Giulia Ceriani Sebregondi

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Left 41/2009, pp. 84-85 L'onda incessante di Wright di Giulia Ceriani Sebregondi Frank Lloyd Wright fu senza dubbio uno di quelli che avrebbe potuto dire: “confesso che ho vissuto”, come recita il titolo che Pablo Neruda scelse per la sua autobiografia. La sua vita professionale e privata fu talmente piena di eventi, tragedie, oblio, fama, e reinvenzioni continue, che è quasi impossibile cercare di darne un profilo che non risulti quantomeno approssimativo. Qualche dato è sufficiente per rimanere impressionati:nato all’indomani della guerra civile americana e morto in piena guerra fredda,Wright (1867-1959) visse in un arco di tempo in cui il mondo è completamente cambiato e in una carriera lunga 70 anni completò non meno di 300 opere. Quando morì, così scriveva Bruno Zevi - suo indefesso promotore in Italia - nel numero di maggio del 1959 della rivista “Cronache e storia”: “Dalle 12.45 di giovedì 9aprile, il campo è aperto alla filologia. Forse non vale più occuparsi di architettura - non nello stesso modo. […] Finché resisteva nella sua inaudita tensione, l’architettura era riscattata dalla noia, dalle convenzioni, dalle viltà. […] Il tempo in lui non consumava e le sue opere sconfiggevano le leggi del declino e della stanchezza”. Quest’anno, dunque, cade il cinquantenario della sua morte e, oltre all’uscita recente di diversi romanzi basati sulla sua vita (“Mio amato Frank” di Nancy Horan, Einaudi 2007, e “Le donne” diT. C. Boyle, Feltrinelli 2009, alquanto stroncato nelle recensioni del New York Times e del Guardian), il museo Guggenheim di New York ha celebrato l’evento che coincide anche con i 50 anni dalla sua inaugurazione – con una mostra retrospettiva, “Frank Lloyd Wright: From Within Outward”, ora visitabile al museo Guggenheim di Bilbao fino al 22 ottobre. Un’infanzia passata tra l’educazione proto-montessoriana della madre e la fattoria dello zio nel Wisconsin, gli studi interrotti e la formazione da autodidatta lo portarono sul finire dell’Ottocento nell’affermato studio di Sullivan e Adler in una Chicago in pieno boom economico. Dal “Lieber Meister” Sullivan apprese l’idea di un’architettura“organica” (che diventerà poi l’espressione corrente per definire i suoi progetti), in cui tutti gli elementi, in particolare strutturali e decorativi,siano integrati tra loro e nulla risulti “applicato”. Wright amplierà poi questo concetto proponendo un’architettura fortemente legata al luogo, alla natura e alle esigenze umane, un’architettura che si sviluppi armonicamente in tutte le sue parti come un essere vivente, pur senza diventare mai imitativa. Le prime opere che lo resero un affermato professionista dell’èlite di Chicago sono le note Prairies houses,realizzate a cavallo del Novecento nel quartiere residenziale di Oak Park.Caratterizzate da alcuni elementi costanti, come la forte orizzontalità, iltetto basso e aggettante, il camino al centro della composizione come fulcro della casa, anche dal punto di vista simbolico, la pluridirezionalità della composizione, l’uso di materiali e colori naturali, il continuum spaziale interno con ambienti privi di porte e divisori, in parte ispirati alle concezioni spaziali giapponesi, portarono alla rottura dell’idea della casa come scatola chiusa, tema poi al centro anche delle ricerche delle avanguardie europee. Un esempio per tutti è la Robie House del 1908. A questo punto accadde uno degli eventi nodali che cambiò la vita di Wright: nel 1909 lasciò la quiete di una moglie che gli aveva dato sei figli e di una posizione ormai raggiunta, per partire per l’Europa con la donna di cui si era innamorato, una cliente sposata e con due figli. Al ritorno, nel 1911, nulla fu più come prima. Costruì nei luoghi della sua infanzia Taliesin, la casa-studio in cui vivere con Mamah e tutti i figli, fino a quando nel 1914 un cameriere mise fine allo scandalo compiendo una strage inaudita: la donna, i suoi due figli e altre quattro persone furono uccisi a colpi di ascia e la casa distrutta dal fuoco. Ma Wright ricominciò: ricostruì Taliesin, realizzò l’Imperial Hotel di Tokyo, che gli diede fama quasi mitologica quando fu l’unico edificio a rimanere intatto dopo un fortissimo terremoto, e iniziò a realizzare le sue ville californiane, rivoluzionando completamente il


proprio linguaggio. Hollyhock House (1917-21) e Millard House(1923), entrambe per due donne, sono esempi di questa svolta in cui Wright, da sempre alla ricerca di un’architettura autoctona e realmente americana, trasse questa volta ispirazione da motivi precolombiani e dal paesaggio roccioso, mettendo a punto anche un nuovo sistema costruttivo industrializzato basato su blocchi di calcestruzzo stampato nei quali la connessione “organica” tra struttura,decorazione e illuminazione è perfettamente realizzata. Nel 1924, dopo un breve secondo matrimonio, conobbe Olgivanna, ballerina di origine montenegrina vicina alle teorie teosofiche, con cui condivise gli anni a venire. Non essendo lei ancora ufficialmente divorziata, Wright all’inizio di questa relazione fu anche arrestato con l’accusa di aver “rapito” la donna. A questa nuova fase degli anni Trenta appartiene uno dei capolavori più noti, Kaufmann House a Bear Run in Pennsylvania, per tutti la“Casa sulla cascata” (1932-36). Qui terrazze a sbalzo in cemento armato si proiettano verso l’esterno da un nucleo centrale in pietra grezza, in una struttura che si sviluppa naturalmente come un albero. All’interno, la natura entra direttamente dentro la casa con rocce affioranti dal pavimento e una scala sospesa che dal soggiorno porta alla cascata sottostante. Si realizza quiil superamento radicale della “scatola”, dell’idea di chiusura e di facciata:non esistono pareti, griglie geometriche, simmetrie, c’è solo un nucleo di roccia, piattaforme aggettanti e vetrate. Contemporaneamente egli progettò anchel a sede della Johnson Wax a Racine nel Wisconsin: se la casa è il luogo della libertà individuale, l’ufficio si presenta invece come un luogo introverso ecollettivo, materializzazione di quell’ideale di etica del lavoro molto presente nella cultura americana. Un sistema costruttivo costituito da sottili piastri a forma di fungo e tamponamenti realizzati con l’innovativo vetro pyrexper la copertura e mattoni rossi per le pareti esterne danno vita ad un ambiente avveniristico e quasi fantascentifico, mentre la successiva torre dei laboratori, semitrasparente e con i piani a sbalzo, fu da lui poeticamente definitacome l’“albero che fuggì dalla foresta”. In questi anni di Grande Depressione, e in alternativa alle ricerche europee sull’Existenz Minimum,Wright propose anche nuovo modello insediativo per la società americana, basato su quei principi che egli individuò come fondativi della cultura statunitense,la democrazia e l’individualismo, ma anche le potenzialità dei materiali industriali e delle innovazioni tecnologiche (in particolare l’automobile e le telecomunicazioni): Usonia e poi Broadacre City sono utopiche “anti-città”a bassissima densità disperse nel territorio, basate su un’economia agraria e industriale allo stesso tempo. In questo contesto si inseriscono le numerosissime Usonian houses, case economiche, ma non per questo standardizzate, che egli realizzò per la classe media a partire da questo momento, come la Jacobs House a Madison in Wisconsin (1936-37): una casa semplice in legno e mattoni con pianta a L aperta verso il giardino, estremamente accogliente e con un avveniristico riscaldamento a pavimento, in cui vivere in modo libero e informale. Il suo obiettivo di fondo,perseguito per tutta una vita, nell’attività professionale come nel privato, fu quello di creare uno stile di vita completamente nuovo, ridefinendo i rapporti tra individuo, famiglia e collettività. Spesso accusato di essere un eccentrico egoista e arrogante (uno degli aforismi con cui amava definirsi - ma anche alimentare il proprio mito - era: “early in life I had to choose between honest arrogance and hypocritical humility; I chose arrogance”), forse la sua fu piuttosto una ineguagliabile resistenza con cui portare avanti la propria ricerca. Nel ricevere la medaglia d’oro dall’American Institute of Architects nel1949 commentò: “non per i progetti, non per gli edifici, non per le ricerche tecniche, non per altri titoli: sento di meritare questo premio solo perché per mesi ed anni, restai serenamente ad aspettare un lavoro”. Nel secondo dopoguerra Wright è ormai acclamato come un genio, famosissimo ma allo stesso tempo marginalizzato. Reinventando ancora una volta tutto, tra il 1943 e la fine dei suoi giorni, realizzò quell’indiscusso capolavoro che è il museo Solomon Guggenheim, commissionatogli espressamente per ospitare la collezione di arte non figurativa dell’uomo d’affari e di sua moglie. Il cuore del progetto è la famosa rampa continua a spirale che nasce direttamente dalla terra e si contrappone alla griglia


regolare di Manhattan e alla ieraticità e monumentalità dei musei di allora. Allo stesso tempo, questa che lui chiamò “onda incessante” costituisce una vera rivoluzione nell’idea di percorso museale:niente più sequenza di sale, ma uno spazio continuo e dinamico in cui interagire con le opere, poi infinite volte ricercato dagli architetti a venire.


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