Ipomedon (poema del XII secolo)

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Hue de Rotelande

Ipomedon

(poema del XII secolo)

traduzione e introduzione di Maria Bendinelli Predelli studi 42



studi 42



Hue de Rotelande

Ipomedon (poema del XII secolo) traduzione e introduzione di Maria Bendinelli Predelli

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Editrice Fiorentina


Š 2021 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-592-1 ebook isbn: 978-88-6032-594-5 issn: 2035-4363 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


Indice

vii Introduzione

xlvii Bibliografia

1 Ipomedon. Poema di Hue de Rotelande 259

Indice dei nomi propri di persona e di luogo che appaiono nel poema



Introduzione

1. L’Ipomedon di Hue de Rotelande è forse il primo romanzo “d’amore e d’avventura”, o romanzo cortese non arturiano che sia arrivato fino a noi. Di datazione incerta, ma da collocare intorno al 11851, nasce in una corte minore del regno anglo-normanno, forse quella di Gilberto Fitz-Baderon signore di Monmouth, al quale è dedicato il secondo romanzo di Hue, il Protheselaus. Il regno anglo-normanno della seconda metà del XII secolo è una stagione particolarmente felice per la letteratura in lingua francese. Ricorderemo che Enrico II sale al trono nel 1154, insieme alla moglie Eleonora (Aliénor) d’Aquitania, che porta con sé l’amore per la poesia e la cultura dei troubadour, e la coppia è la destinataria di gran parte della produzione letteraria del regno. Già Dominica Legge (1963) sottolineava la precocità della produzione insulare rispetto a quella continentale e, quasi a offrire una spiegazione per questa fioritura letteraria, Margherita Lecco (2011) rammenta, insieme all’abbondanza di monasteri e abbazie fondate durante il regno anglo-normanno, anche la qualità e quantità della produzione letteraria, scritta ma anche orale, preesistente all’invasione normanna2. Per restare soltanto all’interno dell’ambito letterario, è in questa seconda metà del secolo XII che appaiono il Roman de Thèbes, il 1 Mi attengo qui alle indicazioni dell’editore dell’opera, Anthony Holden, ma la cronologia di tutte le opere ascritte ai decenni 1160-1190 è controversa. Per Carla Rossi, per esempio, l’Ipomedon si collocherebbe intorno al 1175-76. (Carla Rossi, Marie, ki en sun tens pas ne s’ublie. Marie de France: la storia oltre l’enigma, Roma, Bagatto Libri, 2006, p. 84). 2 Mary Dominica Legge, Anglo-Norman Literature and its Background, Oxford, Clarendon Press, 1963; Ead., La précocité de la littérature anglo-normande, in «Cahiers de civilisation médiévale», 8, 1965, pp. 327-349. L’affermazione è ripresa da Judith Weiss, Insular Beginnings: Anglo-Norman Romance, in A Companion to Romance, From Classical to Contemporary, Oxford, Blackwell, 2004, pp. 26-44 («Indeed, the beginning of romance as a genre could fairly be said to be more associated with this country than with any other», p. 26); Margherita Lecco, Storia della letteratura anglo-normanna, Milano, Edizioni universitarie di Lettere, Economia, Diritto, 2011.


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Roman de Troie, il Roman d’Enéas3, il Roman de toute chevalerie (su Alessandro il Grande), il Partonopeus de Blois, ma che viene anche recepito e valorizzato il patrimonio narrativo dei conteurs di tradizione celtica come nel Roman de Brut e negli importanti rifacimenti della saga tristaniana (Tristan di Thomas, Tristan di Béroul, le due versioni della Folie Tristan), nei Lais di Marie de France, e naturalmente nei romanzi di Chrétien de Troyes4. L’Ipomedon di Hue de Rotelande si distanzia dalla letteratura che ricercava argomenti di narrazione nelle tradizioni pre-normanne, anzi si caratterizza per la volontà di agganciarsi alla letteratura d’avanguardia rappresentata dai romans antiques, e alla nuova concezione dell’amore portata dalla cultura continentale che, fin dai tempi dell’Historia regum Britanniae, associava amore e valore5. Inoltre, caso raro nel panorama della letteratura romanzesca in francese, colloca la scena del suo romanzo nell’Italia meridionale: l’eroe è un principe di Puglia, la sua “principessa” una duchessa della Calabria, dipendente da un re di Sicilia che tiene la sua corte a Palermo6. Ovviamente il pensiero corre alla parentela dei signori normanni d’Inghilterra con quelli che, dopo aver infiltrato alcune regioni dell’Italia meridionale, conquistarono la Sicilia stabilendo la loro corte proprio a Palermo. Indubbiamente i rapporti fra i due regni 3 «The three romans d’antiquité […] though they are always claimed as Continental works… their authors came from Northern France but spent at least some time working for Henry II and his wife Eleanor (whether in England or Normandy)» (Judith Weiss, Insular Beginnings…, cit., p. 28). 4 Come si sa, Chrétien de Troyes non è anglo-normanno: si ritiene che il romanziere abbia conosciuto le leggende tristaniana e arturiana attraverso i conteurs bretoni (armoricani), forse in occasione delle grandi fiere che si tenevano periodicamente nella Champagne, piuttosto che in territorio inglese. Chrétien sembra comunque conoscere bene la topografia di Londra (episodio dell’assedio al castello di Windsor [Guinesores] nel Cligès, vv. 1226-1336). Cfr. Roger Sherman Loomis, Arthurian Tradtion and Chrétien de Troyes, New York, Columbia University Press, 1949, pp. 21-24; Amaury Chauou, Chrétien de Troyes et la tentation des Plantagenêts : une fête de couronnement royal à Nantes (1169) , «Annales de Bretagne et des Pays de l’Ouest» [En ligne], 121-4 , 2014, mis en ligne le 15 décembre 2016, consulté le 27 août 2020 (http://journals.openedition.org/abpo/2863). Del resto Marie de Champagne era la figlia di Aliénor d’Aquitaine (nata dal suo primo matrimonio con Louis VII), e vi furono certamente rapporti fra le corti di Troyes e di Londra. 5 «Facete etiam mulieres […] nullius amorem habere dignabantur nisi tertio in militia approbatus esset. Efficiebantur ergo castae mulieres, et milites amore illarum meliores. […] Mox milites simulacrum praelii ciendo, equestrem ludum componunt: mulieres in edito murorum aspicientes, in furiales amori flammas amore joci irritant […] Consumptis ergo primis in hunc modum tribus diebus…» (Historia regum Britanniae). Cfr. Geoffrey of Monmouth, The History of the Kings of Britain: An Edition and Translation of “De gestis Britonum (Historia regum Britanniae)”, a cura di Michael D. Reeve e Neil Wright, Woodbridge, Boydell Press, 2007, libro ix. («Infatti le allegre donne non si degnavano di ricevere l’amore di nessuno a meno che non avesse ottenuto un riconoscimento militare per tre volte. Questo rendeva le donne caste e i cavalieri migliori, per amore di loro. Ecco che i cavalieri inventano un gioco equestre ad imitazione di una guerra: le donne, che guardavano sugli spalti delle mura, aguzzano le violente fiamme d’amore per amore del gioco [...] Passati dunque i primi tre giorni in queste cerimonie…»). 6 Calabria e Sicilia compaiono anche nella Chanson d’Aspremont, teatro delle gesta del giovane Roland, composta alla fine del XII secolo, probabilmente quando si stava preparando la terza crociata (i più antichi manoscrtti della chanson sono in anglo-normanno); e nel romanzo cortese Guillaume de Palerne, della prima metà del XIII secolo, il giovane Guillaume è anche lui figlio del re di Puille, la cui corte ha però sede a Palermo.


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normanni rimasero vivi a lungo. Anzi, nel 1177 una figlia del re Enrico II, Giovanna, divenne moglie del re di Sicilia Guglielmo II il Buono, ed è possibile che in quell’occasione scambi e informazioni fra i due regni normanni diventassero ancora più intensi. Certo, nel caso dell’autore del poema, queste informazioni rimasero vaghe: nell’Ipomedon i protagonisti passano tranquillamente a cavallo dalla Calabria alla Sicilia e viceversa senza che sia mai menzionata la presenza di un braccio di mare fra le due terre7. L’Ipomedon non ha avuto in Francia (e, conseguentemente, in Europa) la fama e la diffusione che ebbero le saghe tristaniane e arturiane, o i poemi contemporanei – e molto più raffinati – di Chrétien de Troyes. Dei manoscritti che tramandano l’opera soltanto uno, frammentario, mostra di essere stato scritto in un francese continentale; e poche sono le opere che rivelano un’influenza o una conoscenza del poema. Su suolo inglese invece la sua fama fu duratura e dette luogo a ben tre rifacimenti medio-inglesi: un Ipomadon in strofe di 12 versi, datato intorno al 1350, e uno in prosa, della fine del secolo, e The Lyfe of Ipomedon in ottosillabi, del principio del XV sec.8. Il poema è inoltre menzionato esplicitamente nel poema medio-inglese Richard Coeur de Lyon (dei primi anni del XIV sec. ma composto sulla base di un poema anglonormanno perduto datato 1230-1250)9. Ancora più interessante perciò il ritrovare nel cantare italiano del Bel Gherardino (la prima testimonianza scritta è del 1372) elementi che risalgono a questa storia, associati ad altri che compaiono nel contemporaneo Partonopeus de Blois e nei lais bretons10. 7 L’identificazione della città della Fièra, Candres, resta molto dubbia. Si potrebbe ipotizzare che Candres sia la versione francese del greco Catanthéros, ma nel periodo normanno la città è conosciuta col nome Cathacem. Caduta sotto il dominio di Roberto il Guiscardo nel 1069, Catanzaro fu famosa nel periodo normanno per la sua produzione di sete. La città della Fière siede certo sul mare, visto che Adrasto vi arriva via mare e alla fine del poema la Fière fa radunare tutte le sue navi al “Faro”. Il toponimo corrispondente più noto, però, Torre Faro (presente nella Chanson d’Aspremont) è sulla riva siciliana. 8 Ipomedon in drei englischen bearteitungen, a cura di Eugene Kölbing, Breslau, Ernsdorf, 1889; Ipomadon, a cura di Rhiannon Purdie, Oxford, Oxford University Press, 2001. Sui rifacimenti medioinglesi si vedano Brenda Hosington, The Englishing of the Comic Technique in Hue de Rotelande’s «Ipomedon», in Medieval Translations and their Crafts, a cura di Jeanette Beer, Kalamazoo, Western Michigan University, Medieval Institute Publications, 1989, pp. 247-63; Brenda Hosington-Thaon, La Fière: the Career of Hue de Rotelande’s Heroine in England, in «Reading Medieval Studies», 9, 1983, pp. 56-67; e Carol Meale, The Middle English Romance of Ipomedon: A Late Medieval ‘Mirror’ for Princes and Merchants, in «Reading Medieval Studies», 10, 1984, pp. 136-91. 9 Ipomedon, poème de Hue de Rotelande (fin du XIIe siècle), a cura di Anthony J. Holden, Paris, Klincksiek, 1979, Introduzione, p. 59. Holden riconosce una sicura influenza dell’Ipomedon soltanto nella tarda ballata Roswell and Lillian (1663); mette in dubbio invece le ipotesi di altri studiosi che vorrebbero vedere tracce dell’Ipomedon nel Roman de Fergus, in Amadas et Ydoine, nella storia di Gareth della Morte d’Arthur e nel romance Generydes. 10 Cfr. Maria Bendinelli Predelli, Alle origini del Bel Gherardino, Firenze, Olschki, 1980; The Italian Cantare of Bel Gherardino: a Source for Partonopeus?, in «Medievalia. An Interdisciplinary Journal of Medieval Studies Worldwide», 25, 2, Special Issue, 2004, pp. 37-47; Il motivo del torneo in incognito e la genealogia dei primi romanzi cortesi, in L’imaginaire courtois et son double, Selected Proceedings of the International Courtly Literature Society 5th Conference, Naples, ESI, 1992, pp. 225-234.


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2. L’Ipomedon è un racconto tutto sommato lineare centrato sulle vicende di un giovane principe (Ipomedon) che col suo valore cavalleresco riesce a conquistare e sposare la sua “principessa” (la Fière). È comprensibile che i primi studiosi che si occuparono estesamente dell’Ipomedon, Jessie L. Weston e Charles H. Carter, abbiano pensato che il poema avesse senz’altro un antecedente nel folklore, anche se i Types of Folk-tale elencano il tipo della “Bride won in a Tournament” (n. 508) solo fra le “Tales of Magic – Supernatural Helpers”, dove le circostanze del torneo hanno ben poco a che fare con l’Ipomedon11; e il Motif-Index of Folk Literature presenta il motivo del torneo solo sotto il titolo “Unknown Knight” (R222) nella sezione dedicata alle “Fughe” (Flights) del capitolo intitolato “Captives and Fugitives”12. La critica successiva si è dunque mossa in tutt’altra direzione, prendendo in considerazione la produzione letteraria contemporanea o di poco antecedente all’Ipomedon. Non bisogna però dimenticare che la produzione letteraria scritta è di fatto preceduta da una importante tradizione di narrazioni tramandate oralmente, e ovviamente perdute, a cui alludono apertamente Thomas (autore del Tristan), Giraldus Cambrensis, Walter Map…13. Come già il Carter aveva riconosciuto, il lungo poema si struttura in tre grandi sezioni: nella prima è centrale il motivo del torneo di tre giorni; la seconda è strutturata sulla falsariga di una storia perduta da cui deriverebbe, fra gli altri, il poema francese Le Bel Inconnu; nella terza (la più breve, e che conduce alla conclusione), si riconosce il motivo del duello e del riconoscimento tra fratelli. Fra la prima e la seconda parte, poi, Ipomedon prende parte a una guerra in Francia riportando due fratelli alla riconciliazione. Come si vede, il tema della lotta tra fratelli, influenzato probabilmene dal prestigio del recente

11 Antti Aarne, The Types of the Folk-Tale, translated and enlarged by Stith Thompson, New York, Burt Franklin, 1928 (reprint 1971). Due sottogruppi sono intitolati “The Princess Rescued from Slavery” e “The Princess Rescued from Robbers”. Il rimando bibliografico è a Sven Liljeblad, Die Tobisgeschichte und andere Märchen mit toten Helfern, Lund, 1927. 12 Cfr. https://archive.org/details/Thompson2016MotifIndex/page/n2201/mode/2up/search/ Tournament consultato il 2 maggio 2020. Jessie L. Weston citava uno dei Contes Lorrains raccolti da Emmanuel Cosquin, Le petit berger (The Three Days’ Tournament, Londra, D. Nutt, 1902), e il Carter evocava tutta una serie di altri racconti folk. Già il Carter ammetteva, comunque, che il motivo del torneo non potesse derivare direttamente da una folk-tale: «in 1187 the tournament was still a rather recent institution […] the tournament in Ipomedon is probably a literary substitution for some primitive form of the feat, such as the fight with the dragon, found in eight of the folk-tales» che egli proponeva come paralleli folklorici dell’Ipomedon. Charles H. Carter, Ipomedon. A Study in Romance Origins, in «Haverford Essays», Haverford, 1909, p. 237 n. 1, p. 244. 13 L’Ipomedon si colloca ai primordi del romanzo cortese, come nota Francis Gingras nel suo interessante studio sul romanzo medievale in quanto genere letterario: «Entre Hue de Rotelande, Gautier d’Arras et Chrétien de Troyes, on voit à l’œuvre la conscience des enjeux qu’entraîne la réconfiguration des genres littéraires, conséquence de l’exploration de différentes formes narratives en langue vernaculaire» (Le Bâtard conquérant. Essor et expansion du genre romanesque au Moyen Âge, Paris, Champion, 2011, p. 343).


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Roman de Thèbes, torna a più riprese nel poema, come sottolineato da Philippe Haugeard14. Robert W. Hanning ha riconosciuto nello svolgimento della storia anche una maturazione del protagonista, dalla primissima fase quando la fama di bellezza e di cortesia della signora di Calabria risveglia, ancora inconsapevolmente, l’istinto dell’amore nel giovane principe, al desiderio di affermare il proprio valore nella partecipazione ai tornei, al ruolo di restitutore di giustizia e pacificatore del reame di Francia, a salvatore non solo della Fière ma di tutta la sua città (i cui abitanti, e specialmente le donne, innalzano grandi lamenti), fino all’assunzione del proprio ruolo di marito e di regnante dal valore ormai affermato e riconosciuto15. La Fière, dal canto suo, oltre a pentirsi amaramente, a più riprese, dell’orgoglio che le aveva fatto fare un voto sconsiderato, e a rischiare di dovere per questo sposare un uomo che non è l’amato, finisce per organizzare una fuga, accettando di perdere ogni ricchezza e ogni status, pur di non sposare quello che avrebbe, teoricamente, corrisposto al suo voto di sposare il miglior cavaliere del mondo, in quanto vincitore, fino allora, di tutti gli oppositori. 3. Una delle ragioni che rende l’Ipomedon estremamente interessante è il continuo affiorare di echi che possono far riconoscere lo sfondo culturale noto al narratore, e a cui lui stesso rimanda: vi si ritrovano infatti continuamente motivi che evocano altre opere letterarie, precedenti o contemporanee, e anche successive, senza però che sia possibile molte volte riconoscere con certezza l’evidenza e la direzione dei contatti16. A volte le allusioni sono evidenti e addirittura confessate, a volte molto probabili, a volte soltanto ipotizzabili, a volte assolutamente incerte, in ragione anche della controversa datazione delle opere. Per esempio, è certo che l’autore conosceva bene il Roman de Thèbes (databile intorno al 1160) da cui ricava quasi tutti i nomi dei suoi personaggi, 14 Philippe Haugeard, Liberté de la fiction et contrainte du genre. Le cas d’Ipomedon de Hue de Rotelande, in «Poétique», 138, Seuil, avril 2004. Si pensi anche al duello fratricida fra Drias e Candor, nel corso del torneo (vv. 5995-6050). 15 Robert W. Hanning, Engin in Twelfth-Century Romance: an Examination of the Roman d’Enéas and Hue de Rotelande’s Ipomedon, in «Yale French Studies», li, 1974, pp. 82-101: 94-95. A conferma delle sue osservazioni si potrebbe aggiungere anche il diverso atteggiamento di Ipomedon quando si presenta alla corte della Fiera e quando si presenta alla corte di Meleager. 16 Nelle parole di Julien Vinot (Répétition et variation de la traditions dans les romans de Hue de Rotelande, Thèse de doctorat, Université de Montréal et Université d’Angers, 2009): «[L]es oeuvres de Hue […] s’organisent comme un assemblage d’éléments présents dans la presque totalité de la production littéraire du XII siècle, […] l’identification des sources, qui paraît prometteuse, n’aboutit qu’à une somme de suppositions parfois douteuses. […] ressemblances plus ou moins précises [qui] ne sauraient suffire à affirmer, sans le moindre doute, que Hue s’inspire de l’un de ses devanciers… Le seul “avantage” de la quête des sources semble être celui d’identifier les textes qui partagent les mêmes épisodes» (pp. 20, 21). Anche Lucy M. Gay (Hue de Rotelande’s Ipomedon and Chrétien de Troyes”, «P.M.L.A.», xxxii, 1917, pp. 468-91) osserva che «All these works followed each other so closely in the period between 1150 and 1190 that they are to a degree the product of the same civilization, and resemblances are inevitable» (p. 468).



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Chi vuole interessarsi a bei racconti vi può spesso imparare cose molto utili: ascoltando storie piacevoli e raccontando le avventure che avvennero nei tempi antichi, vi si possono ritrovare follie e buonsenso. Ma lasciamo da parte le follie, ché fa molto bene parlare di cose ragionevoli. Non è del tutto povero chi è sapiente; ma certuni hanno un atteggiamento tale per cui non vorrebbero per nulla al mondo che apprendessimo da loro alcuna buona cosa. Chi tiene tutto così nascosto, a mio parere finisce per essere un folle, perché a che cosa gli servirà la sua grande sapienza quando lascerà questo mondo? Da quel giorno non ricaverà alcun vantaggio se per amor di Dio non avrà fatto qualche bene. Il suo senno andrà a finire non si sa dove, ché né lui né altri ne avranno vantaggio. Mi faccio meraviglia di quei chierici sapienti, che capiscono più lingue, che abbiano trascurato questa storia, visto che non ne hanno fatto memoria. Non dico che non abbia detto bene colui che l’ha scritta in latino,


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ma ci sono più laici che letterati; se il latino non viene tradotto, non ci sarà chi la capisce; per questo voglio parlare in lingua romanza, più brevemente che potrò, così capiranno e chierici e laici. Hue de Rotelande ci dice (colui che ha scritto questa storia e vuole tradurre dal latino in romanzo), che non lo si deve biasimare se non riuscirà a conservare tutti i casi e rispettare perfettamente i tempi; ma per accelerare la cosa, dovremo raccontare con belle parole; io non vi aggiungerò altro che verità, dirò in breve quel che ne so. Chi vuole tradurre un’opera lunga, deve abbreviare; altrimenti troppo si annoieranno quelli che avranno il desiderio di ascoltare; ma non voglio nascondere neanche tutto il mio sapere; ascoltatemi dunque, fate silenzio!

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Meleager, un re dell’antichità, fu un tempo re di Sicilia; era un cavaliere meraviglioso, manteneva il suo reame nella pace; non c’era vicino di qualunque regione che osasse muover guerra contro di lui, perché era di grande saggezza, ricco e potente, di grandi ricchezze. Chi è prode e capace di far doni, può governare una terra al meglio, se possiede senno e misura per mantenere legge e giustizia; ché certo nessun signore scriteriato può reggere bene una grande carica. Questi non fu mica scriteriato né sciocco, ché aveva conquistato da più parti terre che confinavano col suo regno; non c’era duca, conte né marchese che non fosse divenuto suo vassallo, fosse a torto o fosse a ragione.


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Ma ebbe tanta sfortuna che non ebbe mai una progenitura; gli fu negata una grande gioia, ché non ebbe mai né figlio né figlia; ma aveva un nipote valoroso, che sarebbe stato suo erede dopo di lui. Molto era apprezzato e amato, e lodato nell’uso delle armi; era anche molto saggio, in verità, e grandemente onorato da molti; era bello e fiero, di gran virtù, si chiamava Capaneus; aveva corpo elegante e un bel viso, ed era franco e generoso; tutti quelli della corte lo amavano molto e gli facevano tanto onore quanto al re. Lasciamolo stare per ora, ne sentirete parlare abbastanza più avanti. Il re aveva una sorella che aveva dato in sposa; era stata maritata al duca di Calabria, per metter fine ad una discordia che c’era stata fra i loro territori, per cui il duca divenne vassallo del re e da lui ricevette tutta la terra; a suggello della pace aveva sposato sua sorella, donna di grande valore. Il duca la tenne in onore e in lei generò una figlia; e non ebbero più alcun altro figlio né figlia. Rimasero insieme ben poco tempo: due anni, credo, stettero insieme, e tutti e due morirono lo stesso giorno, e la piccola ebbe l’eredità, lei che crebbe meravigliosamente saggia1. Quando ebbe passato i quindici anni, aveva in sé ogni virtù, di bontà era illuminata; nessuna al mondo nacque mai tanto bella,

1 Eleonora d’Aquitania aveva ereditato il ducato, e i signori le avevano giurato fedeltà, quando aveva quattordici anni (https://fr.wikipedia.org/wiki/Aliénor_d%27Aquitaine).


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né signora né fanciulla; ella avrebbe potuto essere regina e signora del mondo intero, di tutte le grandi dame che esistono, tanto era damigella saggia e graziosa e piena di misura e bella, e dai modi cortesi di gran classe; ma era tanto orgogliosa e superba, non aveva alcuna costrizione se non quella d’amare; nessun’altra costrizione volle sostenere. Infatti il primo giorno che ella ricevette la Calabria e ne fu signora, fece la superba dichiarazione – tutti i baroni l’udirono – che non avrebbe mai preso marito né si sarebbe sposata, fosse stato pure re o altro uomo, neanche se fosse stato il signore di Roma o di tutti i regni del mondo o di tutti gli uomini che esistono, se non fosse stato cavaliere così valoroso da vincere in armi tutti gli altri, e in qualunque regione del mondo si recasse non ne riportasse lode e onore. I baroni tutt’intorno, quando udirono questa dichiarazione non ce ne fu uno che non se ne dolesse e non la giudicasse di grande orgoglio. Ma l’aveva affermato, e non si disdirà fintanto che possa mantenere quella promessa. Per l’affermazione superba che fece in questa maniera fu soprannominata la Fiera Fanciulla, e la fama se ne diffuse dappertutto. Si faceva di lei un gran parlare, dalla Lombardia fino alla Francia, e in Borgogna e nel Poitou, e in Navarra e in Anjou, in Lorena e in Ungheria, nelle Fiandre e in Normandia, in Inghilterra e in Bretagna, in Russia e in Alemagna; parecchio si parlò in Puglia


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della fanciulla e del suo orgoglio, del suo valore, del suo coraggio, della sua bellezza, della sua generosità, del suo senno, della sua cortesia. Non nacque mai donna in questo mondo che avesse così tante virtù, se soltanto avesse potuto amare. Ma lei aveva un cuore troppo orgoglioso, e fu per fortuna che fece bene. Questo dicono le persone sagge: chi bene aspetta non aspetta invano; chi si affretta più di quando dovrebbe, spesso gli capita di finir male; infatti avete tutti sentito dire che fretta inappropriata non dà profitto. Questa non si affrettò troppo al proposito, bene o male gliene avverrà.

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In Puglia c’era a quel tempo un re che era di grande senno; Hermogenés si chiamava, era competente e saggio nelle leggi, ed era prode in fatto di cavalleria, e aveva solide conoscenze nelle scienze erudite; era ben apprezzato in molte terre dove aveva fatto grandi fatti d’arme. Per la fama del suo ardire e per il suo comportamento giusto la gente di Puglia lo fecero venire e gli dettero la regina (in sposa), che aveva la Puglia in eredità, visto che la regina era già stata sposata. Questo re resse saggiamente il suo popolo, con grande amore e lealtà. Dalla moglie ebbe un figlio, che non era ancora cavaliere; era un valletto bello e distinto, con una straordinaria educazione; non ci fu mai al mondo un giovanetto così bello, così slanciato, così bello, né così cortese e valoroso, così franco, così dolce né così paziente. Tutti dicevano bene di lui;


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era esperto d’uccelli e di cani, e sapeva ben servire. Tutti lo amavano per la sua lealtà; ebbe un’ottima educazione, ed egli imparava molto volentieri. Ebbe un educatore così cortese che non c’era nel mondo re così ricco ch’egli non sapesse servirlo perfettamente e mantenere tutta l’etichetta. Il valletto pure era ben istruito ed era un ottimo letterato. Chi è un po’ approfondito nelle scienze vale di più anche nelle altre abilità; sarà di più acuto ingegno, capirà meglio un ragionamento. Si chiamava Ipomedon, non aveva ancora né barba né baffi. Avvenne così che a una festa il valletto servì a tavola, e sentì quei cavalieri parlare, e menzionare la Fiera Fanciulla che era duchessa di Calabria, com’era educata e cortese: «E non c’è corte sotto il cielo in nessun luogo trovata o veduta, dall’India fino all’Occidente in cui ci siano tante buone maniere.» Così parlavano quei cavalieri, e lui ascoltava volentieri; ci pensò più di quanto non sembrò, non intervenne né tanto né poco. Quando fu alla tavola di quelli che servivano rimase assorto e pensoso, quasi non ha mangiato né bevuto. Il suo precettore lo guarda e vede il suo bel viso impallidito; molto è corrucciato in cuor suo nel vederlo triste e depresso, non vede l’ora che si rivesta e si alzi su da tavola. Ipomedon si affrettò ancora di più, si alzò prima che poté,


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chiamò a sé il precettore: «Tholomeu, maestro mio, ascoltatemi! Vi chiedo consiglio, datemi un consiglio che torni a mio onore; vi conosco tanto leale e sicuro, che mi consiglierete nel modo migliore che saprete. Io non posso più nascondevi nulla. Sono stato qui a servire così a lungo che mi sento totalmente umiliato; io ho sentito parlare di corti straniere; se ci dovessi andare a piedi nudi vestito di stracci, e ci dovessi andare solo, non voglio più restare qui. Maestro, sapete bene che cosa dice l’uomo saggio in sentenza: non avrà mai pregio di buone maniere chi non è stato educato in più di una corte. Mio padre mi ama a tal punto che non sopporterebbe mai, chiunque glielo chiedesse, che io mi allontanassi da lui. Ma di sicuro, maestro, checché se ne dica, io non resterò più presso di lui; voglio che voi lo sappiate. Se volete abbandonarmi e non volete venire con me, anche se dovrò partire da solo, di notte di nascosto, che sia una cosa stupida o saggia, me ne andrò altrove a chiedere servizio. Troppo sono rimasto in questa terra!» Tholomeu l’ha guardato a lungo e poi ci ha pensato su. Dopo un lungo silenzio così rispose: «Bel sire, io vi ho allevato; se Dio m’aiuti, vi darò il consiglio che saprò trovare. Mi piace molto quello che mi avete detto, svelatemi (tutto) il vostro pensiero: dove avreste scelto di andare a completare la vostra educazione?» «Lo volete sapere?» «Sì, di certo!» «Vi dirò secondo il mio giudizio.


studi   1. Anton Ranieri Parra, Sei studi in blu. Due mondi letterari (inglese e italiano) a confronto dal Seicento al Novecento, pp. 188, 2007.   2. Gianfranca Lavezzi, Dalla parte dei poeti: da Metastasio a Montale. Dieci saggi di metrica e stilistica tra Settecento e Novecento, pp. 264, 2008.  3. Lettres inédites de la Comtesse d’Albany à ses amis de Sienne, publiées par Léon-G. Pélissier (1797-1802), Ristampa anastatica a cura di Roberta Turchi, pp. xvi-492, 2009.   4. Francesca Savoia, Fra letterati e galantuomini. Notizie e inediti del primo Baretti inglese, pp. 256, 2010.  5. Lettere di Filippo Mazzei a Giovanni Fabbroni (1773-1816), a cura di Silvano Gelli, pp. lxxxvi-226, 2011.   6. Stefano Giovannuzzi, La persistenza della lirica. La poesia italiana nel secondo Novecento da Pavese a Pasolini, pp. xviii-222, 2012.   7. Simone Magherini, Avanguardie storiche a Firenze e altri studi tra Otto e Novecento, pp. x-354, 2012.   8. Gianni Cicali, L’ Inventio crucis nel teatro rinascimentale fiorentino. Una leggenda tra spettacolo, antisemitismo e propaganda, pp. 184, 2012.   9. Massimo Fanfani, Vocabolari e vocabolaristi. Sulla Crusca nell’Ottocento, pp. 124, 2012. 10. Idee su Dante. Esperimenti danteschi 2012, a cura di Carlo Carù, Atti del Convegno, Milano, 9 e 10 maggio 2012, pp. xvi-112, 2013. 11. Giorgio Linguaglossa, Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea, pp. 148, 2013. 12. Arnaldo Di Benedetto, Con e intorno a Vittorio Alfieri, pp. 216, 2013. 13. Giuseppe Aurelio Costanzo, Gli Eroi della soffitta, a cura di Guido Tossani, pp. lvi96, 2013.

14. Marco Villoresi, Sacrosante parole. Devozione e letteratura nella Toscana del Rinascimento, pp. xxiv-232, 2014. 15. Manuela Manfredini, Oltre la consuetudine. Studi su Gian Pietro Lucini, pp. xii152, 2014. 16. Rosario Vitale, Mario Luzi. Il tessuto dei legami poetici, pp. 172, 2015. 17. La Struzione della Tavola Ritonda, (I Cantari di Lancillotto), a cura di Maria Bendinelli Predelli, pp. lxxiv-134, 2015. 18. Manzoni, Tommaseo e gli amici di Firenze. Carteggio (1825-1871), a cura di Irene Gambacorti, pp. xl-204, 2015. 19. Simone Fagioli, La struttura dell’argomentazione nella Retorica di Aristotele, pp. 124, 2016. 20. Francesca Castellano, Montale par luimême, pp. 112, 2016. 21. Luca Degl’Innocenti, «Al suon di questa cetra». Ricerche sulla poesia orale del Rinascimento, pp. 160, 2016. 22. Marco Villoresi, La voce e le parole. Studi sulla letteratura del Medioevo e del Rinascimento, pp. 276, 2016. 23. Marino Biondi, Quadri per un’esposizione e frammenti di estetiche contemporanee, pp. 452, 2017. 24. Donne del Mediterraneo. Saggi interdisciplinari, a cura di Marco Marino, Giovanni Spani, pp. 144, 2017. 25. Peter Mayo, Paolo Vittoria, Saggi di pedagogia critica oltre il neoliberismo, analizzando educatori, lotte e movimenti sociali, pp. 192, 2017. 26. Antonio Pucci, Cantari della «Guerra di Pisa», edizione critica a cura di Maria Bendinelli Predelli, pp. lxxvi-140, 2017. 27. Leggerezze sostenibili. Saggi d’affetto e di Medioevo per Anna Benvenuti, a cura di Simona Cresti, Isabella Gagliardi, pp. 228, 2017. 28. Manuele Marinoni, D’Annunzio lettore


di psicologia sperimentale. Intrecci culturali: da Bayreuth alla Salpêtrière, pp. 140, 2018. 29. Avventure, itinerari e viaggi letterari. Studi per Roberto Fedi, a cura di Giovanni Capecchi, Toni Marino e Franco Vitelli, pp. x-546, 2018. 30. Mario Pratesi, All’ombra dei cipressi, a cura di Anne Urbancic, pp. lx-100, 2018. 31. Giulia Claudi, Vivere come la spiga accanto alla spiga. Studi e opere di Carlo Lapucci. Con tre interviste, pp. 168, 2018. 32. Marino Biondi, Letteratura giornalismo commenti. Un diario di letture, pp. 512, 2018. 33. Scritture dell’intimo. Confessioni, diari, autoanalisi, a cura di Marco Villoresi, pp. viii-136, 2018. 34. Massimo Fanfani, Un dizionario dell’era fascista, pp. 140, 2018. 35. Femminismo e femminismi nella letteratura italiana dall’Ottocento al XXI secolo, a cura di Sandra Parmegiani, Michela Prevedello, pp. xxxiv-302, 2019.

36. Maria Bendinelli Predelli, Storie e cantari medievali, pp. 188, 2019. 37. Valeria Giannantonio, Le autobiografie della Grande guerra: la scrittura del ricordo e della lontananza, pp. 368, 2019. 38. Per Franco Contorbia, a cura di Simone Magherini e Pasquale Sabbatino, 2 voll., pp. xviii-1028, 2019. 39. Ettore Socci, Da Firenze a Digione. Impressioni di un reduce garibaldino, a cura di Giuseppe Pace Asciak, con la collaborazione di Marion Pace Asciak, pp. xl196, 2019. 40. Massimo Fanfani, Dizionari del Novecento, pp. 168, 2019. 41. Giulia Tellini, L’officina sperimentale di Goldoni. Da «La donna volubile» a «La donna vendicativa», pp. 264, 2020. 42. Hue de Rotelande, Ipomedon (poema del XII secolo), traduzione e introduzione di Maria Bendinelli Predelli, pp. liv-266, 2021.


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