Livia Profeti essere e tempo no grazie left 15 08 2015

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Essere e tempo? No grazie L’ontologia di Heidegger ha distrutto l’idea di uguaglianza, senza la quale la sinistra non può opporsi alle tante facce dell’oppressione odierna. E al razzismo che avanza di Livia Profeti

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l dibattito sui Quaderni neri di Martin Heidegger non va in vacanza. Il mese di luglio ha visto ben tre articoli sul Corriere della sera: quello del curatore Peter Trawny che, noto per rivendicare la libertà di «errare con Heidegger», accusa Emmanuel Faye di voler limitare tale libertà accusando da un decennio Heidegger di aver «introdotto il nazismo nella filosofia»; la risposta di Faye; il conseguente intervento di Donatella Di Cesare, che però non entra nel merito e si concentra sul titolo giornalistico della risposta di Faye (“Heidegger scelse Hitler e non cambiò mai idea”), pur sapendo che non è quello originale e non rispecchia il contenuto del testo. A questi si è aggiunto Gianni Vattimo, con un articolo su La Stampa che meriterà una notazione a parte. Di certo è che a un anno e mezzo di distanza dall’uscita in Germania del primo volume di questi Quaderni, le posizioni degli intellettuali si vanno chiarendo. Il fronte degli heideggeriani si è diviso tra coloro che potremmo chiamare «classici» - visto che da decenni negano imperterriti ogni evidenza della collusione del loro maestro con il nazismo, e nuova apologetica heideggeriana - titolo originale della risposta di Faye, che per primo la mette in evidenza. Gli esponenti della nuova apologetica heideggeriana riconoscono l’antisemitismo dei Quaderni neri, ma continuano a ritenere indispensabile il pensiero di Heidegger sino a considerare imprenscindibile per la ricerca filosofica persino il suo antisemitismo, detto «metafisico» (Donatella Di Cesare). La maggioranza degli altri intellettuali, pur condannando il filonazismo dei Quaderni e di altri scritti successivi al 1933, tende a salvare l’opera fondamentale di Heidegger, cioè Essere e tempo del 1927. Il perché di questo atteggiamento non è chiaro da un punto di vista teorico, assumendo piuttosto l’aspetto di un’apprensione, quasi come se quel testo fosse percepito come una sorta di colonna portante dell’edificio in cui si abita, che dunque crollerebbe se venisse a mancare. In effetti, l’influenza di Essere e tempo si è estesa nella seconda metà del Novecento a tutti gli ambiti della cultura umanista, sino a costituirne il fondamento implicito. Una cultura che però non è stata in grado di mobilitare alcun rifiuto efficace alla controriforma conservatrice in 80

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atto negli ultimi decenni. Ne sono l’emblema, l’egemonia politica ed economica dei governi di centro destra in Europa, l’inasprimento della xenofobia e del razzismo, l’impoverimento delle società e le nuove forme di schiavitù, di cui l’intera Grecia rischia di diventare il simbolo. Si dirà: cosa c’entra Heidegger? Molto. Perché il comune denominatore delle tante facce dell’oppressione odierna è il disinteresse per l’essere umano e la perdita dell’idea di uguaglianza. Di contro, si assiste alla costante crescita di vecchie e nuove «comunità» identitarie che mirano alla supremazia, siano esse religiose, nazionali, etniche. Ebbene, la scomparsa della ricerca dell’identità «umana» di base, e dunque dell’uguaglianza fondamentale, è conseguenza dell’ontologia che si è affermata con Essere e tempo, la «colonna portante» di cui la nostra cultura non potrebbe più fare a meno. L’Esserci infatti, cioè l’«uomo nuovo» secondo Heidegger, implica una differenza originaria tra popoli (o comunità) legata al «mondo» particolare in cui tale Esserci sarebbe «gettato». In Essere e tempo il mondo non è la Terra che tutti gli esseri umani condividono, ma, come l’autore stesso precisa, l’ambiente particolare «in cui» un Esserci nasce, che appartiene alla sua costituzione ontologica. Quindi, e benché non sia mai stato evidenziato, l’esistenziale dell’essere-nelmondo non indica la condizione umana universale uguale per tutti, ma nasconde «essenze» diverse in base alle condizioni effettive di nascita. Heidegger parla spesso in Essere e tempo di un mondo specifico «proprio» dell’Esserci, ma confonde tali espressioni con altre in cui il mondo sembra assumere un senso generale, e dunque non è facile cogliere il ruolo essenziale di elementi empirici come il «suolo» e il «sangue» nella costituzione d’essere dell’Esserci, peraltro inedito nella tradizione filosofica prima della sua ontologia. Per inciso, definendo gli Ebrei «senza mondo» nei Quaderni neri, Heidegger gli nega in base a Essere e tempo la loro stessa «essenza» umana, sebbene diversa da quella degli altri. Detto in altri termini, se nel caso dei vari popoli la differenza rispetto a quello tedesco è quantitativa, nel caso degli Ebrei è qualitativa: gli Ebrei sono per Heidegger radicalmente «altro» rispetto all’Esserci. Nei termini di Massimo


Fagioli potremmo dire che egli «annulla» la loro umanità. L’appartenenza a mondi diversi determina possibilità ontologiche diverse di realizzare il «progetto» esistenziale dell’Esserci, che in realtà non è individuale ma costituisce il «destino» di ciascun popolo - nel caso specifico quello tedesco. Ciò è evidente negli scritti di Heidegger successivi al 1933 e nei Quaderni neri, ma che l’Esserci sia in realtà una «comunità di popolo» di impostazione razziale è già prefigurato nel paragrafo 74 di Essere e tempo. In Dell’essenza della verità del 1933-34 egli afferma che «il sangue e il suolo sono potenti e necessari (…) per l’Esserci di un popolo», e nei Quaderni lega esplicitamente tale «necessità» alla costituzione dell’esser-gettato. La sola razza non è però sufficiente, poiché l’altra condizione necessaria per la realizzazione dell’autenticità è la misteriosa «decisione»: l’atto impulsivo con cui l’Esserci «si decide» per il «prendersi cura» del proprio mondo. Proprio questa proposta di superare la Ragione illuminista e recuperare misticamente la dimensione pre-razionale è il messaggio che è stato raccolto dalla cultura postmoderna, che ha seguito tale annuncio profetico dell’«uomo nuovo» pagando il prezzo di una presunta libertà fatua e irresponsabile con l’annullamento dell’identità umana. Heidegger, come è stato scritto spesso su Left, ha totalmente fallito nel suo intento, ma la sua negazione dell’uguaglianza si è diffusa nella cultura sedicente progressista, che ha moltiplicato all’infinito presunte identità di appartenenza e demonizzato l’idea di un’unica identità umana comune. La sola che invece può garantire la pari dignità degli esseri umani e sul cui fondamento qualsiasi specificità umana ha il diritto di svilupparsi, senza potersi però mai arrogare alcuna differenza ontologica. Oggi la nuova apologetica heideggeriana, per comodità, insipienza o convinzione, vorrebbe continuare a perpetrare un’ontologia la cui tesi centrale è che ogni comunità ha una propria «essenza» e un proprio «destino», cioè la base su cui qualsiasi razzismo può fondarsi per costruire la propria specifica versione della «Storia dell’Essere» heideggeriana: se Heidegger riteneva che i Tedeschi avessero il compito di istituire un «nuovo inizio» dell’Occidente anche a costo

delle camere a gas (Quaderni neri), qualsiasi «Califfato» può analogamente affermare lo stesso concetto per quanto riguarda la comunità islamica. E così all’infinito. Persino gli Ebrei, che hanno subito la Shoa, potrebbero oggi ritenere che Israele abbia il «compito» di sovvertire l’ordine statocentrico mondiale perché costituisce l’emergere di «tempi nuovi», come affermato da Donatella Di Cesare nel suo «saggio teologicopolitico» Israele. Terra, ritorno, anarchia (Bollati Boringhieri, 2014), in cui peraltro viene costantemente sottolineata l’«identità» ebraica mentre l’uguaglianza viene definita una «chimera». Dal canto suo Peter Trawny, nel suo saggio Heidegger e il mito della cospirazione ebraica ora tradotto in Italia da Bompiani, definisce «normale» il razzismo per il solo fatto che esso persevera, come ad esempio negli Stati Uniti. Trawny ha acquisito di recente un ammiratore italiano, Gianni Vattimo. Questi, già noto per le sue La cultura postmoderna uscite antisemite e la proposta di ha seguito la profezia un cristo-comunismo in chiave dell’«uomo nuovo» heideggeriana, nel suo articolo del heideggeriano pagando 25 luglio si è accodato alla nuo- il prezzo di una presunta va apologetica. Il titolo, “Il buco libertà con l’annullamento nero di Heidegger”, è una scan- dell’identità umana dalosa parodia de “Il buco nero di Auschwitz” in cui Primo Levi, nel 1987 e sempre su La Stampa, esprimeva tutta la propria inquietudine per il negazionismo incipiente. Così Vattimo, che nel suo intervento nega la realtà affermando che Heidegger non parla della Shoa nei Quaderni neri - quando questi l’ha persino definita un «autoannientamento» degli stessi Ebrei sembra irridere fatuamente Primo Levi sostituendo la vittima con il carnefice teorico. La nuova apologetica heideggeriana si colloca a buon diritto nel filone internazionale rappresentato dagli intellettuali cosiddetti «rossoneri» (tra cui Slavoj Žižek, Alain Badiou e lo stesso Vattimo), che da decenni mescolano temi della sinistra storica con posizioni di destra. Come descritto da François Rastier in un recente intervento sulla rivista francese Cités, per la teoria politica degli heideggeriani rosso-neri il concetto di «comunità» è cardinale. Sono sicuri gli altri intellettuali di non poter fare a meno di Essere e tempo? 15 agosto 2015

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