere il dilemma. Secondo questa tendenza venne coniato surf&turf per in dicare provenienza da due mondi differenti ma affini: il mare (surf) e i prati o pascoli (turf). Ispirandosi a questa tendenza, lo chef Simone Rugiati e la Personal Chef Sara Conforti hanno immaginato ri cette con ingredienti di prima qualità: la carne di manzo e gli scampi irlandesi. I prodotti irlandesi, grazie alla loro altissima qualità, di ventano i protagonisti delle ricette di terra e di mare: ri cette Surf&Turf, tra mare e terra, di carne e di pesce. Un modo ricercato e di tendenza per valorizzare due prodotti di alto livello provenienti dai mari e dai pascoli d’Irlanda. È un trend che, grazie alla creatività gastronomica italia na unita alla qualità dei prodotti dell’isola di smeraldo crea un connubio ideale, sfumature organolettiche inte ressanti e apre a un nuovo modo di concepire la ricetta. Protagonisti i prodotti irlandesi selezionati da Bord Bia, il cui scopo, infatti, è quello di promuovere il successo dell’industria food&beverage e dell’orticoltura irlandese attraverso servizi di informazione mirati, la promozio ne e lo sviluppo dei mercati. Nel 2021 le esportazioni dell’industria food&beverage irlandese sono arrivate a quota 13.5 miliardi di euro, con una crescita del +4% in più rispetto all’anno precedente. L’Italia rappresenta uno dei mercati più importanti per l’export di manzo irlande se in Europa con scambi valutati, nel 2021, a 170 milioni di euro e una crescita dell’1%.

La carne irlandese, prodotto premium e dal gusto di stintivo, ha delle caratteristiche cromatiche inconfon

dibili grazie alla dieta seguita dai bovini che si compone per almeno il 90% di erba. Un’alimentazione che dona un colore rosso borgogna alla sua polpa, ricca di vitamine, e una tonalità dorata al grasso che la ricopre e che la rende più morbida in fase di cottura.

Gli scampi irlandesi, rappresentano una delle migliori qualità in Europa e mantengono tutte le loro proprietà nutrizionali e di gusto grazie all’uso diffuso dell’innova tiva tecnologia frozen-at-sea che permette di congelarsi a bordo dei pescherecci nel giro di sole due ore dalla cat tura.

Esempio di questa comunicazione mirata sono le ricette Surf&Turf: “Manzo non hai scampo” è la ricetta di Simo ne Rugiati e “Tra terra e mare” quella di Sara Conforti. “Manzo non hai scampo” è un piatto di roast beef di man zo e scampi completato con un impiattamento che preve de alla base il roastbeef, poi salicornia, juice di manzo, bisque di gamberi, scampo scottato, crema di pinoli, un filo d’olio e del sale in fiocchi.

“Tra terra e mare” è una battuta di girello di carne irlan dese e scampi condita con maionese al whiskey, fragole, foglie di menta o basilico e fiori eduli.

PRODUZIONE
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Simone Rugiati: Manzo non hai scampo

Pizza Challenge torna la competition più verace e filante

della tv

Pizza Challenge, in collaborazione con Molino Spado ni, Cirio Alta Cucina, Olitalia e MTP Forni, giunge alla sua 3°edizione e quest’anno si sposta in uno dei territori più famosi ed apprezzati del Rinascimento italiano: la Toscana

Partendo da Firenze, passando per Prato, arrivando a Pistoia le 12 pizzerie prescelte si affrontano nell’ antica arte bianca da cui prende forma il disco di pasta più fa moso al mondo, per conquistare il titolo di migliore piz zeria della Toscana.

Alla giuria si confermano Cristina Lunardini, chef e volto noto televisivo, e Luigi Franchi, direttore responsa bile della testata sala&cucina magazine di accoglienza e ristorazione.

“È stata un’edizione spettacolare – afferma Cristina Lunardini – per la qualità delle pizzerie selezionate; qualità non solo nelle pizze ma anche nei locali, tutti innovativi e moderni, che stanno a dimostrare come sta cambiando l’approccio alla pizzeria. Non più un luogo di consumo veloce e un po’ incasinato bensì un locale dove trascorrere una serata all’insegna anche della bellezza e del buon gusto”.

Luigi Franchi ha spiegato “come la pizza, in questa regione simbolo internazionale del nostro Paese, stia cambiando stile, non più solamente la pizza bassa, tirata come una sfoglia ma una pizza contemporanea, con diffe renze importanti da pizzeria a pizzeria ma che fanno del la qualità degli impasti e dei topping un sentire comune”. Il format televisivo di Pizza Challenge, programmato su tutte le principali emittenti regionali italiane, tiene conto di questi aspetti esaltando l’impegno dei pizzaioli che vi vono la sfida come un momento di confronto e di crescita e non come una gara dove la critica è al primo posto per raggiungere l’audience. Questo è un programma gentile, dove si imparano molte cose sulla pizza, sul mestiere del pizzaiolo, sulla passione che sta portando anche i giovani ad intraprenderlo.

Delle 12 pizzerie in gara almeno la metà è infatti gestita da giovani che hanno cambiato le loro vite per seguire

questo mestiere; un segnale importante per un prodotto, la pizza, che è l’emblema internazionale dell’Italia. “Abbiamo ideato questo format negli anni in cui le piz zerie stavano affrontando la pandemia, un periodo in cui nessuno riusciva a fare previsioni per il futuro prossimo. – racconta Rita Cicognani, AD di Expì, un’impresa che produce format multimediali, contenuti digitali ed even ti, raccontando in modo innovativo le aziende e i loro pro dotti – Nonostante questo abiamo, da subito, capito che era il momento giusto per offrire una nuova visione del mondo pizza. Le prime due edizioni hanno visto la Roma gna e le Marche come regioni protagoniste, quest’anno è toccato alla Toscana perché volevamo dare un’immagine forte del rapporto tra territorio e pizzerie. Pensiamo, vi sto gli share delle puntate, di esserci riusciti. Il prossimo anno continuerà questo particolarissimo viaggio italiano, grazie anche alle aziende che ci sostengono!”

Le pizzerie di questa edizione sono: La Fenice Pizzeria contemporanea, La Capannina, Luna Rossa Verace, Antiche Volte, Il Chicco D’Uva, I’ Pizzacchiere, 3dddì Pizzeria, Giotto Pizzeria-Bistrot, Fermento 1889 - Il Bistrot dell’Impasto, A’ Puteca, Fratelli Cuore e Santa Lucia Pizzeria Stuzzicheria.

EVENTI
Autore: Guido Parri
69| novembre 2022

Il Ristorante? Da vivere in Relax

Sia che cerchiate un tavolo appartato per una serata un po’ romantica; oppure che vi serva un luogo dove cenare e, allo stesso tempo, tenere sotto controllo i bambini mentre si divertono nell’area giochi; che cerchiate uno spazio per una tavolata tra amici, per stare in allegria o, semplicemente, per gustare un’ottima pizza, ebbene, Relax a Roma lungo la via Nomenta na è il posto ideale.

“Siamo aperti dal 1988, ben 34 anni – spiega il titolare Fabio Fioretti – ormai siamo molto popolari nella zona e ci piace pensare di essere conosciuti, fin da allora, come un ristorante per tutti, per le famiglie, perché da noi è possibile godere di una serata piacevole, in compagnia, accompagnata da buon cibo e atmosfera rilas sante…lo dice il nome: Relax”. Un grande giardino che in estate invita a ripo sare nel verde, grandi sale interne arredate in stile rustico, caldo e accogliente. Insomma, un ambiente informale per sentirsi a proprio agio, mettersi comodi e mangiare con gusto le specialità che la cucina propone. Relax è ristorante e pizzeria; la particolarità è un menù elaborato sulla cucina romana, o comunque tipicamente all’italiana, specializzato in piatti di carne alla brace, i fritti della gastronomia regionale e i primi piatti tradizionali. Il reparto pizzeria offre la classica pizza alla romana. Perché qui, siamo nella capitale, e mantenere vive le tradizioni è importante per sentirsi come a casa propria.

PIZZERIE
Un locale per famiglie, accogliente e con ampi spazi dove una buona pizza è un piacere da gustare in pieno relax
72 | novembre 2022
Antonio e Taddeo

In un’epoca di pizze gourmet, di napoletane rivisita te e impasti alternativi, da Relax si vive e si gusta la classica pizza romana, come una volta, quella sottile, senza cornicione, scrocchiarella e ben condita. La piz za della tradizione capitolina più vera. “Facciamo cucina tradizionale – spiega Fioretti – se condo i canoni classici, però ci piace interpretarla se condo una visione moderna perché i piatti, pur nella loro tipicità, vengono preparati con molta attenzione sia nella lavorazione sia nella presentazione, curata e studiata per dare al cliente quell’effetto wow che non si aspetta, un tocco di originalità ricercata”. Prodotti semplici, cucina genuina ma ben rielabora ta e presentata con cura, ottima selezione di vini: “Il nostro è un locale familiare, carino e con un occhio attento all’innovazione, sempre mantenendo alta la tradizione”.

Fiore all’occhiello, la pizza – romana – viene preparata secondo la ricetta antica, tirata a mano col mattarel lo anche se Fabio Fioretti precisa: “Oggi abbiamo le macchine per tirare la pasta, naturalmente, perché a mano col mattarello sarebbe troppo impegnativo, visti i volumi. Ma il principio resta invariato ed è la carat teristica della pizza romana, quel procedimento che le dà la giusta consistenza, la croccantezza. Per ottenere l’impasto corretto, poi, utilizziamo da molti anni le farine di 5 Stagioni che ci assicurano la perfetta resa e la tenuta ottimale. Per raggiungere il risultato desi derato seguiamo le indicazioni del produttore e abbia mo anche frequentato diversi incontri di approfondi mento, show cooking e corsi. È importante conoscere il procedimento migliore per valorizzare la materia prima e realizzare un prodotto finito ottimo”.

Completa il quadro un buon assortimento di farciture, almeno una trentina in carta, classiche e creative con topping realizzati con materie prime di buona quali tà: il miglior pomodoro; la mozzarella più adatta, non troppo sierosa per non bagnare la base; i salumi ge nuini e il forno rigorosamente a legna. Sono gli ingre dienti di una buona pizza, genuina, gustosa, semplice. Semplice e piacevole come l’atmosfera che accoglie da Relax, proprio quello che ci vuole per sentirsi bene, almeno per una sera.

Ristorante Pizzeria Relax Via Nomentana 1068 00156 Roma Tel. 06 8689 7445 relaxristorante.eatbu.com 73| novembre 2022

Il Prosciutto Magico Crudo Stagionato Salumi Reali

Il Prosciutto Magico Crudo Stagionato Salumi Reali è prodotto in uno stabilimento dedicato esclusivamente alla produzione di prosciutti crudi nella provincia di Par ma. Si presenta già disossato della noce per un utilizzo più funzionale, più asciutto e più adatto ad essere scalda to in un panino o come topping su una pizza. Il processo produttivo prevede che venga lavorato e sta gionato aperto, quindi già disossato. Questo procedimen to permette di salvaguardare l’importante caratteristica della fibra della carne. Si presenta rosso per la parte ma gra, bianco/rosato per la parte grassa. Le due parti sono in perfetto equilibrio tra loro per esaltare le caratteristi che organolettiche del prodotto. Infatti la coscia fresca di maiale disossata rifilata e pu lita viene salata su appositi carrelli. Successivamente portata a riposo a freddo. Seguono le fasi di pressa tura, sugnatura, stagionatura all’aria delle colline di Langhirano per il periodo minimo stabilito, poi il pro sciutto viene lavato, spazzolato, asciugato e confezio nato in esclusiva con il marchio Salumi Reali riservato ai clienti del gruppo Cateringross, il primo gruppo distributivo nel canale dei consumi fuoricasa che rag gruppa 39 aziende presenti in quasi tutte le regioni italiane, compresa la F.lli Tondini.

Come si può utilizzare il Prosciutto Magico Salumi Reali

Oltre che consumato direttamente il Prosciutto Magico Salumi Reali può essere un ingrediente di sughi, ripieni oparticolari cotture come, per esempio, i piselli al pro sciutto, o anche da crudo, protagonista di particolari piat ti che affondano le radici sin dai tempi di Apicio, nell’an tica Roma, come prosciutto e melone.

La forma del Prosciutto Magico Salumi Reali, già disos sato, consente anche a mani non esperte in cucina o in pizzeria, di tagliare agevolmente le fette per il topping di una pizza o di un panino, evitando ogni spreco perché lo si può utilizzare fino all’ultima fetta mantenendo gusto e aspetto del salato sempre uniforme. Una costanza che, in una cucina professionale, è fondamentale.

I pregi di questo prosciutto

Le aziende del gruppo Cateringross, come la F.lli Tondini, vogliono approcciare al mercato in termini di diversifica zione e posizionamento, identificando linee di prodotti a marchio per approcciare alla clientela professionale con un più forte appeal in termini identitari ed esclusivi. Per raggiungere questo obiettivo però bisogna garantire alle referenze a marchio parametri qualitativi di un certo livello, ed è qui che entrano in gioco diversi fattori, a co minciare dalle competenze dei responsabili acquisti, su cui il gruppo Cateringross non ha certo lesinato nella se lezione professionale di questi anni. Oggi le linee di pro dotto a marchio stanno portando al gruppo buone soddi sfazioni e la consapevolezza di ampi margini di crescita. Il tutto grazie a precisi criteri che animano i buyer nella selezione di referenze e aziende fornitrici; queste ultime sono sempre leader di mercato per numeri e per qualità. In questi anni è stata ampliata progressivamente la gamma raggiungendo un numero di referenze in gra do di coprire le esigenze della ristorazione, garanten do quegli elementi di differenziazione in un mercato sempre più molto complesso. E questi sono: quotazio ne controllata, sicurezza del prodotto ed esclusività che permettono al ristoratore e al pizzaiolo di avere in carta prodotti che permettono una forte identità

PRODUZIONE
74 | novembre 2022
Chiedilo al tuo fornitore Cateringross Un prodotto indispensabile per la tua cucina www.cateringross.net PROSCIUTTO MAGICO CRUDO STAGIONATO

Cateringross food summit 2022

Un’opportunità all’insegna delle relazioni

www.centrocarnicompany.com

La nostra azienda – Centro Carni Company - ha avuto il piacere di partecipare al Food Summit organizzato da Cateringross e sala&cucina, tenutosi lo scorso 14 otto bre. Un momento che è stato, in particolare per il nostro commerciale di riferimento e per l’ufficio marketing e co municazione, un’occasione per ritrovarci assieme dopo due anni segnati da incontri digitali e un’opportunità commerciale utile a rafforzare i rapporti tra le aziende e utile al nostro brand di punta per il food service.

Attraverso questa occasione di confronto, abbiamo il lustrato i prodotti a marchio Unika® che incontrano i trend del momento senza mai compromettere la quali tà e il servizio che vogliono dare al cliente.

Abbiamo presentato i nostri burger gourmet, pronti all’uso e dedicati a più segmenti, proprio grazie alla loro praticità e al gusto che si presta a più ricette e proposte culinarie. Proseguiamo con la Scottona, una

delle punte di diamante della linea, che si contraddi stingue per il sapore dato dall’inconfondibile marezza tura. L’Aberdeen Angus Sired de La Nostra Filiera, una proposta unica nel suo genere e dedicata agli amanti della carne, che incontra i palati più esigenti e che richiedono gusti persistenti; dalla lombata alle ribs, ogni lavorazione è frutto di un progetto “tailor made”, perché questo è Unika®: qualità e servizio al cliente. Oltre al prodotto disossato e ai burger, abbiamo com pletato la gamma con l’Affumicata di scottona di Aber deen Angus sired e un’altra novità tutta da scoprire sempre legata ai salumi stagionati di bovino. Un’occasione diretta e fondamentale per la realizza zione di nuovi progetti e non solo: un’opportunità di confronto con i clienti, dai quali cerchiamo sempre di cogliere le necessità, per perfezionare i prodotti e mi gliorare sempre di più il servizio, i pilastri di Unika®

NOVITÀ
76 | novembre 2022

AU TH EN TIC

food passion

Tutti i migliori ingredienti più uno... la nostra autentica passione demetrafood.it
Tartaredi fesa marinata BlackAngus CON INSALATA DI FINOCCHI E ARANCE Carpaccio di affumicatoBlackAngus CON ANELLO DI CROSTINO ALL’AGLIO E PUNTE DI ASPARAGI AL BURRO BERNARDINI GASTONE SRL _ CENAIA CRESPINA (PISA) ITALIA _ TEL. 050 644100 _ INFO@BERNARDINIGASTONE.IT _ WWW.BERNARDINIGASTONE.IT
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