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FARE RISTORAZIONE

Autrice: Marina Caccialanza

Una gastronomia prettamente padana, con Mantova, due qualche influsso veneto ed emiliano, fatta di condimenti generosi e salumi intensi, addolvolti e un’unica cita da prelibatezze come la zucca, accompagnata da vini schietti. La cucina mantovana presenta un profilo morbido, un mosaico di saidentità pori che nascono dalla campagna e si trasformano in specialità dall’identità ben delineata: i tortelli di zucca, la mostarda di mele, solo per Circondata dall’acqua, ricca citarne alcuni. L’abbraccio dei laghi ha protetto Mantova, è di opere d’arte, Mantova è ancora l’antica capitale dei Gonzaga e lo scorl’antica terra dei Gonzaga e ne rere del tempo non sembra averla scalfita. L’impronta della dinastia è ben evidente: pare tramanda la storia, il retaggio che ai piaceri della vista - e le opere d’arte e e la cultura culinaria, che non l’architettura ne sono l’esempio – affiancassero quelli del gusto, lasciando ai posteri ricette dimentica ma proietta nel ineguagliabili come i risotti, le paste ripiene, le carni saporite. Non dimentichiamo che le futuro prime coltivazioni di riso nella zona risalgono al periodo di Federico II Gonzaga, nella prima metà del 1500. L’attribuzione di Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ottenuto nel 2008, è espressione e testimonianza di un tessuto urbano che conserva le sue caratteristiche e la sua cultura. Qualcosa si muove, in sordina, in questo panorama apparentemente integro; nuove aspirazioni, stili che mirano a intraprendere itinerari inesplorati. È una Mantova giovane che avanza, nel rispetto del retaggio ma in cerca di espressione, cresce e si afferma.

La tradizione si respira, si gusta e si vive

Chi entra a Il Cigno, Trattoria dei Martini, si immerge nella storia di Mantova. Qui, tra le mura cinquecentesche di una dimora nobiliare, si può respirare la Mantova dei Gonzaga, essere circondati dalla familiarità confortante di un’ospitalità matura e raffinata che non punta all’apparenza ma vive dell’incanto e del fascino rassicurante della concretezza. Gaetano Martini e sua moglie Alessandra sono i custodi di un passato glorioso che incanta e accoglie, e lo mantengono vivo e vibrante. “Viviamo in un luogo magico che mi piace definire ‘approdo gustoso’ – racconta Tano Martini – e vogliamo preservarne i valori e trasmetterli ai nostri ospiti. È questo che cercano quando vengono da noi e li accontentiamo. Non so come si interfacciano col resto del mondo i miei colleghi ristoratori, so che io amo conservare la cucina di tradizione integra delle sue caratteristiche perché credo che ciò sia importante”.

Una sala de Il Cigno

Tano e Alessandra Martini

Il Cigno è il tempio della tradizione mantovana. Lo è perché i Martini la conoscono bene e sanno come trasmetterla. “Mantova è una città molto legata alla sua tradizione e alla sua cultura – spiega Martini - e la cucina mantovana ha radici antiche che, per poterle replicare, vanno interpretate correttamente. Ci provano in tanti ma non sono sicuro che tutti sappiano esattamente cosa significhi comunicare la storia di un piatto. La cucina di tradizione bisogna saperla fare, non basta utilizzare materie prime del posto, è solo metà del lavoro; e non basta riprodurre una ricetta, bisogna riprodurla esattamente rispettandone l’identità. È evidente che oggi non si cucina più come 40 anni fa, ci sono metodi diversi perché ci sono diverse esigenze, ma è importante saper trasmettere l’identità del piatto rendendolo riconoscibile; lo puoi aggiornare ma devi mantenere la sua identità”. Eppure non è soltanto il menù ad attrarre gli ospiti de Il Cigno. È l’atmosfera che si respira, rassicurante, pacata. E non sono soltanto i tradizionalisti inguaribili a frequentare la tavola di Tano e Alessandra Martini: “I nostri clienti sono tanti e diversi, italiani e stranieri, perché offriamo insieme alla classicità la stabilità, quella sicurezza che tranquillizza, che placa e conforta. Il cliente da noi viene perché è riconosciuto dal cameriere – che non cambia continuamente ma è con noi da anni – e conosce il suo nome, i suoi gusti. Il cliente ritrova nel menù, sempre uguale se non nella stagionalità, quella tranquillità che è data dalla conoscenza. Non ci sono sorprese, non ci sono insicurezze o stranezze. Trasmettiamo, insieme a sapori e gusti ben noti, la rassicurazione calda e confortante di sentirsi a casa. La buona cucina è anche questo: ospitalità”. Mantova è così, come i tortelli di zucca di Tano Martini, una vera icona; come il suo piatto più famoso, l’insalata di cappone, ricetta storica di Bartolomeo Stefani, celebre cuoco alla corte dei Gonzaga durante il Rinascimento, che Martini scovò in un antico testo e decise di riprodurre esattamente. Mantova è un caldo abbraccio.

Il nuovo che avanza non calpesta ma percorre la via tracciata

Una scelta nata per caso, un locale che valorizza il luogo dove si trova, un giovane chef che propone una visione nuova e stimolante nel rispetto della tradizione. Francesco Zamboni, poco più che ventenne, torna nella natia Mantova dopo aver cercato la sua strada altrove. Un po’ per scelta – non mi piaceva lavorare a Milano – un po’ per casualità – il covid mi aveva lasciato di fatto senza lavoro – ma anche per caso, poiché in quel periodo si era reso disponibile un locale in pieno centro storico, alle spalle della basilica di Sant’Andrea, apre Laboratorio, cocktail bar e ristorante innovativo. A Mantova arriva un nuovo tipo di ristorazione e conquista. È l’altra faccia di una città apparentemente assopita; è quell’impulso che indirizza verso il futuro, perché non può esserci innovazione senza tradizione e la via è tracciata, basta saperla percorrere. “Vengo da una famiglia di ristoratori – racconta Francesco – mio padre ha un ristorante tradizionale da molti

Francesco Zamboni

Gli interni di Laboratorio

anni, La Cucina, e sono cresciuto con l’idea di continuare questo mestiere. Il locale in piazza Alberti si è presentato come un’occasione da non perdere. In pieno periodo covid ho voluto seguire il mio istinto e, quasi per gioco, l’ho rilevato dandogli un’impostazione un po’ insolita per il contesto: un cocktail bar con cucina a cui ho dato nome Laboratorio perché, per me, rappresenta un esperimento, in cui credo, una formula che mancava a Mantova e che ha incontrato il favore del pubblico”.

In una città dove il 90% della ristorazione è tradizionale, l’8% etnica, restava quell’1% che oggi si identifi-

ca col Laboratorio di Francesco Zamboni. Spiega Francesco: “Il cliente mantovano punta sulla tradizione; è legato alla tipicità e non ha, in genere, un buon rapporto con le novità, che sfugge. Mantova è una città bellissima ma chiusa e, proprio per questo, ho intuito che non avrei avuto concorrenza, valeva la pena di provare. La piazza, ristrutturata da poco è un sogno, e Laboratorio ci sta proprio bene”. Francesco Zamboni ha risvegliato l’attenzione dei mantovani con una filosofia di cucina moderna ma non eccentrica, piuttosto orientata al no spreco e alla naturalità: “Utilizziamo tutta la materia prima, nella sua interezza. Per esempio, la faraona diventa un piatto di petto, uno di coscia, uno di alette; cerco ortaggi di origine biologica, molto difficile nel circondario ma non impossibile; i cocktail vengono realizzati utilizzando le tecniche complesse della cucina e, pertanto, posso proporre marinature, estratti, sottovuoto: facciamo un cocktail di kombucha, un tipo di fermentazione. Insomma, cerchiamo di portare un soffio di novità creando una collaborazione ideale tra cucina, sala e bar. Il locale si chiama Laboratorio anche per questo”. Pochi ingredienti costituiscono la base delle ricette, uno diventa il protagonista e identifica il piatto, sempre in un’ottica ideale di no allo spreco; piuttosto con l’intento di stupire, coinvolgere l’ospite senza esagerazioni. Sono piatti equilibrati, mai scontati. Francesco Zamboni ha infranto il muro della tradizione e vi è riuscito perché non ha forzato la mano; quella mano, l’ha presa e accompagnata dolcemente verso una zona confortevole e costruttiva. Conclude Zamboni: “Giovani e meno giovani hanno capito. Sono persone che rispettano, come me, la tradizione, ma hanno visto il mondo e acquisito un’apertura mentale che permette di apprezzare quel pizzico di novità che non stravolge, semmai arricchisce”.

una terra, una famiglia, una forma

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