Volersi bene malgrado tutto. Don Giorgio Tarocchi parroco di Settignano (1970-2017)

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STEFANO ZECCHI

VOLERSI BENE MALGRADO TUTTO Don Giorgio Tarocchi

parroco di Settignano (1970-2017)

Società

Editrice Fiorentina



Stefano Zecchi

Volersi bene malgrado tutto Don Giorgio Tarocchi parroco di Settignano (1970-2017)

Società

Editrice Fiorentina


Con il contributo del Consiglio di Quartiere 2

© 2021 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice instagram account @sef_editrice isbn 978-88-6032-597-6 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Referenze fotografiche Archivio della Parrocchia di Settignano (per gentile concessione)


Indice

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Introduzione

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Gli anni Settanta

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Gli anni Ottanta

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Gli anni Novanta

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Gli anni Duemila

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Il testamento spirituale



Ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Matteo 13,52)


Questo testo vede la luce anche grazie all’amicizia, al sostegno e alla competenza di molti. In modo particolare Sergio Ferli, don Giuliano Landini, Donato Pineider e Gabriele Tarocchi; senza di loro questo testo non sarebbe mai stato scritto.


INTRODUZIONE

Questo libro non è un libro su don Giorgio, ma un libro di don Giorgio, un libro che senz’altro lui non avrebbe voluto. Allora perché? Ho trovato tanti scritti, tante omelie, tante riflessioni, tanti pensieri, tanti ricordi, tante testimonianze… Rileggendo questo materiale ho ritrovato don Giorgio, così come per me è stato e l’ho ritrovato con le sue riflessioni, con la sua fede in Cristo e nella Chiesa, con le sue relazioni, con la sua sottile ironia e soprattutto con la sua amicizia. Così ho ritrovato don Giorgio, e così semplicemente ho ritenuto quasi un dovere pubblicare una parte dei suoi scritti, limitando a quelli che per me erano più significativi, perché ognuno possa ritrovare il suo don Giorgio, quello vero, quello della sua storia, della sua memoria personale, quello della sua amicizia. Concludendo una prefazione a una biografia su papa Giovanni XXIII, padre Balducci scriveva: «Quando Dio manda uomini come papa Giovanni non è certo perché si scrivano libri su di lui, ma perché ci sia impossibile continuare a vivere e a pensare come se egli non fosse mai venuto fra noi!». Penso che queste parole possano essere riferite anche a don Giorgio. (S. Z.) Settignano (Firenze), 22 febbraio 2021 Cattedra di San Pietro


Don Giorgio durante il periodo del seminario


Gli anni Settanta

Settignano “colle armonioso” come lo definiva giustamente Gabriele D’Annunzio, un paese incastonato nella collina fiorentina fra ulivi, piante sempreverdi, viti, a 175 metri sopra il livello del mare. Un paese ricco di storia e di arte, circondato da case coloniche, attualmente trasformate in ville, a pochi chilometri dal centro storico di Firenze. Scrive nel 1923 Ugo Ojetti: «Lassù a destra, tra due cipressi, si gonfia la collina di Settignano, con la piramide dei suoi lumi che l’assomiglia a un altare coi ceri accesi». Gennaio 1970, in una giornata fredda e piovosa la notizia della morte del parroco fa in poco tempo il giro di tutto il paese. Don Baldassarre Brilli muore all’ospedale di Careggi dove era stato ricoverato da qualche giorno. Parroco di Settignano per oltre quarant’anni ha vissuto un periodo non facile nella storia d’Italia, una storia che naturalmente si ripercuoteva nel paese. Il fascismo, la morte del vescovo Mistrangelo nel 1930 e la nomina a vescovo di Elia Dalla Costa, l’arrivo a Firenze di Hitler e Mussolini il 9 maggio 1938 con il cardinale Elia Dalla Costa che si rifiuta di riceverli e chiude le finestre del palazzo arcivescovile, le leggi razziali del 1938, l’elezione al soglio di Pietro di papa Pio XII nel 1939, la guerra, i bombardamenti che colpirono gran parte del paese, la lotta partigiana, il ritiro dei nazifascisti, la ricostruzione, la vittoria della Democrazia Cristiana nelle elezioni del 18 aprile 1948, la guerra fredda, la presa di posizione ufficiale della Chiesa il 1° luglio 1949 nei confronti del comunismo che sancisce la scomunica per tutti i


volersi bene malgrado tutto

Santino della prima comunione di don Giorgio, 24 maggio 1942

fedeli “che professano questa dottrina”, l’elezione di papa Giovanni XIII nel 1958, il Concilio Vaticano II, la morte nel 1961 del cardinale Dalla Costa e la nomina del vescovo Ermenegildo Florit, l’elezione nel 1963 di papa Paolo VI, il 4 novembre 1966 l’alluvione di Firenze, la morte di don Lorenzo Milani il 26 giugno 1967. Avvenimenti storici che lasciano un segno nella vita socio-politica-religiosa di Settignano. Dopo la morte di don Brilli, viene inviato per alcuni mesi don Mario Landi, attualmente direttore del Convitto Ecclesiastico, che precede la nomina ufficiale a parroco di Santa Maria Assunta in cielo a Settignano di don Giorgio Tarocchi. Nato a Lastra a Signa il 25 giugno del 1934, lì celebra la prima comunione il 24 maggio 1942 nella chiesa di San Martino a Gangalandi. Viene ordinato sacerdote dal cardinale Elia Dalla Costa il 29 giugno 1958. A settembre è vicerettore del Seminario minore e dal 1965 al 1968 è viceparroco di Santa Felicita. 12


gli anni settanta

Per la prima volta don Giorgio viene accompagnato a Settignano da don Gualtiero Bassetti, attualmente presidente della CEI e vescovo di Perugia, e il 19 maggio 1970 concelebra con don Mario Landi la messa della prima comunione ai bambini nati nel 1961. Don Giorgio viene accolto con entusiasmo, gioia e tanta fiducia in un parroco giovane, una fiducia che in tutti questi anni non è mai venuta meno. Il suo arrivo è stato come una rondine che annuncia la primavera. Subito colpisce il suo stile di vita sobrio, la sua preparazione, in suo alto senso della vita, il suo modo distaccato, ma sempre attento, puntuale, delicato. Traspare la sua fede profonda, il suo amore per Cristo e per la Chiesa. La sua fiducia in Dio e nelle relazioni. Lo si trova preparato in tutti i campi della vita umana: materiali e interiori. Don Giorgio così abiterà a Settignano insieme con la mamma Zelinda, ma per tutti Marianna, dalla sua saggezza contadina. Don Giorgio trova a Settignano un paese diviso; un muro lo attraversa, un muro d’incomprensioni, di divisioni politiche e culturali, frutto della cultura degli anni precedenti; pesa ancora la scomunica da parte dell’ex Sant’ Uffizio nei confronti del comunismo e per tutti i fedeli che “professano questa dottrina”. Non è facile leggere con gli occhi di oggi quello che era l’Italia di quel periodo e degli anni precedenti, l’Italia di chi andava in chiesa e di chi non andava1. Da una parte c’è la Casa del Popolo, con le sezioni del PCI e del PSI, dall’altra la Parrocchia, con la Misericordia e il circolo ACLI, con annessa la “Rotonda” (gli ultimi due, problemi non secondari). Inizia a soffiare il vento del Concilio Vaticano II, iniziato nel 1962 e concluso da pochi anni, e don Giorgio, figlio del Concilio, letteralmente si rimbocca le maniche, e con prudenza e fermezza lo mette in pratica. Passare da una Chiesa con struttura piramidale a una Chiesa circolare non è facile. Bisogna cambiare mentalità. Ci sono momenti che lo fanno soffrire, spesso il suo agire non è compreso, ma don Giorgio con tenacia prosegue sulla strada del rinnovamento di quella Chiesa, di quella comunità che gli è sta1 Per capire la situazione socio-religiosa dell’arrivo di don Giorgio a Settignano mi preme suggerire tre testi che approfondiscono quel periodo storico, in particolare per Firenze: L. Milani, Esperienze Pastorali, Firenze, Lef, 1958; A. Nesti, La scomunica, Bologna, Edb, 2018; M. Lancisi, I folli di Dio, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2020.

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ta affidata. «Bisogna guardare innanzi… andare innanzi» ripeteva spesso, una frase che raccoglie il suo stile di vita, il suo modo di vedere la realtà che aveva davanti, “guardare innanzi”, avere sempre fiducia in un domani sempre migliore dell’oggi, un domani «nelle mani di Dio» amava ripetere. Con impegno, intelligenza e tenacia, osserva, analizza, ascolta. Studia il tessuto socio-religioso del paese. Vuole costruire ponti, abbattere i muri, creare comunione e unità fra le persone, senza distinzione fra ricchi e poveri, credenti o non credenti, persone di cultura e non. A Settignano trova una ricchezza di comunità religiose. “Casa Placci”, un villino in via di Feliceto, la cui attività risale alla fine del 1891, dove un gruppo di suore laiche inizia ad assistere anziane signore ammalate; attualmente è una Rsa che opera nel campo dell’assistenza, in particolare offre accoglienza a donne in prevalenza anziane autosufficienti e non. “Casa San Sergio”, via del Crocifissalto, la casa madre della Comunità dei figli di Dio, fondata da don Divo Barsotti, presente a Settignano dal 1956 è diventato il cuore della Comunità dedicata a san Sergio di Radonez, padre del monachesimo russo e patrono della stessa Russia. La Comunità ha tre case, due per le sorelle e una per i fratelli che si preparano al sacerdozio. Don Barsotti non ha mai lasciato questa casa facendone il cuore della Comunità. Muore il 15 febbraio 2006, e nella sua Casa è sepolto. È in corso il processo di beatificazione. Dopo la morte di don Giorgio, la Comunità dei figli di Dio si prese cura della parrocchia in attesa della nomina da parte del vescovo al nuovo parroco. Padre Serafino Tognetti, della Comunità dei figli di Dio, ci lascia un ricordo sul rapporto fra don Giorgio e don Divo. Don Barsotti? Non era un buon parrocchiano. Don Divo Barsotti (1914-2006) visse per cinquant’anni esatti a Settignano. Quando arrivò, nel 1956, era parroco don Baldassarre Brilli, ma poco dopo il suo arrivo nel paese fu nominato parroco don Giorgio Tarocchi. Si può quindi dire che per tutto il periodo di don Divo a Settignano egli ebbe come parroco don Giorgio. Il rapporto tra i due fu di reciproco rispetto e stima. Don Giorgio sapeva di avere nel suo territorio una persona di grande valore: un mistico, un uomo di Dio, e ne era contento. Non era raro che le persone da fuori si

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gli anni settanta

Don Giorgio con don Divo e il cardinale Piovanelli fermassero in parrocchia chiedendo dove abitasse don Divo… A partire dagli anni ’80, poi, il fermento di Casa San Sergio accrebbe notevolmente con l’arrivo dei giovani monaci che cominciarono a vivere un’esperienza monastica con i suoi ritmi propri. In più, contemporaneamente, iniziarono a vivere a Settignano anche le suore, la cui abitazione era più a ridosso del paese, all’inizio di via del Rossellino. Don Giorgio vedeva questo crescere ma – e questa è la sua caratteristica che va qui sottolineata – non intervenne mai per vedere, per essere informato dei dettagli di questo crescere; sapeva chi era don Barsotti e non avanzò mai pretese: ebbe sempre un affettuoso senso di grande rispetto. I due avevano un carisma diverso, e il parroco sapeva bene che la vita del monastero di Casa San Sergio aveva una vita a sé. Semplicemente lasciava fare. Di tanto in tanto il padre della Comunità lo chiamava a Casa San Sergio, ed era una gioia per tutti avere il parroco, anche se per poco tempo, a tavola: egli si informava della vita dei giovani, chiedeva notizie di tutti, poi tornava nella sua parrocchia ai suoi uffici. Allo stesso tempo la parrocchia era un punto di riferimento per i giovani monaci quando don Divo si assentava e, crescendo di numero e avendo via via anche nuovi sacerdoti, pian piano questi si resero disponibili per qualche Messa o incontro particolare che potesse avvenire in parrocchia. Crebbe così il rapporto tra le due realtà, e quando il parroco morì improvvisamente (nel frattempo anche don Divo era già morto), fu naturale chiedere ai sacerdoti di Casa San Sergio di coprire il servizio delle Messe a Settignano in attesa della nomina di un nuovo parroco.

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volersi bene malgrado tutto Questo reciproco rispetto e stima dei propri ruoli non è così scontato, e solo oggi, quando i due protagonisti della vita religiosa settignanese di quel tempo non sono più qui tra noi, nella loro visibilità, ci rendiamo conto di quanto fu importante per noi questo senso di rispetto, per la crescita della nostra Comunità e anche, vogliamo sperarlo, per la crescita di quella benevolenza verso di noi che il popolo di Settignano ha sempre avuto. Per evidenziare questo silenzioso rapporto di comunione, a mo’ di battuta una volta don Giorgio rispose a una domanda che gli avevano fatto, su che cosa provasse ad avere in parrocchia una persona della levatura di don Divo, egli rispose: «Don Barsotti? Non è un buon parrocchiano: non lo vedo mai in chiesa!». Ed era vero: don Divo in parrocchia non andava mai, se quando chiamato per qualche rara occasione, ma possiamo dire che la presenza, la preghiera, il carisma di don Divo “avvolgeva” tutta Settignano, e quindi anche la parrocchia, con la vita di preghiera che egli viveva. Immerso nel silenzio dell’impraticabile via Crocifissalto, don Divo si alzava prestissimo, nel cuore della notte, e iniziava la sua lunga giornata di preghiera. Sappiamo che la preghiera ha i suoi canali di comunicazione, e la benedizione che quest’uomo ha apportato alla parrocchia di Settignano, la conosceremo solo in Cielo. Sì, don Divo “non era mai in chiesa”, perché vi era sempre. Questo don Giorgio lo sapeva bene, e con il suo sorriso sornione amava sottolinearlo, contento di avere nel suo territorio parrocchiale un uomo che aveva fatto della preghiera lo stile della propria esistenza.

Le suore di Santa Marta, ordine religioso fondato nel 1878, sono presenti in via G. D’Annunzio dal 1908. Ispirate al modello evangelico di “Betania”, spirito di fede e accoglienza nella carità; accoglienza di fanciulli orfani o in difficoltà; inoltre un Istituto di scuole medie e superiori di diversi indirizzi, basato su un progetto pedagogico centrato sulla persona, secondo i valori dell’umanesimo cristiano. Purtroppo dall’agosto del 2008, le ultime sette sorelle hanno lasciato definitivamente la casa di Settignano: troppi i costi da sostenere. Ad occuparsi della scuola, pensa già dal 2001 una cooperativa di insegnanti. Suor Damiana Spignoli, per molti anni presente a Settignano e preside dell’Istituto, attiva nella vita della comunità parrocchiale, ci dona questa testimonianza: La richiesta di mettere per scritto quello che Don Giorgio ha significato nel mio cammino di donna, di cristiana e di consacrata mi ha sollecitata a ripercorrere con il cuore, prima che con la mente, un lungo tratto della mia vita. In lui niente era “obbligatorio” nel comportamento e nelle relazioni, la sua persona ispirava fiducia, e lui desiderava conoscerci per aiutarci a maturare come persone e a sviluppare le nostre doti per diventare persone “significative”.

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gli anni settanta Trovava sempre tempo da dedicarci e si accorgeva subito quando avevamo bisogno di essere ascoltati. Durante il lungo cammino che il Signore mi ha fatto la grazia di condividere con lui, sia quando abitavo al convento delle Suore di Santa Marta di Settignano che quando sono stata trasferita il sapere che lui c’era sempre per ascoltarmi, consigliarmi, illuminare i momenti difficili, mi dava sicurezza. Aveva una speciale capacità di accogliere e di ascoltare e sapeva aiutarci ad interpretare situazioni e avvenimenti con la saggezza che gli veniva dalla Parola di Dio che animava il suo agire e i suoi rapporti con noi. Nei miei spostamenti, specialmente durante le visite ai miei famigliari, ho sempre cercato di poterlo incontrare. Anche i miei gli erano molto affezionati. Sentivamo che ci voleva bene e noi, dico noi perché mi riferisco al gruppo di giovani che bazzicavano la parrocchia, lo stimavamo tanto. Abbiamo cominciato a chiamarlo DonGi e così è rimasto per noi ancora oggi! Quando nel settembre del 2008 l’obbedienza mi ha voluto in Libano, don Giorgio ha organizzato un incontro per salutarmi durante il quale i famigliari dei ragazzi della Cresima hanno preso l’impegno di sostenere una associazione caritativa che opera in Libano. Con un gruppetto di parrocchiani ha poi organizzato un viaggio nella Terra dei cedri per rendersi conto dei bisogni e proporre un progetto di aiuto al gruppo parrocchiale della carità. In occasione del mio trasferimento da Viareggio a Cantù nell’estate 2016, tempo in cui preparava il nuovo libro delle preghiere delle famiglie, siccome ero uno dei suoi correttori di bozze, mi scriveva: «Cara Suor Damiana, per mantenerla in esercizio le mando un capitolo del libretto di preghiere delle famiglie… In questi giorni la penso particolarmente perché lasciare un ambiente e iniziare a costruire in un altro ha il suo prezzo… una preghiera reciproca…». «Ecco un ultimo lavoro… spero non le tolga tempo per le valigie. Un abbraccio…». Aveva la dote di scoprire le nostre capacità, di farcele conoscere, di spronarci a metterle a frutto facendo bene il bene! Incontrandolo ricevevo sempre uno slancio interiore che mi arricchiva e mi dava gioia e di cui sento la mancanza. Questo il suo ultimo scritto, pochi giorni prima della morte: «Cara Suor Damiana, mi accorgo di non aver dato cenno di vita da tempo. Lo faccio rapidamente allegando l’omelia di oggi. Sto bene ma sono un po’ stanco. Sono appena ritornato dalla Befana agli ospiti dell’ODA. Le allego anche, forse lo avrà già visto su In Cammino, il ricordo del vescovo di Bolzano del quale ho partecipato ai funerali. Un abbraccio Don Giorgio 6.1.2017».

L’Istituto delle Suore Stimmatine, ordine religioso dal 1856, si stabilisce in piazza Desiderio nel 1887 svolgendo la loro opera nell’educare i figli di famiglie più disagiate, in seguito un asilo frequentato da molti bambini prima di andare in prima elementare. Dopo la chiusura dell’asilo la testimonianza di carità è stata rivolta a signore anziane. Dal settembre 2004 viene aperta una accoglienza diurna per anziani, 17


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uomini e donne, dando così la possibilità, a chi ne ha bisogno, di essere accolto da mattina a sera nella bella struttura che hanno realizzato. Attualmente è diventato una casa di accoglienza Rsa per anziani. “Casa Speranza” offriva e offre, sotto la responsabilità della Madonnina del Grappa, servizio a donne bisognose di essere sostenute durante la maternità, aiutate anche a riprendere il loro cammino di vita. Il Monastero dei padri Olivetani, una comunità monastica sulle orme di san Benedetto, ebbe vita a Settignano nel 1892, composta da alcuni monaci che si sono susseguiti negli anni: dom Carlo (superiore della Comunità), dom Tarcisio, dom Vincenzo, dom Rocco, dom Patrizio… attualmente il monastero è stato trasformato in una casa per ferie, villa Morghen. La Congregazione del Trentesimo che fu fondata nel 1732 da trenta capifamiglia settignanesi, per curare l’Oratorio del Vannella e tenere viva la devozione verso la Vergine. La Confraternita della Misericordia nasce a Settignano nel 1856, scopo è la testimonianza del Vangelo attraverso le opere di carità. Una realtà viva che ha visto coinvolte tante persone per i suoi innumerevoli servizi. Il parroco è anche il correttore della Confraternita. Nel dicembre 2020, vista la drammatica crisi che attraversa la Confraternita, il Magistrato decide con rammarico di chiedere alla Confederazione delle Misericordie d’Italia la nomina di un Provveditore esterno ad interim. Il 16 febbraio 2021 si insedia ufficialmente il commissario nominato dalla Confederazione delle Misericordie, Stefano Panchetti. Con questa nomina termina, dopo ben 165 anni, l’esperienza e la testimonianza della Misericordia di Settignano. Interessante la riflessione di Alessandro Casetti, già presidente del gruppo di donatori di sangue “Fratres” e per molti anni Provveditore della Misericordia, che sottolinea il rapporto fra lui e don Giorgio: Quando arrivò don Giorgio a Settignano nel 1970, anch’io ero rientrato da poco, dopo un periodo di assenza dal mio paese natio; nacque subito un rapporto di simpatia e amicizia fra noi, cosa facile con una persona come lui. Nonostante non fossi molto propenso a prendere incarichi nelle associazioni, dopo un po’ di tempo mi convinse ad occuparmi della riorganizzazione del gruppo donatori di sangue “Fratres” della Misericordia di Settignano come responsabile del gruppo stesso. Collaborando con don Giorgio apprezzai subito la sua indole buona, com-

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gli anni settanta prensivo e disponibile verso tutti. Portò una ventata di modernità nei rapporti con le varie entità anche politiche del paese, abituato in precedenza a un clima quasi da don Camillo e Peppone, e fu subito apprezzato da tutti; Cesare Scheggi “Cesarino”, decano della Misericordia e allora presidente del Magistrato, lo chiamava affettuosamente “il prete rosso”. Nel maggio del 1979, insieme a Italo Giustini, diede vita al Notiziario, che ancora oggi viene inviato a tutti gli iscritti. Questa iniziativa ha favorito la comunicazione fra tutti i membri, anche se fisicamente lontani. Don Giorgio mi convinse a iscrivermi nella lista per l’elezione a Provveditore e fui eletto. Questa nuova responsabilità mi portò a una collaborazione più stretta con lui che non mi ha fatto mai mancare il suo appoggio incoraggiandomi, specialmente all’inizio del mio mandato che prevedeva di organizzare dal niente il servizio di emergenza medica. La sua bontà lo faceva essere molto comprensivo, non colpevolizzava mai nessuno, cercando di giustificare. Come correttore della Misericordia e responsabile spirituale, faceva parte della Commissione Disciplinare dell’Associazione. Nonostante i casi in cui la Commissione doveva intervenire fossero rari, don Giorgio non sempre vi partecipava e quando lo faceva cercava di appianare sempre le questioni evitando di dare “punizioni” troppo dure. Era molto attento alle necessità delle persone, aiutava tutti senza guardare al loro credo sia religioso che politico. Quando veniva a conoscenza di qualcuno che era nel bisogno, se avesse potuto sarebbe intervenuto direttamente altrimenti mi chiamava, mi metteva al corrente della situazione e insieme decidevamo come intervenire senza comunque farmi conoscere il destinatario del “fraterno aiuto”. Solamente con la vicinanza e l’amicizia di un uomo, di un parroco come lui ho potuto portare avanti l’incarico di provveditore della Misericordia per quasi… tredici anni! Ho perso un punto di riferimento importante ma soprattutto ho perso un grande amico e sento molto la sua mancanza. Quando ho bisogno di un consiglio o di una parola di conforto penso subito: “magari ci fosse ancora don Giorgio!”.

Don Giorgio, a fianco di queste Istituzioni religioso-caritatevoli, trova anche il Circolo ACLI, dove dovrà affrontare una situazione non facile, che l’ha fatto tanto soffrire e che assorbirà molte delle sue energie. Pertinente la testimonianza dell’amico Carlo Lapucci: Ricordare don Giorgio Tarocchi è aprire una crepa nel muro del passato perduto da cui esce luce. Non per tutti quelli che ci lasciano è così. Dal suo ricordo scaturiscono ancora amicizia, conforto, affetto sincero, insieme a una sottile ironia che è amica dell’intelligenza e che lui traduceva in un sorriso indimenticabile.

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volersi bene malgrado tutto Nonostante la differenza d’età siamo stati molto amici fin da quando era cappellano a Santa Felicita a Firenze, dove andavo a trovarlo, incontrandolo sempre attivo e indaffarato soprattutto con i ragazzi. Condividevamo i nostri problemi e quelli delle “stagioni” che stavamo vivendo e lui mostrava una rara saggezza, intelligenza pratica, conoscenza dell’animo umano. Fu scelto come superiore al Seminario e là mi chiamava per conferenze e cineforum. Là potei verificare la sua capacità di governare, capire e intervenire con tatto, intuito e decisione. La cosa era evidente al punto che si parlava di lui come un probabile responsabile nel governo della diocesi. La navigazione in certi ambienti, allora in particolare, richiede uomini capaci, onesti, sicuri e incuranti della propria carriera. A mio avviso lui era così e forse sarebbe stato una benedizione per la Chiesa Fiorentina. Nello svolgimento delle sue funzioni, affiorò con evidenza anche la sua diffidenza verso il potere e gli apparati istituzionali. Condividevo questa sfiducia che abbiamo conservato ambedue tutta la vita. Pietro, ci dicevamo, quando entrò nel Palazzo, rinnegò Cristo tre volte! Non so come si svolsero i fatti, ma dopo un periodo di lontananza, lo ritrovai parroco di Settignano, molto felice della sua nuova missione. Continuai a frequentarlo, in mezzo a una numerosa famiglia che lo frequentava assiduamente senza intervenire e senza convivere. La mamma invece è vissuta sempre con lui, donna all’antica, buona e saggia dalla quale don Giorgio traeva molta della sua forza. Infatti la sua perdita lo segnò e il suo carattere ne risentì un poco. A Settignano si mosse con prudenza e saggezza, ma anche con fermezza, come quando, al suo arrivo, si trovò a dover sanare la forte contrapposizione nel paese, retaggio del passato e dovuta all’esistenza di due circoli. Giorgio non esitò a sacrificare quello cattolico, sia pure con difficoltà, dissapori, incomprensioni, in vista dell’unità della sua parrocchia. Altri lutti minarono un poco la primitiva lena e infaticabilità. I frutti dei suoi talenti si possono verificare ancora nei ricordi dei suoi parrocchiani che lo benedicono e lo rimpiangono. Anche le opere lo ricordano: non vistose, ma benefiche nella cura del culto, come il ripristino dell’Oratorio del Vannella. Lo frequentai regolarmente verificando la sua tenera e silenziosa sollecitudine fraterna, come quando apparve, senza essere richiesto, a celebrare la Messa al funerale di mio padre. Gesti che può fare un vero amico, carezze d’un uomo di Dio.

Così don Giorgio inizia da una parte il rinnovamento ecclesiale cercando sempre più la collaborazione e la partecipazione dei laici alla vita della comunità parrocchiale e dall’altra l’attenzione verso tutte le associazioni del paese, in primis verso la Casa del Popolo, una collaborazione che si è consolidata sempre più con il passare del tempo e che ha portato frutti significativi. 20


il TESTAMENTO SPIRITUALE

Io sottoscritto sac. Giorgio Tarocchi, in piena lucidità di mente, espongo qui di seguito alcune mie riflessioni e le mie disposizioni testamentarie. Davanti al pensiero della morte si riesce a esprimere il meglio di noi stessi. Non voglio lasciare il mio ritratto ma solo dire qualche mio pensiero. A quanti mi hanno voluto bene posso dire che sento gratitudine se essi richiameranno alla loro mente qualche buon ricordo comune e se invocheranno per me la bontà del Padre. Ciò che devo soprattutto esprimere è la riconoscenza. Dio mi ha donato di poter vivere con gioia, di incontrare tante persone da amare, di ricevere amicizia e affetto. Quanta gente straordinaria ho conosciuto, straordinaria nella semplicità della loro vita, con una bontà e una fede immensamente superiori alla mia, che mi hanno insegnato, mi sono stati di esempio, mi hanno interiormente arricchito. Il mondo non è arido: ci sono tante meravigliose creature nel volto delle quali si riflette l’immagine di Dio. Non so se sono stato un buon prete. Due o tre cose ho tenuto salde nel mio ministero. Ho cercato di comunicare speranza, per cui mi è sempre sembrato inutile parlare di castighi di Dio in una vita piena di sofferenze. Ho preferito presentare un Dio che facilita e non complica il nostro cammino, un Dio dal grande cuore, nel quale spero di potermi sempre affidare con tutti i miei peccati. Che Vangelo significhi “lieta notizia”; ho cercato sempre di non dimenticarlo.


volersi bene malgrado tutto

Stando tra la gente mi è sembrato che il problema dei problemi fosse sempre, a tutti i livelli, volersi bene malgrado tutto. Proprio questo insegnamento di Gesù con fatica, con tanta inadeguatezza ho cercato di trasmettere e di vivere. Ho fatto poco altro. La constatazione che nella vita ho molto più ricevuto di quanto ho dato non mi spaventa, perché Gesù ha parlato del centuplo e non viene certamente meno alla sua parola. Progressivamente, soprattutto negli ultimi venti anni, ho imparato a conoscere e a voler bene ai miei confratelli, che vivono il loro servizio al Regno di Dio con generosità e che a volte sentono il peso della incomprensione e della solitudine. Sono un grande dono di Dio agli uomini e bisogna invocare con insistenza che altri continuino il loro ministero. Dispongo che tutto ciò che posseggo di arredamento divenga proprietà della parrocchia di Settignano. I libri e le riviste andranno, se interessano, alla Biblioteca della Facoltà Teologica, che ne disporrà liberamente…

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pietra di paragone Si tratta di testi che ripropongono al vasto pubblico esperienze significative, memorie nascoste, testimonianze, biografie, documenti e approfondimenti sul pensiero e l’opera di uomini che nel loro impegno quotidiano (civile, politico, religioso) hanno avvertito come cruciale la domanda sul significato della loro esistenza.

Piero Bargellini, Il miracolo di Firenze. I giorni dell’alluvione e gli “angioli del fango”, con un testo di Lelia Cartei Bargellini, 2006 Edoardo Martinelli, Don Lorenzo Milani. Dal motivo occasionale al motivo profondo, con il testo integrale della Lettera ai giudici, 2007 Giorgio La Pira. I miei pensieri, a cura di Riccardo Bigi, con una testimonianza di Giulio Andreotti, 2007 Silvano Piovanelli, Don Giulio Facibeni. «Il povero facchino della divina provvidenza», 2008 Don Divo Barsotti. Il cercatore di Dio. Dieci anni di interviste, a cura di Andrea Fagioli, presentazione di Camillo Ruini, 2008 Rolando Perri, Presenze femminili nella vita di don Lorenzo Milani. Tra misoginia e femminismo ante litteram, 2009 Alberto Migone, Testimoni nel quotidiano, a cura di «Toscana Oggi», introduzione di Andrea Fagioli e Romanello Cantini, 2010 Mario Bertini, Don Carlo Zaccaro: la fantasia dell’amore, Profilo biografico, interviste, testimonianze, presentazione di Mario Graev, 2011 Andrea Bellandi, Francesco Mininni, Roberto Benigni. Da «Berlinguer ti voglio bene» alla «Divina Commedia»: il percorso di un comico che si interroga su Dio, a cura di Riccardo Bigi, 2011 Antonio Miscio, I Salesiani di don Bosco a Firenze (1881-2011), 2011 Silvano Nistri, Elia Dalla Costa, prefazione di Giuseppe Betori, 2011

Pierfrancesco Amati, Don Mario Boretti, 2012 Don Renzo Rossi, Lettere dal Brasile, a cura di Matteo del Perugia, 2012 Andrea Cecconi, Giancarlo Rocchiccioli, Padre Ernesto Balducci. “Una fuga immobile”, 2012 Antonio Lovascio, Giovanni Benelli. Un pastore coraggioso e innovatore, prefazione di Giuseppe Betori, 2012 Giorgio Falossi. Una stagione della Chiesa fiorentina (e non solo). Lettere (19661987), a cura di Maria Livia Bendinelli Predelli, 2013 Mario Bertini, Don Alfredo Nesi. Un discepolo di don Facibeni che fece brillare la partenità di Dio, presentazione di Silvano Piovanelli, 2013 Mario Bertini, Don Renzo Rossi. Un divino colpo di tosse, prefazione di Andrea Fagioli, 2014 Mino Tagliaferri, L’odore delle pecore. Dal Concilio Vaticano II a papa Francesco, presentazione di Maria Teresa Ceccherini Guicciardini, 2014 Duccio Moschella, Maria Cristina Ogier. Il più felice dei miei giorni, prefazione di Bernardo Francesco Gianni, 2014 Giovanni Pallanti, «L’Ultima». Scrittori, artisti e teologi tra cattocomunismo e fascismo, postfazione di Carlo Lapucci, 2016 Carlo Parenti, La Pira e i giovani. Rondini in volo verso la primavera di papa Francesco, prefazione di Gualtiero Bassetti, 2016 Mario Bertini, Riccardo Bigi, Don Cuba. Il prete volante ha vinto ancora, 2016


Andrea Fagioli, Silvano Piovanelli. Padre, fratello, amico, 2017 Giovanni Pallanti, La Pira e la DC. Una storia di libertà contro le ideologie totalitarie del XX secolo, 2017 Mario Bertini, Don Piero Paciscopi. Storia di un “santo” prete di campagna, 2018

Una storia democratico cristiana. L’ultima intervista al senatore Ivo Butini, a cura di Francesca Butini, 2020 Mariadele Tavazzi, Demarista Parretti. La vita, la spiritualità, 2020 Stefano Zecchi, Volersi bene malgrado tutto. Don Giorgio Tarocchi parroco di Settignano (1970-2017), 2021


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