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LA PIAZZA di Giovinazzo

Via Cairoli, 95 Giovinazzo 70054 (Ba) Edito da LA PIAZZA DI GIOVINAZZO Iscr. Trib. di Bari n. 1301 del 23/12/1996 Telefono e Fax 080/3328521 Part. IVA 07629650727 IND.INTERNET:www.giovinazzo.it E_MAIL:lapiazza@giovinazzo.it FONDATORE Sergio Pisani DIRETTORE RESPONSABILE Sergio Pisani

REDAZIONE Damiano de Ceglia - Giovanni Parato Anna Lisa Uggenti - Alessandra Tomarchio Maria Donata Guastadisegni CORRISPONDENTI DALL’ESTERO Rocco Stellacci (New York) Giuseppe Illuzzi (Sydney) HANNO COLLABORATO Diego de Ceglia - Agostino Picicco Vincenzo Depalma - Porzia Mezzina Enrico Tedeschi - Michele Decicco Onofrio Altomare progetto grafico - La Piazza di Giovinazzo editrice Grafica pubblicitaria: Rovescio Grafica responsabile marketing & pubblicità: Roberto Russo tel. 347/574.38.73

ABBONAMENTI ITALIA: 20 Euro SOSTENITORE: 50 euro ESTERO: 60 Euro Gli abbonamenti vengono sottoscritti con cc postale n. 1021309297 o con vaglia postale, con assegno bancario o bonifico intestato a: ASS. LA PIAZZA DI GIOVINAZZO IBAN - IT10U0760104000001021309297 VIA CAIROLI, 95 70054 GIOVINAZZO (BA) ITALY La collaborazione é aperta a tutti. La redazione si riserva la facoltà di condensare o modificare secondo le esigenze gli scritti senza alterarne il pensiero. FINITO DI STAMPARE IL 23.12.2015

20 anni senza paracadute NE UN EURO DI CONTRIBUTO

,

DI

SERGIO PISANI

Anno 20 n° 1. Questo leggerete sulla testata del mensile. La Piazza compie il 20° anno dall’uscita del suo primo numero che risale al gennaio 1997. La Piazza è riuscita a sopravvivere due decenni. Avevo intenzione di raccogliere un’antologia con il meglio degli ultimi vent’anni di questo mensile, ma a causa dei costi e per non escludere tante pagine meritevoli di essere ricordate, ma soprattutto perché chi ama la Piazza – e vi garantisco che sono tanti – ha raccolto tutti i numeri, ho ritenuto inutile l’operazione. Vi racconterò come è nata La Piazza in cinque minuti di lettura. Prendetevi il cestello di popcorn, perché finirò con l’annoiarvi. Per dare vita ad una rivista, oltre all’idea, ci voleva coraggio, tanto coraggio e un budget iniziale per sostenere le uscite del periodico. Nel lasso di tempo trascorso tra l’idea – allo stesso tempo un po’ sommaria, presa per realizzare un mio vecchio desiderio e un po’ sprovveduta, non sapendo quanto e quale impegno richiedesse fare una rivista – e la conferma della volontà a procedere, provvidi a registrare il giornale al tribunale dei periodici di Bari. Era il 23 dicembre 1996 n. 1301 di repertorio (oggi circolano tanti giornalini politici nei bar e nei circoli senza registrazione al Tribunale della stampa, con tanto di mese e numero di pubblicazione). Senza grandi squilli di tromba, senza che fosse anticipato qualche mese prima da un numero 0, senza un numero pilota, nel gennaio del 1997 feci uscire La Piazza in formato A4 composta da 20 pagine (oggi ne conta 48, ma siamo arrivati anche a 104 pagg. col numero che precedeva le elezioni cittadine del maggio 2012). Prima e ultima di copertina sempre a colori, il resto in bianco e nero. Costo di una copia: 2.000 lire. Tiratura: 1000 (troppe invero). Costo dell’operazione 2milioni e mezzo di vecchie lire. Mi accollai tutto io con i miei risparmi. Non mancò chi, con voce laconica, mi domandò se sentivo proprio la necessità di dare alle stampe un giornale che si inseriva nella vasta gamma dei giornali già presenti in paese (Tempi Nostri, Il Tocco del Bom Baun, Incontri ed Esperienze). La Piazza naturalmente non era e non è mai stata sul libro paga di alcun sostenitore. Ci fu giustamente chi si fece carico di dirmi che non sarei sopravvissuto al terzo numero. I primi due anni non avevo una sede del periodico, non potevo permettermela. Tutto il materiale perveniva a casa. Il primo numero non andò tanto male. Vendemmo 500 copie. Con il secondo scendemmo a 300. Per i restanti 10 numeri del 1997 non andammo oltre le 250 copie. Il punto di pareggio non l’avremmo mai raggiunto, nemmeno se avessi venduto tutte e 1000 le copie ogni mese. Quelle invendute non andavano al macero ma venivano distribuite gratuitamente il mese successivo per dare visibilità al giornale nelle case e negli esercizi commerciali. Ci sono voluti tempo e soldi. Tanti. Forse qualche copia sarà andata a finire sotto la gabbia del canarino, ma dopo cinque anni La Piazza era entrata nelle case dei giovinazzesi. LA PIAZZA SU INTERNET. Ovviamente il giornale era profondamente mutato: dalle 20 pagine iniziali era passato a 44 senza rinunciare a quartini in quadricomia per soddisfare l’esigenza di qualche inserzionista che amava gli sfondi colorati. La Piazza sopravviveva grazie a inserzioni di mobilieri, centri estetici, commercianti, ristoranti e agenzie immobiliari. Non nasconde-


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COPERTINA

vo anche la soddisfazione di aver veicolato al lettore qualche vetrina pubblicitaria di auto o case che poi sono state vendute. E la corsa alla ragazza - copertina (La Piazza è stata antesignana anche in questo), che nelle sue pose anticipava un po’ la pruderie della lettura del giornale, era diventata una lista d’attesa più lunga di quella per la prenotazione di una Tac al Policlinico. Nel 1998 prima che i ragazzi implorassero dai genitori l’obolo mensile per un provider locale che garantisse la connessione ad internet a 33K, prima dell’avvento di Tiscali e Telecom che avrebbero invaso il mercato con le connessioni a

IN COPERTINA TOMMASO D EPALMA , ALIAS S INDACO E LETTRICISTA - C ICLISTA R AIN M AIN - P ENSATORE ORATORE - SOGNATORE E DA OGGI ANCHE BEFANONE. LA FOTOCOMPOSIZIONE È STATA REALIZZATA DA ROVESCIO GRAFICA


consumo, La Piazza era già su internet. Anche se non se la filava nessuno perché non c’erano ancora Google e Yahoo, non c’erano i domini e gli indirizzi erano pomposissimi e di complicata digitazione. Poi con l’avvento dei domini decisi di comprare quelli di www.giovinazzo.it e giovinazzo.com registrati presso il Garante. Prezzo? 2 milioni di lire. Spesa mai recuperata, anche perché il giovinazzese medio non era fidelizzato all’online. Con il primo portale turistico della città offrii il primo webtg di Giovinazzo con tanto di signorina buonasera che lanciava i servizi e con la prima diretta web di hockey su pista tra Follonica – Giovinazzo, raccontata da Giangaetano Tortora Tirai avanti con la web tv per un paio di anni prima di cedere il testimone ad altri network online. LA CRISI DELL’EDITORIA. I mutamenti della tecnologia hanno prodotto la crisi della parola e la nascita di internet ha dimezzato la diffusione dei giornali. Ma l’importanza de La Piazza e il numero dei lettori sono rimasti molto alti se si somma il giornale cartaceo e quello letto attraverso il sito internet. Dobbiamo dunque approfondire le ragioni che a distanza di vent’anni dalla sua fondazione rendono ancora essenziale la lettura de La Piazza nonostante i mutamenti della società nei suoi aspetti sociali, economici, culturali e politici. In questi nostri tempi pieni d’immagini che si succedono su internet come in un film senza fine, in questi tempi in cui s’intrecciano tante storie, cronache raccontate su ogni schermo, su tanti quotidiani, c’è da chiedersi: quale spazio rimane al nostro mensile costretto ad arrivare quando i quotidiani hanno già bruciato tutto, togliendo molto della naturale curiosità dell’opinione pubblica. Molti risponderebbero che resta poco o nulla, ragionando con l’ottica dell’informazione generalista. Nel fiume di parole bisbigliate, scandite, scagliate addosso a chi ascolta, gridate alla ricerca di un’attenzione privilegiata, nel coro senza fine di quanti cercano di farsi sentire, c’è La Piazza, un giornale che guarda alla casa accanto, quando vi accadono cose che impongono una vicinanza umana, nella gioia e nel dolore. Su La Piazza i lettori non trovano le stesse notizie che hanno già letto sui quotidiani telematici. Serve un giornale locale che, al profumo dell’inchiostro, abbina quello della terra in cui nasce, perché ne respira i giorni attimo per attimo. Un mensile puntuale e franco, senza partigianeria, che accende un’infinità di spie d’allarme. Un mensile che conduce tante battaglie cittadine soprattutto quando si vive con le bocche cucite. Un mensile locale con balconi sul mondo delle Little Italy dove i giovinazzesi respirano l’ossigeno di casa nostra ma con le porte aperte specialmente al luogo in cui si diffonde. Un mensile che aiuti a discernere nel caos delle notizie

quelle che davvero sono rilevanti e che induce su quelle a fermarsi almeno un attimo, per riflettere, per capire, per immaginare dove si può andare a finire. Questa è La Piazza di Giovinazzo, questa è riuscita a diventare. TUTTAVIA NON È TUTTO ROSE E FIORI. Le amarezze, piccole e grandi, ci sono state e continuano ad esserci. E’ inutile nasconderlo. Da quando nel 2006 si è deciso di passare al colore per essere competitivi, i costi si sono quadruplicati. Non sono quadruplicate le entrate. Un certo boicottaggio nei nostri confronti c’è stato sempre. La Piazza è fatta anche di tanti detrattori poco avvezzi alla nostra carta patinata. Gli esempi di mancanza assoluta di gratitudine, educazione, sensibilità e altro li conosciamo bene e provengono proprio da questi signori. Questi lettori non li voglio. Altre piccole delusioni ed amarezze sono arrivate da alcuni che si sono proposti inizialmente come collaboratori a pagamento e invece covavano malcelate ambizioni anche politiche: quando me ne sono accorto, li ho cacciati ed ora si sono accasati altrove. LA PIAZZA RESTA UN LUSSO INTELLETTUALE. Sono le pagine di Diego de Ceglia di Storia Nostra, gli amarcord di Vincenzo Depalma e le fotografie dell’archivio Luce di Giovanni Parato. Già anche le foto si leggono e non si guardano. Per questo la Piazza piace: ha frenato il ritmo di lettura che si ribella alla velocità compulsiva della narrazione di internet. In 20 anni di pubblicazioni vi garantisco che dietro ogni pagina si nasconde un fatto nuovo, un documento rispolverato. Pagine e pagine da leggere che fanno un’antologia di Giovinazzo. Pagine da leggere in poltrona, vorrei dire «come una volta». Pagine che contengono una risposta a chi con internet legge in un nanosecondo. In questo senso La Piazza è più avveniristica di una trasmissione in streaming delle immagini. E contiene anche un paio di risposte a chi pensa che la carta patinata sia stata soppiantata dall’informatica. Sarebbe un grossolano errore di concetto se non si facesse di quella carta qualcosa di appena più sostanzioso, di meno volatile, di più bello, più riflessivo. Se vuoi avere più lettori, produci lettura. Almeno un po’ di buona lettura, le pagine de La Piazza le ha offerte in questi 20 anni. Senza ricevere un euro dal Comune di Giovinazzo. Ecco la risposta ai tanti che mi chiedevano: «Ma come, il Comune non vi dà i soldi per stampare il giornale?». Buon compleanno La Piazza. Un soffio sulle candeline e si prosegue. SERGIO PISANI



l’intervista DI

SERGIO PISANI

Nel saccone del Befanone: «Anche quest’anno, grazie al cuore del Befanone, Tari, Tasi e Imu non sono aumentate. Anzi per circa 7.000 famiglie la Tari è pure diminuita» ci riuscirò. Anche quest’anno grazie a quel cuore, Tari, Tasi e Imu non sono aumentate. Anzi per circa 7.000 famiglie la Tari è pure diminuita. Questo grazie anche alla befana Tonia Pansini che era in copertina due anni fa.

Tommaso Depalma, alias Sindaco elettricista - ciclista - rain main pensatore - oratore -sognatore - tutto lui. Oggi anche Befanone. Come mai hai deciso di metterci la faccia su La Piazza? Perché chi sceglie di mettersi in gioco, non può giocare a nascondino. E poi perché se lo chiede il direttore di farti una copertina, non può proprio evitarlo. Ciao, Befanone. Sai, ti immaginavo un po’ rinsecchito, col naso adunco ed il viso segnato di rughe, la faccia annerita dal fumo dei camini attraverso i quali

Eppure, più di te, caro Befanone, io preferivo il Babbo Natalicchio che tu conosci. Almeno lui, non ha ripulito i portafogli dei giovinazzesi come te e Rigor Monti! I veri ripulitori stanno a Roma in Parlamenentri nelle nostre case imbucando il to. Monti e Letta su tutti (vedi TARI), mensalasso delle bollette della Tari, Tasi, tre Renzi cerca di metterci qualche toppa, Imu. Invece ti mantieni in forma senza ma è una sfida durissima. andare in palestra. Sarà che fai il sindaco. Non è un gioco né una finzione. E’ Un Befanone - sindaco e la scopa: a chi la realtà, orribile a vedersi. Dov’è il tuo gliela daresti in testa? cuore d’oro? A quelli innanzi citati, al nostro Parlamento e Oggi come oggi anche i meno giovani han- a certi Governi che hanno ridotto i sindaci a no la possibilità di mantenersi benino. Non semplici loro esattori. fumo, non bevo, ho solo il vizio di preferire la bici (e la scopa….) all’auto e quindi 1 Dicono che ne sai una più del diavolo. + 1 fa 2. Ma allora quella tua scopa si chiama Quanto al mio cuore d’oro, l’ho sempre «Tommaso, la scopa ficcanaso?» messo al servizio della città da tanto tempo La mia scopa è micidiale in certi armadi con e in diversi ruoli. Continuerò a farlo finché scheletri e marmellate andate a male…..


Eppure, caro Befanone, la tua dimora non è il solaio del Palazzo di Città. Vivi buona parte dell’esistenza nell’Aula Magna del Comune. E’ solo una coincidenza? Mi spiace, ma ti riferisco, caro direttore, che è lui quello asserragliato nella sua redazione. Io vivo e giro la città per stare fra la gente e con la gente. E al palazzo vado solo per fare sangue amaro quando mi tocca…agitar la scopa! Caro Befanone, che differenza c’è tra l’idea e l’azione, tra Vendola o Emiliano, tra Destra o Sinistra. Per te pari sono. E’ il caso di dire « Francia o Spagna, basta che se magna?» - volendo scomodare Guicciardini? Sintetizzo: Vendola solo teoria – Emiliano pratica quotidiana di uno che consuma le scarpe fuori dai palazzi del potere. Destra: una attesa ancora lunga. Sinistra: un rospo travestito da principe. Caro Befanone, con lo scoccare del nuovo anno, quali oggetti o vecchi pensieri hai gettato giù dalla finestra di via Cappuccini per dimenticare? Nulla. Ognuno di noi è la somma di se stesso, di tutto quello che vive e che gli gira intorno. La vera forza è rigenerarsi ogni volta e lasciare che i cattivi pensieri non vincano mai sulla voglia di superare gli ostacoli. Chiuso nella tua Aula Magna, prepari sorprese e giochi con le costruzioni Lego: i nuovi lungomari, le piste

ciclabili, la Pensione dell’anziano. Renzi distribuirà i buoni-cultura di 500 euro ai tanti bambini che lo andranno a votare, tu invece ancora tanti miseri buoni - lavoro? Ognuno gioca con le carte che ha. Noi stiamo facendo cose mai fatte finora. E i buoni - lavoro rappresentano un’esperienza che pur se devastante (dal punto di vista delle procedure burocratiche), è un segno di rispetto della dignità di tanti bravi lavoratori giovinazzesi. Sono certo che saranno più orgogliosi di ricevere denaro pubblico in cambio della loro laboriosità al servizio della città. E le cose che elenchi saranno tutte vere e tangibili. Le costruzioni Lego le lascio ai più piccoli. Noi dobbiamo chiudere grandi progetti per un grande futuro. E penserai anche a quegli adulti che esasperati dalla tue befanate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio nella loro letterina avranno espresso il desiderio del Canto del Cigno del Befanone – sindaco? Ogni cittadino è nei miei pensieri. Sostenitore o meno. Se sei di Giovinazzo, il Sindaco Befanone è con te! La Piazza compie vent’anni. Dal Befanone e dai tanti Babbi Natale che hanno colorato questa rivista, non ho mai ricevuto in dono un euro. Ammesso che io creda in te, posso chiederti un buono - stampa dalla tua litografia amica? Conosco la dignità e il grande pudore del direttore. Non accetterebbe mai!!!!

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Caro Befanone, hai promesso di farci vedere la Città del Sole. Altro che Campanella, il filosofo. Qui mi sembra di riecheggiare le note di A killer in the sun di Bruce Springsteen! La luce che sta arrivando per via delle tante opere in cantiere sarà accecante. A cavalcioni di una scopa, sotto il peso di quel sacco stracolmo di sorprese passerai anche sopra il tetto della Befana alla cultura Marianna Palladino e al bilancio Antonia Pansini. Di cosa riempirai le loro calze? Di tanto coraggio e forza per portare avanti il fardello di aspettative della città e di attività da portare a compimento. Il patto di stabilità di Matteo Renzi promette lacrime e sangue per i Comuni. Ce l’hai un sacco di euro in dono da aggiungere nel Bilancio del 2016 per far sorridere tutti i nostalgici di Babbo Natalicchio? La strenna noi l’abbiamo data già il 30 Novembre con l’approvazione del bilancio di assestamento, dove a fronte di un incremento di costi di smaltimento rifiuti di oltre 500.000 euro, in presenza di un decremento degli incassi provenienti dalla discarica che non abbanca più rifiuti (circa altri 500.000 euro in meno), siamo riusciti a non chiedere nulla ai nostri cittadini, ma tanti di loro hanno avuto una Tari meno salata dello scorso anno. Roba da fantascienza.

SERGIO PISANI


l inchiesta

SIAMO UN PAESE PER VECCHI Dai 352 parti del 1964 alle 129 nascite nel 2015. E’ il punto più basso della natalità in paese

DAL 1950 AL 2015. ANDAMENTO STATISTICO DELLA NATALITÀ Girando per le vie del paese vi sarà senz’altro capitato qualche volta di notare, appeso su qualche portone, un fiocco rosa o azzurro: da ciò avrete senz’altro dedotto la nascita di una femminuccia oppure di un maschietto. Ebbene, crediamo che in questi ultimi anni la conoscenza di nuovi nati si sia rivelata per voi un’impresa tutt’altro che facile… Non che l’usanza dei fiocchi rosa o azzurri sia andata ormai desueta, piuttosto sono state le nascite a diminuire a Giovinazzo! I dati raccolti presso gli uffici comunali (e che hanno ispirato il nostro grafico riguardante la natalità in paese negli ultimi sessant’anni) parlano infatti chiaro: se nel ventennio a cavallo tra il 1960 ed il 1980 i neonati quasi sempre superavano in totale le 300 unità (il picco nel 1964 con ben 352 parti) il percorso inverso si è verificato negli anni a seguire. Fino ad arrivare alle 129

nascite registrate nel 2015. Un vero e proprio decremento della natalità quindi. SI SCRIVE GIOVINAZZO, SI LEGGE…ITALIA Il fenomeno non va tuttavia circoscritto alla nostra città, se è vero che nell’intero Belpaese si è assistito col passare degli anni ad una progressiva diminuzione di presenze giovanili in seno alla popolazione. E le previsioni in relazione al prossimo futuro sono tutt’altro che incoraggianti: la terza età sta ormai prendendo il sopravvento! Quali le ragioni che hanno portato a queste conseguenze? In virtù di quali fattori, insomma, a Giovinazzo come in Italia stiamo sempre più diventando un popolo…di vecchi? Facile immaginare che dietro tutto questo si celino motivazioni di carattere economico. Quanti genitori, pur desiderandola, possono in real-

A

GIOVINAZZO

tà permettersi la nascita di più figli? Date le condizioni in cui viviamo attualmente, specie nel Mezzogiorno, non crediamo sia alla portata di tutte le famiglie godere di una prole alquanto numerosa. Il bambino e la sua crescita rappresentano un costo non indifferente a carico di quanti devono sudare le proverbiali “sette camicie” per potersi permettere un adeguato menage familiare, specie quando non si è proprietari della casa in cui vivere la propria esperienza coniugale. Nessuna meraviglia allora se al giorno d’oggi, e non solo qui a Giovinazzo, ci sono famiglie con unico figlio o addirittura formate da soli genitori. Le condizioni economiche, per dirla in breve, la fanno sempre da padrone… Non è un caso che il boom delle nascite lo si è registrato negli anni ’60 ossia in un contesto di benessere generale, favorito dalla crescita economica


DAL 2000AL 2015. ANDAMENTO

che all’epoca ha interessato lo Stivale. GIOVINAZZO: DAL PASSATO… Per quel che concerne in particolare la nostra città, gli anni sessanta furono senz’altro caratterizzati da una certa agiatezza. Non mancava il lavoro, specie per la presenza della Ferriera. Aumentò rispetto al passato il numero di salumerie e macellerie. Fecero la loro comparsa negozi di abbigliamento di nuovo conio. E di fronte a tanta grazia che male c’era per i coniugi a generare uno, due, più figli? Di qui, in un periodo in cui la nostra città conobbe anche il fenomeno dell’incremento demografico dovuto all’acquisto di case da parte di non giovinazzesi a costi più favorevoli rispetto ai paesi limitrofi, un aumento considerevole delle nascite. Così, se negli anni ‘50 in una sola occasione si era oltrepassata quota 300 (per la precisione il 1952 con 302 nuove nascite), nel decennio successivo tale cifra, eccezion fatta per il 1960 e il 1961, venne costantemente superata. Il punto più alto, come

STATISTICO DELLA NATALITÀ A

detto, fu raggiunto nel 1964 con ben 175 maschi e 177 femmine per un totale complessivo di 352 nascite: si tratta del record cittadino assoluto con riguardo all’intero Novecento. Considerevole pure il numero di parti negli anni ’70: risaltano in particolare le 344 nascite nel 1977. Dal grafico è poi possibile evincere l’andamento nei decenni successivi, fino ad arrivare al terzo millennio. … AI GIORNI NOSTRI 156,136 e 129: non sono numeri da giocare al lotto, bensì le nascite registrate presso il Comune di Giovinazzo rispettivamente negli anni 2013, 2014 e 2015. Nell’ultimo caso i dati sono relativi alla popolazione residente al 13 - 12- 2015, tuttavia non crediamo che nei mesi di novembre e dicembre si sia verificata una vera e propria corsa… al parto. La differenza tra i nostri giorni ed il passato emerge in maniera alquanto evidente. Tutto a causa dei fattori economici, come abbiamo sottolineato in precedenza. Il tenore di vita attuale, in particolare con le

GIOVINAZZO

STATISTICHE Ufficio Anagrafe ELEBORAZIONE grafica Giovanni Parato scarse prospettive in termini occupazionali che al giorno d’oggi offre la nostra città, se infatti da un lato incentiva il fenomeno dell’emigrazione in cerca di maggior fortuna lontano da Giovinazzo dall’altro dissuade dalla composizione di famiglie numerose. Inevitabile la conseguenza: la popolazione giovanile in paese è sempre più in via d’estinzione! Ed a consolarci non serva la constatazione che altrettanto si sta verificando pure nel complessivo territorio peninsulare. Quanto al futuro, poi, in tanti sin da oggi sono pronti a scommettere che la musica non cambierà: la vita sarà sempre più difficile ed i bambini continueranno a nascere col contagocce. Sante parole, allora, quelle di Celentano: «Chi non lavora non fa l’amore».


ILLIS

temporibus

ANNANTONIA LASORSA, L’ULTIMA LEVATRICE Sessant’anni orsono c’era l’usanza di partorire in casa. Ad aiutare le donne in procinto di partorire, c’erano le levatrici comunemente chiamate mammèr. Non so quante di loro fossero diplomate all’esercizio della professione, so di certo che allora la mammèr era un mestiere molto apprezzato in paese e praticato da poche, le uniche abilitate all’estrazione del neonato dall’utero. Parlerò dell’ultima levatrice: Annantonia Lasorsa in Magenta, deceduta nel giugno del 1978. La hanno preceduta Dagostino Anna e Porzielle (non ricordo il cognome) che abitava vicino la Madonna dell’Angelo. Annantonia Lasorsa è stata l’ultima a portare la gioia della nascita direttamente nelle case dei giovinazzesi. Circa 4000 nati secondo le stime della figlia Romana. Si chiamava la mammèr Annantonia solo all’ultimo momento, prima del parto. La mammèr non seguiva la donna sin dal concepimento fino al parto. Era quello un altro mondo. Oggi invece la levatrice segue la partoriente per tutta la gravidanza, sino al parto, che, comunque, non avviene più in casa. Una volta, invece, la donna rimasta incinta non ricorreva nè al medico nè alla levatrice perché andavano pagati. In qualunque ora del giorno e soprattutto di notte, Annantonia si alzava e subito, accompagnata dal marito sul telaio di una vecchia bicicletta, si recava all’abitazione dove l’aspettava la donna, già con le doglie avanzate. Annantonia veniva assistita dalla suocera, dalla madre, dalle vicine di casa, dalle comari, ecc.. Si serviva di strumenti sterilizzati in acqua bollente e di altro materiale in uso. Al momento del parto, veniva acceso il fuoco e la caldaia imbottita di acqua bollente per la pulizia della partoriente e per l’igiene dell’ambiente. Annantonia impartiva a ciascuna donna presente compiti precisi da cui nessuno poteva derogare, pena la cattiva riuscita del

QUANDO NASCEVAMO IN CASA di Giovanni Parato

parto e pericolo grave per la salute della mamma e del bambino perché il parto a quei tempi era sempre un intervento sanitario che comportava rischi. Nulla era lasciato d’intentato: i pannolini, le lenzuola, l’ovatta, le garze e i cerotti, le fasciature, gli asciugamani e la camiciola per il neonato. Annantonia allora era un’autorità in paese, l’unica abilitata ad estrarre il neonato spinto dalla forza di 150 cavalli. Poi, dopo il parto, la mammèr ripuliva il neonato di tutte le impurità, affidandolo poi alle signore presenti. Ma non finiva qui. Annantonia seguiva le quotidiane medicazioni e i consigli per l’alimentazione. Consigliava brodo di pollo o di colombino con tagliolini all’uovo e parmigiano, lo zabaione accompagnato da un bicchiere di Marsala, nonché assoluto riposo. E il giorno del battesimo, la levatrice doveva essere presente. A lei si faceva omaggio dello spumone, preparato con dovizia artigianale dal bar Venturino di proprietà del signor Caccavo. Oggi le mammèr non ci sono più. Ora tutto è cambiato. Per venire al mondo, il bambino trova l’aiuto dell’ostetrica, del ginecologo, oltre che di macchine moderne e sofisticate che lo accolgono appena nato in strutture pubbliche e private. A Giovinazzo anche l’ospedale Maternità sito dove ha oggi sede il mercato del pesce e della frutta è stato cancellato da altri istituti di eccellenza.



IL

CONTRAPPUNTO d e l l ’a l f i e r e

2015, L’ANNO DELLA TARI IMPAZZITA 2015, ANNUS HORRIBILIS. Leggerete - chi vorrà - il giornale a poche ore dalla fine del 2015. Pensavo che l’anno si è aperto con un attentato e si chiude con un altro attacco ancor più sanguinoso e violento. Sempre la Francia, prima un giornale satirico colpevole di pubblicare vignette considerate troppo offensive contro la religione mussulmana e il profeta Maometto. Peraltro il periodo francese, Charlie Hebdo, non risparmiava identici toni nei confronti delle altre religioni monoteiste. Ricordo le reazioni e la mobilitazione internazionale, Capi di Stato e personalità dei campi più disparati uniti nella condanna. Non si può ammazzare per una vignetta o un titolo di giornale. Non si può. Un titolo di giornale o una vignetta, anche forti, sono espressione di libertà e quella libertà conquistata con una grande rivoluzione, quella francese, che fra contraddizioni e incertezze e sbandamenti e difficoltà e strappi è ancora oggi l’unica rivoluzione che ha lasciato il segno duraturo, profondo e caratterizzante del mondo moderno. Ecco la Francia, lì è nato il mondo moderno e lì colpiscono i terroristi islamici nemici di tutto questo. Del nostro mondo, dei nostri valori, del nostro modo di vivere, di quella modernità rifiutata da questi e, purtroppo, da molti altri. «Non ci faremo intimidire» è l’affermazione più abusata. Intanto, nella realtà è esattamente ciò che è avvenuto. Dalle piccole alle grandi cose. E proprio questo Natale ha dimostrato che ci siamo fatti intimidire. In molte scuole i dirigenti scolastici, talvolta sostenuti anche da prelati modernisti, hanno rinunciato a festeggiare la grande festa di pace della chiesa cristiana. Decisioni che hanno sollevato polemiche e riflessioni. Tutto in nome del presunto rispetto per gli studenti di altre confessioni religiose. Quella mussulmana essenzialmente. Non riesco, in tutta sincerità, a capire cosa possa offendere del messaggio di pace universale che emerge prepotente dal Natale. Sono, sicuramente, troppo semplice e rozzo per non percepire altre sfumature e non comprendo la posizione di una parte della Chiesa. Dio che si fa Uomo è nella mia mente il più potente messaggio di Pace e fratellanza e un presepe o un albero di Natale o un canto di pace non capisco come possa turbare le menti di altre persone. Persone che hanno scelto di vivere in questo nostro mondo occidentale imperfetto e carico di contraddizioni ma ancora attrattivo per centinaia di migliaia di donne e uomini. Così attraente con tutte le sue imperfezioni ma con la li-

TARI ASTRONOMICA Si possono chiedere 12.000 euro per un’attività commerciale sia pure di ampie dimensioni? Qualcosa non funziona!

bertà e le radici di cui la cristianità, a differenza delle titubanze europee sul tema, è parte fondamentale . È stato dei primi timidi e parziali segnali di ripresa in un contesto di grande incertezza. Segnali contrastanti sul fronte dell’occupazione. Ancora tantissimi disoccupati e soprattutto fra i giovani. È stato l’anno delle crisi bancarie più gravi per i risparmiatori italiani. La nuova normativa europea non consentirà salvataggi. Tutti sono chiamati a maggior attenzione nell’affidarsi ad una istituzione finanziaria piuttosto che ad un’altra. Lo Stato non potrà più intervenire. La Germania ha salvato le sue banche con centinaia di miliardi e poi ha imposto là norme che rende impossibile salvare gli istituti di credito con i soldi pubblici. Nessuno si è opposto. L’Italia, di fatto espropriata della sovranità, ha accettato supinamente. E da gennaio 2016

tutti i correntisti saranno chiamati a ripianare le situazioni di difficoltà della banca di cui sono clienti con l’unico salvataggio del fondo di tutela del risparmio. È quindi è stato l’anno di Angela Merkel. Sta coronando il sogno ciclico della Germania egemone che ciclicamente riemerge. E riemerge in modi e modalità diverse ma con l’obiettivo di sempre. La Germania su tutti. L’ANNO DELLA TARI IMPAZZITA. È stato l’anno di tanti scandali grandi e piccoli di una classe politica inadeguata e di una Nazione sfilacciata e senza guida. È stato l’anno del plebiscito che ha portato sulla poltrona di governatore della Puglia Michele Emiliano. Il suo primo provvedimento è stato in linea con il consenso ricevuto. Ha affidato alla sua compagna un importante ruolo nell’organigramma dell’organizzazione


regionale. Perfetto. È stato l’anno dei proclami a tutti i livelli. Il nostro nuovissimo sindaco dopo tanto promettere ha finalmente realizzato il suo sogno di ciclista. Una grande pista ciclabile fra Giovinazzo e Santo Spirito. I ciclisti felici e automobilisti in rivolta con autisti di mezzi pubblici, quei mezzi che dovrebbero sostituire la mobilità autonoma, per la carreggiata ridotta a larghezza da paese dei puffi. Complimenti. Mi auguro per Giovinazzo che il lungomare, o meglio parte di esso, sia realizzato con più attenzione. È stato l’anno della TARI impazzita. Si possono chiedere 12.000 euro per un’attività commerciale sia pure di ampie dimensioni? Qualcosa non funziona. Una classe politica con tanti imprenditori avrebbe potuto e dovuto fare di più per tutelare quell’esile e sempre più debole tessuto imprenditoriale giovnazzese. Invece! Troppe parole e pochi fatti concreti. Il tempo stringe sindaco. Le elezioni si avvicinano e gli avversari, anche se deboli al momento, potranno solo rafforzarsi. Buon anno a tutti e, permettetemi, soprattutto ai nostri marò, Girone e Latorre condannati non dall’India ma dallo Stato italiano e da una classe politica e di governo impresentabile nel vero senso del termine e non per ragioni di presunta e sempre opinabile moralità. Buon anno e che possiate ritornare fra i vostri cari e nelle vostre case.

alfiere@giovinazzo.it

MILLE VOLTE GRAZIE

Le volontarie dell’A.N.T. di Giovinazzo desiderano ringraziare tutti coloro che, sempre generosamente, partecipano al pranzo che, ormai da quattordici anni, il sodalizio organizza grazie anche all’impegno fattivo e concretamente solidale di Savino e Bina Scivetti, insegnanti della scuola di ballo della palestra Jump. L’iniziativa ha come obiettivo quello di raccogliere fondi per l’assistenza domiciliare gratuita ai sofferenti di tumore. Tale assistenza viene garantita da medici, psicologi e infermieri specializzati. All’incontro conviviale hanno presenziato il sindaco di Giovinazzo Tommaso Depalma e consorte, la responsabile regionale dell’A.N.T. Rosa Triggiani, Angela Grimaldi con Mario Dimiddio in rappresentanza della Fratres, Tommaso Caccavo e signora in rappresentanza dell’associazione I nipoti della nonna, a cui va il grazie speciale del sodalizio per il generoso annuale contributo. Si ringraziano, inoltre, tutti i commercianti che hanno contribuito alla riuscita della festa. Il pranzo si è tenuto presso la sala ricevimenti di Villa Arcieri gestita egregiamente da Mimmo Arcieri a cui va un sentito ringraziamento per la squisita disponibilità e professionalità. LE VOLONTARIE A.N.T


il

fatto

La Basilicata chiama la Puglia per Matera 2019

MA GIOVINAZZO CI SARÀ? «E’come togliere l’ossigeno ad un malato che sta già boccheggiando» questo il commento di un ristoratore sulla chiusura del Lungomare di Levante che gli ha già praticamente dimezzato la clientela per il problema dei parcheggi persi. «Come non bastasse la nomea di Città delle multe» ha pure aggiunto « ci voleva anche questa. Che senso ha parlare della bellezza del nostro Centro Storico se per venirci bisogna lasciare l’auto dove morì Cristo? Altro che rilancio del turismo, se adesso anche i clienti più affezionati cominciano ad andarsene altrove!». Finita la bella stagione e fatti i conti da subito con la realtà che ci aspetta pure per il futuro, bastano da sole queste parole a spiegare quali danni stia già producendo, non soltanto alle attività ricettive quanto e soprattutto all’appeal turistico ed all’intera economia cittadina, la scelta di sacrificare gli unici posti auto attualmente disponibili nel cuore della città. E per far che? Senza ripeterci (v. La Piazza di novembre Giovinazzo, una Città in gabbia) per realizzare una zona pedonale a dir poco discutibile in quanto ad impatto ambientale, progetto e finalità. Infatti è bastato solamente perdere la settantina di posti auto realmente fruiti fino a poco fa (che invece realizzando il cosiddetto Park Ducale sarebbero potuti essere circa 200 turn-over, regolamentati, custoditi e pagati) per constatare come si stia puntualmente verificando ciò che in tempi non sospetti abbiamo ampiamente anticipato e previsto: vivibilità assolutamente compromessa dei residenti della ZTL e zone limitrofe e, soprattutto, grave perdita di competitività con le città vicine per le attività che, animando centro e borgo antico, richiamavano qui tantissima gente da fuori. Senza nemmeno insistere sulla inutile

violenza al patrimonio architettonico che la Storia ci ha affidato per trasmetterlo quanto più intatto possibile alle generazioni future, c’è quantomeno da chiedersi come i cosiddetti progetti di riqualificazione di via Marina e Lungomare di Levante possano oltretutto conciliarsi con gli obiettivi, pur sbandierati da questa amministrazione, di puntare ad una promozione del turismo di qualità e destagionalizzato. E come, con piste ciclabili, cine-teatro all’aperto e passeggiate peraltro fruibili solo col tempo buono? Al di là che non siamo né alle Maldive né alle Canarie, si tratterebbe oltretutto di una scelta in controtendenza rispetto alle conclusioni dei più recenti studi economici di settore che invece evidenziano, e persino per le località più note, la necessità di destagionalizzare il turismo per rispondere alle nuove esigenze di una domanda molto cambiata negli ultimi tempi. GITA FUORI PORTA? ALL’OUTLET! Altro spunto di riflessione, e cartina di tornasole verificabile pure localmente , è il preoccupante e sempre più diffuso fenomeno, nei fine settimana, dell’affollamento dei grandi centri commerciali a discapito dei centri cittadini: tra congiuntura e capricci del clima, sono tantissimi ormai a preferire un rilassante window shopping - con tanto di cinema, attrazioni ed economici fast food – alla passeggiata nel paese vicino o alla scoperta di località nuove. Ed una delle ragioni del successo di queste concentrazioni di negozi e finti villaggi, per quanto sottovalutata o volutamente sottaciuta, è la possibilità di essere raggiungibili in assoluta libertà e con la certezza di non


avere nessun problema a posteggiare il proprio mezzo. Che piaccia o no il concetto di no parking no business, oggi sono proprio i parcheggi a fare quasi sempre la differenza tra la fortuna o meno di un posto, a meno che questo non sia più che opportunamente attrezzato o abbia ricettività e servizi all’altezza della sua fama e delle aspettative dei suoi frequentatori. E questo non è certo il caso di Giovinazzo. Così come non è neppure il caso di sacrificare adesso, e senza alcuna altrettanto valida ragione, i potenziali 200 posti auto addossati al Centro Storico accennati prima. Posti preziosissimi per visitatori e turisti e che basterebbero da soli a cominciare a rilanciare immediatamente la nostra città, rendendola attrattiva come merita e restituendole quel primato che pur vantava tra le realtà vicine. Ma soprattutto capace di cogliere al volo, attrezzandosi per tempo nella giusta direzione, tutte le grandi opportunità che la visibilità straordinaria avuta ad Expo le possono offrire. GIOVINAZZO CITTÀ D’ARTE E MATERA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA. E’ una grande occasione quella che si sta aprendo per la Puglia chiamata praticamente in partnership dalla Basilicata a collaborare al grande evento di Matera – Città della Cultura 2019. E’ quanto è emerso questo 6 dicembre in occasione della presentazione del Libro Il tesoro d’Italia tenuta da Vittorio Sgarbi al teatro Duni, nella Città dei Sassi, che proprio lui fin dal 2013 aveva subito indicato quale candidata ideale per la prestigiosa nomina come Capitale Europea della Cultura 2019; previsione divenuta realtà solo quest’anno, Matera è così la quarta città italiana a conquistare questo titolo dopo Firenze (1986), Bologna (2000) e Genova (2004). Con lui sul palco, con moderatore Carlo Vulpio, sono intervenuti ad accennare ai tanti progetti in cantiere (e che interesseranno direttamente anche la nostra regione) il vice Ministro agli interni sen. Filippo Bubbico, il sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, l’assessore ai Sassi Francesca Cangelli e, come regionali, l’assessore Luca Braia ed il consigliere Nicola Benedetto. Sgarbi ha dunque parlato di Matera 2019 come continuazione ideale di Expo 2015, illustrando naturalmente le straordinarie meraviglie artistiche della Lucania, praticamente misconosciute ai più prima di questa Esposizione Universale di Milano. Giustamente chiamata in causa per affinità culturale e territoriale, ha anche commentato alcuni di quei tesori nascosti della Puglia che ora tutto il Mondo sa che possediamo; e, tra quelli mostrati, non è certo mancata la nostra Cassetta eburnea dell’ XI sec e lo straordinario S. Felice in cattedra di Lorenzo Lotto che, reso famoso da lui prima a Miradolo e poi ad Expo, ha sempre una menzione speciale nelle citazioni di Sgarbi ovunque

parli dei capolavori artistici pugliesi. E così mentre il più noto critico d’arte d’Italia fa in qualche modo suo l’orgoglio giovinazzese portando le nostre opere ad una Esposizione Universale, il nostro sindaco a Milano ci va, ma non per porgere il suo omaggio istituzionale alla mostra per le nostre opere ad Expo, bensì per incontrare uno dei più grandi imprenditori del mondo di infrastrutture per proporgli di realizzare un porto turistico a Giovinazzo mettendoci pure il suo denaro. Un investimento secondo noi così improbabile, per una città praticamente ancora sconosciuta ai più e a breve distanza dalle più note Bari e Trani, che chissà perche ci riporta con la mente alla famosa metafora del cammello e della cruna dell’ago. Ma Tommaso Depalma è così, un sognatore tenace che deve aver fatta sua la massima di Mandela sui vincitori ed insegue i suoi sogni senza arrendersi mai. Nemmeno di fronte all’evidenza dei fatti che pur gli dovrebbero aver fatto capire che la sua idea di Città Smart rischia di uccidere per sempre la speranza ben fondata che Giovinazzo diventi, per assoluta centralità e bellezza, una delle mete più ambite, ma come Città d’Arte e Cultura, non solo della Puglia del miracolo turistico ma dell’intero Meridione. E così mentre ancora aspettiamo conferme circa la fermata dei treni regionali alla nostra stazione e la sua pista ciclabile sta facendoci perdere pure le fermate degli autobus, il tempo passa e i lavori vanno avanti cambiando la fisionomia di una città bellissima, per dirla alla Sgarbi, proprio perché ancora parzialmente intatta. E nessuno fa niente per fermarli questi lavori, almeno dove non servono, per non mettere a repentaglio gli imperdibili fondi FESR. Vien proprio da gridare alla Salvini: maledetta Europa!

SERVIZIO Enrico Tedeschi


la cronaca nera

Droga in auto e una pistola in casa: arrestati padre e figlio SAVERIO

E

GIUSEPPE PAPPAGALLO,

RISPETTIVAMENTE

PADRE E FIGLIO SONO FINITI AI DOMICILIARI RUBA IN AGENZIA. PRESO 6 novembre 2015: Era riuscito ad entrare nell’agenzia di viaggi e a portarsi via 400 euro, ma è stato scoperto ed è finito agli arresti domiciliari. La refurtiva, invece, è stata recuperata. È accaduto nella notte tra il 5 e il 6 novembre scorsi a Giovinazzo, dove i Carabinieri della Compagnia di Molfetta hanno arrestato un 41enne molfettese, accusato di furto aggravato. Intorno all’01.00, dopo aver preso di mira l’agenzia sita in via Toselli, ha scardinato la saracinesca, avendo così via libera. Qui, ha setacciato in tutta fretta i cassetti delle scrivanie, sino a trovare un cofanetto in cui erano custoditi i soldi. Arraffato il malloppo, non ha perso tempo e si è dato alla fuga. Lo stridore provocato dalla saracinesca scassinata e il fracasso provocato dall’effrazione, hanno svegliato alcuni residenti, che immediatamente hanno telefonato al numero gratuito 112, lanciando l’allarme. Il tempo di una comunicazione via radio da parte della centrale operativa, che una gazzella del Nucleo Radiomobile è piombata sul luogo del furto. È bastato un giro di isolato per intercettare il ladro, mentre tentava di nascondersi dietro un veicolo in sosta. Immobilizzato e perquisito, i militari hanno rinvenuto, nelle sue tasche, circa 400 euro, che, considerato il bottino del furto, sono stati dopo restituiti all’ignara proprietaria, dispiaciuta per quanto successo alla sua attività ma, al tempo stesso, meravigliata e grata ai militari per la tempestività e l’efficacia dell’intervento. Una torcia elettrica, trovata per terra, nei pressi dell’agenzia, è stata invece posta sotto sequestro. Su disposizione della Procura della Repubblica di Bari, il 41enne è stato poi accompagnato a casa sua, per rimanervi agli arresti domiciliari. PADRE E FIGLIO ARRESTATI CON 1 KG DI DROGA 10 dicembre 2015: La casa di due baresi, rispettivamente di 44 e 27 anni, padre e figlio, arrestati con l’accusa di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, è stata davvero una sorpresa per i Carabinieri della locale Stazione, e non solo perché vi hanno trovato, un chilo di marijuana e 100 grammi di hashish, ma anche per via di una pistola giocattolo, modificata, e dunque abile a far fuoco. Tutto è accaduto nella serata del 10 dicembre scorso a Giovinazzo dove, nel corso di un mirato servizio finalizzato al contrasto del traffico di sostanze stupefacenti, svolto in collaborazione con i militari della Compagnia di Molfetta diretti dal capi-

IL BLITZ IN CASA. La droga, l'arma e il denaro ritenuto provento dell'illecita attività tano Vito Ingrosso, un4 4enne alla guida della sua Fiat Altea è stato fermato e invitato dagli investigatori del posto a sottoporsi ad una verifica lungo via Daconto. Nell’auto i Carabinieri hanno rinvenuto, sul sedile posteriore, una busta che copriva un involucro. All’interno, i militari della locale Stazione hanno scoperto circa 500 grammi di marijuana, dichiarati immediatamente sotto sequestro. Ma gli inquirenti, diretti dal maresciallo aiutante Dino Amato, hanno comunque deciso di vederci chiaro, estendendo la perquisizione anche in casa dell’uomo, un’abitazione sita in via De Ninno. Dove le sorprese non sono mancate. All’interno di una cassettina di sicurezza, riposta nell’armadio della camera da letto, infatti, sono stati scovati 950 euro, in banconote di diverso taglio, mentre in un ripostiglio sono stati recuperati ulteriori 500 gram-


mi di marijuana. Il figlio, invece, è finito nei guai perché, durante l’accurato controllo, circa 100 grammi di hashish, suddivisi in dieci ovuli, sono saltati fuori dal suo comodino, dove è stata trovata anche una pistola a salve, modificata e completa di caricatore con cinque cartucce calibro 6.35. «Un’arma pronta a sparare, - evidenziano dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Bari in un comunicato ufficiale - contenuta in una borsa da donna appesa all’attaccapanni. Per questo motivo il giovane dovrà rispondere anche di detenzione di armi clandestine e ricettazione». Dopo la convalida degli arresti, i due, su disposizione della Procura della Repubblica di Bari, sono stati ricondotti a casa, in regime di arresti domiciliari. La droga, l’arma e «il denaro, secondo gli inquirenti - ritenuto provento dell’illecita attività», sono stati posti sotto sequestro. «I due arresti - hanno spiegato i vertici della Compagnia di Molfetta - sono il frutto dell’incessante attività di indagine condotta dall’Arma dei Carabinieri sui suddetti soggetti, entrambi già noti alle forze dell’ordine e originari di Bari, ma trapiantati a Giovinazzo». COLPO FALLITO ALLA GIOIELLERIA PATRì 12 dicembre 2015: Hanno provato a fare incetta di preziosi in una delle gioiellerie più conosciute della città, ma, dopo aver tentato di rompere la porta d’ingresso, se la sono data a gambe levate. Qualora fossero riusciti, avrebbero portato nelle loro tasche un bottino non indifferente. Nel mirino dei malviventi l’oreficeria Patrì, ubicata all’inizio di via Cairoli. Intorno alle ore 02.00 del 12 dicembre scorso la banda (composta da quattro individui, tutti con i volti coperti da passamontagna scuri, ndr), è entrata in azione avendo cura dapprima di distruggere i dispositivi per la videosorveglianza di cui è dotata la gioielleria, mettendo fuori uso le due telecamere di sicurezza posizionate all’esterno del negozio. Poi, dopo aver divelto la serranda con la fiamma ossidrica, i malviventi hanno tentato di farsi largo nell’attività commerciale e con un’accetta hanno tentato di infrangere la porta d’ingresso in vetro, scheggiandola in parte, per entrare nel locale e far man bassa di gioielli, ma qualcosa è andato storto (forse hanno fatto troppo rumore con il loro attrezzo, nel momento della forzatura della porta, ndr). E così non sono riusciti nel loro intento: qualcosa o qualcuno li ha disturbati e indotti a fuggire facendo perdere le proprie tracce. S’ignora, per il

momento, quale veicolo sia stato impiegato per la fuga. Sul posto, scattato l’allarme, è tempestivamente intervenuta una gazzella del Nucleo Radiomobile per i rilievi di rito. Ora le indagini dei Carabinieri si stanno concentrando sulle telecamere di videosorveglianza installate nella gioielleria. Ad essere accorsi, dopo il tentato furto, non solo gli uomini della Compagnia di Molfetta, diretti dal capitano Vito Ingrosso, ma anche i titolari. Certo, il tentativo di furto sta facendo molto clamore in città, vista la posizione centrale del negozio preso di mira. Una maggiore attività di prevenzione nelle ore serali e notturne, con l’approssimarsi delle festività natalizie, sarebbe quanto mai opportuna. L’attività investigativa, intanto, prosegue serrata.

FONTE CARABINIERI MOLFETTA

III Trav. Daconto, 50 - Giovinazzo tel. 080.394.88.64

PRUDENTE PANE CALDO - FOCACCE - PIZZETTE CALZONI DI CIPOLLA - PIZZE RUSTICHE PANIFICIO PRUDENTE NATALE E FIGLI S.N.C. VIA BITONTO, 52 - GIOVINAZZO TEL. 080/3944257 VIA TEN. DEVENUTO, 100 GIOVINAZZO TEL. 080/3945137


l’ angolo

del

lettore

MONSIGNOR GIUSEPPE MILILLO

DI AGOSTINO PICICCO

«Mio fratello Franco amava Giovinazzo e voleva che fosse una città che emergesse dall’anonimato delle città meridionali» «I giovani sono

stati sempre al centro delle mie attenzioni, guidare gli scout mi ha aperto orizzonti sul mondo e la natura. Anche l’Azione Cattolica è stata di grande aiuto» CHIESA E CITTÀ Il colloquio con mons. Giuseppe Milillo, storico parroco dell’Immacolata, in pensione da un paio d’anni ma ancora presente e attivo nella sua comunità, non può non iniziare da uno sguardo sulla chiesa diocesana, attualmente priva della figura del vescovo, guida e pastore della chiesa locale. «Inutile negare che l’assenza del vescovo pesa, siamo in una fase di transizione. Confidiamo che sia maturato il tempo per conoscere il nome del nuovo pastore. Siamo una famiglia


senza il papà. Anche se siamo figli maggiorenni avvertiamo che manca il punto di riferimento per un consiglio, una direttiva, un’indicazione per impostare la pastorale. Insomma ci sentiamo orfani». Per don Giuseppe la presenza del pastore è importante nella guida della diocesi: «Le visioni dei sacerdoti sull’impostazione della pastorale non sono uguali e, senza una guida e un riferimento, si può creare disorientamento per la vita della diocesi o della singola città e così possono sorgere dei problemi». I rapporti tra la chiesa e la città di Giovinazzo per don Giuseppe sono buoni e non conflittuali. Sottolinea la positiva presenza in città dell’Osservatorio cittadino composto da varie associazioni laicali che si prodigano per individuare le necessità della città. Talvolta può esserci discussione ma il fine è sempre quello del bene della comunità. Parlando della città viene naturale ricordare il dott. Francesco Milillo, fratello di don Giuseppe e sindaco di Giovinazzo per 15 anni. Don Giuseppe rileva che le nuove generazioni, pur non avendolo conosciuto, vedono tuttavia le opere realizzate a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta: il palazzetto dello sport, la casa di riposo, il lungomare, la riqualificazione del centro storico. «Franco amava Giovinazzo e voleva che fosse una città che emer gesse dall’anonimato delle città meridionali. Per questo si era prodigato perché la città venisse rivalutata. Il suo sogno era un porto turistico più grande, per una città turistica più importante». Circa l’operato del sindaco Milillo, don Giuseppe evidenzia altresì l’attenzione allo sviluppo edilizio, in particolare

con la costruzione della zona 167, che «non è una zona emarginata, ma una delle più belle della città, da lui voluta così». Don Giuseppe sottolinea che prima che i concittadini vi andassero ad abitare, il sindaco si era premurato che i servizi fossero operativi, che fossero allacciati gli impianti di luce, gas, telefono, acqua. Anche le strade sono le più larghe della città. E con orgoglio don Giuseppe cita «il colpo di mano» per cui la zona 167 si chiamò Rione Immacolata, in omaggio alla Madonna e con il nome della parrocchia che lì fece edificare. LA PARROCCHIA La parrocchia, di cui è stato parroco per oltre quarant’anni, lo riporta alla sua vocazione sacerdotale. Ordinato prete appena due anni prima del Concilio, ebbe modo di vivere gli inizi del suo sacerdozio nel fervore del rinnovamento che il Concilio aveva dato alla pastorale e alle attività ecclesiali. All’inizio, ricorda, ebbe qualche difficoltà in quanto prete giovane e pieno di energie in un contesto ecclesiale caratterizzato da un clero conservatore e anziano, che non comprendeva il nuovo metodo pastorale, ma grazie all’aiuto dei giovani don Giuseppe impiantò l’Azione Cattolica, ormai quasi scomparsa, e insieme agli scout e ai loro dirigenti e animatori si riuscì a dare a Giovinazzo una pastorale diversa. Erano gli anni in cui veniva celebrata una messa per i giovani presso la chiesa di Costantinopoli, messa caratterizzata da dialogo e partecipazione. Giungevano anche dai paesi limitrofi. Grazie al magistero di papa Paolo VI e al contributo fattivo delle varie associazioni laicali (dall’Azione Cattolica agli scout

ai francescani) si attuava il rinnovamento della chiesa. Le stesse processioni, tanto care alla nostra tradizione popolare, ricevettero un ordinamento diverso, smettendo un cliché coreografico per diventare più ordinate e caratterizzate da devozione. Dopo il primo incarico pastorale presso la cattedrale di Giovinazzo, agli inizi degli anni Settanta, il vescovo amministratore Settimio Todisco, gli chiese di andare presso la nuova parrocchia Immacolata, allocata provvisoriamente presso la chiesa di San Francesco, ma con l’intesa che poi si sarebbe costruita una nuova chiesa, cerniera tra la zona esistente e la nuova zona prevista dal piano regolatore. E lì si è creata una bella comunità ricca di strutture e iniziative «grazie all’aiuto di Dio e alla mia volontà e alle mie forze». L’avvio della parrocchia coincise con gli anni del vigore sacerdotale di don Giuseppe, che insegnava religione al liceo classico Spinelli, dove coltivava uno stretto rapporto con i giovani, che poi portava in parrocchia. In tal senso di può parlare di don Giuseppe come un pioniere della pastorale giovanile: «I giovani sono stati sempre al centro delle mie attenzioni, guidare gli scout mi ha aperto orizzonti sul mondo e la natura. Anche l’Azione Cattolica è stata di grande aiuto». Cita in particolare i campi scuola, intesi non solo come momenti di svago e ricreazione ma campi nel vero senso della parola in cui si vivevano momenti forti dal punto di vista culturale e formativo. Ricorda ancora i tanti giovani da lui seguiti, molti dei quali per disgrazia dopo essere stati formati nell’alveo parroc-


chiale e cittadino sono andati via, «ma quando tornano vengono a salutarmi e nel loro abbraccio avverto la commozione di quel legame forte tra me e loro». Ancora don Giuseppe commenta: «Ero burbero con loro ma riconoscono che anche col rimprovero ho fatto del bene, ho corretto le loro esuberanze adolescenziali. Ricordo tutti e tutti mi restano vicini». CON DON TONINO BELLO Non si può non chiedere un ricordo di don Tonino Bello, vescovo con il quale don Giuseppe ha tanto collaborato. Fa fatica a selezionare i ricordi, sono tanti e tutti commoventi e significativi. Sottolinea quello del 25° di sacerdozio: fu lo stesso don Tonino che propose a don Giuseppe di concelebrare con lui e in quella sede fece il riepilogo dei primi anni della parrocchia, mettendo in luce le qualità personali del parroco. Ripensa con simpatia ad un episodio che rischiò di offuscare il rapporto tra vescovo e parroco relativamente a un vice parroco che don Giuseppe si aspettava e che invece don Tonino destinò ad altra parrocchia. Il vescovo andò a trovarlo in parrocchia e gli disse «se ho fatto questa scelta l’ho fatta per il tuo bene». Con gli anni don Giuseppe riconobbe la saggezza di quelle parole. Don Tonino si sentiva legato alla comunità parrocchiale: senza occasioni o inviti specifici vi si recava a sorpresa, «non per sindacare ma per vivere la comunità». Talvolta giungeva con la fisarmonica e cantava con i giovani. Quando

la parrocchia si trasferì dalla chiesa di San Francesco alla nuova chiesa più ricca di strutture e ambienti, don Tonino gli disse: «con la chiesa nuova rimpiangerai la chiesetta di San Francesco perché in quegli ambienti più poveri avverti maggiormente il fuoco e il calore della famiglia». Gli anni del pensionamento di don Giuseppe sono ancora fecondi. Ci confida che il maggior tempo libero e l’aver positivamente superato qualche acciacco gli consentono di scrivere, anche per esercitare la memoria: «sto preparando un libretto che riporta i miei ricordi dalla nascita fino ad oggi». Sollecitato dal versetto del testo sacro: «Guardò le mie miserie e mi chiamò», don Giuseppe ripercorre la sua vita alla luce della Grazia. Lui, così esuberante, chiamato al sacerdozio attraverso le strade della provvidenza, costituite dall’incontro con don Saverio Bavaro, determinante per la sua scelta. Nel volume ripercorre i tempi dell’infanzia e della giovinezza, l’esperienza sacerdotale, i rapporti con i giovani, con i profughi albanesi accolti, con i parrocchiani, i suoi impegni attuali, la collaborazione con i vescovi che hanno retto la diocesi. Al momento, ci dice, la narrazione è sospesa in attesa del nuovo vescovo, che potrà offrire occasione per un nuovo capitolo della pubblicazione …. Restiamo in attesa di questo testo che darà una nuova interpretazione alle vicende della nostra città da parte di un protagonista tuttora attivo e stimato dalla gente. AGOSTINO PICICCO






uomini

di

altri

tempi

TRIGNÙL E QUELL’ INCONTRO CON MUSSOLINI Giovinazzo, città di… Non vado oltre nello scrivere a cosa probabilmente pensò Mussolini quando sbarcò nella nostra città ridente. Già, perché, dopo la visita dell’imperatore Traiano, (sembra nel 104 d.C., secondo una storiografia comunque non certa), dopo essere stata sotto il comando del grande Federico Il, Giovinazzo godette - pensate voi ! - della visita dell’immenso duce. Che bella cosa, quale onore! Giovinazzo si era messo l’abito più bello: il podestà attendeva il duce davanti al Palazzo di Città, le strade addobbate a festa, la gente adeguatamente minacciata perché fingesse gaudio e tripudio al passaggio del figuro. Ma Mussolini era persona dalle mille risorse, che faceva della fantasia il suo modo di essere, per cui pensò bene di giungere a Giovinazzo in treno. Trignùl, al secolo Domenico Palmiotto, era il calzolaio più insigne che la storia di Giovinazzo potesse vantare. Egli era solito girare per i vicoli con una sorta di bisaccia piena di scarpe a prenderle e lasciarle scarpe. Spesso si imbrogliava. Consegnava ad uno scarpe spaiate, ad un altro le vecchie al posto delle nuove. Tant’è: Trignùl era amatissimo dai giovinazzesi. Sapeva lavorare la scarpa, riparare anche quelle con la lingua di fuori. Una mattina del 1939 il nostro piccolo ciabattino era intento in uno di questi suoi giri a piedi per la città, ignaro di cosa gli sarebbe accaduto di lì a poco. Passò per caso davanti alla stazione e divenne - pensate! - sindaco per un giorno! Sì, sindaco! Mussolini, infatti, sceso dal treno, aspettava giustamente il podestà ad accoglierlo, e, notato Trignùl, apprezzò senz’altro l’aspetto populista da umile lavoratore che egli aveva, credendo subito che il podestà fosse lui. Gli si fece incontro fiero con la mano tesa per potergliela stringere e Trignul, persona educata e rispettosa dei convenevoli, non ritrasse la sua mano, anche perché magari sperava in una mancia in danaro. In seguito il duce fu accompagnato da Trignùl al Palazzo di Città, dove poi il malinteso venne a galla,

con tanto di baffo al perfezionismo del regime fascista. E chi l’avrebbe detto che da allora in poi avremmo avuto tanti sindaci scarpari? Comunque, i pezzi grossi del regime a Giovinazzo furono adeguatamente bacchettati, mentre il nostro Trignùl ritornò alla sua solita vita: il giorno dopo era di nuovo al stessa ora alla stazione ferroviaria, forse con l’intento di incontrare ancora il suo nuovo amico. Ma il suo amico non c’era e così il nostro amico si avventurò sul treno per cercarlo. Il controllore allora gli si fece incontro chiedendogli il pagamento del biglietto. A tale richiesta la storica risposta Trignùl fu: «Bigliette, biglìette, miche ièe u téu u trèn! Vète ci te ne ve da nande TESTO E FOTO GIOVANNI PARATO all’occhier!!». SERGIO PISANI

COSTRUZIONI RISTRUTTURAZIONI EDIFICI INTERNI ED ESTERNI RESTAURO RESIDENZE STORICHE Via Carso, 2 - P.zza S. ANNA, 2 tel. 080.3946265 - cell.320.0213149 Giovinazzo


storia DI

DIEGO

nostra DE

CEGLIA

DALL’ONORE NEL PRESEPE, AGLI ONERI DEL TRAINO E DELLA SOMA

IL VALORE DI UN ASINO La figura dell’asino, lo sanno anche i bambini, nella tradizione è legata al presepe: l’asino è presente nella Bibbia e nel Vangelo, fu infatti la cavalcatura dei profeti e dello stesso Gesù quando era infante e in braccio alla Vergine lasciò Betlemme e quando, ormai adulto, entrò in Gerusalemme. Nella tradizione ha un doppio significato: rappresenta infatti sia la superbia perchè è un animale recalcitrante, sia l’umiltà perchè è anche molto paziente; nell’antichità è stato tenuto in grande considerazione poichè è un animale molto resistente alla fatica. Poichè è anche gentile, affettuoso e curioso oggi è considerato animale da compagnia ed è presente in molte fattorie didattiche dove i bambini imparano ad avvicinarsi alla natura e agli animali, ma per secoli il suo prioritario impiego era trasportare pesi e offrire latte, fino a quando poi non era anche utilizzato come carne da macello. Per tutti questi, e altri motivi, in passato era tenuto in grande considerazione ed era rappresentativo di un certo status sociale. Attraverso una analisi del catasto onciario di Giovinazzo del 1754 è possibile desumere che lo possedevano i meno abbienti. Non doveva essere necessario godere di condizioni economiche soddisfacenti per assicurargli le cure necessarie, poichè dal punto di vista alimentare si accontentava di poco rispetto ad un cavallo, era però importante averne cura dal punto di vista igienico-sanitario, provvedere alla manutenzione dei pascoli più adatti e alla cura della stalla. Ai costi per allevarlo, chiaramente corrispondeva una rendita. La femmina aveva maggior valore poiché il profitto si calcolava oltre che sul lavoro che poteva compiere, anche sull’asinello che avrebbe partorito oltrechè per la cuoia. L’alto reddito infatti, giustificava la nobile famiglia Siciliani a possedere nel 1754 ben cinque giumente, di cui tre da corpo e due da fatica, numero che negli anni successivi arriverà a 20 capi; anche se questo animale è quasi sempre da soma, Leonardo Rodogni dei cinque capi che possedeva ben due li utilizzava da carrozza. Dei lavoratori della terra possedevano ciascuno un solo somaro: un bracciante, un forese (agricoltore residente in campagna) un ortolano; (altre categorie di cittadini ne avevano tre pro capite). Erano invece proprietari di un’asina ciascuno: 8 massari, 6 foresi, 21 braccianti, 2 ortolani (altre categorie di cittadini ne possedevano in media 3 pro capite). Poche, come già detto, erano le spese necessarie per la manutenzione di questo animale, e forse questo giustifica l’alta incidenza di quanti, dopo il 1754, pur possedendo già altri animali, ne comprarono almeno un capo: ben 59 infatti risultano le asine acquistate dopo tale data. Il mondo degli asini o somari che dir si voglia è molto variegato e si può incorrere in errori nella citazione e nomenclatura. Per la precisione: un asino maschio se si incrocia con una giumenta genera un mulo, e un cavallo se lo fa con un’asina (o borrica) genera un bardotto. È vero che l’agricoltore provvisto di cavalli aveva nella scala sociale un posto più alto rispetto a quello che disponeva solo di buoi (possedeva un cavallo nel 1754 solo l’unico vetturino di Giovinazzo, il cavallaro della marina e l’arrendatore del tabacco), ma la rendita di un cavallo era di sole 5 once, contro le 4 once di un bove, mentre l’animale, cui corrispondeva la più alta valutazione catastale, è la mula con 8 once; non per altro il passaggio dai buoi ai muli era sintomo di una maggiore prosperità dell’agricoltura. La rendita media costante dei somari e delle asine (le

borriche), era invece di once 2 e mezzo pro capite. In tutta la Terra di Bari dovevano esserci buoni allevamenti di asini, ma nelle annotazioni presenti a margine di ciascuna partita catastale si legge di più d’una borrica morta. Non deve essere un caso pertanto, se in quello stesso periodo, più di un atto notarile venne redatto oltre che l’acquisto o la vendita di questi animali, anche per testimoniare delle loro condizioni sanitarie o dare relazione degli incidenti subiti, che se non portarono alla morte dell’animale, lo resero comunque inadatto al lavoro. Le testimonianze rese dinanzi ai notai servivano ad individuare i responsabili delle perdite, anche e soprattutto economiche.

Interessante è un primo atto del 1742 con il quale si tenta di aggirare un acquirente che doveva permutare una giumenta con una mula che era però in condizioni fisiche discutibili, poiché rigurgitava, e pertanto economicamente doveva avere un più basso valore economico. «Vito Pappagallo della città di Molfetta da alcuni anni casato ed abitante in questa città di Giovenazzo e Vito Antonio Amorisco della città di Bari al presente in questa predetta città di Giovenazzo ... a richiesta di Salvatore de Colamaria hanno dichiarato ... come la mattina delli 21 del caduto mese di agosto del stante anno 1742 ritrovandosi essi attestanti nella fiera della terra d’Acquaviva e propriamente avanti la taverna di fuori di detta terra con altri e precise con sig. Giovanni Farucci della città di Bisceglia, ed un altro huomo similmente di Bisceglia, e Salvatore di Colamaria di questa sudetta città di Giovenazzo ... stavano contrattando la vendita di una mula (che) volevano fare al detto di Colamaria .... il quale ...... doveva darli e cambiare una sua giumenta di pelo castagna nuova ed il di più che avrebbe valutata la mula, di esso Colamaria lo doveva dare in denaro, come infatti in presenza di essi attestanti ed altri stabilirono tra di loro il prezzo della mula per ducati 60 e la giumenta per ducati 40 ed esso Salvatore il complimento di detti docati 20 a saldo delli docati 60, prezzo di detta mula, pagar li dovea da essi De Farucci ed huomo di campagna in questa città di Giovenazzo, nel qual atto e tempo istesso alla detta mula li venne un vometo che buttò dalla bocca molta quantità di spumazza, lo che vedendosi dal detto Salvatore di Colamaria, disse alli mentovati farucci ed huomo, che non voleva la detta mula per tal difetto che si stimò cattivo e da medesimi de Farucci ed huomo se gli rispose al de Colamaria che la sudetta


mula non avea tal difetto e che ce l’assicuravano per franca e libera da tale male di vomitare poichè il detto vomito avrà caggionato forse per qualche penna, o erba (che) si avrà mangiata la predetta mula e che il detto de Colamaria fusse stato nella certezza e che ce lo assicuravano essi de Farucci ed huomo di non haver la mula tal difetto ed in questa guisa e conizione il de Colamaria si ricevè quella mula» (ASBA, piazza di Giovinazzo, sk. 23, not. F. P. De Musso vol. 416, f. 267, atto del 1 settembre 1742). Con l’atto seguente del 1758 invece si testimonia che una mula morì perche, cadendo battè accidentalmente il capo, e non perché fu oggetta di maltrattamenti come si voleva far credere. MORTE DI UNA MULA: PER MALATTIA ... Su richiesta di Michele Scarda, che aveva la sua giumenta nella stessa stalla nella quale venivano ricoverati oltre ai suoi, anche gli animali d’altri compaesani, si portarono davanti al notaio Manzari mastro Michele Maldari e Salvatore Bonvino che attestarono che «esso predetto Bonvino, coll’occasione che questa mattina circa ad ore 10 e ½ si è portato in casa di detto Michele Scarda a prendere la giumenta che gli serviva a crivellare, e nel medesimo tempo è calato il detto Scarda coll’orzo alle mani per darlo alla detta sua giumenta. Infatti tanto esso Bonvino, quanto il detto Scarda si sono incaminati per la stalla la quale sta sita sotto la casa del dott. fisico Arcangelo Liuzzi ed appena ivi giunto detto Michele ha aperto la stalla suddetta ed ha veduto molto bene al lume della candela cadere l’asina della vedova Beatrice Paterno, di testa alla magiatora, e fatigava tanto, che più d’una volta l’ha veduto battere il capo a terra alla parte sinistra del capo. In vedersi tutto ciò da esso attestante subito ha detto al Scarda, “corri e va, chiami la padrona che la borrica è già morta” e l’Scarda si è incaminato a chiamare la detta Beatrice, ed esso Bonvino se n’è ritornato in sua casa. Poco dopo è passato per l’istessa stalla ed ha trovato la suddetta borrica ch’era già morta. Laonde giudica perchè ha veduto la borrica tutta tremante, che è pervenuto da qualche male per causa che un tal fatto è stato nella sua presenza e non vi ha colpa veruna il detto Scarda. Il detto mastro Michele, stantecchè si è dovuto portare unitamente con Domenico il procacciuolo (il postino) di Bitonto per discorrere di una certa lettera, che doveva far capitare nella terra di Palo, fuori la porta di questa città, si è incamminato sino alla piscina della Via Nuova, e non vedeva il suo cane, sebbene sentivalo gridare, credendo che fusse stato qualche figliuolo che lo batteva, onde per accertarsi si è portato all’Antravata (ovvero al ponte levatoio) vicino al fosso, fischiando ed ha veduto sotto la Torre di S. Giacomo una quantità di gente, che mosso dalla curiosità ha detto: “cosa mai facete, e che aspettate l’assisa di questa asina morta?” e Domenico Paolo di Natale ha risposto “è morta questa borrica di mazzate”. Sentendo esso mastro Michele “mazzate”, subbito si è portato sopra di detta asina e dopo che l’ha voltata per tutte le parti, e specialmente nella parte sinistra dove stava offesa, ha detto alla presenza di tutti “questa non è morta di mazzate, ma di male, ed in tanto sta così offesa, in quanto che quando è cascata a terra per il male, che ha ricevuto la detta borrica ha ribattuto più volte di faccia a terra il capo” e ciò lo san come esperti in simili ricognizioni. E così han fatto giuramneto» (ASBA, piazza di Giovinazzo, sk. 28 not. F.A. Manzari, vol. 493, f. 282 atto del 9 ottobre 1758). Mentre con questi atti venivano scagionati due poveri malcapitati, ritenuti erroneamente responsabili delle tristi vicissitudini delle mule, attraverso una attenta lettura dell’atto che segue si può individuare un irresponsabile, reo d’aver procurato ad una mula inutili sofferenze che ne causarono poi la morte. … PER IMPERIZIA DEI MANISCALCHI-VETERINARI Il 7 novembre 1759, a richiesta di Nicolantonio Severi, si presentarono dinanzi al notaio Gaetano Riccio, Giuseppe Incantalupo alias Fioravente, mastro Domenico de Maldari e suo figlio mastro Saverio, per attestare che era noto a tutti in Giovenazzo che «Giuseppe Lacalamia, calessiere del sig. Severi, alla fine di ottobre del passato anno 1758, tornò da Altamura con la mula di bilancino di detto sig. Severi con un grave

spallaccio (male alla spalla) causatogli per averle posto la sella troppo avanti o pure (per) il soverchio peso». Ma il calessiere non solo non confessò al padrone queste sue disattenzioni, ma per giunta ricorse ad un improvvisato veterinario per interventi grossolani sul corpo della povera bestia: «con dire al padrone che non era niente la fe’ tagliare a crudo da mastro Vitantonio Silecchia della città di Bitetto ed avanzato il male, se l’ebbero a dare a due altri tagli, e dando ad intendere al suo padrone ch’era guarita la riportò in Altamura da dove la ritornò arrovinata peggio di prima a causa che volle portarla alla spagnola e le cordelle frisarono le piaghe di fresco saldate». L’espressione “Portare la mula alla spagnola” dovrebbe corrispondere ad una particolare maniera di tirare l’animale da soma. «Indi andato a Toritto, sempre dicendo al padrone che non era niente, la lasciò in Bitetto all’anzidetto mastro Vitantonio Silecchia da cui la fe’ di nuovo tagliare senza licenza di detto suo padrone per quanto disse esso la Calamita al suddetto Giuseppe attestante che aveva fatto dare altri tagli (all’)insaputa del padrone e lo pregò che avesse capacitato detto suo padrone, che in sentirlo, strepitò fortemente e l’ordinò che subito l’avesse andata a prendere e riportata in Giovinazzo per farla medicare da mastro Nicolò Romano della città di Molfetta. Ma egli non ubbedendo volle fare il contrario colà lasciandola e per tal causa il detto suo padrone non volle più saperne di detta mula e rimasta per conto di detto la calamita dopo altri *** mesi se ne morì in potere del medesimo, ed appena morta, essendo egli in tutto colpevole se ne fuggì da questa città di Giovenazzo». INVALIDITA’ – CONVALESCENZA DELLE BESTIE Compito dei maniscalchi si sà è quello di ferrare gli equini, ma un tempo, così come si distingueva il dottor fisico ed il cirugico, che curavano gli uomini, alla cura delle bestie provevdevano appunto i maniscalchi quando non fosse necessario l’intervento di un veterinario. Così se veniva addebitata alla loro imperizia un infortunio dell’animale, con conseguenze addirittura mortali, si capisce bene che ne andasse di mezzo il loro prestigio e credibilità in tutto il paese e oltre. I due maniscalchi di Giovinazzo, Giuseppe lo Basso e Donato Maldari avevano perciò buoni motivi per comparire dinanzi al notaio ... per scagionarsi da indebite accuse. L’8 luglio 1776 essi andavano a dichiarare «come a marzo passato sentendo essi attestanti la morte della mula de’ padri Agostiniani accorsero per osservare di che male la medesima fosse morta, stante che circa due mesi prima si era rotta la gamba e da esso mastro Giuseppe si era mediata in unione con mastro Maldari altro maniscalco, e trovarono che detta muletta se n’era morta di dolori colici ed il giorno prima detto mastro Giuseppe l’avea medicata e cavato sangue. Indi poi per maggiormente perfezionarsi nella di loro arte, viddero la gamba squarciata con sangue chiaro che dinotava che la sudetta gamba si era ingommata senza marcia, o mutazione di colore, o lividura, ma la gamba stava sottigliata bene, e che non poteva più morire per causa di detta gamba, ma la morte fu causata da detti dolori colici, (e di che cosa fosse morta lo dicono anche con) l’aver osservato ocularmente l’interiora nere per i forti dolori colici che aveva avuto detta muletta» (ASBA, piazza di Giovinazzo, sk. 28 not. F. A. Manzari, vol. 511, f. 279 atto dell’8 luglio 1776). Gli stessi maniscalchi dieci anni prima, avendo fatto le cure ad una giumenta che, dopo i primi loro interventi, sembrava esser guarita, resero deposizioni dinanzi al notaio, forse per cautelare la propria persona contro eventuali denunce in caso di decesso della bestia, circa la patologia della mula, ed i propri interventi prestati su di un animale che al momento della deposizione era ancora “convalescente”. Essi infatti attestarono la claudicanza di una mula dovuta ad una infezione nello zoccolo, ed i rimedi da essi applicati per la circostanza. «Mastro Nicolò Zaccaria della città di Monopoli, al presente residente in Giovinazzo, mastro Giuseppe lo Basso, e mastro Saverio Maldari di questa città di Giovenazzo, mastri maniscalchi, li quali a richiesta fattali da Feliciano de Guerta di Modugno, da più tempo casato e commorante in questa di


Giovinazzo anno con giuramento attestato e fatto fede, siccome attestano e fanno fede qualmente a 24 del passato mese di giugno corrente anno 1767 circa le ore 22 viddero venire Domenico Nicola Marino di detta città colla sua giumenta di pelo baja castagna, vecchia, dalla parte della chiesa di S. Felice, ed appena giunto nello spiazzo della porta di questa città chiamò esso costituto lo Basso ad osservarla, e dopo attentamente osservata, andiede a chiamare detto mastro Nicolò Zaccaria e giunto in detto luogo lo cominciarono ad osservare esattamente per tutte le parti, e perché si trovava esso mastro Saverio seduto nella bottega di mastro Francesco Altieri poco distante dalla giumenta suddetta, disse a’ medesimi Zaccaria e Lo Basso che avessero osservato al piede sinistro di dietro che in quel luogo la detta giumenta si doleva, ed in fatti osservatosi con molta diligenza da detti lo Basso e Zaccaria il detto piede sinistro di dietro, trovarono e conobbero molto bene, anche per l’esperienza che hanno nel di lor mestiere, che detta giumenta stava offesa di male denominato sgammettatura, ne’ osservarono in detta giumenta altro male, e così per il corso di 3 giorni li detti Zaccaria e lo Basso l’hanno medicata nella stalla di detto Marino, sita alla Sciesciola secondo la di loro respettiva arte. Nel quarto giorno poi coll’occasione che si portarono nuovamente a medicarla, con far li bagni, se ne accorsero che la giumenta stava scumata alla parte di sopra di detto piede, che furono nell’obbligo di fare le unzioni sopra la scomata, o sia l’uffo e giudicano essi Zaccaria e lo Basso, che per l’altro male scoperto il quarto giorno ne fusse avvenuto che la giumenta suddetta, debba giungere le 24 stanca e facilmente nella stalla si dovette dare a terra e coll’alzare e calare dovette zoppare l’uffo della caveola (SIC opp. careola) e così da essi Zaccaria e lo Basso fu applicato lo piastro» (ASBA, piazza di Giovinazzo, sk. 28 not. F. A. Manzari, vol. 511, f. 295, atto del 11 luglio 1767) GUARIGIONE Attraverso un altro atto, con il quale anzichè garantirsi per evenutali decessi dell’animale, i maniscalchi chiedevano a dei

testimoni di deporre persona sullo stato di salute delle bestie post intervento, è possibile cogliere che anche l’attività di siniscalcoveterinario doveva essere un’arte ereditaria: nella fattispecie in Giovinazzo era la famiglia Lobasso ad esercitarla ancora nel 1794. Infatti Vincenzo Rutigliano, Domenico di Gioia, Tommaso Magrone, Francesco Goffredo, Niccolò Turtur e Saverio Turtur ad istanza di mastro Pasquale de Gillis della città di Bisceglie mastro maniscalco nel presente in questa suddetta città attestano che «nello scorso anno 1793 trovandosi la mula di sotto di Giuseppe Guastadisegno nel trappeto detto di Mostazziello a macinare olive, dopo che ebbe compito la macina, si trovò la medesima zoppa per cui fu portata a mastro Nicola lo Basso affinchè avesse veduto donde era offesa la mula suddetta, ed in effetti fatta la scovertura al piede sinistro, ne fissò la mezza soletta, la ferrò, e la mandò a fatigare, ritornato ch’ebbe dal viaggio, si vidde che zoppicava, fu nuovamente portata dal detto mastro Nicola il quale la sferrò e ne tirò l’altra mezza soletta, la tornò a ferrare, e la mandò un’altra volta alla fatiga. Dopo altri due viaggi che fece la detta mula, si vidde nuovamente zoppicare motivo per cui esso mastro Nicola ne tirò intieramente la soletta e restò vuota l’ugna, per il qual motivo esso Guastadisegno tenne per lungo tempo la detta mula nella stalla a curare nel detto prossimo passato anno che fu causa trasse il male che teneva la detta mula oltra per il calore del fumiero s’infracidì intieramente l’ugna e se ne venne. In occasione che il sig. Donnanno teneva la sua mula ammalata fece venire il siniscalco da Bitetto, con tal occasione esso mastro lo Basso fece osservare la mula suddetta di Guastadisegni, il quale dopo che l’ebbe osservata disse che detto piede era incurabile. Vedendo il Guastadisegno suddetto che andava a perdere la sua mula, pregò esso mastro Pasquale che l’avesse curata, e così dunque esso mastro Pasquale prese a curare detta mula, e fra lo spazio di 4 mesi circa liberò la mula dalla zoppia colla sua medicatura e la rese libera e sana dal male suddetto siccome attualmente si vede e detta mula va alla fatiga» (ASBa, piazza di Giovinazzo, sk. 29 not. G. Riccio, vol. 569, f. 3, atto del 16 gennaio 1794).






DI VINCENZO DEPALMA

LE ROBBE? DA NU FRET O UALT! Nelle settimane precedenti le grandi festività come Natale e Pasqua o prima dell’inizio dell’anno scolastico, la mamma Costanza con visibile gioia, principiava a dire. - Verìn, a te abbsogn nu par d scarp nov, a Michele na giacchett , a Franguzz na camès. Avit vist accaume va vit rdutt? Crescet troppo subbt! A veu ge vol nu chsteume alla dèj! A quei tempi, nessuno dei fratelli poteva permettersi il lusso di indossare un vestito intero: giacca, pantaloni, cravatta. Se avevi i pantaloni, non ti spettava la giacca. Gli indumenti, tranne quelli intimi, passavano via via dal primogenito al più piccolo in famiglia. Stringi qua, allarga una manica, un rattoppo alle brache, una cucitura alla meglio alla camicia e tutto si accomodava. All calz nana mangave mè na pezza ngheul! Ciccillo, quando ancora aveva nove anni, era quasi fiero di portare la giacchettina con i gomiti lucidi come cera. Più tardi, cominciò a protestare perché la roba degli altri non voleva portala più addosso. - Mi dèt semb l’avanz d l’alt. Parach a vedà nu arlecchin k sti pezz. Certo non aveva torto. Ma la mamma si sforzava di convincerlo che quei colori si confacevano a lui, che avesse un po’ di pazienza, santo cielo! Allora non si navigava nell’oro ma non mancava il necessario. Le robe si compravano da Angiuicchie u Panaccèr da menz a la Chiazze, da Felisce Lacalamita e da le telaiul ca sceven vennen atturn o paies. E per le rifiniture ci pensava le ziene e le figghe che sceven tutt a mbaras d recamè da l sor. Più

ANNI 50. Donne intente al ricamo presso le Suore dell’Istituto S. Giuseppe. Si riconoscono Annantonia Lasorsa e Concetta Iannone

fortunate erano le mamme che avevano in casa una vecchia macchina da cucire Singer. Antico preistorico aggeggio che bisognava oliare prima di metterlo in movimento. Quante camicie, guanti, cappelli uscivano dalle loro mani! Oppure i maglioni, quelli in vera lana uscivano dai ferri della mamma che acquistava i gomitoli di lana dalla merceria Nella e Nino. E anche qui, il primogenito aveva la precedenza su quel maglione che sarebbe poi arrivato all’ultimo dei figli. Quello del passaggio delle robe dal primogenito all’ultimogenito era un tacito dovere che religiosamente compivano anche altre famiglie. Il lavoro a maglia era complicato e tra le donne vigeva il passa parola per fare maglioni con disegni e aspetto diverso. Quanna maglie s fascen a la drette e quann se ne fascen all’ammers? Le donne erano impegnate in questi laboriosi conteggi. E ce sbagliv u numer aviv acchemenzè arret dachep! Poi arrivarono le prime maglierie e le donne finirono di sferruzzare a maglia in casa. Non posso però nascondere che frugando nelle vecchie cassapanche di famiglia ho trovato alcuni maglioni fatti più di mezzo secolo fa in condizioni perfette: non si sono deformati, non hanno perso l’elasticità, non si sono scoloriti, non hanno nemmeno le solite palline segno dei tempi per la maglieria usata. FOTOGRAFIE: Al giorno d’oggi una qualità così alta è molto difficile anzi quasi Giovanni Parato impossibile da trovare. Che dire: accontentatevi di vestire colora- HA COLLABORATO Sergio Pisani ti con Benetton o dai cinesi!



fotocopertina

AGOSTINO PICICCO: «Vita da social. Comunicazione e relazioni al tempo di internet» Pubblicato il nuovo libro di Agostino Picicco, che si presenta come una conversaz ione sui temi della comunicaz ione interpersonale, sulle relazioni quotidiane e le loro modalità nel tempo di internet, alla luce dei rapidi mutamenti degli scenari sociali, culturali e relazionali. I nuovi media oggi non sono solo strumenti di comunicazione ma dispositivi che, ampliando l’accesso, la condivisione e la rielaborazione delle informazioni e delle notizie, hanno modificato abitudini, stili e ritmi di vita, oltre al modo di relazionarsi, di approcciare, di studiare, di lavorare, di fare ricerche, di vivere e gestire il tempo. Internet e social: strumenti nuovi per amplificare le potenzialità di espressione dell’uomo - anche in senso solidale - abbattendo le distanze, dando voce a miliardi di persone e costituendo potenziali reti. Da qui l’attenzione ad un uso consapevole dei social e della tecnologia per non cadere nella trappola di modalità distorte.

Il volume è disponibile a Giovinazzo presso la cartolibreria LO SCARABOCCHIO, in via Giovannello Sasso 20, tel. 080.3904103, loscarabocchio83@libero.it oppure può essere richiesto alla casa editrice ED INSIEME: tel. 080.3511540, info@edinsieme.com

Pubblichiamo la Prefazione di Giancarlo Mazzuca, direttore de Il Giorno e componente del Consiglio d’Amministrazione della RAI Sono lieto di presentare questo libro dell’amico Agostino Picicco, quasi uno stringato manuale tecnologico ad uso dell’uomo comune. Il tema dei social, della comunicazione nella società globale, delle insidie di facebook, è attuale e riguarda il vissuto di ogni persona. Picicco, in linea con

le sue precedenti pubblicazioni, lo affronta con taglio giornalistico e con il bagaglio della sua esperienza di vita e di riflessione, a tratti con arguzia e simpatia, soprattutto negli aspetti più evidenti della nostra quotidianità e nel confronto con un tempo neppure tanto passato (quando – per intenderci – l’informazione era collegata all’uso dei gettoni …). Cogliendo lo spirito dell’autore, concordo sul fatto che oggi non siamo schiavi di questi strumenti ma ne siamo piacevolmente attratti e aiutati, tenendo presente qualche avvertenza che è utile seguire. Siamo contenti di riuscire – tramite la tecnologia - ad avere sotto controllo l’intero sistema delle nostre relazioni da quelle importanti a quelle più futili, talvolta anonime, comunque sostenitrici della nostra autostima. Il rovescio della medaglia di tale facilità di relazioni (che vanno comunque seguite, coltivate, conservate) è la rinuncia al nostro privato, ma ormai è un fenomeno generalizzato e accettato dalla coscienza sociale. Inoltre, in un’epoca in cui i contatti col mondo sono affidati per lo più ai messaggi digitali, buona parte del nostro tempo è espropriato dall’assillo del tablet e dall’inserimento nei social dei frammenti della nostra esistenza. L’uso del tempo ha subito un contraccolpo considerando quanto ne impieghiamo (perdiamo?) nella gestione delle relazioni tecnologiche. Così è agevolato chi riesce ad essere più rapido nel dare una notizia o una risposta, non lasciandosi travolgere dagli eventi, dalla pigrizia, dalla pioggia di messaggi che poi restano inevasi. Il segreto dell’uomo contemporaneo è quello di saper gestire le relazioni attraverso l’utilizzo sapiente del tempo non facendosi distrarre da un uso futile, lezioso, ansioso della tecnologia. Chi riesce a trovare e ad amministrare quel tempo ha più possibilità di riuscire ad emergere, ad essere efficiente e … a vivere meglio, magari de-

dicando anche tempo ed energie agli altri. La tecnologia pervade tutta la nostra giornata di lavoro, tempo libero, amori, svago, e l’ha cambiata. Ogni tanto viene un po’ di nostalgia, come sottolinea l’autore, per quegli strumenti un po’ antiquati che trovavano il minimo comune denominatore nel rapporto diretto e personale, efficace nel rinsaldare una relazione e nel far nascere un’amicizia. Stile che, come precisa Picicco, va riportato anche nella nuova dimensione relazionale e tecnologica (le mail ben scritte, il bon ton del cellulare, il galateo di facebook). Mi piace, alla luce delle riflessioni dell’autore, rimarcare la differenza tra “trasferire informazioni” e “comunicare”, facendo attenzione e non invadere di messaggi banali le chat dei vari contatti. Talvolta occorre davvero saper frenare le dita: avere disponibilità di mezzi non vuol dire essere obbligati ad usarli. Più utile è badare ai contenuti da veicolare, alla luce del fatto che non sempre il canale più immediato è anche il più opportuno. In tal senso mi pare buona cosa tenere presenti le considerazioni di Agostino Picicco che ci possono aiutare a riflettere e vivere meglio. Si parlava di gestione del tempo: il tempo dedicato a questa lettura sarà sicuramente ben impiegato per comprendere, in modo semplice e piacevole, il mondo della tecnologia di comunicazione e della valorizzazione delle relazioni personali. GIANCARLO MAZZUCA


PISTE CICLABILI, DRIVE IN E PALLINE DI NATALE

22 novembre

24 novembre

Va bene la pista ciclabile! L’ importante è capire se è quella a destra o a sinistra del cordolo!

24 novembre

24 novembre

Annunciati anche gli autovelox sulla Statale per Santo Spirito. Le foto delle infrazioni saranno pubblicate su Istangram. Le bestemmie su Comune di Giovinazzo-cittadini in rete.

24 novembre

Ma l'autovelox lo metteranno anche su questo svincolo che finisce sulla pista ciclabile?

28 novembre

Speriamo tutto cambi, da stasera, nell'AFP Giovinazzo, come ha promesso Sabato scorso il nuovo Direttore Sportivo del sodalizio biancoverde.

E poi ci ritroveremo tutti al Roxy bar di De Blasi a bere del wisky

PALLINA PALMA LITTLEDUCK Ahahah..Mi ricordano I Flistone ... Ahahah.. La clava al vigile

24 novembre

ATTENTION AUTOMVELOX


5 dicembre

11 dicembre

DRIVE IN Spero una parte rimanga riservata al pomicio, se ti viene l' aggigghio durante lo spettacolo teatrale.

ANTONIO PIZZOLANTE Il bello è che a vedere questo albero nelle foto di oggi non c'è manco un cristiano in piazza....

6 dicembre

Auguri a tutti quelli che si chiamano Nicola com a me......e a tutti quelli che la mamma li ha chiamati Ryan, William, Ronny, Simply Red, Jonny......e invece avrebbero voluto chiamarsi semplicemente Nicoula!

6 dicembre

Auguri a tutte le signore che portano il nome di Immacolata e Concetta, che (per motivi di calo di posizione nella Hit name parade) hanno la nipote che si chiama Noemi. 13 dicembre

8 dicembre

PRIMI

TURI-

STI A

GIOVINAZZO ATTRATTI DAL MAESTOSO ALBERO DI

Non solo turisti, ma anche vip!! Gigi d’ Alessio, avendo saputo del grandioso addobbo giovinazzese, fa visita alla città, si fa un selfie e dedica un famoso pezzo della canzone partenopea all’albero!

NATALE

16 dicembre

ANTONIO DEPALO

Diamolo in affitto ad Orietta Berti per il concerto di NATALE


la

pagina

dell emigrante

A MILANO LA NOTTE DEGLI AMBASCIATORI DI PUGLIA Il Prefetto ha salutato “la laboriosa e

illuminata Comunità pugliese di Milano” E’ giunto alla X edizione il Premio Ambasciatore di terre di Puglia che l’Associazione Regionale Pugliesi di Milano con una cerimonia solenne conferisce ai pugliesi che si sono distinti nei settori delle professioni e delle arti per capacità e impegno. Il Premio quest’anno è stato dedicato alla memoria del cavalier Dino Abbascià, esempio ammirevole di affermazione dei pugliesi e animatore instancabile della stessa Associazione di cui è stato presidente per dodici anni. La manifestazione, sotto l’egida del nuovo Presidente Gen. Camillo de Milato, è stata condotta dalla giornalista Nicla Pastore. Sede dell’evento il centralissimo seicentesco Palazzo Cusani, in via Brera, sede del Comando Militare Territoriale di Milano e del Comando del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della Nato. La cerimonia si è svolta domenica 22 novembre nella splendida sala da ballo che prende nome dal generale austriaco Radetzky, il quale vi aveva fissato la sede del suo quartiere generale almeno fino alle Cinque Giornate di Milano nel 1848. Come ha sottolineato il dott. Giuseppe Selvaggi a nome della Giuria, è sempre difficile il lavoro di selezione dei tanti nomi di eccellenze pugliesi noti e meno noti. Quest’anno hanno ricevuto il premio il Generale Pasquale Preziosa, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, originario di Bisceglie, il dott. Michele Stacca, Presidente della Banca Popolare di Puglia e Basilicata, originario di Altamura, e la Fondazione Carnevale di Putignano presieduta da Giovanni Paolo Loperfido. Due riconoscimenti sono stati dati a Novo Umberto Maerna - già vice Presidente e Assessore alla Cultura della Provincia di Milano (che ha sempre ammirato i pugliesi perché riescono a riempire le sale in occasione degli eventi) per il suo impegno e collaborazione nell’organizzazione delle attività culturali dell’Associazione e per l’amicizia condivisa anche una volta terminati i suoi

incarichi istituzionali - e alla memoria di Fabrizio Cosi, salentino doc e fondatore dei “Podisti da Marte”, Associazione sportiva di volontariato con cui ha sostenuto numerose ONLUS milanesi, scomparso prematuramente il 22 ottobre scorso. Lo svolgimento della serata, allietata dagli intermezzi musicali del maestro di fama internazionale Sante Palumbo unitamente ad Armando Pisanello e alla cantante swing Daniela Ferrari, ha visto momenti di commozione e anche di profonda riflessione sui temi del momento. Il prefetto vicario di Milano Giuseppe Priolo ha colto l’occasione per tranquillizzare tutti sulla sicurezza a Milano, rammaricandosi per l’annullamento di un concerto proprio in quelle ore a causa dei timori per il pericolo di attentati terroristici esasperati dalla stampa a seguito dei fatti parigini. Ha ribadito il senso dello Stato e del dovere che anima le istituzioni circa la sicurezza dei cittadini e la loro tutela. Ha fatto eco a queste parole il Generale Preziosa che ha illustrato l’opera svolta quotidianamente dai suoi uomini per la difesa dei confini, per la prevenzione di attentati ma anche per portare soccorso a cittadini che devono essere trasportati celermente in vista di interventi sanitari urgenti. E’ intervenuta poi l’ispettrice regionale delle Crocerossine che ha evidenziato l’impegno del corpo ausiliario di appartenenza il quale, con discrezione e umiltà, è a fianco dell’Esercito per portare sostegno e aiuto nelle calamità ma anche nelle emergenze quotidiane. Di rilievo le testimonianze portate, tra gli altri, durante la serata da Giovanna Mavellia, segretario generale di Confcommercio, dal direttore di Affari Italiani Angelo Maria Perrino, dal direttore SDA Bocconi Giacomo De Laurentis, dalla direttrice di Casa Verdi e della Fondazione Giuseppe Verdi Danila Ferretti,

dal segretario generale Forum della Solidarietà Paolo Malena, dal Consigliere Corte dei Conti Maria Luisa Motolese. Un grande riconoscimento ai pugliesi presenti è pervenuto dal Commissario straordinario di Roma e Prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, ospite d’onore della serata, ma impossibilitato a presenziare – rispetto agli accordi assunti prima della nomina romana – a causa di una concomitante cerimonia con il Presidente della Repubblica. Il suo testo, molto accorato e accolto da ripetuti applausi, letto insieme a quello del Presidente della Regione Puglia, della Regione Lombardia e del Sindaco di Milano, esprimeva il piacere che avrebbe avuto nell’incontrare «la laboriosa e illuminata Comunità pugliese a Milano, nota per continuare a rendere grande la Città, mantenendo salda la fierezza di appartenere alle proprie radici». Il filo rosso che lega queste dieci edizioni del Premio è quello culturale. Infatti, se è vero che cultura è tradizione, rivitalizzazione delle tradizioni, folclore, rispetto per le istituzioni, ammirazione ed emulazione verso chi si è distinto per qualità professionali e umane, solidarietà, radicamento sul territorio, promozione locale…, ebbene tali caratteristiche ben si ritrovano nel senso del Premio e nei premiati stessi che nelle loro funzioni si sono anche distinti per umiltà e spirito di servizio. Tanti i concetti emersi in questa serata di gala: è stata sottolineata l’antica amicizia tra Milano e la Puglia, la necessità di continuare a costruire ponti per un fecondo scambio culturale, l’opportunità di costruire un sistema capace di “anticipare il futuro”, rispondendo alle nuove sfide sociali. Questo il monito che ci viene dagli illustri premiati e da coloro che si sono stretti a loro in un vincolo di corregionalità ma anche di ammirazione e calore. AGOSTINO PICICCO


LITTLE ITALY

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sempre con noi

FRANCESCO AMOIA? ERA IL SINDACO DEI GIOVINAZZESI A NEW YORK

emigrati. Sappiamo che le relazioni sociali di adolescenti restano quelle maggiormente impresse nella mente di coloro che lasciano la propria terra. Quando suo nipote Pasquale Stufano diventò sindaco di Giovinazzo, Francesco non stava più nella pelle e fece pubblicare su America Oggi, il principale quotidiano italo americano, l’inserzione di un articolo per manifestare a tutta New York e New Jersey la propria felicità, quasi sentendosi egli stesso importante come un sindaco. Eppure i giovinazzesi sono piccole gocce nella grande baia di New York. Invece, bastava poco per far sentire Francesco orgoglioso, felice ed appagato, nel grande mare di New York. Francesco era un apprezzato detective privato. L’America gli ha dato molto, ma è anche vero che Francesco ha contribuito a far crescere la terra dove viveva. In attesa che si compia il suo ritorno a Giovinazzo non dalla Terra Promessa ma dalla Terra di Mezzo (così la definirei io), voglio ringraziare Francesco per avermi regalato questa grande amicizia.

Tuo amico ROCCO STELLACCI

Dalla guerra si può anche non tornare. Dall’America invece sempre. Anche se ti divide un oceano. Anche se ti trovi in mezzo agli angeli. E’ la straordinaria storia di Francesco Amoia, giovinazzese di New York, che dovrebbe far tornare a palpitare i cuori di tanti giovinazzesi che vivono all’estero. Francesco Amoia, deceduto il 24 novembre u.s. nel Middle Island di New York, vedrà esaudito il proprio desiderio natalizio: tornare nel paese d’origine e ricongiungersi alla moglie con la sepoltura nel cimitero di Giovinazzo. L’ingegnere Pasquale Stufano, suo prediletto nipote, ha avviato le pratiche necessarie per la traslazione della bara. La storia di Francesco è la stessa di tante persone che hanno lasciato la propria terra d’origine con il desiderio di ritornarci. Un passato da ebanista prima e da carabiniere dopo in Italia, Francesco sentiva il desiderio di ricongiungersi alla terra nativa. Da dove arriva questo sentimento, io che ho una storia simile, ho cercato di capirla e condividerla. Mi sono chiesto cosa davvero spinge una persona come Francesco a desiderare la sepoltura nel proprio paese. Sicuramente sono le prime esperienze ed i legami affettivi : i ricordi dell’adolescenza, l’affetto della madre, dei familiari, il primo bacio, il sentimento per l’amica di classe sono come una impronta indelebile nella mente di noi

Dear Friend Francesco Our friendship was born to late in our lives, but even though it was so short, our relationship was intense, unreserved and unforgettable. Today your departure left an indelible scar on my heart. You will always be in my memories. I wish you a Merry Christmas in heaven with angels and your dear ones who have preceded you in paradise. Farewell my friend, Rocco Stellacci Ciao Amico Francesco.



i

racconti

del pescatore DI ONOFRIO ALTOMARE

L’AMORE SI SCRIVE SOLO AMANDO! Ringrazio il caro Sergio per lo spazio che mi riserva. Ringrazio la cara Piazza perchè anche se non parlo alla testa o alla pancia dei lettori – ho la terza media presa alle serale - mi consente di scrivere col cuore nonostante gli strafalcioni. Ahimè il cuore. Io non dovevo più scrivere su La Piazza, perché non ho più amici. L’acqua è gelata e le vendite sono ancora più fredde. Non ho paura di sbagliare argomento, di non saper più che pesci prendere, ormai io sono tutto sbagliato. Ormai non sono più capace di scrivere un testo sull’amore e non scriverò più nemmeno un testo sulla tristezza e sull’odio ricevuto. So solo che l’amore si scrive amando le cose. Quando tutto ti sembra perduto c’è il mare che io amo, e il sole, e il fuoco. Mi consola il cane che mi vuole sempre bene. Rido con mia moglie delle cose semplici senza sapere ormai chi sono. Comporre un testo sull’amore è come trovarsi davanti ciò che si vuole. Penso ormai sia diventata un’impresa ardua per tutti volere ciò che si vuole. L’amore fiorisce come per un fiore quando in tutte le famiglie fiorisce un’economia sana. Quando le finanze me lo consentivano, io ho sempre inneggiato all’amore. Amore è trovare le spiagge che non hanno divieti imposti da un governo che è falso. Amore è un marito che porta un bellissimo stipendio alla moglie. Amore è ritrovarsi a interagire con la gente che non abbia mai avuto troppi problemi col pagamento della Tari o della Tasi, che sa arrivare a fine mese. Amore è avere un governo onesto e non quello che ci mostrano. Amore è trovare mille amici al bar e accontentarsi di un panino e un bicchiere di vino. L’amore è una squadra nello sport che pur non vincendo sa unire comunque i cuori della gente. Amore è trovarsi con parenti e amici in campagna per mangiare e fare il karaoke. Amore è farlo sempre, in qualunque luogo, purché spensierati. Amore è iniziativa, è viaggiare, pescare tanti ricci. Amore è festeggiare tutti insieme un matrimonio. Amore è possedere bei computer e smartphone per essere sempre connessi su facebook. Amore è pagare le tasse, è creatività, è seguire la ragione, l’onestà ed il cuore. Amore è

Amore è luce negli occhi AMORE È… UNA COPPIA DI SPOSI CHE REALIZZA UN SOGNO COMMERCIALE,

AMORE È… APRIRE UN’AZIENDA, UN RISTORANTE, UN BAR AMORE È… ORDINARE ALL’ARREDATORE QUELLA POSIZIONE SEMPRE

tutto ciò che si crea attraverso i nostri sogni, è rispetto sul lavoro la mattina, è il cane che bussa alla porta della camera da letto semplicemente se lo stai pensando, perché lui non veste, non consuma, non chiede nulla se non di giocare per tutta la passeggiata,accontentandosi degli avanzi e dell’amore che nutriamo per lui. ONOFRIO ALTOMARE

SOGNATA DIETRO CUI POI GLI SPOSI SI BACIANO.

ONOFRIO ALTOMARE



stelle

al

merito

sportivo

IL CONI CELEBRA LE NOSTRE STELLE Riconoscimenti a Parato, all’Afp, a Frasca, Falca e all’ l’Iris

Quale onore in redazione: abbiamo un collaboratore insignito della stella d’oro per meriti sportivi! E’ Giovanni Parato, il suo nome è noto ai più quando era il Vigile uguale e spiccicato ad Otello Celletti nel film con Alberto Sordi: sfoderava sorriso, paletta e blocchetto per fare le multe. Anche a me ha comminato un paio di multe (naturalmente ingiuste!!!). Che c’entra, vi chiederete la figura del vigile con la stella d’oro per meriti sportivi, consegnata l’11 dicembre dal Coni presso lo Showville di Bari? C’entra eccome: Giovanni Parato, il fischietto, non se l’è mai tolto dalla bocca nemmeno quando non lavorava. Faceva l’arbitro di hockey e non perdeva il vizio di fischiare, ammonire, sfoderare anche sulla pista di gioco un sorriso a 32 denti, sciorinando cartellini

gialli, rossi e blu. Per questo il Coni lo ha premiato. Per aver superato i 48 anni di carriera sportiva come arbitro internazionale e poi come Dirigente di Federazione e designatore della classe arbitrale. Ma Parato non è il solo ad inorgoglire la Piazza di Giovinazzo, (quella vera, oltre al giornale). Il Coni ha celebrato le altre stelle giovinazzesi dello sport insieme alle tenniste Flavia Pennetta e Roberta Vinci, regine a New York. L’AFP Giovinazzo ha ricevuto La Stella di Bronzo (a ritirarla il DS Vito Favuzzi) e Francesco Frasca, il Capitano, la Palma di Bronzo. Hanno fatto da cornice all’evento l’argento di Atene 2004 Marinella Falca e l’esibizione delle giovani atlete dell’Iris Giovinazzo. C’era anche il sindaco Depalma che per una sera si è messo il frac. Una giornata indimenticabile per il suo look oltre che naturalmente i colori biancoverdi. SERGIO PISANI


il

corsivetto

I PAGLIACCI RESTINO A CASA! Premetto. Sono un grande tifoso dell’AFP. Appartengo a quella categoria che rimane indignata quando la propria squadra del cuore perde anche se meritava la vittoria. Ma l’hockey giocato questa volta conta poco perché non siamo rimasti insensibili alle chiacchiere da bar, alle discussioni e riflessioni da strizzacervelli. Anch’io provo a mettere un po’di formaggio sui maccheroni prima però di aver fatto il riassuntino della storiella che sui Pattini a Rotelle ha fatto il giro del Belpaese a colpi di post su facebook (i cinguettii di twitter non sono ancora arrivati tra i vip di casa nostra) manco fossero dei Balotelli che cercano sui social network elementi di discolpa davanti a Barbara D’Urso sulla paternità della figlia «Pia... Dolce bimba mia… tutto il papà». Nel piccolo villaggio dell’hockey da tempo siamo abituati ad ascoltare un po’tutti. Tutti dicono tutto, tutti dicono la verità, i tifosi dicono di volere la verità e nessuno riesce a riconoscere gli uomini che si inventano le bugie. C’eravamo tanto amati, e adesso ci lasciano. E lo scrivono su facebook. Ok. Posso capire il Capitano. Il capitano è sempre la bandiera, l’alfabeto di emozioni, passioni, lacrime di gioia e di nostalgia di una società. Posso capire che va via il Ds Favuzzi. Ok, questa sì che è una notizia. Va via colui che ha rialzato il cavallo dell’Afp agonizzante con una bottiglia di Vecchia Romagna (ricordate la pubblicità?) e si è gustato l’amaro. Per amor della la nuova AFp, va via colui che «ha fatto pure il pezzente – sono parole del capitano, suo genero» perché l’AFP era nelle sue radici, prima robusta e forte, capace di dare buoni frutti, adesso misera e presa a palle in faccia da tutti ma pur sempre in grado di rimanere in vita, di mantenere la tradizione in tempi drammatici in viviamo. Le dimissioni di tutti gli altri del direttivo & affini sono notizie afone, non ci interessano. Se fosse ancora in vita Antonio Pansini, il dirigente dell’armonia non avrebbe consentito di ospitare il circo dei pagliacci in casa sua, al PalaPansini. C’eravamo tanto amati, e adesso ci lasciano. No, ritornano tutti ai loro posti. E’ tutta una caricatura! Che tristezza. L’hockey non è più un sentimento, ma una ragione per qualcuno per sentirsi in piedi. Ecco perché non sta bene. Fortuna che i bambini non lo sanno, camminano sui pattini, giocano il loro

hockey disinteressato, istintivo, coltivano i loro sogni. Il male sta dentro gli adulti, incapaci di custodire i propri tesori, la propria storia. Il male sta nei giocatori che preferiscono serate frivole con amici nei pub piuttosto di allenarsi e attaccarsi con sacrificio e senza un euro alla maglietta. Tonino Caricato, macchinista FS, nulla ha insegnato? Proprio lui che faceva fermare gli intercity a Giovinazzo (lasciava l’incombenza della guida del treno all’altro macchinista) per correre al palasport con la divisa del ferroviere per fare allenamento. Ci siamo anche noi imbottiti di argentini. Non abbiamo più portieri fatti in casa. L’hockey è malato. Il male sta nei dirigenti, troppi per la verità, che fanno solo confusione. Non c’è nessuno che s’impegna a dimostrare che il futuro sarà migliore. E se lo fa, si volta e non trova più nessuno, se non una voce, espressione dell’intero Consiglio, che lo invita a farsi indietro. Così nascono i paralleli, le invidie, il mancato rispetto dei ruoli, delle competenze. Chi reclama ciò è gente che ha bisogno di una

particina perché alle case non riesce a stare. Ebbene, noi questi pagliacci non li vogliamo. Non vogliamo assolutamente dire che non c’è impegno da parte loro, ma il fine è sbagliato e poco utile. E allora? Sarebbe bene che i volenterosi (volenterosi anche perché si parla di volontari non pagati!) decidano dì finirla di farsi la guerra tra loro, che si contribuisse a crescere tutti e a far crescere questo movimento. Guardandosi intorno, se c’è ancora gente seria che potrebbe mettere al sevizio dell’hockey ancora la propria esperienza e il proprio impegno economico, è giusto che i pagliacci vadano via. E’ giusto che i dirigenti attenti si calino di umiltà e si facciano da parte se c’è chi può fare meglio di loro. Solo così il nostro hockey ritornerà competitivo. Bisogna far presto, prima che suoni la campanella!

SERGIO PISANI

CI HA LASCIATO ANTONIO DESTASI

PROTAGONISTA DELLA FAVOLA DEGLI ANNI 80. QUANDO SI PARLAVA DI SAGGEZZA, SI PARLAVA DI ANTONIO. TUTTI GLI AMICI DELL’HOCKEY LO RICORDANO COSI




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