Il poker di renzi

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| IL FATTO QUOTIDIANO | Lunedì 14 Settembre 2015

Storia di copertina

Attacco allo Stato

P

» FABRIZIO D’ESPOSITO

er Matteo Renzi è l’ora della pugna decisiva, in cui forgiare il suo destino da Caro Leader, autentico e duraturo. Dalla battaglia del Senato, sulla riforma costituzionale che porta il nome di Maria Elena Boschi, dipende il prosieguo di questa diciassettesima legislatura. Il presidente del Consiglio sta giocando questa partita come se fosse una mano di poker al buio, sul filo dei La scheda numeri a Palazzo Madama, SEDUTE reclutando ex berlusconiani E VOTI del calibro di Denis Verdini L’esame del ed ex grillini e sparando conddl Boschi è tro la minoranza del suo parripreso tito, rappresentata da due facmartedì ce antiche e ammaccate della scorso nella Ditta, Pier Luigi Bersani e commissione Massimo D’Alema. Se dovesAffari se vincere, senza comproCostituzionali messi sull’elettività del Senadel Senato. to, imprimerebbe una torsioGli ne mai vista al sistema repubemendamenti blicano, investendo e cancelda smaltire lando ben 70 articoli della Cosono più di stituzione, con una sola Ca500 mila, mera a dare la fiducia al goverquasi tutti no e una legge elettorale, l’Ipresentati talicum, che darebbe la magdal leghista gioranza assoluta a un solo Roberto partito con appena il 40 per Calderoli. cento dei voti. A fermare RenDomani, zi, in questo caso, potrebbe sempre in essere solo il referendum commissione, confermativo della riforma, dovrebbe probabilmente nell’autunno cominciare la del 2016. Al contrario, nello discussione scenario opposto, se dovesse delle perdere nell’aula del Senato, proposte di la sua doppia e giovanissima modifica. Il leadership, di partito e di gopremier verno, potrebbe essere periMatteo colosamente azzoppata. SoRenzi, però, prattutto se il capo dello Stavorrebbe to, Sergio Mattarella, non licenziare il sciogliesse il Parlamento e provvedimento desse l’incarico per un nuovo entro fine esecutivo. Durante la Prima mese. È quasi Repubblica sono stati almeno certo, quindi, tre i leader che hanno legato il che la riforma proprio destino a una battaglia epica. Ci fu chi vinse nelle verrà portata aule ma perse nel Paese: Aldirettamente cide De Gasperi e la “legge al voto truffa” del 1953; chi tramontò dell’Aula da solo contro tutti in un referendaria nel 1974: Amintore Fanfani e la guerra contro il divorzio; chi azzardò e la spuntò a sorpresa: Bettino Craxi e il referendum sulla scala mobile nel 1985.

Il leader della Dc voleva la maggioranza Lo statista democristiano Alcide De Gasperi aveva 72 anni quando affrontò la sfida fatale della legge elettorale passata alla storia come “legge truffa”. Era il 1953, tra la primavera e l’inizio dell’estate. De Gasperi, alla guida del suo settimo governo, voleva costituzionalizzare il sistema Dc, uscito trionfante dalle elezioni del 1948 con il 48 per cento dei voti, con una legge che avrebbe dato il 65

I quattro promotori Sono i premier protagonisti di quattro momenti cruciali nella storia del Paese Ansa

Quelli che... gioco tutto in una mano per cento dei seggi alla coalizione vincente con il 50 per cento. Solo in confronto all’Italicum, la “legge truffa” meriterebbe una completa riabilitazione. Il Pci di Palmiro Togliatti si battè con ogni mezzo contro l’approvazione. Non solo in Parlamento. Ci furono anche scontri di piazza e a Montecitorio Pietro Ingrao si presentò sventolando un fazzoletto insanguinato a causa di una manganellata. Tra i “piccoli” laici alleati della Dc, si levò la voce dissidente del repubblicano Ferruccio Parri, glorioso azionista ed ex presidente del Consiglio. Nell’aprile di q u el l ’a nn o , l’U n i tà titolò a

contro Ruini, ferendolo. Il suo collega Velio Spano, fu bloccato mentre tentava il lancio di una poltrona. Botte soprattutto ai repubblicani Ugo La Malfa, schiaffeggiato, e Randolfo Pacciardi, cui un pugno ruppe gli occhiali. Alle elezioni del 7 e 8 giugno però De Gasperi perse. La sua vittoria parlamentare fu effimera, seppur per poco: per soli 55mila voti il premio di maggioranza non scattò. Al Quirinale, il presidente Luigi Einaudi gli diede l’incarico per il suo ultimo governo, l’ottavo. Durò due settimane. Poi toccò a Giuseppe Pella. La leadership di De Gasperi tramontò così. L’ultimo sussul-

LA RIFORMA DETTA “BOSCHI” VOLUTA DA RENZI,: UNA PARTITA A POKER CON LA DEMOCRAZIA caratteri cubitali in prima pagina: “Parri si dimette dal Pri per protesta contro la legge truffaldina”. L’a pp ro vazione a Palazzo Madama fu velocissima. Avvenne la domenica delle Palme, che in quel ’53 cadeva il 29 marzo. Per evitare il colpo di mano dc, il presidente del Senato, Giuseppe Paratore, vecchio liberale crispino, si era dato alla fuga. Al suo posto, Meuccio Ruini che poi si dimetterà anche lui a giugno. Il comunista Clarenzo Menotti sradicò lo scrittoio dal suo banco, comprensivo dell’acuminato calamaio, e lo lanciò

Tutti gli altri In basso i quattro sconfitti (anche se Bersani non lo è ancora); a destra le variabili delle vicende raccontate Ansa

to fu la sua tormentata elezione a segretario della Dc nel settembre del ’53. Ma già scalpitava il nuovo cavallo di razza dc: l’aretino Amintore Fanfani. De Gasperi morì un anno dopo, nell’agosto del ’54. Oggi, per la Chiesa, è un servo di Dio, in attesa della beatificazione.

La guerra solitario per “non calpestare i figli” Amintore Fanfani, cui Matteo Renzi è stato più volte paragonato, per l’irruenza e la toscanità e il doppio incarico di partito e di governo, finì il suo ventennio da cavallo di razza della Dc così come la aveva iniziato nel 1954: da se-

gretario della Balena Bianca (copyright Giampaolo Pansa). L’epico referendum sul divorzio, che divise in due la parabola della Prima repubblica, ancora prima della tragedia di Aldo Moro, si tenne il 12 maggio 1974. I no all’abrogazione della legge voluta dal liberale Baslini e dal socialista Fortuna, approvata nel 1970 e figlia della battaglia radicale di Marco Pannella sin dall’inizio degli anni sessanta, i no, dicevamo, furono il 59,1 per cento (19 milioni e 138.300), e i sì si fermarono al 40,9 per cento (13 milioni e 157.558). Fanfani chiuse la campagna referendaria il 10 maggio in piazza


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Chi stava sul Colle Da Einaudi a Mattarella: chi ha visto, vissuto a volte contrastato i quattro momenti cruciali

TOMTOM

Ansa

I precedenti: De Gasperi e la “legge truffa” del ’53; Fanfani e il divorzio del ‘74; Craxi e la “scala mobile” votata nel 1985

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FURONO FATALI 55MILA VOTI La legge elettorale del 1953, meglio nota come “legge truffa, fu promossa dal leader Dc Alcide De Gasperi, e fu un correttivo della legge proporzionale vigente dal 1946. Introduceva un premio di maggioranza del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse superato la metà dei voti. La Dc non raggiunse l’obiettivo per appena 55mila voti. Venne abrogata con la legge del 1954

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IL 13 MAGGIO 1974 LA SVOLTA ITALIANA Il 12 e 13 maggio 1974 l’Italia votava il referendum sul divorzio, per abrogare la legge 898/70, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, altrimenti nota come “legge Fortuna-Baslini”. Entrata in vigore 4 anni prima, la legge aveva introdotto il divorzio in Italia, causando controversie e opposizioni, in particolare da parte di molti cattolici. Alla vittoria del NO nel 1974 seguiranno importanti conquiste elettorali delle sinistre nel '75 e nel '76

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14 FEBBRAIO 1984 ALTRO S. VALENTINO Un decreto del governo Craxi tagliò 4 punti percentuale della scala mobile, convertendo un accordo delle associazioni imprenditoriali con Cisl e Uil. Contro questo provvedimento il solo Pci di Berlinguer propose un referendum abrogativo. La consultazione si tenne il 9 e 10 giugno 1985 con un'affluenza alle urne del 77,9%. Il risultato fu di 45,7% SI all'abrogazione e 54,3% NO

L’INTERVISTA

Paolo Cirino Pomicino

“La sua è una battaglia di potere, le altre erano civili e religiose”

S

ostiene il democristiano Paolo Cirino Pomicino, ex ministro andreottiano, che c’è una grande differenza tra la battaglia di Renzi sulle riforme costituzionali e quelle evocate in queste due pagine.

e Fanfani si giocavano solo il loro presente perché in un grande partito di massa in termini di potere c'erano le pasque e le quaresime come diceva lo Fanfani.

No, anzi. È dotato di una grande intelligenza politica e comunicativa. La differenza è che questa è una pericolosa battaglia di potere, le altre investivano temi civili, religiosi, economici. E l'appellativo di legge truffa dato all'epoca oggi appare più che mai ridicolo rispetto all'Italicum di renziana fattura.

Nella Dc, come in quasi tutti i partiti, c'erano più leader che potevano fare il presidente del Consiglio e chi cadeva poteva risorgere.

Renzi è troppo giovane e inesperto, rispetto a De Gasperi, Fanfani e Craxi?

Pericolosa perché cambia tutta la natura della Costituzione.

Innanzitutto perché dà per sempre il governo del paese nelle mani di una minoranza e con la riforma del Senato non vi sarà alcun contrappeso tipico di ogni democrazia. Non siamo né una democrazia parlamentare né una presidenziale. Perciò si gioca tutto.

Si gioca il suo presente. Anche De Gasperi

Ossia?

Renzi non ha alternative.

Questo è il limite dei partiti personali come ormai sta diventando il Pd. Renzi è un leader che resta tale anche se non dovesse fare più il premier. Ecco perché la sua minaccia di elezioni anticipate è una pistola ad acqua, al massimo si dimetterà la Boschi. Renzi non ha il coraggio di andare a votare e qui è diverso dal Craxi del 1985. Diceva: “Mi dimetterò un minuto dopo la vittoria eventuale dei sì”.

Craxi sapeva che bene o male la sua maggioranza politica era maggioranza nel

Paese. Oggi non è così, sono anni che abbiamo maggioranze di governo in Parlamento che sono minoranza nel Paese. E se alla fine dovesse vincere in Parlamento?

Parafrasando Mario Draghi, andremo in un mare ignoto dove nulla è prevedibile. L’autoritarismo di una minoranza.

È questo il modello che Renzi offre al paese con la doppia riforma della legge elettorale e del Senato. Se volesse, diversamente, rimanere nella storia democratica del paese, dovrebbe accettare le richieste di chi gli si oppone: Senato elettivo e premio di coalizione. Invece si gioca il tutto per tutto, insieme con Verdini e Alfano.

Alfano ha detto che chi vuole andare via da Ncd vada pure. Mi sembra che sia stato Alfano ad andarsene già da Ncd.

Craxi sapeva che la sua maggioranza politica lo era anche nel Paese. Oggi abbiamo maggioranze di governo che sono minoranza nel Paese IERI E OGGI

FDE

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Duomo a Milano: “I figli non cibile referendario fu invece devono essere calpestati dal Oscar Luigi Scalfaro. Dopo la capriccio dei genitori”. In tre disfatta, la segreteria andò al anni, dal 1970 al 1973, le trat- moroteo Benigno Zaccagnitative tra Dc e Pci per evitare ni. Fanfani finì come riserva il referendum, chiesto dai della Repubblica, nel cimitecattolici oltranzisti di Ga- ro degli elefanti politici. brio Lombardi, furono estenuanti e inutili. A causare il Berlinguer, l’ictus fallimento della mediazione e l’addio di Napolitano fu soprattutto l’elezione al Il referendum sul taglio delQuirinale nel dicembre ’71 la scala mobile cadde a metà del democristiano Giovan- della lunga permanenza del ni Leone, sostenuto da un leader socialista Bettino blocco di cenCraxi a Palazzo trodestra. Lo Chigi, dal 1983 al stesso Fanfani 1987. Si votò il 9 e era il candidato il 10 giugno 1985 Una partita ufficiale della e il presidente Dc per succede- giocata al buio, sul del Consiglio are a Saragat. Alveva già fatto anla fine il refe- filo dei numeri, nunciare dal suo rendum fu cari- reclutando ex delfino Claudio cato di tanti siMartelli: “In cagnificati, dalla berlusconiani del so di vittoria dei battaglia civile calibro di Verdini sì, il governo si dei pannelliani dimetterà un minel Paese allo ed ex grillini nuto dopo”. Era stop da destra l’epoca del pendella strategia tapartito. Sul del compromesso storico, in Corriere della Sera, Ernesto caso di vittoria dei sì. I dc Galli della Loggia profetizcontrari alla prova di forze zò: “Se il Pci fallisce sarà la delle urne erano vari: Al- più grave sconfitta della sua do Moro, il premier Ru- storia”. E così fu. I cittadini mor, Donat-Cattin, Fran- furono chiamati a pronuncesco Cossiga. Un irridu- ciarsi sul fatidico accordo di

San Valentino del 1984, con cui un decreto cancellava il meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione. In sostanza, il taglio della contingenza, quattro punti di scala mobile (in realtà furono tre). Il 7 gennaio del 1984 la direzione del Pci di Enrico Berlinguer, che considerava Craxi “un avventuriero e un bandito”, votò contro ogni possibilità di accordo e la Cgil di Luciano Lama non firmò. L’intoccabilità della scala mobile e la mossa del referendum furono l’atto estremo dell’isolamento del cosidetto “ultimo Berlinguer”. Nel Pci, il migliorista Giorgio Napolitano, capogruppo alla Camera, tentò di impedire la deriva referendaria. Non ci riuscì. Il 7 giugno, il suo omologo e amico al Senato, Gerardo Chiaromonte annunciò l’avvio della raccolta delle firme. Quello stesso giorno a Padova, Berlinguer fu stroncato dall’ ictus. In tasca aveva le dimissioni di Napolitano da capogruppo. Un anno dopo i no furono oltre 18 milioni (54,30 per cento). Il sì non andò oltre 47,70. © RIPRODUZIONE RISERVATA


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