Lo sciame virale

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Carlo Villa

Lo sciame virale

Società

Editrice Fiorentina


Dello stesso autore Agrità Sotto la cresta dell’onda Quel pallido Gary Cooper Caro, dolce nessuno Dripping Impronte L’ospite sgradito Pieni a perdere Keatoniana Pensieri panici L’incontro delle parallele A pensarci bene L’esperienza del nulla La misura della perdita Avviso ai naviganti


Carlo Villa

lo sciame virale

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© 2021 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-628-7 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Le opinioni espresse nel presente volume non rispecchiano necessariamente quelle dell’Editore Le foto pubblicate nel presente volume sono di proprietà dell’autore


L’amore non è un sentimento rispettabile”. (Colette, “Sido”) La poesia non deve significare, ma essere. (McLeish, “Ars Poetica”) Una sana ragione per vivere è anche quella per morire. (Camus, “Mito di Sisifo”)



Capitolo I

Sotto la cresta dell’onda

Il senso d’esclusione mi si è connaturato in una “commiseratio” stucchevole; si tratta d’una vanitosa ferita che, non avendo altri interlocutori, mi dilania, incappandovi mio malgrado. Ne rintuzzo sì la valenza ferrigna con pacche sulla coscienza, ma in questo modo l’accresco anche di più e dilaga squassandomi ogni ora del giorno. Ne sono soffocato. È un’esclusione tattile e ininterrotta, mai del tutto placata, e cupo in questa sua acidità, agucchio letture compensative, che di conseguenza finiscono, e fin dall’inizio lo sono, per essere il sale su una piaga: ne ho estrema vergogna virale. Ora sto rileggendo ancora una volta certi miei titoli perduti negli anni e così poco frequentati dalla critica e m’accorgo d’averli sempre letti in una sorta di languore lunare; dei semini trattenuti tra i denti, senza mai un incontro elettivo; ed il tempo per farlo s’è reso irrimediabile. Strafottenza la mia? Non solo, giacché con i colleghi mi sono sempre chiesto perché non m’abbiano aiutato, violando un pudore a prova d’artiglio. Circa Castelporziano, ad esempio, (e non è la prima volta che affronto codesto argomento), me la ricordo con vivo rammarico ancora oggi l’esclusione, pur avendo compiuto timidi tentativi nel covo organizzativo. In fin dei conti lavoravo già da anni con l’assessore Nicolini, e avevo un percorso di meriti e di presenze di gran lunga più fervido da spendere, rispetto a buona parte delle discutibili larve sopraggiunte sul palco avventurosamente. No, la mia non è presunzione, ma strazio per un isolamento che la feroce disciplina frequentata non riesce a scalfire in termini di visibilità: è come continuare a bussare a un muro di cemento, ferendomi senza neppure produrre più l’eco dei colpi, per lo spessore incontrato. Non riesco a spiegarmi tanta antipatia, alla fine decisa sicuramente per dispiacermi; essendo ormai arrivato alla fine, poi tutto mi si ingigan-


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tisce, affannandomi ogni timido tentativo di tirare delle somme, perché queste mi recano solo risultati perversi. Ma come, da anni e per così tanti titoli, ho costruito oggetti letterari capaci d’arricchire l’immaginario collettivo, scavando in quello individuale, e dalla critica, dedita generalmente alla crapula dei vanitosi convegni, dai quali vengo immancabilmente escluso, non posso aspettarmi neppure un francobollo di rispetto? E ogni alba m’inghiotte in una nudità rituale, consentendomi la nobiltà d’una vergine; la carta nautica di questi miei sogni lustrali a poco a poco allargandosi in numerose isole sempre più distanti tra loro. Ma se ogni giorno che non è ancora l’alba mi metto a salvare il mondo tutto da solo, per questo vano eroismo graziato neppure per buona condotta, come posso sperare in un alito che non sia di Scandinavia, affetto oramai da ultimativo adenoma e farcito da terminale coronavirus? Attonito fin dal riveglio, così spesso funestato dai postumi d’una notte nient’affatto riposante a causa del covid, conduco una vita che non mi può più salvare, e molto simile a un ordigno innescato, attraverso sprizzi fastidiosi, lampi feroci, e avvisaglie del nulla, esploderò senz’altro fra breve, per ciò che mi bolle in pentola irrimediabilmente imperversante. Non sono più certo neppure degli organi, che misteriosamente incapsulati, sono così restii a farmi sapere più di tanto, rispetto alle loro precarietà insormontabili; e a ben vedere allora, anche rispetto al loro funesto numeratore, quante difficoltà interpretative, ipotesi sbilenche, attese spaventose e ben poco degne d’un rapporto con l’intelligenza fattasi funesta a questo punto, possono avvalermi d’una presunzione legata a percorsi acquisiti, perché ora sto morendo, da tempo essendomi accorto che scrivere serve molto meno che vivere con l’infezione così dilagante. Dovrei rassegnarmi a livello della foglia inumata dal sasso, e come un umile vegetare, finché abbia ancora la spinta per farlo? Altrimenti come e dove affrancarla questa mia gonfia intelligenza? Per quale cosa mi resta da affermare e decidere, organizzare e mantenere insieme a una vita ormai esaurita, tutta da prendere come traccia traslucida di lumaca strisciante, che si perde poi al primo acquazzone; gli sforzi tesi a testimoniarla, giorno dopo giorno, in una corona di supposizioni, attese, speranze, ambizioni, sconfitte, che alla fine m’hanno recato solo il rosario moltiplicato all’infinito d’una afflittiva cordata di morte dalla cupa disperazione. Cosa concludere, se tutto questo non m’è stato mai possibile evitarlo? Insomma l’universo esisterebbe da sempre in regole certe e solide, ed io, parte accertata di esso, resto una sua illusoria deiezione. Il pla-


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sma universale è giusto che continui a pulsare, il mio dandomi il finis? Non meriterei perlomeno cadenze stellari, a compenso del magazzino sorto da me stesso a prezzo di tante rinunce e sofferenze antiche almeno quanto l’enormità del tempo che mi sia già passato? Non voglio che la mia memoria sparisca, già sparendo io. Come Ulisse non ho altra Itaca che quella interiore, covid permettendo, nè un possibile Nietzsche con l’aquilotto suo svizzero.


Capitolo II

Alla ricerca d’un letto mancante

Già alle prime avvisaglie e successive amare conferme del morbo, sono stato sopraffatto dalle considerazioni tutte feroci di quanto sia grottesco il corpo umano nelle sue funzioni, non meno che il destino dello scrivere a chi scrive, e giunto a un grado così alto di selezione, resto miseramente soggetto a precarietà addirittura tragicomiche. Buona parte delle mie giornate vanno perse nell’accudirmi, vestirmi, spogliarmi, trasferirmi e nel subire i servizi e disservizi soprattutto. Chissà se anche i miei simili maledicono ogni mattina lo sforzo di dover aprire gli occhi, dopo lo sgomento per l’affastellarsi di sogni subìti involontariamente, per iniziare il ricatto organico di funzioni che mi pongono né più né meno a livello dell’ultimo invertebrato; cosa in sé non drammatica, non fosse per la coscienza tanto spropositata all’infima bisogna; un grottesco che mi deprime, facendomi precipitare nell’orrido d’una sudditanza davvero straziante. Perché la mia intelligenza, affinata attraverso dedizioni uniche, per tanta parte di ogni giornata deve poi sottostare a imperativi a dir poco sciocchi e incongrui, tutti di ben poca soddisfazione? A consolarsi con il cibo, il corpo si gonfia in inestetismi e subisce pesti minacciose. Se indulge al sesso, a trovare quello capace di una sufficiente scorrevolezza, quanti accidenti di carattere incontra fisiologico e affettivo; e anche a cautelarsi, quante funzionalità senza sprint, al punto da chiedermi se per risultati così miserandi valga la pena un impiego così massiccio di energie e capitali, perché ogni risveglio mi reca ragioni più che sufficienti per porre fine alla lotta; e le cose non mi sono certo migliorate con l’adenoma, i fastidi essendomisi fatti inverecondi, casomai, con lo sciame virale che mi sta funestando. Ora le funzioni mi sono divenute insopportabili e solo a tenere il passo con i numerosi esami, interventi e indagini cliniche, vivo fonti di continui fastidi, burocratici e finanziari, da armarmici la mano fattasi sempre più fragile.


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Vengo a sapere di certe strutture all’avanguardia in capoluoghi distanti, se non all’estero, e lo scrupolo di avere più che una conferma alla diagnosi, e una terapia più appropriata, mi spinge a trasferte onerose, soprattutto per il tempo, in questo modo sottratto a formulare le mie ultime volontà. E mi sono fatto di conseguenza intrattabile, soprattutto senza troppi riguardi soggiornando ancora in questo mio corpo leso, con un fastidio e una repulsione insopportabili: se solo esistesse in questa miriade di organi tanto bislacchi almeno un istante ancora che al momento opportuno ponesse fine a tanta tormentosa navigazione, gli affiderei con la mia fine, la totalità dei miei fin troppi tormenti all’istante. Sul conto della salute se ne dicono tante. Del suo rapido disfacimento e dei modi sempre incresciosi di come la si perde, dopo più o meno devastanti agonie. Operazioni contorte, asportazioni cruente, resezioni massicce, pellegrinaggi penosi da questa a quella unità sanitaria alla ricerca d’un letto mancante, pel quale dall’oggi al domani, dopo una visita di base, ho principiato a percorrere l’intera palude delle mie afflizioni, deliberatamente inghiottito da specialisti sempre più neghittosi, via via che ne subivo le prescrizioni organolettiche. Ho preso a consultare enciclopedie, che sul fatto però non m’hanno recato che l’impertinente suggerimento di recarmi dal medico, i sintomi essendo senza un preciso dettato, mentre gli articoli sulla salute e i supplementi erogati a man salva nelle edicole, per la cura del corpo non fanno che sparare novità, che appena citate a chi dovrebbe conoscerle al meglio e servirsene a buon fine, restano del tutto sconosciute, invece, provocando mimetiche, plateali irrisioni su chi sia effettivamente il malato. Che se c’è, per piacere vogliono decidersi a farlo guarire? A quanto pare il decorso di ciò che m’affligge è subdolo, e può durare ben poco per consolarmi nell’apprendere che potrei morire assai presto nel frattempo, per certe minacce e improvvise incognite, l’organo colpito potendo espandersi in vasi e in funzioni vicine, senza sintomi, né un ragionevole preavviso di tipo ultimativo. Ecografie sono seguite allora a prelievi; biopsie a indagini cliniche, mentre i responsi si sono talmente accavallati, taluni proibendo questo e quello; altri rassicurandomi genericamente; mai rispondendomi a tono però, su interrogazioni particolari; e l’ignoranza s’è sposata strettamente al sussiego d’un ruolo che non avrei avuto alcun interesse a porre in discussione, se solo non mi fosse stata presa in giro proprio la vita, che oramai mi distrugge irreparabilmente ogni possibile prosieguo.


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Quanti pazienti ne muoiono di questa tragica virtù, e la costante idea della fine frequentata come stimolo a fare, ora s’è disfatta fastidiosissima nel computo dei tempi privi d’un qualsiasi supplemento di salute possibile, raccogliendo delle forze che mi si sono fatte ghignanti: e allora cosa vado ancora a tampinare. Arrendersi; qualcosa del genere doveva pur succedere; e ora che è successo, che mi plachi: vorrà dire che non avrò più nulla da attendere. In queste condizioni la terapia della scrittura assume alti e bassi inconciliabili, a seconda dello stato d’animo del momento, e mi si è aperta


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una botola sotto i piedi, venendone fuori un miasma insopportabile; ma chiuderla non mi sarà più possibile, ogni mia pagina fattasi inutile a ricomporre il marasma generale.



Indice 7

Capitolo I Sotto la cresta dell’onda

10 Capitolo II Alla ricerca d’un letto mancante 14 Capitolo III Pochades 16 Capitolo IV Oodontotecnici assurti a direttori editoriali 19 Capitolo V Servitore della sola poesia 22 Capitolo VI Il rinoceronte di Dürer 24 Capitolo VII Un decalogo d’asservimento 27 Capitolo VIII Gli assenti hanno sempre torto 29 Capitolo IX Razza canara 31

Capitolo X Letteratura come protesi

34 Capitolo XI Murder party 36 Capitolo XII Deposito celeste


40 Capitolo XIII Il privilegio di essere vivi 43 Capitolo XIV Eros violato 46 Capitolo XV In brine essenzialmente infantili 50 Capitolo XVI La sentenza prima delle prove 52 Capitolo XVII Come la rosa al naso 54 Capitolo XVIII Kassel documenta 56 Capitolo XIX Prima le donne e i bambini 59 Capitolo XX La maestà delle finte 63 Capitolo XXI Sulle rive del Giordano 66 Capitolo XXII La massima pace dei sensi 70 Capitolo XXIII Con l’indice su quello dei libri proibiti 73 Capitolo XXIV Al di lá del bene e del male 75 Capitolo XXV Essere antico 77 Capitolo XXVI Fiori di tomba 80 Capitolo XXVII Giovanna d’Arco al rogo 83 Capitolo XXVIII Parafrasando Shakespeare


88 Capitolo XXIX Vis impressa 90 Capitolo XXX Un sano egoismo 93 Capitolo XXXI Un autore d’insuccesso 96 Capitolo XXXII L’edilizia della coscienza 99 Capitolo XXXIII L’ora di Mefistofele 102 Capitolo XXXIV Una nausea media 105 Capitolo XXXV Neanche sperando nauseato 108 Capitolo XXXVI I sensi lunghi 112 Capitolo XXXVII Donne che avessi amato 114 Capitolo XXXVIII Agosto è davvero il mese più crudele 117 Capitolo XXXIX Nell’infanzia del dettato 120 Capitolo XL L’infinito è un quadrato senz’angoli 122 Capitolo XLI L’isola in bottiglia 124 Capitolo XLII Uno spirito d’appartenenza 126 Capitolo XLIII Pelle d’anima 128 Capitolo XLIV Polvere di miele


131 Capitolo XLV Fino all’ultima fermata 135 Capitolo XLVI Dedicamenta 138 Capitolo XLVII Pas de deux 140 Capitolo XLVIII Il canto di Cherubino 143 Capitolo XLIX Analità 145 Capitolo L L’attimo leggente 147 Capitolo LI A piè di sogno 149 Capitolo LII Il fortino sepolto 152 Capitolo LIII Morte per lucro 155 Capitolo LIV Eclisside 157 Capitolo LV Consumato amore 161 L’autore e la critica






Finito di stampare nel novembre 2021 da Geca Industrie Grafiche (San Giuliano Milanese - Mi)

Questo libro è stampato su carta FSC® amica delle foreste. Il logo FSC® identifica prodotti che contengono carta proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Steward ship Council® e altre fonti controllate



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