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2 » PRIMO PIANO LIBERTÀ DI STAMPA

Grasso: “Garantire il pluralismo dell’informazione”

| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 19 Maggio 2016

UN’INFORMAZIONE libera, autorevole e indipendente è uno dei prerequisiti essenziali in un sistema democratico maturo”. Il presidente del Senato Pietro Grasso, parlando alla sua Lectio brevis nell’Aula Magna della Sapienza a Roma ha sottolineato l’importanza della libertà di stampa. “L'informazione che utilizza una sola fonte – ha continuato Grasso – non è

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informazione ma pubblicità mascherata, quando riguarda beni o servizi, propaganda quando si occupa di politica, proselitismo”. Non è mancato il riferimento anche alle grandi manovre societarie che nelle ultime settimane stanno portando avanti i più importanti gruppi editoriali italiani (la fusione di Stampa e Repubblica al duello tra Bazoli-Cairo e Mediobanca-Della Valle per il

Corriere della Sera) e al dovere delle istituzioni di vigilare per garantire il pluralismo. “Chi opera nei settori della stampa, dell’editoria, dell’informazione e della cultura ha una grande responsabilità – ha ribadito. Due sono i rischi principali: da un lato l'abbassamento degli standard deontologici, dall’altro la dipendenza economica o normativa dal potere”.

POTERI

Non solo Rcs Proprio quando il governo ha più bisogno di appoggio, l’effetto della crisi ha innescato cambiamenti che avvicinano la grande stampa all’esecutivo

» STEFANO FELTRI E CARLO TECCE

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i accorgo che i giornali sono tutti u gu a li ”, diceva Nanni Moretti nel suo Aprile mentre incollava, una dopo l’altra, pagine di testate diverse fino a creare un “unico grande giornale”. Era l’inizio del ventennio berlusconiano, oggi molto è cambiato, ma in questi mesi si assiste a una coincidenza di tempi: mentre si avvicinano gli appuntamenti più rilevanti per la politica (il referendum costituzionale di ottobre, le prossime elezioni politiche), si sblocca il settore dell’editoria che all’improvviso inizia a reagire ai traumi della crisi con un processo di aggregazioni e concentrazioni. Che spinge i grandi gruppi più vicini all’orbita del governo renziano. Ecco la fotografia della rivoluzione in corso. RCS. La cordata di Andrea Bo-

nomi e dei soci storici (Mediobanca, Della Valle, Pirelli, UnipolSai) ha presentato un’offerta migliore di quella dell’editore puro Urbano Cairo, sostenuto da Intesa Sanpaolo. Bonomi ha un fondo di private equity, vuole fare soldi (e l’unico modo è facendo operazioni sulla parte sportiva, Gazzetta dello Sport eMarca), agli altri il Corriere serve per pesare politicamente. E Mediobanca, regista della cordata, vuole rimanere al centro di un sistema finanziario che vive di operazioni legate al settore pubblico e alle grandi imprese controllate dal governo. Per Palazzo Chigi un Corriere della Sera così non sarà certo un problema (mentre quello attuale, che ha approfittato della frammentazione dell’azionariato per ritrovare indipendenza, è parecchio sofferto). La battaglia tra Cairo e gli altri si deciderà entro l’estate. STAMP UBBL ICA . A marzo,

l’annuncio della fusione tra Gruppo Espresso (Repubblica, Espresso, giornali locali, radio) e Itedi (Stampa, Secolo XIX) ha messo le basi di un grande gruppo editoriale controllato dalla Cir dei De Benedetti e da Exor di John Elkann. Un grande gruppo con i conti in ordine, ma i cui soci hanno una lunga lista di interessi fuori dall’editoria che lambiscono la politica: la Cir ha appena venduto parte del suo business sanitario a F2i, fondo partecipato dalla Cassa Depositi e Prestiti, la Fiat che John El-

Tutti uniti Elkann, Della Valle, De Benedetti e Nagel. Sotto, Caltagirone. A destra, una scena del film Aprile LaPresse

Editori e politica, si va verso il giornale unico kann presiede è parte integrante della proiezione internazionale di Matteo Renzi (che spesso si consulta con Carlo De Benedetti). Sorgenia, la società energetica che era controllata dalla Cir, è naufragata sotto il peso di scelte sbagliate e se la sono accollata le banche creditrici, a cominciare da Mps. Al presidente di Sorgenia, Chicco Testa, i renziani di governo avevano promesso il posto di ministro dello Sviluppo, ma ci sono state troppe polemiche. Il presidente del Gruppo Espresso, Carlo De Benedetti, non si è mai espresso pubblicamente sul referendum di ottobre, ma ha affidato il giorna-

I CASI

» ROBERTO ROTUNNO

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rovvedimenti economici, più o meno reali, annunciati a caratteri cubitali. Inchieste a sostegno delle tesi del premier. E qualche “errore” che finisce per dare una mano al governo. La distanza tra informazione - su carta e tv - e politica si sta riducendo e gli effetti si cominciano a vedere sempre più spesso. IL BONUS BEBÈ. Repubblica di

questa domenica titola così: “Bonus bebè, più soldi per le famiglie. Primo figlio, 160 euro”. Il provvedimento viene presentato come già deciso, un aiuto alle famiglie anche per rassicurare i cattolici dopo le unioni civili. Subito, però, il piano annunciato in

15,7 mln

Il gruppo Espresso La partita è iniziata con la fusione Stampa e Repubblica che piace molto al premier

Per lo Stato Il debito che il re delle cliniche s’è fatto spalmare

le a Mario Calabresi, già direttore di una Stampa molto renziana. A Repubblicaha confermato la stessa linea (in questi giorni però qualche spazio lo hanno avuto anche i sostenitori del “no”). CALTAGIRONE. Altro gruppo

sano che ha interessi soprattutto nella politica romana: è

sufficiente ricordare la campagna contro la candidata sindaco Virginia Raggi, M5S, appena ha provato ad avvicinarsi all’Acea, ex municipalizzata di cui il Gruppo Caltagirone è il primo azionista privato. Con il governo ha buoni rapporti, ma ha rifiutato di farsi carico del Corriere della Sera. Però ha deciso di uscire dalla Fieg, la

federazione degli editori. Uno strappo che – temono i giornalisti – darà ancora più potere ai gruppi editoriali riducendo l’autonomia di chi scrive che potrebbe non avere più le tutele del contratto nazionale di categoria. IL FOGLIO. A parte una piccola

quota (pignorata dai giudici)

in mano a Denis Verdini, il Foglioè passato per intero all’imprenditore immobiliare Valter Mainetti dopo che il finanziere Matteo Arpe ha deciso di non voler fare l’azionista di minoranza. Mainetti appoggia in pieno la linea renziana del direttore Claudio Cerasa, che ha appena lanciato una campagna per convincere l’ex editore Silvio Berlusconi (che aveva intestato il quotidiano alla ex moglie Veronica Lario) a sostenere il “Sì” al referendum di ottobre. LIBERO. La famiglia Angelucci

(vedi articolo a fianco) licenzia il direttore Maurizio Belpietro, che si congeda con un e-

Prime pagine Dalle promesse ai risparmiatori agli “errori” sul referendum trivelle

Più renziani del premier, titoli & articoli che fanno comodo a Palazzo Chigi pompa magna si sgonfia: da Palazzo Chigi, fanno sapere che il bonus è solo un’idea. Che è venuta prima a Repubblica che al governo stesso.

cerazioni. Il potere renziano non avrebbe potuto desiderare un temamigliore di quello scelto dal giornale guidato da Maurizio Molinari.

IL CASO DAVIGO. “Ogni anno

I L T I TO LO S U MOROSINI. Nel

in Italia 7 mila persone arrestate e poi giudicate innocenti”. Così il 24 aprile, La Stampa si schiera nel dibattito (aperto dal nuovo presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, attaccato per aver detto al Fatto e al Corriere della sera che “i politici continuano a rubare, ma non si vergognano più”) pubblicando un’inchiesta sugli errori giudiziari e sui risarcimenti da ingiuste car-

clima di scontro tra politica e magistratura si inserisce subito il renzianissmo Fogliodi Claudio Cerasa che attribuisce la frase “Renzi va fermato” al consigliere d e l C s m P i e rgiorgio Morosi-

ni. Il giudice smentisce di aver pronunciato quelle parole, specificando anche che si trattava di un colloquio informale e non di un’intervista. Ma intanto il Pd ha trovato molti argomenti per una campagna anTempismo ti-pm di sapore berlusconiano. L’inchiesta della

“Stampa” sugli errori giudiziari arriva nei giorni delle polemiche sul giustizialismo

I RISPARMIATORI TRADITI. Do-

po mesi di proteste organizzate dagli obbligazionisti vittime del salva banche, a fine marzo il pre-

mier promette rimborsi totali a tutti, senza arbitrati. È una sparata, che non otterrà mai il via libera di Bruxelles, ma i giornali fanno lo stesso da megafono e presentano la cosa come quasi fatta con titoli come “Spunta l’indennizzo per tutti i correntisti possessori di bond” (Repubblica); “Obbligazionisti, rimborsi fino a 300 milioni” (Corriere); “Indennizzi a tutti senza arbitrato” (Sole24ore). Il decreto, un mese dopo, dirà che i rimborsi automatici (non integrali) si otterranno solo a certe condizioni. Chi non vi rientra deve passare per l’arbitrato, tutt’altro che abolito.


PRIMO PIANO

Giovedì 19 Maggio 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |

SCUOLA DEI MARESCIALLI

Verdini, “pressioni sui Matteoli per favorire l’amico”

DENIS VERDINI era a conoscenza del quadro corruttivo in cui si inseriva nella vicenda degli appalti per la ristrutturazione della Scuola dei Marescialli di Firenze. Nelle motivazioni della sentenza di condanna a due anni di reclusione per corruzione che risale allo scorso 17 marzo, i giudici della VII sezione penale di Roma affermano che il leader di Ala sapeva che Fusi, suo amico di vec-

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chia data, voleva rientrare con la sua impresa Btp nell'appalto al posto della società Astaldi che aveva ottenuto i lavori. A questo scopo il senatore esercitò pressioni sull’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli per ottenere provvedimenti che sospendessero i lavori dell'Astaldi grazie anche alla nomina di Fabio De Santis a provveditore interregionale delle opere pubbliche

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della Toscana. Le prove raccolte nel processo dimostrano che Verdini “era al corrente dei rapporti intercorsi tra gli imprenditori Riccardo Fusi e Francesco De Vito Piscicelli da una parte e il presidente del Consiglio nazionale delle opere pubbliche Angelo Balducci e Fabio De Santis". Per lo stesso procedimento sono stati condannati in via definitiva Balducci, De Santis, De Vito Piscicellie Fusi.

Milioni e contributi, perché Angelucci ha scelto Renzi N

RETROSCENA

RCS, INTESA PREPARA L’ULTIMO TENTATIVO

L’editore caccia Belpietro, direttore ostile alle riforme, dopo che Lotti ha sbloccato i fondi e rateizzato il debito

ditoriale sull’importanza di votare “No” al referendum di ottobre. Al suo posto torna Vittorio Feltri, già schierato per il “Sì”.

Oscar Giannino denuncia pressioni renziane di un governo “affamato di informazione”.

IL SOLE 24 ORE. Da mesi i pezzi

resti Erasmo D’Angelis, già collaboratore di Renzi a Palazzo Chigi, o arrivi Riccardo Luna, altro consulente del premier sul digitale, il giornale non cambierà. La sua sostenibilità economica è a rischio (si parla di 250 mila euro di perdite al mese), ma almeno fino al referendum deve resistere in edicola, per diffondere l’interpretazione autentica del pensiero renziano. Poi si vedrà.

di Confindustria più contigui alla politica sono insofferenti ogni volta che il Sole 24 Ore, di cui sono editori, muove qualche critica al governo, con il direttore Roberto Napoletano. Nell’elezione del nuovo presidente Vincenzo Boccia sono state determinanti le imprese a controllo pubblico (renziano), in particolare l’Eni presieduto da Emma Marcegaglia. Da Radio 24, che fa parte del gruppo, il giornalista

L’UNITÀ Che come direttore

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Come vuole il premier Matteo Renzi è presente in tv 84 minuti al giorno, secondo la Geca La Presse

IL REFERENDUM TRIVELLE. Le

consultazioni No-triv sono un altro esempio di assist al governo giunto dall’informazione. I comitati, nel mese che precede il voto, lamentano scarsa attenzione da parte dei media. I dati dell’Agcom lo confermano. Quando le tv se ne occupano, peggiorano le

cose. Sky Tg 24 in un titolo da “fascione”, e il conduttore Gerardo Greco durante una puntata di Agorà (su Rai Tre) riferiscono che il referendum è convocato solo nelle nove regioni promotrici. Inducendo gli spettatori a pensare di non essere chiamati a votare; impressione rafforzata anche dal poco renziano Eugenio Scalfari che proprio il 17 aprile su Repubblica parla - non per errore - di un voto che “non riguarda chi vive lontano dal mare, come in Piemonte e in Lombardia”. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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ntonio Angelucci, deputato assenteista di Forza Italia e patron di Libero, s’è appena iscritto al partito dei riformisti renziani. Quelli che s’adoperano per il sì al referendum costituzionale di ottobre. Ha defenestrato Maurizio Belpietro, che per il commiato ha firmato un manifesto contro la scomparsa del bicameralismo e la deriva autoritaria di Matteo Renzi. Ora il quotidiano Liberoè schierato per il sì. Angelucci non s’è ispirato né a Piero Calamandrei né a Giuseppe Dossetti, ma ha scoperchiato un movente fin troppo palese: il denaro. E per il denaro, all’ex portantino dell’ospedale San Camillo che domina la sanità privata laziale, conviene rinsaldare il legame con Denis Verdini e con Luca Lotti. Abruzzese classe ’44, occhiali dai vetri fumé, collezionista di Ferrari, la carriera di Angelucci mescola cliniche e giornali con la Tosinvest. Per la proprietà incrociata di Libero e del Riformista, come contestato dall’Autorità garante per le comunicazioni, la finanziaria Tosinvest s’è trascinata un contenzioso milionario con lo Stato. Per l’esattezza, con il Dipartimento per l’editoria che delibera i contributi pubblici. L’ufficio di Palazzo Chigi che rientra fra le deleghe del sottosegretario Luca Lotti. Già cinque anni fa, il governo ha sospeso la doppia erogazione, poi la Tosinvest ha ceduto il Riformista per dirimere il conflitto, ma sono rimasti 15,7 milioni di euro che Angelucci non poteva incassare e doveva restituire. DOPO RICORSI, appelli e fragili media-

zioni, lo scorso settembre, assistito dall’Avvocatura dello Stato, Luca Lotti ha concesso una rateizzazione decennale al gruppo di Angelucci: 1,5 milioni di euro con gli interessi ammassati sull’ultimo pagamento, previsto nel 2025. Così l’impresa editoriale di Angelucci, che controlla pure il Tempo di Roma, ha scongiurato il fallimento. Poiché Liberoriceve ancora il sussidio statale ripristinato con l’a v ve n t o dell’esecutivo renziano (3,5 milioni di

Amori mai sopiti Antonio Angelucci e Denis Verdini, amici di vecchia data

euro liquidati a dicembre), la Tosinvest ha attutito, senza conseguenze venefiche, il debito con lo Stato. Non è finita. Perché l’ultima buona notizia è di qualche giorno fa, riguarda i contribuiti relativi agli anni 2011 e 2012, circa 8 milioni di euro che Angelucci rivendica. IL CONSIGLIO di Stato ha risolto la que-

Chi è

Antonio Angelucci è un politico e imprenditore nel campo della sanità privata laziale e in quello editoriale. Proprietario del quotidiano Libero. Paperone tra i parlamentari, è risultato il più ricco dopo la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi. Detiene anche un altro record dovuto al suo assenteismo in aula durante i lavori di Montecitorio

stione con una sentenza, ancora da notificare, che non dispiace né al governo né all’ex portantino: il 2011 non verrà saldato, ma per il 2012 a Libero spettano 4 milioni di euro. Quest’elenco di fatti e cifre spiega perché per l’ex portantino sia prezioso il rapporto con il giovane e scafato Lotti. E poi c’è Verdini, che dall’esordio a Palazzo Madama è un riferimento politico di Angelucci. Per il fondatore di Ala, il movimento che soccorre il governo renziano e coordina le strategie per il sì al referendum, Angelucci è più di un munifico imprenditore: è un generoso amico e, soprattutto, un creditore. Per salvare il patrimonio di famiglia, l’editore di Libero ha prestato 8 milioni di euro a Verdini e poi è subentrato all’ipoteca del Credito Fiorentino, la banca che lo stesso senatore di Ala ha guidato per vent’anni. Verdini è l’ideologo del “partito della nazione”– tutti dentro assieme a Renzi – e adesso plasma “il giornale della nazione”. Angelucci partecipa con il quotidiano Libero, poi, chissà, potrebbe mirare al Giornale dell’ex Cavaliere. Qui lo scambio è costante. Con meticolosa attenzione, Ala già presenta emendamenti sul tema sanità (un recente esempio è la legge di Stabilità). Dunque non è improbabile un incarico per Angelucci ai vertici di Ala, per ratificare il trasbordo dalla periferia di Forza Italia al nuovo grumo della maggioranza. Per azzerare le distanze con Palazzo Chigi, supportare Verdini, allietare Lotti e, siccome capita, riformare la Carta. CAR. TEC. Twitter@Teccecarlo © RIPRODUZIONE RISERVATA

on è finita: anche se il vecchio salotto buono dei soci (Mediobanca, Della Valle, UnipolSai, Pirelli) ha offerto più di Urbano Cairo sostenuto da Intesa Sanpaolo, è troppo presto per s t a b il i r e c h i c o ntrollerà il Corriere della Sera. “Io sconfitto per l’Opa sul Corriere? Ho lasciato i miei incarichi. E poi consiglierei di aspettare un momento. Oggi non so proprio come andrà a finire”, ha detto l’ex presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, a Ezio Mauro, ex direttore di Repubblica. Il titolo, in Borsa, continua a salire (di poco): ieri ha chiuso a 0,71 euro, un rialzo minimo ma l’azione resta comunque sopra il prezzo dell’Opa annunciata dai soci storici e da Bonomi. Rcs ha anche comunicato di aspettarsi entro il 7 giugno il via libera delle banche al rifinanziamento del debito per 352 milioni (al netto dell’effetto della vendita dei libri Rizzoli a Mondadori, ammontano a 411 complessivi). Un accordo con scadenza 2019, rilevante perché uno degli argomenti di Cairo era di avere dalla sua il principale creditore, cioé Intesa. Proprio Intesa ieri era in grande attività. Per tutta la giornata si sono rincorse voci di manovre in corso, di conciliaboli da cui dovrebbe uscire a breve una nuova offerta migliorativa rispetto all’offerta pubblica di scambio (azioni Cairo Editore in cambio di azioni Rcs) di un mese fa. Gira il nome di Matteo Arpe, finanziere molto attivo nell’editoria: ha investito e poi disinvestito sul Foglio, da anni ha Lettera43, da poco Pagina99, RivistaStudio, Und i c i. Una strategia che punta su web e nicchie di qualità, molto lontana dal carrozzone del Corriere. Ma il coinvolgimento di Arpe, avvezzo a scontri frontali (non sempre vinti), è suggestiva perché lo vedrebbe contrapposto ad Alberto Nagel di Mediobanca, con cui c’è una antica rivalità da quando erano colleghi a piazzetta Cuccia. Per ora, però, è soltanto una suggestione. Di contatti tra Intesa e Arpe ancora non c’è traccia.


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