Una recensione di kamchatha su rsera (repubblicasera) pubblicato il 25 marzo scorso

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Il libro

Il mondo inventato di Harry al tempo della violenza SEBASTIANO TRIULZI IL LIBRO Kamchatka di Marcelo Figueras, traduzione di Gina Maneri, L’asino d’oro edizioni, pagine 369 euro 14

SERA 25 marzo 2014


Il contesto. Negli ultimi quindici anni sono stati pubblicati in Argentina diversi libri che hanno per protagonisti i figli dei desaparecidos. Oltre che ricordare i genitori torturati e uccisi durante gli anni della dittatura (197683), questi testi cercano di raccontare anche il destino dei sopravvissuti, il loro naufragio o la loro capacità di resistenza. La lista della “narrativa della catastrofe”, come è stata definita, è multiforme e comprende sia incursioni nella saggistica e nella letteratura d’infanzia, sia romanzi e pièce teatrali, per lo più opera di scrittori figli di desaparecidos. Kamchatka appartiene a questo filone, e anche se non guarda all’infanzia rubata dalla prospettiva dell’abisso né indugia sulla brutalità del potere, riesce comunque a denunciarne la violenza quasi per sottrazione, raccontando proprio ciò che si è perso, e cioè il nucleo famigliare esistente prima che la banalità del male si abbattesse con tutta la sua furia. La trama. Kamchatka è un romanzo di formazione in cui si alternano due voci: la principale è quella di un bambino di dieci anni, Harry, che vive una breve esperienza di clandestinità insieme ai genitori, perseguitati politici in fuga dalla brutalità del regime di Videla. Con la sua famiglia, che comprende anche un fratellino più piccolo, Harry si rifugia in una casa di campagna fuori Buenos Aires nel marzo del ‘76. Il suo è un nome di copertura, preso in prestito dal mago Houdini, simbolo della capacità di evadere dalle situazioni di difficoltà; subito Harry riesce a ricostruire una propria quotidianità, fatta di giochi, supereroi, serie televisive che restituiscono un affresco della cultura popolare dell’epoca. La narrazione dei giorni in clandestinità è per lui un serbatoio di episodi divertenti e di sentimenti contrastanti, imbevuti dall’eccitazione della novità ma segnati dal cambio di abitudini (gli amici, la scuola, ecc.) e soprattutto dal sopraggiungere del sentimento della fragilità della vita, con la paura che inizia ad entrare sottopelle perché da bambini ciò che siamo in grado di intuire supera spesso ciò che vediamo. La seconda voce del romanzo appartiene all’Harry adulto, con una riformulazione a posteriori degli eventi, in un processo lenitivo che è anche ricerca e interrogazione di senso. Il lettore che ha presente la storia dell’Argentina, presagisce la sorte dei personaggi, come si tingerà per loro d’oscurità e d’assenza, e sapendolo sente acuirsi, col pathos, il senso di impotenza e di ingiustizia. Il titolo. Scritto tra il 2000 e il 2001, suddiviso in capitoli brevi che seguono l’andamento di un giorno di scuola, il romanzo prende il titolo da un paese del gioco del Risiko!, la Kamchatka; che nella realtà è una penisola insieme ghiacciata e vulcanica, dunque contraddizione vivente, ma che nella finzione narrativa assurge a luogo di resistenza, di rifugio nell’immaginazione nel tentativo di sfuggire ad un mondo impazzito. Ed è anche l’ultima parola che il padre ha soffiato nell’orecchio ad Harry prima di scomparire nel nulla. L’eredità. Il ricorso al punto di vista di un bambino è un modo per esprimere un giudizio di valore netto su una delle pagine più tragiche e dolorose dell’Argentina. Ritornare a quei giorni, riviverli, significa anche esorcizzare l’oblio a cui sembravano condannati i genitori di Harry, e per estensione tutta la “generazione perduta” dei 30mila e passa desaparecidos. Scrittori, registi, pittori hanno denunciato il genocidio in Argentina, e in generale la violenza dei militari è sempre stata una condizione unificante della narrativa dell’America Latina: Figueras non è un figlio di desaparecidos, e il pregio del libro risiede nel riscatto concesso ai genitori di Harry, nel coglierli in una dimensione umana, quotidiana. Persone, forse non militanti in senso stretto, ma che scelsero di non girarsi dall’altra parte, di affrontare dei pericoli per mantenere la propria indipendenza e libertà, agendo cioè secondo un’etica delle responsabilità che rappresenta l’eredità più grande lasciata alla generazione futura.


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