Boldrini

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il Fatto Quotidiano

MERCOLEDÌ 20 MAGGIO 2015

ARABIA SAUDITA SERVONO NUOVI BOIA Boia tagliatori di testa cercansi. Qualifiche richieste: buona costituzione fisica e adesione totale alla legge islamica. Il governo fatica a tenere il passo con le decapitazioni pubbliche. Una macchina di morte che solo nei primi 4 mesi e mezzo del 2015 ha collezionato 85 esecuzioni. LaPresse

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IRAQ MOQTADA SADR: SCIITI CONTRO ISIS Gli sciiti sono pronti a difendere Kerbala e le altre loro città sante dai jihadisti, minacciando di “coprire la terra dell’Iraq dei loro vili cadaveri”. Lo ha detto il leader radicale Moqtada Sadr in risposta a un video diffuso dallo Stato islamico il cui il Califfo minaccia di marciare “su Baghdad e Karbala”. LaPresse

Presidente della Camera

Laura Boldrini

“Facciamo la pace in Libia, la guerra non serve a niente” di Giampiero Gramaglia

L’

Italia dovrebbe proporre una conferenza di mediazione internazionale sulla Libia e dovrebbe prendere la guida dello sforzo di soluzione della crisi libica a livello politico e diplomatico, organizzare una conferenza di pace che abbia come obiettivo la formazione in Libia d’un governo d’unità nazionale”, piuttosto che guidare un’operazione militare dai contorni tuttora troppo incerti per poterne al momento valutare la fattibilità, l’efficacia, l’impatto. Lo dice al Fatto Quotidiano, Laura

TRAVOLTO DAL SUCCESSO

di

S. Ci.

Com’è triste Charlie, anche Luz se ne va

I

vignettisti hanno il dono della sintesi. Anche con le parole: “Non sarò più Charlie Hebdo, ma sarò per sempre Charlie”, ha detto Rénard Luzier, in arte Luz, nel commiato al settimanale satirico devastato dall'attentato del 7 gennaio. Dopo la strage i sopravvissuti furono capaci d’uscire una settimana dopo con il Maometto piangente col cartello Je suis Charlie e la scritta “È tutto perdonato” (autore Luz). Il successo pagato col sangue del numero speciale (8 milioni di copie, esaurite) porta nelle casse quasi vuote oltre 30 milioni, abbonamenti (200 mila), finanziamenti (4,3 milioni). Ma l'araba fenice risorta dal carnaio e dalla marcia repubblicana di milioni di persone, viene schiacciata dal peso psicologico di sopravvivere a se stessa: e allora le diatribe su cosa fare dei soldi, i diverbi tra redattori, il calo degli abbonamenti: 170 mila. Disse Rilke: “Il futuro entra in noi (...) molto prima che accada”, e il futuro è la morte.

Boldrini, oggi presidente della Camera, dopo una vita in prima linea per affrontare i drammi dei rifugiati: da Lampedusa alla Giordania, dall’Albania all’Afghanistan, la Boldrini conosce bene il problema e le sue sfaccettature: dal 1998 al 2012, è stata portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). IL GIORNO DOPO la prima di-

scussione a Bruxelles fra ministri europei sull’Agenda dell’Immigrazione messa a punto la settimana scorsa dalla Commissione Juncker, la Boldrini promuove il piano, che, nel suo insieme, “è stato im-

MESSICO Ucciso a 6 anni “giocando” ai narcos el Messico devastato da corruzione e straN potere dei narcos, anche i ragazzini imparano presto il codice della violenza. Così, il “rapimento”

diventa un gioco che comprende la sevizia della vittima, sino alla sua morte. La vita spezzata è quella di un bambino di 6 anni. I suoi carnefici sono due tredicenni, due maschi di 15 e un terzo di 12 che hanno legato, colpito e sotterrato il bambino per simulare un sequestro di persona, reato fra i più comuni in Messico. La tragedia è avvenuta in un quartiere della periferia di Chihuaha: il corpo di Christopher Marquez è stato trovato vicino a un ruscello, coperto con i resti di un animale morto. I cinque minorenni hanno confessato l’omicidio, raccontando di aver invitato Christopher a “giocare e raccogliere della legna”. La vittima è stata trovata seppellita con la faccia rivolta verso il basso in una fossa. Una delle ragazze ha anche accoltellato il bambino. “Qui non siamo davanti a un caso poliziesco, ma a una decomposizione sociale, di perdita dei valori”, ha commentato il procuratore responsabile delle indagini, Sergio Ortiz.

Canta in tv: le sparano in testa TURCHIA, LA VITTIMA AVEVA PARTECIPATO A UN TALENT SHOW NONOSTANTE LE MINACCE di Roberta Zunini

L

a violenza nei confronti delle donne non è più un’emergenza in Turchia. Ma una tragica realtà da anni, con feriti e soprattutto vittime quasi quotidiane. L'ultima, in ordine di tempo, è la giovane bellissima aspirante cantante Mutlu Kara, che sta lottando per la sua vita in un ospedale di Dyarbakir, la capitale del Kurdistan turco. La sua colpa è stata quella di aver partecipato alle selezioni per un talent show televisivo. Nonostante le minacce ricevute nelle scorse settimane, la ragazza aveva deciso di partecipare comunque alla gara ma l'altra notte, mentre dormiva, una pallottola ha sfondato la finestra della camera da letto e le si è conficcata in testa. La polizia,

poche ore dopo, ha arrestato il fidanzato e altre tre persone. È facile ora dare la colpa alle regole non scritte della società curda che ancora mettono la donna in una posizione di inferiorità, nonostante il braccio armato del Pkk – il movimento fondato da Ocalan per l’autonomia della regione – arruoli da sempre le donne, dando loro anche posizioni di comando. Il problema è che la società turca, specialmente fuori dalle grandi città, è rimasta legata a vecchi schemi imposti dalla tradizione, più che dalla religione islamica, e il machismo turco continua ad agire indisturbato. Ma la colpa più grave di questa ondata di violenza è da individuare nella retorica sessista mista a fatwe religiose diffuse, attraverso i tanti media compiacenti, dal presidente Erdo-

gan e dai suoi fedeli del partito da lui fondato, l'Akp ( che guida il governo). I toni del potere si sono fatti più minacciosi a partire dalla rivolta popolare di Gezi park, due anni fa. Da quel momento a cadenza regolare, i deputati dell'Akp hanno chiesto alle donne “di non ridere in pubblico”, di “non camminare per strada se in stato di gravidanza”, fino alla dichiarazione del “sultano” Erdogan che ha sottolineato pubblicamente che “la donna non è uguale all'uomo e il suo compito non è lavorare ma crescere i figli”. Solo nel 2014 sono state uccise 294 donne, il 47% per aver cercato l'emancipazione da mariti, fidanzati e padri. Secondo la piattaforma “stop al femminicidio” dall'inizio del 2015 sono cadute 91 donne. Cifre da guerra civile.

postato bene: spero che rappresenti l’inizio di una europeizzazione dell’asilo, che darebbe anche un segnale di ripresa del processo d’integrazione europea”. Ma su aspetti dell’Agenda come le quote di ripartizione dei rifugiati, l’accordo fra i 28 non c’è – anzi, molti si defilano – mentre, per valutare la missione navale che mira a ridurre le vittime in mare rendendo inutilizzabili i barconi, “bisogna prima conoscerne bene i termini operativi e i limiti fissati dalle Nazioni Unite e bisogna essere consapevoli che serve la collaborazione giudiziaria e di polizia delle autorità locali e del lavoro di intelligence che va fatto prima di ogni cosa”. E, in Libia, “ci troviamo di fronte un Paese che non ha un’autorità unica. Qualsiasi intervento d’appoggio e di sostegno ha come presupposto che si arrivi a un governo di unità nazionale”. Altrimenti, il rischio è quello di azioni ostili, come il bombardamento la scorsa settimana di una nave turca. “Qui, ognuno gioca una partita e l’importante è non lasciarsi intrappolare... I proclami che arrivano da laggiù, dicendo che i terroristi del Califfato viaggiano sui barconi servono a spingerci verso una decisione muscolare... Noi dovremmo essere abbastanza maturi per capirlo”. BOLDRINI

è chiaramente preoccupata dei potenziali “danni collaterali” d’un’azione di forza, cioè delle vittime fra migranti e profughi. Lei, che conosce percorsi, sofferenze, incognite dei ‘viaggi della disperazione’, si chiede: “Quando parte, il mezzo navale è pieno di gente. Come si può intervenire? Non so come s’intenda fare, non mi pare che sia stato ancora prospettato un modus operandi... Io la vedo molto difficile... In Albania, dove c’era un governo, era molto diverso…”. La presidente della Camera insiste sulla “soluzione politica”: c’è un inviato del segretario generale dell’Onu, Bernardino Leon, che “è lì per trovarla”. “Noi abbiamo il dovere di sostenere questo sforzo e anche d’allargare il discorso ad ambiti di collaborazione ulteriori... Una scelta diversa apre prospettive molto incerte... Un intervento nelle acque territoriali libiche sarebbe un atto di ostilità... E Tripoli non ha nes-

FALSI ALLARMI Arrivano proclami sui terroristi del Califfato che viaggiano sui barconi; ma servono a spingerci verso una decisione muscolare: dovremmo essere maturi per capirlo” suna intenzione di collaborare”. Perché c’è uno iato tra consapevolezza dei problemi e decisioni sulle soluzioni? “Il capo dello Stato, il presidente Mattarella, ha ieri detto che la soluzione in Libia è politica. Solo così si può arrivare alle radici del problema, in Siria, in Somalia, in Eritrea... Se non risolviamo le crisi subsahariane, è una pia illusione pensare che non ci saranno più migrazioni”. Bisogna “aprire una prospettiva” per i rifugiati, per i migranti: “L’85% dei rifugiati vive nel sud del Mondo; in Europa e in tutti i Paesi sviluppati ci sono solo il 14% dei rifugiati riconosciuti. Ci sono Paesi come la Giordania e il Libano che, con pochi milioni di abitanti, ospitano un milione e più di profughi siriani, mentre noi l’anno scorso abbiamo avuto 170 mila arrivi (e solo 70 mila sono rimasti). Quanto ai migranti, i 20 milioni e mezzo che vivono nell’Unione europea sono meno del 10% dei 232 milioni di migranti globali... Non possiamo non prendere atto di questa realtà: se guardiamo solo al nostro cortile, perdiamo di vista il fenomeno e le dimensioni”.


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